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5.1.1 Concetti Generali della Trasformazione Afflussi-Deflussi La dicitura "trasformazione afflussi-deflussi" raggruppa l'insieme di quei diversi processi idrologici che concorrono alla formazione del deflusso, a partire dalla precipitazione meteorica, prima ancora che il deflusso stesso si incanali nella rete idrografica. Una visione schematica di tali processi è data in fig. 5.1. Considerando tale schema come rappresentativo del bilancio di massa d'acqua per una porzione elementare di un bacino idrografico, tale bilancio ha come ingresso fondamentale la precipitazione misurata in prossimità del suolo. Tale precipitazione viene in parte intercettata dalla vegetazione, in parte infiltra nel suolo, in parte ancora va ad accumularsi in piccoli invasi naturali e/o artificiali (pozzanghere, avvallamenti del terreno, impluvi artificiali); la parte rimanente, infine, va a costituire il deflusso superficiale che scorrerà verso la rete idrografica secondo le linee di massima pendenza del terreno. Il sistema suolo - vegetazione, quindi, costituisce una naturale capacità di invaso, che tende a decurtare la quantità di acqua precipitata che arriverà alla rete idrografica (precipitazione efficace). Tale decurtazione dipenderà, istante per istante, dalla capacità complessiva di tali invasi, che varierà nel tempo sia a causa del loro progressivo riempimento durante prolungati eventi di pioggia, sia a causa di altri importanti processi di trasferimento dell'acqua che agiscono nel sistema suolo atmosfera. Ad esempio, parte dell'acqua intercettata e trattenuta dalle superfici foliari e nelle pozzanghere si disperderà di nuovo nell'atmosfera per evaporazione. Analogamente, una piccola parte dell'acqua infiltrata nel suolo evaporerà direttamente ed una parte più consistente verrà assorbita dalle radici della vegetazione e quindi riemessa nell'atmosfera per evaporazione dagli stomata delle foglie (traspirazione). Ancora, parte dell'acqua infiltrata negli strati superficiali del suolo proseguirà il moto di filtrazione verso gli strati più profondi e le falde (percolazione), mentre una parte, tanto maggiore quanto più elevata è la pendenza del terreno, filtrerà verso la rete idrografica mantenendosi negli strati superficiali (deflusso ipodermico). Parte dell'acqua infiltrata, quindi, andrà ancora a contribuire al deflusso nella rete idrografica, ma con tempi di ritardo, rispetto alla caduta della precipitazione, sensibilmente maggiori (per il deflusso ipodermico) o notevolmente maggiori (per il deflusso dagli strati profondi e dalle falde, detto anche deflusso di base) dei tempi caratteristici del deflusso superficiale (Fig. 5.2).

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5.1.1 Concetti Generali della Trasformazione Afflussi-Deflussi La dicitura "trasformazione afflussi-deflussi" raggruppa l'insieme di quei diversi processi idrologici che concorrono alla formazione del deflusso, a partire dalla precipitazione meteorica, prima ancora che il deflusso stesso si incanali nella rete idrografica.

Una visione schematica di tali processi è data in fig. 5.1. Considerando tale schema come rappresentativo del bilancio di massa d'acqua per una porzione elementare di un bacino idrografico, tale bilancio ha come ingresso fondamentale la precipitazione misurata in prossimità del suolo. Tale precipitazione viene in parte intercettata dalla vegetazione, in parte infiltra nel suolo, in parte ancora va ad accumularsi in piccoli invasi naturali e/o artificiali (pozzanghere, avvallamenti del terreno, impluvi artificiali); la parte rimanente, infine, va a costituire il deflusso superficiale che scorrerà verso la rete idrografica secondo le linee di massima pendenza del terreno.

Il sistema suolo - vegetazione, quindi, costituisce una naturale capacità di invaso, che tende a decurtare la quantità di acqua precipitata che arriverà alla rete idrografica (precipitazione efficace). Tale decurtazione dipenderà, istante per istante, dalla capacità complessiva di tali invasi, che varierà nel tempo sia a causa del loro progressivo riempimento durante prolungati eventi di pioggia, sia a causa di altri importanti processi di trasferimento dell'acqua che agiscono nel sistema suolo atmosfera. Ad esempio, parte dell'acqua intercettata e trattenuta dalle superfici foliari e nelle pozzanghere si disperderà di nuovo nell'atmosfera per evaporazione. Analogamente, una piccola parte dell'acqua infiltrata nel suolo evaporerà direttamente ed una parte più consistente verrà assorbita dalle radici della vegetazione e quindi riemessa nell'atmosfera per evaporazione dagli stomata delle foglie (traspirazione). Ancora, parte dell'acqua infiltrata negli strati superficiali del suolo proseguirà il moto di filtrazione verso gli strati più profondi e le falde (percolazione), mentre una parte, tanto maggiore quanto più elevata è la pendenza del terreno, filtrerà verso la rete idrografica mantenendosi negli strati superficiali (deflusso ipodermico). Parte dell'acqua infiltrata, quindi, andrà ancora a contribuire al deflusso nella rete idrografica, ma con tempi di ritardo, rispetto alla caduta della precipitazione, sensibilmente maggiori (per il deflusso ipodermico) o notevolmente maggiori (per il deflusso dagli strati profondi e dalle falde, detto anche deflusso di base) dei tempi caratteristici del deflusso superficiale (Fig. 5.2).

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Figura 5.1 - Schema del bilancio idrologico di una porzione elementare di bacino.

Nell'ambito nello studio dei fenomeni di piena fluviale, i diversi tipi di deflusso (superficiale, ipodermico, profondo o di base) assumono una importanza relativa che varia in funzione del tempo caratteristico di risposta del bacino in esame. Intendendo come tempo di risposta l'intervallo trascorso fra l'inizio dell'evento di precipitazione e l'arrivo del colmo di piena alla sezione di chiusura del bacino, questo dipende in maniera sensibile dalle dimensioni areali del bacino stesso e dalla lunghezza del corso d'acqua principale, nonché dal regime di quest'ultimo (torrentizio, fluviale, ...). Le caratteristiche dei bacini e dei corsi d'acqua Italiani fanno sì che tale tempo sia comunemente, ad eccezione dei fiumi principali quali il Po, l'Adige, ecc. ecc., dell'ordine delle poche ore. Per l'Arno, ad esempio, il tempo di risposta può essere stimato in circa 12 ore a Firenze e circa 2 giorni alla foce (Becchi e Giuli, 1987). I tempi di risposta possono scendere fino a pochi minuti per torrenti alla chiusura di piccoli bacini montani.

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Figura 5.2 - Tempi di ritardo, rispetto alla precipitazione, dei diversi tipi di deflusso in arrivo alla rete idrografica.

Il contributo dovuto al deflusso di base può quindi essere generalmente considerato costante ai fini della quantificazione del picco di piena. Tale contributo, stimabile ad esempio in base alle portate di magra del corso d'acqua di interesse, risulta in genere essere di uno o più ordini di grandezza inferiore alle portate di piena, e quindi in buona approssimazione trascurabile. Analogamente, nei casi di bacini di medie e piccole dimensioni con tempi di risposta inferiori alle poche ore, il deflusso ipodermico può essere considerato trascurabile in quanto andrà a contribuire alle portate alla sezione di chiusura in tempi successivi al transito del colmo.

Avendo quindi come obiettivo principale la stima dei deflussi superficiali, ed eventualmente ipodermici, la modellazione della trasformazione afflussi - deflussi si basa fondamentalmente sul calcolo, a partire dalla distribuzione spazio - temporale delle piogge, delle perdite che queste subiscono per intercettazione ed infiltrazione. La stima dell'evapotraspirazione influenzerà solo indirettamente la stima di tali perdite, tramite il bilancio di umidità del suolo, da cui dipende il tasso di infiltrazione, ed il bilancio d'acqua dei piccoli invasi, da cui dipende l'intercettazione. Il processo di infiltrazione risulta essere, nella maggior parte dei casi, il fattore di perdita quantitativamente più rilevante, e quindi su questo verrà posta gran parte dell'attenzione nei paragrafi successivi.

5.1.2 La Modellazione della Trasformazione Afflussi - Deflussi

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La modellazione del processo di trasformazione degli afflussi in deflussi si inserisce come componente essenziale nella più generale modellistica per la ricostruzione e/o la previsione di idrogrammi di piena, in una o più sezioni fluviali di un bacino idrografico, a partire dalla distribuzione spazio - temporale delle piogge insistenti sul bacino (Fig. 5.3).

Figura 5.3 - Schema concettuale di trasferimento da precipitazioni distribuite nello spazio e nel tempo ad idrogramma di piena nella sezione di chiusura di un bacino.

Dal punto di vista matematico, il problema della ricostruzione (o previsione) di un idrogramma di piena può essere visto come la messa a punto di un filtro il cui ingresso è costituito da misure di una variabile P(s,t) (la precipitazione insistente sul bacino durante un particolare evento) di tipo distribuito, ovvero dipendente sia dalla coordinata temporale t che dalla coordinata spaziale s e la cui uscita è una variabile Q(t) (la portata nella sezione di chiusura del bacino) di tipo integrato nello spazio, ovvero dipendente solo dal tempo.

La trasformazione da pioggia al suolo a portata nella sezione di chiusura avviene secondo una cascata di processi, ciascuno dei quali può essere rappresentato tramite un opportuno sotto-modello specializzato, come schematizzato in Fig. 5.4. In particolare, l'ingresso principale al modello sarà costituito da una serie di misurazioni di pioggia, di tipo puntuale (registrazioni pluviometriche) e/o distribuito (radar meteorologico), che dovranno essere in generale interpolate, tramite un opportuno modello estimativo (Seo et al., 1990 a, b), per ottenere l'andamento delle precipitazioni lorde al suolo nello spazio e nel tempo in termini di afflussi per unità di area (ovvero con dimensioni di portata per unità di area). La quota parte di tali precipitazioni che andrà in scorrimento superficiale (ed eventualmente anche in deflusso ipodermico, nei limiti precedentemente accennati), detta anche precipitazione efficace o deflusso efficace, verrà stimata con un opportuno modello di trasformazione afflussi - deflussi, che stimerà la produzione di deflusso q(s, t) idealmente in ciascun punto del bacino, avente questa ancora le dimensioni di una portata per unità di area. Infine, il processo di concentrazione dei deflussi superficiali nel reticolo idrografico e di trasferimento lungo

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questo fino alla sezione di chiusura verrà rappresentato tramite un opportuno modello di formazione dell'onda di piena.

Figura 5.4 - Schema di flusso della modellazione degli idrogrammi di piena.

Dal punto di vista fisico, quindi, sia il procedimento di stima della precipitazione al suolo che la trasformazione di questa in deflusso efficace fanno idealmente riferimento ad un approccio di tipo distribuito, in quanto hanno come obiettivo la stima di quantità delle quali è rilevante la conoscenza della distribuzione non solo temporale ma anche spaziale. L'integrazione da deflusso efficace a portata in una sezione fluviale pertiene più propriamente al processo di formazione dell'onda di piena, la cui modellazione avrà come componente fondamentale la stima dei tempi di ritardo con cui i deflussi prodotti in ciascun punto del bacino sono attesi alla sua sezione di chiusura.

Una modellazione idrologica di tipo distribuito, che ricalchi cioè in maniera più o meno fedele lo schema fisico appena descritto, ha trovato sviluppo solo negli ultimi anni (Beven, 1985). Tali tipi di modello assumono in genere una suddivisione del bacino in celle elementari, di estensione sensibilmente inferiore a quella complessiva del bacino in esame, per ciascuna delle quali vengono calcolate le quote relative di afflusso e deflusso. Rappresentando quindi la struttura del reticolo idrografico ad un corrispondente livello di dettaglio, il processo di formazione dell'onda di piena

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può essere modellato secondo schemi idraulici più o meno semplificati (Becchi et al., 1995). Grande impulso a tale tipo di approccio è stato dato dal continuo potenziamento dei mezzi informatici, stante la grande mole di calcolo richiesta al raffinarsi della discretizzazione adottata per il bacino. Da un altro lato, la maggiore difficoltà nell'utilizzo di tali modelli consiste nella necessità di disporre di descrizioni delle caratteristiche fisiche del bacino (morfologia, pedologia, litologia, uso del suolo) con un dettaglio pari a quello della discretizzazione.

Dal lato opposto, approcci più classici sono basati su una visione puramente integrata del problema, in cui tutte le variabili originariamente distribuite vengono mediate nello spazio: a partire dalle misure puntuali della pioggia, viene calcolata una precipitazione al suolo media sull'intero bacino, a partire dalla quale si calcola ancora un deflusso efficace medio che viene trasformato in portata di piena alla sezione di chiusura per mezzo di un opportuno modello di trasferimento. Tale tipo di approccio assume implicitamente l'ipotesi che tutti i processi modellati abbiano natura di tipo lineare: solo in tale caso, infatti, stime basate sui soli valori medi delle varie quantità non introducono errori sostanziali (Bras, 1990).

Si supponga ad esempio che il deflusso efficace prodotto dalla precipitazione al tempo in ciascun punto del bacino sia determinabile secondo una relazione generale del tipo:

[5.1]

dove rappresenta un generico operatore matematico derivante dalla formulazione di un modello puntuale di trasformazione afflussi-deflussi, quali quelli descritti in seguito. Si definiscano quindi le seguenti quantità medie sull'area A del bacino in esame:

[5.2]

[5.3]

Solo nel caso che l'operatore sia lineare, ovvero sia esprimibile nella forma , dove le costanti e costituiscono i parametri del modello, si potrà scrivere:

[5.4]

altrimenti si avrà in generale:

[5.5]

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A maggior ragione l'errore introdotto dall'operazione di media potrà essere ancora maggiore nel caso (frequente) in cui i parametri del modello, dipendenti ad esempio dal tipo e dall'uso del suolo, siano anch'essi caratterizzati da variazioni spaziali sensibili all'interno di uno stesso bacino.

Benché in linea di principio sia possibile costruire modelli in grado di operare coerentemente sui valori medi, questi in generale troveranno scarsa flessibilità di applicazione, in quanto i parametri e la struttura di tali modelli non saranno "trasferibili" da un bacino ad un altro, se non addirittura nemmeno da un evento ad un altro nello stesso bacino. Saranno cioè modelli prevalentemente del tipo "black box", la cui formulazione avrà scarsa attinenza con i processi fisici e quindi i relativi parametri non potranno essere dedotti direttamente dalla conoscenza delle proprietà fisiche del bacino, ma andranno viceversa calibrati in base alle registrazioni disponibili di pioggia e portate relativi a particolari eventi.

I modelli fisicamente basati, viceversa, risiedono tipicamente su formulazioni di tipo puntuale, in quanto le equazioni che regolano, ad esempio, il processo di infiltrazione sono studiate a scale spaziali che possono essere considerate infinitesime rispetto a quelle di un qualsiasi bacino idrografico. I parametri di tali modelli possono essere generalemente espressi come funzioni note di quantità misurabili che descrivono le proprietà fisiche del bacino (proprietà del suolo, uso del suolo, morfologia del terreno). Tali parametri presenteranno quindi una spiccata variabilità spaziale, specialmente in bacini di medie e grandi dimensioni. Inoltre, come descritto in seguito, il processo di infiltrazione, che costituisce normalmente la componente principale di un modello di trasformazione afflussi - deflussi, presenta caratteristiche di elevata non-linearità. L'utilizzo di modelli puntuali fisicamente basati richiede quindi in linea di principio un approccio sicuramente di tipo distribuito.

Va comunque evidenziato che i modelli distribuiti comunemente in uso non risolvono completamente il problema dell'accoppiamento fra non-linearità dei processi e la variabilità spaziale delle precipitazioni e dei parametri fisici del suolo, quando vengano utilizzati modelli di tipo puntuale per il calcolo delle perdite per infiltrazione. Tali modelli, infatti, consentono di tenere conto della variabilità spaziale suddividendo il bacino in porzioni elementari, ciascuna caratterizzata da propri parametri e piogge in ingresso, ma all'interno di ciascuna porzione elementare viene ancora adottato un approccio di tipo integrato: la scala spaziale di tali porzioni elementari risulta normalmente, per ovvi limiti di calcolo e soprattutto di risoluzione dei dati, di qualche ordine superiore a quella considerabile come puntuale.

Potendo comunque ipotizzare che all'interno di ciascuna porzione elementare di bacino la variabilità sia delle precipitazioni che dei parametri caratteristici del suolo possa essere descritta in maniera sufficientemente corretta tramite semplici funzioni parametriche, sono stati formulati negli ultimi anni modelli specifici che, a partire da semplificazioni più o meno spinte di modelli puntuali fisicamente basati, tengono esplicitamente in conto delle variabilità interna a ciascuna porzione elementare (Castelli, 1995).

Esistono infine, dal punto di vista della modellazione delle portate di piena e quindi non solo della trasformazione afflussi-deflussi, approcci di tipo semi-distribuito, in cui alcuni processi vengono modellati secondo formulazioni di tipo integrato. Partendo ad esempio dalla considerazione che gran parte della non-linearità dell'intero processo di trasformazione da piogge a portata nella sezione di chiusura risiede nella parte di trasformazione da afflussi a deflussi superficiali, un approccio tipico di tipo semi-distribuito è quello in cui questi ultimi vengono calcolati tramite un modello distribuito, salvo poi essere integrati in deflusso superficiale medio per poi essere trasferiti alla sezione di chiusura tramite un modello integrato di formazione della piena. Tale tipo di approccio, che consente da una parte un notevole alleggerimento degli oneri sia di calcolo che di

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descrizione del reticolo idrografico, presente dall'altra notevoli limiti nel caso di bacini di medie e grandi estensioni, dove la distribuzione spaziale delle precipitazione in ingresso, e quindi del risultante deflusso superficiale, presenta grosse disomogeneità da una zona all'altra del bacino (Corradini et al., 1986).

5.1.3 L'Infiltrazione nel Suolo 5.1.3.1 Le principali caratteristiche del suolo 5.1.3.2 Il moto dell'acqua nel suolo: formulazione dell'equazione di Richards

5.1.3.1 Le principali caratteristiche del suolo

Si consideri un campione di suolo costituito da un cubo di spigolo ∆ x. Tale volume elementare sarà costituito da un insieme di grani solidi di varie forme e dimensioni e da spazi vuoti (pori) contenenti aria e acqua. Sia inoltre la dimensione ∆ x del campione sufficientemente piccola da poter supporre che il suolo in esso contenuto sia omogeneo, ed allo stesso tempo molto maggiore di un diametro caratteristico dei pori. Una prima caratteristica fondamentale del suolo è la porosità n, definita come rapporto fra volume dei vuoti Vvuoti e volume totale. Per il suddetto campione si avrà:

[5.6]

Valori tipici di porosità variano generalmente fra 0.3 e 0.5, in funzione sia del tipo di grani (forma e diametro) che della loro organizzazione spaziale (Fig. 5.5).

Altre caratteristiche del suolo sono derivabili in base alla granulometria, che rappresenta la distribuzione di probabilità dei diametri dei grani. In un singolo campione di suolo sono comunemente presenti grani di diversa forma e diametro. In base a tali diametri, si danno le definizioni granulometriche riportate in Tab. 5.1. Allorché un campione di suolo sia caratterizzato dalla prevalenza di una o più classi granulometriche, il nome di queste viene comunemente utilizzato per identificare (parzialmente) il tipo di suolo (ad esempio, suolo sabbioso, suolo limo-argilloso, etc.) (Bouwer, 1978).

La velocità con cui l'acqua infiltra nel suolo dipende in maniera sostanziale dalla distribuzione dei pori nel suolo stesso, sia in termini volumetrici medi (deducibili dal valore della porosità), sia dalla distribuzione delle dimensioni dei singoli pori. Quest'ultima dipende fortemente dalla distribuzione granulometrica.

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Figura 5.5 - Valori di porosità per suoli "ideali" costituiti da grani di forma e dimensione uniformi (le figure rappresentano sezioni su piani di simmetria).

Tabella 5.1 - Definizioni granulometriche.

In particolare, ad un suolo con granulometria fine corrisponderà un diametro medio dei pori altrettanto piccolo, e quindi una velocità di infiltrazione (definita in maniera rigorosa nel paragrafo successivo) inferiore a quella di un suolo con granulometria più grossolana. D'altro canto, un suolo con granulometria molto omogenea (forte prevalenza di una singola classe granulometrica) tenderà ad avere un più alto valore di porosità, e quindi una maggiore velocità di infiltrazione, rispetto ad un suolo con granulometria disomogenea (Bras, 1990). Risulta quindi chiaro, da tali semplici considerazioni, come un campione di suolo non possa essere sufficientemente caratterizzato dai soli parametri di porosità n e di diametro caratteristico dei grani, ma vada tenuto in conto in qualche modo della dispersione all'interno della curva granulometrica. A tale scopo si possono definire i diametri nominali Dm, dove m è un numero variabile fra 0 e 100 che rappresenta la probabilità (in percento) che i grani del campione abbiano diametro minore a Dm. Una coppia di parametri che definiscono in maniera sintetica le caratteristiche granulometriche del campione di suolo possono essere quindi scelti come il D50 (corrispondente al diametro mediano dei grani) ed il coefficiente di uniformità U, definito dalla semplice relazione:

[5.7]

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5.1.3.2 Il moto dell'acqua nel suolo: formulazione dell'equazione di Richards

I pori del suolo possono essere occupati sia da aria che da acqua. L'acqua presente nel suolo tenderà a muoversi nelle interconnessioni esistenti fra i pori, come in piccoli tubi di diametro variabile. Ciò a causa di due principali fattori: la forza di gravità, che tenderà a far muovere l'acqua in direzione verticale, e le forze capillari, risultanti dalle forze di adesione fra acqua e grani e dalla tensione superficiale dell'acqua in contatto con l'aria. Tali forze capillari tenderanno, qualitativamente, ad attirare l'acqua da zone più "umide" verso zone più "asciutte" del suolo, e tenderanno ad annullarsi in zone di suolo uniformemente sature.

Figura 5.6 - Schematizzazione del campo di moto in un campione di suolo.

Immaginando il moto dell'acqua nei pori come un insieme di piccoli tubi di diametro variabile, tale moto non può essere descritto per ogni singolo tubo. Si ricorre quindi ad una formulazione mediata su volumi elementari di suolo, quale ad esempio il campione precedentemente descritto. Si immagini quindi di sezionare il campione di suolo secondo un piano ortogonale all'asse coordinato x a distanza xo dall'origine, e si supponga di potere misurare, in ciascuno dei punti di tale piano appartenenti a zone di vuoto, la velocità dell'acqua in direzione ortogonale al piano stesso. Questa sarà una funzione

delle altre due direzioni coordinate y e z (Fig. 5.6).

Denominando con ^ la media areale delle velocità

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essendo (xo, yo, zo) le coordinate del centro di massa del campione ed avendo calcolato la media considerando le sole porzioni di sezione appartenenti ai pori (in bianco in Fig. 5.6), si definisce velocità di filtrazione, nella direzione e nel punto di coordinate (xo, yo, zo), la quantità:

[5.8]

Quindi la velocità di filtrazione, anche se formalmente viene utilizzata come una velocità puntuale, rappresenta in realtà una portata per unità di area. In maniera del tutto analoga si definiscono le velocità di filtrazione qx e qy nelle direzioni x e y.

Per lo stesso motivo per cui risulta impossibile descrivere il moto dell'acqua in ciascuno dei singoli pori, anche per la definizione della quantità di acqua presente nel suolo bisogna ricorrere ad una operazione di media. Considerando quindi ancora il campione di volume ∆ x3, ed essendo Vacqua il volume di acqua presente in tale campione, si definisce contenuto relativo d'acqua o grado di saturazione il rapporto:

[5.9]

Ancora, pur essendo tale quantità formalmente utilizzata per esprimere il grado di saturazione puntuale, in realtà rappresenta un volume di acqua per unità di volume di suolo. Tale quantità sarà caratterizzata da un limite inferiore e da un limite superiore:

[5.10]

Il limite inferiore θ r, denominato contenuto d'acqua residuo o saturazione residua, risulta essere maggiore di zero in quanto, a causa delle forze capillari, risulta praticamente impossibile riuscire ad estrarre la totalità dell'acqua presente nel campione di suolo. Per quanto riguarda invece il limite superiore θ r, denominato contenuto d'acqua a saturazione, questo può essere in prima approssimazione posto uguale alla porosità n, assumendo cioè che l'acqua, in condizioni di saturazione, riesca ad occupare la totalità del volume dei pori.

Come accennato precedentemente, l'acqua si muove nel suolo a causa delle forze capillari e di gravità. Le forze capillari saranno proporzionali, secondo una legge non-lineare, alle variazioni di contenuto d'acqua. Risulta quindi conveniente esprimere tali forze tramite la definizione di un potenziale Ψ , denominato potenziale capillare per unità di peso o anche carico capillare, che può essere in prima approssimazione espresso come funzione univoca della sola variabile θ . In particolare:

[5.11]

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[5.12]

In maniera molto più semplice è definibile un potenziale per le forze di gravità. Assumendo un sistema di riferimento in cui la coordinata verticale z sia diretta verso il basso, il potenziale gravitazionale per unità di peso, detto anche carico gravitazionale, sarà semplicemente pari a -z. Sommando quindi i due potenziali, si arriva alla definizione di carico totale Φ (con le dimensioni di energia per unità di peso del fluido, ovvero di una lunghezza):

[5.13]

Si osserva che, mentre il carico gravitazionale è indipendente sia dallo stato di umidità del suolo che dalle sue caratteristiche granulometriche, il carico capillare dipende non solo dallo stato del suolo, tramite la legge Ψ (θ ), ma anche fortemente dalla dimensione e distribuzione dei pori, e quindi dal tipo di suolo.

Le equazioni che regolano il movimento dell'acqua nel suolo sono le equazioni del moto nelle tre direzioni coordinate e l'equazione di continuità. Assumendo che il mezzo in cui si muove l'acqua sia indeformabile, che il fluido sia omogeneo e incomprimibile e che, data la piccolezza dei pori, il moto avvenga in maniera laminare, le usuali leggi del moto possono essere sostituite dalla legge di Darcy, che nelle tre direzioni coordinate cartesiane (x, y, z) assume la forma:

[5.14]

I coefficienti Kx, Ky e Kz, denominati coefficienti di conducibilità idraulica, dipendono, analogamente al potenziale capillare, sia dalla distribuzione e diametro dei pori (quindi dal tipo di suolo) che dallo stato di umidità, ovvero dal grado di saturazione θ . Tali coefficienti assumono valori positivi, con dimensioni di una velocità, crescenti al crescere di θ . I valori massimi (Kxs, Kys e Kzs) si ottengono quindi per θ = θ s, ed assumono la denominazione di coefficienti di conducibilità a saturazione. Tali coefficienti possono essere considerati uguali fra loro solo nel caso di suolo isotropo, ovvero di un suolo che presenti la stessa distribuzione di diametri di pori in tutte le direzioni. Ciò risulta raramente verificato in natura, dove i suoli tendono a presentare una elevata stratificazione lungo la direzione verticale (Stauffer and Dracos, 1986).

Infine, in base alla ipotesi di omogeneità ed incomprimibilità del fluido, la legge di conservazione della massa può essere scritta nella seguente semplice forma:

[5.15]

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dove t è la variabile tempo. Essendo quindi il potenziale capillare Ψ ed i coefficienti (Kx, Ky, Kz) esprimibili, per un determinato tipo di suolo, come funzioni del grado di saturazione θ , le [5.14] e [5.15] costituiscono un sistema chiuso di quattro equazioni nelle quattro incognite (qx, qy, qz, θ ).

Dalla terza delle equazioni [5.14] si osserva come la direzione verticale costituisca, per la presenza del gradiente di carico gravitazionale, una direzione privilegiata. Al fine dello studio della trasformazione afflussi-deflussi risulta di primaria importanza, come accennato precedentemente, l'analisi del moto di filtrazione negli strati più superficiali del suolo. Di fatto, si osserva in natura che in tali strati le variazioni di contenuto d'acqua sono molto più forti lungo la direzione verticale che lungo le direzioni orizzontali. Risulta quindi accettabile, in prima approssimazione ed in tale ambito, assumere che le velocità nelle direzioni orizzontali siano trascurabili rispetto a quella in direzione verticale, secondo uno schema prettamente monodimensionale. Usando quindi il simbolo q al posto di qz e K al posto di Kz, il problema si riduce alle seguenti due equazioni nelle incognite (q, θ ):

[5.16]

[5.17]

Derivando la prima rispetto a z e sostituendola nella seconda si ottiene la nuova equazione:

[5.18]

Avendo assunto K e Ψ come funzioni univoche di θ , tale equazione può essere riscritta nella sola incognita θ , assumendo la forma nota come equazione monodimensionale di Richards:

[5.19]

dove D, denominato coefficiente di diffusività idraulica, è definito dalla relazione:

[5.20]

In maniera analoga la [5.14] può essere riscritta come:

[5.21]

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Nelle equazioni [5.19] e [5.21], i coefficienti e vanno espressi come funzioni del contenuto d'acqua θ . Potendo trascurare i fenomeni di isteresi precedentemente accennati, si possono utilizzare a tale scopo leggi empiriche del tipo (Eagleson, 1978):

[5.22]

[5.23]

[5.24]

dove:

[5.25]

[5.26]

e dove m è un indice della distribuzione dei diametri dei pori. Si noti come la prima di tali relazioni assuma l'esistenza di un valore non nullo per il carico capillare a saturazione Ψ s, in contrasto con quanto espresso teoricamente dalla [5.12]. Alcuni valori, puramente indicativi, dei vari parametri per diversi tipi di suolo sono riportati nella seguente Tab. 5.2 (si noti la estrema variabilità di Ks all'interno di ciascun tipo di suolo).

Tabella 5.2 - Valori indicativi dei parametri idraulici per alcuni tipi di suolo (Bras, 1990)

L'equazione [5.19] può essere risolta nella sola variabile θ (z, t), generalmente con tecniche di tipo numerico data la sua elevata non-linearità, allorché siano specificate una condizione iniziale e due condizioni al contorno (Milly, 1982). Uno schema concettuale di riferimento per l'infiltrazione della precipitazione negli strati superficiali di suolo è quello rappresentato in Fig. 5.7.

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Figura 5.7 - Schema concettuale di infiltrazione su suolo omogeneo.

Si consideri uno strato illimitato di suolo omogeneo (in cui cioè le proprietà del suolo siano indipendenti dalla profondità z), e si supponga che la condizione iniziale per t = 0 sia di quiete, ovvero:

[5.27]

Supponendo che gli unici apporti di acqua possano arrivare dalla precipitazione in superficie, a profondità idealmente infinita il contenuto d'acqua si manterrà costante nel tempo ed uguale a quello iniziale, fornendo quindi una prima condizione al contorno:

[5.28]

La condizione al contorno superiore sarà invece funzione sia del grado superficiale di saturazione che dall'intensità di precipitazione. Sia P tale intensità, espressa ancora come una portata per unità di area e quindi con le dimensioni di una velocità, e si supponga che questa si mantenga sempre superiore al valore di Ks. Se si suppone che tutta la precipitazione infiltri negli istanti iniziali, l'equazione [5.21] fornisce la seguente condizione al contorno sulla superficie z = 0:

[5.29]

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Essendo per ipotesi P > Ks > K, tale condizione implica che il contenuto d'acqua abbia un gradiente negativo alla superficie, quindi con un progressivo aumento di θ per z = 0. Tale condizione potrà essere rispettata solo fino ad un determinato istante tp, detto tempo di pozzangheramento (dall'inglese ponding time), in cui θ raggiunge in superficie il valore di saturazione θ s. Successivamente a tale istante, il gradiente verticale di θ si annullerà in superficie, con una progressiva propagazione verso il basso di un fronte di saturazione. In tali condizioni di saturazione, quindi, la condizione al contorno superiore sarà semplicemente:

[5.30]

mentre l'infiltrazione non sarà più pari alla precipitazione ma sarà limitata dalla conducibilità idraulica a saturazione Ks.

La soluzione analitica dell'equazione di Richards esiste solo per particolari condizioni iniziali ed al contorno (profilo di umidità iniziale costante, precipitazione costante nel tempo) e sotto forme semplificate per le relazioni D(θ) e K(θ) (Gardner, 1959). Tali soluzioni, pur essendo relativamente lontane dalla descrizione di casi reali, forniscono comunque una base teorica per la formulazione di modelli concettuali semplificati, quali quelli descritti nei paragrafi successivi.

5.1.4 Modelli Concettuali dell'Infiltrazione Puntuale

5.1.4.1 Soluzione approssimata di Philip 5.1.4.2 Relazione di Horton 5.1.4.3 Formulazioni per "ponding" non immediato e pioggia variabile

Stante la difficoltà di utilizzare l'equazione di Richards come modello di riferimento per la stima dell'infiltrazione, sono stati sviluppati nel tempo una serie di diversi modelli concettuali, basati sia su soluzioni semplificate dell'equazione di Richards che su considerazioni di tipo empirico.

Come schema iniziale di riferimento, si consideri una precipitazione con intensità costante nel tempo, tale che questa sia sufficientemente intensa da poter considerare praticamente nullo l'intervallo di tempo necessario per raggiungere la saturazione superficiale (ponding immediato, tp = 0) Sia inoltre I(t) l'intensità di infiltrazione nel tempo (portata per unità di area) e C(t) la sua cumulata nel tempo (volume per unità di area):

[5.31]

5.1.4.1 Soluzione approssimata di Philip

In base ad una prima soluzione approssimata all'equazione di Richards, ottenuta da Philip con le suddette ipotesi di pioggia costante e molto intensa e ponding immediato, l'intensità di infiltrazione superficiale può essere scritta come (Philip, 1960):

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[5.32]

[5.33]

dove il parametro A, che rappresenta l'intensità di infiltrazione limite per t → ∞ , viene generalmente stimato in base ai valori della conducibilità idraulica (tipicamente si assume A = 0.3 Ks ÷ = 0.5 Ks). La quantità S, denominata sorptivity, tiene conto sia dei parametri caratteristici del suolo che della sua condizione di saturazione prima dell'inizio della precipitazione a t = 0. Per suoli a tessitura fine, la sorptivity può essere stimata tramite la relazione, noto il contenuto d'acqua iniziale θ i:

[5.34]

Il primo termine della [5.32] e della [5.33] rappresenta il contributo dovuto alle forze capillari, mentre il secondo quello dovuto alle forze gravitazionali. Tale contributo viene normalmente assunto inferiore al valore massimo teorico pari a Ks per tenere conto della finitezza dello spessore di suolo, normalmente giacente su strati rocciosi con coefficienti di conducibilità sensibilmente inferiori.

La relazione di Philip risulta applicabile solo sotto la condizione P > I(t). Si nota però come la relazione di Philip predica un tasso di infiltrazione tendente ad infinito per t → 0, consentendone l'applicazione solo dopo un certo tempo dall'inizio della precipitazione. Tale apparente inconsistenza deriva dall'ipotesi di ponding immediato, realizzabile rigorosamente solo con intensità di pioggia infinita.

5.1.4.2 Relazione di Horton

Introducendo l'ulteriore ipotesi di indipendenza di K e D da θ , una soluzione approssimata all'equazione di Richards può essere scritta nella forma (Horton, 1940):

[5.35]

[5.36]

dove i parametri Io e α dipendono, analogamente al parametro S della relazione di Philip, sia dal tipo di suolo che dalle condizioni iniziali di saturazione, mentre I∞ dipende unicamente dal tipo di suolo (I∞ ≈ A).

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Le relazioni [5.35] e [5.36] introducono un parametro in più rispetto a quella di Philip, ma ammettono soluzione accettabile anche per t → 0, purché valga P > Io > I∞ .

5.1.4.3 Formulazioni per "ponding" non immediato e pioggia variabile

Si consideri una pioggia P(t), che inizia all'istante t = 0 e si mantiene successivamente su valori maggiori di Ks, e sia tp l'istante in cui viene raggiunta la saturazione sulla superficie del suolo (tempo di ponding). Fino al tempo di ponding, la formulazione di Richards suggerisce che tutta la precipitazione infiltrerà (I = P), mentre successivamente si osserverà una infiltrazione sempre decrescente fino all'esaurimento della pioggia, a patto che questa sia tale da mantenere le condizioni di saturazione.

Negli istanti successivi al ponding, non sarà comunque possibile utilizzare in maniera diretta la formulazione per ponding immediato, in quanto il volume già infiltrato avrà allontanato in maniera sostanziale le condizioni di umidità del suolo da quelle iniziali, supposte uniformi.

Il problema può essere però notevolmente semplificato assumendo come valido il seguente postulato (Eagleson, 1970): per un fissato suolo caratterizzato da condizioni iniziali di umidità uniformi θ i, per qualunque distribuzione di pioggia P(t) tale da mantenere le condizioni di saturazione in superficie nel periodo succesivo al tempo di ponding, nello stesso periodo la relazione fra intensità di infiltrazione I(t; t>tp) e la sua cumulata C(t; t>tp) è univoca.

Figura 5.8 - Schematizzazione di pioggia fittizia per ponding non immediato.

Si può quindi immaginare che esista una pioggia fittizia che inizi ad un istante to, compreso fra 0 e tp, che produca ponding immediato e che all'istante tp abbia prodotto un volume infiltrato pari a quello del caso reale (Fig. 5.8).

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Nel caso delle relazioni di Philip, queste vengono quindi modificate come:

[5.37]

[5.38]

La continuità all'istante t = tp, delle due funzioni I(t) e C(t) fornisce le due relazioni necessarie per il calcolo degli istanti to e tp,:

[5.39]

[5.40]

che vanno risolte, per pioggia variabile nel tempo, per tentativi. Nel caso più semplice di pioggia costante P(t) = P si ottiene invece immediatamente:

[5.41]

[5.42]

In maniera del tutto analoga si procede nel caso della relazione di Horton:

[5.43]

[5.44]

dove le condizioni di continuità forniscono:

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[5.45]

[5.46]

e nel caso di pioggia costante:

[5.47]

[5.48]

Vale la pena di ricordare ancora una volta come tali considerazioni possano essere supposte valide soltanto finché l'intensità di precipitazione è tale da mantenere condizioni di saturazione in superficie, ovvero P(t) > I(t) per t > tp.

5.1.5 Il Metodo del "Curve Number" del S.C.S. - U.S.D.A. Il metodo del "Curve Number", messo a punto dal "Soil Conservation Service - United States Department of Agriculture", si colloca a metà strada fra i modelli basati sul calcolo delle perdite per infiltrazione in un punto, quindi coerentemente uitlizzabili solo in approcci distribuiti e semidistribuiti, ed i modelli formulati in maniera da essere specificatamente utilizzati in approcci integrati. Dal punto di vista matematico, si fa ancora riferimento al calcolo del del flusso superficiale come differenza fra precipitazione e perdite, inglobando però adesso in un unico termine di perdita anche gli altri fattori oltre all'infiltrazione (Soil Conservation Service, 1968).

I parametri di tale modello sono infatti stati calibrati non in base a soli dati di infiltrazione, siano questi relativi a prove di laboratorio o misure in campo, ma proprio in base a dati di precipitazione e di portata su un enorme numero di bacini di varie dimensioni negli Stati Uniti, messi in relazione con i tipi pedologici e di uso del suolo di ciascun bacino.

Proprio la grossa mole di dati esistente, ed in continuo aggiornamento, a supporto di tale modello, ha fatto sì che questo diventasse molto diffuso negli Stati Uniti. Attualmente trova applicazione sia in modelli di tipo integrato, relativamente a piccoli bacini in cui sia determinabile una classe prevalente di suolo e del relativo uso, sia in approcci di tipo distribuito o semidistribuito (McCuen, 1982). Per l'utilizzazione del metodo SCS-CN in Italia alcuni problemi vanno comunque tenuti presenti: primo fra di essi la mancanza di verifiche sulla corrispondenza fra i tipi di suolo e di uso di suolo, e quindi dei relativi parametri, presenti nei bacini degli Stati Uniti ed in Italia, nonché le

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diverse condizioni climatiche che influenzano principalmente le caratteristiche di variabilità spaziale e temporale della precipitazione (Busoni et al., 1995).

Il metodo CN si basa su una semplice equazione di bilancio fra i valori cumulati nel tempo, a partire dall'inizio dell'evento di precipitazione, della pioggia R(t), del deflusso superficiale V(t), delle perdite iniziali Fa(t) prima della produzione di deflusso e di quelle successive F(t):

[5.49]

Tali quantità sono funzioni monotone non-decrescenti nel tempo, con dimensione di un volume per unità di area, ovvero di un'altezza.

L'ipotesi di base del metodo è che il rapporto fra volume di deflusso ed il volume di pioggia depurato delle perdite iniziali rimanga, ad ogni istante, uguale al rapporto al volume delle perdite successive ed il volume massimo teorico delle perdite, indicato quest'ultimo con il simbolo S:

[5.50]

Viene inoltre supposto che le perdite iniziali siano proporzionali alle perdite massime possibili S:

[5.51]

con valori tipici di β compresi fra 0.1 e 0.3 (nella procedura così detta standard viene assunto β = 0.2). Combinando le varie relazioni si ottiene quindi la seguente stima del volume di deflusso superficiale:

[5.52]

Quindi il nucleo fondamentale di tutto il metodo è costituito dal parametro S, che a sua volta viene espresso in funzione di un indice adimensionale CN, detto "Curve Number", che a sua volta viene tabulato in funzione del tipo di suolo, per tenere in conto le capacità di infiltrazione dello stesso, e dell'uso del suolo, che influenzerà sia l'ammontare della quota delle perdite iniziali dovute a intercettazione che la capacità di infiltrazione stessa del suolo.

La relazione che lega S a CN, quando il primo viene espresso in millimetri, risulta essere:

[5.53]

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Da tale relazione appare chiaro come CN abbia come limite inferiore 0 (superficie totalmente permeabile, con nessuna produzione di deflusso) e come limite superiore 100 (superficie totalmente impermeabile, con nessuna perdita e deflusso uguale alla precipitazione). Il termine "Curve Number" (numero di curva), deriva dal fatto che a ciascun valore di corrisponde una diversa curva che rappresenta il rapporto fra volumi di deflusso e di precipitazione (coefficiente di deflusso cumulato) in funzione del volume di precipitazione, come rappresentato in Fig. 5.9.

Come precedentemente detto, il parametro adimensionale CN viene tabulato in funzione del tipo di suolo, suddiviso in quattro classi "idrologiche" fondamentali (A, B, C, D), e dell'uso del suolo, suddiviso in un numero molto più elevato di classi, come riportato in Appendice. L'intero territorio degli Stati Uniti è stato classificato in base alle suddette quattro classi fondamentali di suolo, al fine di consentire una agevole applicazione del metodo. Recenti studi propongono metodi analitici, basati sulle proprietà tessiturali e granulometriche del suolo, per determinare tale classificazione anche per suoli non mappati, come ancora riportato in Appendice (Busoni et al., 1995).

Figura 5.9 - Andamento del rapporto fra volumi di afflusso e deflusso per diversi CN.

Il metodo SCS-CN prevede di tenere in conto anche dello stato iniziale di umidità del suolo, perlomeno in maniera indicativa. In particolare, vengono considerati tre diversi stati di umidità: I - Suolo asciutto. II - Suolo mediamente umido. III - Suolo molto umido. I valori di CN riportati nelle tabelle si riferiscono usualmente alla situazione intermedia (CNII) Una volta determinata la condizione iniziale di umidità del suolo, ad esempio per mezzo dell'ammontare di pioggia registrato nei cinque giorni immediatamente precedenti all'evento di interesse, il relativo CN può essere ricavato o da opportune tabelle di conversione o tramite le seguenti formule semplificate:

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[5.54]

[5.55]

Le formule fin qui descritte consentono il calcolo di volumi di deflusso a partire da volumi di precipitazione. Nella pratica viene spesso richiesto il calcolo dell'andamento nel tempo del deflusso superficiale Q(t), inteso come portata per unità di area, a partire da registrazioni di intensità di precipitazione P(t). Il metodo SCS-CN risulta ancora utilizzabile a tale scopo secondo la procedura schematizzata in Fig. 5.10 e descritta di seguito.

Figura 5.10 - Esempio di calcolo del deflusso superficiale con il metodo SCS-CN.

Si supponga che l'andamento della precipitazione P(t) sia noto come una serie di intensità medie P1, …, PN su N intervalli temporali di lunghezza costante ∆ t (ad es., ∆ t = 1 ora). A partire da tale serie, si può costruire la serie degli afflussi cumulati R1, …, RN agli istanti ∆ t, …, N∆ t per semplice somma:

[5.56]

Page 24: rtcap5

Applicando quindi a ciascuno di tali valori il metodo SCS-CN, si otterrà una serie di volumi cumulati di deflusso V1, …, VN, dalla quale, per differenziazione, si può derivare quella dei deflussi Q1, …, QN mediati sugli stessi intervalli temporali:

[5.57]

L'applicazione di tale procedura evidenzia un diverso comportamento, rispetto ai modelli analizzati precedentemente, del metodo SCS-CN relativamente alla fluttuazione delle precipitazioni nel tempo. Le relazioni di Horton e di Philip richiedevano, per la loro applicazione, che l'intensità di pioggia si mantenesse tale da far permanere le condizioni di ponding. Limiti di questo tipo non sono presenti nel metodo SCS-CN. La produzione di deflusso è adesso subordinata alla condizione R(t) > β S. Essendo R(t), per definizione di volume cumulato, una funzione sempre crescente, tale condizione sarà sempre verificata per ogni istante successivo a quello in cui si verifica R(t) = β S, e ciò indipendentemente dalla possibilità che l'intensità di precipitazione possa scendere a valori molto bassi, tali da non consentire il mantenimento della condizione di ponding. Ciò suggerisce cautela nell'uso della procedura appena descritta, in special modo quando l'evento di pioggia considerato presenti intervalli con assenza di pioggia.

5.1.6 Il Modello di Nanchino per la Variabilità dell'Infiltrazione Al fine di tenere in conto, anche in un approccio di tipo distribuito o semi-destribuito, della variabilità spaziale del processo di infiltrazione, vengono formulati una serie di modelli che si riferiscono in generale al concetto di coefficiente di deflusso.

Facendo riferimento ad una porzione elementare di bacino, si indicano con P(t) e R(t) i valori medi areali di intensità di precipitazione e di precipitazione cumulata, e con Q(t) e V(t) i valori medi areali di deflusso efficace e di deflusso efficace cumulato. Il coefficiente di deflusso istantaneo φ (t) è definito tramite la relazione:

[5.58]

In maniera analoga il coefficiente di deflusso cumulato Φ (t) è definito tramite la relazione:

[5.59]

Per un evento di pioggia che inizi all'istante t = 0, i due coefficienti sono legati dalla relazione:

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[5.60]

La determinazione di un modello afflussi-deflussi consiste quindi, in tale riferimento, alla determinazione di una formula che leghi tali coefficienti di deflusso alla precipitazione ed ai parametri fisici caratteristici del suolo.

Già approcci classici, quali la formula di Fantoli (Fantoli, 1904), esprimevano tali coefficienti in funzione di parametri empirici:

[5.61]

dove i parametri CF ed α vengono tabulati in funzione dell'uso del suolo prevalente sull'area di interesse e dell'estensione della stessa.

Modelli più recenti tendono a legarsi più strettamente ai processi fisici che stanno alla base dell'infiltrazione, assumendo però una serie di semplificazioni concettuali atte a considerare in maniera esplicita la variabilità spaziale delle proprietà del suolo.

Il modello sviluppato al "East China College for Hydraulic Engineers" di Nanchino costituisce un esempio caratteristico di tale tipo di approccio (Becchi e Federici, 1987). L'assunzione di base di tale modello è che il processo di infiltrazione, mediato su una certa area di interesse, sia il risultato di una somma di semplici processi di tipo lineare a tratti, confinati superiormente da un valore di soglia. In particolare, il processo di infiltrazione viene descritto come il riempimento di una serie di serbatoi superficiali di diversa capacità. La precipitazione al suolo tende ad infiltrare in tali serbatoi fino al loro riempimento: quando un serbatoio risulta riempito (saturazione), l'acqua in eccesso andrà a costituire il deflusso superficiale. Contemporaneamente, i serbatoi sono parzialmente svuotati dall'evapotraspirazione e dalla percolazione verso gli strati profondi.

Indicando con w(t) il volume invasato nel generico serbatoio all'istante t, ed indicando con Γ [w(t)] la relativa funzione cumulata di probabilità, il coefficiente di deflusso istantaneo può essere espresso nella forma:

[5.62]

dove φ o rappresenta il coefficiente di deflusso istantaneo a saturazione, ovvero il coefficiente di deflusso istantaneo quando tutti i serbatoi sono riempiti, stimabile in base alla somma ε dei tassi di evapotraspirazione e percolazione per precipitazione costante P:

[5.63]

L'ipotesi di riempimento lineare dei serbatoi e di pioggia costante nel tempo P conduce alla seguente legge per la variazione della capacità di invaso nel tempo:

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[5.64]

Infine, assumendo che le caratteristiche del suolo nella porzione elementare di bacino abbiano, dal punto di vista probabilistico, proprietà omogenee, la distribuzione dei volumi disponibili ad ogni istante viene espressa nella seguente semplice forma parametrica:

[5.65]

dove wm rappresenta la capacità media dei serbatoi all'istante dell'inizio della precipitazione ed il parametro β è legato al grado di variabilità degli stessi (Fig. 5.11).

Figura 5.11 - Distribuzione cumulata di probabilità delle capacità dei serbatoi per diversi valori del parametro β .

Combinando quindi le quattro precedenti equazioni, si ottiene la seguente formula finale per il calcolo del coefficiente di deflusso istantaneo:

[5.66]

valida fino all'istante di saturazione ts:

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[5.67]

dopodiché si avrà semplicemente:

[5.68]

Il modello risulta quindi caratterizzato dai parametri (wm, β , ε). Questi possono in genere essere agevolmente legati a caratteristiche fisiche del suolo, quali lo spessore e la porosità medie per quanto riguarda wm, il loro coefficiente di dispersione per quanto riguarda β e il coefficiente di conducibilità idraulica a saturazione, insieme a stime di evapotraspirazione, per quanto riguarda ε .

La rilevanza della variabilità dei parametri del suolo, qui rappresentata dal parametro β , appare evidente confrontando le varie curve di Fig. 5.11. Tali curve rappresentano, oltre alla distribuzione dei volumi dei serbatoi, l'andamento temporale del coefficiente di afflusso per assegnati valori di precipitazione, perdite a saturazione e volume medio dei serbatoi. La crescita del coefficiente di deflusso nel tempo risulta essere estremamente sensibile al grado di variabilità presente nel suolo. Confrontando infatti il comportamento di suoli con uguale valore medio dei volumi disponibili all'infiltrazione ma diversa variabilità, si osserva che i suoli a bassa variabilità (basso valore di β ) tendono inizialmente ad avere un coefficiente di afflusso più basso rispetto a suoli con maggiore variabilità, salvo poi invertire velocemente tendenza al crescere della durata della precipitazione: il valore asintotico massimo del coefficiente di deflusso viene raggiunto molto più rapidamente in suoli omogenei. Si può qualitativamente concludere, ad esempio, che piogge di breve durata risultano più critiche per suoli altamente eterogenei, viceversa per precipitazioni di lunga durata.

5.1.7 Le Perdite per Intercettazione ed Accumulo e l'Evapotraspirazione

5.1.7.1 L'intercettazione da parte della vegetazione e l'accumulo in pozzanghere 5.1.7.2 L'evapotraspirazione

5.1.7.1 L'intercettazione da parte della vegetazione e l'accumulo in pozzanghere

Nel termine intercettazione si include normalmente quella quantità di acqua precipitata trattenuta dalla superficie foliare della vegetazione e che quindi può essere considerata, in buona approssimazione, una perdita netta per quanto riguarda la formazione del deflusso superficiale. La maggior parte dell'intercettazione avviene nei primi minuti dell'evento di precipitazione, quando le foglie sono ancora relativamente asciutte.

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Una formula generale di stima del volume intercettato per unità di area Lv, data una precipitazione di intensità costante P e durata tr, è la seguente (Branson et al., 1981):

[5.69]

dove Sv è la capacità di invaso sulle superfici foliari per unità di area del terreno (tipicamente variabile fra 0.2 e 1.5 mm, in funzione del tipo di vegetazione), r è l'area totale della superficie foliare per unità di area del terreno (anche questo dipendente dal tipo di vegetazione) ed E il tasso di evaporazione. Tale formula tiene in conto del fatto, comunemente osservato, che la capacità di intercettazione da parte della vegetazione cresce all'aumentare del volume precipitato. Si evidenzia inoltre come il secondo termine, pur essendo i tassi di evaporazione al massimo dell'ordine dei pochi millimetri al giorno (vedi paragrafi successivi), può diventare rilevante per vegetazioni con elevata superficie foliare.

Una formula alternativa proposta in letteratura, in cui non è necessario stimare il tasso di evaporazione, è la seguente:

[5.70]

dove i parametri (a, b, n) possono essere tabulati in funzione del tipo e della copertura della vegetazione, come riportato ad esempio in Tab. 5.3 (Gray, 1973).

Tabella 5.3 - Valori caratteristici dei parametri per il calcolo dell'intercettazione da parte di diverse coperture vegetali (h rappresenta l'altezza delle piante in metri).

La quantità d'acqua Lp trattenuta dai piccoli invasi costituiti dalle irregolarità del terreno (pozzanghere) può essere stimata tramite un approccio simile a quello appena visto per l'intercettazione da parte della vegetazione (si noti comunque nella formula seguente l'assenza del parametro r) (Bras, 1990):

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[5.71]

dove il parametro Sp dipenderà essenzialmente dal tipo di uso del suolo e dalla pendenza del terreno (tipicamente assumerà valori compresi fra 0.1 mm per terreni a forte pendenza con coltivazioni a rittochino e 3 mm per terreni pianeggianti).

Risulta evidente dai valori indicativi dei parametri suggeriti per la stima dell'intercettazione da parte della vegetazione e dell'accumulo nelle pozzanghere come tali perdite siano al massimo dell'ordine dei pochi millimetri. Il loro computo risulta quindi rilevante, nell'ambito della modellazione delle piene, solo quando il volume totale per unità di area dell'evento di precipitazione, considerato critico per il bacino in esame, risulti essere al massimo di qualche decina di millimetri. Tali eventi saranno in genere di forte intensità ma breve durata, considerati critici per bacini di piccole estensioni.

5.1.7.2 L'evapotraspirazione

Con il termine evapotraspirazione si intende comunemente la somma dei processi di evaporazione dell'acqua, sia da superfici libere quali presenti nei volumi di intercettazione ed accumulo che dall'interno del suolo, e di traspirazione dagli stomata delle foglie. Tali processi sono guidati essenzialmente dal contributo energetico derivante dalla radiazione solare, diretta o indiretta, e dalla differenza di tensione di vapore esistente fra le superfici liquide e l'aria. Il conseguente flusso di acqua dal sistema suolo-vegetazione verso l'atmosfera non viene comunemente considerato come una perdita diretta dal punto di vista della formazione dei deflussi efficaci, in quanto interesserà principalmente volumi di acqua già "persi" per infiltrazione, intercettazione o accumulo: entrerà comunque in gioco nel bilancio complessivo in quanto, come espresso dalle equazioni [5.63], [5.69] e [5.71], la stima dell'evapotraspirazione influenzerà la stima delle perdite dirette.

Esistono in letteratura numerose formulazioni, di tipo più o meno empirico, per la stima del tasso di evapotraspirazione E, comunemente espresso in unità di volume per unità di tempo e di area (Bras, 1990). Una formulazione più fisicamente basata, capace comunque di includere in una sola espressione sia l'evaporazione che la traspirazione, è quella nota come formula di Penman-Monteith (Penman, 1963):

[5.72]

dove:

- L è il calore specifico di evaporazione dell'acqua (L ≈ 2550 J/g);

- Q* è il flusso radiativo netto al suolo (in unità di energia per unità di tempo e di area, dipendente dall'esposizione della superficie del terreno rispetto alla posizione del sole, dalla posizione stessa del sole, dalla copertura nuvolosa, dall'umidità dell'aria, dalle proprietà di albedo della superficie e dalla sua temperatura);

- ρ a è la densità dell'aria umida;

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- Cp è il calore specifico dell'aria a pressione costante;

- ez è la pressione di vapore, misurata alla distanza z dal suolo;

- esz è la tensione di vapore saturo corrispondente alla temperatura dell'aria a distanza z dal suolo;

- ∆ è la derivata delle tensione di vapore saturo rispetto alla temperatura, calcolata alla temperatura dell'aria a distanza z dal suolo;

- γ è una parametro dipendente dalla pressione dell'aria p alla quota z secondo l'espressione:

[5.73]

- ra è un parametro di resistenza aerodinamica alla diffusione atmosferica, esprimibile in funzione della costante di Von-Karman di diffusione turbolenta k (k ≈ 0.4), della velocità del vento Uz misurata a distanza z dal suolo e di uno spessore caratteristico zo delle rugosità del terreno (funzione principalmente del tipo di uso del suolo):

[5.74]

- rs è un parametro di resistenza alla diffusione nel suolo e negli stomata, dipendente dal grado di saturazione del suolo, dal tipo di vegetazione e dalla stagione. Ad esempio, per un bosco di pini rs varia da 0.10 s/mm in condizioni di suolo saturo a 0.15 s/mm in condizioni di suolo asciutto. Per suolo non coperto da vegetazione, rs può essere espresso come funzione decrescente del contenuto d'acqua θ , con valori prossimi a zero per θ = θ s (Eagleson, 1978).

Sostituendo nella formula di Penman alcuni valori tipici del clima Mediterraneo, si ottiene ad esempio una stima della evapotraspirazione media, nel mese di Luglio ed in condizioni di bel tempo, dell'ordine di 3 ÷ 5 mm/giorno. All'interno di un fenomeno di pioggia intensa, sia il fattore radiativo (a causa della elevata copertura nuvolosa) che il fattore termodinamico (a causa della elevata umidità dell'aria) risultano fortemente ridotti, suggerendo quindi che il fenomeno dell'evapotraspirazione possa coinvolgere, in tali situazioni, quantità d'acqua dell'ordine del millimetro sulle ventiquattrore, e quindi sia in buona approssimazione trascurabile, se non in relazione a brevi temporali estivi.

5.1.8 Generalità sui Processi di Formazione della Piena I modelli di trasformazione afflussi-deflussi fin qui descritti consentono il calcolo, idealmente in ciascun punto del bacino idrografico, della precipitazione efficace o netta e della relativa

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produzione di deflusso superficiale. Indicando con q(x, t) tale deflusso, questo sarà funzione sia dello spazio che del tempo ed avrà dimensioni di una portata per unità di area.

Obiettivo dei modelli di formazione dell'onda di piena è la determinazione dell'andamento nel tempo Q(t) della portata nella sezione fluviale di chiusura del bacino in esame, ovvero del calcolo dei tempi impiegati dai deflussi q(x, t) prodotti in ciascun punto x del bacino per arrivare alla sezione di chiusura.

Se si potesse supporre che il tempo di trasferimento della quantità di acqua q dal punto x generico alla sezione di chiusura fosse istantaneo, l'andamento della portata in tale sezione sarebbe semplicemente pari all'integrale di q sull'area A del bacino. Ovviamente tale stima risulterà tanto più errata quanto maggiori sono le dimensioni del bacino stesso.

Immaginando che la quantità q(x, t) rappresenti il volume di acqua "prodotto" dal bacino, in un intervallo infinitesimo di tempo, all'istante t e nel punto x, il lasso di tempo necessario affinché questo raggiunga la sezione di chiusura (tempo di ritardo) sarà la somma del tempo necessario per raggiungere il tratto di reticolo idrografico "morfologicamente" più vicino al punto x e del tempo necessario per arrivare da questo, lungo il reticolo stesso, alla sezione di chiusura. In altre parole, tale tempo sarà funzione della distanza topologica del punto x dalla sezione di chiusura (somma della distanza dal punto più vicino del reticolo e della distanza di tale punto, lungo il reticolo stesso, dalla sezione di chiusura) e delle velocità di scorrimento lungo i versanti ed i canali del reticolo idrografico. Mentre le distanze topologiche di ciascun punto del bacino sono facilmente determinabili a partire dalla morfologia del bacino stesso (quote, pendenze, tracciato del reticolo idrografico), le velocità di scorrimento saranno in genere funzione, oltre che ancora della morfologia del bacino e delle relative caratteristiche idrauliche sia dei versanti che delle aste fluviali, anche delle condizioni di deflusso in ciascun punto del percorso a valle del punto x nonché del valore di q stesso (Capitolo VI). In particolare, le condizioni di deflusso (valore della portata) nel tratto fluviale immediatamente precedente la sezione di chiusura dipenderanno dal deflusso prodotto in tutti i punti del bacino e quindi, in ultima analisi, il tempo di ritardo di q(x, t) dipenderà, in maniera più o meno sostanziale, dai valori di q in qualsiasi altro punto del bacino stesso.

Solo una modellistica di tipo distribuito ed idraulicamente basata, comprendente cioè la descrizione del moto dell'acqua sia sui versanti che nei canali, è in teoria in grado di stimare correttamente tale complessa sequenza di dipendenze.

5.1.9 I Modelli Lineari di Formazione della Piena

5.1.9.1 Schematizzazione del bacino come una serie di serbatoi lineari 5.1.9.2 L'Idrogramma Istantaneo Unitario Geomorfologico

Modelli distribuiti più semplificati, che trovano comunque ancora largo uso, sono basati su una ipotesi di linearità della risposta idrografica, secondo la quale il tempo di ritardo alla sezione di chiusura del deflusso q(x, t) dipende unicamente dalla posizione x di origine. Ciò equivale in pratica

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ad assumere valori costanti per le velocità dell'acqua sui versanti e nei canali. Indicando il tempo di ritardo con tc(x) ed essendo A l'area del bacino, si può quindi scrivere, in base a tale ipotesi:

[5.75]

Dal punto di vista pratico, si supponga che il modello distribuito adottato preveda la suddivisione del bacino in N porzioni elementari di area Ai, i = 1, …, N , e per ciascuna delle quali sia determinato, in base alla morfologia ed all'idrografia, il relativo tempo di ritardo tci, i = 1, …, N. Si supponga poi che tali tempi di ritardo possano essere in buona approssimazione espressi come multipli interi di un intervallo di tempo ∆ t sufficientemente piccolo (tci = Ki ∆ t, i = 1, …, N) e che qi,j rappresenti la stima del deflusso prodotto dalla porzione di bacino i-esima al generico istante tj = j∆ t , j = 0,1,2,… (avendo scelto l'asse dei tempi in maniera che all'istante to = 0 corrisponda l'inizio dell'evento di precipitazione). Si avrà allora:

[5.76]

con la posizione qi,j - Ki = 0 se j < Ki.

Nel caso che si segua invece un approccio di tipo integrato per il calcolo dei deflussi superficiali, ovvero che questi siano noti come valore medio q(t) sull'intero bacino, l'ipotesi di linearità porta alla formulazione di un modello della formazione dell'onda di piena noto come Modello dell'Idrogramma Istantaneo Unitario (I.U.H.) (Sherman, 1932).

Tale modello può essere formulato tramite un ragionamento di tipo probabilistico. Si supponga che la precipitazione insistente sul bacino sia tale da produrre un deflusso unitario concentrato in un intervallo infinitesimo dt intorno all'istante t = 0 e localizzato in un'area unitaria in una posizione casuale nel bacino. La portata adimensionale Qo(t) alla sezione di chiusura per tale particolare evento all'istante t sarà pari alla probabilità che tale impulso di deflusso sia generato in un punto del bacino con tempo di ritardo t ± dt/2. Formalmente si ha quindi:

[5.77]

dove h(t) rappresenta la distribuzione di probabilità dei tempi di ritardo tc, avente dimensione di un inverso del tempo:

[5.78]

In maniera analoga, se l'intervallo infinitesimo dt entro il quale è generato il deflusso unitario è centrato intorno all'istante τ > 0, la portata Qτ (t) al tempo t per tale particolare evento sarà proporzionale alla probabilità che il tempo di ritardo sia adesso pari a t - τ ± dt/2:

Page 33: rtcap5

[5.79]

Se adesso si considera non più un deflusso unitario di durata infinitesima, ma un deflusso di ampiezza q*(τ ) funzione continua del tempo τ > 0, ancora concentrato in una area unitaria in posizione casuale nel bacino, la corrispondente portata Q*(t) alla chiusura, adesso avente le dimensioni di una portata per unità di area del bacino, sarà pari alla somma di tutti i contributi infinitesimi Qτ (t), espressi dalla [5.79]:

[5.80]

Infine, se si considera un deflusso q(τ ) non più concentrato in una area unitaria del bacino, ma uniformemente distribuito sull'area A dell'intero bacino (pari ad esempio al deflusso medio stimato tramite un modello afflussi-deflussi di tipo integrato), si avrà semplicemente:

[5.81]

Tale modello consente quindi il calcolo delle portate alla sezione di chiusura del bacino in base alle stime, fra loro indipendenti, dell'andamento temporale del deflusso superficiale medio areale q(t) e della distribuzione di probabilità dei tempi di ritardo h(t). La funzione h(t), caratterizzabile in funzione della morfologia e dell'idrografia del bacino, rappresentando la portata conseguente ad un impulso istantaneo ed unitario di deflusso superficiale, viene comunemente denominata Idrogramma Istantaneo Unitario. La caratterizzazione di un modello di formazione della piena basato su tale principio consiste quindi essenzialmente nella determinazione della forma della funzione h(t).

5.1.9.1 Schematizzazione del bacino come una serie di serbatoi lineari

Allo scopo di determinare la forma della funzione h(t), sono stati proposti una serie di diversi modelli concettuali di riferimento. Uno dei più diffusi è quello basato sull'ipotesi che il bacino idrografico si comporti come un insieme di serbatoi lineari posti in serie.

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Figura 5.12 - Schematizzazione del bacino come una serie di serbatoi lineari.

Partendo dal caso di un singolo serbatoio, la legge di svuotamento di un serbatoio lineare stabilisce che volume invasato V(t) e portata in uscita dal serbatoio Q(t) sono proporzionali:

[5.82]

dove K è la costante di serbatoio, con unità di misura di un tempo. Se I(t) è una generica portata in ingresso al serbatoio, la legge del bilancio di massa può essere scritta come:

[5.83]

che può essere risolta in V(t), e quindi in Q(t), note le portate in ingresso I(t) e la condizione iniziale V(t = 0) = Vo. Nel caso che la portata in ingresso sia una portata unitaria istantanea per unità di area, la soluzione di tale equazione fornisce, supponendo che il bacino possa essere schematizzato come un unico serbatoio lineare:

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[5.84]

Tale formula fornisce un primo semplice modello di idrogramma istantaneo unitario, che trova comunque scarsa applicabilità in quanto la supposizione che il bacino possa essere modellato come un unico serbatoio risulta normalmente troppo irrealistica. Un modello più realistico, ma altrettanto semplice, è quello in cui, come accennato, si suppone che il bacino si comporti come una serie di n serbatoi (Fig. 5.12), ciascuno con uguale tempo caratteristico K. Dato un ingresso unitario istantaneo al primo serbatoio, la portata in uscita da esso sarà ancora data dalla [5.84]. Tale portata costituirà l'ingresso al serbatoio successivo, al quale potrà essere ancora applicata l'equazione [5.83] al fine di calcolarne la portata in uscita. Ripetendo tale procedura fino al serbatoio n-esimo, la cui portata in uscita rappresenterà l'idrogramma istantaneo unitario del bacino alla sua chiusura, si ottiene la seguente espressione (Nash, 1959), nota come Idrogramma Istantaneo Unitario di Nash:

[5.85]

dove la funzione Γ (n) è definita dalla relazione Γ (n) = (n -1)!. La determinazione dei parametri K e n del modello di Nash richiederebbe, come in qualsiasi modello basato sul concetto di idrogramma istantaneo unitario, la disponibilità di registrazioni di piogge e portate per un certo numero di eventi di piena sul bacino in esame, tramite i quali calibrare i parametri stessi.

5.1.9.2 L'Idrogramma Istantaneo Unitario Geomorfologico

In alternativa, utilizzando il concetto di Idrogramma Unitario Istantaneo come distribuzione di probabilità dei tempi di ritardo alla sezione di chiusura, risulta possibile determinarne forma e parametri tramite lo studio dettagliato della geomorfologia e dell'idrografia del bacino, utilizzando opportune leggi empiriche per determinare le velocità di trasferimento lungo i versanti ed i canali del bacino stesso.

A tale scopo, sono stati sviluppati una serie di modelli dell'Idrogramma Istantaneo Unitario che fanno esplicito riferimento alla struttura topologica del reticolo idrografico ed alla suddivisione in versanti del bacino in esame (Bras, 1990).

In particolare, la formulazione di tali modelli richiede che il reticolo idrografico venga identificato ed ordinato, ad esempio secondo il criterio di Horton-Strahler (vedi Capitolo I), ed a ciascun ramo del reticolo venga assegnata una determinata area (versante) contribuente. Ad esempio, uno schema di bacino idrografico con reticolo ordinato del terzo ordine è riportato in Fig. 5.13.

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Figura 5.13 - Schema di bacino idrografico con reticolo ordinato al III ordine secondo il criterio di Horton-Strahler

Si fa quindi riferimento al percorso che una goccia d'acqua, caduta in un punto a caso del bacino, segue per raggiungerne la foce.

Lungo tale percorso, la goccia effettuerà delle transizioni da rami del reticolo di ordine inferiore a rami di ordine superiore. Tali transizioni possono essere descritte come cambiamenti di stato, dove lo stato della goccia è rappresentato dall'ordine della porzione di bacino in cui la goccia si trova ad un dato istante. In particolare, l'insieme degli stati possibili sarà dato dai rami rω di ordine generico ω (con ω = 1, …, Ω ) e dai versanti aω in essi contribuenti. I cambiamenti di stato soddisfano alle seguenti regole (Rodriguez-Iturbe and Valdes., 1979):

I Quando la goccia è ancora in un versante, il suo stato aω è dello stesso ordine ω del ramo in cui il versante contribuisce direttamente.

II L'unico cambiamento di stato possibile a partire da un versante è del tipo aω → rω (da un versante, la goccia può solo passare al ramo a cui il versante di origine contribuisce).

III Cambiamenti di stato del tipo rω → ri sono possibili solo per i > ω (da un dato ramo, la goccia può passare solo a rami di ordine superiore).

IV L'uscita di una goccia alla sezione di chiusura del bacino è definita dal cambiamento di stato finale rΩ → Foce.

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Tali regole definiscono implicitamente un insieme limitato S di possibili percorsi. Per un bacino di terzo ordine (Ω = 3), quale quello rappresentato in Fig. 5.13, si ha ad esempio S = s1, s2, s3, s4, dove:

[5.86]

Facendo riferimento alla [5.78] per la determinazione dell'Idrogramma Istantaneo Unitario, la cumulata di probabilità P[tc ≤ t] del tempo di uscita della goccia dal bacino può essere espresso come (Gupta et al., 1980):

[5.87]

dove ts è il tempo di uscita seguendo un particolare percorso s nell'insieme S dei percorsi possibili, e P[s] è la probabilità che tale particolare percorso venga "scelto" dalla goccia, e quindi:

[5.88]

Le probabilità P[s] possono essere facilmente stimate, una volta definito ogni percorso s, a partire dalla struttura del bacino. Si può infatti scrivere, per il generico percorso ai → ri → rj → rk → rl → rΩ → Foce:

[5.89]

dove θ i è la probabilità che la goccia cada inizialmente su un versante contribuente ad un ramo di ordine i e Pij è la probabilità di transizione da un ramo di ordine i ad un ramo di ordine j. Queste a loro volta sono calcolabili come (Rodriguez-Iturbe and Valdes, 1979):

[5.90]

[5.91]

Per il bacino di Fig. 5.13 si ha ad esempio P12, P13, P23 = 6/7, 1/7, 1.

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Più complessa risulta la determinazione della funzione di probabilità del tempo di uscita ts pertinente a ciascun percorso s. In generale, tale tempo sarà esprimibile come la somma dei tempi di percorrenza di ciascun elemento del percorso:

[5.92]

I tempi parziali di percorrenza di ciascun elemento andranno a loro volta considerati come delle variabili aleatorie. Con l'ipotesi che queste siano fra loro indipendenti, si potrà scrivere (indicando con ⊗ l'operatore convoluzione):

[5.93]

Appare quindi evidente come un punto cruciale per la determinazione del modello espresso dalla [5.88] sia la determinazione parametrica, in forma possibilmente semplice in modo da agevolare il calcolo della [5.93], delle funzioni di probabilità dei ritardi all'interno di ciascun ordine della rete idrografica e dei relativi versanti.

Assumendo ad esempio, in analogia alla [5.84], che ciascun elemento si comporti come un serbatoio lineare, si potrà scrivere:

[5.94]

da cui:

[5.95]

L'Idrogramma Istantaneo Unitario così costruito è caratterizzato, una volta determinate le probabilità di ogni singolo percorso, dai 2 × Ω parametri di ritardo λ a1 … λ aΩ e λ r1 … λ rΩ . Questi, per reti idrografiche con ordine anche non troppo elevato, sono già in numero troppo grande per essere convenientemente assegnati per calibrazione su dati di portata. Il numero di parametri liberi da calibrare può comunque essere notevolmente ridotto legando i parametri di ritardo ancora alle caratteristiche geomorfologiche del bacino in esame. Assumendo ad esempio che la velocità Vr di trasferimento lungo i canali sia non solo indipendente dalla portata (ipotesi di linearità) ma anche dalla geometria del canale, ed indicando con Lri la lunghezza media dei canali di ordine i, si può scrivere:

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[5.96]

dove, in maniera analoga, si è indicato con Va la velocità media di scorrimento lungo i versanti (Va<<Vr) e con Lai la lunghezza media, lungo la direzione di massima pendenza, dei versanti contribuenti ai rami di ordine i.

Il numero di parametri da calibrare viene così ad essere ridotto alle sole due velocità di scorrimento Va e Vr, determinabili per calibrazione su particolari eventi di piena o, nel caso di bacini senza misure di portata, per analogia con bacini strumentati aventi simili caratteristiche geomorfologiche. Ciò nonostante, l'espressione che si ottiene per l'Idrogramma Istantaneo Unitario combinando le formule precedenti è alquanto complessa, in particolare per bacini di elevato ordine e quindi con un numero di percorsi possibili molto elevato (in un bacino di ordine Ω si hanno 2Ω -1 percorsi possibili). Sono quindi stati proposti in letteratura, in base a studi sulla geomorfologia di numerosi bacini, modelli che utilizzano forme semplificate predifinite per l'Idrogramma Istantaneo Unitario, i cui parametri vengono stimati in base a rappresentazioni di tipo "sintetico" della struttura del reticolo idrografico.

Figura 5.14 - Idrogramma Istantaneo Unitario di forma triangolare.

Considerando ad esempio un Idrogramma Istantaneo Unitario di tipo triangolare (Fig. 5.14), il tempo e la portata adimensionale di picco possono essere stimati tramite le formule empiriche (Rodriguez-Iturbe and Valdes, 1979):

[5.97]

[5.98]

dove V è una velocità (in m/s) media di scorrimento lungo i canali (unico parametro da calibrare), LΩ è la lunghezza (in ) del ramo di ordine superiore e RB, RA e RL sono i rapporti, rispettivamente, di biforcazione, delle aree e delle lunghezze caratteristiche del reticolo in esame (vedi Capitolo 1).

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5.1.10 I Modelli Non-Lineari Distribuiti e Semi-Distribuiti Come accennato in precedenza, l'ipotesi di linearità della risposta superficiale del bacino, ovvero di indipendenza fra velocità di scorrimento nei canali e sui versanti e relative portate, che sta alla base dei modelli dell'Idrogramma Unitario Istantaneo, può costituire una approssimazione a volte troppo grossolana per la stima della portata alla sezione di chiusura. Gli errori conseguenti a tale approssimazione possono essere rilevanti, in particolare in quei bacini di media e grande estensione in cui i tratti fluviali di valle sono caratterizzati da tempi medi di scorrimento superiori ai pochi minuti (vedi Capitolo 6 e Capitolo 8).

L'unica alternativa all'assunzione dell'ipotesi di linearità consiste in un approccio di tipo distribuito, che consenta ad esempio di applicare equazioni del moto dell'acqua, più o meno idraulicamente basate, a ciascun versante e tratto di reticolo. La difficoltà maggiore, nell'applicazione di tale approccio, risiede nella grande mole di indagini e dati necessari per la caratterizzazione idraulica dei vari elementi del bacino (pendenze, scabrezze, geometria delle sezioni fluviali, ecc. ecc.). Ad esempio, rilievi di dettaglio delle sezioni fluviali che consentano l'applicazione delle equazioni per lo studio del moto vario (Capitolo 8) sono normalmente, e non sempre, disponibili solo nei tratti fluviali di valle di bacini di medie e grandi estensioni.

A fronte di tali difficoltà, sono stati sviluppati in letteratura due principali famiglie di modelli non-lineari della formazione delle piene: modelli distribuiti e modelli semi-distribuiti.

Nei modelli più propriamente detti distribuiti, il bacino viene suddiviso in porzioni elementari o celle di modesta estensione (frequentemente secondo una griglia a maglia quadrata di poche decine o centinaia di metri di lato). Tale suddivisione, onerosa dal punto di vista sia del calcolo che dei dati, scaturisce in genere dall'esigenza di una più corretta modellazione della trasformazione afflussi-deflussi, come descritto nei paragrafi precedenti, prima che della formazione della piena.

Immaginando di sovrapporre il tracciato del reticolo idrografico, rilevato secondo una opportuna risoluzione spaziale, alla griglia che identifica la suddivisione del bacino in celle elementari (Fig. 5.3), si osserva come solo un numero limitato di tali celle contengano o confinino con rami del reticolo fluviale. In generale, quindi, l'area contribuente ad un particolare ramo sarà costituita da più celle di versante. L'analisi delle quote, e quindi delle pendenze, permette di identificare il percorso dell'acqua a partire da ciascuna cella.

Per ciascuna delle celle di versante potrà quindi scriversi una equazione di continuità del tipo:

[5.99]

dove A è l'area della cella, H è l'altezza della lama d'acqua, supposta uniformemente distribuita sulla cella stessa, P è la precipitazione lorda incidente sulla cella, Qin è la portata in arrivo dalle celle a monte, E ed I sono le perdite per evaporazione, infiltrazione, ecc. e Qout è la portata di deflusso superficiale da propagare verso le celle di valle o, in caso, da immettere nel reticolo idrografico. La dipendenza della velocità di scorrimento, sia dalle caratteristiche del versante che dalla portata in transito, potrà quindi implicitamente esprimersi tramite una legge idraulica del tipo (con l'ipotesi semplificativa di moto uniforme e permanente):

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[5.100]

che fornirà in generale una relazione di tipo non-lineare fra altezza della lama d'acqua e portata in uscita dalla cella, i cui parametri saranno fondamentalmente la pendenza media e la scabrezza caratteristica della cella in esame.

Tale approccio per lo scorrimento sui versanti, comunque, è ancora affetto da ipotesi estremamente semplificative dal punto di vista idraulico (moto uniforme e permanente su tutta la cella). Ciò impone quindi che il dettaglio, sia della griglia che del reticolo idrografico, siano tali da identificare come versanti aree di estensione congruente con l'ipotesi di moto non canalizzato.

Questo si traduce, a sua volta, nella necessità di modellare lo scorrimento nel reticolo ad un dettaglio ben superiore a quello a cui è normalmente disponibile una descrizione soddisfacente del reticolo stesso dal punto di vista idraulico. In tali modelli distribuiti, quindi, a fronte di un maggior dettaglio dal punto di vista geomorfologico, si adotta ancora un approccio di tipo semplificato anche per quanto riguarda i deflussi lungo la rete dei canali.

A titolo di esempio, si considera ancora il caso in cui il reticolo sia stato ordinato e suddiviso in canali di diverso ordine. Assegnata una pendenza a ciascun canale in base alla topografia del bacino, ed assegnando valori caratteristici di larghezza e scabrezza dell'alveo per ciascun ordine del reticolo idrografico, per ciascun ramo è determinabile (a scapito comunque di grosse approssimazioni, fra le altre quella di alveo cilindrico) un scala di deflusso del tipo (Becchi et al., 1995):

[5.101]

dove V è il volume di acqua presente ad un dato istante nel canale, L la sua lunghezza ed a e b sono parametri idraulici dipendenti da pendenza, larghezza e scabrezza dell'alveo. Dopo ciascun passo ∆ t di integrazione del modello, il volume d'acqua in ciascun canale viene aggiornato tramite la seguente formula non lineare (indicando con Vin la somma delle portate in arrivo sia dai rami a monte che dalle celle direttamente contribuenti al ramo):

[5.102]

e dove la costante di svuotamento k è determinata ancora in base alla scala di deflusso [5.101]:

[5.103]

L'applicazione di un approccio distribuito ad alta risoluzione diventa estremamente oneroso per bacini di grande estensione. Ad esempio, un modello di tale tipo sviluppato per un bacino di media estensione quale quello della Sieve (Becchi et al., 1989), con una griglia a maglia quadrata di 400 m di lato, comporta la suddivisione del bacino in circa 5000 celle elementari ed una rappresentazione del reticolo idrografico in diverse migliaia di rami.

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Figura 5.15 - Schema di modello di formazione della piena di tipo semi-distribuito.

A tali vincoli di onerosità di calcolo si aggiunge la considerazione che in bacini di media e grande estensione la dinamica fluviale diviene sempre più rilevante ai fini della determinazione dell'onda di piena alla sezione di chiusura, per cui forti approssimazioni di tipo idraulico diventano inaccettabili. Un secondo tipo di modellistica, inquadrabile nel generico termine di modelli semi-distribuiti, si è quindi sviluppato ponendo una maggiore attenzione alla corretta modellazione idraulica della propagazione della piena lungo le aste fluviali principali, a scapito di una più approssimativa rappresentazione della dinamica di scorrimento lungo i versanti ed i rami secondari (Corradini et al., 1986).

In generale, tali modelli assumono una suddivisione abbastanza grossolana del bacino idrografico (da cui il termine semi-distribuito) in tratti fluviali principali e sotto-bacini ed inter-bacini ad essi contribuenti (Fig. 5.15). La dimensione areale di tali sotto-bacini può essere anche di diverse decine o centinaia di chilometri quadrati. Sia la trasformazione afflussi-deflussi che lo scorrimento all'interno di ciascun sotto-bacino vengono modellati con approcci di tipo integrato, ad esempio per mezzo di Idrogrammi Istantanei Unitari. Le portate in uscita da ciascun sottobacino ed inter-bacino vengono quindi combinate e propagate lungo i canali principali, per i quali viene richiesta una dettagliata descrizione idraulica, tramite modelli di trasferimento dell'onda di piena quali quelli descritti nel Capitolo 8.

5.2.1 Premessa La valutazione delle portate al colmo e dei corrispondenti volumi di piena con una stima della probabilità del loro superamento può essere ottenuta su basi statistico-probabilistiche, ricorrendo ad

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un'analisi regionale. Quando non esistono sufficienti informazioni di tipo puntuale (assenza di strumenti di misura o disponibilità di serie storiche troppo brevi od incomplete) è necessario individuare un insieme di procedure atte a consentire il trasferimento ad altri siti non strumentati (sezioni del reticolo idrografico) dell'informazione idrologica ottenuta dai punti di misura. In particolare, data la scarsità di stazioni di misura di portata con corrispondenti serie storiche significative, spesso si ricorre all'analisi di frequenza delle precipitazioni e delle portate di piena relative all'intera regione in esame, basandosi sull'individuazione e sulla schematizzazione del meccanismo fisico-stocastico idoneo a descrivere la distribuzione della variabile idrologica di interesse nello spazio e nel dominio di frequenza statistica. Tale via può essere percorsa adottando, in genere, un modello stocastico di pioggia ed un modello deterministico di trasformazione afflussi-deflussi, idonei a schematizzare opportunamente le dinamiche seguenti: le condizioni iniziali di umidità del terreno, la variazione spazio-temporale delle piogge (o, almeno, il loro ragguaglio all'area), l'intensità e la durata della precipitazione, le perdite di afflusso (per intercettazione della vegetazione, infiltrazione nei suoli e detenzione superficiale sul terreno), la formazione e la laminazione della piena sui versanti e nella rete idrografica. Le metodologie sviluppate ("dirette" basate sull'inferenza statistica e "indirette" ottenute analiticamente o con simulazione numerica) consistono dunque in un'analisi dei dati idrometrici, pluviometrici e territoriali relativi all'area in esame utilizzando adeguate tecniche statistiche e di modellistica idrologica.

Tradizionalmente in idrologia si sono sempre diffusi e correntemente applicati indici parametrici regionali introdotti in semplici metodi o formule di tipo empirico, come per esempio le formule per il calcolo delle massime piene (Caroni et al., 1982), le curve inviluppo (Bendini, 1969) o altre indagini regionali (Canuti e Moisello, 1980; Natale, 1988; Moisello, 1989). Il limite di questi criteri deriva dalla notevole semplificazione del fenomeno, dalla scarsa disponibilità di dati dai quali sono stati ottenuti e, soprattutto, dalla difficoltà di associare alle stime delle piene una valutazione della probabilità di verificarsi (Natale, 1988; Becchi, 1994). Recentemente, i vari studi svolti all'interno del Progetto VAPI (VAlutazione PIene) del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI) del CNR, hanno delineato alcuni criteri per la valutazione delle piene basati sull'applicazione regionale della distribuzione a due componenti (TCEV) degli eventi estremi (GNDCI, 1994). In particolare, tali studi hanno messo in evidenza la difficoltà di stimare a livello regionale l'entità delle portate di piena sulla base dei soli dati idrometrici disponibili, spesso composti da serie storiche incomplete registrate in stazioni distribuite sul territorio in maniera non omogenea, e quindi la necessità di fare riferimento anche ai dati pluviometrici e territoriali (morfologia, pedologia, uso del suolo) al fine di caratterizzare i bacini idrografici in termini di risposta agli eventi meteorici (per es., Brath e Rosso, 1994). Tale approccio se da un lato può contare su una distribuzione dei dati di precipitazione più diffusa e abbondante rispetto a quella dei dati di portata, presenta difficoltà non indifferenti per quanto riguarda la conoscenza dei dati territoriali con adeguato grado di dettaglio e la loro correlazione con la risposta idrologica del bacino (indispensabile anche per la cosiddetta terza fase di regionalizzazione della portata indice al terzo livello di regionalizzazione).

5.2.2 Metodi Tradizionali 5.2.2.1 Introduzione 5.2.2.2 I metodi considerati 5.2.2.3 I metodi empirici di inviluppo 5.2.2.4 Metodi di interpolazione 5.2.2.5 Metodi razionali

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5.2.2.1 Introduzione

Il problema dell'attribuzione di un valore di portata temibile ad una sezione di un corso d'acqua ha ricevuto numerose formulazioni e risposte. Un ruolo fondamentale nel processo di approfondimento di questo problema hanno avuto i cosiddetti metodi empirici. Tali metodi sono basati essenzialmente sull'assunzione di una analogia di comportamento fra i bacini idrografici; note le portate di piena in alcune sezioni, se ne propone una estrapolazione ad altre sezioni degli stessi o anche di altri bacini confidando nella loro "somiglianza", supposta reale a meno di una dipendenza nota da alcuni parametri di facile misura o reperimento.

L'applicazione di questi metodi è possibile prescindendo sia da particolari conoscenze nella dinamica della formazione dei deflussi di piena a partire dalle piogge nel corso d'acqua oggetto di studio, sia dalla disponibilità di una serie storica registrata dai deflussi, necessaria invece per l'indagine statistica sulla frequenza delle piene.

Questa osservazione rende ragione della semplicità di applicazione di questi metodi; al tempo stesso però, evidenzia il limite della minore affidabilità dei risultati cui si perviene tramite la loro adozione, rispetto ai risultati offerti da altri metodi ("non empirici") che l'idrologia, con i suoi due settori, "deterministico" e "probabilistico", può fornire.

Nel seguito vengono presentati nel dettaglio alcuni metodi empirici, suddivisi in gruppi per affinità.

5.2.2.2 I metodi considerati

Per chiarezza e semplicità di esposizione, i metodi empirici sono stati suddivisi in tre gruppi fondamentali:

• di inviluppo; • di interpolazione; • razionali.

Il significato di questi termini verrà specificato nei paragrafi successivi.

I simboli usati sono quelli specificati nel seguente elenco, unitamente alle rispettive unità di grandezza: queste, salvo indicazioni contrarie, sono da adottarsi nelle applicazioni delle formule qui presentate.

Simbologia

a parametro delle curve di possibilità climatiche; il suo valore numerico corrisponde alla pioggia critica di un'ora [mm]

C coefficiente di deflusso

F frequenza di non superamento

h altezza di pioggia

hm altezza di pioggia mensile, massima nell'anno [mm]

hp altezza di pioggia nel giorno piovoso: rapporto fra precipitazione annua

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e numero dei giorni piovosi [mm]

H altitudine s.l.m. [m]

Hm altitudine media [m]

Ho altitudine alla sezione di chiusura del bacino considerato [m]

i pendenza media dell'alveo

iv pendenza media dei versanti

L lunghezza dell'asta principale [km]

n esponente della curva di possibilità climatica [/]

p intensità di pioggia [mm/h]

q portata specifica (al colmo di piena) [m3s-1km-2]

q100 parametro della formula di Gherardelli-Marchetti [m3s-1km-2]

Q portata (al colmo, se non diversamente specificato) [m3s-1]

R coefficiente di correlazione [/]

S superficie del bacino [kmq]

t durata [h]

T tempo di ritorno [anni]

v velocità fittizia per la determinazione del tempo di corrivazione [km/h]

α , β , γ

parametri [/]

τ tempo di corrivazione [h]

5.2.2.3 I metodi empirici di inviluppo

Sono caratterizzati dal fatto che intendono valutare la "portata massima" ad una sezione. Consistono nel tracciare, graficamente o tramite la relativa espressione analitica, curve o superfici "limite" contenenti i punti rappresentativi dei massimi valori di portata registrati alle sezioni di misura, in funzione di uno o più parametri morfologici e pluviometrici caratteristici del bacino imbrifero. A loro volta possono essere raggruppati a seconda del numero e del tipo di parametri considerati, a cominciare dal folto insieme dei metodi che utilizzano la sola area del bacino di drenaggio.

Curve di inviluppo; è il metodo usato dal Genio Civile: le Sezioni o gli Uffici del Servizio Idrografico provvedono per le aree di loro competenza alla compilazione di tali grafici; in essi il contributo specifico massimo registrato qmax = Qmax/S viene riportato in funzione della superficie S del bacino.

Formula di Gherardelli-Marchetti. La formula proposta da Gherardelli si scrive:

[5.104]

dove q100 ed α sono due parametri di taratura dipendenti da condizioni regionali. Gherardelli propose per il coefficiente α i valori 0.5 e 0.7 per bacini permeabili ed impermeabili

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rispettivamente. Successivamente Marchetti (1955) utilizzando dati aggiornati al 1954, trovò il valore costante α =2/3, mentre per q100 propose dei valori tabulati. Per le regioni Liguria e Toscana, per esempio:

Tabella 5.4: valori q100 proposti dal Marchetti

Corso d'acqua Limite di superficie [kmq]

q100

Magra - Entella

41 - 939 14.5

Arno 13 - 8186 5.0 - 6.0

altri 2 - 2657 8.0 - 13.0

nella tabulazione sono riportati anche limiti di superficie dei bacini utilizzati per la determinazione dei parametri.

Formula di Mele. Per meglio individuare il comportamento dei bacini di minor superficie (S<100), Mele (1976) precisò ulteriormente la formula di Gherardelli-Marchetti anche a seguito del lavoro di Mongiardini (1959); i risultati ottenuti portarono per questi bacini ad una variazione dell'esponente α, α=1/2 e alla proposta di altri valori di q100.

Forti. Le formule del Forti (1922) ebbero una grande diffusione, e si può dire che ancora oggi godono di una certa notorietà: sono costituite da due formule distinte a seconda del regime pluviometrico cui la zona in esame è sottoposta. Più precisamente sono scritte nella forma

[5.105]

in cui α e β variano a seconda dei livelli raggiungibili dalla massima pioggia delle 24 ore, h 24:

α = 2.35 β = 0.5 per h24 = 200 [5.106]

α = 3.25 β = 1.0 per h24 = 400 [5.107]

Queste formule furono ricavate con dati desunti da bacini di superficie inferiore a 1000 kmq.

De Marchi (1937), a seguito dell'evento che nel 1935 provocò il disastro della diga di Ortiglieto, propose una variante alla formula del Forti valida per bacini la cui superficie è dell'ordine dei 100 kmq e in cui si possano prevedere piogge di 400 mm nelle dodici ore.

α = 6.0 β = 0.5 [5.108]

Tra le formule di questo stesso tipo sono ancora da annoverare una formula data da Giandotti (1940) per l'Appennino ligure (2<S<940 kmq)

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[5.109]

e quella data da Scimemi (1928) per bacini con area minore di 1000 kmq

[5.110]

Pagliaro (1936). Questa formula venne ricavata per piccoli bacini aventi superficie compresa tra 20 e 1000 kmq:

[5.111]

corrispondentemente a tali limiti qmax varia tra 26.4 e 15.3, che costituiscono valori piuttosto elevati.

Francou e Rodier (1967) scrivono una formula generale dalla quale si ricava direttamente la portata massima:

[5.112]

Essi forniscono per l'Italia, e specificatamente per il bacino del Po, il valore q = 4.4.

Se confrontata con la formula di Gherardelli-Marchetti si può notare come l'adozione in quest'ultima di due parametri indipendenti, q100 e α, la renda più flessibile della presente che possiede un solo parametro: questa può inoltre essere scritta nella forma data da Gherardelli al seguente modo qmax = q100 (S/100)-α/10con log q100 = 0.6α - 2, che mette in evidenza quanto osservato.

Kresnik - Valentini. E' una formula usata particolarmente nella progettazione di interventi di bonifica montana (Scategni, 1971)

[5.113]

Di facile impiego, essa risulta tuttora superata dalla analoga formula fornita recentemente dal Servizio Federale Svizzero delle Strade e delle Dighe, EASF (1974)

[5.114]

Inoltre lo stesso EASF segnala che l'alto corso del Ticino ed i suoi affluenti hanno fatto registrare valori che superano la soglia data da questa formula.

Tra i metodi che utilizzano ulteriori parametri segnaliamo quelli di Possenti e Iskowski, e la formula di Mongiardini.

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Possenti (1866, riportato in Todini, 1966) per le piene degli affluenti di destra Po dedusse la seguente

[5.115]

dove h è l'altezza della massima pioggia di 24 ore ragguagliata sull'intero bacino, L è la lunghezza dell'alveo, Sm ed Sp le aree delle parti rispettivamente montana e pianeggiante del bacino; α è un coefficiente compreso fra 0.7 e 0.8, crescente al diminuire di L.

Per Iskowski è:

[5.116]

in questa formula hAmed è la pioggia media annua, α è un coefficiente dipendente da S, β dipendente dall'altitudine, dalla morfologia e dalle caratteristiche di permeabilità del bacino. La determinazione di β può essere fatta, una volta attribuita una "categoria" al bacino secondo uno schema a cascata. Per i piccoli bacini (S < 100 in pianura, S < 300 se in collina e montagna) il valore di hAmed da inserire nella formula non dovrà mai essere inferiore a 1000 mm.

Mongiardini, allo scopo di agevolare l'utilizzo della formula di Gherardelli-Marchetti diminuendo le incertezze sui valori da attribuire al parametro q100, propose (1959) la

[5.117]

in cui β è un parametro regionale, CA è il coefficiente medio annuo di deflusso, hp è la pioggia media del giorno piovoso; se le stazioni pluviometriche interessanti il bacino risultano più di una (siano in numero di m), il valore hp è dato dalla formula hp = 1/m Σj (hp)j. Il valore di α da introdurre nella formula è, come per Marchetti, costante e pari a 2/3.

5.2.2.4 Metodi di interpolazione

Questo tipo di metodi fa riferimento al concetto di "portata di rischio", ovvero è costituito da formule e metodologie atte a determinare una portata avente associato un "tempo di ritorno".

I metodi di inviluppo devono essere aggiornati ogni qual volta una piena "eccezionale" supera i valori precedentemente registrati: questo fatto ha portato a far diminuire la fiducia in questi metodi a meno di non precisare il rischio connesso con l'adozione di questi valori. In secondo luogo, anche se si ammette la possibilità di pervenire al calcolo di una portata "insuperabile" in un corso d'acqua, per i limiti fisici che il fenomeno della formazione dei deflussi verosimilmente possiede, l'adozione indiscriminata di un tal alto valore potrebbe penalizzare le opere di minore importanza, quelle cioè per le quali un cattivo funzionamento o le messa fuori servizio possono essere giudicati sopportabili se non troppo frequenti, secondo criteri economici e di sicurezza.

I metodi qui presentati utilizzano sistemi di interpolazione per ottenere il valore cercato con la maggior precisione possibile: spesso viene utilizzata la regressione ai minimi quadrati a una o più

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variabili indipendenti, nel qual caso la bontà dell'adattamento ai valori sperimentali viene precisata per mezzo del coefficiente di determinazione R2, o della sua radice R, coefficiente di correlazione.

5.2.2.5 Metodi razionali

Sotto questo nome si è pensato di porre le formule che fanno capo alla cosiddetta "formula razionale" in quanto questa si presenta già con i caratteri di un modello deterministico di formazione delle piene pur mantenendo, nella definizione dei suoi parametri, notevoli dosi di empirismo.

Viene scritta

[5.118]

nella quale τ è il tempo di corrivazione, h un'altezza critica di precipitazione, che nella formulazione del metodo corrisponde al tempo di corrivazione, e α un parametro che esprime, a meno di un fattore numerico dipendente dalla trasformazione delle unità di misura, il cosiddetto "coefficiente di deflusso" ovvero il rapporto intercorrente tra l'afflusso che provoca la piena e la portata al colmo. Si ottiene così la consueta formula

[5.119]

La precisazione dei criteri per la determinazione e la scelta dei parametri che fanno parte della formula ha dato origine ai diversi metodi qui esposti. Laddove per pioggia critica viene intesa la pioggia di durata corrispondente al tempo di corrivazione, essa viene determinata a partire dalle curve di possibilità climatica; queste si possono scrivere nella forma

per to = 1 ora, fornisce la usuale

.

In via teorica la formula razionale prevede una relazione lineare tra pioggia e portata; questo consente di assumere come tempo di ritorno della portata al colmo lo stesso della pioggia.

Per la determinazione dei restanti parametri, si nota che il tempo di corrivazione gode di un significato fisico preciso e viene quindi usato largamente anche al di fuori del metodo razionale; le formule per la sua stima non sempre sono state ricavate nel contesto della formula razionale. Per questo motivo alcune di tali formule vengono presentate a se stanti.

Ventura (1905)

[5.120]

Page 50: rtcap5

Giandotti (1934; 1937)

[5.121]

nella quale Hm, secondo Giandotti stesso, ha il significato di "altezza media del bacino, riferita alla quota della sezione considerata".

Kirpich (1940)

[5.122]

Viparelli (1963), illustrando un'applicazione del metodo della corrivazione per la ricostruzione degli idrogrammi di piena con riferimento ad alcuni bacini della Campania e della Basilicata, osserva che i risultati della formula di Giandotti possono essere ottenuti in via indicativa, ma più rapidamente utilizzando la seguente formula

[5.123]

in cui v si aggira "intorno a 1 m/s, e in nessun caso deve superare 1.5 m/s", corrispondenti a 3.6 - 5.4 km/h, valori da usarsi nella formula precedente.

Pezzoli (1970)

[5.124]

Tournon (da Merlo, 1973)

[5.125]

Puglisi (Puglisi, Zanframundo, 1978)

[5.126]

Valentini (1930), per i bacini montani con tempo di corrivazione dell'ordine di un'ora assume C = 1 per cui risulta

[5.127]

Page 51: rtcap5

Giandotti-Visentini. Visentini (1938) estendendo un precedente lavoro di Giandotti (1934) scrive la sua formula ponendo h pari all'altezza critica di pioggia ragguagliata sul bacino per t = τ, e

[5.128]

in cui i parametri sono funzioni di S e rappresentano rispettivamente il rapporto fra la portata al colmo e il deflusso medio di piena (volume defluito diviso per la durata totale della piena), il coefficiente di deflusso e più precisamente il rapporto fra il deflusso medio di piena e l'afflusso critico di durata τ, il rapporto fra la durata totale della piena e il tempo di corrivazione.

Lo stesso Giandotti (1940) fornisce i valori dei parametri in funzione della superficie S (tabella 5.5).

Tabella 5.5: valori dei parametri in funzione della superficie S (Giandotti 1940)

S α β γ

Giandotti 6 0.20-0.30

4.0

Visentini fino a 300 10 0.50 4.0

da 300 a 500 8 0.50 4.0

da 500 a 1000 8 0.40 4.5

da 1000 a 8000 6 0.30 5.0

da 80000 a 20000

6 0.25 5.5

da 20000 a 70000

6 0.20 6.0

Merlo (1973) usa l'espressione di Tournon per determinare τ . Allo scopo di correggere la non linearità tra portate e piogge di pari frequenza, al variare di questa, propone un coefficiente C dipendente anch'esso dal tempo di ritorno secondo la

[5.129]

questa formula è stata ricavata con dati di nove bacini montani dell'Italia nord-occidentale con S < 200, avendo assunto per portate al colmo e piogge critiche distribuzioni di tipo log-normale. in tal modo C viene a perdere il puro significato di coefficiente di deflusso, potendo assumere valori anche superiori all'unità.

Rossi (1974), analizzando dati di bacini lucani, trova che il "tempo di ritardo" τ r (parametro legato al tempo di corrivazione) e il coefficiente di piena C, per adeguati T, indicativamente maggiori di 10 anni, sono valori costanti per i singoli bacini; più precisamente C risulta costante per tutta la regione e pari a 0.34, mentre τ r è funzione del rapporto L / i0.5 secondo la formula

[5.130]

Page 52: rtcap5

questi valori consentono di ricavare Q tramite la classica formula razionale ponendo al posto di p il valore dell'intensità critica corrispondente a detto tempo di ritardo.

La schematizzazione propria del metodo razionale può ovviamente portare a dei risultati non molto precisi, ma la principale incertezza nell'applicazione della precedente relazione è legata alla scelta del coefficiente C. Questo dipende infatti dalla natura dei terreni e dall'estensione e dal tipo di copertura vegetale ma è sensibilmente influenzato anche dal grado di saturazione del suolo al momento della precipitazione. Inoltre anche la pendenza del suolo influisce sul valore di C.

In una guida della FAO (1976) sono proposti i valori orientativi per il coefficiente C della formula razionale indicati nella tabella 5.6:

Tabella 5.6: valori orientativi per il coefficiente C

Copertura del bacino

Tipo di suolo coltivazioni pascoli boschi

Suoli molto permeabili sabbiosi o ghiaiosi

0.20 0.15 0.10

Suoli mediamente permeabili (senza strati di argilla). Terreni di medio impasto o simili

0.40 0.35 0.30

Suoli poco permeabili. Suoli fortemente argillosi o simili, con strati di argilla vicino alla superficie. Suoli poco profondi sopra roccia impermeabile

0.50 0.45 0.40

Si riporta anche la seguente tabella 5.7, in cui interviene, sia pure grossolanamente, la pendenza del suolo.

Tabella 5.7: valori orientativi per il coefficiente C

Tipi di suolo

Vegetazione e pendenza Terreno leggero

Terreno di impasto medio

Terreno compatto

Boschi < 10%

0.13 0.18 0.25

> 10%

0.16 0.21 0.36

Pascoli < 10%

0.16 0.36 0.56

> 10%

0.22 0.42 0.62

Colture < 0.40 0.60 0.70

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agrarie 10%

> 10%

0.52 0.72 0.82

Anche dalle differenze che si riscontrano in queste due tabelle appare l'incertezza dei valori da attribuire a C.

5.2.3 L'approccio probabilistico 5.2.3.1 Il modello probabilistico TCEV e la metodologia VAPI-CNR 5.2.3.2 Stima dei parametri regionali - Articolazione dell'indagine

Qualora siano disponibili osservazioni idrometriche delle portate al colmo di piena per un periodo significativo, l'approccio più razionale è quello probabilistico, basato sui metodi dell'analisi di frequenza delle piene, per la migliore riproduzione possibile della legge di frequenza desumibile dai dati storici osservati.

Quando si utilizza un approccio probabilistico si assume come piena di progetto, in una determinata sezione di un corso d'acqua, la portata di piena XT caratterizzata da un periodo di ritorno T.

In modo del tutto analogo può assumersi come piena di progetto la piena x(HN) che ha una probabilità HN di essere superata in N anni. Di norma ad N si assegna un valore pari al numero di anni previsto per l'esercizio dell'opera da progettare, e pertanto HN rappresenta la probabilità di avere almeno un superamento della piena di progetto durante il periodo di esercizio. La grandezza HN rappresenta la "pericolosità" connessa alla piena di progetto. Talvolta essa viene indicata, in modo improprio, anche con il termine "rischio".

Una stima di XT, o di x(HN), può essere facilmente ottenuta se si conosce la funzione di probabilità cumulata della variabile casuale X che rappresenta il massimo annuale della portata al colmo di piena.

In realtà la stima di XT può essere condotta a partire da due differenti serie storiche, estratte, con opportune modalità, dalla serie temporale dei valori assunti dalla portata. La prima, a cui si farà riferimento nel seguito, è la serie dei massimi annuali (AFS, Annual Flood Series), vale a dire dei massimi assunti per ciascuno degli anni di osservazione della grandezza in esame; la seconda, invece è la cosiddetta serie di durata parziale (PDS, Partial Duration Series), detta anche serie dei massimi che eccedono una soglia assegnata (POT, Peaks Over a Threshold).

Date le differenti modalità di campionamento le distribuzioni di probabilità delle due serie differiscono fra di loro, anche se esiste un legame che, sotto ipotesi di ampia validità, assume una forma semplice.

Nel caso di serie AFS, si parla di modelli probabilistici dei massimi annuali, mentre, nel caso di serie PDS, si parla di modelli probabilistici delle eccedenze.

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In linea di principio, le analisi basate sull'uso delle serie PDS offrono alcuni vantaggi rispetto a quelle che fanno uso delle serie AFS: ad esempio, non è infrequente il caso in cui, in un certo anno, oltre alla piena che determina il massimo annuale, si verifichino altre piene di notevole importanza, caratterizzate da un valore di colmo di entità superiore ai colmi massimi di alcuni dei rimanenti anni. D'altra parte le serie PDS sono di acquisizione più difficoltosa di quelle AFS, richiedendo elaborazioni specifiche dei dati di portata ed il rispetto del requisito di mutua indipendenza dei singoli elementi che compongono il campione. È da rilevare, inoltre, che nonostante la dimensione del campione su cui si opera risulti generalmente maggiore, non sempre l'utilizzazione della serie PDS conduce ad una stima più accurata di quella ottenibile utilizzando la serie AFS.

Pertanto, nella pratica tecnico-applicativa, l'utilizzazione delle serie PDS è piuttosto rara e l'analisi inferenziale viene quasi sempre condotta a partire dalle serie storiche dei valori massimi annuali (AFS), a cui si farà riferimento nel seguito.

Si riportano qui alcune definizioni adottate nell'analisi e elaborazione dei dati trattate nei paragrafi seguenti.

Il tempo di ritorno

Il tempo di ritorno Tr di un dato evento è definito come:

[5.131]

Il tempo di ritorno rappresenta la durata media in anni del periodo in cui l'evento viene superato una sola volta. P è la probabilità di non superamento dell'evento esprimibile mediante una relazione che associa ad ogni valore dell'evento (es. altezza di pioggia o portata associata) la corrispondente probabilità di non superamento. Tale relazione viene in generale indicata come funzione, o distribuzione, di probabilità.

Le distribuzioni di probabilità

La funzione di probabilità cumulata si indica con

[5.132]

dove P[X≤x] esprime la probabilità che la variabile casuale X assuma un valore non superiore ad x. La lettera maiuscola indica la variabile casuale e la lettera minuscola indica una sua determinazione.

Il rischio

Per un assegnato tempo di ritorno si definisce il rischio che un determinato evento si verifichi in n anni come:

[5.133]

La probabilità che almeno un evento con tempo di ritorno di Tr = n anni si verifichi in un periodo di n anni è pari al 63.2%.

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I parametri statistici

Le stime dei parametri statistici di una popolazione sono così definiti:

• media

[5.134]

• scarto quadratico medio

[5.135]

• coefficiente di variazione

[5.136]

• coefficiente di asimmetria

[5.137]

Il coefficiente di variazione definisce la dispersione rispetto alla media dei valori della popolazione. Nell'analisi delle serie storiche di portata si osserva che i corsi d'acqua minori hanno generalmente valori del coefficiente di variazione maggiori rispetto ai corsi d'acqua maggiori.

Il coefficiente di asimmetria definisce la forma della funzione di probabilità, esso risulta positivo per le funzioni che manifestano asimmetria verso destra. Il coefficiente risulta elevato nelle popolazioni che presentano alcuni valori assai maggiori della media. Tali valori vengono definiti come valori eccezionali ovvero valori che sembrano appartenere ad una popolazione diversa rispetto a quella di base.

La stima dei precedenti parametri statistici risulta tanto più attendibile quanto più le serie storiche utilizzate sono estese e prive di dati mancanti.

5.2.3.1 Il modello probabilistico TCEV e la metodologia VAPI-CNR

La distribuzione di probabilità a doppia componente TCEV (Two Components Extreme Values) rappresenta la distribuzione del massimo valore conseguito, in un determinato intervallo temporale, da una variabile casuale distribuita secondo la miscela di due leggi esponenziali, nell'ipotesi che il numero di occorrenze, nel medesimo intervallo di tempo, segua la legge di Poisson. Viene dunque ipotizzato che i massimi annuali di variabili idrologiche (in questo caso le precipitazioni; nel capitolo successivo considereremo le portate) non provengano tutti dalla stessa popolazione ma da

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due diverse popolazioni legate a diversi fenomeni meteorologici. Tale teoria si basa sull'osservazione, a livello nazionale, di numerose serie storiche di massimi annuali in cui si riscontrano uno o più valori outliers.

La funzione di probabilità cumulata (CDF) di una variabile casuale X, secondo il modello TCEV può essere espressa nella seguente forma:

[5.138]

dove il pedice 1 rappresenta la componente relativa agli eventi normali e più frequenti, mentre il pedice 2 quella straordinaria relativa agli eventi più gravosi, entrambe rappresentate singolarmente da leggi di Gumbel per valori non negativi. I 4 parametri della TCEV hanno un chiaro significato fisico poiché Λ1 e Λ2 rappresentano il numero medio annuo di eventi indipendenti superiori ad una soglia delle due componenti, mentre Ω1 e Ω2 esprimono il valore medio degli stessi eventi.

Per comodità, anziché alla variabile X si fa riferimento alla variabile standardizzata (adimensionale) Y, definita da:

[5.139]

con funzione di probabilità cumulata

[5.140]

dove

[5.141]

Per comodità si riportano di seguito le espressioni dei parametri di maggiore impiego nel prosieguo. Il valore atteso della variabile X:

[5.142]

dove γE = 0.57722 è la costante di Eulero; i coefficienti di variazione (γ) e di asimmetria teorici (γ1) risultano essere:

[5.143]

Page 57: rtcap5

dove µ2,3 sono i momenti teorici del I e II ordine; mentre i rispettivi valori campionari sono espressi dalle:

[5.144]

con N pari alla dimensione del campione.

Definito il fattore di crescita X=X' µ, la relativa CDF risulta:

[5.145]

Come stimatore viene adottata la massima verosimiglianza (ML).

La stima della portata XT, o di x(HN), relativa ad un determinato valore di T (o di HN) avviene quindi in tre fasi:

1) stima del fattore di crescita XT', corrispondente al tempo di ritorno T, oppure di x'(HN) corrispondente alla pericolosità HN, che dipendono entrambi da Λ*, Θ* e Λ1

2) stima del valore indice µ

3) stima di xT = x'T⋅µ oppure di x(HN)=x'(HN)⋅µ

I coefficienti di asimmetria e di variazione campionari, precedentemente descritti, stimati dalle serie storiche dei massimi idrologici, e relativi a più stazioni di misura limitrofe, presentano una variabilità spaziale che nell'ambito di vaste aree non è superiore alla variabilità campionaria.

Ciò consente di ipotizzare l'esistenza di regioni nelle quali si può ammettere che i valori teorici di tali coefficienti siano costanti e siano quindi costanti i parametri dai quali essi dipendono.

In particolare per il modello TCEV è stata proposta una struttura gerarchica per la regionalizzazione, che prevede:

a) zone omogenee, nelle quali si possa ammettere costante il coefficiente di asimmetria γ e quindi i parametri Θ* e Λ* ad esso legati. La variabile standardizzata Y risulta così identicamente distribuita;

b) sottozone omogenee, interne o coincidenti con le zone, nelle quali si possa ammettere costante anche il coefficiente di variazione CV, e quindi il parametro Λ1. In tal caso è il fattore di crescita X'=X/µ ad essere identicamente distribuito e si ha una curva di crescita unica per l'intera sottozona;

c) aree omogenee, nelle quali è possibile determinare le relazioni che legano il valore indice, µ, alle caratteristiche del sito (nel caso di piogge) o del bacino di interesse (nel caso delle portate).

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La struttura gerarchica del modello è analoga sia nel caso delle piogge che in quello delle piene. Si avranno pertanto zone, sottozone ed aree pluviometriche e zone, sottozone ed aree idrometriche.

5.2.3.2 Stima dei parametri regionali - Articolazione dell'indagine

La struttura gerarchica del modello TCEV richiede:

• l'individuazione delle zone omogenee e la stima dei relativi parametri (primo livello di regionalizzazione)

• l'individuazione delle sottozone omogenee e la stima dei relativi parametri (secondo livello di regionalizzazione)

• l'individuazione delle aree omogenee e l'identificazione delle relazioni che le caratterizzano (terzo livello di regionalizzazione).

• In generale poiché le stazioni idrometriche sono molto meno numerose di quelle pluviometriche l'analisi delle piene è preceduta dall'analisi delle piogge estreme. Quest'ultima fornisce utili indicazioni circa l'identificazione delle sottozone idrometriche dal momento che si può ammettere che esse coincidano con le sottozone pluviometriche. L'analisi delle piogge brevi è utile anche per la stima della piena indice che è strettamente legata all'intensità di pioggia che si può verificare in un tempo che caratterizza la risposta del bacino idrografico.

Pertanto i diversi progetti VAPI regionali, pur con differenziazioni da un caso all'altro, hanno in linea di massima sviluppato le seguenti fasi:

1. Analisi delle piogge giornaliere

1.1 Delimitazione delle zone e delle sottozone pluviometriche omogenee

1.2 Stima dei parametri regionali ed identificazione delle curve di crescita

1.3 Individuazione delle aree pluviometriche omogenee ed identificazione delle relazioni tra pioggia indice giornaliera e caratteristiche geografiche del sito

2. Analisi delle piogge orarie

2.1 Identificazioni della relazione tra pioggia indice oraria e durata nelle aeree omogenee

3. Analisi delle piene

3.1 Delimitazione delle zone e delle sottozone idrometriche omogenee

3.2 Stima dei parametri regionali ed identificazione delle curve di crescita

3.3 Individuazione delle aree idrometriche omogenee ed identificazione delle relazioni tra piena indice e caratteristiche climatiche e morfologiche del bacino.

5.2.4 Il caso della Toscana

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5.2.4.1 Acquisizione, archiviazione ed elaborazione statistica dei dati idrologici e territoriali 5.2.4.2 Trasformazione afflussi-deflussi e formazione della piena 5.2.4.3 Procedure di regionalizzazione 5.2.4.4 Analisi dei risultati ottenuti con il modello di piena ALTO

Nel presente paragrafo si descrivono gli aspetti metodologici, alcuni risultati significativi e le procedure implementate relativamente a Convenzioni di ricerca fra la Regione Toscana ed il PIN-Centro Studi Ingegneria (sede di Prato dell'Università di Firenze) e fra il PIN ed il Dipartimento di Ingegneria Civile di Firenze, aventi fra gli obiettivi quello dello sviluppo di procedure per la valutazione delle distribuzioni di probabilità degli eventi di piena (portate al colmo e idrogrammi corrispondenti) per una generica sezione del reticolo idrografico della Toscana.

Tenendo conto degli studi dall'U.O. 3.12 CNR-GNDCI e sulla base dell'archivio di dati raccolti ed elaborati, si è adottato un approccio modellistico-probabilistico indiretto, che consente la schematizzazione delle varie dinamiche suindicate e la messa a punto di idonee procedure di regionalizzazione al livello di dettaglio richiesto, utilizzando il maggior numero possibile di informazioni archiviate. In particolare è stato sviluppato un modello di piena stocastico-deterministico, di seguito indicato con l'acronimo ALTO (ALluvioni in TOscana). Inoltre, tramite opportune procedure implementate nel denominato Sistema Informativo Bacini Toscani, possono essere effettuate le seguenti operazioni:

• calcolo delle caratteristiche geomorfologiche e territoriali del bacino considerato; • calcolo dei parametri della trasformazione afflussi-deflussi; • valutazione dell'input di precipitazione sul bacino; • calcolo dell'idrogramma di piena per vari tempi di ritorno.

5.2.4.1 Acquisizione, archiviazione ed elaborazione statistica dei dati idrologici e territoriali

Si descrivono sinteticamente le caratteristiche dei dati idrologici e territoriali raccolti ed elaborati ai fini del presente lavoro. Per una trattazione più esauriente si rimanda a Settesoldi, Mazzanti et al., 1996 ed a Petrucci, Preti, Valanzano et al., 1996.

Le fonti principali per l'acquisizione di tali dati sono rappresentate dagli archivi cartacei e informatici del Servizio Idrografico e Mareografico, dalla documentazione disponibile presso la Regione Toscana, dai dati rilevati presso gli Uffici del Genio Civile. Tutti i dati raccolti sono stati archiviati in una base-dati su supporto informatico e su tabulati cartacei e, insieme ad una relazione tecnica sulla validazione e consistenza dell'archivio, sono ora a disposizione della Regione Toscana.

I dati pluviometrici raccolti sono i seguenti:

• precipitazioni massime annue con durata inferiore ad 1 ora; • precipitazioni massime annue con durata da 1 ora a 24 ore; • precipitazioni massime con durata da 1 a 5 giorni; • precipitazioni giornaliere; • precipitazioni ad alta risoluzione (serie disponibili ed eventi significativi).

Le precipitazioni massime annue con durata inferiore ad 1 ora e da 1 ora a 24 ore (249 stazioni), con durata da 1 a 5 giorni e giornaliere (512 stazioni dotate di pluviometro semplice o registratore, per il periodo dal 1958 al 1991) sono state acquisite relativamente ai compartimenti del Servizio

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Idrografico ricadenti nel territorio della regione Toscana (Pisa, Parma, Bologna, Roma e Genova). Per ciascuna stazione pluviometrica sono state archiviate quota, esposizione e coordinate UTM.

Le principali elaborazioni relative alla pluviometria hanno riguardato:

• analisi per l'applicazione della TCEV; • stima delle curve di possibilità pluviometrica (annuali e stagionali) sia con distribuzione di

Gumbel che TCEV regionale al primo livello per durate inferiori e superiori all'ora; • analisi della distribuzione spazio-temporale delle precipitazioni in eventi reali e delle piogge

giornaliere.

I dati idrometrici raccolti sono relativi a:

• portate al colmo; • idrogrammi di piena in termini di portate per alcuni eventi in cui erano disponibili anche le precipitazioni ad alta risoluzione; • idrogrammi di piena in termini di livelli idrometrici delle tre piene più significative per le stazioni idrometriche del Servizio Idrografico di Pisa.

Si sono raccolte le portate massime annuali al colmo, registrate nelle 72 stazioni del Servizio Idrografico interne ed esterne alla Regione Toscana, per tutti gli anni disponibili. Per alcune stazioni, inoltre, per i cui bacini sottesi erano disponibili precipitazioni ad alta risoluzione temporale, sono stati acquisiti gli idrogrammi di portata significativi, in parte dall'archivio informatico del Servizio Idrografico e Mareografico ed in parte dagli Annali Idrologici-Parte II per digitalizzazione dei diagrammi riportati nella sezione dedicata alla monografia dei principali eventi di piena verificatisi durante l'anno. Sono stati, inoltre, acquisiti i livelli al colmo e alcuni idrogrammi di piena significativi in alcune sezioni per cui è previsto il servizio di piena dagli Uffici del Genio Civile della Toscana (AR, FI, GR e LU).

Le principali elaborazioni relative all'idrometria hanno riguardato:

• adattamento della distribuzione di Gumbel alle singole serie storiche di portata al colmo;

• adattamento della distribuzione TCEV al primo livello in sei zone del territorio regionale (1.Magra, 2.Serchio, 3.Appennino, 4.Chianti, 5.Costa, 6.Maremma);

• analisi statistica di alcune serie storiche di livello idrometrico; • analisi degli idrogrammi di piena acquisiti;

Le informazioni territoriali acquisite ed elaborate sono relative al reticolo idrografico, al modello digitale del terreno, all'uso del suolo ed alla geolitologia.

Sono state acquisite le seguenti basi cartografiche per tutto il territorio Regionale:

- cartografia scala 1:25.000 IGM (nuova serie a colori ove già disponibile); - cartografia scala 1:25.000 della Regione Toscana riportante i corsi d'acqua inseriti nella Del.C.R. 230/94.

Il reticolo idrografico è stato digitalizzato dalla cartografia scala 1:25.000 utilizzando ARC/INFO 6.0.1 (in parte con AutoCad successivamente importato in ARC/INFO ). Le aree pianeggianti e di bonifica, scolanti mediante sistemi di drenaggio tipo "acque basse", sono state separate dal reticolo idrografico naturale in quanto non assoggettabili alle procedure di regionalizzazione previste per le

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"acque alte". Tali aree sono state individuate sulla base dei comprensori di bonifica esistenti nonché mediante analisi morfologica dei sistemi drenanti e degli elementi arginali di delimitazione. Il reticolo idrografico costituisce la base informativa della procedura di regionalizzazione che prevede, per ciascun asta del reticolo, la caratterizzazione del bacino a monte e la valutazione della portata al colmo per i diversi tempi di ritorno. A tal fine il reticolo è stato gerarchizzato secondo Strahler e sono stati ricavati i principali parametri geomorfologici (Petrucci, Preti, Valanzano et al., 1996).

Sono state acquisite le curve di livello numeriche prodotte dalla Regione Toscana a partire dalla cartografia scala 1:5.000 ed i punti quotati utilizzati per la redazione delle ortofotocarte. È stato acquisito, inoltre, il raster 400x400m della Regione Toscana, l'uso del suolo 400x400m, i limiti di bacino del progetto regionale IFT93 (Inventario Forestale Toscano) e la carta geolitologica scala 1:250.000 in formato vettoriale. Il modello digitale del terreno 400x400 m e l'uso del suolo sono stati acquisiti tramite il modulo GRID ARC/INFO . Dalla carta geolitologica in forma vettoriale si è ricavato con il modulo GRID un raster 400x400m. Sulla base del modello digitale del terreno 400x400m sono state, infine, elaborate la carta delle pendenze e la carta delle esposizioni.

5.2.4.2 Trasformazione afflussi-deflussi e formazione della piena

Il modello afflussi-deflussi e di formazione della piena adottato è stato tarato su una serie di eventi significativi (66 eventi relativi a 16 bacini della Toscana, evidenziati in grassetto in Tab. 5.8) per i quali sono stati acquisiti o elaborati gli ietogrammi delle piogge ragguagliate e le relative portate defluenti.

La trasformazione da pioggia reale a netta adottata richiede la stima di due parametri. Infatti la perdita iniziale è schematizzata introducendo un volume unitario di perdita iniziale (indicato con Ia) che assorbe completamente la precipitazione durante i primi momenti dell'evento (dall'istante iniziale dell'evento t=0 sino all'istante t=ta), mentre la perdita durante l'evento viene schematizzata con una infiltrazione costante a saturazione (indicata con Ks):

se t<ta

[5.146]

se t >= ta

[5.147]

dove:

P(t): intensità di precipitazione ragguagliata sul bacino [mm/h]; Pn(t): intensità di precipitazione netta sul bacino [mm/h]; Ia(t): perdita iniziale all'istante t dell'evento [mm]; Ia=Ia(t): volume per unità di area di perdita iniziale [mm]. Ks: velocità di infiltrazione a saturazione [mm/h].

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Le condizioni iniziali sono rappresentate dalla stima delle seguenti grandezze, secondo le ipotesi indicate:

• Db, deflusso unitario di base [mm/h], considerato in prima approssimazione costante nel tempo e pari alla portata per unità di superficie in transito all'inizio del periodo di simulazione;

• Iao = Ia(0), riempimento del volume di perdita all'inizio dell'evento [mm], assunto, per semplicità, pari a Ia, ovvero il volume di perdita si considera vuoto all'inizio dell'evento.

Il modello di trasferimento adottato è quello dell'idrogramma unitario di tipo Γ (n, k) introdotto da Nash (1959) e caratterizzato dal parametro di forma (n) e da quello di scala (k).

La taratura del modello è stata condotta in modalità automatica utilizzando un algoritmo di minimizzazione dello scarto fra le portate calcolate e quelle registrate, basato sul metodo del simplesso (Castelli, 1985). A titolo di esempio si riporta in Fig. 5.16 il confronto fra idrogramma calcolato e registrato per uno dei 66 eventi studiati.

Figura 5.16 - Arno a Nave di Rosano, evento del febbraio 1960: confronto tra idrogramma misurato e ricavato dal modello

I parametri tarati per ciascun evento risultano quindi i seguenti:

• Ia volume unitario di perdita iniziale [mm]; • Ks velocità di infiltrazione a saturazione [mm/h]; • n parametro di forma dell'idrogramma di Nash [-]; • k parametro di scala dell'idrogramma di Nash [h].

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In particolare, dai risultati ottenuti, emergono le seguenti considerazioni:

• i valori del parametro Ia risultano compresi tra 10 mm e 30 mm, in accordo con quanto previsto, ad esempio, dal modello del Curve Number che stima la perdita iniziale nel 20% della capacità di assorbimento del suolo (cfr. Busoni et al., 1995); • i valori del parametro Ks, velocità di infiltrazione a saturazione, sono nella maggior parte dei casi inferiori ad 1 mm/h e possono raggiungere valori di 3.5 mm/h; • i parametri n e k presentano una certa variabilità, mentre il loro prodotto (tempo di ritardo) risulta assai più stabile, al variare dell'evento, per un dato bacino.

5.2.4.3 Procedure di regionalizzazione

Precipitazioni

L'input meteorico è rappresentato da uno "ietogramma sintetico" la cui frequenza viene stimata a partire dalle curve di possibilità climatica ricavate con l'adattamento della TCEV.

Il modello è strutturato in modo tale da ricercare, per un dato tempo di ritorno, il valore critico della durata di pioggia che massimizza la portata di piena, assumendo che la variabilità delle precipitazioni sul bacino possa essere messa in conto attraverso una distribuzione spaziale ed un ragguaglio semplificati, mentre si ipotizza che le perdite per intercettazione e per infiltrazione siano prevalentemente correlate alle caratteristiche dell'uso del suolo ed alla geolitologia.

Per quanto riguarda il coefficiente di ragguaglio areale Kr si è fatto riferimento, in accordo con quanto riportato in Settesoldi et al. (1996) ad un'espressione del tipo seguente (Eagleson, 1970):

[5.148]

dove α , β e γ sono i parametri della formula, t [h] la durata della precipitazione e A [km2] l'area del bacino.

L'introduzione della dipendenza del parametro α dal coefficiente a della curva di possibilità pluviometrica (nella formulazione originaria α era pari a 1.1, mentre nel presente caso varia da 0.7 a 1.2 al variare di a) e quindi dalle caratteristiche delle precipitazioni è in accordo con Eagleson (1970). Il parametro β rimane invariato, mentre il parametro γ è stato stimato pari a 0.01 anziché 0.004 rispetto alla formula classica. Tali adattamenti sono stati ottenuti sulla base di un confronto fra l'andamento del fattore di riduzione areale così stimato e quelli ricavabili dall'analisi condotta della correlazione spaziale dei dati pluviometrici o dedotti da note formule tecniche (Puppini, Columbo), nonché sulla base delle verifiche dei risultati del modello ALTO descritte nel seguito.

Idrogramma istantaneo unitario geomorfologico

Sulla base dei risultati della taratura del modello afflussi-deflussi descritta nel capitolo precedente si è proceduto alla regionalizzazione dei parametri dell'IUH di Nash, a partire dallo studio del prodotto nk che rappresenta la media dell'idrogramma di Nash ovvero il tempo di ritardo del bacino idrografico (Tl). È noto che il tempo di ritardo idrologico in un bacino rappresenta la distanza temporale tra il baricentro dell'idrogramma di piena (depurato della portata di base che sarebbe defluita nel corso d'acqua anche in assenza dell'evento), e quello del pluviogramma netto. Si definisce Tl caratteristico di un bacino idrografico il valore medio dei tempi di ritardo relativi, per ogni bacino, ad eventi di piena osservati con periodo di ritorno superiore a 20 anni (in Copertino e

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Fiorentino, 1992). Risultano interessanti, ai fini di ottenere una regionalizzazione, le espressioni, ricavate da vari autori (in Ferrari et al., 1992), che legano il tempo di ritardo alle caratteristiche del bacino e del reticolo idrografico, basate sui parametri geomorfici come i noti rapporti di biforcazione (Rb), lunghezza (Rl) e area (Ra). Fattore comune di queste espressioni è la presenza di un parametro cinematico da tarare, la cui determinazione è ancora oggi oggetto di approfondimento scientifico (in Copertino e Fiorentino, 1992). Considerando, nel caso in esame, i dati elaborati per i 42 bacini strumentati dal Servizio Idrografico, la migliore relazione fra i valori di Tl derivati dalla taratura del modello sopra descritto ed i parametri geomorfici, si è ottenuta con la formulazione seguente:

[h] [5.149]

dove A è l'area del bacino espressa in [km2] e Lmc la lunghezza del reticolo in [km], calcolata come cumulata delle lunghezze medie per i vari ordini gerarchici Lmc, in accordo, ad es., con Agnese, D'Asaro et al. (1988).

La (5.149), caratterizzata da coefficiente di regressione pari a 0.9, fornisce una maggiore varianza spiegata rispetto alla analoga nota espressione di Rosso, 1982 e 1983 (regolarizzazione con funzione gamma del GIUH di Rodriguez-Iturbe e Valdes del 1979). Inoltre, a differenza di una semplice relazione lineare di Tl con un unico parametro geomorfico legato alla dimensione del bacino idrografico, essa consente una migliore regionalizzazione dei parametri del GIUH necessaria per l'implementazione del modello di piena.

Tale espressione del tempo di ritardo, ricavata solo con procedimenti di regressione, risulta di un certo interesse in quanto sembra tenere conto, in modo semplice, oltre che dell'effetto del reticolo idrografico sul trasferimento del deflusso secondo la nota teoria di Rodriguez-Iturbe e Valdes (1979), anche dell'effetto dell'alveo sullo smaltimento della piena, come viene mostrato in uno studio di approfondimento sull'argomento (Preti, 1996) basandosi sulla teoria del regime e precedenti indagini regionali (White, Paris et al., 1981; Canuti e Moisello, 1980).

Un confronto tra i valori stimati a partire con la [5.149] e quelli ottenuti dalla taratura del modello afflussi-deflussi è riportato nella Fig. 5.17.

Figura 5.17 - Stime dei tempi di ritardo caratteristici Tl dei corsi d'acqua toscani

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Perdite di afflusso

I parametri Ia e Ks ottenuti dalle tarature del modello e indipendenti dalle dimensioni dei bacini sono stati regionalizzati, come già accennato, in funzione dell'uso del suolo e dalla geologia dei bacini, resi indipendenti dalle dimensioni del bacino idrografico.

La regionalizzazione di Ks sulla base dell'analisi di 22 classi della carta geolitologica (scala 1:250.000) a cui sono stati attribuiti i valori di permeabilità a saturazione corrispondenti, sviluppando studi precedenti (Caporali e Petrucci, 1992; Mazzanti, 1993) e una metodologia basata sui nuovi dati elaborati in questo studio (Billi e Fazzuoli, com. pers.).

In Fig. 5.18 si riportano a confronto i valori di Ks stimati dalla taratura del modello e quelli ricavati rispettivamente con i valori massimo e minimo dei Ks stimati per ciascun bacino.

Per quanto riguarda il parametro Ia, esso è stato correlato alla percentuale di superficie boscata del bacino idrografico: in Fig.5.19 si riportano i valori della taratura e quelli della regressione adottata. Si può osservare l'elevata variabilità del parametro Ia solo parzialmente spiegata dalla regressione, che, peraltro, può essere ritenuta sufficiente per gli scopi dello studio in questione. In realtà, disponendo di maggiori informazioni, potrebbero essere tentati degli approfondimenti circa gli effetti sui fenomeni di intercettazione indotti dall'interazione fra uso del suolo e litologia (in mancanza di estese indagini pedologiche).

Figura 5.18 - Stima dei valori della velocità di infiltrazione a saturazione Ks nei bacini toscani

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Figura 5.19 - Stima del volume unitario di perdita iniziale Ia nei bacini toscani

5.2.4.4 Analisi dei risultati ottenuti con il modello di piena ALTO

È noto come l'incertezza nella valutazione delle distribuzioni di probabilità delle portate al colmo mediante i metodi indiretti di stima dipenda, oltre che dalla schematizzazione delle condizioni di umidità del suolo e della variabilità spazio-temporale delle precipitazioni, anche da distorsioni derivanti da alcune incongruenze teoriche della metodologia dell'evento critico (Bacchi et al., 1993). In tale ottica sono state condotte varie verifiche che, nell'ambito dei limiti dello studio, permettono di valutare il grado di affidabilità dei risultati ottenuti e la robustezza del modello proposto.

A tale scopo sono stati effettuati confronti fra le distribuzioni di probabilità dei colmi di piena derivate dall'analisi statistica e quelle generate dal modello. Ulteriori verifiche sono state condotte comparando alcuni idrogrammi di piena calcolati e registrati, nonché analizzando i dati idrometrici del Genio Civile, ed anche confrontando i risultati del modello con le curve inviluppo. È stata, infine, condotta un'analisi di sensitività volta a quantificare l'importanza dei parametri del modello sui valori di portata.

La prima verifica dei risultati ottenuti con il modello di piena ALTO è consistita nel confronto fra le funzioni di distribuzione delle portate al colmo calcolate con quelle derivate dalle procedure di inferenza statistica sulle serie di dati delle stazioni idrometriche (in 44 sezioni corrispondenti alle 42 del Servizio Idrografico ed a quelle del Genio Civile per cui erano disponibili serie storiche di portate al colmo, Tab. 5.8).

I risultati ottenuti mostrano in generale un soddisfacente accordo con le statistiche puntuali, come esemplificato in Fig. 5.20 ed in Tab. 5.8. Risulta interessante osservare l'andamento della distribuzione statistica delle portate fornita dal modello di piena ALTO caratterizzato da una spiccata asimmetria analoga a quella della distribuzione TCEV.

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Figura 5.20 - Esempio di risultati ottenuti con il modello ALTO: distribuzione delle portate al colmo dell'Arno a Nave di Rosano (*: campionaria; linea tratteggiata: TCEV; punto e linea:

Gumbel; continua: ALTO)

La robustezza del modello è stata confermata dalla verifica effettuata su alcuni bacini non utilizzati nelle fasi di regionalizzazione dei parametri e validazione.

Gli scostamenti maggiori fra i valori delle distribuzioni e quelli del modello sono relativi alle stazioni con serie storiche disponibili limitate (in genere bacini di ridotte dimensioni) e caratterizzate da apparenti anomalie nella serie storica oppure da bacini in cui sono presenti notevoli capacità di invaso artificiali (per es. Serchio).

La sensitività del modello è stata indagata studiando due bacini campione di aree sensibilmente diverse (Sieve a Fornacina di 863 km2 e il Terzolle alle Masse di13 km2). La valutazione della sensitività si è basata sull'analisi della variazione della portata con tempo di ritorno 100 anni al variare (± 50% rispetto al valore di taratura) dei seguenti parametri: perdita iniziale (Ia), velocità di infiltrazione (Ks) e parametri del fattore di riduzione areale (α , β e γ ).

Si possono trarre le seguenti osservazioni preliminari:

1. L'effetto della perdita iniziale appare significativo per un bacino di ridotte dimensioni (variazione della portata calcolata dell'ordine del 10%) mentre perde di importanza per i bacini maggiori, il che risulta giustificato dal fatto che i bacini grandi sono maggiormente cimentati da piogge di lunga durata rispetto alle quali la perdita iniziale risulta trascurabile;

2. viceversa il parametro di infiltrazione Ks risulta più significativo per un bacino di maggiore estensione (15% di variazione della portata calcolata), mentre è praticamente ininfluente per i piccoli bacini ove le intensità di precipitazione degli eventi critici risultano maggiori della velocità di infiltrazione;

3. per quanto riguarda i parametri connessi al fattore di riduzione areale, si ha che essi sono influenti solo per i bacini di grande estensione ove la variabilità spaziale è significativa (fino al 35% di variazione della portata calcolata).

Un'ulteriore verifica del modello è stata condotta utilizzando i dati forniti dagli Uffici del Genio Civile e confrontando le distribuzioni dei massimi annuali dei livelli idrometrici registrati con quelle ricostruite con il modello.

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La verifica dei volumi degli idrogrammi calcolati con il modello è stata condotta su due sezioni del Servizio Idrografico e su due sezioni del Genio Civile, ottenendo un accordo soddisfacente pur considerando una certa sovrastima del volume di piena ("idrologico") calcolato.

Infine, un'analisi comparativa è stata condotta osservando che i valori del modello, per tempo di ritorno uguale a 100 anni, tendono ad essere inferiori a quelli delle curve inviluppo per bacini fino a 1000 km2 della Toscana (da Bendini, 1969). Tali valori sono posti a confronto in Fig. 5.21, dove si riporta anche la curva di possibilità dei contributi unitari con tempo di ritorno 100 anni elaborata da Natale (1988) per i bacini Toscani, mostrando un buon accordo (Preti et al., 1996).

Figura 5.21 - Confronto tra i risultati del modello ALTO e le curve inviluppo della Regione Toscana (da Bendini, 1969) e di Natale (1988)

Tabella 5.8 Quadro di raffronto fra le stime delle portate al colmo per tempi di ritorno di 20, 100 e 200 anni ricavate con il modello probabilistico di Gumbel (migliore adattamento fra i metodi: massima verosimiglianza, minimi quadrati e momenti) , TCEV e con il modello ALTO; in grassetto i bacini considerati per la taratura.

Cod. Sezione di chiusura Area [kmq]

GUMBEL Tr 20

GUMBELTr 100

GUMBELTr 200

TCEVTr 20

TCEVTr 100

TCEVTr 200

ALTOTr 20

ALTOTr 100

ALTO Tr 200

4200 Fegana a Ponte a Bussato 29 45 61 68 43 60 67 110 163 191 4230 Lima a Ponte di Lucchio 170 696 925 1023 696 951 1062 516 746 868 4240 Lima a Fabbriche di

Casab.na 263 668 913 1017 616 853 957 553 827 973

4270 Serchio a Borgo a 1061 1480 1940 2136 1485 1993 2216 2013 3012 3549

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Mozzano 4380 Arno a Stia 62 97 129 143 87 142 172 153 239 287 4400 Arno a Pollino 445 490 614 668 614 994 1206 594 905 1076 4410 Arno a Subbiano 738 1117 1499 1662 1031 1665 2019 832 1282 1526 4520 Chiana al Ponte della

Ferrovia 1272 513 671 738

4560 Arno a Ponte del Romito 2347 1516 1975 2171 1451 2265 2720 1754 2684 3189 4610 Sieve a Ponte del Bilancino 150 580 780 865 567 940 1149 317 457 529 4640 Sieve a Fornacina 831 829 1090 1202 801 1276 1542 881 1288 1506 4660 Arno a Nave di Rosano 4083 2228 2874 3150 2516 4088 4966 2493 3913 4682 4700 Terzolle a Le Masse 14 158 249 288 17 28 35 65 98 115 4710 Greve a Ponte dei Falciani 120 179 257 290 159 234 266 172 266 316 4750 Bisenzio a Praticello 54 205 294 332 131 218 267 184 267 309 4760 Bisenzio a Carmignanello 100 278 381 425 258 433 531 299 431 503 4780 Bisenzio a Gamberame 150 269 363 402 242 396 482 307 448 525 4860 Brana a Burgianico 13 97 141 160 82 149 187 66 96 112 4910 Pesa a Sambuca 119 151 217 245 142 207 234 178 259 303 4970 Elsa a Castelfiorentino 806 458 635 711 556 813 923 584 986 1206 5040 Nievole a Colonna 33 45 62 69 40 55 62 109 159 186 5070 Pescia di Pescia M.no

Narducci 47 104 141 157 100 138 155 180 262 306

5130 Era a Capannoli 337 323 451 506 319 458 516 491 723 850 5360 Fine a Santa Luce 53 83 113 126 91 130 146 172 250 292 5400 Cecina a Ponte di

Monterufoli 634 875 1169 1294 888 1227 1372 729 1111 1320

5450 Cornia a Frassine 97 176 251 283 143 202 228 220 339 404 5480 Milia a Grillandino 77 85 111 123 98 134 150 183 290 347 5610 Bruna a Lepri 229 129 164 179 301 424 477 492 726 852 5700 Merse a Casa Mallecchi 265 735 1056 1193 604 881 1000 426 635 750 5710 Merse a Ornate 483 701 946 1051 754 1088 1230 500 771 918 5720 Farma a Ponte di Torniella 70 284 406 458 268 402 459 159 233 273 5760 Orcia a Monte Amiata 580 701 961 1072 740 1086 1234 631 923 1080 5790 Ombrone a Sasso

d'Ombrone 2657 1926 2585 2867 2134 3078 3480 2143 3244 3840

5800 Melacce ad Anteata 65 31 40 45 30 43 48 208 301 352 5810 Trasubbie a Castellina 154 299 453 537 320 467 530 298 452 535 5880 Albegna a P.te di

Montemerano 192 864 1207 1353 814 1199 1363 429 636 750

e001 Magra a Piccatello 77 296 425 480 251 363 411 308 435 503 e002 Magra a Calamazza 939 3082 4086 4514 3627 5136 5780 2744 4039 4736 e003 Aulella a Soliera 208 619 812 895 607 922 1092 e004 Bagnone (Magra) a

Bagnone 51 169 229 254 178 253 285 340 510 603

e005 Reno a Pracchia 40.9 166 226 251 164 279 344 151 217 252 e007 Limentra di Riola a Stagno 66 280 374 414 319 546 672 232 333 387

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