Rosario Di Mauro (ePub) - liberliber.it · Ma la Religione ha avuto anche dei mi-racoli, e il...

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il giorno delle MésulesAUTORE: Castiglioni, EttoreTRADUTTORE: CURATORE: NOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100744

DIRITTI D’AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Sesto, la Meridiana diSesto (Dolomiti di Sesto) e la Val Fiscalina - Vistadal Monte Elmo" di Konrad Petrides (1864-1944). -https://commons.wikimedia.org/wiki/File:150224_Doro-th_Val_Fiscalina_Petrides.jpg - Pubblico Dominio.

TRATTO DA: Il giorno delle Mésules / Ettore Casti-glioni ; a cura di Marco Ferrari. - Cuneo : L'arcie-re ; Torino : Vivalda, \1993. - 332 p., \6! c. ditav. : ill. ; 20 cm.

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TITOLO: Il giorno delle MésulesAUTORE: Castiglioni, EttoreTRADUTTORE: CURATORE: NOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100744

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LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Sesto, la Meridiana diSesto (Dolomiti di Sesto) e la Val Fiscalina - Vistadal Monte Elmo" di Konrad Petrides (1864-1944). -https://commons.wikimedia.org/wiki/File:150224_Doro-th_Val_Fiscalina_Petrides.jpg - Pubblico Dominio.

TRATTO DA: Il giorno delle Mésules / Ettore Casti-glioni ; a cura di Marco Ferrari. - Cuneo : L'arcie-re ; Torino : Vivalda, \1993. - 332 p., \6! c. ditav. : ill. ; 20 cm.

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CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 18 maggio 2015

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:BIO000000 BIOGRAFIA E AUTOBIOGRAFIA / Generale

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Catia Righi, [email protected] Santamaria

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected] (ODT)Rosario Di Mauro (ePub)Marco Totolo (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected] Santamaria

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Indice generale

Liber Liber......................................................................41931................................................................................71932..............................................................................331933..............................................................................541934..............................................................................771935............................................................................1031936............................................................................1201937............................................................................1441938............................................................................1841939............................................................................2091940............................................................................2341941............................................................................2501942............................................................................2651943............................................................................2941944............................................................................346

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Ettore Castiglioni

IL GIORNO

DELLE MÉSULES

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Ettore Castiglioni

IL GIORNO

DELLE MÉSULES

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1931

Inverno 1931. Cambio forma di diario, anche perchéesternamente questo notes deve essere quanto più possi-bile diverso da quello terminato. Spero e intendo chetanto più sia diverso il contenuto.Scrivo per il lungo e con calligrafia di media grandezza,perché così soprattutto mi trovavo bene in questi ultimitempi, scrivendo sui foglietti di un blocco.Desidero che l'atto materiale dello scrivere mi divenga ilpiù naturale, il più comodo, il più inavvertito possibile,per potermi completamente immedesimare in questenote. La rapidità con cui scrivo mi permette quasi di fis-sare immediatamente il mio pensiero, senza doverlotroppo rallentare per l'atto materiale della mano. Tantopiù immediato quindi ne risulterà lo scritto. Se non fossetale non avrebbe ragione d'essere.

Falsità, falsità. Io sono falso, tutti sono falsi, e tutto ècosì falso, che dubito persino che esista una verità. Misembra che ciascuno si crei una verità a proprio uso econsumo, e in essa credano di individuare la verità asso-luta. Esiste questa realmente, e c'è qualcuno che laveda? O è un miraggio? O esiste solo l'uomo con le suepassioni? Forse la verità è solo nell'istinto brutale, edogni sforzo che l'uomo fa per elevarsi, non è che unamenzogna.

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1931

Inverno 1931. Cambio forma di diario, anche perchéesternamente questo notes deve essere quanto più possi-bile diverso da quello terminato. Spero e intendo chetanto più sia diverso il contenuto.Scrivo per il lungo e con calligrafia di media grandezza,perché così soprattutto mi trovavo bene in questi ultimitempi, scrivendo sui foglietti di un blocco.Desidero che l'atto materiale dello scrivere mi divenga ilpiù naturale, il più comodo, il più inavvertito possibile,per potermi completamente immedesimare in questenote. La rapidità con cui scrivo mi permette quasi di fis-sare immediatamente il mio pensiero, senza doverlotroppo rallentare per l'atto materiale della mano. Tantopiù immediato quindi ne risulterà lo scritto. Se non fossetale non avrebbe ragione d'essere.

Falsità, falsità. Io sono falso, tutti sono falsi, e tutto ècosì falso, che dubito persino che esista una verità. Misembra che ciascuno si crei una verità a proprio uso econsumo, e in essa credano di individuare la verità asso-luta. Esiste questa realmente, e c'è qualcuno che laveda? O è un miraggio? O esiste solo l'uomo con le suepassioni? Forse la verità è solo nell'istinto brutale, edogni sforzo che l'uomo fa per elevarsi, non è che unamenzogna.

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Credo di aver affermato qualche volta che ciascuno sicostruisce da sé il proprio destino. Si direbbe forse me-glio che tutto quello che si attribuisce al destino, dopoun attento esame, si riconosce come opera propria. In-fatti il fatto accidentale e materiale, per sé non ha alcunvalore. Per te acquista un valore esclusivamente in rela-zione al modo come tu lo prendi. Quindi soggettivamen-te il fatto non esiste, ma tu lo crei volontariamente oistintivamente, inconsciamente o perfino tuo malgrado:ma è sempre opera tua. In questo senso il mondo è crea-zione dell'uomo, e ciascuno si crea il suo mondo, diver-so da tutti gli altri sì, ma il solo vero per lui. Ritorniamoperciò a quello che dicevo qualche tempo fa: se non esi-ste la realtà, non può esistere neppure una verità assolu-ta. Ciascuno, come crea la propria realtà, crea la propriaverità e a quella sola crede, quella sola segue.

La libertà è l'unico mezzo per dare all'uomo il senso del-la responsabilità.

Il conoscere si raggiunge assai più attraverso l'amoreche attraverso l'intelligenza.E ancor più la conoscenza di se stessi.

Si arriva così anche alla spiegazione della Religione edella Fede. La Religione è fortemente sentita dai miserie dai deboli, cioè dagli incapaci di crearsi il proprio de-stino, che inventano la Religione per trovare la spiega-zione delle proprie disgrazie (che non hanno il coraggio

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Credo di aver affermato qualche volta che ciascuno sicostruisce da sé il proprio destino. Si direbbe forse me-glio che tutto quello che si attribuisce al destino, dopoun attento esame, si riconosce come opera propria. In-fatti il fatto accidentale e materiale, per sé non ha alcunvalore. Per te acquista un valore esclusivamente in rela-zione al modo come tu lo prendi. Quindi soggettivamen-te il fatto non esiste, ma tu lo crei volontariamente oistintivamente, inconsciamente o perfino tuo malgrado:ma è sempre opera tua. In questo senso il mondo è crea-zione dell'uomo, e ciascuno si crea il suo mondo, diver-so da tutti gli altri sì, ma il solo vero per lui. Ritorniamoperciò a quello che dicevo qualche tempo fa: se non esi-ste la realtà, non può esistere neppure una verità assolu-ta. Ciascuno, come crea la propria realtà, crea la propriaverità e a quella sola crede, quella sola segue.

La libertà è l'unico mezzo per dare all'uomo il senso del-la responsabilità.

Il conoscere si raggiunge assai più attraverso l'amoreche attraverso l'intelligenza.E ancor più la conoscenza di se stessi.

Si arriva così anche alla spiegazione della Religione edella Fede. La Religione è fortemente sentita dai miserie dai deboli, cioè dagli incapaci di crearsi il proprio de-stino, che inventano la Religione per trovare la spiega-zione delle proprie disgrazie (che non hanno il coraggio

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di imputare direttamente a se stessi, quantunque parlinodi castigo divino), e per trovar rassegnazione e conforto(e acquetamento vigliacco) nel pensiero che il male èvoluto da una forza superiore e ineluttabile per ragioniimperscrutabili. Ma la Religione ha avuto anche dei mi-racoli, e il Vangelo insegna che tutto può ottenere chifermamente crede con vera fede. Ma chi crede con fede,anche vuole; e quando la fede arriva al punto di ottenereil miracolo, essa è una ferma convinzione di ottenerlo,cioè la volontà assoluta di raggiungerlo: quindi, se il mi-racolo avviene, non ci sarà bisogno di andar fin nellesfere celesti per ricercarne la spiegazione, poiché la tro-veremo nella volontà dell'individuo, che l'ha voluto el'ha attuato. Certo che al popolo bisognerà predicare laFede per condurlo non solo al Bene, ma all'attuazione diuna volontà così intima: ma il filosofo deve saper rag-giungere i medesimi risultati per via di conoscenza, sen-za bisogno delle fole infantili della Religione.

«Per persuadersi che la morte si può placare, si può in-gannare, si può abolire, l'uomo mise sul volto della mor-te la maschera dell'immortalità dell'anima» (Shaw).

Marzo. Sono in un periodo di monotonia e di lavoroquotidiano. Non ch'io mi senta in letargo o abbattuto,anzi sono ricco di vita e di attività. Ma il lavoro metodi-co per la laurea che mi assorbe quasi interamente, quan-tunque mi interessi abbastanza, lo senta abbastanzacome cosa mia e mi dia una certa soddisfazione, tuttavia

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di imputare direttamente a se stessi, quantunque parlinodi castigo divino), e per trovar rassegnazione e conforto(e acquetamento vigliacco) nel pensiero che il male èvoluto da una forza superiore e ineluttabile per ragioniimperscrutabili. Ma la Religione ha avuto anche dei mi-racoli, e il Vangelo insegna che tutto può ottenere chifermamente crede con vera fede. Ma chi crede con fede,anche vuole; e quando la fede arriva al punto di ottenereil miracolo, essa è una ferma convinzione di ottenerlo,cioè la volontà assoluta di raggiungerlo: quindi, se il mi-racolo avviene, non ci sarà bisogno di andar fin nellesfere celesti per ricercarne la spiegazione, poiché la tro-veremo nella volontà dell'individuo, che l'ha voluto el'ha attuato. Certo che al popolo bisognerà predicare laFede per condurlo non solo al Bene, ma all'attuazione diuna volontà così intima: ma il filosofo deve saper rag-giungere i medesimi risultati per via di conoscenza, sen-za bisogno delle fole infantili della Religione.

«Per persuadersi che la morte si può placare, si può in-gannare, si può abolire, l'uomo mise sul volto della mor-te la maschera dell'immortalità dell'anima» (Shaw).

Marzo. Sono in un periodo di monotonia e di lavoroquotidiano. Non ch'io mi senta in letargo o abbattuto,anzi sono ricco di vita e di attività. Ma il lavoro metodi-co per la laurea che mi assorbe quasi interamente, quan-tunque mi interessi abbastanza, lo senta abbastanzacome cosa mia e mi dia una certa soddisfazione, tuttavia

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mi rende una giornata uguale all'altra e mi distoglie dalpensare ad altre cose. Mi perdo in una banale vita dastudente, coi compagni, in scherzi divertimenti tantostupidi con Rusmini.In fondo è una vita abbastanza povera, ma di una pover-tà ingiustificata; ciò che è più grave, perché la colpa èsoltanto mia. Né bastano a renderla ricca i concerti, ilpianoforte (che mi dà moltissimo), o la gita a Bergamodomenica scorsa, dove ho vissuto pienamente una gior-nata di primavera, fra la serenità dell'Amedeo, l'ebbrez-za di Tiepolo, e l'incanto della natura che sboccia nelleprime gemme e nei primi fiori.

Ho finito la laurea (tesi), ho finito tutto quello che vole-vo fare con una puntualità cronometrica. Sono contentodi quest'annata di un'attività ricca, feconda e redditizia:è volata, come sempre i periodi di attività intensa, malascia una traccia solida, che non si perderà.Dopo la parentesi del servizio militare, oggi completa-mente superata ed entrata nel novero delle esperienze equindi della ricchezza, oggi mi trovo nell'atmosfera del-la primavera 1929, ma molto più ricco e molto più soli-do. Con oggi si chiude anche questo periodo della miavita: i mesi di preparazione agli esami non contano: imesi di montagna debbono portarmi alla completa affer-mazione di me stesso. Con quella sicurezza sempre vit-toriosa, andrò a Genova a conquistarmi la vita, a co-struirmi la vita mia, per cui ormai credo di essere matu-ro. Le esperienze in tutte le direzioni compiute in questi

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mi rende una giornata uguale all'altra e mi distoglie dalpensare ad altre cose. Mi perdo in una banale vita dastudente, coi compagni, in scherzi divertimenti tantostupidi con Rusmini.In fondo è una vita abbastanza povera, ma di una pover-tà ingiustificata; ciò che è più grave, perché la colpa èsoltanto mia. Né bastano a renderla ricca i concerti, ilpianoforte (che mi dà moltissimo), o la gita a Bergamodomenica scorsa, dove ho vissuto pienamente una gior-nata di primavera, fra la serenità dell'Amedeo, l'ebbrez-za di Tiepolo, e l'incanto della natura che sboccia nelleprime gemme e nei primi fiori.

Ho finito la laurea (tesi), ho finito tutto quello che vole-vo fare con una puntualità cronometrica. Sono contentodi quest'annata di un'attività ricca, feconda e redditizia:è volata, come sempre i periodi di attività intensa, malascia una traccia solida, che non si perderà.Dopo la parentesi del servizio militare, oggi completa-mente superata ed entrata nel novero delle esperienze equindi della ricchezza, oggi mi trovo nell'atmosfera del-la primavera 1929, ma molto più ricco e molto più soli-do. Con oggi si chiude anche questo periodo della miavita: i mesi di preparazione agli esami non contano: imesi di montagna debbono portarmi alla completa affer-mazione di me stesso. Con quella sicurezza sempre vit-toriosa, andrò a Genova a conquistarmi la vita, a co-struirmi la vita mia, per cui ormai credo di essere matu-ro. Le esperienze in tutte le direzioni compiute in questi

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medesimi anni, mi permettono oggi di raccogliere lefila, di gettare tutto quello che non mi serve, e di orien-tarmi decisamente per un'unica via. Ma questa dovrà as-solutamente esser tutta mia, esclusivamente mia.

Domani parto per Parigi. Sono pieno di entusiasmo e diorgasmo per questo viaggio. Sarà un viaggio molto riccoperché mi sento tutto aperto con una sensibilità intellet-tuale pronta in tutte le direzioni, aderente ad ogni fontedi emozione.

Aprile. Oggi sono andato in montagna: ma non più asciare: nella mia montagna. Il riabbracciare così subitola prima gita in montagna dell'annata al viaggio a Parigi,è stata una cosa molto bella, perché ha fuso un'attivitàspirituale con l'altra, senza lasciar un attimo di rallenta-mento in questa magnifica intensità di vita. E questagiornata l'ho proprio vissuta. C'era neve fin sotto i PianiResinelli, tutto il giorno non ha fatto che piovere e nevi-care, con un vento gelido: nel nebbione più fitto siamosaliti fino all'attacco dei Magnaghi, senza trovarli, o me-glio senza cercarli, perché in quella condizione era im-possibile far roccia: hanno servito solo di pretesto aduna passeggiata. Eppure, superato il primo momento diingranchimento e di fatica nella salita, ho sentito quasile membra disciogliersi dal torpore, i muscoli distender-si, e tutto ardente balzavo senza fatica su per questi ertipendii carichi di neve fradicia, che immollava i calzonifino a tutta la gamba, mi inerpicavo per roccette affilate,

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medesimi anni, mi permettono oggi di raccogliere lefila, di gettare tutto quello che non mi serve, e di orien-tarmi decisamente per un'unica via. Ma questa dovrà as-solutamente esser tutta mia, esclusivamente mia.

Domani parto per Parigi. Sono pieno di entusiasmo e diorgasmo per questo viaggio. Sarà un viaggio molto riccoperché mi sento tutto aperto con una sensibilità intellet-tuale pronta in tutte le direzioni, aderente ad ogni fontedi emozione.

Aprile. Oggi sono andato in montagna: ma non più asciare: nella mia montagna. Il riabbracciare così subitola prima gita in montagna dell'annata al viaggio a Parigi,è stata una cosa molto bella, perché ha fuso un'attivitàspirituale con l'altra, senza lasciar un attimo di rallenta-mento in questa magnifica intensità di vita. E questagiornata l'ho proprio vissuta. C'era neve fin sotto i PianiResinelli, tutto il giorno non ha fatto che piovere e nevi-care, con un vento gelido: nel nebbione più fitto siamosaliti fino all'attacco dei Magnaghi, senza trovarli, o me-glio senza cercarli, perché in quella condizione era im-possibile far roccia: hanno servito solo di pretesto aduna passeggiata. Eppure, superato il primo momento diingranchimento e di fatica nella salita, ho sentito quasile membra disciogliersi dal torpore, i muscoli distender-si, e tutto ardente balzavo senza fatica su per questi ertipendii carichi di neve fradicia, che immollava i calzonifino a tutta la gamba, mi inerpicavo per roccette affilate,

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per nulla messo a disagio dalla neve che le ricopriva. Néil pessimo tempo, né il bagnato, né il freddo, né il geloalle mani, nulla ha potuto smorzare quella gioia di vitadi cui godevo fisicamente e spiritualmente. Se non hofatto roccia non importa: ho vissuto la mia montagna.

Maggio. Ho cominciato la stagione alpinistica con unasalita condotta con decisione, volontà e autorità. Laspaccatura Dones nei Torrioni Magnaghi, liscia, bagnatae viscida, mi ha imposto uno sforzo notevole; ma l'hoattaccata deciso, e, quantunque Gilberti continuasse adinsistere perch'io ritornassi, mai un momento ho pensatoal ritorno. Poco allenato, faticavo molto: son salito sem-pre d'autorità: ma con quella autorità che è la vera vo-lontà di conquista, che è la condizione prima di tutte levittorie.

Bella gita quella al Montanaia, in cui mi sono abbando-nato completamente alla deriva in un'avventura non mia,ma che ho goduto pienamente, pur in modo completa-mente passivo. Aderenza continua, dalla compagnia diGilberti, inesauribile di risorse, alle cittadine del Veneto,alla selvaggia Val Cellina, ai boschi di Val Cimoliana.Di nuovo a un rifugio, davanti ad un fuoco all'aperto, abere la vita a pieni sorsi come al rifugio Padova il no-vembre scorso. Valle deserta, natura selvaggia, contattocon la natura e con la croda. Lo strapiombo del Monta-naia mi era completamente indifferente: non mi interes-sava e lo consideravo puramente uno scherzo con cui pi-

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per nulla messo a disagio dalla neve che le ricopriva. Néil pessimo tempo, né il bagnato, né il freddo, né il geloalle mani, nulla ha potuto smorzare quella gioia di vitadi cui godevo fisicamente e spiritualmente. Se non hofatto roccia non importa: ho vissuto la mia montagna.

Maggio. Ho cominciato la stagione alpinistica con unasalita condotta con decisione, volontà e autorità. Laspaccatura Dones nei Torrioni Magnaghi, liscia, bagnatae viscida, mi ha imposto uno sforzo notevole; ma l'hoattaccata deciso, e, quantunque Gilberti continuasse adinsistere perch'io ritornassi, mai un momento ho pensatoal ritorno. Poco allenato, faticavo molto: son salito sem-pre d'autorità: ma con quella autorità che è la vera vo-lontà di conquista, che è la condizione prima di tutte levittorie.

Bella gita quella al Montanaia, in cui mi sono abbando-nato completamente alla deriva in un'avventura non mia,ma che ho goduto pienamente, pur in modo completa-mente passivo. Aderenza continua, dalla compagnia diGilberti, inesauribile di risorse, alle cittadine del Veneto,alla selvaggia Val Cellina, ai boschi di Val Cimoliana.Di nuovo a un rifugio, davanti ad un fuoco all'aperto, abere la vita a pieni sorsi come al rifugio Padova il no-vembre scorso. Valle deserta, natura selvaggia, contattocon la natura e con la croda. Lo strapiombo del Monta-naia mi era completamente indifferente: non mi interes-sava e lo consideravo puramente uno scherzo con cui pi-

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gliavo in giro la gente. Solo la decisione e la fermezzacon cui Gilberti si è gettato nel tentativo finale, e l'auto-rità con cui ha raggiunto lo spigolo, mi hanno dato ilfremito dell'arrampicata. Avrei voluto fare qualche cosaanch'io, ed ero pentito di esser stato lì tutto il tempo afar niente o a far tentativi senza convinzione. Sono sali-to un tratto per recuperare le corde lasciate da Gilberti:ho avuto per un attimo la tentazione di proseguire, di sa-lire lo spigolo e completare la vittoria. Ma perché l'avreifatto? Non era la montagna che m'attirava, quello era unmuro assurdo: era uno spirito di emulazione sportiva,era l'ambiente di conquistarsi una gloria a buon mercato,a spese di Gilberti: no, malgrado tutto sono ancora alpi-nista, malgrado tutto, almeno in montagna, sono ancoraonesto. E quella croda mi ha insegnato a respingerel'ambizione e la vanità, a respingere l'ipocrisia: almenodi fronte alla montagna essere ancora puro e sincero.E tale ho saputo conservarmi anche questa volta, poichého dato quel che dovevo dare, ma avendo lasciato aglialtri il risultato, il mio nome non figura in questa pa-gliaccesca impresa.Bisogna che tutta la mia vita divenga una croda. Solocosì la potrò conquistare, solo così la saprò conquistaredegnamente.Ma in pianura non ho volontà. Vado alla deriva conun'infingardaggine e un'incoscienza ripugnante.

Concarena magnifico paretone, di una levigatezza estre-ma è quella roccia liscia che mi appassiona. Ho fatto il

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gliavo in giro la gente. Solo la decisione e la fermezzacon cui Gilberti si è gettato nel tentativo finale, e l'auto-rità con cui ha raggiunto lo spigolo, mi hanno dato ilfremito dell'arrampicata. Avrei voluto fare qualche cosaanch'io, ed ero pentito di esser stato lì tutto il tempo afar niente o a far tentativi senza convinzione. Sono sali-to un tratto per recuperare le corde lasciate da Gilberti:ho avuto per un attimo la tentazione di proseguire, di sa-lire lo spigolo e completare la vittoria. Ma perché l'avreifatto? Non era la montagna che m'attirava, quello era unmuro assurdo: era uno spirito di emulazione sportiva,era l'ambiente di conquistarsi una gloria a buon mercato,a spese di Gilberti: no, malgrado tutto sono ancora alpi-nista, malgrado tutto, almeno in montagna, sono ancoraonesto. E quella croda mi ha insegnato a respingerel'ambizione e la vanità, a respingere l'ipocrisia: almenodi fronte alla montagna essere ancora puro e sincero.E tale ho saputo conservarmi anche questa volta, poichého dato quel che dovevo dare, ma avendo lasciato aglialtri il risultato, il mio nome non figura in questa pa-gliaccesca impresa.Bisogna che tutta la mia vita divenga una croda. Solocosì la potrò conquistare, solo così la saprò conquistaredegnamente.Ma in pianura non ho volontà. Vado alla deriva conun'infingardaggine e un'incoscienza ripugnante.

Concarena magnifico paretone, di una levigatezza estre-ma è quella roccia liscia che mi appassiona. Ho fatto il

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mio primo volo, veramente comico nel risultato, masono stato trattenuto per miracolo. È un avvertimento?Può darsi, ma io non ho nessuna intenzione di cambiarstrada: vado riacquistando lo stile, la tecnica e la sicu-rezza del 1929: e queste tre condizioni, unite alla miavolontà, mi porteranno sempre più in alto, a dispetto ditutti i voli. E lo vorrò proprio provare sulla Concarena,che questa volta mi ha respinto (ma non ne sono convin-to) ma un'altra cederà. Il cammino della mia volontà nonpuò trovare ostacoli.

«La violenza può esser la grande ostetrica della storia,per liberare, nell'estremo momento rivoluzionario, ilnuovo organismo sociale, già formato nel seno dellavecchia società, dagli ultimi impacci del passato, manon può elevarsi a forza normale e procreatrice dellastoria» (Carlo Marx).

Giugno. Zuccon di Campelli – Salita condotta con auto-rità e con baldanza, con spirito di lotta cavalleresca, sen-za concessioni vili. Ho superato direttamente uno stra-piombo difficilissimo, mentre a pochi metri c'era unavia facile, perché di lì dovevo passare una volta che ave-vo scelto quella via. Agli altri ho detto che lo facevo perallenamento, ma io lo sentivo veramente come bisognodi onestà, di rettitudine, di verticalità.

«L'essenza stessa dell'alpinismo consiste nell'uguagliarel'abilità dell'alpinista alle difficoltà opposte dalla monta-

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mio primo volo, veramente comico nel risultato, masono stato trattenuto per miracolo. È un avvertimento?Può darsi, ma io non ho nessuna intenzione di cambiarstrada: vado riacquistando lo stile, la tecnica e la sicu-rezza del 1929: e queste tre condizioni, unite alla miavolontà, mi porteranno sempre più in alto, a dispetto ditutti i voli. E lo vorrò proprio provare sulla Concarena,che questa volta mi ha respinto (ma non ne sono convin-to) ma un'altra cederà. Il cammino della mia volontà nonpuò trovare ostacoli.

«La violenza può esser la grande ostetrica della storia,per liberare, nell'estremo momento rivoluzionario, ilnuovo organismo sociale, già formato nel seno dellavecchia società, dagli ultimi impacci del passato, manon può elevarsi a forza normale e procreatrice dellastoria» (Carlo Marx).

Giugno. Zuccon di Campelli – Salita condotta con auto-rità e con baldanza, con spirito di lotta cavalleresca, sen-za concessioni vili. Ho superato direttamente uno stra-piombo difficilissimo, mentre a pochi metri c'era unavia facile, perché di lì dovevo passare una volta che ave-vo scelto quella via. Agli altri ho detto che lo facevo perallenamento, ma io lo sentivo veramente come bisognodi onestà, di rettitudine, di verticalità.

«L'essenza stessa dell'alpinismo consiste nell'uguagliarel'abilità dell'alpinista alle difficoltà opposte dalla monta-

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gna» (Mummery). È perfettamente vero. Ma la defini-zione non è sufficiente, perché guarda l'alpinismo dallato puramente fisico, materiale del godimento momen-taneo dell'ascensione vissuta, ma trascura l'aspetto idea-le, pur esso fondamentale, e più duraturo nel vero alpi-nismo.

Luglio. Intensità di vita peregrinando per i selvaggi val-loni delle Alpi Giulie, in intimo e pieno contatto con lanatura. Partivo da solo, non sapevo dove andavo: pren-devo una strada e la seguivo alla ventura. E così vivevodella vita più piena, più pura, più giovanile.Oggi la laurea. Volevo 110 e sapevo che il mio lavoro lomeritava, ma sapevo anche che per qualche motivo nonl'avrei raggiunto.La discussione brillantissima tuttavia mi ha dato moltasoddisfazione.Così ho chiuso, credo per sempre, i miei studi "ufficiali"cioè quegli studi che annoiano, pesano e non rendononiente. Il solo lavoro di laurea mi ha dato un po' di sod-disfazione, perché lavorandoci son riuscito a sentirlo ve-ramente come cosa mia. I molti problemi cui mi sonotrovato di fronte sono stati altrettanti strapiombi, chehanno resa bella e ricca l'ascensione. Ora più grandistrapiombi mi attendono. Ma la vita di crode che mi ri-prometto di condurre quest'estate mi saprà dare la forzae la sicurezza in me stesso, che mi permetterà di supera-re, come sempre, ogni difficoltà con baldanza trionfale.

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gna» (Mummery). È perfettamente vero. Ma la defini-zione non è sufficiente, perché guarda l'alpinismo dallato puramente fisico, materiale del godimento momen-taneo dell'ascensione vissuta, ma trascura l'aspetto idea-le, pur esso fondamentale, e più duraturo nel vero alpi-nismo.

Luglio. Intensità di vita peregrinando per i selvaggi val-loni delle Alpi Giulie, in intimo e pieno contatto con lanatura. Partivo da solo, non sapevo dove andavo: pren-devo una strada e la seguivo alla ventura. E così vivevodella vita più piena, più pura, più giovanile.Oggi la laurea. Volevo 110 e sapevo che il mio lavoro lomeritava, ma sapevo anche che per qualche motivo nonl'avrei raggiunto.La discussione brillantissima tuttavia mi ha dato moltasoddisfazione.Così ho chiuso, credo per sempre, i miei studi "ufficiali"cioè quegli studi che annoiano, pesano e non rendononiente. Il solo lavoro di laurea mi ha dato un po' di sod-disfazione, perché lavorandoci son riuscito a sentirlo ve-ramente come cosa mia. I molti problemi cui mi sonotrovato di fronte sono stati altrettanti strapiombi, chehanno resa bella e ricca l'ascensione. Ora più grandistrapiombi mi attendono. Ma la vita di crode che mi ri-prometto di condurre quest'estate mi saprà dare la forzae la sicurezza in me stesso, che mi permetterà di supera-re, come sempre, ogni difficoltà con baldanza trionfale.

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Sono di una forza, come forse non sono mai stato, forzache ritrovo tutta in me, e che mi porta sempre più in altoin questa trasparente atmosfera irradiata di sole, laceratadi crode, profumata di fiori e di pascoli. L'impresa delSorapìss è stata una lotta durata col massimo impegno econ costante incertezza dell'esito, per tutta una giornata,contro difficoltà a me quasi ignote. Eppure ho lottatocon volontà ferrea, senza un attimo di dubbio o di debo-lezza, per nulla smorzata dal lungo scalinare di seracchicol martello da roccia, dalla doccia gelida, dalla rocciamarcia, dalla notte che si approssimava. Neppure l'estre-ma demoralizzazione di Ravà, che certo non mi celava ilsuo stato d'animo, ha potuto far breccia nel mio spirito,che fino all'ultimo è rimasto inalterato e integro nellasua forza. La stessa decisione si è manifestatanell'avventurosa discesa dalla Guglia De Amicis.Tecnicamente invece non ho ancora ritrovato la formadel 1929: procedo sicuro, ma l'esposizione mi fa ancorapaura, invece di darmi gioia, come allora. È per questoche esito un po' a buttarmi in imprese serie, che forse lamia tecnica oggi mi permetterebbe di superare brillante-mente.Lo spigolo della Torre Sorapìss è stato condotto con vo-lontà e decisione, l'ultima difficoltà, veramente seria, èstata presa d'assalto senza un attimo di esitazione, conquella volontà potente, che sempre conduce a trionfare.Anche oggi all'attacco della via Dülfer alla Cima Ovestdi Lavaredo, il mio spirito trionfante era già lanciato enon voleva piegarsi di fronte al ghiaccio, ai sassi e ai pe-

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Sono di una forza, come forse non sono mai stato, forzache ritrovo tutta in me, e che mi porta sempre più in altoin questa trasparente atmosfera irradiata di sole, laceratadi crode, profumata di fiori e di pascoli. L'impresa delSorapìss è stata una lotta durata col massimo impegno econ costante incertezza dell'esito, per tutta una giornata,contro difficoltà a me quasi ignote. Eppure ho lottatocon volontà ferrea, senza un attimo di dubbio o di debo-lezza, per nulla smorzata dal lungo scalinare di seracchicol martello da roccia, dalla doccia gelida, dalla rocciamarcia, dalla notte che si approssimava. Neppure l'estre-ma demoralizzazione di Ravà, che certo non mi celava ilsuo stato d'animo, ha potuto far breccia nel mio spirito,che fino all'ultimo è rimasto inalterato e integro nellasua forza. La stessa decisione si è manifestatanell'avventurosa discesa dalla Guglia De Amicis.Tecnicamente invece non ho ancora ritrovato la formadel 1929: procedo sicuro, ma l'esposizione mi fa ancorapaura, invece di darmi gioia, come allora. È per questoche esito un po' a buttarmi in imprese serie, che forse lamia tecnica oggi mi permetterebbe di superare brillante-mente.Lo spigolo della Torre Sorapìss è stato condotto con vo-lontà e decisione, l'ultima difficoltà, veramente seria, èstata presa d'assalto senza un attimo di esitazione, conquella volontà potente, che sempre conduce a trionfare.Anche oggi all'attacco della via Dülfer alla Cima Ovestdi Lavaredo, il mio spirito trionfante era già lanciato enon voleva piegarsi di fronte al ghiaccio, ai sassi e ai pe-

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ricoli obiettivi. Solo il comando imperioso della ragio-ne, che logicamente mi proibiva di buttarmi inutilmentecontro pericoli obiettivi, ha potuto piegare il mio grandedesiderio di lotta, e ha potuto farmi abbandonare, con-trariamente alla mia abitudine e al mio impulso, la lottagià ingaggiata.Ma l'impresa alpinistica non esaurisce la mia attivitàspirituale, anzi ne è solo una piccola parte. Mai forsecome in questi giorni in così intima comunione con lanatura e con la croda, mai forse la mia sensibilità ha vi-brato così all'unisono con ogni sfumatura di luce e di co-lore, mai l'avventura dell'Ulisse dantesco è stata rivissu-ta così profondamente.La vita nel rifugio, lontano da ogni preoccupazione e daogni contatto con la vita quotidiana, contribuisce a ren-dere più felice questo stato di grazia spirituale. In alto,in alto, e sempre più in alto. La montagna, come supre-ma espressione della natura, è purità e purificazione.

10 settembre. Il senso della sicurezza l'ho conquistatofacendo la traversata della Piccola. Tanto che baldanzo-samente e con assoluta sicurezza ho affrontato la viaStösser sulla Cima Grande, e solo per convenienza holasciato a Carlesso il piacere di fare il capocordata. Ladiscesa si è effettuata di corsa e di salti con una agilitàdi cui non sono più stato capace le altre volte. La viaStösser sulla Tofana è stata attaccata con entusiasmo edecisione, è stata goduta in tutta la sua bellezza e con lasua assoluta verticalità, ma non è stata cosa mia: io mi

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ricoli obiettivi. Solo il comando imperioso della ragio-ne, che logicamente mi proibiva di buttarmi inutilmentecontro pericoli obiettivi, ha potuto piegare il mio grandedesiderio di lotta, e ha potuto farmi abbandonare, con-trariamente alla mia abitudine e al mio impulso, la lottagià ingaggiata.Ma l'impresa alpinistica non esaurisce la mia attivitàspirituale, anzi ne è solo una piccola parte. Mai forsecome in questi giorni in così intima comunione con lanatura e con la croda, mai forse la mia sensibilità ha vi-brato così all'unisono con ogni sfumatura di luce e di co-lore, mai l'avventura dell'Ulisse dantesco è stata rivissu-ta così profondamente.La vita nel rifugio, lontano da ogni preoccupazione e daogni contatto con la vita quotidiana, contribuisce a ren-dere più felice questo stato di grazia spirituale. In alto,in alto, e sempre più in alto. La montagna, come supre-ma espressione della natura, è purità e purificazione.

10 settembre. Il senso della sicurezza l'ho conquistatofacendo la traversata della Piccola. Tanto che baldanzo-samente e con assoluta sicurezza ho affrontato la viaStösser sulla Cima Grande, e solo per convenienza holasciato a Carlesso il piacere di fare il capocordata. Ladiscesa si è effettuata di corsa e di salti con una agilitàdi cui non sono più stato capace le altre volte. La viaStösser sulla Tofana è stata attaccata con entusiasmo edecisione, è stata goduta in tutta la sua bellezza e con lasua assoluta verticalità, ma non è stata cosa mia: io mi

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sentivo un po' invitato per portare il sacco. L'ascensioneè stata esclusivamente di Carlesso.Assai peggio è andata sulla Civetta. L'ho attaccata bal-danzosamente credendo di trovare difficoltà inferiorialla Tofana, secondo quanto avevano detto i Dimai; unosforzo estremo per tenermi attaccato, sulla terra rossadell'attacco, mi ha come paralizzato la mano sinistra to-gliendomi ogni possibilità di presa.L'attacco e tutta la prima parte è stato un disastro, se nonson ritornato è stato proprio per Gilberti, che procedevain modo veramente trionfale superando difficoltà estre-me una dietro l'altra, senza dar segni di esitazione e distanchezza. Durante la salita sono andato un po' rimet-tendomi, ma in ogni passaggio che richiedesse forza dimani, mi trovavo terribilmente imbarazzato. Afferravogli appigli, sapevo benissimo che in condizioni normaliavrei superato il passaggio senza l'aiuto della corda, mami mancava la forza di tirarmi su. In queste condizioni,l'ascensione era sofferenza, non godimento: era un sacri-ficio al dovere di seguir Gilberti, per mantenere una pa-rola, per permettergli di compiere quell'ascensione chelui desiderava. Attaccavo i passi difficili con un veroterrore, sapendo lo sforzo estremo che mi costavano, senon volevo restar proprio appeso alla corda. Sono arri-vato in cima sfinito, e, per la prima volta in tutta la miacarriera alpinistica, non ho provato alcuna soddisfazioneper l'impresa compiuta, ma solo la contentezza di averfinito un lavoro tormentoso.Il mio livello massimo è il 5° grado ed è in una salita di

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sentivo un po' invitato per portare il sacco. L'ascensioneè stata esclusivamente di Carlesso.Assai peggio è andata sulla Civetta. L'ho attaccata bal-danzosamente credendo di trovare difficoltà inferiorialla Tofana, secondo quanto avevano detto i Dimai; unosforzo estremo per tenermi attaccato, sulla terra rossadell'attacco, mi ha come paralizzato la mano sinistra to-gliendomi ogni possibilità di presa.L'attacco e tutta la prima parte è stato un disastro, se nonson ritornato è stato proprio per Gilberti, che procedevain modo veramente trionfale superando difficoltà estre-me una dietro l'altra, senza dar segni di esitazione e distanchezza. Durante la salita sono andato un po' rimet-tendomi, ma in ogni passaggio che richiedesse forza dimani, mi trovavo terribilmente imbarazzato. Afferravogli appigli, sapevo benissimo che in condizioni normaliavrei superato il passaggio senza l'aiuto della corda, mami mancava la forza di tirarmi su. In queste condizioni,l'ascensione era sofferenza, non godimento: era un sacri-ficio al dovere di seguir Gilberti, per mantenere una pa-rola, per permettergli di compiere quell'ascensione chelui desiderava. Attaccavo i passi difficili con un veroterrore, sapendo lo sforzo estremo che mi costavano, senon volevo restar proprio appeso alla corda. Sono arri-vato in cima sfinito, e, per la prima volta in tutta la miacarriera alpinistica, non ho provato alcuna soddisfazioneper l'impresa compiuta, ma solo la contentezza di averfinito un lavoro tormentoso.Il mio livello massimo è il 5° grado ed è in una salita di

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4° e 5° grado che trovo il vero godimento dell'arrampi-cata. Nelle salite fatte con Manlio, infatti e ancora piùcon Bramani ho ritrovato il maggior godimento: salitecondotte con lo spirito del 1929, con sicurezza assoluta,con perfetta padronanza della tecnica, che mi permette-va di sentirmi completamente a mio agio in qualsiasipassaggio. Solo così si gode l'arrampicata, e questa èfine a se stessa. Fino al 5° grado si arrampica per il go-dimento di arrampicare: il 6° grado si fa per l'ambizionedi superare quella determinata difficoltà. Il vero alpini-smo si arresta al 5° grado: e al 5° grado si è arrestato ilpiù grande alpinista Paul Preuss.Anche il Mangart non era mio: era esclusivamente diGilberti. Eppure là ho partecipato anch'io all'assalto contutta la mia decisione: perfettamente a posto e sicuro, hopotuto essere per Celso il compagno di cordata, che, purrimanendo sempre secondo, prende parte attivaall'impresa. E così è stato goduto intensamente in tuttal'eleganza dei suoi passaggi sulle placche lisce e sullefessure alla Dülfer.Ed è venuta la volta anche della Busazza: il mio sognocosì lungamente accarezzato si è realizzato, e nel mi-gliore dei modi. Questa volta l'ascensione era mia comeil Mangart era di Gilberti. Ho lasciato andare avanti Cel-so, perché ormai è logico che vada avanti lui: ma hocompiuto la salita con tale sicurezza e senza un solo atti-mo di esitazione, che posso ben credere che l'avrei com-piuta anche come capocordata. Inoltre con Celso ho ri-trovato quell'affiatamento e quella perfetta fusione di

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4° e 5° grado che trovo il vero godimento dell'arrampi-cata. Nelle salite fatte con Manlio, infatti e ancora piùcon Bramani ho ritrovato il maggior godimento: salitecondotte con lo spirito del 1929, con sicurezza assoluta,con perfetta padronanza della tecnica, che mi permette-va di sentirmi completamente a mio agio in qualsiasipassaggio. Solo così si gode l'arrampicata, e questa èfine a se stessa. Fino al 5° grado si arrampica per il go-dimento di arrampicare: il 6° grado si fa per l'ambizionedi superare quella determinata difficoltà. Il vero alpini-smo si arresta al 5° grado: e al 5° grado si è arrestato ilpiù grande alpinista Paul Preuss.Anche il Mangart non era mio: era esclusivamente diGilberti. Eppure là ho partecipato anch'io all'assalto contutta la mia decisione: perfettamente a posto e sicuro, hopotuto essere per Celso il compagno di cordata, che, purrimanendo sempre secondo, prende parte attivaall'impresa. E così è stato goduto intensamente in tuttal'eleganza dei suoi passaggi sulle placche lisce e sullefessure alla Dülfer.Ed è venuta la volta anche della Busazza: il mio sognocosì lungamente accarezzato si è realizzato, e nel mi-gliore dei modi. Questa volta l'ascensione era mia comeil Mangart era di Gilberti. Ho lasciato andare avanti Cel-so, perché ormai è logico che vada avanti lui: ma hocompiuto la salita con tale sicurezza e senza un solo atti-mo di esitazione, che posso ben credere che l'avrei com-piuta anche come capocordata. Inoltre con Celso ho ri-trovato quell'affiatamento e quella perfetta fusione di

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anime e di volontà, come forse non avevo più ritrovatodopo la Presolana. E questo è forse stato il fattore primoche mi ha permesso di godere così intensamente quellasalita così mia, e ci ha permesso di condurla a termine inun modo così deciso e trionfale. Celso, commentando ilbreve tempo impiegato, diceva: «Siamo andati di corsa,senza mai fermarci: non so qual diavolo ci corresse die-tro». Quel diavolo era l'ardore delle nostre anime che vi-bravano all'unisono.Due giorni dopo siamo andati all'attacco della CrodaMarcora, senza voglia e senza aderenza: fosse stanchez-za, o fosse (più probabilmente) la presenza di due estra-nei come Gasparotto e Niccoloso, il nostro spirito era ir-riconoscibile; nessuna volontà, nessuna decisione, appe-na vista la parete Celso ha cominciato a dir che gli pare-va impossibile: non siamo neppur arrivati all'attacco, ene abbiamo dichiarato l'impossibilità, quantunque tantoio che Gilberti fossimo convinti del contrario (la pareteinfatti è stata salita una settimana dopo dai Dimai). È laprima volta che ci capita un simile caso di vigliaccheria,veramente incomprensibile in una cordata come quellache aveva fatto la Busazza. È bastata la presenza di unestraneo, perché l'incanto fosse rotto, la nostra forza di-strutta. Ecco un'altra prova che l'alpinismo è un fenome-no esclusivamente morale e spirituale.Ho rifiutato di tornare alla Guglia De Amicis, perché lasuperba campagna di quest'anno trovava il suo più de-gno coronamento nella salita della Busazza.

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anime e di volontà, come forse non avevo più ritrovatodopo la Presolana. E questo è forse stato il fattore primoche mi ha permesso di godere così intensamente quellasalita così mia, e ci ha permesso di condurla a termine inun modo così deciso e trionfale. Celso, commentando ilbreve tempo impiegato, diceva: «Siamo andati di corsa,senza mai fermarci: non so qual diavolo ci corresse die-tro». Quel diavolo era l'ardore delle nostre anime che vi-bravano all'unisono.Due giorni dopo siamo andati all'attacco della CrodaMarcora, senza voglia e senza aderenza: fosse stanchez-za, o fosse (più probabilmente) la presenza di due estra-nei come Gasparotto e Niccoloso, il nostro spirito era ir-riconoscibile; nessuna volontà, nessuna decisione, appe-na vista la parete Celso ha cominciato a dir che gli pare-va impossibile: non siamo neppur arrivati all'attacco, ene abbiamo dichiarato l'impossibilità, quantunque tantoio che Gilberti fossimo convinti del contrario (la pareteinfatti è stata salita una settimana dopo dai Dimai). È laprima volta che ci capita un simile caso di vigliaccheria,veramente incomprensibile in una cordata come quellache aveva fatto la Busazza. È bastata la presenza di unestraneo, perché l'incanto fosse rotto, la nostra forza di-strutta. Ecco un'altra prova che l'alpinismo è un fenome-no esclusivamente morale e spirituale.Ho rifiutato di tornare alla Guglia De Amicis, perché lasuperba campagna di quest'anno trovava il suo più de-gno coronamento nella salita della Busazza.

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Ritorno a Milano attraverso la Germania. L'automobilecorre veloce, dando una visione cinematografica deiluoghi che attraverso: le visioni si rincorrono, sfuggono;svaniscono le immagini, restano solo, vivissime, le im-pressioni. Le ampie vallate della Rienza e dell'Inn; losvarieggiar di colori e di forme a Vipiteno e a Innsbruck,vera espressione folkloristica tirolese; lo splendido pae-saggio bavarese a laghi e boschi e colline, con le lineenette e precise, coi colori carichi, ma gelidi dei tetti edei boschi, delle acque e del cielo, che ti fa comprenderenon solo la pittura e l'arte, ma lo stesso spirito tedesco;la miseria di Monaco, in triste contrasto con la ricchezzadel suo passato, la dolce poesia di Lindau, che par cul-larsi all'acqua come un gabbiano; il senso di completorinnovamento e di modernità di vita, di spirito e di cul-tura, senza eccessi, ma con gusto sicuro di Zurigo; il si-gnificativo ritorno in Italia attraverso il nudo e selvaggiopietrame del Gottardo e attraverso i cancelli sbarrati del-la dogana di Chiasso, tutto è trascorso come un sognofugace, che ti lascia più ricco quando ti ridesti, senzache tu sappia renderti conto di cosa sia avvenuto.

Tutta l'estate è stata un'unica grande avventura, ed è sta-ta trascorsa proprio alla ventura: specialmente negli ulti-mi tempi non sapevo mai dove sarei stato all'indomani.Anche il viaggio in Germania, senza guide e senza car-te, a caso senza saper nulla, ha avuto proprio il senso diabbandonarsi ciecamente alla ventura e di accoglierecon sensibilità acuta tutto quello che il caso (e soltanto il

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Ritorno a Milano attraverso la Germania. L'automobilecorre veloce, dando una visione cinematografica deiluoghi che attraverso: le visioni si rincorrono, sfuggono;svaniscono le immagini, restano solo, vivissime, le im-pressioni. Le ampie vallate della Rienza e dell'Inn; losvarieggiar di colori e di forme a Vipiteno e a Innsbruck,vera espressione folkloristica tirolese; lo splendido pae-saggio bavarese a laghi e boschi e colline, con le lineenette e precise, coi colori carichi, ma gelidi dei tetti edei boschi, delle acque e del cielo, che ti fa comprenderenon solo la pittura e l'arte, ma lo stesso spirito tedesco;la miseria di Monaco, in triste contrasto con la ricchezzadel suo passato, la dolce poesia di Lindau, che par cul-larsi all'acqua come un gabbiano; il senso di completorinnovamento e di modernità di vita, di spirito e di cul-tura, senza eccessi, ma con gusto sicuro di Zurigo; il si-gnificativo ritorno in Italia attraverso il nudo e selvaggiopietrame del Gottardo e attraverso i cancelli sbarrati del-la dogana di Chiasso, tutto è trascorso come un sognofugace, che ti lascia più ricco quando ti ridesti, senzache tu sappia renderti conto di cosa sia avvenuto.

Tutta l'estate è stata un'unica grande avventura, ed è sta-ta trascorsa proprio alla ventura: specialmente negli ulti-mi tempi non sapevo mai dove sarei stato all'indomani.Anche il viaggio in Germania, senza guide e senza car-te, a caso senza saper nulla, ha avuto proprio il senso diabbandonarsi ciecamente alla ventura e di accoglierecon sensibilità acuta tutto quello che il caso (e soltanto il

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caso) mi poteva offrire.

Dopo un mese e mezzo di questa vita sentivo la necessi-tà di una sosta. E son venuto in questo Tregnago a cer-care la vita opposta, se vita si può chiamare l'inerzia as-soluta. Con tutta la miglior volontà qui non si riesce afar niente, se non far passeggiate nei campi, giocar coibambini (tutti i nipoti tra i quali Saverio Tutino, in futu-ro suo compagno di cordata) e far chiacchiere. Non sose resisterò molti giorni in questo modo, e se non mipentirò di sprecar le ultime giornate di libertà in unmodo così vuoto. Ma forse è meglio passare un periodocosì opaco prima di andare a Genova per non rinnovarel'esperienza di Moncalieri (servizio militare). Ma questapovertà mi dà un senso di miseria e di ribrezzo.

Ma qui, come già altra volta, ho ritrovato il punto fer-mo. Nella cappella del cimitero (dove è sepolta la ma-dre) ho sentito veramente il mio spirito adagiarsi con unsenso di riposo, nell'unico punto fisso che mi rimangasulla terra. A Milano mi sento sempre di passaggio, an-che quando vi resto per parecchi mesi. Fra le mie crodemi sento a casa mia, ma non sto mai fermo. Qui, dovevengo una volta o due all'anno, trovo il punto d'appog-gio, la base da cui parte per il continuo errare dei rima-nenti 364 giorni.

«La vera felicità è impossibile senza la solitudine». (Ce-chov)

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caso) mi poteva offrire.

Dopo un mese e mezzo di questa vita sentivo la necessi-tà di una sosta. E son venuto in questo Tregnago a cer-care la vita opposta, se vita si può chiamare l'inerzia as-soluta. Con tutta la miglior volontà qui non si riesce afar niente, se non far passeggiate nei campi, giocar coibambini (tutti i nipoti tra i quali Saverio Tutino, in futu-ro suo compagno di cordata) e far chiacchiere. Non sose resisterò molti giorni in questo modo, e se non mipentirò di sprecar le ultime giornate di libertà in unmodo così vuoto. Ma forse è meglio passare un periodocosì opaco prima di andare a Genova per non rinnovarel'esperienza di Moncalieri (servizio militare). Ma questapovertà mi dà un senso di miseria e di ribrezzo.

Ma qui, come già altra volta, ho ritrovato il punto fer-mo. Nella cappella del cimitero (dove è sepolta la ma-dre) ho sentito veramente il mio spirito adagiarsi con unsenso di riposo, nell'unico punto fisso che mi rimangasulla terra. A Milano mi sento sempre di passaggio, an-che quando vi resto per parecchi mesi. Fra le mie crodemi sento a casa mia, ma non sto mai fermo. Qui, dovevengo una volta o due all'anno, trovo il punto d'appog-gio, la base da cui parte per il continuo errare dei rima-nenti 364 giorni.

«La vera felicità è impossibile senza la solitudine». (Ce-chov)

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Ottobre, dal treno Verona-Milano. Ho lasciato Tre-gnago, ho lasciato la famiglia, ho lasciato definitiva-mente la vita che avevo condotto finora.A Tregnago ho passato un mese: un mese di ozio e di as-senza di vita vera, un mese vuoto, che viene a costituirela fase di transito, quasi il cuscinetto fra quello che èstata la mia vita e quello che sarà: un cuscinetto atto adattutire gli urti e gli attriti troppo violenti. Un mese di ri-poso necessario, che mi ha reintegrato le energie e mi haacutizzato il bisogno di agire, di vivere, era quello che civoleva, perché mi ha distaccato dalla vita di quest'estate,e mi ha reso possibile di dirigere verso qualsiasi meta lamia volontà di realizzazione. Sono così nelle miglioridisposizioni per affrontare quella che sarà la mia vitaavvenire, per costruirmi la mia vita, il mio destino.Attacco baldanzoso e ricco di energie e di volontà, manon posso nascondermi che l'ignoto di questa vita prati-ca, così lontana dalla mia natura e dal mio essere, in unambiente così estraneo, mi spaventa come cosa in cuinon riesco a veder chiaro. L'unico precedente che ho da-vanti ai miei occhi è l'esperienza di Moncalieri, cioè unfallimento completo. Ma quell'esperienza non dovrà ri-petersi qui. La mia capacità di controllo e di realizzazio-ne pratica deve salvarmi dalla rovina. Il mio primo do-vere è di saper esser sempre io, e di conservarmi fedelea me stesso, creando, se è necessario, una seconda per-sonalità, derivata e limitata, del tutto destinata da me,che agisca come funzionario del Sabaudo.Io posso vendere la mia bestia, per il benessere mio, ma

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Ottobre, dal treno Verona-Milano. Ho lasciato Tre-gnago, ho lasciato la famiglia, ho lasciato definitiva-mente la vita che avevo condotto finora.A Tregnago ho passato un mese: un mese di ozio e di as-senza di vita vera, un mese vuoto, che viene a costituirela fase di transito, quasi il cuscinetto fra quello che èstata la mia vita e quello che sarà: un cuscinetto atto adattutire gli urti e gli attriti troppo violenti. Un mese di ri-poso necessario, che mi ha reintegrato le energie e mi haacutizzato il bisogno di agire, di vivere, era quello che civoleva, perché mi ha distaccato dalla vita di quest'estate,e mi ha reso possibile di dirigere verso qualsiasi meta lamia volontà di realizzazione. Sono così nelle miglioridisposizioni per affrontare quella che sarà la mia vitaavvenire, per costruirmi la mia vita, il mio destino.Attacco baldanzoso e ricco di energie e di volontà, manon posso nascondermi che l'ignoto di questa vita prati-ca, così lontana dalla mia natura e dal mio essere, in unambiente così estraneo, mi spaventa come cosa in cuinon riesco a veder chiaro. L'unico precedente che ho da-vanti ai miei occhi è l'esperienza di Moncalieri, cioè unfallimento completo. Ma quell'esperienza non dovrà ri-petersi qui. La mia capacità di controllo e di realizzazio-ne pratica deve salvarmi dalla rovina. Il mio primo do-vere è di saper esser sempre io, e di conservarmi fedelea me stesso, creando, se è necessario, una seconda per-sonalità, derivata e limitata, del tutto destinata da me,che agisca come funzionario del Sabaudo.Io posso vendere la mia bestia, per il benessere mio, ma

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non debbo giungere per nessun motivo a sacrificare me-nomamente la mia personalità morale e intellettuale.Non perch'io la stimi assolutamente eccezionale, maperché essa appartiene alla Natura e all'Umanità, ed ioposso goderne, ma non posso disporne, sacrificandola,come a Moncalieri, e modificandola in alcun modo. Giàa Moncalieri di fronte ai doveri antitetici verso me stes-so e l'umanità, e verso la Patria e le sue leggi, mi ero po-sto questo problema. Allora si trattava di un periodo re-lativamente breve, da cui certamente avrei saputo risor-gere, e quindi avevo potuto sottomettermi. Oggi trattan-dosi di un impegno che mi legherebbe per tutta la vitaavrei il dovere di ribellarmi.Ma non sarà: ho fede che saprò trovare un indirizzo nel-la medesima direzione del mio cammino, in modo che lamia via non possa che esserne confermata e rafforzata.Ancora una volta la mia volontà deve saper vincere.

Genova. De la Penne (amico di famiglia che ha pro-messo un lavoro per Ettore a Genova) mi ha detto diaspettare ancora qualche tempo. Il rimanere così sospe-so è tempo buttato via: non posso trarne alcun profitto,mentre ora mi trovavo nelle migliori disposizioni per in-traprendere la nuova vita.Sono corso al mare. In uno spiraglio fra due case, si per-deva lontanissimo di color indaco. Sono sceso sulle sco-gliere sotto la strada, per essere a contatto con la suavita. Un acre odore salmastro mi ha colpito improvviso.La massa tutta fremente veniva ad infrangersi ai miei

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non debbo giungere per nessun motivo a sacrificare me-nomamente la mia personalità morale e intellettuale.Non perch'io la stimi assolutamente eccezionale, maperché essa appartiene alla Natura e all'Umanità, ed ioposso goderne, ma non posso disporne, sacrificandola,come a Moncalieri, e modificandola in alcun modo. Giàa Moncalieri di fronte ai doveri antitetici verso me stes-so e l'umanità, e verso la Patria e le sue leggi, mi ero po-sto questo problema. Allora si trattava di un periodo re-lativamente breve, da cui certamente avrei saputo risor-gere, e quindi avevo potuto sottomettermi. Oggi trattan-dosi di un impegno che mi legherebbe per tutta la vitaavrei il dovere di ribellarmi.Ma non sarà: ho fede che saprò trovare un indirizzo nel-la medesima direzione del mio cammino, in modo che lamia via non possa che esserne confermata e rafforzata.Ancora una volta la mia volontà deve saper vincere.

Genova. De la Penne (amico di famiglia che ha pro-messo un lavoro per Ettore a Genova) mi ha detto diaspettare ancora qualche tempo. Il rimanere così sospe-so è tempo buttato via: non posso trarne alcun profitto,mentre ora mi trovavo nelle migliori disposizioni per in-traprendere la nuova vita.Sono corso al mare. In uno spiraglio fra due case, si per-deva lontanissimo di color indaco. Sono sceso sulle sco-gliere sotto la strada, per essere a contatto con la suavita. Un acre odore salmastro mi ha colpito improvviso.La massa tutta fremente veniva ad infrangersi ai miei

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piedi. L'onda avanza, si solleva e si deprime con una po-tenza ineluttabile; e avanza; supera uno scoglio spumeg-giante, e avanza, avanza sempre con un moto costante eimplacabile, come una belva, che non ha bisogno di ac-celerare il passo, già sicura che la preda non gli puòsfuggire. All'ultimo anche l'onda dà un balzo, con unruggito. Giunta presso la scogliera, incontra l'onda chegià vi si è infranta e ritorna: quella che arriva, si erge di-ritta, si impenna come una belva, si incava di sotto, espumeggiando si rovescia, come volesse aggiungere allasua forza l'impeto dell'impennata. Ed ogni onda ripete lostesso movimento, lo stesso balzo, lo stesso ruggito,ogni ora, ogni giorno, ogni anno, sempre.L'uomo resta ipnotizzato: l'occhio segue il movimentoche già conosce, eppure non se ne può staccare, la vedeavvicinarsi con un senso di fatalità, e ne resta avvinto,quasi sgomento, incapace di muoversi, quand'anche sa-pesse che quell'onda che s'avanza verso di lui lo dovràsommergere. Non si ha la percezione che sia acqua, enon ci si chiede neppure che materia sia: non è materia,è l'espressione della forza, della vita, dell'immensità,dell'eterno.Poiché il mare è la più grande espressione di vita.Tutta la Natura è vita, ed è vita la montagna, come lasua più sublime espressione. Ma la montagna è vita inquanto tu gliela dai: la montagna è passiva di fronte a teattivo; quindi la montagna permette a te di esplicare tut-ta la tua vita, ma la vita è sempre tua. Come l'arte è vitasolo in quanto l'artista la crei, ed ogni terzo ricerca

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piedi. L'onda avanza, si solleva e si deprime con una po-tenza ineluttabile; e avanza; supera uno scoglio spumeg-giante, e avanza, avanza sempre con un moto costante eimplacabile, come una belva, che non ha bisogno di ac-celerare il passo, già sicura che la preda non gli puòsfuggire. All'ultimo anche l'onda dà un balzo, con unruggito. Giunta presso la scogliera, incontra l'onda chegià vi si è infranta e ritorna: quella che arriva, si erge di-ritta, si impenna come una belva, si incava di sotto, espumeggiando si rovescia, come volesse aggiungere allasua forza l'impeto dell'impennata. Ed ogni onda ripete lostesso movimento, lo stesso balzo, lo stesso ruggito,ogni ora, ogni giorno, ogni anno, sempre.L'uomo resta ipnotizzato: l'occhio segue il movimentoche già conosce, eppure non se ne può staccare, la vedeavvicinarsi con un senso di fatalità, e ne resta avvinto,quasi sgomento, incapace di muoversi, quand'anche sa-pesse che quell'onda che s'avanza verso di lui lo dovràsommergere. Non si ha la percezione che sia acqua, enon ci si chiede neppure che materia sia: non è materia,è l'espressione della forza, della vita, dell'immensità,dell'eterno.Poiché il mare è la più grande espressione di vita.Tutta la Natura è vita, ed è vita la montagna, come lasua più sublime espressione. Ma la montagna è vita inquanto tu gliela dai: la montagna è passiva di fronte a teattivo; quindi la montagna permette a te di esplicare tut-ta la tua vita, ma la vita è sempre tua. Come l'arte è vitasolo in quanto l'artista la crei, ed ogni terzo ricerca

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nell'opera d'arte la vita dell'artista, non la vita dell'arteper se stessa, che non può essere.Il mare invece è la vita stessa, e dona a te tutta la suaimmensa ricchezza di vita, che mai rallenta e mai si ar-resta. È il mare attivo di fronte a te passivo.La vita della montagna è nella sua conquista: la vita delmare è nell'esserne conquistati. La montagna la puoi an-che guardare e contemplare; anche il mare lo puoi con-templare dal parapetto di un terrazzo o dal ponte di unbastimento; ma allora non è più il mare: ha un ricchissi-mo valore pittorico, ma non si differenzia da un lago, daun prato, da un bosco, da un ghiacciaio. Il vero mare losenti solo da uno scoglio a fior d'acqua o da una piccolabarca: allora lo contempli, perché troppo ti è vicino, malo bevi, lo respiri, a pieni polmoni, ne assorbi tutta lavita col suo eterno rifluire. In tutta l'aria, che spira co-stante, con quell'acre odore di forza, tu senti l'intensitàdella vita: intensità che produce una tensione di nerviquasi spasmodica e voluttuosa ad un tempo, che ti scuo-te, che ti dà vigore e volontà, che ti stanca.E stanco sono ritornato sulla strada a contemplare la di-stesa marina nel suo splendido varieggiare di verdi e diazzurri intensi e di gialli opaci sotto il sole basso, chestava per tuffarsi.

Ottobre. Sento terribilmente il vuoto di questa vitaoziosa. Vado in biblioteca a leggere qualche cosa, pren-do appunti come gli altri anni. Ma mentre lavoro mi do-mando: a cosa serve? Fra qualche tempo andrò a Geno-

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nell'opera d'arte la vita dell'artista, non la vita dell'arteper se stessa, che non può essere.Il mare invece è la vita stessa, e dona a te tutta la suaimmensa ricchezza di vita, che mai rallenta e mai si ar-resta. È il mare attivo di fronte a te passivo.La vita della montagna è nella sua conquista: la vita delmare è nell'esserne conquistati. La montagna la puoi an-che guardare e contemplare; anche il mare lo puoi con-templare dal parapetto di un terrazzo o dal ponte di unbastimento; ma allora non è più il mare: ha un ricchissi-mo valore pittorico, ma non si differenzia da un lago, daun prato, da un bosco, da un ghiacciaio. Il vero mare losenti solo da uno scoglio a fior d'acqua o da una piccolabarca: allora lo contempli, perché troppo ti è vicino, malo bevi, lo respiri, a pieni polmoni, ne assorbi tutta lavita col suo eterno rifluire. In tutta l'aria, che spira co-stante, con quell'acre odore di forza, tu senti l'intensitàdella vita: intensità che produce una tensione di nerviquasi spasmodica e voluttuosa ad un tempo, che ti scuo-te, che ti dà vigore e volontà, che ti stanca.E stanco sono ritornato sulla strada a contemplare la di-stesa marina nel suo splendido varieggiare di verdi e diazzurri intensi e di gialli opaci sotto il sole basso, chestava per tuffarsi.

Ottobre. Sento terribilmente il vuoto di questa vitaoziosa. Vado in biblioteca a leggere qualche cosa, pren-do appunti come gli altri anni. Ma mentre lavoro mi do-mando: a cosa serve? Fra qualche tempo andrò a Geno-

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va ad ingolfarmi in un'attività completamente diversa:quando potrò mai trar partito di questi appunti? Il lavoroquindi ha il solo senso di riempire la giornata oziosa, eper questo lo conduco svogliatamente, senza passione esenza rendimento, vado tardi e vengo via presto col di-sgusto di non aver concluso niente e di non poter con-cludere niente.Oggi mentre leggevo sono stato preso da un tal senso dinoia e di disgusto e da un tale eccitamento nervoso, cheho dovuto alzarmi dal tavolo e andarmene a fare unapasseggiata al Parco a respirare una buon'aria leggera etrasparente.Mi ero proposto di passare a Milano questo periodo diaspettativa (prima di trasferirsi a Genova per lavoro),per non lasciare papà solo anche in quest'ultimo periodoin cui sono libero. Ma realmente la cosa mi diventa tuttii giorni più difficile: questa vita inutile di Milano miesaspera. Finirò per trovare una scusa qualsiasi per par-tire e andarmene in qualche luogo dove eventualmentesi possa star bene anche in ozio, o a far un viaggio, percercare di trarre un profitto di questi ultimi tempi di li-bertà.Quello che mi fa dispetto è proprio questo, che sciupocosì stupidamente queste giornate di libertà assoluta, dicui forse non potrò mai più godere, e che chissà quantorimpiangerò!

Novembre. Ieri ho discusso a lungo con Mazzocchi. Perlui ogni delinquente è un anormale in quanto gli manca

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va ad ingolfarmi in un'attività completamente diversa:quando potrò mai trar partito di questi appunti? Il lavoroquindi ha il solo senso di riempire la giornata oziosa, eper questo lo conduco svogliatamente, senza passione esenza rendimento, vado tardi e vengo via presto col di-sgusto di non aver concluso niente e di non poter con-cludere niente.Oggi mentre leggevo sono stato preso da un tal senso dinoia e di disgusto e da un tale eccitamento nervoso, cheho dovuto alzarmi dal tavolo e andarmene a fare unapasseggiata al Parco a respirare una buon'aria leggera etrasparente.Mi ero proposto di passare a Milano questo periodo diaspettativa (prima di trasferirsi a Genova per lavoro),per non lasciare papà solo anche in quest'ultimo periodoin cui sono libero. Ma realmente la cosa mi diventa tuttii giorni più difficile: questa vita inutile di Milano miesaspera. Finirò per trovare una scusa qualsiasi per par-tire e andarmene in qualche luogo dove eventualmentesi possa star bene anche in ozio, o a far un viaggio, percercare di trarre un profitto di questi ultimi tempi di li-bertà.Quello che mi fa dispetto è proprio questo, che sciupocosì stupidamente queste giornate di libertà assoluta, dicui forse non potrò mai più godere, e che chissà quantorimpiangerò!

Novembre. Ieri ho discusso a lungo con Mazzocchi. Perlui ogni delinquente è un anormale in quanto gli manca

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il senso morale o almeno la capacità di inibirsi il delitto.Io ritengo che il delinquente anormale è un'eccezione ra-rissima, poiché in generale il delinquente in nulla si di-versifica dagli altri uomini, che non hanno commessodelitti, ma che quasi certamente li commetterebbero sesi trovassero nelle medesime circostanze. Perché chia-mare anormali i delinquenti effettivi e normali i delin-quenti potenziali? Quale differenza costitutiva esiste fraloro? Siccome nessun uomo è perfetto, o sono tutti anor-mali o sono tutti normali, il che è precisamente lo stes-so. Quindi il delinquente non deve essere ritenuto unpazzo, ma deve essere considerato pienamente respon-sabile del suo atto, poiché, se non era un bambino, unubriaco, ecc., aveva il pieno uso delle proprie facoltà in-tellettive e volitive. Ma appunto perché gli uomini sonotutti imperfetti, e non perché solo alcuni siano anormali,non esiste nell'uomo, né nello Stato un diritto di condan-nare o di punire, ma solo un diritto di difendersi da chipuò nuocere alla Società. Un codice penale deve quindiconstatare questa realtà, per dolorosa ch'essa sia, e im-postarsi su questi principi di difesa sociale. SecondoMazzocchi, se anche l'uomo perfetto non esiste, bisognafingerlo e porlo come ideale comune a tutti gli uomini,perché non ci può esser progresso né elevazione se nonsi mira ad un ideale, sia pure questo un'utopia. Per mequesto è compito della morale, non del diritto, che deveavere una base concreta e reale, nessuno è perfetto, e unideale non deve allontanare dalla realtà che è buona ecattiva. Anche l'idealismo e l'elevazione di un sommo

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il senso morale o almeno la capacità di inibirsi il delitto.Io ritengo che il delinquente anormale è un'eccezione ra-rissima, poiché in generale il delinquente in nulla si di-versifica dagli altri uomini, che non hanno commessodelitti, ma che quasi certamente li commetterebbero sesi trovassero nelle medesime circostanze. Perché chia-mare anormali i delinquenti effettivi e normali i delin-quenti potenziali? Quale differenza costitutiva esiste fraloro? Siccome nessun uomo è perfetto, o sono tutti anor-mali o sono tutti normali, il che è precisamente lo stes-so. Quindi il delinquente non deve essere ritenuto unpazzo, ma deve essere considerato pienamente respon-sabile del suo atto, poiché, se non era un bambino, unubriaco, ecc., aveva il pieno uso delle proprie facoltà in-tellettive e volitive. Ma appunto perché gli uomini sonotutti imperfetti, e non perché solo alcuni siano anormali,non esiste nell'uomo, né nello Stato un diritto di condan-nare o di punire, ma solo un diritto di difendersi da chipuò nuocere alla Società. Un codice penale deve quindiconstatare questa realtà, per dolorosa ch'essa sia, e im-postarsi su questi principi di difesa sociale. SecondoMazzocchi, se anche l'uomo perfetto non esiste, bisognafingerlo e porlo come ideale comune a tutti gli uomini,perché non ci può esser progresso né elevazione se nonsi mira ad un ideale, sia pure questo un'utopia. Per mequesto è compito della morale, non del diritto, che deveavere una base concreta e reale, nessuno è perfetto, e unideale non deve allontanare dalla realtà che è buona ecattiva. Anche l'idealismo e l'elevazione di un sommo

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poeta non poteva prescindere dal cercare la veritànell'imperfezione del mondo reale: potrebbe il compila-tore di un codice prescindere da questa realtà?

Dicembre. Ritorno oggi dal mio viaggio in Germania.Le previsioni si sono purtroppo pienamente avverate. Ilviaggio importava l'impegno di vedere, di raccogliere,di ricavarne il maggior partito possibile. In uno stato disonnolenza ottusa sentivo questo impegno, ma la opaci-tà mi rendeva totalmente incapace di qualsiasi impres-sione: lottavo per sostituire la volontà e l'intelligenzaalla sensibilità assente, ma la mia impreparazione cultu-rale rendeva difficile, lento e faticoso un simile studio.D'altronde la memoria non afferra e non ritiene nulla senon è sorretta da un'acuta sensibilità. Procedevo lentissi-mamente in quelle sale dei musei, cercavo di studiare, dicapire, ma quando ne uscivo, invano cercavo di racco-gliere un risultato. Il freddo, la nebbia, la pioggia, mi in-torpidivano ancora di più, mentre mi impedivano di ve-dere la bellezza della natura, che erano forse le unicheche ero in grado di apprezzare. Il viaggio così divenivauna mistificazione, un'illusione, una commedia, giocatanon so a chi: ma la mia lotta diveniva una tragedia. Per-ché se a Milano la mia vita è vuota, ho il solo rimorso diaver perduto inutilmente un certo periodo di tempo. Mase quando affronto un viaggio come questo, non sonopoi capace di trarne profitto, allora nasce anche l'odiocontro me stesso e un sarcastico disprezzo per le mie ca-pacità intellettuali che all'atto pratico si rivelano sempre

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poeta non poteva prescindere dal cercare la veritànell'imperfezione del mondo reale: potrebbe il compila-tore di un codice prescindere da questa realtà?

Dicembre. Ritorno oggi dal mio viaggio in Germania.Le previsioni si sono purtroppo pienamente avverate. Ilviaggio importava l'impegno di vedere, di raccogliere,di ricavarne il maggior partito possibile. In uno stato disonnolenza ottusa sentivo questo impegno, ma la opaci-tà mi rendeva totalmente incapace di qualsiasi impres-sione: lottavo per sostituire la volontà e l'intelligenzaalla sensibilità assente, ma la mia impreparazione cultu-rale rendeva difficile, lento e faticoso un simile studio.D'altronde la memoria non afferra e non ritiene nulla senon è sorretta da un'acuta sensibilità. Procedevo lentissi-mamente in quelle sale dei musei, cercavo di studiare, dicapire, ma quando ne uscivo, invano cercavo di racco-gliere un risultato. Il freddo, la nebbia, la pioggia, mi in-torpidivano ancora di più, mentre mi impedivano di ve-dere la bellezza della natura, che erano forse le unicheche ero in grado di apprezzare. Il viaggio così divenivauna mistificazione, un'illusione, una commedia, giocatanon so a chi: ma la mia lotta diveniva una tragedia. Per-ché se a Milano la mia vita è vuota, ho il solo rimorso diaver perduto inutilmente un certo periodo di tempo. Mase quando affronto un viaggio come questo, non sonopoi capace di trarne profitto, allora nasce anche l'odiocontro me stesso e un sarcastico disprezzo per le mie ca-pacità intellettuali che all'atto pratico si rivelano sempre

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inadeguate.In 29 giorni di assenza da Milano 2 soli (dico due) mihanno dato qualche risultato, mi hanno permesso di ve-dere con aderenza e con intelligenza: il giorno delDeutsches Museum di Berlino e il secondo giorno delGermanisches Museum di Norimberga. Per il resto ve-devo a spizzichi qualche cosa, e tutto il resto della gior-nata ero assente. Naturalmente quando senza voglia en-travo in un museo, quasi per dovere o per volontà, in unsimile stato di depressione spirituale, non potevo più ve-dere assolutamente niente. Eppure, malgrado tutto que-sto, il mio continuo sforzo di volontà, mi ha portato araccogliere una ricchezza immensa, che mi fa solo rim-piangere quello che avrei raccolto in più, se avessi fattoquesto viaggio in primavera.Il patrimonio culturale e artistico della civiltà germani-ca, in tutto il suo sviluppo, dal periodo romantico adoggi, è così fondamentale per la nostra cultura, che losentiamo quasi come un alimento indispensabile per lanostra vita intellettuale. Il materialismo, lo spirito prati-co, la volontà tedesca costituiscono quasi il contrappesoe il completamento dell'idealismo italiano. E quella ci-viltà, se anche per noi completamente straniera e senzapunto di contatto, costituisce per noi non soltanto ogget-to di ammirazione e di studio, ma un vero bisogno spiri-tuale.Ad ogni città erano nuove scoperte, quasi ad ogni passotrovavo nuovo motivo di interesse di gran lunga supe-riore a quanto avessi potuto prevedere. E molto spesso

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inadeguate.In 29 giorni di assenza da Milano 2 soli (dico due) mihanno dato qualche risultato, mi hanno permesso di ve-dere con aderenza e con intelligenza: il giorno delDeutsches Museum di Berlino e il secondo giorno delGermanisches Museum di Norimberga. Per il resto ve-devo a spizzichi qualche cosa, e tutto il resto della gior-nata ero assente. Naturalmente quando senza voglia en-travo in un museo, quasi per dovere o per volontà, in unsimile stato di depressione spirituale, non potevo più ve-dere assolutamente niente. Eppure, malgrado tutto que-sto, il mio continuo sforzo di volontà, mi ha portato araccogliere una ricchezza immensa, che mi fa solo rim-piangere quello che avrei raccolto in più, se avessi fattoquesto viaggio in primavera.Il patrimonio culturale e artistico della civiltà germani-ca, in tutto il suo sviluppo, dal periodo romantico adoggi, è così fondamentale per la nostra cultura, che losentiamo quasi come un alimento indispensabile per lanostra vita intellettuale. Il materialismo, lo spirito prati-co, la volontà tedesca costituiscono quasi il contrappesoe il completamento dell'idealismo italiano. E quella ci-viltà, se anche per noi completamente straniera e senzapunto di contatto, costituisce per noi non soltanto ogget-to di ammirazione e di studio, ma un vero bisogno spiri-tuale.Ad ogni città erano nuove scoperte, quasi ad ogni passotrovavo nuovo motivo di interesse di gran lunga supe-riore a quanto avessi potuto prevedere. E molto spesso

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dimenticavo la mia lotta, preso nel vortice di quelle vi-sioni continuamente nuove, e pensavo che soltanto quel-lo che stavo vedendo in quel momento valeva la pena diun viaggio in Germania. E pensavo che in fondo le mieerano tutte ubbie, perché io non sono mai contento dellemie realizzazioni, ma vorrei sempre andare più in là. Eallora senza cercare di trovare di più di quello che eranelle mie possibilità di trovare, mi abbandonavo a quel-lo che la ventura mi offriva, e che il mio letargo potevaaccogliere, e vivevo degli istanti di felicità.Il mio torto è proprio quello di non saper vivere suffi-cientemente il momento, nella continua preoccupazionedi trovarmi un bilancio passivo quando viene il momen-to di render conto a me stesso della mia attività.Malgrado tutto non so esser pentito di aver voluto que-sto viaggio: anche così troppa ricchezza e troppa vita miha dato. Dalla Francia ero tornato un po' disilluso, per-ché vi avevo trovato una vita e una civiltà che potrà es-sere interessante, ma che a noi non dice, e non dà niente.Dalla Germania invece, pur conosciuta in modo fugge-vole e superficiale, vista attraverso una mia crisi interio-re che mi accecava, sono tornato con enorme rincresci-mento, e con un'eterna gratitudine per una civiltà chetanto mi ha insegnato e tanto mi ha donato.

Ritornando solo oggi, ho potuto anche sfuggire al Nata-le e all'opprimente convenzionalità delle feste in fami-glia. È vero che per questo il Natale in Germania è assaipeggio che da noi; ma essendo io straniero, tutte quelle

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dimenticavo la mia lotta, preso nel vortice di quelle vi-sioni continuamente nuove, e pensavo che soltanto quel-lo che stavo vedendo in quel momento valeva la pena diun viaggio in Germania. E pensavo che in fondo le mieerano tutte ubbie, perché io non sono mai contento dellemie realizzazioni, ma vorrei sempre andare più in là. Eallora senza cercare di trovare di più di quello che eranelle mie possibilità di trovare, mi abbandonavo a quel-lo che la ventura mi offriva, e che il mio letargo potevaaccogliere, e vivevo degli istanti di felicità.Il mio torto è proprio quello di non saper vivere suffi-cientemente il momento, nella continua preoccupazionedi trovarmi un bilancio passivo quando viene il momen-to di render conto a me stesso della mia attività.Malgrado tutto non so esser pentito di aver voluto que-sto viaggio: anche così troppa ricchezza e troppa vita miha dato. Dalla Francia ero tornato un po' disilluso, per-ché vi avevo trovato una vita e una civiltà che potrà es-sere interessante, ma che a noi non dice, e non dà niente.Dalla Germania invece, pur conosciuta in modo fugge-vole e superficiale, vista attraverso una mia crisi interio-re che mi accecava, sono tornato con enorme rincresci-mento, e con un'eterna gratitudine per una civiltà chetanto mi ha insegnato e tanto mi ha donato.

Ritornando solo oggi, ho potuto anche sfuggire al Nata-le e all'opprimente convenzionalità delle feste in fami-glia. È vero che per questo il Natale in Germania è assaipeggio che da noi; ma essendo io straniero, tutte quelle

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cerimonie di prammatica mi hanno divertito moltissimo,senza ch'io dovessi parteciparvi.

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cerimonie di prammatica mi hanno divertito moltissimo,senza ch'io dovessi parteciparvi.

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1932

Gennaio. Un'inaspettata avventura mi ha portato via dalconvenzionalismo della vuota giornata di Capodanno emi ha riportato di colpo nella mia vita, risparmiandomiil disagio morale dei primi giorni dopo il ritorno da unviaggio così ricco. È ben vero che c'è stato il solito ritodi essere accompagnati tutti quanti da papà al cinemato-grafo, e del brindisi di mezzanotte. Ma il rito non avevapiù nessun valore, perché al cinema non ho fatto cheparlare con Manlio della Germania, e soprattutto si par-lava della spedizione a cui dovevo partecipare all'indo-mani per il ricupero delle salme di due alpinisti cadutisul Pizzo della Pieve. L'interesse per l'avventura attualecancellava il formalismo del trapasso d'anno, rendendoquel giorno un qualunque giorno della settimana.

Ero stanco del viaggio e della notte passata in treno.Erano molti giorni che sospiravo queste giornate di ripo-so, dopo l'ammazzante fatica delle giornate concentratedella Germania. Alla montagna quindi non potevo certoritornare con gioia, e tanto meno con quella meta, chemi fa orrore. Mi sono sempre augurato di non dover par-tecipare a spedizioni di soccorso, per un'impressione eun ribrezzo invincibile. Tuttavia sono andato per dovere.La stanchezza mi ha fatto assai faticare solo per salirealla capanna Pialeral: il freddo e la neve mi facevano

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Gennaio. Un'inaspettata avventura mi ha portato via dalconvenzionalismo della vuota giornata di Capodanno emi ha riportato di colpo nella mia vita, risparmiandomiil disagio morale dei primi giorni dopo il ritorno da unviaggio così ricco. È ben vero che c'è stato il solito ritodi essere accompagnati tutti quanti da papà al cinemato-grafo, e del brindisi di mezzanotte. Ma il rito non avevapiù nessun valore, perché al cinema non ho fatto cheparlare con Manlio della Germania, e soprattutto si par-lava della spedizione a cui dovevo partecipare all'indo-mani per il ricupero delle salme di due alpinisti cadutisul Pizzo della Pieve. L'interesse per l'avventura attualecancellava il formalismo del trapasso d'anno, rendendoquel giorno un qualunque giorno della settimana.

Ero stanco del viaggio e della notte passata in treno.Erano molti giorni che sospiravo queste giornate di ripo-so, dopo l'ammazzante fatica delle giornate concentratedella Germania. Alla montagna quindi non potevo certoritornare con gioia, e tanto meno con quella meta, chemi fa orrore. Mi sono sempre augurato di non dover par-tecipare a spedizioni di soccorso, per un'impressione eun ribrezzo invincibile. Tuttavia sono andato per dovere.La stanchezza mi ha fatto assai faticare solo per salirealla capanna Pialeral: il freddo e la neve mi facevano

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raggomitolare in una pigrizia codarda. Quando ho vistola parete coperta di neve e di ghiaccio sono stato felicedi aver la scusa per non tentare nemmeno di attaccarla.Tutto perché temevo il disagio del freddo alle dita. Se laparete fosse veramente impossibile, o se tale me la fa-cesse apparire solo la mia pigrizia, non so. Certo che perme, in quelle condizioni di spirito era veramente impos-sibile: non avevo la forza di lottare, e soprattutto nonavevo la forza di volere la lotta. Forse in altre condizio-ni, avrei attaccato la parete con tutta l'audacia della miavolontà, mi sarei accalorato e incaponito nella lotta, esarei riuscito. Forse sarebbe stato sufficiente venirvi duegiorni dopo, riposato, con una temperatura meno rigida,perché l'impresa mi apparisse del tutto attuabile. Ma ieriè stato bene ch'io non abbia neppure tentato, perchéavrei arrischiato senza alcuna probabilità di riuscita. Mispiace per le famiglie dei due disgraziati, che certo vivo-no giornate di angoscia e di dolore terribile. Ma nonposso rimproverarmi di non aver tentato ieri a tutti i co-sti, perché ero nell'assoluta impossibilità di raggiungerelo scopo per deficienza di forze fisiche e morali. Se insi-steranno nei tentativi, ritornerò in uno dei prossimi gior-ni, spero con spirito ben diverso: e allora riuscirò, per-ché quando veramente si vuole, nulla è impossibile.

Gita al Bernina, Diavolezza, Ghiacciaio del Mortera-tsch. Ambiente grandioso: mi sono trovato proprio inmezzo a montagne imponenti, su un ghiacciaio maesto-so. Ma ancora una volta lo sci mi obbligava a vedere

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raggomitolare in una pigrizia codarda. Quando ho vistola parete coperta di neve e di ghiaccio sono stato felicedi aver la scusa per non tentare nemmeno di attaccarla.Tutto perché temevo il disagio del freddo alle dita. Se laparete fosse veramente impossibile, o se tale me la fa-cesse apparire solo la mia pigrizia, non so. Certo che perme, in quelle condizioni di spirito era veramente impos-sibile: non avevo la forza di lottare, e soprattutto nonavevo la forza di volere la lotta. Forse in altre condizio-ni, avrei attaccato la parete con tutta l'audacia della miavolontà, mi sarei accalorato e incaponito nella lotta, esarei riuscito. Forse sarebbe stato sufficiente venirvi duegiorni dopo, riposato, con una temperatura meno rigida,perché l'impresa mi apparisse del tutto attuabile. Ma ieriè stato bene ch'io non abbia neppure tentato, perchéavrei arrischiato senza alcuna probabilità di riuscita. Mispiace per le famiglie dei due disgraziati, che certo vivo-no giornate di angoscia e di dolore terribile. Ma nonposso rimproverarmi di non aver tentato ieri a tutti i co-sti, perché ero nell'assoluta impossibilità di raggiungerelo scopo per deficienza di forze fisiche e morali. Se insi-steranno nei tentativi, ritornerò in uno dei prossimi gior-ni, spero con spirito ben diverso: e allora riuscirò, per-ché quando veramente si vuole, nulla è impossibile.

Gita al Bernina, Diavolezza, Ghiacciaio del Mortera-tsch. Ambiente grandioso: mi sono trovato proprio inmezzo a montagne imponenti, su un ghiacciaio maesto-so. Ma ancora una volta lo sci mi obbligava a vedere

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solo la pista e la preoccupazione di prendere il treno miimpediva di fermarmi spesso ad ammirare la bellezzadella montagna. Solo in salita ho avuto modo di contem-plare panoramicamente il paesaggio. Montagna veduta,ma non vissuta. È colpa dello sci? È colpa dell'inverno edel suo letargo? È colpa mia? La gita così ha solo il sen-so di una divagazione, di uno sforzo fisico, di una sfer-zata d'aria pura che ritempra le forze e la volontà.Sarebbe questo il momento di iniziare metodicamente econcretamente lo studio sulla storia dell'opera in Euro-pa. Ma ciò richiederebbe un impegno, che non mi possoassumere, finché non abbia sistemata la mia vita inmodo definitivo.

Ho sentito un concerto di cantate di Bach, dato dal corodi Zurigo e dall'orchestra di Winterthur. Esecuzione per-fetta non solo come precisione, ma come interpretazionedello spirito della musica di Bach. Mai sarebbero possi-bili in Italia simili esecuzioni. Il senso corale è una pre-rogativa tipicamente tedesca: lo spirito latino è troppoindividualista per poter raggiungere la fusione perfettadi un coro. Tanto meno poi potrebbe riuscire ad inter-pretare Bach, senza sfalsarlo. Bach va eseguito conquella durezza di contorni, quella precisione, quell'ango-losità ossuta e violenta, quella nettezza di linee e di in-terpretazioni senza sbavature, con quell'assoluta quadra-tura dei tempi, e soprattutto con quello spirito altissimodi fede, di religiosità e di convinzione che solo un com-plesso tedesco può raggiungere.

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solo la pista e la preoccupazione di prendere il treno miimpediva di fermarmi spesso ad ammirare la bellezzadella montagna. Solo in salita ho avuto modo di contem-plare panoramicamente il paesaggio. Montagna veduta,ma non vissuta. È colpa dello sci? È colpa dell'inverno edel suo letargo? È colpa mia? La gita così ha solo il sen-so di una divagazione, di uno sforzo fisico, di una sfer-zata d'aria pura che ritempra le forze e la volontà.Sarebbe questo il momento di iniziare metodicamente econcretamente lo studio sulla storia dell'opera in Euro-pa. Ma ciò richiederebbe un impegno, che non mi possoassumere, finché non abbia sistemata la mia vita inmodo definitivo.

Ho sentito un concerto di cantate di Bach, dato dal corodi Zurigo e dall'orchestra di Winterthur. Esecuzione per-fetta non solo come precisione, ma come interpretazionedello spirito della musica di Bach. Mai sarebbero possi-bili in Italia simili esecuzioni. Il senso corale è una pre-rogativa tipicamente tedesca: lo spirito latino è troppoindividualista per poter raggiungere la fusione perfettadi un coro. Tanto meno poi potrebbe riuscire ad inter-pretare Bach, senza sfalsarlo. Bach va eseguito conquella durezza di contorni, quella precisione, quell'ango-losità ossuta e violenta, quella nettezza di linee e di in-terpretazioni senza sbavature, con quell'assoluta quadra-tura dei tempi, e soprattutto con quello spirito altissimodi fede, di religiosità e di convinzione che solo un com-plesso tedesco può raggiungere.

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Non è che una forma che non esiste in natura debba ne-cessariamente essere brutta; ma è che nessun genioumano può arrivare ad inventare una forma nuova vera-mente originale: tutta la fantasia dell'uomo è limitata acombinare variamente e armonicamente le forme chegià esistono in natura. Se vuol creare una forma nuova,non può che deformare una forma già esistente, ed ognideformazione di una forma che in sé è bella e perfettanon può che essere brutta. L'artista deve attenersi alleforme naturali non perché vi sia incatenato da leggiestetiche, ma solo perché la propria incapacità gli impe-disce di allontanarsene senza cadere.

Chi non fosse capace di amare non potrebbe né crearené sentire un'opera d'arte. Io stesso provo in primaverauna sete d'arte, che mi porta a legger poesia, a visitarmusei, a passar molta musica: nell'inverno invece nonne sono capace; studio e se passo musica o leggo poesiaè sempre a scopo di studio. D'inverno scrivo di critica elunghi ragionamenti come questo: in primavera o nonscrivo o scrivo di impressioni, di vita, di alpinismo.Dopo uno sfogo, di solito ragiono più lucidamente e piùfreddamente: ma prima scrivo con più ardore e con piùpassione. Il "cuore puro" è una bella cosa, e specialmen-te una bella trovata prettamente inglese: ma se a questomondo ci fossero soltanto cuori puri, sarebbe megliosuicidarsi tutti quanti...

Oggi dalla Nene ho passato musica di ogni genere, con

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Non è che una forma che non esiste in natura debba ne-cessariamente essere brutta; ma è che nessun genioumano può arrivare ad inventare una forma nuova vera-mente originale: tutta la fantasia dell'uomo è limitata acombinare variamente e armonicamente le forme chegià esistono in natura. Se vuol creare una forma nuova,non può che deformare una forma già esistente, ed ognideformazione di una forma che in sé è bella e perfettanon può che essere brutta. L'artista deve attenersi alleforme naturali non perché vi sia incatenato da leggiestetiche, ma solo perché la propria incapacità gli impe-disce di allontanarsene senza cadere.

Chi non fosse capace di amare non potrebbe né crearené sentire un'opera d'arte. Io stesso provo in primaverauna sete d'arte, che mi porta a legger poesia, a visitarmusei, a passar molta musica: nell'inverno invece nonne sono capace; studio e se passo musica o leggo poesiaè sempre a scopo di studio. D'inverno scrivo di critica elunghi ragionamenti come questo: in primavera o nonscrivo o scrivo di impressioni, di vita, di alpinismo.Dopo uno sfogo, di solito ragiono più lucidamente e piùfreddamente: ma prima scrivo con più ardore e con piùpassione. Il "cuore puro" è una bella cosa, e specialmen-te una bella trovata prettamente inglese: ma se a questomondo ci fossero soltanto cuori puri, sarebbe megliosuicidarsi tutti quanti...

Oggi dalla Nene ho passato musica di ogni genere, con

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un'aderenza perfetta, ciò che ha dato molto godimento alei, ma ancora di più a me. Quando io suono per qualcunaltro, mi sento in dovere di cavar da quelle pagine quan-to più mi è possibile, per non rendere troppo cattivo ser-vizio all'artista. Quindi ci metto tutta l'attenzione e l'ade-renza di cui sono capace, e finisco per godere anch'iomoltissimo, perché suono senza svogliatezza e distrazio-ni. Senza contare che alla gioia di ciò che suono, si ag-giunge sempre la gioia di donare qualche cosa, che perme è sempre una necessità.

Avrei una quantità di cose da scrivere d'ogni genere:d'alpinismo, di musica, di studi, ecc.: eppure resto sem-pre svogliato ed esito a lungo prima di prendere in manola penna. Quando ho scritto per un'ora o due non so scri-vere altro, non perché lo scrivere mi stanchi, ma perchéla mia sete di accumulare sempre nuova ricchezza miporta molto più volentieri a leggere, che è arricchimen-to, che a scrivere, che è il reddito di questa ricchezza.Nei periodi di vita intensa, come questo, godo non sol-tanto della mia attività, ma soprattutto della conseguentepurificazione da ogni scoria, da ogni bruttezza, da ognifalsità.

«Amava le tenebre e se ne avvolgeva». (Lawrence)

E tuttavia non riesco a trovare un senso alla mia attivitàe alla mia vita. Ancor ieri mi è venuta tra le mani la mialaurea: mi piaceva vedere anche dalla sola impaginatura,

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un'aderenza perfetta, ciò che ha dato molto godimento alei, ma ancora di più a me. Quando io suono per qualcunaltro, mi sento in dovere di cavar da quelle pagine quan-to più mi è possibile, per non rendere troppo cattivo ser-vizio all'artista. Quindi ci metto tutta l'attenzione e l'ade-renza di cui sono capace, e finisco per godere anch'iomoltissimo, perché suono senza svogliatezza e distrazio-ni. Senza contare che alla gioia di ciò che suono, si ag-giunge sempre la gioia di donare qualche cosa, che perme è sempre una necessità.

Avrei una quantità di cose da scrivere d'ogni genere:d'alpinismo, di musica, di studi, ecc.: eppure resto sem-pre svogliato ed esito a lungo prima di prendere in manola penna. Quando ho scritto per un'ora o due non so scri-vere altro, non perché lo scrivere mi stanchi, ma perchéla mia sete di accumulare sempre nuova ricchezza miporta molto più volentieri a leggere, che è arricchimen-to, che a scrivere, che è il reddito di questa ricchezza.Nei periodi di vita intensa, come questo, godo non sol-tanto della mia attività, ma soprattutto della conseguentepurificazione da ogni scoria, da ogni bruttezza, da ognifalsità.

«Amava le tenebre e se ne avvolgeva». (Lawrence)

E tuttavia non riesco a trovare un senso alla mia attivitàe alla mia vita. Ancor ieri mi è venuta tra le mani la mialaurea: mi piaceva vedere anche dalla sola impaginatura,

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il lavoro organico, completo, ben fatto: era una realizza-zione. Quest'anno la realizzazione non la posso trovare,e il non poter raccogliere nulla di positivo mi dà un sen-so di vuoto, di inutilità, di noia. A che cosa serve il miolavoro? È preparazione: preparazione a chi? Io non saròmai né professore di storia della musica, né critico musi-cale. E allora dovrei volgere la mia attività di studio adun campo commerciale e industriale? Ma io sono con-vinto dell'inutilità dello studio tecnico in questo campose non è corredato dall'esperienza pratica e dal punto divista culturale e intellettuale mi interessa così poco, chenon potrei che sentire maggiormente il vuoto di questamia situazione d'attesa.E allora il meglio sarebbe smettere di aspettare, e darmitutto e decisamente ai miei studi e attraverso quellicrearmi la mia strada e il mio posto nella vita, creando-melo tutto da me con le mie sole forze: ma per abbando-nare una via sicura bisognerebbe ch'io avessi tanta fidu-cia nelle mie forze intellettuali da credere con fede inuna via altrettanto sicura: e questa fiducia io non l'ho:forse a torto, ma non l'ho. E allora? E allora non c'è checontinuare ad attendere e a studiare senza domandarmiperché, fingendo di illudermi che la mia vita presenteabbia uno scopo: cioè continuare in una situazione falsa,vivendo di falsità, tanto più falsa in quanto sono perfet-tamente conscio della falsità.

L'arte italiana è già stessa vita; l'arte tedesca costruisce orappresenta la vita. L'arte italiana è statica, e apollinea

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il lavoro organico, completo, ben fatto: era una realizza-zione. Quest'anno la realizzazione non la posso trovare,e il non poter raccogliere nulla di positivo mi dà un sen-so di vuoto, di inutilità, di noia. A che cosa serve il miolavoro? È preparazione: preparazione a chi? Io non saròmai né professore di storia della musica, né critico musi-cale. E allora dovrei volgere la mia attività di studio adun campo commerciale e industriale? Ma io sono con-vinto dell'inutilità dello studio tecnico in questo campose non è corredato dall'esperienza pratica e dal punto divista culturale e intellettuale mi interessa così poco, chenon potrei che sentire maggiormente il vuoto di questamia situazione d'attesa.E allora il meglio sarebbe smettere di aspettare, e darmitutto e decisamente ai miei studi e attraverso quellicrearmi la mia strada e il mio posto nella vita, creando-melo tutto da me con le mie sole forze: ma per abbando-nare una via sicura bisognerebbe ch'io avessi tanta fidu-cia nelle mie forze intellettuali da credere con fede inuna via altrettanto sicura: e questa fiducia io non l'ho:forse a torto, ma non l'ho. E allora? E allora non c'è checontinuare ad attendere e a studiare senza domandarmiperché, fingendo di illudermi che la mia vita presenteabbia uno scopo: cioè continuare in una situazione falsa,vivendo di falsità, tanto più falsa in quanto sono perfet-tamente conscio della falsità.

L'arte italiana è già stessa vita; l'arte tedesca costruisce orappresenta la vita. L'arte italiana è statica, e apollinea

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immedesimazione del bello; l'arte tedesca è movimento,è drammatico raggiungimento del bello.

Intendendo il bello come vita si spiega anche come ilsentimento per l'arte sia tanto vicino al sentimento per lanatura, e specialmente per le sue alte manifestazioni: ilmare e la montagna. Fra l'arte e la natura sta l'alpinismo,che è un'attività spirituale creativa come l'arte, ma è an-che contemplazione, dedizione e comunione con la na-tura.

Non si sa cosa valgono tutte queste considerazioni diestetica che vado annotando: probabilmente sono co-struzioni errate e prive di fondamento. Non ho affatto lapretesa di scrivere un trattato di estetica o di proporreuna più o meno nuova teoria estetica. Faccio queste notesolamente perché esse rappresentano il mio pensiero dioggi: le scrivo sul diario perché esse rappresentano unaparte del me stesso di oggi. Domani probabilmente nonavranno per me più nessun valore, perché sarò già anda-to più in là: ma avranno sempre un valore per la storia dime stesso. Se le scrivessi a parte, con valore di sistemaestetico, domani le straccerei, perché prive di valore: quiinvece rimarranno a rappresentare il mio pensierod'oggi.

Gita magnifica: è la prima volta che mi son divertito asciare quantunque si tratti sempre di un divertimento af-fatto esteriore. È stata una sosta che mi ha dato un istan-

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immedesimazione del bello; l'arte tedesca è movimento,è drammatico raggiungimento del bello.

Intendendo il bello come vita si spiega anche come ilsentimento per l'arte sia tanto vicino al sentimento per lanatura, e specialmente per le sue alte manifestazioni: ilmare e la montagna. Fra l'arte e la natura sta l'alpinismo,che è un'attività spirituale creativa come l'arte, ma è an-che contemplazione, dedizione e comunione con la na-tura.

Non si sa cosa valgono tutte queste considerazioni diestetica che vado annotando: probabilmente sono co-struzioni errate e prive di fondamento. Non ho affatto lapretesa di scrivere un trattato di estetica o di proporreuna più o meno nuova teoria estetica. Faccio queste notesolamente perché esse rappresentano il mio pensiero dioggi: le scrivo sul diario perché esse rappresentano unaparte del me stesso di oggi. Domani probabilmente nonavranno per me più nessun valore, perché sarò già anda-to più in là: ma avranno sempre un valore per la storia dime stesso. Se le scrivessi a parte, con valore di sistemaestetico, domani le straccerei, perché prive di valore: quiinvece rimarranno a rappresentare il mio pensierod'oggi.

Gita magnifica: è la prima volta che mi son divertito asciare quantunque si tratti sempre di un divertimento af-fatto esteriore. È stata una sosta che mi ha dato un istan-

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te di respiro e di aria pura: ma non credo che possa avernessun altro effetto. Prova tuttavia che l'unica mia attivi-tà che ancora abbia un senso e che mi conduca a unarealizzazione e ad una affermazione è l'alpinismo. Qui èla mia vita più vera, più sincera, più pura. Tutto il restoè falsità.

Papà mi dice ora che De la Penne pensa di mandarmi aLondra e che la partenza sarà probabilmente assai pros-sima. La notizia inaspettata mi scombussola tutto: nonso cosa pensare. Il primo pensiero è stato di rimpiantoper la campagna alpinistica di quest'estate a cui già pen-savo abbastanza caldamente: il secondo è stato di rim-pianto alla mia libertà. Ma in fondo debbo riconoscereche è la soluzione che desideravo. È la soluzione di unostato di provvisorietà che mi diveniva insopportabile. Lamia libertà, giacché la devo perdere, è meglio perderlaal più presto, perché tanto più presto la riacquisterò,dopo l'inevitabile periodo di pratica e di assestamentodella mia nuova vita. E alla montagna debbo saper ri-nunciare, poiché difficilmente ormai vi potrò dedicare lelunghe stagioni, necessarie ad un buon allenamento perle maggiori imprese. Con la Busazza si è chiusa la miacarriera alpinistica. La soluzione di Londra ha il vantag-gio di farmi prendere pratica lontano, in modo da potergià ben figurare quando verrò a contatto con De la Pen-ne a Genova. Nello stesso tempo imparerò l'inglese chemi è necessario e che non so imparare qui. In ognimodo, sempre meglio Londra che Genova, e se debbo

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te di respiro e di aria pura: ma non credo che possa avernessun altro effetto. Prova tuttavia che l'unica mia attivi-tà che ancora abbia un senso e che mi conduca a unarealizzazione e ad una affermazione è l'alpinismo. Qui èla mia vita più vera, più sincera, più pura. Tutto il restoè falsità.

Papà mi dice ora che De la Penne pensa di mandarmi aLondra e che la partenza sarà probabilmente assai pros-sima. La notizia inaspettata mi scombussola tutto: nonso cosa pensare. Il primo pensiero è stato di rimpiantoper la campagna alpinistica di quest'estate a cui già pen-savo abbastanza caldamente: il secondo è stato di rim-pianto alla mia libertà. Ma in fondo debbo riconoscereche è la soluzione che desideravo. È la soluzione di unostato di provvisorietà che mi diveniva insopportabile. Lamia libertà, giacché la devo perdere, è meglio perderlaal più presto, perché tanto più presto la riacquisterò,dopo l'inevitabile periodo di pratica e di assestamentodella mia nuova vita. E alla montagna debbo saper ri-nunciare, poiché difficilmente ormai vi potrò dedicare lelunghe stagioni, necessarie ad un buon allenamento perle maggiori imprese. Con la Busazza si è chiusa la miacarriera alpinistica. La soluzione di Londra ha il vantag-gio di farmi prendere pratica lontano, in modo da potergià ben figurare quando verrò a contatto con De la Pen-ne a Genova. Nello stesso tempo imparerò l'inglese chemi è necessario e che non so imparare qui. In ognimodo, sempre meglio Londra che Genova, e se debbo

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troncare definitivamente e bruscamente la mia vita at-tuale, meglio andare lontano, tagliando netto ogni lega-me col passato.Eppure non vado certo a Londra con l'entusiasmo concui andrei a Berlino, a Monaco, a Vienna: la mia antipa-tia per tutto ciò che è inglese è invincibile. Ma ricono-sco che se avessi dovuto chiedere io qualche cosa, iostesso avrei chiesto Londra, tanto questa soluzione sipresenta ottima e desiderabile sotto tutti i rapporti.A me ora è il momento di raccogliere tutte le mie tantovantate forze, e di agire e di vincere!

Londra! Vi penso in un modo strano. Mi pare così irrea-le ed inverosimile. A Parigi e a Berlino sono andatocome a città qualunque, interessanti, ma che potevanobenissimo rientrare nel mio mondo sconosciuto. Londrainvece mi fa l'effetto di essere assolutamente fuori dalmondo e mi ci immagino già così straniero, come lo po-trei essere a Tokio o a Melbourne. Anzi sento gli Inglesicome ancor più lontani, che se fossero di una razza af-fatto diversa.Non so davvero come potrò sopportare di trovarmi inmezzo agli Inglesi, per cui ho sempre avuto una cosìcordiale antipatia: tutta la loro civiltà è per me un mon-do assolutamente inconcepibile.

La notizia di Londra mi ha fatto di colpo perdere ogniinteresse alla mia attività presente: ciò che dimostra lavanità di essa. Tuttavia mi ha dato una febbre di lavoro

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troncare definitivamente e bruscamente la mia vita at-tuale, meglio andare lontano, tagliando netto ogni lega-me col passato.Eppure non vado certo a Londra con l'entusiasmo concui andrei a Berlino, a Monaco, a Vienna: la mia antipa-tia per tutto ciò che è inglese è invincibile. Ma ricono-sco che se avessi dovuto chiedere io qualche cosa, iostesso avrei chiesto Londra, tanto questa soluzione sipresenta ottima e desiderabile sotto tutti i rapporti.A me ora è il momento di raccogliere tutte le mie tantovantate forze, e di agire e di vincere!

Londra! Vi penso in un modo strano. Mi pare così irrea-le ed inverosimile. A Parigi e a Berlino sono andatocome a città qualunque, interessanti, ma che potevanobenissimo rientrare nel mio mondo sconosciuto. Londrainvece mi fa l'effetto di essere assolutamente fuori dalmondo e mi ci immagino già così straniero, come lo po-trei essere a Tokio o a Melbourne. Anzi sento gli Inglesicome ancor più lontani, che se fossero di una razza af-fatto diversa.Non so davvero come potrò sopportare di trovarmi inmezzo agli Inglesi, per cui ho sempre avuto una cosìcordiale antipatia: tutta la loro civiltà è per me un mon-do assolutamente inconcepibile.

La notizia di Londra mi ha fatto di colpo perdere ogniinteresse alla mia attività presente: ciò che dimostra lavanità di essa. Tuttavia mi ha dato una febbre di lavoro

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per liquidare nel migliore dei modi tutto quello che hodi avviato. Mi sento anche molto risollevato dalla miacrisi, sentendo ora la mia vita orientata in un modo tuttodiverso di quanto non lo fosse fino a qualche giorno fa.Rinasce la vita e la volontà per il semplice fatto che orahanno ritrovato il loro scopo e la loro meta. Anche senon dovessi combinar niente, la sola notizia avrebbeavuto un effetto molto benefico, restituendomi a mestesso.

Marzo. L'amicizia di Vitale e Celso è il maggior benech'io abbia oggi. Quando ho detto loro che partivo, cia-scuno a modo suo, e senza bisogno di parole, mi ha la-sciato capire, o meglio ha tentato di celare il proprio rin-crescimento. Perché? Che cosa posso offrire io a loro?Nulla. Questa è vera amicizia e il loro affetto profondotutto generosità, bontà e solidarietà, è commovente. Èquell'amicizia che forse solo in montagna si può creare.Oh mie montagne, quando potrò tornare a Voi? Purifi-carmi in Voi?

Trovo in Nietzsche alcuni concetti, che corrispondonoassai bene ad alcuni che ho esposto l'anno scorso in que-sto diario. Già in quelle note esisteva in fondo la teoriadel superuomo e la negazione della Fede, che il fortedeve saper sostituire con la propria volontà. «Oh fratellimiei, quel Dio ch'io creai era forse opera di un uomo,come son tutti gli dei! Un uomo era Egli, un poveruomo; e quell'uomo ero io stesso; dalla mia propria ce-

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per liquidare nel migliore dei modi tutto quello che hodi avviato. Mi sento anche molto risollevato dalla miacrisi, sentendo ora la mia vita orientata in un modo tuttodiverso di quanto non lo fosse fino a qualche giorno fa.Rinasce la vita e la volontà per il semplice fatto che orahanno ritrovato il loro scopo e la loro meta. Anche senon dovessi combinar niente, la sola notizia avrebbeavuto un effetto molto benefico, restituendomi a mestesso.

Marzo. L'amicizia di Vitale e Celso è il maggior benech'io abbia oggi. Quando ho detto loro che partivo, cia-scuno a modo suo, e senza bisogno di parole, mi ha la-sciato capire, o meglio ha tentato di celare il proprio rin-crescimento. Perché? Che cosa posso offrire io a loro?Nulla. Questa è vera amicizia e il loro affetto profondotutto generosità, bontà e solidarietà, è commovente. Èquell'amicizia che forse solo in montagna si può creare.Oh mie montagne, quando potrò tornare a Voi? Purifi-carmi in Voi?

Trovo in Nietzsche alcuni concetti, che corrispondonoassai bene ad alcuni che ho esposto l'anno scorso in que-sto diario. Già in quelle note esisteva in fondo la teoriadel superuomo e la negazione della Fede, che il fortedeve saper sostituire con la propria volontà. «Oh fratellimiei, quel Dio ch'io creai era forse opera di un uomo,come son tutti gli dei! Un uomo era Egli, un poveruomo; e quell'uomo ero io stesso; dalla mia propria ce-

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nere, dalla mia propria fiamma era sorto quel fantasma.Ei non giunge dal di là!». E più oltre: «...la povera stan-chezza ignorante che più non sa volere: essa solo creòtutti gli dei e il soprannaturale!» (Zarathustra). Io conidea un po' diversa, ma parallela, scrivevo che la religio-ne era la salvezza dei deboli, che non sanno volere, enella fede ritrovano la forza che la loro volontà non ha.«Una nuova volontà insegno agli uomini: seguir questavia, che l'uomo ha percorso fin qui ciecamente, e noncercare di evitarla paurosamente». Io scrivevo che cia-scuno si crea la propria strada, il proprio destino con lapropria volontà: il debole che cerca di evitarla paurosa-mente, soccombe come Toni Buddenbrook (dal celebreromanzo di Thomas Mann). La volontà invece è così po-tente che può compiere anche il miracolo, analogamentea quanto compie la fede (ma la fede in fondo non è chevolontà inconscia di se stessa). «Sì c'è in me qualchecosa contro cui non valgono né le ferite, né i colpi, qual-che cosa che spezza anche le rocce; e questa cosa è lamia volontà». Spezza anche le rocce! Sì ecco dunquel'alpinismo come massima espressione di volontà.«Avete il coraggio, o miei fratelli? Siete animosi? Nongià vi parlo del coraggio d'innanzi ai testimoni, ma diquel coraggio che conviene ai solitari: il coraggiodell'aquila, che non sente nemmeno il bisogno di un Dioche lo veda? Ha coraggio colui che conosce la paura,ma sa tenerla in freno; colui che guarda in fondoall'abisso, ma superbamente». Ed ecco l'alpinismo comemassima di coraggio: solitario e superbo.

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nere, dalla mia propria fiamma era sorto quel fantasma.Ei non giunge dal di là!». E più oltre: «...la povera stan-chezza ignorante che più non sa volere: essa solo creòtutti gli dei e il soprannaturale!» (Zarathustra). Io conidea un po' diversa, ma parallela, scrivevo che la religio-ne era la salvezza dei deboli, che non sanno volere, enella fede ritrovano la forza che la loro volontà non ha.«Una nuova volontà insegno agli uomini: seguir questavia, che l'uomo ha percorso fin qui ciecamente, e noncercare di evitarla paurosamente». Io scrivevo che cia-scuno si crea la propria strada, il proprio destino con lapropria volontà: il debole che cerca di evitarla paurosa-mente, soccombe come Toni Buddenbrook (dal celebreromanzo di Thomas Mann). La volontà invece è così po-tente che può compiere anche il miracolo, analogamentea quanto compie la fede (ma la fede in fondo non è chevolontà inconscia di se stessa). «Sì c'è in me qualchecosa contro cui non valgono né le ferite, né i colpi, qual-che cosa che spezza anche le rocce; e questa cosa è lamia volontà». Spezza anche le rocce! Sì ecco dunquel'alpinismo come massima espressione di volontà.«Avete il coraggio, o miei fratelli? Siete animosi? Nongià vi parlo del coraggio d'innanzi ai testimoni, ma diquel coraggio che conviene ai solitari: il coraggiodell'aquila, che non sente nemmeno il bisogno di un Dioche lo veda? Ha coraggio colui che conosce la paura,ma sa tenerla in freno; colui che guarda in fondoall'abisso, ma superbamente». Ed ecco l'alpinismo comemassima di coraggio: solitario e superbo.

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«Il volere: ecco il nome del liberatore, del dispensatoredi gioie» perché la volontà è manifestazione di vita, esolo la vita è gioia. È gioia perché è un continuo cammi-no: se la vita si arrestasse, non sarebbe più vita! E que-sto in segreto la vita confidò a me: «Vedi – mi disse – iosono quella cosa che sempre deve superare se stessa».

«La tua simpatia per l'amico si celi sotto una ruvidascorza, intorno alla quale tu devi logorare i tuoi denti.Così la tua simpatia acquisterà delicatezza e dolcezza».Questa è la vera amicizia: questi sono i rapporti con Vi-tale e con Celso.

Questo diario potrebbe intitolarsi "a costruzione di mestesso". Non ha altro scopo. Speriamo che pervenga adun fine.

Domani parto per Londra – Curiosità.

Curiosità, dicevo prima di partire. Sì, curiosità e comici-tà, quasi presa in giro di me stesso all'immaginarmi alleprese con gli inglesi, i loro modi, la loro vita. Appenaavvicinati li ho trovati meno incomprensibili di quantomi erano stati descritti; ma in tutto quel che vedevo, daifacchini delle stazioni fino alla forma dei paesi, ricono-scevo il carattere inglese impresso in modo così para-dossale e grottesco, come non avrei mai potuto credere.Londra mi ha accolto coi suoi taxi di stampo antidilu-viano e con le sentinelle (specie di burattini meccanici

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«Il volere: ecco il nome del liberatore, del dispensatoredi gioie» perché la volontà è manifestazione di vita, esolo la vita è gioia. È gioia perché è un continuo cammi-no: se la vita si arrestasse, non sarebbe più vita! E que-sto in segreto la vita confidò a me: «Vedi – mi disse – iosono quella cosa che sempre deve superare se stessa».

«La tua simpatia per l'amico si celi sotto una ruvidascorza, intorno alla quale tu devi logorare i tuoi denti.Così la tua simpatia acquisterà delicatezza e dolcezza».Questa è la vera amicizia: questi sono i rapporti con Vi-tale e con Celso.

Questo diario potrebbe intitolarsi "a costruzione di mestesso". Non ha altro scopo. Speriamo che pervenga adun fine.

Domani parto per Londra – Curiosità.

Curiosità, dicevo prima di partire. Sì, curiosità e comici-tà, quasi presa in giro di me stesso all'immaginarmi alleprese con gli inglesi, i loro modi, la loro vita. Appenaavvicinati li ho trovati meno incomprensibili di quantomi erano stati descritti; ma in tutto quel che vedevo, daifacchini delle stazioni fino alla forma dei paesi, ricono-scevo il carattere inglese impresso in modo così para-dossale e grottesco, come non avrei mai potuto credere.Londra mi ha accolto coi suoi taxi di stampo antidilu-viano e con le sentinelle (specie di burattini meccanici

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caricaturali) di Buckingham Palace. Non potevo tratte-nermi dal ridere. Londra del resto non mi aveva maipresentato nessuna attrattiva e ci son venuto senza gioia.La curiosità dell'avventura è divenuta l'allegria dellapresa in giro: niente altro; mi sentivo vuoto come unoche sta a vedere cosa succede.Così mi son avviato direttamente all'ufficio del LloydSabaudo. Accolto gentilmente, ma per poter restare inufficio ci vuole l'autorizzazione del Ministero. Sarò libe-ro quindi ancora per 2 o 3 settimane.Mi son messo a girare Londra senza meta, per cercar direndermi un po' conto della città. Città noiosissima, mo-notona, sterminata, turbinosa: sono rientrato alquantostordito e mi son proposto di servirmi sempre della me-tropolitana per raggiungere i punti dove intendo recar-mi. Così, a parte lo stordimento, riprendo la vita affezio-nata di visita a città e musei e mi trovo in quello stato dioggettività e di impersonalità che le è inerente.

Aprile. Giornate nere. La soluzione si allontana sempredi più. Fin quando dovrò rimanere così sospeso? Finquando dovrò continuare a vivere nel vuoto? In tutta lamia vita quando ho avuto bisogno di dipendere dagli al-tri, non sono mai giunto ad alcuna realizzazione. Quan-do invece prendevo io l'iniziativa, ho sempre raggiuntola mia meta. Non sarebbe ora che smettessi di aspettareche il Sabaudo mi apra le sue porte (che non sono poi lePorte del Paradiso, perch'io abbia ad invocarle tanto), emi decidessi a sfondare io una porta, e "à me frayer le

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caricaturali) di Buckingham Palace. Non potevo tratte-nermi dal ridere. Londra del resto non mi aveva maipresentato nessuna attrattiva e ci son venuto senza gioia.La curiosità dell'avventura è divenuta l'allegria dellapresa in giro: niente altro; mi sentivo vuoto come unoche sta a vedere cosa succede.Così mi son avviato direttamente all'ufficio del LloydSabaudo. Accolto gentilmente, ma per poter restare inufficio ci vuole l'autorizzazione del Ministero. Sarò libe-ro quindi ancora per 2 o 3 settimane.Mi son messo a girare Londra senza meta, per cercar direndermi un po' conto della città. Città noiosissima, mo-notona, sterminata, turbinosa: sono rientrato alquantostordito e mi son proposto di servirmi sempre della me-tropolitana per raggiungere i punti dove intendo recar-mi. Così, a parte lo stordimento, riprendo la vita affezio-nata di visita a città e musei e mi trovo in quello stato dioggettività e di impersonalità che le è inerente.

Aprile. Giornate nere. La soluzione si allontana sempredi più. Fin quando dovrò rimanere così sospeso? Finquando dovrò continuare a vivere nel vuoto? In tutta lamia vita quando ho avuto bisogno di dipendere dagli al-tri, non sono mai giunto ad alcuna realizzazione. Quan-do invece prendevo io l'iniziativa, ho sempre raggiuntola mia meta. Non sarebbe ora che smettessi di aspettareche il Sabaudo mi apra le sue porte (che non sono poi lePorte del Paradiso, perch'io abbia ad invocarle tanto), emi decidessi a sfondare io una porta, e "à me frayer le

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chemin" con la forza e la violenza della mia volontà?Perché gettar via e forza e vita, perché sciupare mesi egioventù a cercare di riempire una giornata, che rimanesempre vuota?Qualche giorno riesco ad ingannarmi o almeno a distrar-mi, e allora la giornata passa in qualche modo; ma piùspesso sento che vado al museo solo per far venire mez-zogiorno, o vado a un cinematografo per passar la sera-ta: e allora mi prende il disgusto della mia vita e di mestesso: mi pare quasi che una seconda persona mi pesisulle spalle come un grave fardello, una persona di cuivorrei potermi liberare, per ritornare io.Se sapessi che al Sabaudo non ci metterò piede, e se nonavessi l'impegno di imparare un po' di inglese, potrei ri-prendere la vita milanese di biblioteca, certamente conmaggior profitto e maggior soddisfazione che a Milano.Ma in queste condizioni, neppur questo rifugio mi èconcesso, mentre l'inglese non lo imparo, sia per deside-rio di solitudine, sia per l'insuperabile distanza che misepara dagli Inglesi. Sono quasi tre settimane che sonqui, ma il profitto è ben esiguo. Non vedo alcuna solu-zione a questo stato di cose, e debbo abbandonarmi pas-sivamente alla cancrena dell'inerzia. Vorrei poter volere,chiedo solo di poter volere, ché la volontà è già per sestessa vita. Non so quanto resisterò ancora in questecondizioni, ma non credo molto a lungo. È primavera,ed ho bisogno di vita!

Un concerto stasera mi ha un po' calmato. Un'aria di

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chemin" con la forza e la violenza della mia volontà?Perché gettar via e forza e vita, perché sciupare mesi egioventù a cercare di riempire una giornata, che rimanesempre vuota?Qualche giorno riesco ad ingannarmi o almeno a distrar-mi, e allora la giornata passa in qualche modo; ma piùspesso sento che vado al museo solo per far venire mez-zogiorno, o vado a un cinematografo per passar la sera-ta: e allora mi prende il disgusto della mia vita e di mestesso: mi pare quasi che una seconda persona mi pesisulle spalle come un grave fardello, una persona di cuivorrei potermi liberare, per ritornare io.Se sapessi che al Sabaudo non ci metterò piede, e se nonavessi l'impegno di imparare un po' di inglese, potrei ri-prendere la vita milanese di biblioteca, certamente conmaggior profitto e maggior soddisfazione che a Milano.Ma in queste condizioni, neppur questo rifugio mi èconcesso, mentre l'inglese non lo imparo, sia per deside-rio di solitudine, sia per l'insuperabile distanza che misepara dagli Inglesi. Sono quasi tre settimane che sonqui, ma il profitto è ben esiguo. Non vedo alcuna solu-zione a questo stato di cose, e debbo abbandonarmi pas-sivamente alla cancrena dell'inerzia. Vorrei poter volere,chiedo solo di poter volere, ché la volontà è già per sestessa vita. Non so quanto resisterò ancora in questecondizioni, ma non credo molto a lungo. È primavera,ed ho bisogno di vita!

Un concerto stasera mi ha un po' calmato. Un'aria di

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Donizetti che in Italia mi sarebbe stata del tutto indiffe-rente, stasera mi è parsa un raggio di sole che veniva ailluminare l'oscurità tempestosa in cui mi dibatto. Avreibisogno di tanta buona musica. Ma le esecuzioni di Lon-dra sono così mediocri, che riescono quasi irritanti. Masoprattutto avrei bisogno di suonare io: ma in una came-ra con le pareti imbottite, dove potessi essere veramentesolo con me stesso.

Maggio. Vuoto, vuoto, vuoto. È possibile che io debbaesser sempre condannato al nulla, a distruggere e repri-mere le mie energie, per vegetare in un ozio demolitoree putrificante? Vengo all'ufficio al mattino e me ne vadoalla sera senza aver fatto assolutamente nulla. Pochechiacchiere con Carpenter hanno presto esauriti gli argo-menti di conversazione e la lettura di un atto o due diShakespeare serve a farmi passare un paio d'ore, ma noncerto a dare un senso alla mia giornata.Papà mi scrive che De la Penne ha intenzione di lasciar-mi qui un anno. Un anno di questa vita? È impossibile: ea che cosa servirebbe? Facendo la somma di tutto il la-voro che avrei compiuto in capo ad un anno, arriverei sìe no a raccogliere il lavoro di una giornata. Bel risultato:senza contare che per il lavoro che ho da fare qui, nonho bisogno di far pratica per impararlo, tanto è banale. Eallora? Un anno per imparare l'inglese? Ma allora lascia-temi libero del tutto, ch'io possa riprendere i miei studi etrovare io un senso alla mia vita. No, no, un anno diquesta vita sarebbe peggio di un suicidio, sarebbe il peg-

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Donizetti che in Italia mi sarebbe stata del tutto indiffe-rente, stasera mi è parsa un raggio di sole che veniva ailluminare l'oscurità tempestosa in cui mi dibatto. Avreibisogno di tanta buona musica. Ma le esecuzioni di Lon-dra sono così mediocri, che riescono quasi irritanti. Masoprattutto avrei bisogno di suonare io: ma in una came-ra con le pareti imbottite, dove potessi essere veramentesolo con me stesso.

Maggio. Vuoto, vuoto, vuoto. È possibile che io debbaesser sempre condannato al nulla, a distruggere e repri-mere le mie energie, per vegetare in un ozio demolitoree putrificante? Vengo all'ufficio al mattino e me ne vadoalla sera senza aver fatto assolutamente nulla. Pochechiacchiere con Carpenter hanno presto esauriti gli argo-menti di conversazione e la lettura di un atto o due diShakespeare serve a farmi passare un paio d'ore, ma noncerto a dare un senso alla mia giornata.Papà mi scrive che De la Penne ha intenzione di lasciar-mi qui un anno. Un anno di questa vita? È impossibile: ea che cosa servirebbe? Facendo la somma di tutto il la-voro che avrei compiuto in capo ad un anno, arriverei sìe no a raccogliere il lavoro di una giornata. Bel risultato:senza contare che per il lavoro che ho da fare qui, nonho bisogno di far pratica per impararlo, tanto è banale. Eallora? Un anno per imparare l'inglese? Ma allora lascia-temi libero del tutto, ch'io possa riprendere i miei studi etrovare io un senso alla mia vita. No, no, un anno diquesta vita sarebbe peggio di un suicidio, sarebbe il peg-

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gior delitto ch'io potessi perpetrare contro me stesso. Inogni modo meglio saperlo, perché così posso organiz-zarmi in modo da crearmi una vita in questo periodo, ecessare di vivere provvisoriamente nell'eterna attesa. Main ogni modo credo che se non ci sarà un po' di lavorodopo la fusione delle agenzie, dovrò necessariamentegiungere ad una ribellione, ad imporre me stesso e lamia vita, anche a costo di frustrare così tutto quello cheho sopportato in questi anni di vuoto forzato. La miavita non può essere uccisa.

Il rimanere qui un anno vorrebbe dire anche abdicarecompletamente alla campagna alpinistica di quest'estate.È certamente un dolore per me, poiché la montagna ètuttora la mia massima e la mia più vera espressione divita. Ma forse non è male, perché la vita sedentaria diqui mi mette in condizioni tali che se andassi in monta-gna, non potrei che provare delle umiliazioni.

Giugno. Ho ricevuto, stampato, il mio articolo sulla Bu-sazza: lo ricordavo pochissimo, e l'ho letto con gioia, ri-trovandovi il più vero me stesso, con tutto l'ardore dellamia vita e tutta l'estasi della mia sensibilità. Anche aManlio e alla Nene è piaciuto, come mi aspettavo, per lestesse ragioni probabilmente. Ma forse saranno gli unicia capirne il senso vero e il valore che ha avuto per mequesto canto d'addio alla montagna e alla mia giovinez-za, che mi permetterà di rivivere quella che è stata l'ulti-ma e la più bella delle mie ascensioni, ogni qualvolta

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gior delitto ch'io potessi perpetrare contro me stesso. Inogni modo meglio saperlo, perché così posso organiz-zarmi in modo da crearmi una vita in questo periodo, ecessare di vivere provvisoriamente nell'eterna attesa. Main ogni modo credo che se non ci sarà un po' di lavorodopo la fusione delle agenzie, dovrò necessariamentegiungere ad una ribellione, ad imporre me stesso e lamia vita, anche a costo di frustrare così tutto quello cheho sopportato in questi anni di vuoto forzato. La miavita non può essere uccisa.

Il rimanere qui un anno vorrebbe dire anche abdicarecompletamente alla campagna alpinistica di quest'estate.È certamente un dolore per me, poiché la montagna ètuttora la mia massima e la mia più vera espressione divita. Ma forse non è male, perché la vita sedentaria diqui mi mette in condizioni tali che se andassi in monta-gna, non potrei che provare delle umiliazioni.

Giugno. Ho ricevuto, stampato, il mio articolo sulla Bu-sazza: lo ricordavo pochissimo, e l'ho letto con gioia, ri-trovandovi il più vero me stesso, con tutto l'ardore dellamia vita e tutta l'estasi della mia sensibilità. Anche aManlio e alla Nene è piaciuto, come mi aspettavo, per lestesse ragioni probabilmente. Ma forse saranno gli unicia capirne il senso vero e il valore che ha avuto per mequesto canto d'addio alla montagna e alla mia giovinez-za, che mi permetterà di rivivere quella che è stata l'ulti-ma e la più bella delle mie ascensioni, ogni qualvolta

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avrò bisogno di un alito di vita.

Sono ormai più di 3 mesi che son qui, ma il vantaggio diquesto soggiorno è minimo. Il progresso dell'inglese èimpercettibile: mi sembra di saperne oggi quanto ne sa-pevo dopo un mese che ero qui: solo ho un po' più faci-lità a comprendere gli altri, ma nessuna maggior facilitàa parlarlo. E di ciò può esser cagione la lunga assenzaper il viaggio in Scozia, la convivenza con Taio e Berga-masco, e soprattutto la mia invincibile ritrosia a conver-sare con gli Inglesi. Ma ciò che è più grave è la nessunapratica fatta in questo ufficio e l'impossibilità di farne:mentre la mia speranza e la possibilità di abbandonarepresto Londra, dipende esclusivamente da una rapida esicura pratica. Quando il sig. Veronese era assente, iovedevo tutta la corrispondenza e qualche volta risponde-vo io stesso. Ora non vedo alcuna lettera, non so neppu-re che cosa avvenga in questo ufficio in cui siedo dallamattina alla sera, se non per quello che riesco a carpire oa farmi raccontare da Carpenter. Tutto il lavoro che ho èdi copiare a macchina qualche lettera o qualche circola-re: lavoro invero di grande soddisfazione e utilissimoper la mia futura e brillante carriera di... dattilografo. Sesbaglio in qualche cosa non mi viene detto l'errore, masi fa rifare la cosa dall'impiegato a mia insaputa e iodebbo anche far finta di non accorgermene e senza poiconoscere il mio errore, e poterlo evitare la volta se-guente. Se qualcuno mi chiede qualche cosa, io debbo amia volta chiederlo all'impiegato perché io a quanto

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avrò bisogno di un alito di vita.

Sono ormai più di 3 mesi che son qui, ma il vantaggio diquesto soggiorno è minimo. Il progresso dell'inglese èimpercettibile: mi sembra di saperne oggi quanto ne sa-pevo dopo un mese che ero qui: solo ho un po' più faci-lità a comprendere gli altri, ma nessuna maggior facilitàa parlarlo. E di ciò può esser cagione la lunga assenzaper il viaggio in Scozia, la convivenza con Taio e Berga-masco, e soprattutto la mia invincibile ritrosia a conver-sare con gli Inglesi. Ma ciò che è più grave è la nessunapratica fatta in questo ufficio e l'impossibilità di farne:mentre la mia speranza e la possibilità di abbandonarepresto Londra, dipende esclusivamente da una rapida esicura pratica. Quando il sig. Veronese era assente, iovedevo tutta la corrispondenza e qualche volta risponde-vo io stesso. Ora non vedo alcuna lettera, non so neppu-re che cosa avvenga in questo ufficio in cui siedo dallamattina alla sera, se non per quello che riesco a carpire oa farmi raccontare da Carpenter. Tutto il lavoro che ho èdi copiare a macchina qualche lettera o qualche circola-re: lavoro invero di grande soddisfazione e utilissimoper la mia futura e brillante carriera di... dattilografo. Sesbaglio in qualche cosa non mi viene detto l'errore, masi fa rifare la cosa dall'impiegato a mia insaputa e iodebbo anche far finta di non accorgermene e senza poiconoscere il mio errore, e poterlo evitare la volta se-guente. Se qualcuno mi chiede qualche cosa, io debbo amia volta chiederlo all'impiegato perché io a quanto

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pare non debbo esser messo al corrente di niente e quelpoco che ho visto l'ho carpito quasi di sforzo. Tutto que-sto nascosto sotto la più malsana gentilezza, che non èaltro che odiosa ipocrisia.

Luglio. Gilberti mi ha scritto invitandomi a fare la pare-te N della Grandes Jorasses: contemporaneamente papàmi scrive che stima opportuno che per quest'estate ionon lasci Londra e rinunci alla montagna, facendo cosìtramontare quasi completamente ogni mia speranza.Non mi spiace tanto per l'invito di Celso, che in ognimodo così privo di allenamento e di esperienza nonavrei potuto accettare, quanto per dover rinunciare aquel periodo di vita intensa che gli altri anni mi davaforza per tutto l'inverno, e di cui tanto più quest'annoavrei avuto bisogno. Debbo dunque passar l'estate quivolontariamente legato ad una sedia, nell'ozio che divie-ne tutti i giorni più assoluto e più ammorbante. E questoper esser presente quando avverrà la fusione delle agen-zie, di cui si parla da quando son qui e che sarà gran mi-racolo se avverrà prima della fine dell'anno. Ormai hoimparato che i giorni qui voglion dire settimane, le setti-mane mesi, e i mesi anni.Del resto sono tanto lontano dalle montagne e dallo spi-rito di montagna, che non riesco neppure a sentirne lanostalgia. E questa è la cosa peggiore perché indical'assenza di vita, di volontà e di capacità di reagire.Mi addormento nel mio ozio e nella mia povertà, in unavita che è tanto monotona e indifferente che non è nep-

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pare non debbo esser messo al corrente di niente e quelpoco che ho visto l'ho carpito quasi di sforzo. Tutto que-sto nascosto sotto la più malsana gentilezza, che non èaltro che odiosa ipocrisia.

Luglio. Gilberti mi ha scritto invitandomi a fare la pare-te N della Grandes Jorasses: contemporaneamente papàmi scrive che stima opportuno che per quest'estate ionon lasci Londra e rinunci alla montagna, facendo cosìtramontare quasi completamente ogni mia speranza.Non mi spiace tanto per l'invito di Celso, che in ognimodo così privo di allenamento e di esperienza nonavrei potuto accettare, quanto per dover rinunciare aquel periodo di vita intensa che gli altri anni mi davaforza per tutto l'inverno, e di cui tanto più quest'annoavrei avuto bisogno. Debbo dunque passar l'estate quivolontariamente legato ad una sedia, nell'ozio che divie-ne tutti i giorni più assoluto e più ammorbante. E questoper esser presente quando avverrà la fusione delle agen-zie, di cui si parla da quando son qui e che sarà gran mi-racolo se avverrà prima della fine dell'anno. Ormai hoimparato che i giorni qui voglion dire settimane, le setti-mane mesi, e i mesi anni.Del resto sono tanto lontano dalle montagne e dallo spi-rito di montagna, che non riesco neppure a sentirne lanostalgia. E questa è la cosa peggiore perché indical'assenza di vita, di volontà e di capacità di reagire.Mi addormento nel mio ozio e nella mia povertà, in unavita che è tanto monotona e indifferente che non è nep-

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pure vita. Il tempo trascorre velocissimo come semprequando la vita è regolare e monotona. E questo da unlato è un bene, perché abbrevia questo periodo disastro-so, ma dall'altro è male perché è tutto tempo che fuggesenza che ne possa trarre vantaggio neppure per la miaesperienza di vita pratica o di lingua inglese.Dove mi sta conducendo questa china sempre più ripidae sempre più pericolosa?

Ho conosciuto Hans Köllner: credo che sarà un'amiciziache continuerà a lungo, forse anche sempre. Mi potròsbagliare perché non si può conoscere una persona inun'ora, anche se questi è chiaro, limpido e aperto comeKöllner. In ogni modo la sua vicinanza mi dà un gran-dissimo bene, come la mia dà un grandissimo bene a lui,un appoggio nella sua inesperienza e nella sua solitudi-ne. È il primo amico che ho incontrato a Londra, ed è ungran bene non essere soli nell'affrontare l'uggiadell'inverno londinese.

La mia posizione qui pare consolidarsi: qualche mese faciò mi avrebbe esasperato, oggi non chiedo di meglio:non ho nessuna soddisfazione dal mio lavoro, eccettoquella della semplice attività, ma oggi trovo in me ric-chezza più che soddisfacente per tirare avanti nel mi-gliore dei modi: ricchezza che non trovavo, quando tan-to affermavo di possederla.In queste condizioni e solo così è stata possibile l'amici-zia con Köllner, che è la maggior ricchezza che abbia

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pure vita. Il tempo trascorre velocissimo come semprequando la vita è regolare e monotona. E questo da unlato è un bene, perché abbrevia questo periodo disastro-so, ma dall'altro è male perché è tutto tempo che fuggesenza che ne possa trarre vantaggio neppure per la miaesperienza di vita pratica o di lingua inglese.Dove mi sta conducendo questa china sempre più ripidae sempre più pericolosa?

Ho conosciuto Hans Köllner: credo che sarà un'amiciziache continuerà a lungo, forse anche sempre. Mi potròsbagliare perché non si può conoscere una persona inun'ora, anche se questi è chiaro, limpido e aperto comeKöllner. In ogni modo la sua vicinanza mi dà un gran-dissimo bene, come la mia dà un grandissimo bene a lui,un appoggio nella sua inesperienza e nella sua solitudi-ne. È il primo amico che ho incontrato a Londra, ed è ungran bene non essere soli nell'affrontare l'uggiadell'inverno londinese.

La mia posizione qui pare consolidarsi: qualche mese faciò mi avrebbe esasperato, oggi non chiedo di meglio:non ho nessuna soddisfazione dal mio lavoro, eccettoquella della semplice attività, ma oggi trovo in me ric-chezza più che soddisfacente per tirare avanti nel mi-gliore dei modi: ricchezza che non trovavo, quando tan-to affermavo di possederla.In queste condizioni e solo così è stata possibile l'amici-zia con Köllner, che è la maggior ricchezza che abbia

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trovato da che sono in Inghilterra. E soprattutto ora horaggiunto quel perfetto equilibrio che è condizione divita assolutamente necessaria, ma sufficiente.

Dicembre. I giorni scorsi pensavo a partire (per tra-scorrere le feste in famiglia), senza esserne convinto:ero ancora assopito nel torpore del letargo londinese.Ma da ieri ho cominciato a preparare le mie robe e sonoormai tutto preso dalla febbre della nuova avventura.

Dicembre, Bruxelles. In Belgio ho trovato il sole e ilcielo limpido, con una temperatura primaverile: la genteha una parlata gaia e sonora, la sera si sentono le ragaz-ze che cantano nella strada. Un'impressione di liberazio-ne, di respirare nuovamente a pieni polmoni. Sono anco-ra una volta lanciato in una delle mie rapide scorribandeda un luogo all'altro, in una pienezza di vita e con unrinnovato senso di gioventù.Ma se guardo indietro ora alla vita che ho condotto aLondra, mi fa orrore, e se guardo avanti a quella che miattenderà mi fa terrore.Vado in Italia con la speranza di chiarire qualche cosa,ma so già che non concluderò un bel niente. E forse laconclusione non verrà finché non mi deciderò ad abban-donare ogni riguardo sentimentale e a prender io unabuona volta l'iniziativa di me stesso, a troncare nettoquesta tetra pagina della mia vita, e ad incamminarmisenza esitazione verso la luce, verso la mia vita. Oggiche mi sento di nuovo ricco, mi sento di nuovo la forza

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trovato da che sono in Inghilterra. E soprattutto ora horaggiunto quel perfetto equilibrio che è condizione divita assolutamente necessaria, ma sufficiente.

Dicembre. I giorni scorsi pensavo a partire (per tra-scorrere le feste in famiglia), senza esserne convinto:ero ancora assopito nel torpore del letargo londinese.Ma da ieri ho cominciato a preparare le mie robe e sonoormai tutto preso dalla febbre della nuova avventura.

Dicembre, Bruxelles. In Belgio ho trovato il sole e ilcielo limpido, con una temperatura primaverile: la genteha una parlata gaia e sonora, la sera si sentono le ragaz-ze che cantano nella strada. Un'impressione di liberazio-ne, di respirare nuovamente a pieni polmoni. Sono anco-ra una volta lanciato in una delle mie rapide scorribandeda un luogo all'altro, in una pienezza di vita e con unrinnovato senso di gioventù.Ma se guardo indietro ora alla vita che ho condotto aLondra, mi fa orrore, e se guardo avanti a quella che miattenderà mi fa terrore.Vado in Italia con la speranza di chiarire qualche cosa,ma so già che non concluderò un bel niente. E forse laconclusione non verrà finché non mi deciderò ad abban-donare ogni riguardo sentimentale e a prender io unabuona volta l'iniziativa di me stesso, a troncare nettoquesta tetra pagina della mia vita, e ad incamminarmisenza esitazione verso la luce, verso la mia vita. Oggiche mi sento di nuovo ricco, mi sento di nuovo la forza

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di volere questa decisione e sarebbe tempo di riprenderela vita, prima che ogni energia sia del tutto distrutta dalcilicio che mi soffoca.

Milano. Ma perché sono venuto a Milano? È quello chemi domandavo anche prima di partire. Forse sono venu-to soltanto perché ora avevo la scusa per fuggire Lon-dra, e avevo bisogno di sollevarmi almeno per qualchegiorno dall'oppressione e dall'umiliazione e riposare de-dicandomi ancora una volta solo a ritrovar me stesso.

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di volere questa decisione e sarebbe tempo di riprenderela vita, prima che ogni energia sia del tutto distrutta dalcilicio che mi soffoca.

Milano. Ma perché sono venuto a Milano? È quello chemi domandavo anche prima di partire. Forse sono venu-to soltanto perché ora avevo la scusa per fuggire Lon-dra, e avevo bisogno di sollevarmi almeno per qualchegiorno dall'oppressione e dall'umiliazione e riposare de-dicandomi ancora una volta solo a ritrovar me stesso.

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1933

Gennaio, Milano. In questi pochi giorni mi sono abban-donato al riposo e al benessere: ho avuto veramente unsenso di ristoro, ho ritrovato me stesso e la mia vita: mirincresce solo che in questi pochi giorni non mi rimangatempo da dedicare a me stesso. L'esperienza inglese èlontana come se non fosse mai esistita: se pensassi al ri-torno mi farebbe terrore quello che mi attende a Londra,ma appunto per questo non ci penso. Non voglio pensa-re a nulla, solo godere queste poche giornate. Mi diconoche in questi pochi giorni ho cambiato faccia: io dicoche son cambiato io stesso, cioè son ritornato quello cheson sempre stato, pieno di vita, di luce, di ricchezza.

Non faccio alcun commento per fine d'anno, perché nul-la avrei da aggiungere a quanto è già descritto con anchetroppa evidenza in queste pagine. In ogni modo, l'espe-rienza londinese col suo grigiore non è per nulla inter-rotta dalla fine d'anno. Questo diario finirà quando cisarà qualche cambiamento nella mia vita o quando verròvia da Londra. Ora purtroppo non posso che segnarne lacontinuità.

Gennaio, Londra. Londra mi ha accolto col suo grigio-re, in acuto contrasto col sole e con la luce di Chambérye Ginevra dove l'aria cruda e profumata delle Alpi mi ha

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1933

Gennaio, Milano. In questi pochi giorni mi sono abban-donato al riposo e al benessere: ho avuto veramente unsenso di ristoro, ho ritrovato me stesso e la mia vita: mirincresce solo che in questi pochi giorni non mi rimangatempo da dedicare a me stesso. L'esperienza inglese èlontana come se non fosse mai esistita: se pensassi al ri-torno mi farebbe terrore quello che mi attende a Londra,ma appunto per questo non ci penso. Non voglio pensa-re a nulla, solo godere queste poche giornate. Mi diconoche in questi pochi giorni ho cambiato faccia: io dicoche son cambiato io stesso, cioè son ritornato quello cheson sempre stato, pieno di vita, di luce, di ricchezza.

Non faccio alcun commento per fine d'anno, perché nul-la avrei da aggiungere a quanto è già descritto con anchetroppa evidenza in queste pagine. In ogni modo, l'espe-rienza londinese col suo grigiore non è per nulla inter-rotta dalla fine d'anno. Questo diario finirà quando cisarà qualche cambiamento nella mia vita o quando verròvia da Londra. Ora purtroppo non posso che segnarne lacontinuità.

Gennaio, Londra. Londra mi ha accolto col suo grigio-re, in acuto contrasto col sole e con la luce di Chambérye Ginevra dove l'aria cruda e profumata delle Alpi mi ha

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dato tanta ricchezza di vita. Riprendo la mia vita d'uffi-cio, il cui vuoto mi pare ora più che mai terrificante.

Manlio mi scrive in modo incoraggiante circa la possibi-lità e l'opportunità di avere un posto nel nuovo comitatoper la Guida dei Monti d'Italia. Quantunque la speranzasia ancora molto vaga, è tuttavia un raggio di luce chemi ha animato tutt'oggi.

Febbraio. Oggi è un anno da che sono arrivato a Lon-dra: non tento di fare un bilancio di questo anno perchésarebbe troppo umiliante: il passivo e la distruzione as-sumerebbero aspetti catastrofici: d'altronde questo diarioè lo specchio sufficientemente fedele di quest'annata.

Aprile. Oggi ho scritto a Verrando una specie di ultima-tum per mettere in chiaro la mia posizione. Attendo larisposta alquanto ansiosamente, poiché da quella dipen-dono le mie decisioni per il futuro. Spero che la rispostaporti una chiarificazione, ma non so davvero prevederecome possa portare una soluzione. Non credo alla possi-bilità di darmi una posizione soddisfacente a Genova;prolungare la mia permanenza qui sarebbe un suicidio ouna catastrofe morale irreparabile: troncare con l'"Italia"e tornare a Milano senza un'occupazione, mi getterebbe-ro in un caos, certo peggiore a quello dell'inverno 1931-1932. E allora?

Ancora una lettera della Nene, che mi ha fatto tanto pia-

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dato tanta ricchezza di vita. Riprendo la mia vita d'uffi-cio, il cui vuoto mi pare ora più che mai terrificante.

Manlio mi scrive in modo incoraggiante circa la possibi-lità e l'opportunità di avere un posto nel nuovo comitatoper la Guida dei Monti d'Italia. Quantunque la speranzasia ancora molto vaga, è tuttavia un raggio di luce chemi ha animato tutt'oggi.

Febbraio. Oggi è un anno da che sono arrivato a Lon-dra: non tento di fare un bilancio di questo anno perchésarebbe troppo umiliante: il passivo e la distruzione as-sumerebbero aspetti catastrofici: d'altronde questo diarioè lo specchio sufficientemente fedele di quest'annata.

Aprile. Oggi ho scritto a Verrando una specie di ultima-tum per mettere in chiaro la mia posizione. Attendo larisposta alquanto ansiosamente, poiché da quella dipen-dono le mie decisioni per il futuro. Spero che la rispostaporti una chiarificazione, ma non so davvero prevederecome possa portare una soluzione. Non credo alla possi-bilità di darmi una posizione soddisfacente a Genova;prolungare la mia permanenza qui sarebbe un suicidio ouna catastrofe morale irreparabile: troncare con l'"Italia"e tornare a Milano senza un'occupazione, mi getterebbe-ro in un caos, certo peggiore a quello dell'inverno 1931-1932. E allora?

Ancora una lettera della Nene, che mi ha fatto tanto pia-

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cere; mi sembra impossibile che ci sia ancora qualcunoche ha dell'affetto e della stima per me, quando io stessonon ne ho affatto. Il fatto è che queste persone mi hannoconosciuto un anno fa, mentre io mi conosco oggi.

Tutto è distrutto, parte dalle circostanze esteriori e partedal mio scetticismo, che mi fa rinnegare ogni fede perfi-no nelle mie facoltà, nei miei studi, nei miei appunti.Anche questo diario è andato divenendo sempre più po-vero, sempre più arido parallelamente a me stesso. Ep-pure esso è ancora l'unica e l'ultima ricchezza che anco-ra mi rimane.

Giugno, Milano. Sì, ogni rinuncia è una vigliaccheria:tutto questo periodo è stato un periodo di rinunce e diabdicazione a me stesso: quindi un periodo di vigliac-cheria e di infedeltà.Gli ultimi giorni a Londra non ho più scritto su questodiario perché la devastazione morale me ne rendeva in-capace. La tensione dell'incertezza di non poter saperenulla fino all'ultimo e la debolezza di non saper volereuna decisione e assumermene la responsabilità, mi esau-rivano e mi esacerbavano.D'altra parte sapevo che venendo via voleva dire rinun-ciare per sempre e definitivamente ad ogni rapporto conl"'Italia" e il ritornare a Milano e ritrovarmi qui senzauna occupazione ad un punto assai più indietro di quan-do ne son partito, mi atterriva almeno quanto il prolun-gare il soggiorno all'agenzia di Londra. Ora c'è la scusa

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cere; mi sembra impossibile che ci sia ancora qualcunoche ha dell'affetto e della stima per me, quando io stessonon ne ho affatto. Il fatto è che queste persone mi hannoconosciuto un anno fa, mentre io mi conosco oggi.

Tutto è distrutto, parte dalle circostanze esteriori e partedal mio scetticismo, che mi fa rinnegare ogni fede perfi-no nelle mie facoltà, nei miei studi, nei miei appunti.Anche questo diario è andato divenendo sempre più po-vero, sempre più arido parallelamente a me stesso. Ep-pure esso è ancora l'unica e l'ultima ricchezza che anco-ra mi rimane.

Giugno, Milano. Sì, ogni rinuncia è una vigliaccheria:tutto questo periodo è stato un periodo di rinunce e diabdicazione a me stesso: quindi un periodo di vigliac-cheria e di infedeltà.Gli ultimi giorni a Londra non ho più scritto su questodiario perché la devastazione morale me ne rendeva in-capace. La tensione dell'incertezza di non poter saperenulla fino all'ultimo e la debolezza di non saper volereuna decisione e assumermene la responsabilità, mi esau-rivano e mi esacerbavano.D'altra parte sapevo che venendo via voleva dire rinun-ciare per sempre e definitivamente ad ogni rapporto conl"'Italia" e il ritornare a Milano e ritrovarmi qui senzauna occupazione ad un punto assai più indietro di quan-do ne son partito, mi atterriva almeno quanto il prolun-gare il soggiorno all'agenzia di Londra. Ora c'è la scusa

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di andare un po' in montagna (quantunque sono cosìlontano dallo spirito eroico dell'alpinismo, che so benis-simo che non ne avrò altro che umiliazioni) per fuggireMilano, ma poi? Il buio e il nulla. A meno che la monta-gna possa ancora una volta farmi risorgere, restituirmi ame stesso con tutta la mia forza, la mia volontà e la miasicurezza. Insomma le ultime giornate a Londra sonostate queste: un'estrema tensione per la lotta control'ipocrisia, con davanti lo spettro del ritorno a Milano inqueste condizioni. Non vedevo più nessuno, neppure piùandavo a concerti o altro; ero tutto chiuso nella più acresolitudine, tutta odio di me stesso e della mia vita. Nonero affranto, poiché ancora avevo la forza di lottare: maera una lotta senza meta, perché non avevo alcuna metaa cui poter tendere; era una lotta di difesa per mantener-mi a galla fino alla scadenza del termine. Ora per qual-che po' un breve legno mi sostiene, ma nessun porto è invista a cui poter approdare. Lo troverò sulla vetta diqualche croda?

Il viaggio in Olanda è stato tutta luce. Il ritrovarmi inmezzo a tanti colori così vivi, sotto un sole così brucian-te e un cielo così luminoso, mi ha dato subito un sensocosì straordinario di vita. E poi era proprio il Paese chemi ci voleva: non desideravo musei o opere d'arte, e in-fatti ho percorso solo quelle gallerie affrettatamente edistrattamente: solo Rembrandt e Van Gogh mi hannofermato: luce. Quello che chiedevo all'Olanda era la na-tura e il folklore, i boschi e il mare, i canali e i campi di

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di andare un po' in montagna (quantunque sono cosìlontano dallo spirito eroico dell'alpinismo, che so benis-simo che non ne avrò altro che umiliazioni) per fuggireMilano, ma poi? Il buio e il nulla. A meno che la monta-gna possa ancora una volta farmi risorgere, restituirmi ame stesso con tutta la mia forza, la mia volontà e la miasicurezza. Insomma le ultime giornate a Londra sonostate queste: un'estrema tensione per la lotta control'ipocrisia, con davanti lo spettro del ritorno a Milano inqueste condizioni. Non vedevo più nessuno, neppure piùandavo a concerti o altro; ero tutto chiuso nella più acresolitudine, tutta odio di me stesso e della mia vita. Nonero affranto, poiché ancora avevo la forza di lottare: maera una lotta senza meta, perché non avevo alcuna metaa cui poter tendere; era una lotta di difesa per mantener-mi a galla fino alla scadenza del termine. Ora per qual-che po' un breve legno mi sostiene, ma nessun porto è invista a cui poter approdare. Lo troverò sulla vetta diqualche croda?

Il viaggio in Olanda è stato tutta luce. Il ritrovarmi inmezzo a tanti colori così vivi, sotto un sole così brucian-te e un cielo così luminoso, mi ha dato subito un sensocosì straordinario di vita. E poi era proprio il Paese chemi ci voleva: non desideravo musei o opere d'arte, e in-fatti ho percorso solo quelle gallerie affrettatamente edistrattamente: solo Rembrandt e Van Gogh mi hannofermato: luce. Quello che chiedevo all'Olanda era la na-tura e il folklore, i boschi e il mare, i canali e i campi di

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fiori: avevo bisogno di aria e di luce per rivivere e tuttoquesto l'Olanda mi ha dato con una ricchezza che mi harigenerato.

La Germania è ora un campo di manovra delle camiciebrune: anzi più propriamente sono di color kaki, coloreperfettamente intonato a questa massa di imbecilli, vi-gliacchi, oltracotanti e boriosi, di cui ho conosciuto aLondra quel degno campione. La popolazione è compo-sta solo di terrorizzati e di ebbri; questi hanno anche tro-vato il loro idolo, la spia Leo Schlageter, l'hanno divi-nizzato e lo adorano come il vitello d'oro. I terrorizzatiobbediscono e adorano anch'essi il nuovo eroe. La di-struzione così rapida e così totale di un popolo forte, ric-co di vita, e di volontà, conscio di sé, è una cosa che ad-dolora profondamente anche chi non gli fosse mai statoamico.Anche Colonia è morta; guizza appena qualche baglioredella raffinatezza degli anni scorsi. Francoforte riesceancora a vivere in parte la sua vita animata e moderna,ad affermare lo slancio della città che si rinnova tutta in-torno al suo delizioso nucleo del Römerberg. Würzburgvive di Tillmann Riemenschneider: va il Tiepolo scoper-chiando le volte coi suoi cieli luminosi, ammassando eagitando i suoi scorci fantastici, ha un impeto spontaneodi vita, come nessun tedesco si sarebbe mai sognato.Valli deliziose (Reno e Neckar) che si dilungano serpeg-giando fra due guanciali di bosco. Stoccarda anch'essa ètutt'un impeto di rinnovamento e trabocca oltre gli orli

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fiori: avevo bisogno di aria e di luce per rivivere e tuttoquesto l'Olanda mi ha dato con una ricchezza che mi harigenerato.

La Germania è ora un campo di manovra delle camiciebrune: anzi più propriamente sono di color kaki, coloreperfettamente intonato a questa massa di imbecilli, vi-gliacchi, oltracotanti e boriosi, di cui ho conosciuto aLondra quel degno campione. La popolazione è compo-sta solo di terrorizzati e di ebbri; questi hanno anche tro-vato il loro idolo, la spia Leo Schlageter, l'hanno divi-nizzato e lo adorano come il vitello d'oro. I terrorizzatiobbediscono e adorano anch'essi il nuovo eroe. La di-struzione così rapida e così totale di un popolo forte, ric-co di vita, e di volontà, conscio di sé, è una cosa che ad-dolora profondamente anche chi non gli fosse mai statoamico.Anche Colonia è morta; guizza appena qualche baglioredella raffinatezza degli anni scorsi. Francoforte riesceancora a vivere in parte la sua vita animata e moderna,ad affermare lo slancio della città che si rinnova tutta in-torno al suo delizioso nucleo del Römerberg. Würzburgvive di Tillmann Riemenschneider: va il Tiepolo scoper-chiando le volte coi suoi cieli luminosi, ammassando eagitando i suoi scorci fantastici, ha un impeto spontaneodi vita, come nessun tedesco si sarebbe mai sognato.Valli deliziose (Reno e Neckar) che si dilungano serpeg-giando fra due guanciali di bosco. Stoccarda anch'essa ètutt'un impeto di rinnovamento e trabocca oltre gli orli

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della sua corona di soldi e dilaga nelle conche e nellevalli circostanti.

Naturalmente tutti mi chiedono cosa faccio, come maisono in Italia, quanto tempo ci resto. Ma debbo propriorendere conto a tutti quanti del mio fallimento morale?

Giugno. Celso, perché io non ero con te! Sì, perché nonero con te! Questo è stato il primo grido spontaneo,quando ho saputo (della morte di Gilberti). Allora inten-devo dire che s'io fossi stato con lui non sarebbe succes-so nulla: ne avevo una convinzione istintiva, prima an-cor di sapere come era avvenuta la sciagura. Era tale lasicurezza reciproca, ch'io ho sempre avuto il senso pre-ciso che a noi non sarebbe mai potuto accadere nulla,dovunque fossimo andati, qualunque cosa avessimo osa-to. Solo nell'estate scorsa io ho cominciato a temere perlui, non sapendo con chi andava, e anche lui ha comin-ciato a fare previsioni e le sue tragiche statistiche. Forses'io fossi arrivato in tempo per riunirmi a lui, per fonde-re nuovamente in un tutto unico e incrollabile le nostreforze morali, ci saremmo salvati reciprocamente. Cosìlui è perito fisicamente e io moralmente.Perito moralmente al punto che a Trento il grido «per-ché io non ero con te» aveva assunto un altro significa-to. Eravamo stati tanto uniti sempre: da quando la sortelo ha unito a un estraneo che non conosceva neppure in-vece che a me? Sarebbe stato così bello essere uniti finoall'ultimo, essere uniti anche in quelle due bare identi-

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della sua corona di soldi e dilaga nelle conche e nellevalli circostanti.

Naturalmente tutti mi chiedono cosa faccio, come maisono in Italia, quanto tempo ci resto. Ma debbo propriorendere conto a tutti quanti del mio fallimento morale?

Giugno. Celso, perché io non ero con te! Sì, perché nonero con te! Questo è stato il primo grido spontaneo,quando ho saputo (della morte di Gilberti). Allora inten-devo dire che s'io fossi stato con lui non sarebbe succes-so nulla: ne avevo una convinzione istintiva, prima an-cor di sapere come era avvenuta la sciagura. Era tale lasicurezza reciproca, ch'io ho sempre avuto il senso pre-ciso che a noi non sarebbe mai potuto accadere nulla,dovunque fossimo andati, qualunque cosa avessimo osa-to. Solo nell'estate scorsa io ho cominciato a temere perlui, non sapendo con chi andava, e anche lui ha comin-ciato a fare previsioni e le sue tragiche statistiche. Forses'io fossi arrivato in tempo per riunirmi a lui, per fonde-re nuovamente in un tutto unico e incrollabile le nostreforze morali, ci saremmo salvati reciprocamente. Cosìlui è perito fisicamente e io moralmente.Perito moralmente al punto che a Trento il grido «per-ché io non ero con te» aveva assunto un altro significa-to. Eravamo stati tanto uniti sempre: da quando la sortelo ha unito a un estraneo che non conosceva neppure in-vece che a me? Sarebbe stato così bello essere uniti finoall'ultimo, essere uniti anche in quelle due bare identi-

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che e affiancate. Mi sentivo quasi colpevole di essere lìdi fronte, in piedi, di essermi sottratto vigliaccamente almio destino: il mio posto era in quella bara, accanto alui. Accanto a lui sulla vetta più bella, dopo la conquistapiù eroica: dopo aver tante volte conquistato insieme lavita sulle più ardue pareti, insieme avremmo dovutoconquistare anche la morte. Non era forse questo il no-stro sogno più bello? Morire insieme, felici, in un istan-te di ebbrezza di vita.Il destino non l'ha voluto; forse, in questo momentosono tanto in basso, che non ero degno di lui, non erodegno di tanta conquista. Solo il puro eroe è degno delWalhalla (l'Olimpo della mitologia nordica): io mi sonovenduto per vigliaccheria e per un falso sentimentalismoborghese. Perciò sono ancora qui a diguazzare nel fan-go.

È una di quelle cose, che non si possono comprendere atutta prima, che non si credono, di cui non ci si rendeconto. Ma quando, a Terlago, mi sono visto passare da-vanti quel furgone nero e mi sono detto «lì dentro è Cel-so», un brivido di terrore mi ha percorso il corpo. Ai fu-nerali ho afferrato la bara per portarla e la difendevo rin-ghiando contro chiunque volesse prendere il mio posto,quasi volessi stringermi disperatamente a lui, superandola barriera della cassa di zinco, che il destino aveva po-sto fra me e lui. Fino al cimitero eravamo ancora insie-me, uniti: il senso del distacco l'ho provato allontanan-domi dalla sua tomba, dove lui era rinchiuso per sem-

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che e affiancate. Mi sentivo quasi colpevole di essere lìdi fronte, in piedi, di essermi sottratto vigliaccamente almio destino: il mio posto era in quella bara, accanto alui. Accanto a lui sulla vetta più bella, dopo la conquistapiù eroica: dopo aver tante volte conquistato insieme lavita sulle più ardue pareti, insieme avremmo dovutoconquistare anche la morte. Non era forse questo il no-stro sogno più bello? Morire insieme, felici, in un istan-te di ebbrezza di vita.Il destino non l'ha voluto; forse, in questo momentosono tanto in basso, che non ero degno di lui, non erodegno di tanta conquista. Solo il puro eroe è degno delWalhalla (l'Olimpo della mitologia nordica): io mi sonovenduto per vigliaccheria e per un falso sentimentalismoborghese. Perciò sono ancora qui a diguazzare nel fan-go.

È una di quelle cose, che non si possono comprendere atutta prima, che non si credono, di cui non ci si rendeconto. Ma quando, a Terlago, mi sono visto passare da-vanti quel furgone nero e mi sono detto «lì dentro è Cel-so», un brivido di terrore mi ha percorso il corpo. Ai fu-nerali ho afferrato la bara per portarla e la difendevo rin-ghiando contro chiunque volesse prendere il mio posto,quasi volessi stringermi disperatamente a lui, superandola barriera della cassa di zinco, che il destino aveva po-sto fra me e lui. Fino al cimitero eravamo ancora insie-me, uniti: il senso del distacco l'ho provato allontanan-domi dalla sua tomba, dove lui era rinchiuso per sem-

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pre. Allora finalmente ho pianto: ho potuto piangere:ah! Il refrigerio del pianto!Quanto tempo che non potevo piangere: da un pezzo or-mai anche le più tragiche esperienze si risolvevano inuna lotta spossante e in uno spasimo muto, reso acredall'aridità del sentimento. Celso fino all'ultimo mi èstato amico, anche morendo mi ha fatto il dono più pre-zioso, il dono del pianto.

Fra gli amici di Udine, v'era una vera e profonda com-mozione, specialmente Granzotto e Niccoloso: con loromi trovavo bene, perché pareva che ancora qualche cosadello spirito di Celso potesse essere conservato fra noi.Con gli altri tutto era finito, quando è finita la cerimo-nia. Solo in Vitale, con la rozza ingenuità dei suoi modi,si sentiva la profonda sincerità della sua commozione. Alui mi son sempre sentito vicino, e l'averlo vicino mi èstata un'ancora di salvezza in questo nuovo naufragio.Ora che anche Celso mi è tolto, non mi resta più che Vi-tale: è l'unica persona che veramente amo ed è probabil-mente l'unica che mi ami di un affetto puro e generoso:certamente è l'unica, il cui affetto mi possa ancora faredel bene.

Giugno, Tregnago. A Milano sono stato molto occupa-to ed avevo nella mia terribile solitudine almeno quelsenso di ricchezza che dà il lavoro assiduo e quel sensodi essere temporaneamente allontanato e distratto daquello a cui vorrei poter non pensare. Ma un articolo

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pre. Allora finalmente ho pianto: ho potuto piangere:ah! Il refrigerio del pianto!Quanto tempo che non potevo piangere: da un pezzo or-mai anche le più tragiche esperienze si risolvevano inuna lotta spossante e in uno spasimo muto, reso acredall'aridità del sentimento. Celso fino all'ultimo mi èstato amico, anche morendo mi ha fatto il dono più pre-zioso, il dono del pianto.

Fra gli amici di Udine, v'era una vera e profonda com-mozione, specialmente Granzotto e Niccoloso: con loromi trovavo bene, perché pareva che ancora qualche cosadello spirito di Celso potesse essere conservato fra noi.Con gli altri tutto era finito, quando è finita la cerimo-nia. Solo in Vitale, con la rozza ingenuità dei suoi modi,si sentiva la profonda sincerità della sua commozione. Alui mi son sempre sentito vicino, e l'averlo vicino mi èstata un'ancora di salvezza in questo nuovo naufragio.Ora che anche Celso mi è tolto, non mi resta più che Vi-tale: è l'unica persona che veramente amo ed è probabil-mente l'unica che mi ami di un affetto puro e generoso:certamente è l'unica, il cui affetto mi possa ancora faredel bene.

Giugno, Tregnago. A Milano sono stato molto occupa-to ed avevo nella mia terribile solitudine almeno quelsenso di ricchezza che dà il lavoro assiduo e quel sensodi essere temporaneamente allontanato e distratto daquello a cui vorrei poter non pensare. Ma un articolo

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che mi hanno incaricato di scrivere per Celso, mi è riu-scito in gran parte di frasi vuote e retoriche e mi ha datosolo noia. Qui a Tregnago sono venuto a cercare quelloscoglio a cui mi son sempre potuto aggrappare nei mieinaufragi, quel punto fermo nella mia vita incerta e vaga-bonda. Ma questa volta neppure qui mi son saputo ritro-vare. Tregnago per me non rappresenta più che un pas-sato che oramai è morto e non può più rivivere. Tregna-go è il luogo della mia infanzia, ora non mi può più darnulla, non mi appartiene più: appartiene ai bambini diun'altra generazione.Sono andato al Cimitero con papà: il rito formale di de-porre i fiori senza la possibilità, almeno per me, di unistante solo di sincerità: irritazione. Vi sono ritornato lasera tardi, quando era tutto buio e tutto silenzio: là final-mente ho potuto guardare in faccia me stesso senza al-cun velo di ipocrisia. Ho guardato a me stesso: orrore;ho guardato al mio passato: distruzione e rovina di unedificio senza fondamenta; al mio presente: disperazio-ne; al mio futuro: sfiducia e oscurità. Quella mezz'orapassata al Cimitero, mi ha dato il dono della sincerità,ma non mi ha dato nessuna luce e nessun affetto; mi sonsentito più che mai chiuso in me stesso, in una difesa adoltranza contro tutti, senza possibilità di sentimento nédi commozione. Per questo quando avevo potuto pian-gere sulla tomba di Celso, mi ero sentito rinascere; ave-vo avuto un istante di umanità: ora sono ritornato unmostro pensante.

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che mi hanno incaricato di scrivere per Celso, mi è riu-scito in gran parte di frasi vuote e retoriche e mi ha datosolo noia. Qui a Tregnago sono venuto a cercare quelloscoglio a cui mi son sempre potuto aggrappare nei mieinaufragi, quel punto fermo nella mia vita incerta e vaga-bonda. Ma questa volta neppure qui mi son saputo ritro-vare. Tregnago per me non rappresenta più che un pas-sato che oramai è morto e non può più rivivere. Tregna-go è il luogo della mia infanzia, ora non mi può più darnulla, non mi appartiene più: appartiene ai bambini diun'altra generazione.Sono andato al Cimitero con papà: il rito formale di de-porre i fiori senza la possibilità, almeno per me, di unistante solo di sincerità: irritazione. Vi sono ritornato lasera tardi, quando era tutto buio e tutto silenzio: là final-mente ho potuto guardare in faccia me stesso senza al-cun velo di ipocrisia. Ho guardato a me stesso: orrore;ho guardato al mio passato: distruzione e rovina di unedificio senza fondamenta; al mio presente: disperazio-ne; al mio futuro: sfiducia e oscurità. Quella mezz'orapassata al Cimitero, mi ha dato il dono della sincerità,ma non mi ha dato nessuna luce e nessun affetto; mi sonsentito più che mai chiuso in me stesso, in una difesa adoltranza contro tutti, senza possibilità di sentimento nédi commozione. Per questo quando avevo potuto pian-gere sulla tomba di Celso, mi ero sentito rinascere; ave-vo avuto un istante di umanità: ora sono ritornato unmostro pensante.

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Luglio. «La vita ha un grande significato per colui chevive per un'idea». (Tagore)Ma chi vive per un'idea è pronto a sacrificare aquest'idea la vita stessa. Tant'è vero che «la morte stessapuò essere la benvenuta come apportatrice di un più altovalore della vita».

Nell'avventura in cima al Croz dell'Altissimo, per unvero miracolo non sono stato trascinato nel precipizio:per un istante ne ho avuto la percezione esatta, ma nonmi sono affatto spaventato: semplicemente aspettavo lostrappo, che ritenevo già inevitabile. Ciò mi dà la tran-quillità che la morte in montagna è una morte senza sof-ferenza, poiché so già che nella caduta non si sente nul-la.Nella salita dell'Altissimo mi son sentito spossato finoall'esaurimento delle forze: ma poi ho potuto ancora ri-prendermi e ora mi sento molto meglio e molto più pa-drone dei miei mezzi e più fiducioso.

Agosto, Pinò. Moltissime volte avrei voluto prendere inmano questo diario per notarvi passo per passo la risur-rezione trionfale e la riconquista piena della vita. Ma lavita era così intensa, che non ho mai trovato il momentodi arrestarne il flusso per registrarla qui. Non un attimoin tutto questo periodo, che non sia stato intensamentevissuto.La montagna con la sua calma e la sua solitudine mi hadato dapprima l'equilibrio, poi mi ha dato in Bruno De-

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Luglio. «La vita ha un grande significato per colui chevive per un'idea». (Tagore)Ma chi vive per un'idea è pronto a sacrificare aquest'idea la vita stessa. Tant'è vero che «la morte stessapuò essere la benvenuta come apportatrice di un più altovalore della vita».

Nell'avventura in cima al Croz dell'Altissimo, per unvero miracolo non sono stato trascinato nel precipizio:per un istante ne ho avuto la percezione esatta, ma nonmi sono affatto spaventato: semplicemente aspettavo lostrappo, che ritenevo già inevitabile. Ciò mi dà la tran-quillità che la morte in montagna è una morte senza sof-ferenza, poiché so già che nella caduta non si sente nul-la.Nella salita dell'Altissimo mi son sentito spossato finoall'esaurimento delle forze: ma poi ho potuto ancora ri-prendermi e ora mi sento molto meglio e molto più pa-drone dei miei mezzi e più fiducioso.

Agosto, Pinò. Moltissime volte avrei voluto prendere inmano questo diario per notarvi passo per passo la risur-rezione trionfale e la riconquista piena della vita. Ma lavita era così intensa, che non ho mai trovato il momentodi arrestarne il flusso per registrarla qui. Non un attimoin tutto questo periodo, che non sia stato intensamentevissuto.La montagna con la sua calma e la sua solitudine mi hadato dapprima l'equilibrio, poi mi ha dato in Bruno De-

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tassis l'amico che ha guidato i primi passi incerti versola conquista, e il compagno di cordata ideale di tutte levittorie più belle. Infine la scuola d'ardimento delle cro-de verticali, mi ha insegnato nuovamente ad osare auda-cemente, a conquistare con baldanza eroica, a volere lavittoria. Sulle crode del Brenta ho ritrovato l'impeto e lapurezza del luglio 1929, ho ritrovato la più bella espres-sione di me stesso, tutto conquista eroica e idealità.L'elegantissima salita alla Preuss del Basso mi ha rimes-so in forza completamente. Il Dos Dalum è stata la pri-ma di una serie di vittorie luminose, senza un'ombra,senza un'incertezza. La concezione della salita è tuttamia: Detassis sale primo: ad un passaggio esita a lungosenza riuscire: salgo io senza un'incertezza: dopo due otre cordate gli cedo nuovamente la testa della cordata,perché comprendo che lui ci tiene ad essere primo, perla sua futura carriera di guida: io non ho bisogno di nul-la altro che la salita sia per me, tutta mia: anzi, donando-la così a Bruno, mi pare sia ancora più mia. Sulla pareteTrenti del Basso mi trovo ancora una volta in difficoltà:ma sarà l'ultima disonestà. La parete sudovest della Tosaè una salita tutta di Detassis, studiata e guidata da lui, acui partecipo vivamente, senza peraltro riuscire a sentir-la come mia. Il Crozzon invece è una salita non prepara-ta, riuscita meravigliosamente per l'audace sicurezzadella nostra cordata ormai affiatatissima e solidale: lasalita non è stata né mia né di Detassis, ma della nostracordata come unità inscindibile. Sulla Torre Gilberti in-vece mi sono un po' allontanato da Bruno: qui l'amico

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tassis l'amico che ha guidato i primi passi incerti versola conquista, e il compagno di cordata ideale di tutte levittorie più belle. Infine la scuola d'ardimento delle cro-de verticali, mi ha insegnato nuovamente ad osare auda-cemente, a conquistare con baldanza eroica, a volere lavittoria. Sulle crode del Brenta ho ritrovato l'impeto e lapurezza del luglio 1929, ho ritrovato la più bella espres-sione di me stesso, tutto conquista eroica e idealità.L'elegantissima salita alla Preuss del Basso mi ha rimes-so in forza completamente. Il Dos Dalum è stata la pri-ma di una serie di vittorie luminose, senza un'ombra,senza un'incertezza. La concezione della salita è tuttamia: Detassis sale primo: ad un passaggio esita a lungosenza riuscire: salgo io senza un'incertezza: dopo due otre cordate gli cedo nuovamente la testa della cordata,perché comprendo che lui ci tiene ad essere primo, perla sua futura carriera di guida: io non ho bisogno di nul-la altro che la salita sia per me, tutta mia: anzi, donando-la così a Bruno, mi pare sia ancora più mia. Sulla pareteTrenti del Basso mi trovo ancora una volta in difficoltà:ma sarà l'ultima disonestà. La parete sudovest della Tosaè una salita tutta di Detassis, studiata e guidata da lui, acui partecipo vivamente, senza peraltro riuscire a sentir-la come mia. Il Crozzon invece è una salita non prepara-ta, riuscita meravigliosamente per l'audace sicurezzadella nostra cordata ormai affiatatissima e solidale: lasalita non è stata né mia né di Detassis, ma della nostracordata come unità inscindibile. Sulla Torre Gilberti in-vece mi sono un po' allontanato da Bruno: qui l'amico

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mi era divenuto poco più che il portatore delle scarpe,che io mi trascinavo dietro necessariamente nella miaconquista: neppure gli rendevo conto dove andavo ecosa facevo: salivo: come se fossi stato tutto solo, conl'animo proteso verso la cima di quella Torre, che già incuor mio avevo battezzato, come se lassù avessi dovutoraggiungere e ritrovare l'amico perduto. Dall'attacco allavetta sono 700 m di parete difficile, ignota, e con unacontinua successione di incognite; non un istante misono arrestato nella mia corsa verso l'alto (neppure perlasciar fare una pipata a Bruno...!) e solo sulla vetta hopotuto calmare la tensione dell'incertezza e la febbre diarrivare e di vincere. Sì, Celso, sono felice che a te hopotuto dedicare una delle mie più belle vittorie. Rag-giunta la vetta della Torre, il resto non mi interessava:l'ultimo tratto per raggiungere la vetta della Tosa l'ho la-sciato fare a Detassis e l'ho seguito come in qualchecosa che non mi riguardava. Bruno mi perdonerà se que-sta volta ho dimenticato la corda che mi univa a lui, persentirmi avvinto da quella che tante volte mi aveva lega-to a Celso.Con la Torre Gilberti ho avuto l'impressione di averadempiuto a un dovere e a un voto: più nulla ormai miinteressava in Brenta, ero impaziente di partire e soloper attendere Manlio, mi sono trattenuto ancora qualchegiorno. Le mie crode erano ormai infestate e insozzateda gentaglia insopportabile, da mafiosi, fanfaroni, pette-goli e ipocriti: la lite con Neri mi ha disgustato comple-tamente. Mi son rifugiato ai XII Apostoli, come un orso

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mi era divenuto poco più che il portatore delle scarpe,che io mi trascinavo dietro necessariamente nella miaconquista: neppure gli rendevo conto dove andavo ecosa facevo: salivo: come se fossi stato tutto solo, conl'animo proteso verso la cima di quella Torre, che già incuor mio avevo battezzato, come se lassù avessi dovutoraggiungere e ritrovare l'amico perduto. Dall'attacco allavetta sono 700 m di parete difficile, ignota, e con unacontinua successione di incognite; non un istante misono arrestato nella mia corsa verso l'alto (neppure perlasciar fare una pipata a Bruno...!) e solo sulla vetta hopotuto calmare la tensione dell'incertezza e la febbre diarrivare e di vincere. Sì, Celso, sono felice che a te hopotuto dedicare una delle mie più belle vittorie. Rag-giunta la vetta della Torre, il resto non mi interessava:l'ultimo tratto per raggiungere la vetta della Tosa l'ho la-sciato fare a Detassis e l'ho seguito come in qualchecosa che non mi riguardava. Bruno mi perdonerà se que-sta volta ho dimenticato la corda che mi univa a lui, persentirmi avvinto da quella che tante volte mi aveva lega-to a Celso.Con la Torre Gilberti ho avuto l'impressione di averadempiuto a un dovere e a un voto: più nulla ormai miinteressava in Brenta, ero impaziente di partire e soloper attendere Manlio, mi sono trattenuto ancora qualchegiorno. Le mie crode erano ormai infestate e insozzateda gentaglia insopportabile, da mafiosi, fanfaroni, pette-goli e ipocriti: la lite con Neri mi ha disgustato comple-tamente. Mi son rifugiato ai XII Apostoli, come un orso

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nella sua tana, e là in solitudine beata, in un ambiente dicordialità e simpatia come non si potrebbe desiderar me-glio, ho vissuto ancora qualche giornata felice, intera-mente perduto nell'oblio di tutto e di tutti. Soprattutto miha fatto bene durante tutto questo periodo l'affratella-mento con Bruno Detassis, la sua forza morale, la suasicurezza, la sua rude e schietta sincerità, il suo affetto ela sua sensibilità, inespressi, ma sempre percepibili. Èforse troppo poco per essere un amico: ma sulla croda,come al rifugio, dopo la scomparsa di Celso, con nessu-no mi son trovato così bene come con lui.

Nella settimana con Bramani nei gruppi del Bernina eDisgrazia mi son sentito sempre straniero: mi lasciavocondurre passivamente da Vitale in questi luoghi scono-sciuti, ma senza un interesse diretto né una partecipazio-ne attiva. Le arrampicate non mi davano alcuna soddi-sfazione; il granito, sia facile o difficile, non mi dà mainé la gioia dell'arrampicata, né il senso della conquistaeroica: mi parevano passeggiate per croda, con il solosenso di esplorare orizzonti nuovi, spesso molto gran-diosi. Ma dopo una settimana ne ero già stufo.

Sono corso a Primiero a raggiunger Manlio e Bruno, maanche con loro difficilmente posso ora trovare l'affiata-mento di una volta: sulla croda troppa distanza ci sepa-ra, poco meno della distanza che separa la guida dalpasseggero.

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nella sua tana, e là in solitudine beata, in un ambiente dicordialità e simpatia come non si potrebbe desiderar me-glio, ho vissuto ancora qualche giornata felice, intera-mente perduto nell'oblio di tutto e di tutti. Soprattutto miha fatto bene durante tutto questo periodo l'affratella-mento con Bruno Detassis, la sua forza morale, la suasicurezza, la sua rude e schietta sincerità, il suo affetto ela sua sensibilità, inespressi, ma sempre percepibili. Èforse troppo poco per essere un amico: ma sulla croda,come al rifugio, dopo la scomparsa di Celso, con nessu-no mi son trovato così bene come con lui.

Nella settimana con Bramani nei gruppi del Bernina eDisgrazia mi son sentito sempre straniero: mi lasciavocondurre passivamente da Vitale in questi luoghi scono-sciuti, ma senza un interesse diretto né una partecipazio-ne attiva. Le arrampicate non mi davano alcuna soddi-sfazione; il granito, sia facile o difficile, non mi dà mainé la gioia dell'arrampicata, né il senso della conquistaeroica: mi parevano passeggiate per croda, con il solosenso di esplorare orizzonti nuovi, spesso molto gran-diosi. Ma dopo una settimana ne ero già stufo.

Sono corso a Primiero a raggiunger Manlio e Bruno, maanche con loro difficilmente posso ora trovare l'affiata-mento di una volta: sulla croda troppa distanza ci sepa-ra, poco meno della distanza che separa la guida dalpasseggero.

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Sulla cima Wilma siamo tornati indietro: Manlio miaveva detto di andare in cima io solo, dato che ormaiavevo già superato tutti i tratti difficili, che mi avrebbe-ro aspettato. Ma io non sapevo che farmene di comple-tare un'ascensione che non facevo per me, ma esclusiva-mente per i miei fratelli, e son ritornato subito. Ma al ri-fugio mi è seccato quando abbiamo dovuto dire che nonavevamo raggiunto la cima: per la prima volta ho sentitol'orgoglio del mio nome e la necessità di difenderlo. Puòesser vero che il mio amore per la montagna non sia piùcosì puro, così incurante di tutti i terzi?

Ho sempre cercato di festeggiarmi il 28 agosto (com-pleanno) con una bella arrampicata: due anni fa sullaBusazza scioglievo in un tripudio di luce la corda cheper l'ultima volta mi aveva legato a Celso. Era giustoche quest'anno fosse dedicata in un rito di omaggio alui: in cima alla parete della Paganella ho deposto unmazzo di stelle alpine. Durante l'ascensione svoltasi neltriste grigiore di una nebbia fittissima, abbiamo trovatocontinuamente tracce della tragedia: sembrava un temadi morte che ci accompagnava con l'insistenza implaca-bile di un leit-motiv wagneriano. Solo pochi istanti pri-ma di raggiungere la vetta il sole ha potuto squarciare lenebbie: la Val d'Adige si stendeva sotto i nostri piedi, ilBrenta davanti a noi coi suoi mille pinnacoli. Era la lucedella vita, premio della nostra conquista. Così per me:dal cieco incubo di morte di due mesi fa, avevo saputolottare, risollevarmi e riconquistare la vita che ora di

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Sulla cima Wilma siamo tornati indietro: Manlio miaveva detto di andare in cima io solo, dato che ormaiavevo già superato tutti i tratti difficili, che mi avrebbe-ro aspettato. Ma io non sapevo che farmene di comple-tare un'ascensione che non facevo per me, ma esclusiva-mente per i miei fratelli, e son ritornato subito. Ma al ri-fugio mi è seccato quando abbiamo dovuto dire che nonavevamo raggiunto la cima: per la prima volta ho sentitol'orgoglio del mio nome e la necessità di difenderlo. Puòesser vero che il mio amore per la montagna non sia piùcosì puro, così incurante di tutti i terzi?

Ho sempre cercato di festeggiarmi il 28 agosto (com-pleanno) con una bella arrampicata: due anni fa sullaBusazza scioglievo in un tripudio di luce la corda cheper l'ultima volta mi aveva legato a Celso. Era giustoche quest'anno fosse dedicata in un rito di omaggio alui: in cima alla parete della Paganella ho deposto unmazzo di stelle alpine. Durante l'ascensione svoltasi neltriste grigiore di una nebbia fittissima, abbiamo trovatocontinuamente tracce della tragedia: sembrava un temadi morte che ci accompagnava con l'insistenza implaca-bile di un leit-motiv wagneriano. Solo pochi istanti pri-ma di raggiungere la vetta il sole ha potuto squarciare lenebbie: la Val d'Adige si stendeva sotto i nostri piedi, ilBrenta davanti a noi coi suoi mille pinnacoli. Era la lucedella vita, premio della nostra conquista. Così per me:dal cieco incubo di morte di due mesi fa, avevo saputolottare, risollevarmi e riconquistare la vita che ora di

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nuovo mi si apre davanti fulgente. Il Brenta che mi haredento, ora mi riappariva in tutta la sua bellezza.

Settembre. Quando son partito da Milano, dubitavo sevi sarei ritornato: se non fosse stato per papà, pensavoalla morte in montagna quasi desiderandola, comeun'apoteosi bellissima. Non la cercavo naturalmente, mal'attendevo come una cosa possibile, anzi probabile. Einfatti per poco non si è verificata sull'Altissimo, la pri-ma ascensione di quest'anno. Durante le prime ascensio-ni non avevo paura, ma pensavo continuamente allapossibilità di una tragedia. Ora, riconquistata la padro-nanza dei miei mezzi, la sicurezza e la volontà come nel1929, parto per un'ascensione con la tranquilla certezzache nulla mi possa succedere: l'idea di correre un peri-colo mi fa semplicemente ridere. Se anche l'ascensioneoffre dei dubbi e delle incognite, esse sono per me giàrisolte a priori dalla certezza che nessun ostacolo possafrapporsi o ostacolare il mio cammino. Tutte le ascen-sioni di quest'anno sono state così insperatamente fortu-nate, che ho di nuovo l'impressione di una volontà chedomina il destino. Mai una campagna è stata così ricca efortunata come quella di quest'anno, mai è stata così go-duta e intensamente vissuta.

Ho vissuto due mesi in montagna e fra alpinisti, dovun-que circondato da stima, affetto e cordialità calorosa. Ilciao di chi mi incontra alla Tosa o il buon giorno di chimi incontra per le vie di Trento mi fa piacere, perché c'è

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nuovo mi si apre davanti fulgente. Il Brenta che mi haredento, ora mi riappariva in tutta la sua bellezza.

Settembre. Quando son partito da Milano, dubitavo sevi sarei ritornato: se non fosse stato per papà, pensavoalla morte in montagna quasi desiderandola, comeun'apoteosi bellissima. Non la cercavo naturalmente, mal'attendevo come una cosa possibile, anzi probabile. Einfatti per poco non si è verificata sull'Altissimo, la pri-ma ascensione di quest'anno. Durante le prime ascensio-ni non avevo paura, ma pensavo continuamente allapossibilità di una tragedia. Ora, riconquistata la padro-nanza dei miei mezzi, la sicurezza e la volontà come nel1929, parto per un'ascensione con la tranquilla certezzache nulla mi possa succedere: l'idea di correre un peri-colo mi fa semplicemente ridere. Se anche l'ascensioneoffre dei dubbi e delle incognite, esse sono per me giàrisolte a priori dalla certezza che nessun ostacolo possafrapporsi o ostacolare il mio cammino. Tutte le ascen-sioni di quest'anno sono state così insperatamente fortu-nate, che ho di nuovo l'impressione di una volontà chedomina il destino. Mai una campagna è stata così ricca efortunata come quella di quest'anno, mai è stata così go-duta e intensamente vissuta.

Ho vissuto due mesi in montagna e fra alpinisti, dovun-que circondato da stima, affetto e cordialità calorosa. Ilciao di chi mi incontra alla Tosa o il buon giorno di chimi incontra per le vie di Trento mi fa piacere, perché c'è

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nell'accento una nota di calore e di simpatia. Il ritorno infamiglia invece mi ha agghiacciato: la bottiglia di spu-mante che papà ha sturato per la mia festa e il toccaredei bicchieri è stata una cerimonia così convenzionale eretorica che mi son chiesto perché mai son sceso dallemie montagne e avrei voluto ritornarci all'istante stesso.Mi ha fatto quasi piacere la partenza di papà e di Man-lio, perché almeno con la Nene sola, è sempre possibiletrovare un rapporto di amicizia e un interesse fuori daogni convenzionalità e da ogni regola di dovere.

Ottobre, Milano. Ancora giornate di vita ricca e piena-mente vissuta: giornate di luce vivissima senza unanube, senza un'ombra: mi pareva di navigare tanto inalto sulla cresta della vita, che nulla mi potesse più rag-giungere. Il partire per un'ascensione non aveva più nul-la di eccezionale, era solo l'occupazione abituale nellegiornate di bel tempo, e partivo pigramente, quasi svo-gliatamente, solo per compiacere all'amico a cui avevopromesso di accompagnarlo. Poi, una volta attaccata laroccia, la febbre della conquista mi riprendeva e ancorauna volta correvo, correvo, con una baldanza, un'agilità,una sicurezza e una perfezione di stile, quali non avevomai conosciuto prima d'ora, superavo ogni ostacolo,quasi senza accorgermene, e non mi arrestavo finchénon avevo raggiunto la vetta. Giudicavo poi la difficoltàdal tempo e dagli sforzi del mio compagno per raggiun-germi. Lo spigolo della Torre di Fanis è tutta una suc-cessione ininterrotta di strapiombi: io stesso non crede-

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nell'accento una nota di calore e di simpatia. Il ritorno infamiglia invece mi ha agghiacciato: la bottiglia di spu-mante che papà ha sturato per la mia festa e il toccaredei bicchieri è stata una cerimonia così convenzionale eretorica che mi son chiesto perché mai son sceso dallemie montagne e avrei voluto ritornarci all'istante stesso.Mi ha fatto quasi piacere la partenza di papà e di Man-lio, perché almeno con la Nene sola, è sempre possibiletrovare un rapporto di amicizia e un interesse fuori daogni convenzionalità e da ogni regola di dovere.

Ottobre, Milano. Ancora giornate di vita ricca e piena-mente vissuta: giornate di luce vivissima senza unanube, senza un'ombra: mi pareva di navigare tanto inalto sulla cresta della vita, che nulla mi potesse più rag-giungere. Il partire per un'ascensione non aveva più nul-la di eccezionale, era solo l'occupazione abituale nellegiornate di bel tempo, e partivo pigramente, quasi svo-gliatamente, solo per compiacere all'amico a cui avevopromesso di accompagnarlo. Poi, una volta attaccata laroccia, la febbre della conquista mi riprendeva e ancorauna volta correvo, correvo, con una baldanza, un'agilità,una sicurezza e una perfezione di stile, quali non avevomai conosciuto prima d'ora, superavo ogni ostacolo,quasi senza accorgermene, e non mi arrestavo finchénon avevo raggiunto la vetta. Giudicavo poi la difficoltàdal tempo e dagli sforzi del mio compagno per raggiun-germi. Lo spigolo della Torre di Fanis è tutta una suc-cessione ininterrotta di strapiombi: io stesso non crede-

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vo di poter salire per di là e Pisoni lo credeva ancormeno di me. Ma anche qui, lento e sicuro son salito finoall'ultimo senza arrestarmi un istante: alla fine ero stan-co: i muscoli più non rispondevano sui difficilissimistrapiombi alla mia indomita volontà di lotta: «Casti-glioni, prova ancora una volta» e passavo: l'entusiastacandore di un istante traboccante di passione fa beneoggi che anche l'alpinismo è così ingannato da pettego-lezzi. Con Pisoni ho rivissuto alcune giornate della vitasana, ingenua, spensierata e purissima del fanciullo: eanch'io mi sentivo tornato fanciullo e giocavamo comedue gatti, al sole.Sulla Fleischbank ho provato ancora una volta la gioiapiù intensa dell'arrampicata: la roccia solidissima e levi-gata non esige sforzo alcuno, ma pura tecnica raffinatis-sima: anche questa è un'arrampicata tutta luce, che sivive tutta.

Il ritorno a Milano questa volta non mi spaventa, anzi lodesidero per poter riprendere un po' di attività. Mal'esperienza londinese mi ha avvertito di pensarci benbene prima di accettare un impiego qualunque: è più chemai necessario che la strada ch'io scelgo, sia veramentemia, e una strada in cui possa marciare come capocorda-ta: guai se dovessi incorrere in un secondo fallimento:mi sarebbe forse fatale. Ma oggi, che da troppo tempoho abbandonato il mio genere di studi, la sola via possi-bile e veramente mia sarebbe quella del Touring o unasimile che mi permettesse di occuparmi di montagna. E

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vo di poter salire per di là e Pisoni lo credeva ancormeno di me. Ma anche qui, lento e sicuro son salito finoall'ultimo senza arrestarmi un istante: alla fine ero stan-co: i muscoli più non rispondevano sui difficilissimistrapiombi alla mia indomita volontà di lotta: «Casti-glioni, prova ancora una volta» e passavo: l'entusiastacandore di un istante traboccante di passione fa beneoggi che anche l'alpinismo è così ingannato da pettego-lezzi. Con Pisoni ho rivissuto alcune giornate della vitasana, ingenua, spensierata e purissima del fanciullo: eanch'io mi sentivo tornato fanciullo e giocavamo comedue gatti, al sole.Sulla Fleischbank ho provato ancora una volta la gioiapiù intensa dell'arrampicata: la roccia solidissima e levi-gata non esige sforzo alcuno, ma pura tecnica raffinatis-sima: anche questa è un'arrampicata tutta luce, che sivive tutta.

Il ritorno a Milano questa volta non mi spaventa, anzi lodesidero per poter riprendere un po' di attività. Mal'esperienza londinese mi ha avvertito di pensarci benbene prima di accettare un impiego qualunque: è più chemai necessario che la strada ch'io scelgo, sia veramentemia, e una strada in cui possa marciare come capocorda-ta: guai se dovessi incorrere in un secondo fallimento:mi sarebbe forse fatale. Ma oggi, che da troppo tempoho abbandonato il mio genere di studi, la sola via possi-bile e veramente mia sarebbe quella del Touring o unasimile che mi permettesse di occuparmi di montagna. E

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ciò non tanto per la mia passione, quanto perché è l'uni-ca via per cui una lunga esperienza mi permette di affer-marmi, di essere subito capocordata, come ho bisogno,senza tirocini umilianti.

Novembre, Milano. Son venuto a Milano con una deci-sione: di cercarmi una strada che fosse ben mia, e con lacertezza di sapermela creare se solo avessi saputo voler-la. Mi son messo a lavorare alacremente a cose d'alpini-smo, ho impostato uno schedario della guida delle Pale,come se ne avessi avuto l'incarico. In fondo è il lavoroche mi ci vuole ora: lavoro di raccolta e di studio in uncampo capace di interessarmi vivamente. Lavoro che miassorbe e che mi isola dall'ambiente in cui vivo, che miriesce tutti i giorni più opprimente. Le cose si maturava-no così bene, che credevo già quasi che un'altra volta lamia ferma decisione avesse ragione degli elementi este-riori. Al Touring mi facevano promesse sempre più con-crete: la guida delle Pale sembrava quasi decisa: tantopiù lavoravo di buona lena. Intanto papà, a mia insaputa(perché?), ha fatto scrivere a Rocca chiedendo un postoper me, e quello ha fatto rispondere che sta occupando-sene e che certamente riuscirà a sistemarmi: questo po-sto eventuale offrirebbe una buona posizione e la possi-bilità di una carriera brillante, di fronte alla posizionemodesta e alla via chiusa del Touring: se domani mi ve-nisse offerto questo posto avrò io diritto di rifiutarlo? Odebbo compiere un altro delitto verso me stesso, affron-tare un'altra esperienza che può essere fallimentare,

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ciò non tanto per la mia passione, quanto perché è l'uni-ca via per cui una lunga esperienza mi permette di affer-marmi, di essere subito capocordata, come ho bisogno,senza tirocini umilianti.

Novembre, Milano. Son venuto a Milano con una deci-sione: di cercarmi una strada che fosse ben mia, e con lacertezza di sapermela creare se solo avessi saputo voler-la. Mi son messo a lavorare alacremente a cose d'alpini-smo, ho impostato uno schedario della guida delle Pale,come se ne avessi avuto l'incarico. In fondo è il lavoroche mi ci vuole ora: lavoro di raccolta e di studio in uncampo capace di interessarmi vivamente. Lavoro che miassorbe e che mi isola dall'ambiente in cui vivo, che miriesce tutti i giorni più opprimente. Le cose si maturava-no così bene, che credevo già quasi che un'altra volta lamia ferma decisione avesse ragione degli elementi este-riori. Al Touring mi facevano promesse sempre più con-crete: la guida delle Pale sembrava quasi decisa: tantopiù lavoravo di buona lena. Intanto papà, a mia insaputa(perché?), ha fatto scrivere a Rocca chiedendo un postoper me, e quello ha fatto rispondere che sta occupando-sene e che certamente riuscirà a sistemarmi: questo po-sto eventuale offrirebbe una buona posizione e la possi-bilità di una carriera brillante, di fronte alla posizionemodesta e alla via chiusa del Touring: se domani mi ve-nisse offerto questo posto avrò io diritto di rifiutarlo? Odebbo compiere un altro delitto verso me stesso, affron-tare un'altra esperienza che può essere fallimentare,

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come quella di Londra? L'occasione del Touring è pro-babilmente unica e non si presenterebbe più in seguito:se io incorressi in un altro fallimento (ciò che non è im-possibile al momento attuale in un'organizzazione go-vernativa), probabilmente non avrei nessun'ancora disalvezza. Al Touring andrei perché sono io e perché houna certa competenza: altrove andrei per la raccomanda-zione di Rocca, quindi andrei incontro di nuovo all'ipo-crisia, al disprezzo e alla diffidenza, come a Londra: equello che ho sopportato a Londra, non son disposto asopportarlo ancora. In compenso di questi ostacoli mo-rali, in compenso dell'abdicazione totale di me stesso e aogni mio ideale (poiché il nuovo lavoro mi assorbirebbein modo esclusivo), cosa ne avrei? La possibilità di unacarriera. Bene e la carriera, per me, significa solo il sa-crificio degli anni in cui si potrebbe vivere, per procu-rarsi gli agi quando non si è più in grado che di vegeta-re. Che cosa me ne farò degli agi quando, dopo moltianni di lavoro assorbente, non sarò più capace di ascol-tare un concerto, né di vedere un quadro, quando nonriuscirò a vedere niente in un viaggio all'estero, o quan-do non sarò più capace di fare una salita di 3° grado? Lacarriera degli affari esige una dedizione completa e ap-passionata: io non saprei mai rinunciare ai miei ideali, ese affrontassi quella carriera con l'interessamento sem-pre rivolto altrove, non farei che votarmi a un fallimentoirreparabile. Anche a papà ho parlato abbastanza decisa-mente e ho capito che ne è rimasto assai scosso, perchénon può capire un mio rifiuto a una posizione che a lui

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come quella di Londra? L'occasione del Touring è pro-babilmente unica e non si presenterebbe più in seguito:se io incorressi in un altro fallimento (ciò che non è im-possibile al momento attuale in un'organizzazione go-vernativa), probabilmente non avrei nessun'ancora disalvezza. Al Touring andrei perché sono io e perché houna certa competenza: altrove andrei per la raccomanda-zione di Rocca, quindi andrei incontro di nuovo all'ipo-crisia, al disprezzo e alla diffidenza, come a Londra: equello che ho sopportato a Londra, non son disposto asopportarlo ancora. In compenso di questi ostacoli mo-rali, in compenso dell'abdicazione totale di me stesso e aogni mio ideale (poiché il nuovo lavoro mi assorbirebbein modo esclusivo), cosa ne avrei? La possibilità di unacarriera. Bene e la carriera, per me, significa solo il sa-crificio degli anni in cui si potrebbe vivere, per procu-rarsi gli agi quando non si è più in grado che di vegeta-re. Che cosa me ne farò degli agi quando, dopo moltianni di lavoro assorbente, non sarò più capace di ascol-tare un concerto, né di vedere un quadro, quando nonriuscirò a vedere niente in un viaggio all'estero, o quan-do non sarò più capace di fare una salita di 3° grado? Lacarriera degli affari esige una dedizione completa e ap-passionata: io non saprei mai rinunciare ai miei ideali, ese affrontassi quella carriera con l'interessamento sem-pre rivolto altrove, non farei che votarmi a un fallimentoirreparabile. Anche a papà ho parlato abbastanza decisa-mente e ho capito che ne è rimasto assai scosso, perchénon può capire un mio rifiuto a una posizione che a lui

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sembra ottima, non può capire come si possano averedei bisogni morali più stringenti delle necessità econo-miche e un interesse concreto al di fuori del mondo de-gli affari. Ma per amore di papà ho già commesso il gra-vissimo errore di Londra, non potrei commetterne un al-tro, ancor più grave e ancor meno giustificato. Dopo tut-to per la mia vita ho doveri verso me stesso superiori aquelli verso mio padre e non posso permettermi di sacri-ficarmi per fare quello che lui crede bene o quello che alui può far piacere. Dopo tutto i miei bisogni sono mo-desti e le mie rendite mi bastano a vivere: quello chechiedo è solo un'occupazione per non restare ozioso einutile in modo umiliante. Ma perché dovrei rendermiinfelice per guadagnare del denaro di cui non ho biso-gno? Certo che se papà avesse ragionato così, io ogginon avrei questo denaro, so certo anche che ragionereiin modo ben diverso se avessi la prospettiva o almenovedessi la possibilità di aver famiglia. Ma di questa pos-sibilità mi disilludo sempre più, quanto più vado avantinegli anni, e allora quali soddisfazioni ricaverei dal sa-crificio di me stesso e del denaro guadagnato in pro' dinessuno? O lo farci soltanto per quello che il mondosciocco e borghese direbbe di me? Perché piuttosto nonvado a nascondermi in un rifugio, isolato da questomondo idiota, volgare e disgustoso, solo con la sinceritàdelle mie crode e la cordialità dei miei amici?Dal momento che ho la possibilità di esser felice e di vi-ver pienamente la mia vita, perché non debbo farlo?

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sembra ottima, non può capire come si possano averedei bisogni morali più stringenti delle necessità econo-miche e un interesse concreto al di fuori del mondo de-gli affari. Ma per amore di papà ho già commesso il gra-vissimo errore di Londra, non potrei commetterne un al-tro, ancor più grave e ancor meno giustificato. Dopo tut-to per la mia vita ho doveri verso me stesso superiori aquelli verso mio padre e non posso permettermi di sacri-ficarmi per fare quello che lui crede bene o quello che alui può far piacere. Dopo tutto i miei bisogni sono mo-desti e le mie rendite mi bastano a vivere: quello chechiedo è solo un'occupazione per non restare ozioso einutile in modo umiliante. Ma perché dovrei rendermiinfelice per guadagnare del denaro di cui non ho biso-gno? Certo che se papà avesse ragionato così, io ogginon avrei questo denaro, so certo anche che ragionereiin modo ben diverso se avessi la prospettiva o almenovedessi la possibilità di aver famiglia. Ma di questa pos-sibilità mi disilludo sempre più, quanto più vado avantinegli anni, e allora quali soddisfazioni ricaverei dal sa-crificio di me stesso e del denaro guadagnato in pro' dinessuno? O lo farci soltanto per quello che il mondosciocco e borghese direbbe di me? Perché piuttosto nonvado a nascondermi in un rifugio, isolato da questomondo idiota, volgare e disgustoso, solo con la sinceritàdelle mie crode e la cordialità dei miei amici?Dal momento che ho la possibilità di esser felice e di vi-ver pienamente la mia vita, perché non debbo farlo?

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Ho ricevuto un assegno in pagamento di un mio artico-lo: è il primo denaro che sento veramente come guada-gnato dal mio lavoro (neppure lo stipendio militare po-teva esser considerato un frutto del mio lavoro, e tantomeno altre forme più o meno dirette di compenso). Lasomma è insignificante, ciò che importa è che era un as-segno intestato a me e che è il compenso del mio primolavoro in materia d'alpinismo. Per insignificante che siala somma (L. 200) è sempre di più di quanto ho guada-gnato a Londra con un anno di lavoro e di sacrificio!

Dicembre. Tre giorni di sci nelle Alpi Marittime mihanno dato ben poco: solo l'ultimo giorno con un soleradioso ho avuto il bene di respirare l'aria pura e profu-mata dei monti. Eppure l'evasione mi ha fatto bene: pro-babilmente mi era necessaria. Questa stanchezza e quelprincipio di sfiducia che già cominciava a prendermi,sono scomparsi: tutto mi va bene di nuovo. La vita ri-prende intensa per circostanze indipendenti dalla miavolontà, ma che pure si verificano solo quando io cam-mino diritto e senza incertezze.

Ancora una vigliaccheria: avevo deciso di andare inmontagna per sfuggire al Natale, ma per la venuta diBruno a Milano e per non andare contro le sacre tradi-zioni a cui la mia famiglia pare tenga in modo così esa-gerato, ho rinunciato. Così son qui, irritato da questegiornate noiose in cui non si riesce a concludere nulla,irritato dalla banale convenzionalità delle cerimonie uf-

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Ho ricevuto un assegno in pagamento di un mio artico-lo: è il primo denaro che sento veramente come guada-gnato dal mio lavoro (neppure lo stipendio militare po-teva esser considerato un frutto del mio lavoro, e tantomeno altre forme più o meno dirette di compenso). Lasomma è insignificante, ciò che importa è che era un as-segno intestato a me e che è il compenso del mio primolavoro in materia d'alpinismo. Per insignificante che siala somma (L. 200) è sempre di più di quanto ho guada-gnato a Londra con un anno di lavoro e di sacrificio!

Dicembre. Tre giorni di sci nelle Alpi Marittime mihanno dato ben poco: solo l'ultimo giorno con un soleradioso ho avuto il bene di respirare l'aria pura e profu-mata dei monti. Eppure l'evasione mi ha fatto bene: pro-babilmente mi era necessaria. Questa stanchezza e quelprincipio di sfiducia che già cominciava a prendermi,sono scomparsi: tutto mi va bene di nuovo. La vita ri-prende intensa per circostanze indipendenti dalla miavolontà, ma che pure si verificano solo quando io cam-mino diritto e senza incertezze.

Ancora una vigliaccheria: avevo deciso di andare inmontagna per sfuggire al Natale, ma per la venuta diBruno a Milano e per non andare contro le sacre tradi-zioni a cui la mia famiglia pare tenga in modo così esa-gerato, ho rinunciato. Così son qui, irritato da questegiornate noiose in cui non si riesce a concludere nulla,irritato dalla banale convenzionalità delle cerimonie uf-

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ficiali, mentre penso quanto sarei stato felice oggi inBondone, fra la neve, il sole e l'aria limpida, in compa-gnia di Bruno Detassis e degli amici di Trento.

Dicembre, San Martino. Questo diario può veramenteintitolarsi morte e resurrezione. L'anno finisce a tuttaluce. Una giornata in Bondone con Bruno, nell'ambientedi tutta sincerità. Poi qui a sciare con Eldo Pedrotti,nell'ebbrezza di una neve polverosa, fra i boschi incan-tati, come un paesaggio magico. Il batter pista con laneve così alta è una fatica: nevica spesso, ma che impor-ta? L'anno finisce tra le mie crode, sempre amiche, ed ètutta una luce di promesse per l'anno venturo. Qui tuttomi va bene: basta ch'io rimanga sempre fedele alle miecrode e il mio avvenire non potrà più avere l'ombra diun dubbio. Dopo un così lungo periodo di tenebre impe-netrabili e di sbandamenti deprimenti, come fa bene tut-ta questa luce, e questa serena fiducia. Ancora una voltaoggi rinnovo la promessa di fedeltà a me stesso, ponen-do i doveri verso me stesso al di sopra di ogni altro do-vere della vita. Ormai è troppo provato che ogni rinun-cia per sentimenti familiari o per rispetto a false ideolo-gie borghesi ci conduca in rovina. Il rispetto per mestesso e il seguire me stesso dev'essere ormai l'unicoproblema della mia vita, cercando gli elementi di vitasolo nella sincerità e nella purezza di quella che solapuò essere la vita vera per me.Ma saprò sempre e in ogni atto mantenere la mia pro-messa, il 1934 sarà un anno di tutta luce. Fregarsene del

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ficiali, mentre penso quanto sarei stato felice oggi inBondone, fra la neve, il sole e l'aria limpida, in compa-gnia di Bruno Detassis e degli amici di Trento.

Dicembre, San Martino. Questo diario può veramenteintitolarsi morte e resurrezione. L'anno finisce a tuttaluce. Una giornata in Bondone con Bruno, nell'ambientedi tutta sincerità. Poi qui a sciare con Eldo Pedrotti,nell'ebbrezza di una neve polverosa, fra i boschi incan-tati, come un paesaggio magico. Il batter pista con laneve così alta è una fatica: nevica spesso, ma che impor-ta? L'anno finisce tra le mie crode, sempre amiche, ed ètutta una luce di promesse per l'anno venturo. Qui tuttomi va bene: basta ch'io rimanga sempre fedele alle miecrode e il mio avvenire non potrà più avere l'ombra diun dubbio. Dopo un così lungo periodo di tenebre impe-netrabili e di sbandamenti deprimenti, come fa bene tut-ta questa luce, e questa serena fiducia. Ancora una voltaoggi rinnovo la promessa di fedeltà a me stesso, ponen-do i doveri verso me stesso al di sopra di ogni altro do-vere della vita. Ormai è troppo provato che ogni rinun-cia per sentimenti familiari o per rispetto a false ideolo-gie borghesi ci conduca in rovina. Il rispetto per mestesso e il seguire me stesso dev'essere ormai l'unicoproblema della mia vita, cercando gli elementi di vitasolo nella sincerità e nella purezza di quella che solapuò essere la vita vera per me.Ma saprò sempre e in ogni atto mantenere la mia pro-messa, il 1934 sarà un anno di tutta luce. Fregarsene del

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mondo e della società, chiudersi nella difesa del più as-soluto egoismo, per diventare tanto ricco e tanto in altoal di sopra di tutti, da poter donare a piene mani la vitaconquistata.

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mondo e della società, chiudersi nella difesa del più as-soluto egoismo, per diventare tanto ricco e tanto in altoal di sopra di tutti, da poter donare a piene mani la vitaconquistata.

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1934

1° gennaio. L'anno è cominciato come una notte qua-lunque, senza convenzionalità, forse senza neppurescambio di auguri. Ma al mattino destandomi ho vistodalle finestre tutto bianco di neve: nella diafana luce dif-fusa, apparivano, incerte come fantasmi, le mie crode.Esse mi hanno dato il primo saluto il mattino del primodell'anno, e il loro saluto è stato, come sempre, una pa-rola di fede e di vita. La mia risposta è stata una pro-messa di fedeltà.Nevicava largo e fitto, quasi volesse cancellare fin l'ulti-ma traccia del 1933. Rimasi a lungo alla finestra a guar-dare: gli alberghi di S. Martino, orrido emblema di pre-sunzione umana di fronte alla gloria della Natura, pare-vano a poco a poco sommergersi sotto la pesantissimacoltre di neve, che pareva gridare il trionfo del suo can-dore immacolato, che sotterrava ogni sozzura.Mi ritirai in un cantuccio disabitato e mi misi a riordina-re appunti. Dopo tanto tempo di ozio forzato, il 1934 co-mincia lavorando, perché dev'essere un anno di attivitàintensa. Di quell'attività che permette di constatare lerealizzazioni, giorno per giorno, ora per ora, diquell'attività che dà calma ed equilibrio. Sono stanco disbandamenti: crisi morali e brancolamenti nel buio. Hodetto che il 1934 dev'essere un anno di tutta luce, e losarà, perché voglio che lo sia.

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1934

1° gennaio. L'anno è cominciato come una notte qua-lunque, senza convenzionalità, forse senza neppurescambio di auguri. Ma al mattino destandomi ho vistodalle finestre tutto bianco di neve: nella diafana luce dif-fusa, apparivano, incerte come fantasmi, le mie crode.Esse mi hanno dato il primo saluto il mattino del primodell'anno, e il loro saluto è stato, come sempre, una pa-rola di fede e di vita. La mia risposta è stata una pro-messa di fedeltà.Nevicava largo e fitto, quasi volesse cancellare fin l'ulti-ma traccia del 1933. Rimasi a lungo alla finestra a guar-dare: gli alberghi di S. Martino, orrido emblema di pre-sunzione umana di fronte alla gloria della Natura, pare-vano a poco a poco sommergersi sotto la pesantissimacoltre di neve, che pareva gridare il trionfo del suo can-dore immacolato, che sotterrava ogni sozzura.Mi ritirai in un cantuccio disabitato e mi misi a riordina-re appunti. Dopo tanto tempo di ozio forzato, il 1934 co-mincia lavorando, perché dev'essere un anno di attivitàintensa. Di quell'attività che permette di constatare lerealizzazioni, giorno per giorno, ora per ora, diquell'attività che dà calma ed equilibrio. Sono stanco disbandamenti: crisi morali e brancolamenti nel buio. Hodetto che il 1934 dev'essere un anno di tutta luce, e losarà, perché voglio che lo sia.

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Nel fulgore di un pomeriggio tersissimo giungiamo allaRosetta. Paesaggio d'incanto. L'altipiano si estende va-stissimo, limitato da crode e dall'azzurro del cielo. Nonuna traccia nella neve immacolata, non un segno né unmoto di vita intorno a noi. Ci affacciamo sopra S. Marti-no: il mondo sta laggiù, ai nostri piedi; ma quanto sem-bra piccino a questa distanza, quanto siamo più in altonoi, che ci sentiamo quasi avvolti nell'infinito spazio delcielo purissimo. Il Limone e la Pala rifulgono nella lucedel tramonto, vibrano come accordi di trombe argenteein mi maggiore. Nella luce obliqua del tramonto inver-nale, le ondulazioni dell'altipiano paiono fluttuare in ungioco di ombre e di luci rosate. Oh, la gioia della solitu-dine di fronte all'infinito, la gioia di vivere questa supre-ma bellezza, di sentire il proprio animo vibrare con lostesso ritmo di questi "glühenden Bergen", e traboccaredi vita e di amore.

Di ritorno a Milano mi ritrovo momentaneamente sban-dato e privo di "materiale da costruzione". Ma tosto lavita riprende il suo ritmo intenso. Ora lavoro assidua-mente tutto il giorno a quel lavoro metodico e redditizio,che porta tanto lontano. Mi ritrovo nella stessa atmosfe-ra del 1931, con la differenza che allora lavoravo per lalaurea, una meta immediata ma provvisoria, oggi invecelavoro per una meta che è tutta mia, e che deve divenireil centro della mia attività futura.

«Non ci vuol molto per risvegliare il disprezzo di se

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Nel fulgore di un pomeriggio tersissimo giungiamo allaRosetta. Paesaggio d'incanto. L'altipiano si estende va-stissimo, limitato da crode e dall'azzurro del cielo. Nonuna traccia nella neve immacolata, non un segno né unmoto di vita intorno a noi. Ci affacciamo sopra S. Marti-no: il mondo sta laggiù, ai nostri piedi; ma quanto sem-bra piccino a questa distanza, quanto siamo più in altonoi, che ci sentiamo quasi avvolti nell'infinito spazio delcielo purissimo. Il Limone e la Pala rifulgono nella lucedel tramonto, vibrano come accordi di trombe argenteein mi maggiore. Nella luce obliqua del tramonto inver-nale, le ondulazioni dell'altipiano paiono fluttuare in ungioco di ombre e di luci rosate. Oh, la gioia della solitu-dine di fronte all'infinito, la gioia di vivere questa supre-ma bellezza, di sentire il proprio animo vibrare con lostesso ritmo di questi "glühenden Bergen", e traboccaredi vita e di amore.

Di ritorno a Milano mi ritrovo momentaneamente sban-dato e privo di "materiale da costruzione". Ma tosto lavita riprende il suo ritmo intenso. Ora lavoro assidua-mente tutto il giorno a quel lavoro metodico e redditizio,che porta tanto lontano. Mi ritrovo nella stessa atmosfe-ra del 1931, con la differenza che allora lavoravo per lalaurea, una meta immediata ma provvisoria, oggi invecelavoro per una meta che è tutta mia, e che deve divenireil centro della mia attività futura.

«Non ci vuol molto per risvegliare il disprezzo di se

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stesso, che dorme sempre in noi» (Schnitzler). Basta unistante di debolezza.

Il lavoro di raccolta del materiale, procede ora con gran-de alacrità. Alle Pale ora ho aggiunto anche la Marmola-da, con la speranza, se son fortunato col tempoquest'estate, di poterle portare a termine quest'anno. AlTouring il mio lavoro è stato ufficialmente accettato equindi ora posso lavorare con piena sicurezza dell'esito.Tutto ciò mi stimola ad una attività intensa e il lavoroprocede rapido, tanto che ogni sera posso contemplarecon soddisfazione la somma del materiale raccolto. Equesto è quello che conta soprattutto: ho finalmente lagioia di poter lavorare dopo tanto tempo di forzata inat-tività, e di poter camminare senza inciampi verso unameta precisa.Così mi trovo a navigare altissimo, e alla sera, per nullastanco, ma con la calma e l'equilibrio che dà una giorna-ta di lavoro, godo della piena disponibilità di me stessoa una completa lucidità. L'altra sera a un concerto hopotuto abbandonarmi interamente alla gioia del Sognodi una notte d'estate di Mendelssohn e allo slancio dellaVII di Beethoven, e le ho rivissute come da molto tem-po non mi avveniva. Anche al pianoforte ora tutto mi vabene e qualunque cosa suono, la godo sempre intensa-mente.Tutto ciò mi dà ancora una volta una straordinaria ric-chezza di vita, malgrado l'atmosfera di morte che mi cir-conda da ogni lato. Ma io sono ora tutto per me, vivo di

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stesso, che dorme sempre in noi» (Schnitzler). Basta unistante di debolezza.

Il lavoro di raccolta del materiale, procede ora con gran-de alacrità. Alle Pale ora ho aggiunto anche la Marmola-da, con la speranza, se son fortunato col tempoquest'estate, di poterle portare a termine quest'anno. AlTouring il mio lavoro è stato ufficialmente accettato equindi ora posso lavorare con piena sicurezza dell'esito.Tutto ciò mi stimola ad una attività intensa e il lavoroprocede rapido, tanto che ogni sera posso contemplarecon soddisfazione la somma del materiale raccolto. Equesto è quello che conta soprattutto: ho finalmente lagioia di poter lavorare dopo tanto tempo di forzata inat-tività, e di poter camminare senza inciampi verso unameta precisa.Così mi trovo a navigare altissimo, e alla sera, per nullastanco, ma con la calma e l'equilibrio che dà una giorna-ta di lavoro, godo della piena disponibilità di me stessoa una completa lucidità. L'altra sera a un concerto hopotuto abbandonarmi interamente alla gioia del Sognodi una notte d'estate di Mendelssohn e allo slancio dellaVII di Beethoven, e le ho rivissute come da molto tem-po non mi avveniva. Anche al pianoforte ora tutto mi vabene e qualunque cosa suono, la godo sempre intensa-mente.Tutto ciò mi dà ancora una volta una straordinaria ric-chezza di vita, malgrado l'atmosfera di morte che mi cir-conda da ogni lato. Ma io sono ora tutto per me, vivo di

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una vita che è tutta mia e solo mia, e che ritrovo tutta inme stesso. In me ora c'è tutto un mondo di cui vivo: chem'importa se tutto intorno è tenebre, quando il mio mon-do è tutto ricco di luce? Il diario dell'anno scorso sichiudeva con queste parole: «diventare tanto ricco e tan-to in alto al di sopra di tutti, da poter donare a pienemani la vita conquistata». Oggi sono già arrivato a que-sto punto, e ho donato un po' della mia luce di giovinez-za e della mia ricchezza di vita. E il donare non è altroche acquistare maggior ricchezza e un più completo sen-so di vita.

Febbraio. La montagna è sempre una ricchezza immen-sa: domenica la gita al Corvatsch non l'ho goduta comeavrei potuto e dovuto, dato l'ambiente grandioso e lagiornata limpidissima: probabilmente la causa prima èstata la comitiva della SEM (Società escursionisti mila-nesi), numerosa e insopportabilmente antipatica (comesono quasi tutti i milanesi quando vanno in montagna),che mi impediva di ritrovare quel contatto e quell'estasispirituale che solo la solitudine può dare. Sono tornatocol benessere fisico di una gita in alta montagna, noncol benessere morale.

L'alpinista che faccia soltanto il 6° grado è come unuomo che sappia lottare, ma non sappia amare. È unmostro degno di compassione.

Marzo. Un nuovo incarico: questa volta ufficiale e più

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una vita che è tutta mia e solo mia, e che ritrovo tutta inme stesso. In me ora c'è tutto un mondo di cui vivo: chem'importa se tutto intorno è tenebre, quando il mio mon-do è tutto ricco di luce? Il diario dell'anno scorso sichiudeva con queste parole: «diventare tanto ricco e tan-to in alto al di sopra di tutti, da poter donare a pienemani la vita conquistata». Oggi sono già arrivato a que-sto punto, e ho donato un po' della mia luce di giovinez-za e della mia ricchezza di vita. E il donare non è altroche acquistare maggior ricchezza e un più completo sen-so di vita.

Febbraio. La montagna è sempre una ricchezza immen-sa: domenica la gita al Corvatsch non l'ho goduta comeavrei potuto e dovuto, dato l'ambiente grandioso e lagiornata limpidissima: probabilmente la causa prima èstata la comitiva della SEM (Società escursionisti mila-nesi), numerosa e insopportabilmente antipatica (comesono quasi tutti i milanesi quando vanno in montagna),che mi impediva di ritrovare quel contatto e quell'estasispirituale che solo la solitudine può dare. Sono tornatocol benessere fisico di una gita in alta montagna, noncol benessere morale.

L'alpinista che faccia soltanto il 6° grado è come unuomo che sappia lottare, ma non sappia amare. È unmostro degno di compassione.

Marzo. Un nuovo incarico: questa volta ufficiale e più

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importante degli altri. Sono stato incaricato di costituireil Centro Studi per viaggi ed esplorazioni all'estero. Hoaccettato l'impegno perché la cosa mi interessa e mi po-trà dare dei risultati importanti. Il lavoro mi occuperàmolto e seriamente, specialmente nel primo periodo del-la costituzione: poi si tratterà soltanto di tenere aggior-nato l'ufficio. Ora ho un paio di mesi liberi, avendo giàfinita la raccolta del materiale per le Pale e Marmolada eposso dedicarmici. Spero in seguito di poter mantenerel'impegno senza per questo trascurare gli altri lavori chemi danno anche un reddito materiale. Perché abbia ac-cettato questo incarico che mi prenderà molto tempo enon mi darà nulla materialmente, non so bene: un po' èl'interesse per la cosa, più ancora è l'impressione che èun'altra via aperta che mi potrà portare lontano. E dopol'esperienza dell'anno scorso, che per seguire un vicolocieco ho rotto i ponti con ogni altra possibilità fino a re-stare al buio, ora che son riuscito a ricostruirmi ex-novouna vita tutta mia, voglio allargarla e aprirle quanti piùsbocchi è possibile, per avere sempre una via aperta da-vanti a me. Certo è che dovevo accettare, ne avevol'impressione precisa e non ho esitato un istante, purrendendomi conto del peso tutt'altro che indifferente chemi addossavo. E ora in cammino. Anzi ci sono già. Duegiorni dopo avuto l'incarico, avevo già schedato tutta labiblioteca dei CAI Milano, base da cui potrò iniziare ilmio lavoro.Se la mia si potesse chiamare una carriera, si potrebbedire molto rapida. Sono partito da Londra che ero allo

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importante degli altri. Sono stato incaricato di costituireil Centro Studi per viaggi ed esplorazioni all'estero. Hoaccettato l'impegno perché la cosa mi interessa e mi po-trà dare dei risultati importanti. Il lavoro mi occuperàmolto e seriamente, specialmente nel primo periodo del-la costituzione: poi si tratterà soltanto di tenere aggior-nato l'ufficio. Ora ho un paio di mesi liberi, avendo giàfinita la raccolta del materiale per le Pale e Marmolada eposso dedicarmici. Spero in seguito di poter mantenerel'impegno senza per questo trascurare gli altri lavori chemi danno anche un reddito materiale. Perché abbia ac-cettato questo incarico che mi prenderà molto tempo enon mi darà nulla materialmente, non so bene: un po' èl'interesse per la cosa, più ancora è l'impressione che èun'altra via aperta che mi potrà portare lontano. E dopol'esperienza dell'anno scorso, che per seguire un vicolocieco ho rotto i ponti con ogni altra possibilità fino a re-stare al buio, ora che son riuscito a ricostruirmi ex-novouna vita tutta mia, voglio allargarla e aprirle quanti piùsbocchi è possibile, per avere sempre una via aperta da-vanti a me. Certo è che dovevo accettare, ne avevol'impressione precisa e non ho esitato un istante, purrendendomi conto del peso tutt'altro che indifferente chemi addossavo. E ora in cammino. Anzi ci sono già. Duegiorni dopo avuto l'incarico, avevo già schedato tutta labiblioteca dei CAI Milano, base da cui potrò iniziare ilmio lavoro.Se la mia si potesse chiamare una carriera, si potrebbedire molto rapida. Sono partito da Londra che ero allo

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stesso punto di quando ci sono arrivato 14 mesi prima,cioè zero. Qui nessuno mi conosceva, salvo i pochi ami-ci al corrente delle mie ascensioni. Mi è bastato un arti-colo sul Brenta, per ottenere dal Touring l'incarico dellaGuida delle Dolomiti. Mi sono bastati un paio di articolisullo Scarpone, perché da varie parti mi vengano richie-sti insistentemente articoli ed ora mi venga affidato unufficio, come il Centro Viaggi, che può diventare un or-gano importantissimo nella vita alpinistica italiana e in-ternazionale. Se per ora le rendite materiali sono ancoraminime, ho almeno la soddisfazione di vedere che il miolavoro è riconosciuto (a Londra non avevo neppur que-sto) e che la mia attività approda a qualche cosa di con-creto e mi porta a risultati tangibili. Ora un risultato ègià raggiunto: invece di esser io che chiedo di lavorare,sono gli altri che richiedono il mio lavoro: e questo erail punto capitale e il passo più difficile. Il resto verràsenza difficoltà.

Solo fra le montagne l'uomo è grande, franco e onesto:in città anche i migliori individui non sanno difendersidalle false ideologie borghesi, dall'ipocrisia e dalla cor-ruzione.

Ormai io so che nulla posso più trovare nella mia fami-glia e che sono completamente solo: ma allora sono an-che completamente libero. E se non trovo nella mia fa-miglia alcuna partecipazione né comprensione di me edella mia vita, non ho neppure nessun dovere di render

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stesso punto di quando ci sono arrivato 14 mesi prima,cioè zero. Qui nessuno mi conosceva, salvo i pochi ami-ci al corrente delle mie ascensioni. Mi è bastato un arti-colo sul Brenta, per ottenere dal Touring l'incarico dellaGuida delle Dolomiti. Mi sono bastati un paio di articolisullo Scarpone, perché da varie parti mi vengano richie-sti insistentemente articoli ed ora mi venga affidato unufficio, come il Centro Viaggi, che può diventare un or-gano importantissimo nella vita alpinistica italiana e in-ternazionale. Se per ora le rendite materiali sono ancoraminime, ho almeno la soddisfazione di vedere che il miolavoro è riconosciuto (a Londra non avevo neppur que-sto) e che la mia attività approda a qualche cosa di con-creto e mi porta a risultati tangibili. Ora un risultato ègià raggiunto: invece di esser io che chiedo di lavorare,sono gli altri che richiedono il mio lavoro: e questo erail punto capitale e il passo più difficile. Il resto verràsenza difficoltà.

Solo fra le montagne l'uomo è grande, franco e onesto:in città anche i migliori individui non sanno difendersidalle false ideologie borghesi, dall'ipocrisia e dalla cor-ruzione.

Ormai io so che nulla posso più trovare nella mia fami-glia e che sono completamente solo: ma allora sono an-che completamente libero. E se non trovo nella mia fa-miglia alcuna partecipazione né comprensione di me edella mia vita, non ho neppure nessun dovere di render

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conto di me né di tenerne conto nelle mie decisioni. Di-venterò più che mai un personaggio misterioso? Pazien-za, io non ho segreti, voglio soltanto esser libero, e losono già.

Giornate di serenità e di felicità quelle passate nei rifugichiusi fra il silenzio delle nevi. Fatiche, difficoltà, peri-coli, disagi, tutto passava in secondo ordine, tutto era in-differente di fronte alla ritrovata pienezza di vita nellasolitudine sconfinata. Nelle Pale con Camillo Battisti,che mi ha rinnovato l'impressione di tre anni fa: animagrande e generosa. In Brenta con Bruno Detassis: la suaonestà e rettitudine morale, pare in certi momenti unmito di un eroe antico: certo al giorno d'oggi fa stupore.Con questi due compagni io camminavo fra il candoredella neve e la luce abbagliante del sole: e anch'io misentivo spogliato di tutta l'ipocrisia della vita, mi sentivoliberato dalle vischiose catene della vita sociale, e di-mentico di tutto e di tutti, mi sentivo ravvicinato allaloro purezza.A Trento ho trovato in tutti cordialità e stima e una di-sinteressata sollecitudine ad aiutarmi nel mio lavoro.Anche l'atteggiamento con cui vengo accolto è ora cam-biato: non son più l'arrampicatore o l'atleta, che si puòammirare ma non suscita simpatia, ma sono lo studiosoche trae profitto dalla sua attività alpinistica per valoriz-zarla con le facoltà intellettuali. Questa è la nuova e piùgrande ricchezza che la montagna mi dona, una ricchez-za che impedirà l'inaridirsi di un'attività, che sarebbe

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conto di me né di tenerne conto nelle mie decisioni. Di-venterò più che mai un personaggio misterioso? Pazien-za, io non ho segreti, voglio soltanto esser libero, e losono già.

Giornate di serenità e di felicità quelle passate nei rifugichiusi fra il silenzio delle nevi. Fatiche, difficoltà, peri-coli, disagi, tutto passava in secondo ordine, tutto era in-differente di fronte alla ritrovata pienezza di vita nellasolitudine sconfinata. Nelle Pale con Camillo Battisti,che mi ha rinnovato l'impressione di tre anni fa: animagrande e generosa. In Brenta con Bruno Detassis: la suaonestà e rettitudine morale, pare in certi momenti unmito di un eroe antico: certo al giorno d'oggi fa stupore.Con questi due compagni io camminavo fra il candoredella neve e la luce abbagliante del sole: e anch'io misentivo spogliato di tutta l'ipocrisia della vita, mi sentivoliberato dalle vischiose catene della vita sociale, e di-mentico di tutto e di tutti, mi sentivo ravvicinato allaloro purezza.A Trento ho trovato in tutti cordialità e stima e una di-sinteressata sollecitudine ad aiutarmi nel mio lavoro.Anche l'atteggiamento con cui vengo accolto è ora cam-biato: non son più l'arrampicatore o l'atleta, che si puòammirare ma non suscita simpatia, ma sono lo studiosoche trae profitto dalla sua attività alpinistica per valoriz-zarla con le facoltà intellettuali. Questa è la nuova e piùgrande ricchezza che la montagna mi dona, una ricchez-za che impedirà l'inaridirsi di un'attività, che sarebbe

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stata troppo limitata se fosse rimasta solamente fisica.L'essere oggi, dopo pochi mesi di lavoro, di gran lungapiù avanti di tutti coloro che per lunghi anni si erano oc-cupati dello stesso mio studio, e l'avere questo ricono-scimento da quelle stesse persone, che ora mettono amia disposizione i loro risultati incompleti e senza me-todo, è già un'affermazione che mi dà fiducia e la certez-za della bontà del mio lavoro.

Aprile. Gita in Grigna di apertura di stagione: come av-viene quasi sempre in simili circostanze, pioveva: rocciabagnata, viscida e repulsiva. Tanto meglio: anche nel1931 sono andato due volte in Grigna senza poter ar-rampicare, anche l'anno scorso in Brenta sono stato unasettimana senza afferrare un appiglio. Il contatto con laroccia deve avvenire per gradi, per arrivare alla perfe-zione di fiducia e di immedesimazione dell'essere. Èmolto bene la prima giornata, passarla a guardar le cro-de e a vedere arrampicare: dapprima la sfiducia, il sensodella propria debolezza fisica, la lontananza moraledall'eroismo dell'impresa. E il vedere gli altri arrampica-re è già bastante a dar le prime emozioni, a risvegliare ilsenso e la volontà della conquista. Al mattino la rocciabagnata mi respingeva, ma alla sera già guardavo allastessa roccia bagnata dal sole, con acuto desiderio diazione. La prossima volta, in una giornata di sole, il miospirito sarà pronto per iniziare la lotta. E la lottaquest'anno sarà lunga e in parte anche molto dura, madeve essere un anno di grandi conquiste.

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stata troppo limitata se fosse rimasta solamente fisica.L'essere oggi, dopo pochi mesi di lavoro, di gran lungapiù avanti di tutti coloro che per lunghi anni si erano oc-cupati dello stesso mio studio, e l'avere questo ricono-scimento da quelle stesse persone, che ora mettono amia disposizione i loro risultati incompleti e senza me-todo, è già un'affermazione che mi dà fiducia e la certez-za della bontà del mio lavoro.

Aprile. Gita in Grigna di apertura di stagione: come av-viene quasi sempre in simili circostanze, pioveva: rocciabagnata, viscida e repulsiva. Tanto meglio: anche nel1931 sono andato due volte in Grigna senza poter ar-rampicare, anche l'anno scorso in Brenta sono stato unasettimana senza afferrare un appiglio. Il contatto con laroccia deve avvenire per gradi, per arrivare alla perfe-zione di fiducia e di immedesimazione dell'essere. Èmolto bene la prima giornata, passarla a guardar le cro-de e a vedere arrampicare: dapprima la sfiducia, il sensodella propria debolezza fisica, la lontananza moraledall'eroismo dell'impresa. E il vedere gli altri arrampica-re è già bastante a dar le prime emozioni, a risvegliare ilsenso e la volontà della conquista. Al mattino la rocciabagnata mi respingeva, ma alla sera già guardavo allastessa roccia bagnata dal sole, con acuto desiderio diazione. La prossima volta, in una giornata di sole, il miospirito sarà pronto per iniziare la lotta. E la lottaquest'anno sarà lunga e in parte anche molto dura, madeve essere un anno di grandi conquiste.

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Eran quasi tre anni che non andavo in Grigna, l'ambien-te mi era divenuto più che mai estraneo. Eppure tutti mihanno subito circondato, con interesse, con stima e consimpatia. Dappertutto nel mio mondo di crode, io ora mitrovo quasi padrone di casa: ma tanto più la vita in casami diviene estranea e, in certi momenti, intollerabilefino all'esasperazione.

«Chi vuol imporre con la violenza le proprie idee dimo-stra di non aver fede nelle loro virtù» (Tagore). I sistemipolitici odierni sembrano aver dimenticato questa massi-ma, al punto che ci si domanda se è ancora vero che ilbene debba infine trionfare sul male, o se invece il malenon riuscirà in un modo o nell'altro a soffocare sempre ilbene con la violenza.

Tregnago. La stagione è chiusa e a poche ore di distan-za tutto mi par già lontano nel passato, e in un passatochiuso e concluso, di cui altro non rimane che gran benee una gran luce.Quattro mesi sono trascorsi dall'ultima volta che ho pre-so in mano questo diario, quattro mesi di ascesa trionfa-le, che mi hanno portato a un'altezza e a un'intensità divita, quale non avevo mai conosciuto fino ad ora. Vanoè forse tentare oggi di rifare la vita di questi 4 mesi, orache questo periodo è già così lontano, poiché altro nonpuò uscirne che una cronaca senza vita. Ma è pur neces-sario che questo grande capitolo sia pur brevemente se-gnato fra queste pagine.

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Eran quasi tre anni che non andavo in Grigna, l'ambien-te mi era divenuto più che mai estraneo. Eppure tutti mihanno subito circondato, con interesse, con stima e consimpatia. Dappertutto nel mio mondo di crode, io ora mitrovo quasi padrone di casa: ma tanto più la vita in casami diviene estranea e, in certi momenti, intollerabilefino all'esasperazione.

«Chi vuol imporre con la violenza le proprie idee dimo-stra di non aver fede nelle loro virtù» (Tagore). I sistemipolitici odierni sembrano aver dimenticato questa massi-ma, al punto che ci si domanda se è ancora vero che ilbene debba infine trionfare sul male, o se invece il malenon riuscirà in un modo o nell'altro a soffocare sempre ilbene con la violenza.

Tregnago. La stagione è chiusa e a poche ore di distan-za tutto mi par già lontano nel passato, e in un passatochiuso e concluso, di cui altro non rimane che gran benee una gran luce.Quattro mesi sono trascorsi dall'ultima volta che ho pre-so in mano questo diario, quattro mesi di ascesa trionfa-le, che mi hanno portato a un'altezza e a un'intensità divita, quale non avevo mai conosciuto fino ad ora. Vanoè forse tentare oggi di rifare la vita di questi 4 mesi, orache questo periodo è già così lontano, poiché altro nonpuò uscirne che una cronaca senza vita. Ma è pur neces-sario che questo grande capitolo sia pur brevemente se-gnato fra queste pagine.

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Le prime arrampicate sono state quasi offerte a Detassise alla sua ardente brama di azione, lo seguivo per la fi-ducia che mi dava la sua corda: arrampicavo con perfet-ta onestà, ma forse senza di Bruno avrei rimandato an-cora più a lungo. All'attacco dell'Agner, Vitale mi invitaa mettermi in testa alla cordata: non so perché, e ne fuiun po' sorpreso, ma non volli rifiutare: salii faticosa-mente, lento e con difficoltà e incertezza: a metà erostanco e dovetti chiedere a Bruno il cambio. Pareva chenon aspettasse altro che il mio cenno; si pose in testacon autorità, decisione e un desiderio di affermazione,come l'anno scorso sul Doss di Dalum. Io lo seguii or-mai passivamente, trascinandomi a fatica su per quelleinterminabili fessure. L'Agner è stato il collaudo chedebbo subire ogni anno per poi trovarmi pienamente pa-drone dei miei mezzi, come la Venezia nel 1931, e ilCroz dell'Altissimo nel 1933. Dopo sono sempre statocapocordata.Pur non trovando mai sulla croda il limite alle mie pos-sibilità, tuttavia ancora non avevo piena fiducia in me esempre arrampicavo con la coscienza di aver dietro dime Bruno con una riserva di illimitate possibilità, e a luilasciavo le maggiori difficoltà: così sulla Torre del Fe-ruc, così sul Campanile d'Ostio. Ma frattanto imparavoad osare.Sulla Cima d'Oltro Bruno era un po' sofferente e mi tro-vai quasi sorpreso di dover assumermi io tutta la respon-sabilità dell'ascensione, e allora riconobbi che potevoormai bastare a me stesso e che quell'appoggiarmi a

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Le prime arrampicate sono state quasi offerte a Detassise alla sua ardente brama di azione, lo seguivo per la fi-ducia che mi dava la sua corda: arrampicavo con perfet-ta onestà, ma forse senza di Bruno avrei rimandato an-cora più a lungo. All'attacco dell'Agner, Vitale mi invitaa mettermi in testa alla cordata: non so perché, e ne fuiun po' sorpreso, ma non volli rifiutare: salii faticosa-mente, lento e con difficoltà e incertezza: a metà erostanco e dovetti chiedere a Bruno il cambio. Pareva chenon aspettasse altro che il mio cenno; si pose in testacon autorità, decisione e un desiderio di affermazione,come l'anno scorso sul Doss di Dalum. Io lo seguii or-mai passivamente, trascinandomi a fatica su per quelleinterminabili fessure. L'Agner è stato il collaudo chedebbo subire ogni anno per poi trovarmi pienamente pa-drone dei miei mezzi, come la Venezia nel 1931, e ilCroz dell'Altissimo nel 1933. Dopo sono sempre statocapocordata.Pur non trovando mai sulla croda il limite alle mie pos-sibilità, tuttavia ancora non avevo piena fiducia in me esempre arrampicavo con la coscienza di aver dietro dime Bruno con una riserva di illimitate possibilità, e a luilasciavo le maggiori difficoltà: così sulla Torre del Fe-ruc, così sul Campanile d'Ostio. Ma frattanto imparavoad osare.Sulla Cima d'Oltro Bruno era un po' sofferente e mi tro-vai quasi sorpreso di dover assumermi io tutta la respon-sabilità dell'ascensione, e allora riconobbi che potevoormai bastare a me stesso e che quell'appoggiarmi a

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Bruno era solo vigliaccheria o incertezza ingiustificata eil giorno dopo sulla Pala del Rifugio, ritrovai tutto mestesso e tutto il mio spirito di conquista. Ormai l'ascen-sione era divenuta tutta mia. Mi libravo solo e libero super quelle pareti verticali, sfilando i 40 metri di cordache pendeva ondeggiando nel vuoto: vedevo 700 m sot-to i miei piedi il tetto del rifugio e salivo con potenzaper quello spigolo aereo, solidamente appigliandomi aquella roccia solidissima, tutto lanciato verso l'alto in uninno di luce. Ero abbagliato di luce, avevo dimenticatoperfino Bruno che mi seguiva a distanza con la sua so-bria e modesta abnegazione: oggi ero io solo con tutto ilmio regno di crode d'attorno, e oggi mi sentivo domina-tore, sentivo che la mia potenza di conquista non avevapiù limiti. E allora mi lanciai senza più alcun ritegno; lalunga serie di successi mi aveva abituato alla vittoria, lasicurezza e la baldanza che sentivo in me, e l'appoggiomorale che mi dava Bruno mi toglievano ogni incertez-za: non mi chiedevo se si potrà, se riuscirò: ogni più bel-la architettura, ogni linea più diritta e più ardita dovevaessere vinta: perché in me non vi era più né un'ombra néun dubbio.Ecco lo spigolo della Wilma: avevo creduto che una fes-sura permettesse la salita, ma è solo una riga d'acqua. Eallora? «È bella, andiamo», dice Bruno. E saliamo la pa-rete liscia e verticale: sono stanco a metà: un temporalemi ferma: come sullo spigolo della Presolana: ritornia-mo poi e passiamo. La discesa non ha più interesse:scendiamo slegati e saltando, agili sulla croda che è di-

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Bruno era solo vigliaccheria o incertezza ingiustificata eil giorno dopo sulla Pala del Rifugio, ritrovai tutto mestesso e tutto il mio spirito di conquista. Ormai l'ascen-sione era divenuta tutta mia. Mi libravo solo e libero super quelle pareti verticali, sfilando i 40 metri di cordache pendeva ondeggiando nel vuoto: vedevo 700 m sot-to i miei piedi il tetto del rifugio e salivo con potenzaper quello spigolo aereo, solidamente appigliandomi aquella roccia solidissima, tutto lanciato verso l'alto in uninno di luce. Ero abbagliato di luce, avevo dimenticatoperfino Bruno che mi seguiva a distanza con la sua so-bria e modesta abnegazione: oggi ero io solo con tutto ilmio regno di crode d'attorno, e oggi mi sentivo domina-tore, sentivo che la mia potenza di conquista non avevapiù limiti. E allora mi lanciai senza più alcun ritegno; lalunga serie di successi mi aveva abituato alla vittoria, lasicurezza e la baldanza che sentivo in me, e l'appoggiomorale che mi dava Bruno mi toglievano ogni incertez-za: non mi chiedevo se si potrà, se riuscirò: ogni più bel-la architettura, ogni linea più diritta e più ardita dovevaessere vinta: perché in me non vi era più né un'ombra néun dubbio.Ecco lo spigolo della Wilma: avevo creduto che una fes-sura permettesse la salita, ma è solo una riga d'acqua. Eallora? «È bella, andiamo», dice Bruno. E saliamo la pa-rete liscia e verticale: sono stanco a metà: un temporalemi ferma: come sullo spigolo della Presolana: ritornia-mo poi e passiamo. La discesa non ha più interesse:scendiamo slegati e saltando, agili sulla croda che è di-

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venuta nostro elemento di vita, come uccelli nell'aria.Sulla parete della Cima Canali, Bruno mi chiede di an-dare avanti lui: è giusto: lo seguo vivamente, protestoper qualche piccolo errore nella scelta dell'itinerario, ep-pure sento che la ascensione non è più mia: io passoquando la lotta è già vinta. E quando Bruno mi chiede ilcambio, procedo con titubanza, quasi sorpreso di trovar-mi di fronte la parete in un giorno in cui il mio spiritonon era in tensione ma il problema dell'ultimo muro checi sbarra il cammino già mi affascina. Attacco lo stra-piombo quasi incredulo di poter salire. Ma sì, si deve sa-lire, e siamo sopra. Due temporali in parete, due caverneal momento propizio: fortuna? O realmente tutto dovevainchinarsi di fronte alla nostra volontà di vittoria?Il Campanile di Pradidali, attaccato alle 3 del pomerig-gio, è stata una vittoria colta quasi per ischerzo e di sor-presa: tanto più ricca in quanto donata, tanto più lieta inquanto baldanzosamente goduta. Bruno prima di partirevuol fare un 6° grado, per sapere cosa vuol dire 6° gra-do: è il giusto coronamento della nostra superba campa-gna. Usciamo dal rifugio nella notte fredda, nell'urlo delvento violento: intensità di vita. Andiamo all'attaccodella via Solleder del Sass Maor: il lungo attacco indi-retto, ove pascolano le capre, non ci piace: la stessa pa-rete da vicino, perde il suo aspetto terribile. Ridiscendia-mo: anche qui vogliamo far meglio, affermarci con unavia nostra che sia più bella e più ardita di quella deigrandi tedeschi che ci hanno preceduto. Cerchiamo alungo un attacco per lo spigolo sud, ma alfine dobbiamo

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venuta nostro elemento di vita, come uccelli nell'aria.Sulla parete della Cima Canali, Bruno mi chiede di an-dare avanti lui: è giusto: lo seguo vivamente, protestoper qualche piccolo errore nella scelta dell'itinerario, ep-pure sento che la ascensione non è più mia: io passoquando la lotta è già vinta. E quando Bruno mi chiede ilcambio, procedo con titubanza, quasi sorpreso di trovar-mi di fronte la parete in un giorno in cui il mio spiritonon era in tensione ma il problema dell'ultimo muro checi sbarra il cammino già mi affascina. Attacco lo stra-piombo quasi incredulo di poter salire. Ma sì, si deve sa-lire, e siamo sopra. Due temporali in parete, due caverneal momento propizio: fortuna? O realmente tutto dovevainchinarsi di fronte alla nostra volontà di vittoria?Il Campanile di Pradidali, attaccato alle 3 del pomerig-gio, è stata una vittoria colta quasi per ischerzo e di sor-presa: tanto più ricca in quanto donata, tanto più lieta inquanto baldanzosamente goduta. Bruno prima di partirevuol fare un 6° grado, per sapere cosa vuol dire 6° gra-do: è il giusto coronamento della nostra superba campa-gna. Usciamo dal rifugio nella notte fredda, nell'urlo delvento violento: intensità di vita. Andiamo all'attaccodella via Solleder del Sass Maor: il lungo attacco indi-retto, ove pascolano le capre, non ci piace: la stessa pa-rete da vicino, perde il suo aspetto terribile. Ridiscendia-mo: anche qui vogliamo far meglio, affermarci con unavia nostra che sia più bella e più ardita di quella deigrandi tedeschi che ci hanno preceduto. Cerchiamo alungo un attacco per lo spigolo sud, ma alfine dobbiamo

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scegliere l'unica breccia: una fessura strapiombanteestremamente difficile. Lo spigolo comincia con un la-strone verticale, che mi proponevo di evitare: ma non sipuò: provo il lastrone solo per non dichiararmi vintosenza aver provato: roccia liscia meravigliosa di solidi-tà: salgo metro per metro, alla ricerca del passaggio chetrovo con un senso di intuito acutissimo: ad ogni passonon vedo il successivo: a tastoni trovo l'appiglio che mipermette di avanzare. I chiodi non entrano nella rocciacompatta, ma la mano trova la scabrosità che permettedi avanzare. Non si può forzare il passaggio, ma si puòvincere. Così, passo per passo, per 50 metri nella gioiadell'esposizione assoluta, dell'appiglio solidissimo. Sen-tivo dietro di me Bruno vibrare della stessa mia tensio-ne, volere con la stessa mia tenacia. Il lastrone già sipiega domato, la via si apre libera e sicura, ancora lun-ghissima fino alla vetta. E allora in un urlo di gioia e divittoria, è tutta una corsa pazza, senza un arresto, senzaun'esitazione, senza quasi mettere un chiodo, senza sen-tire stanchezza, nell'ebbrezza della conquista e della ver-ticalità. Ci arrestiamo in vetta alle 14,30: 9 ore esatte peruna salita di 1100 m di 6° grado.Così si vince, non tanto il 6° grado, quanto se stessi.Avevo sempre dichiarato che il 6° grado non era per me:ritenevo che solo una grandissima ambizione potesse farsuperare il rischio e lo sforzo estremo, neppure compen-sato dal godimento spirituale e fisico della conquista,nell'esasperazione dello sforzo. Invece no: una lungapreparazione fisica, e soprattutto morale, e una perfetta

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scegliere l'unica breccia: una fessura strapiombanteestremamente difficile. Lo spigolo comincia con un la-strone verticale, che mi proponevo di evitare: ma non sipuò: provo il lastrone solo per non dichiararmi vintosenza aver provato: roccia liscia meravigliosa di solidi-tà: salgo metro per metro, alla ricerca del passaggio chetrovo con un senso di intuito acutissimo: ad ogni passonon vedo il successivo: a tastoni trovo l'appiglio che mipermette di avanzare. I chiodi non entrano nella rocciacompatta, ma la mano trova la scabrosità che permettedi avanzare. Non si può forzare il passaggio, ma si puòvincere. Così, passo per passo, per 50 metri nella gioiadell'esposizione assoluta, dell'appiglio solidissimo. Sen-tivo dietro di me Bruno vibrare della stessa mia tensio-ne, volere con la stessa mia tenacia. Il lastrone già sipiega domato, la via si apre libera e sicura, ancora lun-ghissima fino alla vetta. E allora in un urlo di gioia e divittoria, è tutta una corsa pazza, senza un arresto, senzaun'esitazione, senza quasi mettere un chiodo, senza sen-tire stanchezza, nell'ebbrezza della conquista e della ver-ticalità. Ci arrestiamo in vetta alle 14,30: 9 ore esatte peruna salita di 1100 m di 6° grado.Così si vince, non tanto il 6° grado, quanto se stessi.Avevo sempre dichiarato che il 6° grado non era per me:ritenevo che solo una grandissima ambizione potesse farsuperare il rischio e lo sforzo estremo, neppure compen-sato dal godimento spirituale e fisico della conquista,nell'esasperazione dello sforzo. Invece no: una lungapreparazione fisica, e soprattutto morale, e una perfetta

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solidarietà della cordata, mi hanno permesso di arrivareanche al limite estremo, senza arrivare al mio stile di as-soluta sicurezza, senza compromettere il godimento del-la conquista nell'atto stesso dell'ascendere, non solocome soddisfazione posteriore. Così anche il 6° grado èlegittimo alpinisticamente, poiché si è svolto come rap-porto diretto ed esclusivo fra me e la croda: anzi, mi èdivenuto il rapporto di estrema tensione e quindi diestrema purezza, e anche di estrema onestà, poiché nonuno dei chiodi messi per assicurazione ha servito a faci-litarmi il passaggio. E la liberazione dello spirito dalleleggi fisiche che gravano sul corpo, liberazione verso ilpiù puro ideale, in quanto nessuna meta concreta né al-cun guadagno vi è riunito. Questa è stata probabilmentela giornata più luminosa della mia vita, e la mia vittoriapiù grande e più pura. Altre imprese, anche più difficili,non sono state così puramente e pienamente vissute; for-se perché ad esse mancava Bruno.

Partito Bruno per il Brenta, mi trovai quasi solo e sper-duto: arrampicavo altrettanto bene, ma non sapevo osa-re; avevo il senso preciso che mi mancasse qualchecosa: con Saglio mi sentivo di nuovo la guida con tuttele sue responsabilità, e il dovere e la necessità di pensa-re ai suoi clienti: dovevo pensare più ai compagni chealla croda: il rapporto era cambiato, non più amore, madovere.

È stato solo nella grande anima luminosa di Camillo

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solidarietà della cordata, mi hanno permesso di arrivareanche al limite estremo, senza arrivare al mio stile di as-soluta sicurezza, senza compromettere il godimento del-la conquista nell'atto stesso dell'ascendere, non solocome soddisfazione posteriore. Così anche il 6° grado èlegittimo alpinisticamente, poiché si è svolto come rap-porto diretto ed esclusivo fra me e la croda: anzi, mi èdivenuto il rapporto di estrema tensione e quindi diestrema purezza, e anche di estrema onestà, poiché nonuno dei chiodi messi per assicurazione ha servito a faci-litarmi il passaggio. E la liberazione dello spirito dalleleggi fisiche che gravano sul corpo, liberazione verso ilpiù puro ideale, in quanto nessuna meta concreta né al-cun guadagno vi è riunito. Questa è stata probabilmentela giornata più luminosa della mia vita, e la mia vittoriapiù grande e più pura. Altre imprese, anche più difficili,non sono state così puramente e pienamente vissute; for-se perché ad esse mancava Bruno.

Partito Bruno per il Brenta, mi trovai quasi solo e sper-duto: arrampicavo altrettanto bene, ma non sapevo osa-re; avevo il senso preciso che mi mancasse qualchecosa: con Saglio mi sentivo di nuovo la guida con tuttele sue responsabilità, e il dovere e la necessità di pensa-re ai suoi clienti: dovevo pensare più ai compagni chealla croda: il rapporto era cambiato, non più amore, madovere.

È stato solo nella grande anima luminosa di Camillo

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Battisti, che ho potuto ritrovare la rispondenza moralenecessaria alla solidarietà e all'unità della cordata. Edecco che quella strada che con Saglio sentivo chiusa, misi riapre luminosa. Gli strapiombi delle Ziroccole, han-no tutti la loro chiave, nascosta e imprevedibile: e dinuovo salgo libero, con tutta la corda per quello spigoloverticale, nel fulgore di un sole radioso, senza piantareun chiodo.

Attacchiamo il Focobon, in una giornata burrascosa edopo lunghe incertezze. Attacco quindi di malavoglia esenza convinzione: il maltempo può sempre offrire unabuona scusa per il ritorno. La roccia marcia mi esaspera:mi sento quasi legato e incapace di movimenti. Mi portosullo spigolo: una placca liscia la provo senza convin-zione, ma tosto mi avvince: sono tutto preso dalla mialotta, e questa prima vittoria non deve essere invano:sono già proteso con tutta la mia tensione di volontàverso l'alto: comincia a grandinare: acceleriamo l'anda-tura lungo il grande spigolone. L'arrampicata veloce miinebria, ma sento nei muscoli lo sforzo di quella primaplacca e so di non aver dietro a me Detassis con la suariserva di energie: sento che la salita è tutta appoggiatasu di me, ma già credo di poterne uscire senza altre seriedifficoltà. Il temporale cessa, ma l'ultima barriera mi sipara davanti insormontabile. Già Camillo accenna allapossibilità del ritorno prima che il tempo peggiori dinuovo. No, voglio arrivare fin là, perché non voglio re-trocedere senza aver dato col capo contro l'impossibile.

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Battisti, che ho potuto ritrovare la rispondenza moralenecessaria alla solidarietà e all'unità della cordata. Edecco che quella strada che con Saglio sentivo chiusa, misi riapre luminosa. Gli strapiombi delle Ziroccole, han-no tutti la loro chiave, nascosta e imprevedibile: e dinuovo salgo libero, con tutta la corda per quello spigoloverticale, nel fulgore di un sole radioso, senza piantareun chiodo.

Attacchiamo il Focobon, in una giornata burrascosa edopo lunghe incertezze. Attacco quindi di malavoglia esenza convinzione: il maltempo può sempre offrire unabuona scusa per il ritorno. La roccia marcia mi esaspera:mi sento quasi legato e incapace di movimenti. Mi portosullo spigolo: una placca liscia la provo senza convin-zione, ma tosto mi avvince: sono tutto preso dalla mialotta, e questa prima vittoria non deve essere invano:sono già proteso con tutta la mia tensione di volontàverso l'alto: comincia a grandinare: acceleriamo l'anda-tura lungo il grande spigolone. L'arrampicata veloce miinebria, ma sento nei muscoli lo sforzo di quella primaplacca e so di non aver dietro a me Detassis con la suariserva di energie: sento che la salita è tutta appoggiatasu di me, ma già credo di poterne uscire senza altre seriedifficoltà. Il temporale cessa, ma l'ultima barriera mi sipara davanti insormontabile. Già Camillo accenna allapossibilità del ritorno prima che il tempo peggiori dinuovo. No, voglio arrivare fin là, perché non voglio re-trocedere senza aver dato col capo contro l'impossibile.

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Anche la gran placca del Sass Maor è stata vinta, maquesta è ben peggio. Più mi avvicino, e più mi pare di-sperata. Alla base della barriera in una nicchia ci riparia-mo da una nuova sventata di grandine. Voglio provareugualmente; la stanchezza della prima placca è dimenti-cata: il problema che mi sovrasta mi avvince in modoesclusivo. Salgo 15 metri con decisione quasi disperata,avendo davanti a me sempre la barriera ermeticamentechiusa, ma qui ecco la breccia: un diedro nascosto, gial-lo, di 35 metri forse permette il passaggio. Di dove ènato questo diedro insospettabile e invisibile? È forseanche questo una creazione della mia volontà, che devepassare? Mi butto sopra lo strapiombo finale, strematodi forze: ho avuto l'impressione di aver raggiunto il li-mite delle mie possibilità e forse delle possibilità uma-ne. La tempesta infuria: i pinnacoli della cresta croc-chiano come squassati dall'elettricità, che sento formico-lare anche fra i capelli e i baffi: sembra che mille scari-che debbano colpirci da un momento all'altro e che tuttii pinnacoli siano altrettanti parafulmini. Tensione, ten-sione: fino a quando i miei nervi resisteranno a questoregime di tensione continuo a cui sono sottoposti da ol-tre due mesi?

La Torcia di Valgrande è stata più che altro un puntiglioambizioso a cui ho sacrificato una giornata di pioggia:ma questo non sarebbe stato sufficiente a portarmi invetta. Sul grande strapiombo, sulla roccia estremamentecompatta che non ammetteva la disonestà dei chiodi,

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Anche la gran placca del Sass Maor è stata vinta, maquesta è ben peggio. Più mi avvicino, e più mi pare di-sperata. Alla base della barriera in una nicchia ci riparia-mo da una nuova sventata di grandine. Voglio provareugualmente; la stanchezza della prima placca è dimenti-cata: il problema che mi sovrasta mi avvince in modoesclusivo. Salgo 15 metri con decisione quasi disperata,avendo davanti a me sempre la barriera ermeticamentechiusa, ma qui ecco la breccia: un diedro nascosto, gial-lo, di 35 metri forse permette il passaggio. Di dove ènato questo diedro insospettabile e invisibile? È forseanche questo una creazione della mia volontà, che devepassare? Mi butto sopra lo strapiombo finale, strematodi forze: ho avuto l'impressione di aver raggiunto il li-mite delle mie possibilità e forse delle possibilità uma-ne. La tempesta infuria: i pinnacoli della cresta croc-chiano come squassati dall'elettricità, che sento formico-lare anche fra i capelli e i baffi: sembra che mille scari-che debbano colpirci da un momento all'altro e che tuttii pinnacoli siano altrettanti parafulmini. Tensione, ten-sione: fino a quando i miei nervi resisteranno a questoregime di tensione continuo a cui sono sottoposti da ol-tre due mesi?

La Torcia di Valgrande è stata più che altro un puntiglioambizioso a cui ho sacrificato una giornata di pioggia:ma questo non sarebbe stato sufficiente a portarmi invetta. Sul grande strapiombo, sulla roccia estremamentecompatta che non ammetteva la disonestà dei chiodi,

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nell'assoluta esposizione, ancora una volta ho sentito ri-nascere tutta la mia volontà di vittoria; e ancora una vol-ta ho vinto: ed ho vinto io solo: ero tutto solo a costruirel'ometto sulla vetta per la prima volta conquistata. Equesta volontà di vittoria ha potuto cancellare l'ombradel puntiglio ambizioso iniziale ed è solo in virtù di que-sta volontà di vittoria e della gioia purissima di conqui-sta che anche la Torcia di Valgrande può essere ascrittanel novero delle mie ascensioni.E poi la Torcia ha avuto anche un altro significato, miha dato la coscienza di aver raggiunto il limite estremodelle possibilità umane, la certezza di poter sempre pas-sare dove un altro è passato. Questa coscienza èanch'essa una conquista e mi permette di affrontare ognisalita con perfetta fiducia nelle mie forze. Ma è ancheun sentimento estraneo al più puro alpinismo, in quantoè un riferimento a terzi, che porta inevitabilmente a unsenso di rivalità, e sarà solo col ritorno alla solitudinedel Mis e col ritorno di Bruno sul Piz Long che riusciròa liberarmi dalla falsità di questo atteggiamento.Nella settimana passata con Vitale risentivo della troppoprolungata e continua tensione nervosa, ero insofferente,e la minima cosa mi infastidiva. Non riuscivo a soppor-tare l'atteggiamento di Vitale che discuteva ogni mia de-cisione, metteva in dubbio ogni possibilità e ad ognicordata (tiro di corda), perdeva tempo per andare aguardare a destra e a sinistra non fidandosi della miascelta dell'itinerario, oppure criticava senza rendersiconto delle ragioni della mia scelta, ed esigeva un conti-

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nell'assoluta esposizione, ancora una volta ho sentito ri-nascere tutta la mia volontà di vittoria; e ancora una vol-ta ho vinto: ed ho vinto io solo: ero tutto solo a costruirel'ometto sulla vetta per la prima volta conquistata. Equesta volontà di vittoria ha potuto cancellare l'ombradel puntiglio ambizioso iniziale ed è solo in virtù di que-sta volontà di vittoria e della gioia purissima di conqui-sta che anche la Torcia di Valgrande può essere ascrittanel novero delle mie ascensioni.E poi la Torcia ha avuto anche un altro significato, miha dato la coscienza di aver raggiunto il limite estremodelle possibilità umane, la certezza di poter sempre pas-sare dove un altro è passato. Questa coscienza èanch'essa una conquista e mi permette di affrontare ognisalita con perfetta fiducia nelle mie forze. Ma è ancheun sentimento estraneo al più puro alpinismo, in quantoè un riferimento a terzi, che porta inevitabilmente a unsenso di rivalità, e sarà solo col ritorno alla solitudinedel Mis e col ritorno di Bruno sul Piz Long che riusciròa liberarmi dalla falsità di questo atteggiamento.Nella settimana passata con Vitale risentivo della troppoprolungata e continua tensione nervosa, ero insofferente,e la minima cosa mi infastidiva. Non riuscivo a soppor-tare l'atteggiamento di Vitale che discuteva ogni mia de-cisione, metteva in dubbio ogni possibilità e ad ognicordata (tiro di corda), perdeva tempo per andare aguardare a destra e a sinistra non fidandosi della miascelta dell'itinerario, oppure criticava senza rendersiconto delle ragioni della mia scelta, ed esigeva un conti-

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nuo uso di chiodi, che secondo lui non erano mai abba-stanza sicuri. Tutto ciò mi innervosiva, mi toglieva ilgodimento dell'arrampicata: arrampicavo male, poco si-curo, costretto a piantar molti chiodi sorretto dalla miacapacità tecnica, ma non più dalla mia volontà. È cosìche passavo a fatica dove la strada era già aperta, madove era chiusa non sapevo passare. Il ritorno sulla pa-rete nord della Madonna forse era logico perché la viaera assurda, ma con Bruno sarei salito fino in vetta e nesarei stato contento.Sul Cimone [non]1 ho trovato la chiave per superarla,perché non ho saputo volerla: sono andato là per puraostinazione, trascinandomi dietro Vitale che affermaval'inutilità del tentativo, e, cozzato contro l'ostacolo in-sormontabile, son ridisceso. Non dico che con Brunoavrei superato l'ostacolo, ma certo avrei trovato un altropassaggio: con Vitale non ho insistito, non ho saputo vo-lere.Anche la Pala e la Immink non mi hanno dato alcunagioia e poca le Comelle. Le due con Vitale sono state leuniche due sconfitte sulle 30 nuove ascensioni diquest'anno: da esse è anche nata una serie di pettegolez-zi di tanto più fastidiosi in quanto mi hanno obbligato ascendere in quella lurida atmosfera di beghe e di basseinvidie e rivalità, in cui diguazzano gli alpinisti di oggi.Unica nube in tanta luce di quest'anno.Mi spiace non sentir più in Vitale l'affiatamento degli

1 - Correzione inserita per l'edizione elettronica Manuzio.

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nuo uso di chiodi, che secondo lui non erano mai abba-stanza sicuri. Tutto ciò mi innervosiva, mi toglieva ilgodimento dell'arrampicata: arrampicavo male, poco si-curo, costretto a piantar molti chiodi sorretto dalla miacapacità tecnica, ma non più dalla mia volontà. È cosìche passavo a fatica dove la strada era già aperta, madove era chiusa non sapevo passare. Il ritorno sulla pa-rete nord della Madonna forse era logico perché la viaera assurda, ma con Bruno sarei salito fino in vetta e nesarei stato contento.Sul Cimone [non]1 ho trovato la chiave per superarla,perché non ho saputo volerla: sono andato là per puraostinazione, trascinandomi dietro Vitale che affermaval'inutilità del tentativo, e, cozzato contro l'ostacolo in-sormontabile, son ridisceso. Non dico che con Brunoavrei superato l'ostacolo, ma certo avrei trovato un altropassaggio: con Vitale non ho insistito, non ho saputo vo-lere.Anche la Pala e la Immink non mi hanno dato alcunagioia e poca le Comelle. Le due con Vitale sono state leuniche due sconfitte sulle 30 nuove ascensioni diquest'anno: da esse è anche nata una serie di pettegolez-zi di tanto più fastidiosi in quanto mi hanno obbligato ascendere in quella lurida atmosfera di beghe e di basseinvidie e rivalità, in cui diguazzano gli alpinisti di oggi.Unica nube in tanta luce di quest'anno.Mi spiace non sentir più in Vitale l'affiatamento degli

1 - Correzione inserita per l'edizione elettronica Manuzio.

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anni scorsi. Quel suo atteggiamento di critica e di diffi-denza non può essere ammesso nella mia cordata. Lalunga esperienza di roccia dolomitica mi ha dato un in-tuito troppo sicuro e troppo costantemente vittoriosoperché, quando sono capocordata, io possa ammettereintromissioni, che si dimostrano poi sempre errate. Par-tecipazione sì, intromissione no. So esser capocordata eassumermi intera la responsabilità della via da sceglieree del modo di salire, e per la riuscita dell'ascensionedebbo imporre la mia autorità. Due capicordata non po-tranno mai riuscire ad alcuna realizzazione. Anche conBruno andiamo un po' per uno o uno per volta: ma èsempre uno solo che arrampica e che guida: l'altro deveabdicare in favore del compagno finché non venga dinuovo il suo turno. Come l'ha presa Vitale? Non so, maho il senso di averlo trattato molto duramente, tanto piùche i miei nervi risentivano del lungo sforzo.Un riposo mi era necessario. Sono andato a Falcade daCarla, ma il ritorno in famiglia dopo mesi di solitudinefra le crode, la piccola vita borghese dopo mesi di vitaeroica, mi era veramente insopportabile. Sono andato agirare da solo fra monti e valli, a cercare pace fra la soli-tudine selvaggia del Mis.Poi la parentesi della gita a Trieste, il mare di Abbazia,la passeggiata a Miramare con l'Elda. Una serie di im-pressioni vive e dolcissime, a cui mi abbandonavo lun-gamente con un senso di distensione e di riposo.Al ritorno di Bruno mi son sentito rigenerato, non so seera la sua presenza che mi dava tanta sicurezza o se era

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anni scorsi. Quel suo atteggiamento di critica e di diffi-denza non può essere ammesso nella mia cordata. Lalunga esperienza di roccia dolomitica mi ha dato un in-tuito troppo sicuro e troppo costantemente vittoriosoperché, quando sono capocordata, io possa ammettereintromissioni, che si dimostrano poi sempre errate. Par-tecipazione sì, intromissione no. So esser capocordata eassumermi intera la responsabilità della via da sceglieree del modo di salire, e per la riuscita dell'ascensionedebbo imporre la mia autorità. Due capicordata non po-tranno mai riuscire ad alcuna realizzazione. Anche conBruno andiamo un po' per uno o uno per volta: ma èsempre uno solo che arrampica e che guida: l'altro deveabdicare in favore del compagno finché non venga dinuovo il suo turno. Come l'ha presa Vitale? Non so, maho il senso di averlo trattato molto duramente, tanto piùche i miei nervi risentivano del lungo sforzo.Un riposo mi era necessario. Sono andato a Falcade daCarla, ma il ritorno in famiglia dopo mesi di solitudinefra le crode, la piccola vita borghese dopo mesi di vitaeroica, mi era veramente insopportabile. Sono andato agirare da solo fra monti e valli, a cercare pace fra la soli-tudine selvaggia del Mis.Poi la parentesi della gita a Trieste, il mare di Abbazia,la passeggiata a Miramare con l'Elda. Una serie di im-pressioni vive e dolcissime, a cui mi abbandonavo lun-gamente con un senso di distensione e di riposo.Al ritorno di Bruno mi son sentito rigenerato, non so seera la sua presenza che mi dava tanta sicurezza o se era

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il ritrovato equilibrio dei miei nervi. Siamo andatiall'attacco del Piz Long con una corsa indiavolata: «nonso qual diavolo ci correva dietro», avrebbe detto Celso.Quanto cammino sentivo di aver percorso da quella vol-ta che eravamo andati all'attacco in giugno! Raramenteho goduto tanto un'arrampicata: roccia bellissima, espo-sizione, via logica, segnata dalla Natura, sempre l'inte-resse teso, senza mai un punto di estremo impegno. E fi-lavamo una cordata via l'altra, su per quella ruga dritta everticale, che fende profondamente le impressionanti la-stronate della parete, come un inno di luce che si svolgeininterrotto, come un canto d'amore e di vita. Qui nonera tanto lo spirito eroico che trionfava, era un senti-mento d'amore della più alta e più vasta umanità. Anchel'impressionante uscita dal tetto finale, si è risolta in unpassaggio di estrema eleganza. Realmente non mi eromai sentito così bene e così sicuro sulla croda. Ogniascensione, anche se non più difficile della precedente,era un continuo progresso nella capacità tecnica, uncontinuo raffinamento dello stile. Fin dove arriverò?Il giorno dopo siamo già ad arrancare affannosamentefra i dirupi e le boscaglie della Val Falcina. Anche sullaparete del Pizzocco saliamo diritti, senza concessioni.Mi accorgo della difficoltà non mentre la supero, madall'impegno di Bruno, o di Zoia. Anche qui per 700 muna cordata via l'altra, non vorrei fermarmi mai. L'ulti-mo camino si svasa in parete e muore sotto un tetto:pianto un chiodo di cui non posso fidarmi e proseguo:sulla placca liscia tento di piantarne un altro e non rie-

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il ritrovato equilibrio dei miei nervi. Siamo andatiall'attacco del Piz Long con una corsa indiavolata: «nonso qual diavolo ci correva dietro», avrebbe detto Celso.Quanto cammino sentivo di aver percorso da quella vol-ta che eravamo andati all'attacco in giugno! Raramenteho goduto tanto un'arrampicata: roccia bellissima, espo-sizione, via logica, segnata dalla Natura, sempre l'inte-resse teso, senza mai un punto di estremo impegno. E fi-lavamo una cordata via l'altra, su per quella ruga dritta everticale, che fende profondamente le impressionanti la-stronate della parete, come un inno di luce che si svolgeininterrotto, come un canto d'amore e di vita. Qui nonera tanto lo spirito eroico che trionfava, era un senti-mento d'amore della più alta e più vasta umanità. Anchel'impressionante uscita dal tetto finale, si è risolta in unpassaggio di estrema eleganza. Realmente non mi eromai sentito così bene e così sicuro sulla croda. Ogniascensione, anche se non più difficile della precedente,era un continuo progresso nella capacità tecnica, uncontinuo raffinamento dello stile. Fin dove arriverò?Il giorno dopo siamo già ad arrancare affannosamentefra i dirupi e le boscaglie della Val Falcina. Anche sullaparete del Pizzocco saliamo diritti, senza concessioni.Mi accorgo della difficoltà non mentre la supero, madall'impegno di Bruno, o di Zoia. Anche qui per 700 muna cordata via l'altra, non vorrei fermarmi mai. L'ulti-mo camino si svasa in parete e muore sotto un tetto:pianto un chiodo di cui non posso fidarmi e proseguo:sulla placca liscia tento di piantarne un altro e non rie-

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sco: proseguo libero fino al termine: sono in cima: lacorda di 30 m è tutta sfilata lungo quella placca estrema-mente difficile: mi aggancio a un chiodo per far venireBruno; solo allora sento i miei nervi che si distendono emi accorgo che un leggero tremito mi scuote tutto il cor-po per l'eccesso di tensione durato su quella placca. Bru-no mi dice che son matto a salire di là per 30 m con unsolo chiodo e con una sola corda sottile: ma io son feli-ce. Fin dove arriverò?Il maltempo mi ha fermato all'attacco della parete delSerauta. Poi Bruno è partito e Zoia non mi dava affida-mento: tempo incerto e freddo. A poco a poco ho capitoche la stagione doveva considerarsi chiusa: infatti ancheBruno non è potuto ritornare, come mi aveva promesso.Mi ricresceva chiudere così, rinunciando ai molti bellis-simi progetti, rinunciando ad approfittare di questostraordinario stato di grazia per aggiungere nuove gran-di vittorie alla mia raccolta già così ricca: avrei volutochiudere con un'altra grande affermazione e già pensavoa scegliermi un altro compagno. Ma non ho voluto for-zare la sorte, se così doveva essere. Mi son sempre la-sciato guidare dall'evento e son sempre stato fortunatis-simo e ho sempre riconosciuto poi che se avessi tentatodi oppormi me ne sarei pentito. Ormai so che se il mal-tempo o un'altra ragione mi impedisce di fare una salita,è inutile insistere: quella salita non è per me o almenonon è per quel momento: così è stato anche per il Piz-zocco e il Piz Long; è stato un gran bene non averle at-taccate in giugno, ma aver rimandato la realizzazione in

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sco: proseguo libero fino al termine: sono in cima: lacorda di 30 m è tutta sfilata lungo quella placca estrema-mente difficile: mi aggancio a un chiodo per far venireBruno; solo allora sento i miei nervi che si distendono emi accorgo che un leggero tremito mi scuote tutto il cor-po per l'eccesso di tensione durato su quella placca. Bru-no mi dice che son matto a salire di là per 30 m con unsolo chiodo e con una sola corda sottile: ma io son feli-ce. Fin dove arriverò?Il maltempo mi ha fermato all'attacco della parete delSerauta. Poi Bruno è partito e Zoia non mi dava affida-mento: tempo incerto e freddo. A poco a poco ho capitoche la stagione doveva considerarsi chiusa: infatti ancheBruno non è potuto ritornare, come mi aveva promesso.Mi ricresceva chiudere così, rinunciando ai molti bellis-simi progetti, rinunciando ad approfittare di questostraordinario stato di grazia per aggiungere nuove gran-di vittorie alla mia raccolta già così ricca: avrei volutochiudere con un'altra grande affermazione e già pensavoa scegliermi un altro compagno. Ma non ho voluto for-zare la sorte, se così doveva essere. Mi son sempre la-sciato guidare dall'evento e son sempre stato fortunatis-simo e ho sempre riconosciuto poi che se avessi tentatodi oppormi me ne sarei pentito. Ormai so che se il mal-tempo o un'altra ragione mi impedisce di fare una salita,è inutile insistere: quella salita non è per me o almenonon è per quel momento: così è stato anche per il Piz-zocco e il Piz Long; è stato un gran bene non averle at-taccate in giugno, ma aver rimandato la realizzazione in

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settembre. Anche questa volta non ho voluto oppormi alcattivo tempo che mi diceva fine. Perché fine? Forseavevo raggiunto il limite: anche il filo più forte ha il suolimite di tensione, poi si spezza. Forse l'uomo nella suafebbre di ascesa non sa riconoscere il suo limite estre-mo. Così fu il Celso. Il leggero tremore dopo l'ultimaplacca del Pizzocco, doveva dirmi che i miei mezzi fisi-ci non avrebbero potuto reggere più oltre alla mia ine-stinguibile sete di ascesa. Fine dunque; e un altr'annosarà tutto cammino da rifare passo per passo.

Un altr'anno? Sì, nelle ultime bellissime giornate in cuigiravo solo per le montagne deserte, già pensavo a unaltr'anno. Traversavo da Anghèraz a Canali e ho rivistoquasi tutte le più belle salite di quest'anno: riconoscevopasso per passo tutte le emozioni vissute, guardavo tuttequeste mie crode con un senso di possesso e di amore,ma le sentivo ormai confinate in un ricordo vivissimo eluminoso, ma già lontano, in un passato ormai chiuso.Quella gita è stata una specie di rassegna e di addio: allaforcella Cimonega, mi son voltato per l'ultima volta acontemplare il Sass Maor, che si ergeva col suo slanciosuperbo nel cielo terso, dorato dalla morbida luce autun-nale e non sapevo decidermi a lasciarlo: poi ho voltatole spalle e son sceso verso il piano.Alla campagna alpinistica, quest'anno si è aggiuntaun'altra ricchezza: lo studio delle montagne. Questa semi obbligava a un'attenzione continuamente tesa anchenelle giornate di riposo, anche a sera tardi quando face-

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settembre. Anche questa volta non ho voluto oppormi alcattivo tempo che mi diceva fine. Perché fine? Forseavevo raggiunto il limite: anche il filo più forte ha il suolimite di tensione, poi si spezza. Forse l'uomo nella suafebbre di ascesa non sa riconoscere il suo limite estre-mo. Così fu il Celso. Il leggero tremore dopo l'ultimaplacca del Pizzocco, doveva dirmi che i miei mezzi fisi-ci non avrebbero potuto reggere più oltre alla mia ine-stinguibile sete di ascesa. Fine dunque; e un altr'annosarà tutto cammino da rifare passo per passo.

Un altr'anno? Sì, nelle ultime bellissime giornate in cuigiravo solo per le montagne deserte, già pensavo a unaltr'anno. Traversavo da Anghèraz a Canali e ho rivistoquasi tutte le più belle salite di quest'anno: riconoscevopasso per passo tutte le emozioni vissute, guardavo tuttequeste mie crode con un senso di possesso e di amore,ma le sentivo ormai confinate in un ricordo vivissimo eluminoso, ma già lontano, in un passato ormai chiuso.Quella gita è stata una specie di rassegna e di addio: allaforcella Cimonega, mi son voltato per l'ultima volta acontemplare il Sass Maor, che si ergeva col suo slanciosuperbo nel cielo terso, dorato dalla morbida luce autun-nale e non sapevo decidermi a lasciarlo: poi ho voltatole spalle e son sceso verso il piano.Alla campagna alpinistica, quest'anno si è aggiuntaun'altra ricchezza: lo studio delle montagne. Questa semi obbligava a un'attenzione continuamente tesa anchenelle giornate di riposo, anche a sera tardi quando face-

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vo le mie note, e se è stata non ultima causa della crisinervosa dell'agosto, mi ha però dato il senso che la miaattività alpinistica non fosse solo un egoismo, ma por-tasse anche a un risultato pratico e utile, che la giustifi-chi anche di fronte a tutti i terzi, mi ha dato il senso chela mia attività alpinistica non è energia sprecata per ungodimento personale ma è divenuta realmente l'attivitàprima della mia vita capace di portarmi anche a risultaticoncreti.

Ho anche sentito la necessità di dedicare la mia capacitàdi vita esclusivamente alla montagna. In un momento incui ho sentito una donna molto vicina, l'ho respinta te-mendo mi divenisse troppo vicina. È questo egoismo orifiuto di umanità? Non so: certo che per ora è necessa-rio sia così, necessario mantenere intera fede a me stes-so e alla mia vita, se voglio che questa divenga tanto so-lida e tanto ricca da poter essere donata senza essere in-franta.

Ottobre. La nostalgia del ritorno al piano è stata accen-tuata dal ritorno in famiglia. Giornate vuote, prive delbenché minimo interesse, vita piccola borghese fatta dipiccole preoccupazioni domestiche e dominata dai ca-pricci dei bambini. Pensavo alla mia guida, desiderandodi mettermi a scriverla, pensavo a Milano, all'inverno,alla campagna dell'estate ventura: ma tutto mi era cosìlontano! Di attuale non c'era che il vuoto e il disagio diquesto convegno annuale del 6 ottobre, che sta diven-

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vo le mie note, e se è stata non ultima causa della crisinervosa dell'agosto, mi ha però dato il senso che la miaattività alpinistica non fosse solo un egoismo, ma por-tasse anche a un risultato pratico e utile, che la giustifi-chi anche di fronte a tutti i terzi, mi ha dato il senso chela mia attività alpinistica non è energia sprecata per ungodimento personale ma è divenuta realmente l'attivitàprima della mia vita capace di portarmi anche a risultaticoncreti.

Ho anche sentito la necessità di dedicare la mia capacitàdi vita esclusivamente alla montagna. In un momento incui ho sentito una donna molto vicina, l'ho respinta te-mendo mi divenisse troppo vicina. È questo egoismo orifiuto di umanità? Non so: certo che per ora è necessa-rio sia così, necessario mantenere intera fede a me stes-so e alla mia vita, se voglio che questa divenga tanto so-lida e tanto ricca da poter essere donata senza essere in-franta.

Ottobre. La nostalgia del ritorno al piano è stata accen-tuata dal ritorno in famiglia. Giornate vuote, prive delbenché minimo interesse, vita piccola borghese fatta dipiccole preoccupazioni domestiche e dominata dai ca-pricci dei bambini. Pensavo alla mia guida, desiderandodi mettermi a scriverla, pensavo a Milano, all'inverno,alla campagna dell'estate ventura: ma tutto mi era cosìlontano! Di attuale non c'era che il vuoto e il disagio diquesto convegno annuale del 6 ottobre, che sta diven-

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tando anch'esso insopportabilmente convenzionale,come il Natale e Capodanno. Ora la casa comincia asfollarsi e comincio ad assuefarmi a questa vita di tran-quillità e di riposo, che forse mi fa bene, prima di but-tarmi decisamente sul lavoro di quest'inverno.

Ottobre, Milano. Gli amici mi hanno accolto raccon-tandomi tutti i pettegolezzi e le polemiche del mondo al-pinistico. Possibile che in città debba proprio essere tut-to fango.

22 ottobre. Ieri all'inaugurazione del Rif. Gilberti ci sia-mo trovati in un numeroso gruppo di amici di lui, salitilassù per lui. E nel suo rifugio eravamo ancora una voltatutti riuniti intorno a lui. La cerimonia non ha avutoniente di ufficiale né di convenzionale: è stata una riu-nione di amici sinceri raccolti lassù per l'affetto che por-tavano a lui. Eppure con Celso io ho fatto una sola cam-pagna alpinistica e l'ho visto neppure tanto sovente qui aMilano. Eppure ancora oggi, a più di tre anni di distanzadai nostri ultimi incontri, sento che poche cose nella miavita hanno lasciato una traccia così profonda come lasua amicizia e nessuna ha lasciato una traccia così lumi-nosa e serena.E stato qui Detassis, ma la sua visita non mi ha fattonessun piacere. Milano non è il luogo dove si possa es-sergli vicini e questa casa non è il posto dove si possaospitarlo con semplicità e cordialità. Il vero Bruno lo siriconosce intero solo a contatto con la severità della vita

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tando anch'esso insopportabilmente convenzionale,come il Natale e Capodanno. Ora la casa comincia asfollarsi e comincio ad assuefarmi a questa vita di tran-quillità e di riposo, che forse mi fa bene, prima di but-tarmi decisamente sul lavoro di quest'inverno.

Ottobre, Milano. Gli amici mi hanno accolto raccon-tandomi tutti i pettegolezzi e le polemiche del mondo al-pinistico. Possibile che in città debba proprio essere tut-to fango.

22 ottobre. Ieri all'inaugurazione del Rif. Gilberti ci sia-mo trovati in un numeroso gruppo di amici di lui, salitilassù per lui. E nel suo rifugio eravamo ancora una voltatutti riuniti intorno a lui. La cerimonia non ha avutoniente di ufficiale né di convenzionale: è stata una riu-nione di amici sinceri raccolti lassù per l'affetto che por-tavano a lui. Eppure con Celso io ho fatto una sola cam-pagna alpinistica e l'ho visto neppure tanto sovente qui aMilano. Eppure ancora oggi, a più di tre anni di distanzadai nostri ultimi incontri, sento che poche cose nella miavita hanno lasciato una traccia così profonda come lasua amicizia e nessuna ha lasciato una traccia così lumi-nosa e serena.E stato qui Detassis, ma la sua visita non mi ha fattonessun piacere. Milano non è il luogo dove si possa es-sergli vicini e questa casa non è il posto dove si possaospitarlo con semplicità e cordialità. Il vero Bruno lo siriconosce intero solo a contatto con la severità della vita

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di crode.

19 novembre. Quello che sento maggiormente è la stan-chezza e la noia dell'ambiente cittadino. Pettegolezzi,frivolità, gelosie, rancori, politica e ragioni di partito,gente che si vende senza più alcun pudore è tutto un in-sieme che nausea e fa schifo. Ora ho anche la seccaturadella medaglia che mi tocca accettare per non offenderechi me l'ha assegnata, credendo di farmi piacere e mitoccherà andare alla cerimonia in mio onore e pigliar lecongratulazioni per le mie ascensioni. Cosa c'entranotutti loro? Le mie ascensioni le ho fatte per me, e per mesolo, e sono e resteranno soltanto mie e non potrannomai essere infangate da tutto l'oro del mondo.Quest'anno volevo donarle a Bruno, perché restasseroancora più gelosamente mie: ciò non è stato possibile.Ma l'anno venturo, nessuno saprà neppure in che mondoio mi trovi e custodirò il mio segreto così gelosamenteche le mie salite non potranno in nessun modo venir ol-traggiate da congratulazioni di terzi estranei o da meda-glie d'oro.Intanto accelero il mio lavoro, per poter presto fuggireda questo tavolo a cui ora son legato e tornare fra il can-dore, la purezza e la solitudine dei miei monti.

16 dicembre. Domenica scorsa sono andato a sciare aCogne. Il grigiore milanese e il lavoro intenso comincia-vano a darmi un po' di pesantezza: fra le nevi invece horitrovato tutta la freschezza, la vivacità e la forza giova-

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di crode.

19 novembre. Quello che sento maggiormente è la stan-chezza e la noia dell'ambiente cittadino. Pettegolezzi,frivolità, gelosie, rancori, politica e ragioni di partito,gente che si vende senza più alcun pudore è tutto un in-sieme che nausea e fa schifo. Ora ho anche la seccaturadella medaglia che mi tocca accettare per non offenderechi me l'ha assegnata, credendo di farmi piacere e mitoccherà andare alla cerimonia in mio onore e pigliar lecongratulazioni per le mie ascensioni. Cosa c'entranotutti loro? Le mie ascensioni le ho fatte per me, e per mesolo, e sono e resteranno soltanto mie e non potrannomai essere infangate da tutto l'oro del mondo.Quest'anno volevo donarle a Bruno, perché restasseroancora più gelosamente mie: ciò non è stato possibile.Ma l'anno venturo, nessuno saprà neppure in che mondoio mi trovi e custodirò il mio segreto così gelosamenteche le mie salite non potranno in nessun modo venir ol-traggiate da congratulazioni di terzi estranei o da meda-glie d'oro.Intanto accelero il mio lavoro, per poter presto fuggireda questo tavolo a cui ora son legato e tornare fra il can-dore, la purezza e la solitudine dei miei monti.

16 dicembre. Domenica scorsa sono andato a sciare aCogne. Il grigiore milanese e il lavoro intenso comincia-vano a darmi un po' di pesantezza: fra le nevi invece horitrovato tutta la freschezza, la vivacità e la forza giova-

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nile della mia vita, che mi ha dato una settimana di vivaluce. Luce che si rifletteva ieri nel Concerto Italiano diBach, che suonavo con uno slancio indiavolato e chegodevo intensamente battuta per battuta, con un'aderen-za, come se fosse stata anche quella una creazione mia.E ora tutto mi va così bene. Il mio cammino è così lun-go, così rapido e così luminoso, che mi pare non possaaver più fine.

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nile della mia vita, che mi ha dato una settimana di vivaluce. Luce che si rifletteva ieri nel Concerto Italiano diBach, che suonavo con uno slancio indiavolato e chegodevo intensamente battuta per battuta, con un'aderen-za, come se fosse stata anche quella una creazione mia.E ora tutto mi va così bene. Il mio cammino è così lun-go, così rapido e così luminoso, che mi pare non possaaver più fine.

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1935

5 maggio. Ancora tre mesi di abbandono di questo dia-rio: non c'è una ragione vera di questo abbandono, senon nel fatto che la mia vita e la mia attività sono statitanto uniformi, che non meritavano una cronaca partico-lareggiata e tutto il periodo può benissimo esser riassun-to in un unico capitolo.Periodo intenso di lavoro, qualche volta quasi affanno-so, sfruttando ogni 10 minuti liberi per portare a termi-ne, alla scadenza prefissami, i miei lavori di guida e peradempiere ai numerosi incarichi che non ho saputo rifiu-tare: accademico, comitato scientifico, centro viaggi,mostra dello sport, rivista del CAI ecc. ecc. Tutto questoassorbiva così interamente la mia attività, che non mi ri-maneva nessuna disponibilità per me stesso, e anzi, iostesso non son più qualche cosa di distinto e di superiorealla mia attività, ma mi son quasi immedesimato inquella, dando a quella tutto me stesso, poiché quella èora la mia vita. Se ciò mi conduce a una unilateralità equindi a un impoverimento, d'altra parte ciò mi permettedi tradurre in creazione e in attività tutto me stesso e lemie energie e di raggiungere la perfetta unità e la sintesifra me stesso e la mia vita. E questa mi pare un'altrameta altissima raggiunta, poiché solo con questa sintesiperfetta, l'uomo può raggiungere il completo equilibrio ela stabilità.

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5 maggio. Ancora tre mesi di abbandono di questo dia-rio: non c'è una ragione vera di questo abbandono, senon nel fatto che la mia vita e la mia attività sono statitanto uniformi, che non meritavano una cronaca partico-lareggiata e tutto il periodo può benissimo esser riassun-to in un unico capitolo.Periodo intenso di lavoro, qualche volta quasi affanno-so, sfruttando ogni 10 minuti liberi per portare a termi-ne, alla scadenza prefissami, i miei lavori di guida e peradempiere ai numerosi incarichi che non ho saputo rifiu-tare: accademico, comitato scientifico, centro viaggi,mostra dello sport, rivista del CAI ecc. ecc. Tutto questoassorbiva così interamente la mia attività, che non mi ri-maneva nessuna disponibilità per me stesso, e anzi, iostesso non son più qualche cosa di distinto e di superiorealla mia attività, ma mi son quasi immedesimato inquella, dando a quella tutto me stesso, poiché quella èora la mia vita. Se ciò mi conduce a una unilateralità equindi a un impoverimento, d'altra parte ciò mi permettedi tradurre in creazione e in attività tutto me stesso e lemie energie e di raggiungere la perfetta unità e la sintesifra me stesso e la mia vita. E questa mi pare un'altrameta altissima raggiunta, poiché solo con questa sintesiperfetta, l'uomo può raggiungere il completo equilibrio ela stabilità.

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Le frequenti gite domenicali con gli sci, erano una sanarigenerazione dal lavoro settimanale e un'aderenza aquel sano bisogno di esplicamento di energia, che mi hasempre animato tutto l'inverno. L'aderenza alla naturaera sempre viva e pronta, ogni gita mi dava una veragioia di vita. Mai però ho potuto sentire quello spirito diavventura e quel senso di conquista che animano le mieascensioni estive: anche perché le gite invernali nonsono mai del tutto mie. Con tutto il benessere che mi da-vano esse non sono mai state nulla più che fatti di ordi-naria amministrazione, anche se le mete si chiamavanoMonte Rosa o Barre des Ecrins. Solo la fugace corsa perla Riviera in fiore e attraverso il turbinoso movimento esfarzo di Nizza, la crestina del Corborant che ho salitocosì baldanzosamente tutto solo, e l'esplorazione delleGrotte di Velo, ieri, mi hanno dato un vero senso di av-ventura e un rinnovato desiderio di azione, che sonobuon preludio alla prossima stagione alpinistica.

Settembre, Milano. Le tappe dell'ascesa, l'inno dellavittoria non hanno potuto esser segnate su questo diario,che ancora una volta è costretto ad aggiornarsi guardan-do indietro, invece di seguirmi passo per passo. Cioè miha sempre seguito nel mio sacco, e troppo spesso avreivoluto riprenderlo, ma è sempre rimasto muto, ché trop-po intensamente impegnativa è stata nella scorsa estatela mia attività, perché io potessi rubarmi anche una dellepoche ore di sonno. Non voglio ancora ora chiudere ilbilancio della stagione, ché non voglio ancora rasse-

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Le frequenti gite domenicali con gli sci, erano una sanarigenerazione dal lavoro settimanale e un'aderenza aquel sano bisogno di esplicamento di energia, che mi hasempre animato tutto l'inverno. L'aderenza alla naturaera sempre viva e pronta, ogni gita mi dava una veragioia di vita. Mai però ho potuto sentire quello spirito diavventura e quel senso di conquista che animano le mieascensioni estive: anche perché le gite invernali nonsono mai del tutto mie. Con tutto il benessere che mi da-vano esse non sono mai state nulla più che fatti di ordi-naria amministrazione, anche se le mete si chiamavanoMonte Rosa o Barre des Ecrins. Solo la fugace corsa perla Riviera in fiore e attraverso il turbinoso movimento esfarzo di Nizza, la crestina del Corborant che ho salitocosì baldanzosamente tutto solo, e l'esplorazione delleGrotte di Velo, ieri, mi hanno dato un vero senso di av-ventura e un rinnovato desiderio di azione, che sonobuon preludio alla prossima stagione alpinistica.

Settembre, Milano. Le tappe dell'ascesa, l'inno dellavittoria non hanno potuto esser segnate su questo diario,che ancora una volta è costretto ad aggiornarsi guardan-do indietro, invece di seguirmi passo per passo. Cioè miha sempre seguito nel mio sacco, e troppo spesso avreivoluto riprenderlo, ma è sempre rimasto muto, ché trop-po intensamente impegnativa è stata nella scorsa estatela mia attività, perché io potessi rubarmi anche una dellepoche ore di sonno. Non voglio ancora ora chiudere ilbilancio della stagione, ché non voglio ancora rasse-

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gnarmi a dichiararla finita, quantunque il freddo e laneve ora mi precludono la realizzazione del mio sognopiù bello; ma ora ho più calma, nella mia affannosa cor-sa col tempo. La Guida delle Pale è finalmente termina-ta e pubblicata; l'Accademico è a posto, il mio lavoroprocede ora con ritmo regolare, senza essere affardellatocome nei mesi scorsi dalla faticosa ed esasperante corre-zione di bozze e dai pesanti viaggi a Milano. Ora sonosereno e calmo come queste trasparenti e luminose gior-nate autunnali, ora sono nel pieno delle mie forze fisichee morali, e per nulla stanco della lunga stagione, ancorasmanioso di azione e di crode.

La campagna alpinistica si è iniziata senza gioia di vita,come un dovere d'ufficio per il completamento dellaguida. Avevo bisogno di libertà e di aria pura, ma mi ba-stava di essere fra i monti: non avevo voglia di eroismo,salivo le crode senza passione, tenendomi timorosamen-te abbrancato agli appigli, quasi come svolgendo uncompito ingrato e necessario: non avevo fiducia nellemie forze, né volontà d'azione: salivo le crode, ma nonle dominavo, non le facevo mie. La vetta era solo unameta, non una vittoria. Con Vitale prima, con Bruno poi:salite di ordinaria amministrazione: ho mandato Bruno afare la salita più bella, nei giorni in cui dovevo tornare aMilano, rinunciandovi vigliaccamente. Ero ancora ilcompilatore di guide in giro per lavoro, non l'alpinista.Sulla Torre del Pisciadù ho cominciato a ritrovarmi: li-brandomi sulla parete gialla e aerea, aggrappato agli ap-

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gnarmi a dichiararla finita, quantunque il freddo e laneve ora mi precludono la realizzazione del mio sognopiù bello; ma ora ho più calma, nella mia affannosa cor-sa col tempo. La Guida delle Pale è finalmente termina-ta e pubblicata; l'Accademico è a posto, il mio lavoroprocede ora con ritmo regolare, senza essere affardellatocome nei mesi scorsi dalla faticosa ed esasperante corre-zione di bozze e dai pesanti viaggi a Milano. Ora sonosereno e calmo come queste trasparenti e luminose gior-nate autunnali, ora sono nel pieno delle mie forze fisichee morali, e per nulla stanco della lunga stagione, ancorasmanioso di azione e di crode.

La campagna alpinistica si è iniziata senza gioia di vita,come un dovere d'ufficio per il completamento dellaguida. Avevo bisogno di libertà e di aria pura, ma mi ba-stava di essere fra i monti: non avevo voglia di eroismo,salivo le crode senza passione, tenendomi timorosamen-te abbrancato agli appigli, quasi come svolgendo uncompito ingrato e necessario: non avevo fiducia nellemie forze, né volontà d'azione: salivo le crode, ma nonle dominavo, non le facevo mie. La vetta era solo unameta, non una vittoria. Con Vitale prima, con Bruno poi:salite di ordinaria amministrazione: ho mandato Bruno afare la salita più bella, nei giorni in cui dovevo tornare aMilano, rinunciandovi vigliaccamente. Ero ancora ilcompilatore di guide in giro per lavoro, non l'alpinista.Sulla Torre del Pisciadù ho cominciato a ritrovarmi: li-brandomi sulla parete gialla e aerea, aggrappato agli ap-

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pigli solidissimi, ho ritrovato la gioia della conquista ela volontà di osare. Nell'ultima parete mi son gettatoquasi sfacciatamente e temerariamente per saggiare mestesso: i muscoli ancor rispondevano debolmente, ma lavolontà d'azione già sapeva dominarli e dominare la dif-ficoltà. La cresta del Vernel è stata una veloce galoppatabaldanzosa: la baldanza rinasceva, col rinascere della fi-ducia in me stesso; e con essa rinasceva la gioia dellavita e della conquista eroica.Il non essere stato capocordata sul Badile, mi ha fattosentire quella salita come non mia, quindi con indiffe-renza e senza interesse né gioia. È stata solo una provaper vedere come mi trovavo sul granito e soprattutto peracquistare l'occhio al granito. E la prova ha dato buonifrutti: sullo spigolo di Sciora ci siamo gettati allo sbara-glio nell'avventura: una galoppata veloce, un'afferma-zione luminosa e superba, un'arrampicata magnifica. Uncolpo di mano più che una conquista, fugace come unsogno, luminoso come una meteora: ma di quei colpi dimano che si realizzano solo con la decisione della cor-data con Vitale, tutta un solo impeto di avventura.

Già prima della Sciora, le stupende rocce del Vallon, miavevano rianimato, mi avevan dato la gioia dell'arrampi-cata elegante ed esposta, su roccia verticale e sicura. Larinuncia alla Marmolada e il ritorno sul Serauta, mi han-no un po' smontato: non mi sentivo abbastanza a puntoper tentare una parete di cui non vedevo l'uscita, qual èla Marmolada, e sarebbe stato assurdo proseguire su

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pigli solidissimi, ho ritrovato la gioia della conquista ela volontà di osare. Nell'ultima parete mi son gettatoquasi sfacciatamente e temerariamente per saggiare mestesso: i muscoli ancor rispondevano debolmente, ma lavolontà d'azione già sapeva dominarli e dominare la dif-ficoltà. La cresta del Vernel è stata una veloce galoppatabaldanzosa: la baldanza rinasceva, col rinascere della fi-ducia in me stesso; e con essa rinasceva la gioia dellavita e della conquista eroica.Il non essere stato capocordata sul Badile, mi ha fattosentire quella salita come non mia, quindi con indiffe-renza e senza interesse né gioia. È stata solo una provaper vedere come mi trovavo sul granito e soprattutto peracquistare l'occhio al granito. E la prova ha dato buonifrutti: sullo spigolo di Sciora ci siamo gettati allo sbara-glio nell'avventura: una galoppata veloce, un'afferma-zione luminosa e superba, un'arrampicata magnifica. Uncolpo di mano più che una conquista, fugace come unsogno, luminoso come una meteora: ma di quei colpi dimano che si realizzano solo con la decisione della cor-data con Vitale, tutta un solo impeto di avventura.

Già prima della Sciora, le stupende rocce del Vallon, miavevano rianimato, mi avevan dato la gioia dell'arrampi-cata elegante ed esposta, su roccia verticale e sicura. Larinuncia alla Marmolada e il ritorno sul Serauta, mi han-no un po' smontato: non mi sentivo abbastanza a puntoper tentare una parete di cui non vedevo l'uscita, qual èla Marmolada, e sarebbe stato assurdo proseguire su

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quelle rocce orribili del Serauta. Ma io non sono abitua-to a rinunciare ai miei progetti, sono così viziato a vin-cer sempre, ad annientare l'ostacolo soltanto per il deci-so volerlo annientare, che un ritorno già mi fa chiederese sono ancora io, se non ho perduto la mia forza di vo-lere. Era necessaria la luminosa giornata sullo Spiz dellaLastia per rianimarmi: qui per la prima volta quest'annoho ritrovato tutte le mie forze, la mia possanza fisica etutta la gioia dell'audacia. Non più chiodi di assicurazio-ne, non più cacciarmi timoroso nelle fessure, ma tuttofuori arrampicavo, libero sulle enormi lastronate lisce,tutto proteso alla Dülfer, tra le due facce del grande die-dro: e su sempre in alto per tutta la lunghezza di corda, epoi un'altra ancora, tutto preso nell'ebbrezza della danzavertiginosa: e poi riguardavo indietro e mi chiedevocome mai ero passato su quelle lastre lisce.Ritrovata la fiducia piena nelle mie forze e la consape-volezza di poter rendere il massimo delle possibilitàumane, l'osare diventava non più un gioco avventurosocontro il rischio, ma una necessità di affermazione. Lacresta della Noire ne è stata la conseguenza immediata:appena iniziata la conoscenza del granito, ho voluto su-bito affermarmi sulla più difficile e completa arrampica-ta di granito delle Alpi, e l'ho vinta come capocordata,con perfetta continuità di rendimento. Questa non è stataun'avventura allo sbaraglio come lo spigolo di Sciora,ma una decisa volontà di affermazione per capacitarmidi poter rendere anche su granito fino al massimo dellepossibilità umane.

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quelle rocce orribili del Serauta. Ma io non sono abitua-to a rinunciare ai miei progetti, sono così viziato a vin-cer sempre, ad annientare l'ostacolo soltanto per il deci-so volerlo annientare, che un ritorno già mi fa chiederese sono ancora io, se non ho perduto la mia forza di vo-lere. Era necessaria la luminosa giornata sullo Spiz dellaLastia per rianimarmi: qui per la prima volta quest'annoho ritrovato tutte le mie forze, la mia possanza fisica etutta la gioia dell'audacia. Non più chiodi di assicurazio-ne, non più cacciarmi timoroso nelle fessure, ma tuttofuori arrampicavo, libero sulle enormi lastronate lisce,tutto proteso alla Dülfer, tra le due facce del grande die-dro: e su sempre in alto per tutta la lunghezza di corda, epoi un'altra ancora, tutto preso nell'ebbrezza della danzavertiginosa: e poi riguardavo indietro e mi chiedevocome mai ero passato su quelle lastre lisce.Ritrovata la fiducia piena nelle mie forze e la consape-volezza di poter rendere il massimo delle possibilitàumane, l'osare diventava non più un gioco avventurosocontro il rischio, ma una necessità di affermazione. Lacresta della Noire ne è stata la conseguenza immediata:appena iniziata la conoscenza del granito, ho voluto su-bito affermarmi sulla più difficile e completa arrampica-ta di granito delle Alpi, e l'ho vinta come capocordata,con perfetta continuità di rendimento. Questa non è stataun'avventura allo sbaraglio come lo spigolo di Sciora,ma una decisa volontà di affermazione per capacitarmidi poter rendere anche su granito fino al massimo dellepossibilità umane.

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La prossima tappa, il logico completamento della sta-gione, non poteva essere che la parete sudovest dellaMarmolada, la parete lungamente sognata, ora divenutaun'idea fissa come un chiodo nella mia mente. Il tempoincerto e la mancanza di compagni adatti, mi facevanosempre rimandare il tentativo. Salite bellissime, che inaltri momenti mi avrebbero dato grande gioia, rientrava-no nell'ordine consueto delle cose, nello svolgimento re-golare di un programma e servivano solo ad ingannarel'attesa.Frattanto portavo avanti ricognizioni e interrogatori perla mia guida e sempre più vivo sento l'interesse per que-sto studio, che ora approfondisco assai di più di quantosia necessario per una guida. Indagini toponomastiche,studio dei dialetti ladini, storie di guerra, leggende, usi ecostumi locali, ogni ramo mi prende così vivamente, chevorrei sempre completare le indagini e giungere a cono-scere fino in fondo queste vallate tanto ricche di poesiae di colore. Così anche l'alpinismo esce dall'ariditàdell'esercizio fisico e della relazione tecnica, per dive-nirmi fonte di grande interesse culturale.I frequenti ritorni a Milano mi ripiombavano nell'atmo-sfera nauseante di polemiche, di attriti personali, di ipo-crisie, ecc.: tuttavia il Congresso del CAAI è riuscitobene e conclusivo, ma l'ascensione non era più mia, maun'arrampicata che donavo agli altri e per me priva diinteresse. Mi stupiva tuttavia la facilità con cui ricono-scevo ogni singolo passo nell'ascensione (Spigolo diSciora) già effettuata un mese prima: sono così poco

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La prossima tappa, il logico completamento della sta-gione, non poteva essere che la parete sudovest dellaMarmolada, la parete lungamente sognata, ora divenutaun'idea fissa come un chiodo nella mia mente. Il tempoincerto e la mancanza di compagni adatti, mi facevanosempre rimandare il tentativo. Salite bellissime, che inaltri momenti mi avrebbero dato grande gioia, rientrava-no nell'ordine consueto delle cose, nello svolgimento re-golare di un programma e servivano solo ad ingannarel'attesa.Frattanto portavo avanti ricognizioni e interrogatori perla mia guida e sempre più vivo sento l'interesse per que-sto studio, che ora approfondisco assai di più di quantosia necessario per una guida. Indagini toponomastiche,studio dei dialetti ladini, storie di guerra, leggende, usi ecostumi locali, ogni ramo mi prende così vivamente, chevorrei sempre completare le indagini e giungere a cono-scere fino in fondo queste vallate tanto ricche di poesiae di colore. Così anche l'alpinismo esce dall'ariditàdell'esercizio fisico e della relazione tecnica, per dive-nirmi fonte di grande interesse culturale.I frequenti ritorni a Milano mi ripiombavano nell'atmo-sfera nauseante di polemiche, di attriti personali, di ipo-crisie, ecc.: tuttavia il Congresso del CAAI è riuscitobene e conclusivo, ma l'ascensione non era più mia, maun'arrampicata che donavo agli altri e per me priva diinteresse. Mi stupiva tuttavia la facilità con cui ricono-scevo ogni singolo passo nell'ascensione (Spigolo diSciora) già effettuata un mese prima: sono così poco

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abituato a ripetere una salita già fatta, che proprio sonorimasto sorpreso constatando quanto divenga più facileuna salita ripetendola.Finalmente alla Marmolada: tutt'estate fremevo all'ideache i numerosi concorrenti avessero potuto riuscireall'impresa prima che la tentassi anch'io: era una salitache "non vedevo" e quindi sapevo di non riuscire, per-ché vi sarei andato alla cieca: di più credevo fermamen-te all'impossibilità di salire coi mezzi tecnici attuali: ep-pure un tentativo lo volevo fare, per non avere il rimor-so di non aver provato e l'idea mi era rimasta fissa e os-sessionante per più di un mese, quasi come un incubo.Quel mattino mi sentivo in piena forma, forse come nonmai prima d'ora: calmo, deciso, sicuro: alla pienezza deimiei mezzi fisici rispondeva un'animazione baldanzosae una decisa volontà di riuscire. La parete pareva già sipiegasse sotto il mio impeto vittorioso: salivo lento edeciso, con continuità, senza piantar un chiodo. Dopotre ore, vinta una fessurina liscia e strapiombante, erava-mo già alti, e già baldanzosamente cominciavo a crederealla possibilità di vittoria. Ma non vedevo nulla sopra dime. Salgo ancora un diedro strapiombante di grande dif-ficoltà e mi trovo sopra una breve fascia di placche li-sce. Disperatamente lottiamo, ma invano: bastano pochimetri di questa roccia compatta, per ricacciare inesora-bilmente. Giriamo nel canale a destra; le difficoltà estre-me subito riaccendono la volontà di lotta. Già dispero diriuscire: invito Bruno a provar lui, ma è stanco e conclu-de poco: ritorno io e con lungo ed estenuante lavoro,

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abituato a ripetere una salita già fatta, che proprio sonorimasto sorpreso constatando quanto divenga più facileuna salita ripetendola.Finalmente alla Marmolada: tutt'estate fremevo all'ideache i numerosi concorrenti avessero potuto riuscireall'impresa prima che la tentassi anch'io: era una salitache "non vedevo" e quindi sapevo di non riuscire, per-ché vi sarei andato alla cieca: di più credevo fermamen-te all'impossibilità di salire coi mezzi tecnici attuali: ep-pure un tentativo lo volevo fare, per non avere il rimor-so di non aver provato e l'idea mi era rimasta fissa e os-sessionante per più di un mese, quasi come un incubo.Quel mattino mi sentivo in piena forma, forse come nonmai prima d'ora: calmo, deciso, sicuro: alla pienezza deimiei mezzi fisici rispondeva un'animazione baldanzosae una decisa volontà di riuscire. La parete pareva già sipiegasse sotto il mio impeto vittorioso: salivo lento edeciso, con continuità, senza piantar un chiodo. Dopotre ore, vinta una fessurina liscia e strapiombante, erava-mo già alti, e già baldanzosamente cominciavo a crederealla possibilità di vittoria. Ma non vedevo nulla sopra dime. Salgo ancora un diedro strapiombante di grande dif-ficoltà e mi trovo sopra una breve fascia di placche li-sce. Disperatamente lottiamo, ma invano: bastano pochimetri di questa roccia compatta, per ricacciare inesora-bilmente. Giriamo nel canale a destra; le difficoltà estre-me subito riaccendono la volontà di lotta. Già dispero diriuscire: invito Bruno a provar lui, ma è stanco e conclu-de poco: ritorno io e con lungo ed estenuante lavoro,

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passo: Bruno è esausto e mezzo soffocato dalle cordetese. Ma procedo ancora finché non vedo chiaramente lapossibilità. In una fessurina fortemente strapiombantepianto numerosi chiodi, ma sono troppo stanco per su-perare di forza lo strapiombo finale. Ridiscendo: è quasibuio: ci ricoveriamo in una profonda nicchia. La grandemuraglia giallastra, poco prima rovente di sole e ine-briante di luce riflessa, ora è spenta: sorge la luna coisuoi bagliori fantastici. Notte gelida: l'alba radiosa im-porpora i monti d'Ombretta: attendiamo fino alle 10 ilsole. Poi la lotta riprende con energia e passione rinno-vata. Sopra la fessurina una nuova placca ci arresta e an-che qui riesce vano ogni sforzo. Bisogna ridiscendere eprovare altrove: ma ciò vuol dire un secondo bivaccosenza speranza alcuna di poter andare oltre la II terraz-za. Ha ragione Bruno: meglio ridiscendere e attendereun altr'anno con giornate più lunghe e meno fredde.Ma la rinuncia non è stata umiliante: c'era in me tutta lagioia di una lotta dura, sostenuta con energia e volontàestrema: non son ritornato battuto dall'impossibile, macon la chiara visione della via da seguire: sono ritornatoper riprender lena e ricominciare la lotta. È solo unapausa: la parete ora è ben mia, e un giorno o l'altro midovrà pur cedere: e sarà la più mia e la più bella di tuttele mie vittorie, perché la più faticata e la più desiderata,perché è l'unica parete che abbia saputo resistere al mioimpeto di vittoria. Per Siegfried è necessaria Brunilde,la conquista più difficile. E quando al tramonto, scendoal Contrin, volgo ancora uno sguardo alla muraglia di

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passo: Bruno è esausto e mezzo soffocato dalle cordetese. Ma procedo ancora finché non vedo chiaramente lapossibilità. In una fessurina fortemente strapiombantepianto numerosi chiodi, ma sono troppo stanco per su-perare di forza lo strapiombo finale. Ridiscendo: è quasibuio: ci ricoveriamo in una profonda nicchia. La grandemuraglia giallastra, poco prima rovente di sole e ine-briante di luce riflessa, ora è spenta: sorge la luna coisuoi bagliori fantastici. Notte gelida: l'alba radiosa im-porpora i monti d'Ombretta: attendiamo fino alle 10 ilsole. Poi la lotta riprende con energia e passione rinno-vata. Sopra la fessurina una nuova placca ci arresta e an-che qui riesce vano ogni sforzo. Bisogna ridiscendere eprovare altrove: ma ciò vuol dire un secondo bivaccosenza speranza alcuna di poter andare oltre la II terraz-za. Ha ragione Bruno: meglio ridiscendere e attendereun altr'anno con giornate più lunghe e meno fredde.Ma la rinuncia non è stata umiliante: c'era in me tutta lagioia di una lotta dura, sostenuta con energia e volontàestrema: non son ritornato battuto dall'impossibile, macon la chiara visione della via da seguire: sono ritornatoper riprender lena e ricominciare la lotta. È solo unapausa: la parete ora è ben mia, e un giorno o l'altro midovrà pur cedere: e sarà la più mia e la più bella di tuttele mie vittorie, perché la più faticata e la più desiderata,perché è l'unica parete che abbia saputo resistere al mioimpeto di vittoria. Per Siegfried è necessaria Brunilde,la conquista più difficile. E quando al tramonto, scendoal Contrin, volgo ancora uno sguardo alla muraglia di

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nuovo rovente di sole, si rinnova in me la promessa delritorno e la volontà di vittoria.Due giorni dopo, con le membra indolenzite dallo sfor-zo, ero all'attacco dello Spigolo S. Quella muraglia do-veva cedermi in qualche modo, e ho voluto cominciare acogliere l'affermazione dove era sicura. Ma appunto per-ché era sicura, mancava del suo principale elemento diinteresse: l'avventura. La gioia dell'arrampicata meravi-gliosa era in parte offuscata dai chiodi che trovavo infis-si nella roccia: 5 cordate eran passate prima di me: quel-la parete non era più mia. La salita diventava un'affer-mazione di fronte ai terzi, non cosa mia, una prova chesalivo a completo mio agio, dove gli altri avevano di-chiarato difficoltà estreme. Ben altre difficoltà avevo su-perato due giorni prima sulla parete sud ovest (dellaMarmolada)! Una bella ascensione, un'affermazione,un'esperienza interessante, e nulla più.Finito? Lo pensavo durante il bivacco, tanto mi sentivosazio di 4 giorni di difficoltà estreme sulle pareti dellaMarmolada. Ma basta un giorno di riposo e di sole e lamia volontà di lotta si riaccende integra. Nuova, noiosapausa milanese: ma domani torno su, e spero in un nuo-vo capitolo. Sono smanioso di crode, come sequest'anno non avessi ancor fatto nulla: ma sono anchein un periodo di straordinaria efficienza fisica e morale,e ho bisogno di un'affermazione degna di me.

Tutte queste frasi e queste attestazioni di forza e di vo-lontà dominante che si ripetono come leit-motiv nelle

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nuovo rovente di sole, si rinnova in me la promessa delritorno e la volontà di vittoria.Due giorni dopo, con le membra indolenzite dallo sfor-zo, ero all'attacco dello Spigolo S. Quella muraglia do-veva cedermi in qualche modo, e ho voluto cominciare acogliere l'affermazione dove era sicura. Ma appunto per-ché era sicura, mancava del suo principale elemento diinteresse: l'avventura. La gioia dell'arrampicata meravi-gliosa era in parte offuscata dai chiodi che trovavo infis-si nella roccia: 5 cordate eran passate prima di me: quel-la parete non era più mia. La salita diventava un'affer-mazione di fronte ai terzi, non cosa mia, una prova chesalivo a completo mio agio, dove gli altri avevano di-chiarato difficoltà estreme. Ben altre difficoltà avevo su-perato due giorni prima sulla parete sud ovest (dellaMarmolada)! Una bella ascensione, un'affermazione,un'esperienza interessante, e nulla più.Finito? Lo pensavo durante il bivacco, tanto mi sentivosazio di 4 giorni di difficoltà estreme sulle pareti dellaMarmolada. Ma basta un giorno di riposo e di sole e lamia volontà di lotta si riaccende integra. Nuova, noiosapausa milanese: ma domani torno su, e spero in un nuo-vo capitolo. Sono smanioso di crode, come sequest'anno non avessi ancor fatto nulla: ma sono anchein un periodo di straordinaria efficienza fisica e morale,e ho bisogno di un'affermazione degna di me.

Tutte queste frasi e queste attestazioni di forza e di vo-lontà dominante che si ripetono come leit-motiv nelle

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pagine del diario, hanno molto l'aria di luoghi comuni edi belle frasi atte a persuadere me stesso di possedereuna forza che in realtà non posseggo. Questa che sto di-cendo, è una malignità cattiva, lo so, ma è suffragata dalfatto che le belle frasi le scrivo proprio nei periodi dimaggior debolezza, che predico che bisogna vincere sestessi proprio quando meno ne son capace, e tanto piùrombanti e retoriche sono le espressioni quanto più ioson debole di forza morale. E può darsi che realmente iosia portato a scriverle per un bisogno istintivo di darmiforza, non per ipocrisia, ma per aiutarmi nei momenti didebolezza!

7 ottobre. Sì, la stagione è veramente finita con la diret-tissima della Marmolada, poiché il Piz di Ciavezes nonè stato per niente mio: mi son semplicemente prestatoad accompagnare Micheluzzi in una salita cui lui tenevamolto, ma io niente, e l'ho seguito non passivamente, masenza metterci nulla di mio, quasi come un compito chemi era del tutto indifferente. Un sesto grado sprecato. Epoi con Micheluzzi non potrei mai trovare quell'affiata-mento della cordata, che è condizione essenziale per go-dere e vivere un'ascensione.Arrivavo a Canazei mal disposto dopo una settimana diMilano; il sapere che Steger era sotto la Marmolada pertentare la parete sudovest ha riacceso immediatamentetutta la mia volontà di lotta. Invano ho cercato affanno-samente un compagno qualsiasi pur di poter accorrere eattaccare prima di Steger: mi spiaceva giocare una gara

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pagine del diario, hanno molto l'aria di luoghi comuni edi belle frasi atte a persuadere me stesso di possedereuna forza che in realtà non posseggo. Questa che sto di-cendo, è una malignità cattiva, lo so, ma è suffragata dalfatto che le belle frasi le scrivo proprio nei periodi dimaggior debolezza, che predico che bisogna vincere sestessi proprio quando meno ne son capace, e tanto piùrombanti e retoriche sono le espressioni quanto più ioson debole di forza morale. E può darsi che realmente iosia portato a scriverle per un bisogno istintivo di darmiforza, non per ipocrisia, ma per aiutarmi nei momenti didebolezza!

7 ottobre. Sì, la stagione è veramente finita con la diret-tissima della Marmolada, poiché il Piz di Ciavezes nonè stato per niente mio: mi son semplicemente prestatoad accompagnare Micheluzzi in una salita cui lui tenevamolto, ma io niente, e l'ho seguito non passivamente, masenza metterci nulla di mio, quasi come un compito chemi era del tutto indifferente. Un sesto grado sprecato. Epoi con Micheluzzi non potrei mai trovare quell'affiata-mento della cordata, che è condizione essenziale per go-dere e vivere un'ascensione.Arrivavo a Canazei mal disposto dopo una settimana diMilano; il sapere che Steger era sotto la Marmolada pertentare la parete sudovest ha riacceso immediatamentetutta la mia volontà di lotta. Invano ho cercato affanno-samente un compagno qualsiasi pur di poter accorrere eattaccare prima di Steger: mi spiaceva giocare una gara

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in montagna e per di più con uno che vorrei sempre averamico: ma quella parete è ora troppo mia, troppo pro-fondamente vissuta è stata l'esperienza del primo tentati-vo, perch'io potessi consentire a rinunciarvi e a lasciar-mi precedere da altri. Ore di ansia e di orgasmo, finchéil maltempo mi ha rimesso tranquillo.Sono andato a cercare Vinatzer per tentare con lui la pa-rete. Dopo l'esperienza negativa con Micheluzzi, già eroentusiasta di ritrovare quel giovane di passione cosìsana, quel giovane che conoscevo appena, ma che findal primo momento mi aveva tanto interessato e di po-termi unire a lui, di conoscere più intimamentequell'anima limpida, che forse mi potrà essere molto vi-cino ed amico. Ed ero lieto di potergli offrire la mia im-presa più bella, di poter consacrare la nostra amiciziaproprio su quella parete. A casa sua mi dicono che è par-tito richiamato, forse per l'Abissinia. Per la prima voltaho sentito quest'assurda avventura toccarmi nel vivo. Hoavuto ore di scoramento, quali dopo Londra non avevomai più provato; non tanto per la perdita dell'amico au-spicato, ma per questa assurda e selvaggia distruzione diogni bene vero, che l'uomo tanto faticosamente si creaper un folle sogno di boriosa montatura politica, per unpuntiglio di vanagloria personale, mostruosamente delit-tuoso. In quell'istante non me ne importava più nientedella Marmolada, delle montagne, di nulla: a che ricer-care ancora la vita, inseguire faticosamente un bene,quando la raffinata barbarie del cosiddetto Stato civiletutto può distruggere per un solo atto di un uomo? Come

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in montagna e per di più con uno che vorrei sempre averamico: ma quella parete è ora troppo mia, troppo pro-fondamente vissuta è stata l'esperienza del primo tentati-vo, perch'io potessi consentire a rinunciarvi e a lasciar-mi precedere da altri. Ore di ansia e di orgasmo, finchéil maltempo mi ha rimesso tranquillo.Sono andato a cercare Vinatzer per tentare con lui la pa-rete. Dopo l'esperienza negativa con Micheluzzi, già eroentusiasta di ritrovare quel giovane di passione cosìsana, quel giovane che conoscevo appena, ma che findal primo momento mi aveva tanto interessato e di po-termi unire a lui, di conoscere più intimamentequell'anima limpida, che forse mi potrà essere molto vi-cino ed amico. Ed ero lieto di potergli offrire la mia im-presa più bella, di poter consacrare la nostra amiciziaproprio su quella parete. A casa sua mi dicono che è par-tito richiamato, forse per l'Abissinia. Per la prima voltaho sentito quest'assurda avventura toccarmi nel vivo. Hoavuto ore di scoramento, quali dopo Londra non avevomai più provato; non tanto per la perdita dell'amico au-spicato, ma per questa assurda e selvaggia distruzione diogni bene vero, che l'uomo tanto faticosamente si creaper un folle sogno di boriosa montatura politica, per unpuntiglio di vanagloria personale, mostruosamente delit-tuoso. In quell'istante non me ne importava più nientedella Marmolada, delle montagne, di nulla: a che ricer-care ancora la vita, inseguire faticosamente un bene,quando la raffinata barbarie del cosiddetto Stato civiletutto può distruggere per un solo atto di un uomo? Come

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trovare ancora la forza di volere e il desiderio di lottare?Ero umiliato come da uno schiaffo cui ero impotente dirispondere e di ribellarmi: e me ne sono andato a letto alpiù presto per poter non pensare.Poiché la civiltà ha ridotto l'uomo a fuggire nelle selve aricercare la felicità e la vita: quando ripiomba nel vorti-ce melmoso della società civile, deve rifugiarsi nel son-no per poter non pensare: nel mondo civile solo l'idiotae le bestie non sono infelici.

Ho peregrinato quattro giorni per monti e per valli, trapinete e praterie in un vero incanto della natura: dormi-vo nei fienili, mangiavo in riva a un ruscello e mi nutri-vo di lamponi e mirtilli. I boschi già rosseggiavano nelleloro ricche vesti invernali, e non incontravo che uccelligrandi e piccini. Fuggendo da Funes ove le campane an-nunciavano l'adunata fascista, mi ritrovai in un deliziosovialetto ombroso e solitario: «o beata solitudo, o solabeatitudo!» ho gridato: qui avevo ritrovato la bellezzadella vita.

Assai più umana di quanto non sia il mio sentimento perla donna; la donna è per me o l'oggetto del bisogno fisi-co sensuale e, come tale, di valore morale assolutamentenullo, poiché per tale oggetto non mi è più possibileneppure il più elementare rispetto, oppure è l'oggetto diun rapporto di amicizia, analogo a quello con gli uomi-ni, solo con quel tanto di grazia, ma anche di inconsi-stenza e di frivolità che è nella femminilità. Quando ho

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trovare ancora la forza di volere e il desiderio di lottare?Ero umiliato come da uno schiaffo cui ero impotente dirispondere e di ribellarmi: e me ne sono andato a letto alpiù presto per poter non pensare.Poiché la civiltà ha ridotto l'uomo a fuggire nelle selve aricercare la felicità e la vita: quando ripiomba nel vorti-ce melmoso della società civile, deve rifugiarsi nel son-no per poter non pensare: nel mondo civile solo l'idiotae le bestie non sono infelici.

Ho peregrinato quattro giorni per monti e per valli, trapinete e praterie in un vero incanto della natura: dormi-vo nei fienili, mangiavo in riva a un ruscello e mi nutri-vo di lamponi e mirtilli. I boschi già rosseggiavano nelleloro ricche vesti invernali, e non incontravo che uccelligrandi e piccini. Fuggendo da Funes ove le campane an-nunciavano l'adunata fascista, mi ritrovai in un deliziosovialetto ombroso e solitario: «o beata solitudo, o solabeatitudo!» ho gridato: qui avevo ritrovato la bellezzadella vita.

Assai più umana di quanto non sia il mio sentimento perla donna; la donna è per me o l'oggetto del bisogno fisi-co sensuale e, come tale, di valore morale assolutamentenullo, poiché per tale oggetto non mi è più possibileneppure il più elementare rispetto, oppure è l'oggetto diun rapporto di amicizia, analogo a quello con gli uomi-ni, solo con quel tanto di grazia, ma anche di inconsi-stenza e di frivolità che è nella femminilità. Quando ho

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incontrato una donna forte, mi è sempre piaciuta e qual-che volta mi sono anche molto avvicinato con momentidi abbandono al fascino di un momento: ma l'abbandonoera sempre controllato e la sostanza del rapporto erasempre di interessamento e di stima più che un affettoprofondamente umano.

10 dicembre. Casa nuova: tutta raccolta e cordiale; am-bienti più piccoli, un po' affollati di mobili; non più quelsenso opprimente di vuoto e di morte dei vasti e gelidisaloni di via Cosimo del Fante, non più gli eterni corri-doi, desolati come le corsie d'ospedale, che allungandole distanze rendevano ancora più vuota la casa, distan-ziando quelle poche particelle di vita che ancora vi sipotevano trovar sperdute. Qui un ambiente è vicinoall'altro, comunicanti; pare che anche vuoti si animino avicenda, che i mobili stessi, le poltrone, i divani si ten-gano compagnia: entrando in una stanza qualsiasi, la sisente abitata, ci si sente la vita e ci si sente vivere, ci sitrova bene e a proprio agio. Non più l'oppressione diuna reggia deserta: qui è la casa, la nostra casa (sua edel papà), che risponde alla nostra esigenza di vita, checirconda la nostra attività con la sua intimità; v'è luce earia, si domina la città al di sopra dei tetti, e non ci sisente più soffocati tra quattro mura. Arrivando ho trova-to papà non più nel suo oscuro andito di passaggio nelcorridoio, ma in un simpatico salottino ben messo e va-riato. Quando sono entrato in camera mia, mi son senti-to allargare il cuore: non più quel buco sbilenco e soffo-

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incontrato una donna forte, mi è sempre piaciuta e qual-che volta mi sono anche molto avvicinato con momentidi abbandono al fascino di un momento: ma l'abbandonoera sempre controllato e la sostanza del rapporto erasempre di interessamento e di stima più che un affettoprofondamente umano.

10 dicembre. Casa nuova: tutta raccolta e cordiale; am-bienti più piccoli, un po' affollati di mobili; non più quelsenso opprimente di vuoto e di morte dei vasti e gelidisaloni di via Cosimo del Fante, non più gli eterni corri-doi, desolati come le corsie d'ospedale, che allungandole distanze rendevano ancora più vuota la casa, distan-ziando quelle poche particelle di vita che ancora vi sipotevano trovar sperdute. Qui un ambiente è vicinoall'altro, comunicanti; pare che anche vuoti si animino avicenda, che i mobili stessi, le poltrone, i divani si ten-gano compagnia: entrando in una stanza qualsiasi, la sisente abitata, ci si sente la vita e ci si sente vivere, ci sitrova bene e a proprio agio. Non più l'oppressione diuna reggia deserta: qui è la casa, la nostra casa (sua edel papà), che risponde alla nostra esigenza di vita, checirconda la nostra attività con la sua intimità; v'è luce earia, si domina la città al di sopra dei tetti, e non ci sisente più soffocati tra quattro mura. Arrivando ho trova-to papà non più nel suo oscuro andito di passaggio nelcorridoio, ma in un simpatico salottino ben messo e va-riato. Quando sono entrato in camera mia, mi son senti-to allargare il cuore: non più quel buco sbilenco e soffo-

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cato, con la finestra di traverso, opprimente e senz'aria: imobili stanno tutti attorno alle pareti, lasciando nel mez-zo un vasto spazio libero, che lascia fiatare, mentre dallafinestra la vista spazia lontana: ho provato un'impressio-ne di liberazione quasi fisica, come quando ci si toglieuna scarpa o un colletto troppo stretto!

16 dicembre. Credo di aver già detto che la fede non èaltro che la volontà del debole. In sostanza fede e volon-tà sono la stessa cosa. Il miracolo non è altro che poten-za di volontà. Infatti perché il miracolo si compia, è ne-cessaria una fede illimitata: la certezza che Dio puòcompierlo, e che lo compirà: il minimo dubbio impedi-sce il miracolo, e si dirà che l'uomo non ha saputo cre-dere all'onnipotenza di Dio, non ha avuto intera fede.Ma che cos'è l'intera fede, cioè la certezza che il miraco-lo si compirà, se non la preoccupazione che si compia?L'uomo diffida di se stesso, non ha intera fiducia nelproprio essere, non crede nella propria onnipotenza, equindi non può avere in sé quell'intera fede, quella pre-cisa e convinta volontà necessaria al compimento delmiracolo, ecco perché ciascuno si crea un proprio Dio,che è esterno e superiore a tutto ma è anche interno inciascuno di noi, anzi è parte di noi stessi, la parte mi-gliore, più forte, ma anche più sconosciuta o inconosci-bile di noi stessi. Chi può infatti conoscere o spiegarel'essenza di questa nostra potenza di volontà? Ma comeDio non è conoscenza, ma è fede dogmatica, così cia-scuno dovrebbe imparare a riconoscere in se stesso que-

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cato, con la finestra di traverso, opprimente e senz'aria: imobili stanno tutti attorno alle pareti, lasciando nel mez-zo un vasto spazio libero, che lascia fiatare, mentre dallafinestra la vista spazia lontana: ho provato un'impressio-ne di liberazione quasi fisica, come quando ci si toglieuna scarpa o un colletto troppo stretto!

16 dicembre. Credo di aver già detto che la fede non èaltro che la volontà del debole. In sostanza fede e volon-tà sono la stessa cosa. Il miracolo non è altro che poten-za di volontà. Infatti perché il miracolo si compia, è ne-cessaria una fede illimitata: la certezza che Dio puòcompierlo, e che lo compirà: il minimo dubbio impedi-sce il miracolo, e si dirà che l'uomo non ha saputo cre-dere all'onnipotenza di Dio, non ha avuto intera fede.Ma che cos'è l'intera fede, cioè la certezza che il miraco-lo si compirà, se non la preoccupazione che si compia?L'uomo diffida di se stesso, non ha intera fiducia nelproprio essere, non crede nella propria onnipotenza, equindi non può avere in sé quell'intera fede, quella pre-cisa e convinta volontà necessaria al compimento delmiracolo, ecco perché ciascuno si crea un proprio Dio,che è esterno e superiore a tutto ma è anche interno inciascuno di noi, anzi è parte di noi stessi, la parte mi-gliore, più forte, ma anche più sconosciuta o inconosci-bile di noi stessi. Chi può infatti conoscere o spiegarel'essenza di questa nostra potenza di volontà? Ma comeDio non è conoscenza, ma è fede dogmatica, così cia-scuno dovrebbe imparare a riconoscere in se stesso que-

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sto Dio, ad aver fede in se stesso, a volere con la stessaforza di persuasione con cui si è abituato a credere in unente superiore. La fede non è altro che un giro viziosodella volontà, reso necessario dalla scettica sfiducia ver-so se stesso, per cui quella potenza di volontà che nonsappiamo attribuire a noi stessi, l'attribuiamo a un enteche noi stessi immaginiamo esterno e superiore a noi.Ma non ho detto appunto che la nostra volontà è supe-riore a noi stessi? Volontà, fede, Dio in fondo è tutt'uno:è la potenza dell'uomo.

Tutta la costruzione della dottrina religiosa non è altroche il bisogno di attribuire a un ente superiore il regola-mento della nostra vita, che in realtà non dipende che danoi; il bisogno di attribuire all'ente superiore infallibilequesta potenza, che sarebbe forse pericoloso lasciareall'uomo: o piuttosto sarebbe pericoloso lasciargli laconsapevolezza di possederla. Così il dogma è sorto dal-la necessità di insegnare a credere ciecamente anchel'assurdo, cioè a volere anche al di là di quello che la ra-gione ci potrebbe consentire: nessuno saprebbe volerel'assurdo, il dubbio nascerebbe inevitabilmente, distrug-gendo la fermezza della volontà: ma la fede insegna acredere l'assurdo, e quindi a volerlo. Così anche il siste-ma di premi e castighi della superiore giustizia divina,non sono che l'estensione e la rettificazione della giusti-zia umana che è fallibile e derivano tutte dalla necessitàdi aiutare l'uomo con nuovi impulsi, poiché nella sua de-bolezza non sempre sa volere il bene, come fine a se

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sto Dio, ad aver fede in se stesso, a volere con la stessaforza di persuasione con cui si è abituato a credere in unente superiore. La fede non è altro che un giro viziosodella volontà, reso necessario dalla scettica sfiducia ver-so se stesso, per cui quella potenza di volontà che nonsappiamo attribuire a noi stessi, l'attribuiamo a un enteche noi stessi immaginiamo esterno e superiore a noi.Ma non ho detto appunto che la nostra volontà è supe-riore a noi stessi? Volontà, fede, Dio in fondo è tutt'uno:è la potenza dell'uomo.

Tutta la costruzione della dottrina religiosa non è altroche il bisogno di attribuire a un ente superiore il regola-mento della nostra vita, che in realtà non dipende che danoi; il bisogno di attribuire all'ente superiore infallibilequesta potenza, che sarebbe forse pericoloso lasciareall'uomo: o piuttosto sarebbe pericoloso lasciargli laconsapevolezza di possederla. Così il dogma è sorto dal-la necessità di insegnare a credere ciecamente anchel'assurdo, cioè a volere anche al di là di quello che la ra-gione ci potrebbe consentire: nessuno saprebbe volerel'assurdo, il dubbio nascerebbe inevitabilmente, distrug-gendo la fermezza della volontà: ma la fede insegna acredere l'assurdo, e quindi a volerlo. Così anche il siste-ma di premi e castighi della superiore giustizia divina,non sono che l'estensione e la rettificazione della giusti-zia umana che è fallibile e derivano tutte dalla necessitàdi aiutare l'uomo con nuovi impulsi, poiché nella sua de-bolezza non sempre sa volere il bene, come fine a se

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stesso.

20 dicembre. Celso diceva che l'essenza dell'alpinismoè il rischio: io non potevo condividere questo suo detto,mi pareva abbassare l'amore per la montagna a un giocopazzesco o assurdo, ma forse avevo mal compreso lasua asserzione che in fondo non è lontana dalla mia:l'essenza dell'alpinismo consiste nella conquista metroper metro della propria vita. Dunque in fondo è rischio:ma il rischio non è fine a se stesso, bensì solo la premes-sa necessaria alla conquista.

La vita vissuta è solo quella conquistata. Perciò la vita èdifficile e deve essere difficile, come un'ascensione chenon può essere bella se non è anche difficile. Ove nonc'è difficoltà, non c'è lotta; ove non c'è lotta non c'è con-quista. Perciò la vita è lotta.

Perciò ho sempre sostenuto che il vero alpinista non puòessere fascista, perché le due manifestazioni sono antite-tiche nella loro più profonda essenza. L'alpinismo è li-bertà, è orgoglio e esaltazione del proprio essere, delproprio io come individuo sovrano, della propria volon-tà come potenza dominante: il fascismo è ubbidienza, èdisciplina, è annullamento della propria individualitànella pluralità e nella promiscuità amorfa della massa, èabdicazione alla propria volontà e sottomissione alla vo-lontà altrui. Quindi il fascista non è neppure un uomo,perché rinuncia alle proprie facoltà umane: chi rinuncia

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stesso.

20 dicembre. Celso diceva che l'essenza dell'alpinismoè il rischio: io non potevo condividere questo suo detto,mi pareva abbassare l'amore per la montagna a un giocopazzesco o assurdo, ma forse avevo mal compreso lasua asserzione che in fondo non è lontana dalla mia:l'essenza dell'alpinismo consiste nella conquista metroper metro della propria vita. Dunque in fondo è rischio:ma il rischio non è fine a se stesso, bensì solo la premes-sa necessaria alla conquista.

La vita vissuta è solo quella conquistata. Perciò la vita èdifficile e deve essere difficile, come un'ascensione chenon può essere bella se non è anche difficile. Ove nonc'è difficoltà, non c'è lotta; ove non c'è lotta non c'è con-quista. Perciò la vita è lotta.

Perciò ho sempre sostenuto che il vero alpinista non puòessere fascista, perché le due manifestazioni sono antite-tiche nella loro più profonda essenza. L'alpinismo è li-bertà, è orgoglio e esaltazione del proprio essere, delproprio io come individuo sovrano, della propria volon-tà come potenza dominante: il fascismo è ubbidienza, èdisciplina, è annullamento della propria individualitànella pluralità e nella promiscuità amorfa della massa, èabdicazione alla propria volontà e sottomissione alla vo-lontà altrui. Quindi il fascista non è neppure un uomo,perché rinuncia alle proprie facoltà umane: chi rinuncia

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a volere, rinuncia a pensare, rinuncia ad essere uomo,per essere soltanto strumento o utensile a disposizionedi chi lo sa maneggiare.E costui è un uomo? No, è un tiranno. Perché l'uomoesercita la propria volontà fino al limite di non ledere lalibertà altrui: poiché rispetta negli altri uomini quellestesse facoltà che rispetta in se stesso e che esige sianorispettate dagli altri. Il tiranno invece sopprime negli al-tri queste facoltà, quindi non le rispetta neppure in sestesso: la sua sete di potenza non è altro che istinto ani-malesco, stimolato dalla forza brutale della ragioneumana: il suo potere e la sua volontà di dominio si eser-cita sugli altri, ma non sa esercitarsi su se stesso. E seanche dominasse il mondo intero, non sarà mai così ric-co come un qualsiasi Diogene che sappia dominare sestesso.

Quanti uomini potrebbero con sicurezza affermare «ioho conquistato me stesso?». Forse meno di quelli chepotrebbero affermare «io ho conquistato il mondo!».

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a volere, rinuncia a pensare, rinuncia ad essere uomo,per essere soltanto strumento o utensile a disposizionedi chi lo sa maneggiare.E costui è un uomo? No, è un tiranno. Perché l'uomoesercita la propria volontà fino al limite di non ledere lalibertà altrui: poiché rispetta negli altri uomini quellestesse facoltà che rispetta in se stesso e che esige sianorispettate dagli altri. Il tiranno invece sopprime negli al-tri queste facoltà, quindi non le rispetta neppure in sestesso: la sua sete di potenza non è altro che istinto ani-malesco, stimolato dalla forza brutale della ragioneumana: il suo potere e la sua volontà di dominio si eser-cita sugli altri, ma non sa esercitarsi su se stesso. E seanche dominasse il mondo intero, non sarà mai così ric-co come un qualsiasi Diogene che sappia dominare sestesso.

Quanti uomini potrebbero con sicurezza affermare «ioho conquistato me stesso?». Forse meno di quelli chepotrebbero affermare «io ho conquistato il mondo!».

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1936

Non serve di riassumere il 1935: esso figura abbastanzanelle sue fasi attraverso questo diario: la grande pausainvernale di malessere, di intorpidimento e di lavorometodico, poi la rinascita attraverso la montagna, dallatitubanza iniziale fino all'eroismo finale, fino a ritrovareme stesso nel più florido possesso delle mie forze fisi-che, morali e intellettive. Il 1935 si chiude come si apreil 1936: senza trapasso. Continuità, cammino, azione.Vagavo da solo tra le sconfinate candide ondulazioni,con la vista aperta su orizzonti di crode e di ghiacciai.La mia pista, unica traccia di vita nell'immenso silenzioinvernale, affondava profonda nella neve soffice e pol-verosa, si rincorreva dritta di poggio in poggio, fino alvalico supremo o alla vetta. Come la mia vita. Ad ognipasso, la punta dello sci avanzava fendendo profonda-mente la morbida coltre, calpestando l'ostacolo. Parevami precedesse aprendomi il passaggio. Ogni tanto mivoltavo e mi piaceva quella pista così lunga, così netta ecosì decisa che si snodava segnando tutto il camminopercorso. Poi l'ebbrezza della rapida scivolata, l'autoritàdegli arresti strappati. Sì, anche lo sci ha un senso: non èsoltanto il mezzo per portarsi in montagna anched'inverno, ma è anch'esso un'espressione del proprio es-sere, della gioia di dominio.

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1936

Non serve di riassumere il 1935: esso figura abbastanzanelle sue fasi attraverso questo diario: la grande pausainvernale di malessere, di intorpidimento e di lavorometodico, poi la rinascita attraverso la montagna, dallatitubanza iniziale fino all'eroismo finale, fino a ritrovareme stesso nel più florido possesso delle mie forze fisi-che, morali e intellettive. Il 1935 si chiude come si apreil 1936: senza trapasso. Continuità, cammino, azione.Vagavo da solo tra le sconfinate candide ondulazioni,con la vista aperta su orizzonti di crode e di ghiacciai.La mia pista, unica traccia di vita nell'immenso silenzioinvernale, affondava profonda nella neve soffice e pol-verosa, si rincorreva dritta di poggio in poggio, fino alvalico supremo o alla vetta. Come la mia vita. Ad ognipasso, la punta dello sci avanzava fendendo profonda-mente la morbida coltre, calpestando l'ostacolo. Parevami precedesse aprendomi il passaggio. Ogni tanto mivoltavo e mi piaceva quella pista così lunga, così netta ecosì decisa che si snodava segnando tutto il camminopercorso. Poi l'ebbrezza della rapida scivolata, l'autoritàdegli arresti strappati. Sì, anche lo sci ha un senso: non èsoltanto il mezzo per portarsi in montagna anched'inverno, ma è anch'esso un'espressione del proprio es-sere, della gioia di dominio.

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15 gennaio. Domenica, anziché restare a Milano comeavevo progettato, per riparare al malessere, mi son la-sciato indurre ad andare a Sestrières. Raramente ho pro-vato in montagna un così profondo disgusto. Montagna?Macché, due o tre cocuzzoli insignificanti con le telefe-riche in continuo movimento: sul piano un piccolo grup-po di edifici orribili, in forma di serbatoi d'acqua vario-pinti. Tutt'intorno uno sciame di gentaglia con gli sci aipiedi, che si esibisce in evoluzioni virtuosistiche, che haimparato a memoria, ripetendo centinaia di volte la me-desima pista. Formano un vero carosello di gente affan-nata e tumultuosa, che sale in teleferica, si precipita inbasso a tutta velocità per prendere la teleferica successi-va, che ha già prenotato per tutto il giorno. Un affannar-si, un vociare, un correre in tutte le direzioni, urtandosi,spingendosi, picchiandosi con gli sci: la stazione delleteleferiche sembra la borsa di un grande centro d'affari egli sciatori agenti di cambio nei momenti di panico. Etutti costoro son qui per divertirsi? O per godere dellapace sconfinata di queste candide ondulazioni? Sembra-no presi piuttosto da una follia collettiva e allucinantedegna di un racconto di Poe.Mi sono rifugiato nella piccola cameretta dell'albergo araccogliere il raggio di sole che osava penetrarvi. Mi èparso che quel raggio fosse l'unica cosa vera nella gran-de menzogna della frenesia umana.

7 febbraio. Ho ritrovato Vinatzer: è stata per me la gio-ia di aver ritrovato un amico, di aver ritrovato un bene

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15 gennaio. Domenica, anziché restare a Milano comeavevo progettato, per riparare al malessere, mi son la-sciato indurre ad andare a Sestrières. Raramente ho pro-vato in montagna un così profondo disgusto. Montagna?Macché, due o tre cocuzzoli insignificanti con le telefe-riche in continuo movimento: sul piano un piccolo grup-po di edifici orribili, in forma di serbatoi d'acqua vario-pinti. Tutt'intorno uno sciame di gentaglia con gli sci aipiedi, che si esibisce in evoluzioni virtuosistiche, che haimparato a memoria, ripetendo centinaia di volte la me-desima pista. Formano un vero carosello di gente affan-nata e tumultuosa, che sale in teleferica, si precipita inbasso a tutta velocità per prendere la teleferica successi-va, che ha già prenotato per tutto il giorno. Un affannar-si, un vociare, un correre in tutte le direzioni, urtandosi,spingendosi, picchiandosi con gli sci: la stazione delleteleferiche sembra la borsa di un grande centro d'affari egli sciatori agenti di cambio nei momenti di panico. Etutti costoro son qui per divertirsi? O per godere dellapace sconfinata di queste candide ondulazioni? Sembra-no presi piuttosto da una follia collettiva e allucinantedegna di un racconto di Poe.Mi sono rifugiato nella piccola cameretta dell'albergo araccogliere il raggio di sole che osava penetrarvi. Mi èparso che quel raggio fosse l'unica cosa vera nella gran-de menzogna della frenesia umana.

7 febbraio. Ho ritrovato Vinatzer: è stata per me la gio-ia di aver ritrovato un amico, di aver ritrovato un bene

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che mi era stato strappato: e la serata passata con lui,con la sua schietta e semplice cordialità, mi è parsa tantaluce. È strano com'io mi senta così vicino questo ragaz-zo, con cui pur ho scambiato occasionalmente dellechiacchiere, e con cui non ho condiviso neppure un'oradi vita. Eppure io sento già per lui un affratellamentocome per un compagno di cordata e desidero dividerecon lui le ore di lotta e di vita di una grande conquista.

23 marzo. Dopo un lungo inverno uggioso e autunnale,ecco il sole tiepido di primavera. Scrivo con la finestraaperta, respirando l'aria leggera del cielo, con la vistalontana al di sopra dei tetti fino alle montagne ancoracandide e pesantemente ammantate. Prima leggevo al-cune liriche, seduto sulla finestra, nel pieno sole che mibatteva sulle spalle. Par di rivivere, di uscire dalla te-traggine di Milano, di essere di nuovo liberi nello spa-zio. Rinasce la vita, quasi la sento sbocciare in me comei primi fiori dalla terra ancora molle di neve disciolta, econ la vita un desiderio di abbandono nel tepore delsole, di solitudine fra le prime gemme, a godere di que-sto miracolo della vita che rinasce in me e intorno a me.

Marzo. Tregnago. Perché? Mi son chiesto appena mison reso conto di essermi fratturato una gamba. Perché?È vero? Mi pareva che fosse uno di quei brutti sogni dacui ci si sveglia con la gioia di poter constatare che nonè vero. L'avventura era tutta come qualche cosa di irrea-le, come di sogno: non soffrivo fisicamente o non mi ac-

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che mi era stato strappato: e la serata passata con lui,con la sua schietta e semplice cordialità, mi è parsa tantaluce. È strano com'io mi senta così vicino questo ragaz-zo, con cui pur ho scambiato occasionalmente dellechiacchiere, e con cui non ho condiviso neppure un'oradi vita. Eppure io sento già per lui un affratellamentocome per un compagno di cordata e desidero dividerecon lui le ore di lotta e di vita di una grande conquista.

23 marzo. Dopo un lungo inverno uggioso e autunnale,ecco il sole tiepido di primavera. Scrivo con la finestraaperta, respirando l'aria leggera del cielo, con la vistalontana al di sopra dei tetti fino alle montagne ancoracandide e pesantemente ammantate. Prima leggevo al-cune liriche, seduto sulla finestra, nel pieno sole che mibatteva sulle spalle. Par di rivivere, di uscire dalla te-traggine di Milano, di essere di nuovo liberi nello spa-zio. Rinasce la vita, quasi la sento sbocciare in me comei primi fiori dalla terra ancora molle di neve disciolta, econ la vita un desiderio di abbandono nel tepore delsole, di solitudine fra le prime gemme, a godere di que-sto miracolo della vita che rinasce in me e intorno a me.

Marzo. Tregnago. Perché? Mi son chiesto appena mison reso conto di essermi fratturato una gamba. Perché?È vero? Mi pareva che fosse uno di quei brutti sogni dacui ci si sveglia con la gioia di poter constatare che nonè vero. L'avventura era tutta come qualche cosa di irrea-le, come di sogno: non soffrivo fisicamente o non mi ac-

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corgevo di soffrire: non sapevo pigliarla come una di-sgrazia: ero così felice nell'immensità di quel candore dinevi e nell'azzurro del cielo. L'accidente per se stesso mipareva un fatterello insignificante, che per me in quelmomento aveva il solo valore di darmi un godimento in-finito, un'estasi di elevazione mistica o sovrumana.Sulla cima delle Mésules, ho trascorso due ore sublimi:sono volate come in un sogno, ma forse ancor oggi nonso rendermi conto della vera realtà.Da alcuni giorni vagavo da solo per monti e per valichi,nell'ebbrezza di un sole fulgido e di un orizzonte sconfi-nato e limpidissimo. Mi fermavo in alto, sulla CimaBocche, sulla Marmolada, per attendere il tramonto ches'infiammava di una stupenda sinfonia di luci e di colo-razioni: e poi mi lanciavo a valle, con le ultime luci, eb-bro dello spettacolo vissuto. E i miei sci mi portavanoveloci, si lasciavano guidare con insolita facilità, a lar-ghe curve, a piccoli cristiania, aderendo alle modulazio-ni del terreno, con un ritmo di danza agile e leggera,quasi sfiorando le morbide chine, che appena serbavanoil segno sottile e preciso del mio passaggio. Mi sembra-va di aver improvvisamente imparato a sciare, che per laprima volta io sapessi godere dell'eleganza di questadanza di gioia.Era l'ultima gita: salii al Sella con un ritmo cadenzato eveloce, che in breve mi faceva conquistar l'altezza: nellafulgida mattinata di sole, la neve brillava in miriadi dicristalli e le mie crode ridevano e cantavano rossigne,già nette nella loro verticalità e calde di sole: lo spigolo

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corgevo di soffrire: non sapevo pigliarla come una di-sgrazia: ero così felice nell'immensità di quel candore dinevi e nell'azzurro del cielo. L'accidente per se stesso mipareva un fatterello insignificante, che per me in quelmomento aveva il solo valore di darmi un godimento in-finito, un'estasi di elevazione mistica o sovrumana.Sulla cima delle Mésules, ho trascorso due ore sublimi:sono volate come in un sogno, ma forse ancor oggi nonso rendermi conto della vera realtà.Da alcuni giorni vagavo da solo per monti e per valichi,nell'ebbrezza di un sole fulgido e di un orizzonte sconfi-nato e limpidissimo. Mi fermavo in alto, sulla CimaBocche, sulla Marmolada, per attendere il tramonto ches'infiammava di una stupenda sinfonia di luci e di colo-razioni: e poi mi lanciavo a valle, con le ultime luci, eb-bro dello spettacolo vissuto. E i miei sci mi portavanoveloci, si lasciavano guidare con insolita facilità, a lar-ghe curve, a piccoli cristiania, aderendo alle modulazio-ni del terreno, con un ritmo di danza agile e leggera,quasi sfiorando le morbide chine, che appena serbavanoil segno sottile e preciso del mio passaggio. Mi sembra-va di aver improvvisamente imparato a sciare, che per laprima volta io sapessi godere dell'eleganza di questadanza di gioia.Era l'ultima gita: salii al Sella con un ritmo cadenzato eveloce, che in breve mi faceva conquistar l'altezza: nellafulgida mattinata di sole, la neve brillava in miriadi dicristalli e le mie crode ridevano e cantavano rossigne,già nette nella loro verticalità e calde di sole: lo spigolo

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della Torre de Proces si ergeva giallo e affilato, con unoslancio architettonico e audace, ma armonico. Mi guar-davo d'attorno e continuamente esclamavo: «chebello!». Quasi non potevo contenere la mia gioia. Lelunghe comitive svoltavano verso il Boè: file di puntinineri, minuscoli, che si snodavano a serpentine nel candi-do vallone. Ma io ero solo e la Natura cantava tutta perme. Ecco, dalla vetta delle Mésules essa si dispiega contutta la sua infinita ricchezza. Il vasto altipiano immaco-lato nel suo candore, sostenuto da alte mura, solcato daprofondi e selvaggi valloni, ha perduto la sua cruda du-rezza: la neve ammorbidisce la severità del paesaggio,crea uno sfolgorio di riflessi, di controluci e di penom-bre, quasi un magico gioco di incanto. E lontano, montie catene, si succedono a perdita d'occhio, quasi svapo-rando soffusi in un ondeggiare di veli azzurrini.Ed io, solo sulla vetta, dominavo tanta infinita bellezza,che avevo conquistato col mio passo che non conoscevaostacolo.Non un ostacolo mi ha fermato: sul piano, mentre vaga-vo quasi senza sapere verso dove, ho inciampato, misono abbattuto, senza potermi rialzare. In un istante tut-to era cambiato: non ero più il dominatore ritto sullavetta a spaziare sull'immenso orizzonte che si stendevaai suoi piedi: ora ero io stesso parte di questo incantosublime: sdraiato sul lento declivio, impotente, mi senti-vo quasi incorporato e partecipe del grande mistero, chea me si rivelava, a me che avevo saputo rendermene de-gno, non solo con l'ascesa trionfale delle ore precedenti,

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della Torre de Proces si ergeva giallo e affilato, con unoslancio architettonico e audace, ma armonico. Mi guar-davo d'attorno e continuamente esclamavo: «chebello!». Quasi non potevo contenere la mia gioia. Lelunghe comitive svoltavano verso il Boè: file di puntinineri, minuscoli, che si snodavano a serpentine nel candi-do vallone. Ma io ero solo e la Natura cantava tutta perme. Ecco, dalla vetta delle Mésules essa si dispiega contutta la sua infinita ricchezza. Il vasto altipiano immaco-lato nel suo candore, sostenuto da alte mura, solcato daprofondi e selvaggi valloni, ha perduto la sua cruda du-rezza: la neve ammorbidisce la severità del paesaggio,crea uno sfolgorio di riflessi, di controluci e di penom-bre, quasi un magico gioco di incanto. E lontano, montie catene, si succedono a perdita d'occhio, quasi svapo-rando soffusi in un ondeggiare di veli azzurrini.Ed io, solo sulla vetta, dominavo tanta infinita bellezza,che avevo conquistato col mio passo che non conoscevaostacolo.Non un ostacolo mi ha fermato: sul piano, mentre vaga-vo quasi senza sapere verso dove, ho inciampato, misono abbattuto, senza potermi rialzare. In un istante tut-to era cambiato: non ero più il dominatore ritto sullavetta a spaziare sull'immenso orizzonte che si stendevaai suoi piedi: ora ero io stesso parte di questo incantosublime: sdraiato sul lento declivio, impotente, mi senti-vo quasi incorporato e partecipe del grande mistero, chea me si rivelava, a me che avevo saputo rendermene de-gno, non solo con l'ascesa trionfale delle ore precedenti,

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ma soprattutto col sacrificio di me stesso, con l'annulla-mento di tutta la mia potenza di dominio. La mia poten-za terrena fisica e morale, s'era trasumanata in parteci-pazione e comprensione dell'eterno.Il signore austriaco accorso a soccorrermi, si allontanarapido in cerca di aiuto: un minuscolo cosino che scivo-la via sulla pista sottile ch'io avevo tracciato, e scompa-re. L'immensità bianca si ricompone nel suo silenziouniforme. Io sono gettato a terra, supino, impotente, an-nullato. La Natura dopo il piccolo dramma svoltosi inquel suo lembo estremo, riprende incontrastata il suodominio, il canto del suo silenzio, la vita delle sue roccee delle sue nevi inanimate. Estasi. Mi sentivo ormai spo-glio della mia personalità umana, chiamato partecipe diuna visione superiore. Pareva che quelle nevi che brilla-vano di mille luci cristalline e soffuse, danzassero soffi-ci e leggere, glorificando lo splendore del sole, fonte su-prema di ogni vita. Come aveva potuto uno spettacoloche è di tutti i giorni, aver assunto a un tratto per mequel valore supremo? «Souvenez-vous... de le commen-cement du monde – Ces choses n'attendaient qu'un peud'amour» (Samivel). La comprensione è amore, e l'amo-re è sacrificio e annullamento di se stesso. La massimaaspirazione dell'uomo è nell'ascesa, nella conquista, neldominio: tanto più l'ascesa è alta, tanto più la conquistaè spoglia da oggettività materiale: l'alpinismo è puroideale. Quando l'uomo arriva a saper lottare e a dedicaretutto se stesso a un puro ideale, potrà essere eroe. Maanche l'eroe che abbia tutto conquistato, ancor non può

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ma soprattutto col sacrificio di me stesso, con l'annulla-mento di tutta la mia potenza di dominio. La mia poten-za terrena fisica e morale, s'era trasumanata in parteci-pazione e comprensione dell'eterno.Il signore austriaco accorso a soccorrermi, si allontanarapido in cerca di aiuto: un minuscolo cosino che scivo-la via sulla pista sottile ch'io avevo tracciato, e scompa-re. L'immensità bianca si ricompone nel suo silenziouniforme. Io sono gettato a terra, supino, impotente, an-nullato. La Natura dopo il piccolo dramma svoltosi inquel suo lembo estremo, riprende incontrastata il suodominio, il canto del suo silenzio, la vita delle sue roccee delle sue nevi inanimate. Estasi. Mi sentivo ormai spo-glio della mia personalità umana, chiamato partecipe diuna visione superiore. Pareva che quelle nevi che brilla-vano di mille luci cristalline e soffuse, danzassero soffi-ci e leggere, glorificando lo splendore del sole, fonte su-prema di ogni vita. Come aveva potuto uno spettacoloche è di tutti i giorni, aver assunto a un tratto per mequel valore supremo? «Souvenez-vous... de le commen-cement du monde – Ces choses n'attendaient qu'un peud'amour» (Samivel). La comprensione è amore, e l'amo-re è sacrificio e annullamento di se stesso. La massimaaspirazione dell'uomo è nell'ascesa, nella conquista, neldominio: tanto più l'ascesa è alta, tanto più la conquistaè spoglia da oggettività materiale: l'alpinismo è puroideale. Quando l'uomo arriva a saper lottare e a dedicaretutto se stesso a un puro ideale, potrà essere eroe. Maanche l'eroe che abbia tutto conquistato, ancor non può

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svellersi dal suo terreno di conquista, dopo aver tuttodominato, deve dominare anche se stesso: e dominarsifino all'annientamento. Non essere più nulla di tuttoquello che si è stati: gettarsi a terra soli, supini, impoten-ti. Allora ci si accorge che tutto quel dominio non erache un'illusione, che aveva soltanto servito all'ascesa;che l'infinito è ben più vasto di quanto si possa stringerenel proprio piccolo pugno; che la Natura, che abbiamcreduto di poter assoggettare, ci sommerge indifferente,come una pagliuzza sull'onda dell'oceano. Solo così, inuno stato di annientamento totale, abbandonati inertinell'immensità del creato, solo così possiamo vivere diillusioni, ed elevarci almeno un istante verso una sferapiù alta, senza orizzonti, in una visione mistica di eternaluce e felicità.Due ore rimasi in cima alle Mésules in attesa dei soccor-si: così mi dissero: per me fu un sogno, un'estasi, il cuiricordo è solo una vivissima luce, come la suprema vi-sione dantesca: due ore di luce e di felicità, che non han-no e probabilmente non avranno parallelo nella mia vita.Mentre mi trasportavano a valle, stentavo a frenarel'esuberanza della mia felicità; forse mi avranno credutoeccitato: certamente ero ebbro.La frattura? Mi sembrava un episodio tanto banale difronte alla grandezza della mia avventura, che non riu-scivo neppure a prenderla in seria considerazione. Equando gli amici mi vennero incontro con faccia mestaa farmi le condoglianze, ridevo che loro pigliassero tan-to sul serio questo accidente così qualunque. Ancor oggi

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svellersi dal suo terreno di conquista, dopo aver tuttodominato, deve dominare anche se stesso: e dominarsifino all'annientamento. Non essere più nulla di tuttoquello che si è stati: gettarsi a terra soli, supini, impoten-ti. Allora ci si accorge che tutto quel dominio non erache un'illusione, che aveva soltanto servito all'ascesa;che l'infinito è ben più vasto di quanto si possa stringerenel proprio piccolo pugno; che la Natura, che abbiamcreduto di poter assoggettare, ci sommerge indifferente,come una pagliuzza sull'onda dell'oceano. Solo così, inuno stato di annientamento totale, abbandonati inertinell'immensità del creato, solo così possiamo vivere diillusioni, ed elevarci almeno un istante verso una sferapiù alta, senza orizzonti, in una visione mistica di eternaluce e felicità.Due ore rimasi in cima alle Mésules in attesa dei soccor-si: così mi dissero: per me fu un sogno, un'estasi, il cuiricordo è solo una vivissima luce, come la suprema vi-sione dantesca: due ore di luce e di felicità, che non han-no e probabilmente non avranno parallelo nella mia vita.Mentre mi trasportavano a valle, stentavo a frenarel'esuberanza della mia felicità; forse mi avranno credutoeccitato: certamente ero ebbro.La frattura? Mi sembrava un episodio tanto banale difronte alla grandezza della mia avventura, che non riu-scivo neppure a prenderla in seria considerazione. Equando gli amici mi vennero incontro con faccia mestaa farmi le condoglianze, ridevo che loro pigliassero tan-to sul serio questo accidente così qualunque. Ancor oggi

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non so capacitarmi come gli altri prendano tanto sul tra-gico una cosa in cui per me non c'è altro che serenità. Equesta serenità è una tal conquista, che mi aiuterà a sop-primere senza tristezza e senza nostalgia il lungo perio-do di sofferenze e di rinunce che mi attende.

Perché? Mi son chiesto subito; perché mi capita qualchecosa che mi va male? Come non ho saputo evitarlo? Maè proprio un male, questo? L'ho preso proprio come unacircostanza, come il cattivo tempo improvviso, che mivieta di compiere un'ascensione progettata; non so indi-spettirmene, perché so che prima o poi riconosco la cau-sa dell'impedimento, e trovo che è stato un bene, unafortuna. Anche questa frattura, come qualsiasi altro con-trattempo mi è parso soltanto una circostanza che mitratteneva da qualche cosa che non dovevo fare. E tantopiù la debbo pigliare come la manifestazione di una vo-lontà regolatrice superiore, date le circostanze veramen-te straordinarie in cui è avvenuta: il pendio era quasipianeggiante, procedevo a velocità moderatissima, soncaduto nel modo più banale e più innocuo: cento e centovolte in ogni giornata di sci, faccio cadute di gran lungapiù pericolose: eppure mi son fratturato in modo cosìgrave e complesso. D'altra parte era l'ultima giornatache mi rimaneva per completare i miei itinerari sciisticie quindi l'accidente in nulla incide nel mio lavoro: ho gi-rato per intere settimane sempre solo, senza incontrareanima viva, e proprio nel momento che son caduto ave-vo a pochi metri da me un signore austriaco, con cui

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non so capacitarmi come gli altri prendano tanto sul tra-gico una cosa in cui per me non c'è altro che serenità. Equesta serenità è una tal conquista, che mi aiuterà a sop-primere senza tristezza e senza nostalgia il lungo perio-do di sofferenze e di rinunce che mi attende.

Perché? Mi son chiesto subito; perché mi capita qualchecosa che mi va male? Come non ho saputo evitarlo? Maè proprio un male, questo? L'ho preso proprio come unacircostanza, come il cattivo tempo improvviso, che mivieta di compiere un'ascensione progettata; non so indi-spettirmene, perché so che prima o poi riconosco la cau-sa dell'impedimento, e trovo che è stato un bene, unafortuna. Anche questa frattura, come qualsiasi altro con-trattempo mi è parso soltanto una circostanza che mitratteneva da qualche cosa che non dovevo fare. E tantopiù la debbo pigliare come la manifestazione di una vo-lontà regolatrice superiore, date le circostanze veramen-te straordinarie in cui è avvenuta: il pendio era quasipianeggiante, procedevo a velocità moderatissima, soncaduto nel modo più banale e più innocuo: cento e centovolte in ogni giornata di sci, faccio cadute di gran lungapiù pericolose: eppure mi son fratturato in modo cosìgrave e complesso. D'altra parte era l'ultima giornatache mi rimaneva per completare i miei itinerari sciisticie quindi l'accidente in nulla incide nel mio lavoro: ho gi-rato per intere settimane sempre solo, senza incontrareanima viva, e proprio nel momento che son caduto ave-vo a pochi metri da me un signore austriaco, con cui

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avevo appena finito di meravigliarmi di trovarci in duein un luogo dove generalmente non si incontra mai nes-suno; il signore era apparso improvvisamente pochi mi-nuti prima, senza ch'io fossi riuscito a capire di dovesbucasse, dato che non avevo visto nessuno seguire lamia pista: ed altrettanto misteriosamente è scomparsoappena terminata la sua opera di soccorso, senza ch'io lopotessi salutare né ringraziare, né sapere chi era. E an-cora queste circostanze fortunate: le comitive che appa-rivano numerose al Boè, con le guide di Corvara, pro-prio al momento che vi arrivava l'Austriaco in cerca diaiuto; il piede che dopo un inizio di congelamento nellaprima mezz'ora dopo la frattura, ha ripreso da sé la cir-colazione: la giornata calda di sole e senza vento: la di-scesa rapida, facile e senza scosse, incontrando su ognipendio, a detta dei portatori stessi, la neve più adatta peril trasporto, ora molle per frenare sulle chine ripide, oraghiacciata per scivolare sui piani. Tutta una serie di pic-coli episodi, di circostanze fortunate, di incontri casuali,ecc. che farebbero pensare a un'ottima organizzazione,se non fossero invece ancora una volta la manifestazio-ne di una precisa volontà, che precorre ed è di gran lun-ga più forte dell'essere stesso che la possiede. Non hoavuto un solo attimo di inquietudine, quantunque nonsapessi come avrei potuto discendere la lunga valle chemi separava dal più prossimo abitato; sapevo che tuttodoveva andare per il meglio e non pensavo neppure alcome: non sapevo condividere in alcun modo l'inquietu-dine di coloro che mi accompagnavano e dovevo essere

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avevo appena finito di meravigliarmi di trovarci in duein un luogo dove generalmente non si incontra mai nes-suno; il signore era apparso improvvisamente pochi mi-nuti prima, senza ch'io fossi riuscito a capire di dovesbucasse, dato che non avevo visto nessuno seguire lamia pista: ed altrettanto misteriosamente è scomparsoappena terminata la sua opera di soccorso, senza ch'io lopotessi salutare né ringraziare, né sapere chi era. E an-cora queste circostanze fortunate: le comitive che appa-rivano numerose al Boè, con le guide di Corvara, pro-prio al momento che vi arrivava l'Austriaco in cerca diaiuto; il piede che dopo un inizio di congelamento nellaprima mezz'ora dopo la frattura, ha ripreso da sé la cir-colazione: la giornata calda di sole e senza vento: la di-scesa rapida, facile e senza scosse, incontrando su ognipendio, a detta dei portatori stessi, la neve più adatta peril trasporto, ora molle per frenare sulle chine ripide, oraghiacciata per scivolare sui piani. Tutta una serie di pic-coli episodi, di circostanze fortunate, di incontri casuali,ecc. che farebbero pensare a un'ottima organizzazione,se non fossero invece ancora una volta la manifestazio-ne di una precisa volontà, che precorre ed è di gran lun-ga più forte dell'essere stesso che la possiede. Non hoavuto un solo attimo di inquietudine, quantunque nonsapessi come avrei potuto discendere la lunga valle chemi separava dal più prossimo abitato; sapevo che tuttodoveva andare per il meglio e non pensavo neppure alcome: non sapevo condividere in alcun modo l'inquietu-dine di coloro che mi accompagnavano e dovevo essere

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io a calmarli. Poi li lasciavo fare e mi perdevo a contem-plare la marea di vette accavallantisi che si perdevanonell'infinito orizzonte.

28 marzo. C'è tanta gente che si domanda: cos'ho fattoper meritare tanti dolori, tante disgrazie? Cos'ho fattoper essere così infelice? E io mi domando: cos'ho fattoper esser così felice? Non so proprio perché qui, in unletto di ospedale, con una gamba rotta, io debba essereancora così esuberante di felicità; è bastato un tramontoluminoso dopo una giornata grigia a rendermi matto dal-la gioia. La mia felicità in certi momenti è addiritturaspudorata! È ancora forse un residuo dell'ebbrezza delleMésules 10 giorni fa?Le poète vainqueur! Sì, mi piace questo nuovo appella-tivo e me lo approprio.

1° aprile. Dal letto dell'ospedale con la finestra apertaverso i tramonti che illuminano lontano la pianura, allapoltrona in giardino a ubbriacarmi dalla mattina allasera del sole vivificante della primavera, e ora al prato,tra l'erba fresca nascente, fragrante di fiori e di erbeodorose, con gli alberi che di giorno in giorno sboccianocome d'incanto le loro fioriture, vivo la primavera ab-bandonandomi perdutamente al suo incanto. Non sonquasi più capace di lavorare attivamente; questa è unapausa di riposo e di attesa e mi piace lasciarmi perderecosì, senza programmi e senza tempo, vivendo di ora inora tutto quello che la primavera mi sa donare. Depuis

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io a calmarli. Poi li lasciavo fare e mi perdevo a contem-plare la marea di vette accavallantisi che si perdevanonell'infinito orizzonte.

28 marzo. C'è tanta gente che si domanda: cos'ho fattoper meritare tanti dolori, tante disgrazie? Cos'ho fattoper essere così infelice? E io mi domando: cos'ho fattoper esser così felice? Non so proprio perché qui, in unletto di ospedale, con una gamba rotta, io debba essereancora così esuberante di felicità; è bastato un tramontoluminoso dopo una giornata grigia a rendermi matto dal-la gioia. La mia felicità in certi momenti è addiritturaspudorata! È ancora forse un residuo dell'ebbrezza delleMésules 10 giorni fa?Le poète vainqueur! Sì, mi piace questo nuovo appella-tivo e me lo approprio.

1° aprile. Dal letto dell'ospedale con la finestra apertaverso i tramonti che illuminano lontano la pianura, allapoltrona in giardino a ubbriacarmi dalla mattina allasera del sole vivificante della primavera, e ora al prato,tra l'erba fresca nascente, fragrante di fiori e di erbeodorose, con gli alberi che di giorno in giorno sboccianocome d'incanto le loro fioriture, vivo la primavera ab-bandonandomi perdutamente al suo incanto. Non sonquasi più capace di lavorare attivamente; questa è unapausa di riposo e di attesa e mi piace lasciarmi perderecosì, senza programmi e senza tempo, vivendo di ora inora tutto quello che la primavera mi sa donare. Depuis

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le commencement du monde ces choses n'attendaientqu'un peu d'amour. Oh, quanto amore!

18 maggio. Attendevo la giornata d'oggi con una certaimpazienza. Mi era stato promesso che avrei potuto to-gliere il gesso dalla gamba, e mi pareva che mi andassecosì bene, perché contavo che ai primi di luglio avreipotuto riprendere la mia vita in montagna e godermi an-cora il meglio dell'estate. Invece oggi mi sento dire checi vogliono ancora 20 giorni. Così di 20 giorni in 20giorni, passano i mesi. Sarei ingiusto a lamentarmi orapoiché questa volta dopo 2 mesi sono, spero, alla fase fi-nale, ma questa volta ho anche più impazienza, poichévado incontro all'estate.Oggi mi son sentito annunciare almeno altri 20 giorni digesso e tutt'estate di cure senza poter andare in monta-gna. Questo non lo credo: troppo mi peserebbe un'estateperduta e inattiva, perché ho troppo bisogno delle miemontagne, perché prima o poi voglio riprendere a tutti icosti la mia attività. Questa non è una speranza, ma unadecisione; una decisione che mi impegna, che saprò vo-lere e realizzare. Questa ferma volontà mi impedisce diprecipitare.

22 maggio. Ma in questo diario c'è tanta ricchezza etanta forza di vita, che mi basta leggerne qualche pagi-na, per ritrovare tutto me stesso e la freschezza dellamia vita.

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le commencement du monde ces choses n'attendaientqu'un peu d'amour. Oh, quanto amore!

18 maggio. Attendevo la giornata d'oggi con una certaimpazienza. Mi era stato promesso che avrei potuto to-gliere il gesso dalla gamba, e mi pareva che mi andassecosì bene, perché contavo che ai primi di luglio avreipotuto riprendere la mia vita in montagna e godermi an-cora il meglio dell'estate. Invece oggi mi sento dire checi vogliono ancora 20 giorni. Così di 20 giorni in 20giorni, passano i mesi. Sarei ingiusto a lamentarmi orapoiché questa volta dopo 2 mesi sono, spero, alla fase fi-nale, ma questa volta ho anche più impazienza, poichévado incontro all'estate.Oggi mi son sentito annunciare almeno altri 20 giorni digesso e tutt'estate di cure senza poter andare in monta-gna. Questo non lo credo: troppo mi peserebbe un'estateperduta e inattiva, perché ho troppo bisogno delle miemontagne, perché prima o poi voglio riprendere a tutti icosti la mia attività. Questa non è una speranza, ma unadecisione; una decisione che mi impegna, che saprò vo-lere e realizzare. Questa ferma volontà mi impedisce diprecipitare.

22 maggio. Ma in questo diario c'è tanta ricchezza etanta forza di vita, che mi basta leggerne qualche pagi-na, per ritrovare tutto me stesso e la freschezza dellamia vita.

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17 giugno. Domenica, quando vedevo che ormai cam-minavo senza appoggi, mi son detto anche questa è fini-ta. E l'ho detto sentendo in me una freschezza di rinasci-ta e una fierezza di essermi saputo imporre in queste duesettimane un regime severo e senza concessioni, che mihanno permesso un rapido e decisivo progresso. L'indo-mani infatti Fiorini mi ha tolto il gesso e oggi camminogià col solo bastone: chissà che alla data fissatami del30 giugno possa effettivamente riprendere la mia attivi-tà. La gamba mi è rimasta un paio di cm più corta, perl'asineria del chirurgo, che invece di vantarsi tanto dellaperfezione della sua riduzione, poteva degnarsi di pren-dere un centimetro ed evitare una così forte imperfezio-ne. Ma a me in fondo che importa? A me basta che miregga con l'usata saldezza, che mi sappia ancora portarlontano, che mi restituisca la piena indipendenza di mestesso e la libertà delle mie azioni: e la data del 30 giu-gno, con la liberazione dal gesso, segna la conquista de-finitiva verso questa meta.Non so neppur pensare che l'anno scorso a quest'ora erogià da lungo tempo sulle crode e non so neppur pensar-mi in croda ora con questo senso così profondo dellamia impotenza fisica. Ho bisogno quindi di riconquista-re me stesso per ritrovare l'aria, la luce, il sole delle cro-de e tutta la mia vita.Vorrei che la mia prima passeggiata potesse essere alleMésules, quasi un pellegrinaggio di gratitudine e di de-vozione; vorrei esser solo e cercar di ritrovare e di rivi-vere almeno un istante di quella grande luce!

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17 giugno. Domenica, quando vedevo che ormai cam-minavo senza appoggi, mi son detto anche questa è fini-ta. E l'ho detto sentendo in me una freschezza di rinasci-ta e una fierezza di essermi saputo imporre in queste duesettimane un regime severo e senza concessioni, che mihanno permesso un rapido e decisivo progresso. L'indo-mani infatti Fiorini mi ha tolto il gesso e oggi camminogià col solo bastone: chissà che alla data fissatami del30 giugno possa effettivamente riprendere la mia attivi-tà. La gamba mi è rimasta un paio di cm più corta, perl'asineria del chirurgo, che invece di vantarsi tanto dellaperfezione della sua riduzione, poteva degnarsi di pren-dere un centimetro ed evitare una così forte imperfezio-ne. Ma a me in fondo che importa? A me basta che miregga con l'usata saldezza, che mi sappia ancora portarlontano, che mi restituisca la piena indipendenza di mestesso e la libertà delle mie azioni: e la data del 30 giu-gno, con la liberazione dal gesso, segna la conquista de-finitiva verso questa meta.Non so neppur pensare che l'anno scorso a quest'ora erogià da lungo tempo sulle crode e non so neppur pensar-mi in croda ora con questo senso così profondo dellamia impotenza fisica. Ho bisogno quindi di riconquista-re me stesso per ritrovare l'aria, la luce, il sole delle cro-de e tutta la mia vita.Vorrei che la mia prima passeggiata potesse essere alleMésules, quasi un pellegrinaggio di gratitudine e di de-vozione; vorrei esser solo e cercar di ritrovare e di rivi-vere almeno un istante di quella grande luce!

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8 luglio, Canazei. Mi desto nel treno: l'Adige come unnastro d'argento riflette le prime luci dell'alba: di frontele alte pareti del Canal d'Adige: verticalità: un fremito divita: mi par di ritrovarmi. In corriera nel mattino terso etrasparente respiro già il profumo dei boschi e delle cro-de. Le guglie del Latemar, gli strapiombi della Roda diVael, il Cimon della Pala, e poi la Marmolada: ancorabianca di neve: sulla parete sudovest ritrovo le ben notearticolazioni. E poi il Vernel, ancora chiazzato di neve:mi par più bello di ogni altra volta, mi par di accorgermiper la prima volta quanto è bello. Fassa, Canazei, i mieimonti, la mia gente: quanto tempo, e che gioia ritrovar-mici. L'aria stessa mi vivifica: scendendo dalla corrierami par quasi di sentirmi più solido in gamba, nonostantela notte passata in treno, quasi che un paio d'ore d'ariapura già avessero avuto effetto sul mio fisico.Non so star fermo: già me ne vado su per la val Mortizfino al laghetto: per strade, per sentieri, per prati, saltan-do ruscelli: mi par di sentirmi così bene! Ma lo sconto:per due giorni mi duole di nuovo la gamba. Eppure quinon mi so più rassegnare all'ozio o al lavoro al tavolo:sono impaziente e insofferente; la smania di azione, diriprendere interamente la mia indipendenza e le miepossibilità. Bisogna, bisogna far presto: le crode michiamano e io voglio correre.

26 luglio, Milano. Ma anche a Canazei, dopo i primigiorni di felicità, la monotonia della vita senza azionemi ammorbava. Cercavo l'avventura in lunghe passeg-

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8 luglio, Canazei. Mi desto nel treno: l'Adige come unnastro d'argento riflette le prime luci dell'alba: di frontele alte pareti del Canal d'Adige: verticalità: un fremito divita: mi par di ritrovarmi. In corriera nel mattino terso etrasparente respiro già il profumo dei boschi e delle cro-de. Le guglie del Latemar, gli strapiombi della Roda diVael, il Cimon della Pala, e poi la Marmolada: ancorabianca di neve: sulla parete sudovest ritrovo le ben notearticolazioni. E poi il Vernel, ancora chiazzato di neve:mi par più bello di ogni altra volta, mi par di accorgermiper la prima volta quanto è bello. Fassa, Canazei, i mieimonti, la mia gente: quanto tempo, e che gioia ritrovar-mici. L'aria stessa mi vivifica: scendendo dalla corrierami par quasi di sentirmi più solido in gamba, nonostantela notte passata in treno, quasi che un paio d'ore d'ariapura già avessero avuto effetto sul mio fisico.Non so star fermo: già me ne vado su per la val Mortizfino al laghetto: per strade, per sentieri, per prati, saltan-do ruscelli: mi par di sentirmi così bene! Ma lo sconto:per due giorni mi duole di nuovo la gamba. Eppure quinon mi so più rassegnare all'ozio o al lavoro al tavolo:sono impaziente e insofferente; la smania di azione, diriprendere interamente la mia indipendenza e le miepossibilità. Bisogna, bisogna far presto: le crode michiamano e io voglio correre.

26 luglio, Milano. Ma anche a Canazei, dopo i primigiorni di felicità, la monotonia della vita senza azionemi ammorbava. Cercavo l'avventura in lunghe passeg-

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giate, giungendo fino al limite delle possibilità della miagamba: ma erano avventure senza gioia e senza eco. Ela mia gamba ne risentiva, mentre il progresso non mipareva mai abbastanza rapido per la mia smania di azio-ne.Tornando a Milano, mi son fermato in Gardena: son sa-lito per una giornata in Cisles con Vinatzer e con lui horitrovato tanta dolcezza e tanta vita, che guardando lebelle crode, già le sentivo vicine; e un desiderio di ritor-nare a loro, non per volontà di conquista, ma per volontàd'amore. Può darsi che la giornata delle Mésules abbiasegnato un mutamento nel mio senso alpinistico e chealle crode ritornerò ancora più spoglio e più puro diquanto sia stato finora: sarà forse qualche 6° grado dimeno, ma un bene ancora maggiore. E Battista lo sentosempre più vicino, e sempre più caro: e c'è in lui quellafierezza montanara, quella rettitudine e onestà moraleche è in Detassis, ma in lui v'è anche una sensibilità for-se non più acuta, ma più aperta ad esprimersi, una mag-gior levatura mentale e culturale, che rende in lui co-sciente e completo ciò che in Bruno è solo spunto inco-sciente e ingenuo. Quando sul suo tavolo da lavoro, ac-canto alle sculture fini ed eleganti ho visto libri di Tol-stoi e poesie di Goethe, ho ricordato Celso che nelle so-litudini dei rifugi, suonava sull'armonica i tempi di Sieg-fried. Ed anche il suo sorriso così chiaro, aperto e lumi-noso, mi ricorda molto quello di Celso. Bruno mi saràsempre il miglior compagno di corda, ma in Battistaspero di aver ritrovato l'amico che avevo perduto sulla

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giate, giungendo fino al limite delle possibilità della miagamba: ma erano avventure senza gioia e senza eco. Ela mia gamba ne risentiva, mentre il progresso non mipareva mai abbastanza rapido per la mia smania di azio-ne.Tornando a Milano, mi son fermato in Gardena: son sa-lito per una giornata in Cisles con Vinatzer e con lui horitrovato tanta dolcezza e tanta vita, che guardando lebelle crode, già le sentivo vicine; e un desiderio di ritor-nare a loro, non per volontà di conquista, ma per volontàd'amore. Può darsi che la giornata delle Mésules abbiasegnato un mutamento nel mio senso alpinistico e chealle crode ritornerò ancora più spoglio e più puro diquanto sia stato finora: sarà forse qualche 6° grado dimeno, ma un bene ancora maggiore. E Battista lo sentosempre più vicino, e sempre più caro: e c'è in lui quellafierezza montanara, quella rettitudine e onestà moraleche è in Detassis, ma in lui v'è anche una sensibilità for-se non più acuta, ma più aperta ad esprimersi, una mag-gior levatura mentale e culturale, che rende in lui co-sciente e completo ciò che in Bruno è solo spunto inco-sciente e ingenuo. Quando sul suo tavolo da lavoro, ac-canto alle sculture fini ed eleganti ho visto libri di Tol-stoi e poesie di Goethe, ho ricordato Celso che nelle so-litudini dei rifugi, suonava sull'armonica i tempi di Sieg-fried. Ed anche il suo sorriso così chiaro, aperto e lumi-noso, mi ricorda molto quello di Celso. Bruno mi saràsempre il miglior compagno di corda, ma in Battistaspero di aver ritrovato l'amico che avevo perduto sulla

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Paganella, che avevo pianto a Udine, che tanto bene miaveva dato e mi può ancora dare. Vorrei aver sempreBruno compagno di ogni mia più grande impresa, mavorrei aver Battista a dividere l'emozione dei bivacchisulla croda. Con Bruno mi sento solo, appoggiato a unacolonna fortissima: mi dà forza, ma con generosa dedi-zione, mi lascia esser solo nella mia lotta e nella miaconquista. Battista non saprebbe seguirmi così: con luidovrebbe essere reciproca dedizione, per raggiungerenella cordata quella fusione di anime e di volontà, comeera con Celso. Ho bisogno di Bruno per l'atto eroico,perché lascia tutta a me la nostra conquista; ma ho biso-gno di Battista per salire più in alto, fino all'altezza delleMésules.

La giornata passata in Cisles con Battista è stata per mericca come quella di una grande ascensione: in questoperiodo di assenza e di povertà, la sua vicinanza è statal'unica conquista. Non perché io abbia conquistato, népossa conquistare lui, ma perché il bene che vienedall'incontro e dalla comprensione intima di due anime,è un bene che non potrebbe esser pagato con alcuna ric-chezza.

15 agosto. Silvio: anche lui mi ha lasciato. Non potevocredere a una disgrazia a Silvio. Mi ha stupito, mi hapreso, mi ha serrato. Nella notte pensavo a un'altra notteinsonne passata con lui, quando ci parve che Steger conla salita della parete Preuss avesse violato il sacrificio di

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Paganella, che avevo pianto a Udine, che tanto bene miaveva dato e mi può ancora dare. Vorrei aver sempreBruno compagno di ogni mia più grande impresa, mavorrei aver Battista a dividere l'emozione dei bivacchisulla croda. Con Bruno mi sento solo, appoggiato a unacolonna fortissima: mi dà forza, ma con generosa dedi-zione, mi lascia esser solo nella mia lotta e nella miaconquista. Battista non saprebbe seguirmi così: con luidovrebbe essere reciproca dedizione, per raggiungerenella cordata quella fusione di anime e di volontà, comeera con Celso. Ho bisogno di Bruno per l'atto eroico,perché lascia tutta a me la nostra conquista; ma ho biso-gno di Battista per salire più in alto, fino all'altezza delleMésules.

La giornata passata in Cisles con Battista è stata per mericca come quella di una grande ascensione: in questoperiodo di assenza e di povertà, la sua vicinanza è statal'unica conquista. Non perché io abbia conquistato, népossa conquistare lui, ma perché il bene che vienedall'incontro e dalla comprensione intima di due anime,è un bene che non potrebbe esser pagato con alcuna ric-chezza.

15 agosto. Silvio: anche lui mi ha lasciato. Non potevocredere a una disgrazia a Silvio. Mi ha stupito, mi hapreso, mi ha serrato. Nella notte pensavo a un'altra notteinsonne passata con lui, quando ci parve che Steger conla salita della parete Preuss avesse violato il sacrificio di

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Prati e Bianchi. Pensavo all'incanto di altre notti passatecon lui sui monti, pensavo alla forza di risurrezione, chemi ha donato dopo la terribile crisi del 1927. Silvio,quanto l'ho sentito vicino allora e quanto bene mi hadato: è stato forse il primo amico ch'io abbia profonda-mente amato, con intensità di affetto, intimità di recipro-ca comprensione. Se poi lui ebbe ad allontanarsi da me,ciò non conta: per me Silvio, anche lontano, rimanevasempre quello che è stato negli anni di vicinanza.La notizia mi ossessionava, come un incubo: più ancorache commozione, mi dava un senso di abbattimento e diterrore. Volli reagire effettuando la mia prima arrampi-cata di stagione: ma un tema di morte mi accompagnavainsistente, come già quando salii la Paganella (Per ri-cordare l'amico Celso). Fu solo quando ci fermammo invetta a goderci un'ora di sole, che potei ritrovare il sensodella vita, della mia vita.Accanto a me era Battista e mai come in quel momentol'ho sentito così vicino. La vita è eterna: ciò che si di-strugge si ricrea, più fresco e più vivo: solo la pazza be-stialità degli uomini può distruggere un bene, non già lasaggezza del divenire e del rinnovarsi. Sulla tomba diCelso avevo ritrovato la commozione del pianto dopo laputrea aridità di Londra, e subito dopo ho trovato Brunoper ricostruire più solida di prima la mia cordata, per ri-prendere il mio cammino. Ora la commozione per lamorte di Silvio, mi ha dato un'affettività umana più pro-fonda, un bisogno di affetto, di comprensione e di soli-darietà: e ho trovato in Battista tutto quello che avevo

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Prati e Bianchi. Pensavo all'incanto di altre notti passatecon lui sui monti, pensavo alla forza di risurrezione, chemi ha donato dopo la terribile crisi del 1927. Silvio,quanto l'ho sentito vicino allora e quanto bene mi hadato: è stato forse il primo amico ch'io abbia profonda-mente amato, con intensità di affetto, intimità di recipro-ca comprensione. Se poi lui ebbe ad allontanarsi da me,ciò non conta: per me Silvio, anche lontano, rimanevasempre quello che è stato negli anni di vicinanza.La notizia mi ossessionava, come un incubo: più ancorache commozione, mi dava un senso di abbattimento e diterrore. Volli reagire effettuando la mia prima arrampi-cata di stagione: ma un tema di morte mi accompagnavainsistente, come già quando salii la Paganella (Per ri-cordare l'amico Celso). Fu solo quando ci fermammo invetta a goderci un'ora di sole, che potei ritrovare il sensodella vita, della mia vita.Accanto a me era Battista e mai come in quel momentol'ho sentito così vicino. La vita è eterna: ciò che si di-strugge si ricrea, più fresco e più vivo: solo la pazza be-stialità degli uomini può distruggere un bene, non già lasaggezza del divenire e del rinnovarsi. Sulla tomba diCelso avevo ritrovato la commozione del pianto dopo laputrea aridità di Londra, e subito dopo ho trovato Brunoper ricostruire più solida di prima la mia cordata, per ri-prendere il mio cammino. Ora la commozione per lamorte di Silvio, mi ha dato un'affettività umana più pro-fonda, un bisogno di affetto, di comprensione e di soli-darietà: e ho trovato in Battista tutto quello che avevo

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perduto, più ancora di quanto avevo perduto.

Ci ritrovammo su un prato al sole a giocare, a rotolarci,a far la lotta; come già un tempo facevo con Silvio. Nonv'è in lui la dedizione sottomessa e generosa di Bruno,ma l'eguaglianza, fatta di comprensione e di affetto,come con Silvio e con Celso. Non è solo il compagno dicordata prezioso come Bruno, ma è ben più l'amico, chemi può esser vicino e a cui posso esser vicino in ognievenienza. E l'amicizia si forma di reciproca dedizione.Raramente mi sono ingannato quando ho provato vivasimpatia al primo incontro con una persona: unica ecce-zione Hans Köllner. Ora anche con Battista son certo dinon essermi ingannato e son certo ch'egli rappresenteràd'ora innanzi una gran parte nella mia vita. E se anche lenostre strade dovessero distanziarsi, il bene che mi hadato in questi giorni la sua vicinanza, è già un solco suf-ficientemente profondo per non potersi cancellare.Perché tanto bene? In fondo così poco abbiamo avuto fi-nora in comune nella nostra vita vissuta: è solo il beneche deriva dall'incontro spontaneo, immediato di dueanime: un senso quindi di ricchezza, di vita, di appoggioe di solidarietà che può venire solo dall'amico.Nella donna si può trovare a volte un bene momentaneoanche più forte: ma non si sa mai distinguere fino a qualpunto in questo bene entri la sensualità. E troppo spessodopo l'atto, al bene subentra il disprezzo. Il bene di unamico è invece nella sua purezza, qualche cosa di moltopiù vero e più duraturo. Il bene per la donna è ciò che

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perduto, più ancora di quanto avevo perduto.

Ci ritrovammo su un prato al sole a giocare, a rotolarci,a far la lotta; come già un tempo facevo con Silvio. Nonv'è in lui la dedizione sottomessa e generosa di Bruno,ma l'eguaglianza, fatta di comprensione e di affetto,come con Silvio e con Celso. Non è solo il compagno dicordata prezioso come Bruno, ma è ben più l'amico, chemi può esser vicino e a cui posso esser vicino in ognievenienza. E l'amicizia si forma di reciproca dedizione.Raramente mi sono ingannato quando ho provato vivasimpatia al primo incontro con una persona: unica ecce-zione Hans Köllner. Ora anche con Battista son certo dinon essermi ingannato e son certo ch'egli rappresenteràd'ora innanzi una gran parte nella mia vita. E se anche lenostre strade dovessero distanziarsi, il bene che mi hadato in questi giorni la sua vicinanza, è già un solco suf-ficientemente profondo per non potersi cancellare.Perché tanto bene? In fondo così poco abbiamo avuto fi-nora in comune nella nostra vita vissuta: è solo il beneche deriva dall'incontro spontaneo, immediato di dueanime: un senso quindi di ricchezza, di vita, di appoggioe di solidarietà che può venire solo dall'amico.Nella donna si può trovare a volte un bene momentaneoanche più forte: ma non si sa mai distinguere fino a qualpunto in questo bene entri la sensualità. E troppo spessodopo l'atto, al bene subentra il disprezzo. Il bene di unamico è invece nella sua purezza, qualche cosa di moltopiù vero e più duraturo. Il bene per la donna è ciò che

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l'uomo ha in comune con tutti gli animali ed è solo unaconseguenza di una legge fisica: il bene per l'amico èciò che appartiene solo all'uomo e che lo eleva al di so-pra di ogni legge fisica, di ogni interesse e di ogni egoi-smo. Forse nessuna cosa come la montagna può crearequesto bene: solo l'unione nella più pura delle attivitàpuò creare il più puro degli affetti.

20 agosto. Resurrezione: la resurrezione morale dallafiacca apatia dei mesi di ozio, mi è stata data in granparte da Battista: la pronta riconquista delle mie possibi-lità fisiche non poteva essere che l'immediata conse-guenza della mia rinata capacità di volere, della rinno-vata volontà di azione e di potenza. A Battista avrei vo-luto poter donare la mia più bella ascensione: invece cisiamo legati sulle crode marce delle Odle, che hanno di-sgustato lui e me, senza interesse di arrampicata, mi haaiutato nei primi passi incerti, in cui alle minorate con-dizioni della mia gamba, si aggiungeva l'intorpidimentodi tutti i muscoli dopo 4 mesi di inazione. Ogni brevearrampicata esigeva giorni di riposo. Anche le piccolesalite con Fasana e Gelosa avevano il solo scopo di alle-namento, ma in discesa, già mi trovavo tutto sciolto edagile, già padrone del mio elemento, la croda, comel'uccello dell'aria. Ma la venuta di Vitale mi ha ridato lafiducia: ho ritrovato di colpo la mia potenza fisica e lagioia dell'arrampicata. Mentre gli altri anni mi ci volevaalmeno un mese per sentirmi a posto, ora alla terza sali-ta, affrontavo con perfetta sicurezza e padronanza dei

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l'uomo ha in comune con tutti gli animali ed è solo unaconseguenza di una legge fisica: il bene per l'amico èciò che appartiene solo all'uomo e che lo eleva al di so-pra di ogni legge fisica, di ogni interesse e di ogni egoi-smo. Forse nessuna cosa come la montagna può crearequesto bene: solo l'unione nella più pura delle attivitàpuò creare il più puro degli affetti.

20 agosto. Resurrezione: la resurrezione morale dallafiacca apatia dei mesi di ozio, mi è stata data in granparte da Battista: la pronta riconquista delle mie possibi-lità fisiche non poteva essere che l'immediata conse-guenza della mia rinata capacità di volere, della rinno-vata volontà di azione e di potenza. A Battista avrei vo-luto poter donare la mia più bella ascensione: invece cisiamo legati sulle crode marce delle Odle, che hanno di-sgustato lui e me, senza interesse di arrampicata, mi haaiutato nei primi passi incerti, in cui alle minorate con-dizioni della mia gamba, si aggiungeva l'intorpidimentodi tutti i muscoli dopo 4 mesi di inazione. Ogni brevearrampicata esigeva giorni di riposo. Anche le piccolesalite con Fasana e Gelosa avevano il solo scopo di alle-namento, ma in discesa, già mi trovavo tutto sciolto edagile, già padrone del mio elemento, la croda, comel'uccello dell'aria. Ma la venuta di Vitale mi ha ridato lafiducia: ho ritrovato di colpo la mia potenza fisica e lagioia dell'arrampicata. Mentre gli altri anni mi ci volevaalmeno un mese per sentirmi a posto, ora alla terza sali-ta, affrontavo con perfetta sicurezza e padronanza dei

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miei mezzi, una salita difficile qual'è la via Vinatzer alCiavazes.

29 agosto. Sono arrivato alla Marmolada, come se vifossi stato condotto per mano per una via piana e logicache portava alla base della parete. Il rapido allenamento,l'arrivo di Bruno, l'improvviso bel tempo, ogni più bana-le particolare, sembrava appositamente organizzato sen-za ch'io avessi fatto nulla per prepararlo. Avevo netta eviva la sensazione d'esser guidato quasi per forza d'iner-zia verso la mia meta, come un treno da un binario. Efino all'ultimo ho sperato che questo binario mi guidassefino in vetta. Invece ancora una volta sono ritornato:non vinto, ché dal punto raggiunto la via si apriva liberadavanti a me, ma sfinito dallo sforzo. Ho lottato conenergia e con tensione, come nei miei migliori momenti,come se nulla mi fosse accaduto negli ultimi mesi: hosuperato difficoltà così forti e così continuate, come innessun'altra mia ascensione: ma con calma, serenità euna tecnica ancor più raffinata: mai un momento la dif-ficoltà mi ha trovato esitante. Quello era il mio cammi-no e io lo seguivo. Ma capisco che ora non è più il senti-mento di lotta e di conquista che mi sospinge, ma unsentimento di amore. Forse lo spirito di conquista miavrebbe spinto ancora verso l'alto, malgrado il mio sfini-mento fisico: ma quando ho sentito che cominciavo asalire coi chiodi per non esser più capace di arrampica-re, ho sentito che così non era più possibile l'amore. Eson ritornato, per risalire un'altra volta. Amore per que-

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miei mezzi, una salita difficile qual'è la via Vinatzer alCiavazes.

29 agosto. Sono arrivato alla Marmolada, come se vifossi stato condotto per mano per una via piana e logicache portava alla base della parete. Il rapido allenamento,l'arrivo di Bruno, l'improvviso bel tempo, ogni più bana-le particolare, sembrava appositamente organizzato sen-za ch'io avessi fatto nulla per prepararlo. Avevo netta eviva la sensazione d'esser guidato quasi per forza d'iner-zia verso la mia meta, come un treno da un binario. Efino all'ultimo ho sperato che questo binario mi guidassefino in vetta. Invece ancora una volta sono ritornato:non vinto, ché dal punto raggiunto la via si apriva liberadavanti a me, ma sfinito dallo sforzo. Ho lottato conenergia e con tensione, come nei miei migliori momenti,come se nulla mi fosse accaduto negli ultimi mesi: hosuperato difficoltà così forti e così continuate, come innessun'altra mia ascensione: ma con calma, serenità euna tecnica ancor più raffinata: mai un momento la dif-ficoltà mi ha trovato esitante. Quello era il mio cammi-no e io lo seguivo. Ma capisco che ora non è più il senti-mento di lotta e di conquista che mi sospinge, ma unsentimento di amore. Forse lo spirito di conquista miavrebbe spinto ancora verso l'alto, malgrado il mio sfini-mento fisico: ma quando ho sentito che cominciavo asalire coi chiodi per non esser più capace di arrampica-re, ho sentito che così non era più possibile l'amore. Eson ritornato, per risalire un'altra volta. Amore per que-

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sta roccia formidabile, che mi ha già dato quattro giornie due notti di gioia, come nessun'altra montagna mi hadato. Non ho desiderio di conquistarla, ma desiderio diconoscerla metro per metro in ogni suo segreto, per piùpoterla amare. Forse quando sarò arrivato in vetta, saròfelice per un momento, ma mi sembrerà che mi manchiqualche cosa, dopo averla tutta conosciuta. Come unadonna, a cui si sia tolto anche l'ultimo velo, di cui non cisia più nulla da scoprire: dopo l'attimo di ebbrezza, si ri-mane freddi. Perché l'amore è soprattutto desiderio.Amo quella parete perché ha saputo negarmisi già tantevolte, unica tra le mie innumeri e forse troppo facili vit-torie: ed è bene che questa brama resti insaziata, peracuire fino allo spasimo la mia felicità.

Amore è desiderio: desiderio di conoscere. Conoscenzacarnale della donna, conoscenza d'anime nell'amico.L'amore si raffredda quando il desiderio è saziato, quan-do si ha tutto conosciuto. Ma mentre il desiderio carnalepresto s'accende e ancor più presto si spegne, subito efacilmente sazio, il desiderio verso un amico è assai piùduraturo, perché nei profondi segreti di un'anima vi èsempre qualche cosa di inconfessato, di non conosciutoe forse inconoscibile, che tien sempre desto il desiderio.Non che non sia possibile l'amicizia e una conoscenzad'anime anche con una donna: ma troppo spesso il desi-derio di lei si confonde col desiderio della sua carne el'amicizia è possibile solo quando si sia tanto superatoogni istinto, da poter dimenticare che è donna. È per

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sta roccia formidabile, che mi ha già dato quattro giornie due notti di gioia, come nessun'altra montagna mi hadato. Non ho desiderio di conquistarla, ma desiderio diconoscerla metro per metro in ogni suo segreto, per piùpoterla amare. Forse quando sarò arrivato in vetta, saròfelice per un momento, ma mi sembrerà che mi manchiqualche cosa, dopo averla tutta conosciuta. Come unadonna, a cui si sia tolto anche l'ultimo velo, di cui non cisia più nulla da scoprire: dopo l'attimo di ebbrezza, si ri-mane freddi. Perché l'amore è soprattutto desiderio.Amo quella parete perché ha saputo negarmisi già tantevolte, unica tra le mie innumeri e forse troppo facili vit-torie: ed è bene che questa brama resti insaziata, peracuire fino allo spasimo la mia felicità.

Amore è desiderio: desiderio di conoscere. Conoscenzacarnale della donna, conoscenza d'anime nell'amico.L'amore si raffredda quando il desiderio è saziato, quan-do si ha tutto conosciuto. Ma mentre il desiderio carnalepresto s'accende e ancor più presto si spegne, subito efacilmente sazio, il desiderio verso un amico è assai piùduraturo, perché nei profondi segreti di un'anima vi èsempre qualche cosa di inconfessato, di non conosciutoe forse inconoscibile, che tien sempre desto il desiderio.Non che non sia possibile l'amicizia e una conoscenzad'anime anche con una donna: ma troppo spesso il desi-derio di lei si confonde col desiderio della sua carne el'amicizia è possibile solo quando si sia tanto superatoogni istinto, da poter dimenticare che è donna. È per

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questo che l'esperienza femminile è sempre stata per mesolo una necessità fisica: ma, salvo qualche breve e fug-gevole illusione non mi ha mai dato un vero bene, comehanno saputo darmelo gli amici, quali Silvio, Celso, Vi-tale, Bruno ed ora Battista.

Dapprima un senso rabbioso di sdegno: sdegno contro lasleale condotta di Soldà, sdegno contro gli stupidi obbli-ghi che mi hanno condotto tra le vuote chiacchiere e ipettegolezzi (riunione del CAAI) proprio nelle giornatepiù favorevoli all'ascensione, sdegno contro Bruno, checon la sua condotta imprevidente è rimasto spossato piùancora di me: rabbia di aver osservato onestamentel'impegno verso persone, che non meritavano neppure la100a parte del mio sacrificio; rabbia di aver voluto esse-re fedele a Bruno, mentre con altri sarei quasi certamen-te riuscito. Ma perché tanto sdegno e tanta rabbia di es-ser stato onesto e di esser stato fedele a un amico? Larabbia della posta perduta, della sconfitta? No, non sa-rebbe degno di un alpinista. Onore al merito e al vinci-tore: ma anche questo mi riguarda poco. Non è in me larabbia del vinto, ma il dolore di un sogno svanito. Ciòche per due anni era stata la mia meta, a cui si indirizza-va ogni mio atto, quasi a preparazione della grande con-quista, a un tratto spariva. Mi trovai un attimo sbandato,senza più nulla davanti a me: mi pareva che, sparitaquella, nelle Alpi non ci fosse più alcuna montagna chemi interessasse e che mi potesse attirare. Quasi mi sem-brava una sciocchezza il pensare di arrampicare ancora,

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questo che l'esperienza femminile è sempre stata per mesolo una necessità fisica: ma, salvo qualche breve e fug-gevole illusione non mi ha mai dato un vero bene, comehanno saputo darmelo gli amici, quali Silvio, Celso, Vi-tale, Bruno ed ora Battista.

Dapprima un senso rabbioso di sdegno: sdegno contro lasleale condotta di Soldà, sdegno contro gli stupidi obbli-ghi che mi hanno condotto tra le vuote chiacchiere e ipettegolezzi (riunione del CAAI) proprio nelle giornatepiù favorevoli all'ascensione, sdegno contro Bruno, checon la sua condotta imprevidente è rimasto spossato piùancora di me: rabbia di aver osservato onestamentel'impegno verso persone, che non meritavano neppure la100a parte del mio sacrificio; rabbia di aver voluto esse-re fedele a Bruno, mentre con altri sarei quasi certamen-te riuscito. Ma perché tanto sdegno e tanta rabbia di es-ser stato onesto e di esser stato fedele a un amico? Larabbia della posta perduta, della sconfitta? No, non sa-rebbe degno di un alpinista. Onore al merito e al vinci-tore: ma anche questo mi riguarda poco. Non è in me larabbia del vinto, ma il dolore di un sogno svanito. Ciòche per due anni era stata la mia meta, a cui si indirizza-va ogni mio atto, quasi a preparazione della grande con-quista, a un tratto spariva. Mi trovai un attimo sbandato,senza più nulla davanti a me: mi pareva che, sparitaquella, nelle Alpi non ci fosse più alcuna montagna chemi interessasse e che mi potesse attirare. Quasi mi sem-brava una sciocchezza il pensare di arrampicare ancora,

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come un'attività senza scopo e senza meta. Per due annila Marmolada era stata in capo ad ogni mio pensiero,era divenuta quasi il simbolo della mia vita di alpinista,era l'oggetto di tutto il mio amore, intenso quanto il de-siderio verso quella croda, sempre negatami. Ora, im-provvisamente, non avevo più nulla.

In Battista, più l'avvicino, più ritrovo l'amico che avevoperduto in Celso: la stessa limpida serenità, la stessagioia della vita. La sera passata noi soli nella CapannaPunta Rocca è stata dolce per me e per lui, come le serepassate con Celso al Rifugio Padova chiuso, in novem-bre. A Battista ho potuto raccontare di me ciò che forsenon ho mai detto ad alcuno, ciò che è segnato solo suquesto diario: e in lui ho trovato sempre una compren-sione intima e profonda, quasi spontanea e ingenua, datapiù ancora che dall'intelligenza, dalla comunanza e affi-nità delle nostre anime e dei nostri ideali.

9 settembre. Ripresa di contatto con la vita di cultura:visita alla Triennale, letture, pianoforte. Come sempre lagioia di ritrovarmi al pianoforte. Ma mi è sembrato chel'arte, in quanto espressione, non sia altro che il mezzoper comunicare, per avvicinare, per comprendere perso-ne lontane nel tempo e nello spazio. L'arte può daremolto, ma è sempre un'intermediaria, che non può darmai quanto potrebbe dare l'avvicinare direttamente lapersona, che veniamo a conoscere solo attraverso la suaespressione.

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come un'attività senza scopo e senza meta. Per due annila Marmolada era stata in capo ad ogni mio pensiero,era divenuta quasi il simbolo della mia vita di alpinista,era l'oggetto di tutto il mio amore, intenso quanto il de-siderio verso quella croda, sempre negatami. Ora, im-provvisamente, non avevo più nulla.

In Battista, più l'avvicino, più ritrovo l'amico che avevoperduto in Celso: la stessa limpida serenità, la stessagioia della vita. La sera passata noi soli nella CapannaPunta Rocca è stata dolce per me e per lui, come le serepassate con Celso al Rifugio Padova chiuso, in novem-bre. A Battista ho potuto raccontare di me ciò che forsenon ho mai detto ad alcuno, ciò che è segnato solo suquesto diario: e in lui ho trovato sempre una compren-sione intima e profonda, quasi spontanea e ingenua, datapiù ancora che dall'intelligenza, dalla comunanza e affi-nità delle nostre anime e dei nostri ideali.

9 settembre. Ripresa di contatto con la vita di cultura:visita alla Triennale, letture, pianoforte. Come sempre lagioia di ritrovarmi al pianoforte. Ma mi è sembrato chel'arte, in quanto espressione, non sia altro che il mezzoper comunicare, per avvicinare, per comprendere perso-ne lontane nel tempo e nello spazio. L'arte può daremolto, ma è sempre un'intermediaria, che non può darmai quanto potrebbe dare l'avvicinare direttamente lapersona, che veniamo a conoscere solo attraverso la suaespressione.

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Anche l'arte quindi ha funzione eminentemente umana;di avvicinamento, di solidarietà, di reciproca compren-sione.

13 settembre. Gita in val Maira con Bonacossa, Vitale eBozzoli. Disgusto della compagnia cittadina e borghese,nausea del pettegolezzo stupido e piccino. Nausea tantopiù forte, quanto più mi era vicina la pura idealità deimontanari ladini, e la sera passata con Battista al Rifu-gio Punta Rocca. Due ascensioni difficili e chiodate,senza gioia, ma strappate per il solo scopo della difficol-tà, non sono state certo quello che ci voleva per ritrova-re in me la gioia trionfante del capocordata dopo la ri-nuncia della Marmolada, ma mi hanno fatto ritrovareanche in me e nella mia attività alpinistica il pettegolez-zo, la polemica e il senso odioso della gara, che, anchese vinta, non è perciò meno riprovevole. Il fatto che ar-rampicavo per altri, che compivo ascensioni quasi perincarico, non è una scusa sufficiente, perch'io, che avevovissuto le giornate delle Mésules e della Marmolada, mivendessi al pettegolezzo e alla gara e vendessi a suon dichiodi e moschettoni le mie arrampicate.Nella mia attività alpinistica di quest'anno non c'è altroche sbandamento: perduto forse per sempre lo spiritovittorioso e ingenuo di Siegfried, sto ancora cercando inme il punto d'orientamento, che guidi la mia attività, ilsenso vero che anima la mia passione. Forse in qualchemomento ho potuto elevarmi verso la contemplazionemistica di Parsifal e verso l'amore eterno: ma le salite

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Anche l'arte quindi ha funzione eminentemente umana;di avvicinamento, di solidarietà, di reciproca compren-sione.

13 settembre. Gita in val Maira con Bonacossa, Vitale eBozzoli. Disgusto della compagnia cittadina e borghese,nausea del pettegolezzo stupido e piccino. Nausea tantopiù forte, quanto più mi era vicina la pura idealità deimontanari ladini, e la sera passata con Battista al Rifu-gio Punta Rocca. Due ascensioni difficili e chiodate,senza gioia, ma strappate per il solo scopo della difficol-tà, non sono state certo quello che ci voleva per ritrova-re in me la gioia trionfante del capocordata dopo la ri-nuncia della Marmolada, ma mi hanno fatto ritrovareanche in me e nella mia attività alpinistica il pettegolez-zo, la polemica e il senso odioso della gara, che, anchese vinta, non è perciò meno riprovevole. Il fatto che ar-rampicavo per altri, che compivo ascensioni quasi perincarico, non è una scusa sufficiente, perch'io, che avevovissuto le giornate delle Mésules e della Marmolada, mivendessi al pettegolezzo e alla gara e vendessi a suon dichiodi e moschettoni le mie arrampicate.Nella mia attività alpinistica di quest'anno non c'è altroche sbandamento: perduto forse per sempre lo spiritovittorioso e ingenuo di Siegfried, sto ancora cercando inme il punto d'orientamento, che guidi la mia attività, ilsenso vero che anima la mia passione. Forse in qualchemomento ho potuto elevarmi verso la contemplazionemistica di Parsifal e verso l'amore eterno: ma le salite

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sulla Rocca Castello dimostrano che sono ancora tropposoggetto alle false seduzioni di Klingsor, che non ho an-cora saputo sottrarmi alla bassezza della vita che mi cir-conda, per seguire la mia nuova, altissima via, verso laluce.

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sulla Rocca Castello dimostrano che sono ancora tropposoggetto alle false seduzioni di Klingsor, che non ho an-cora saputo sottrarmi alla bassezza della vita che mi cir-conda, per seguire la mia nuova, altissima via, verso laluce.

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1937

1° gennaio, Buenos Aires. Natale in mare, capodannoin America, lontano dalla tradizionale convenzionalitàmilanese, già tutto preso da un'avventura grande e tuttanuova, che mi distacca una volta di più da una vita cheavrebbe potuto diventar monotona. Soprattuttoquest'avventura ha valore per me, perché è la soluzionedesiderata, quanto impreveduta, è la risposta miglioreagli interrogativi e ai dubbi sorti dal dramma delle Mé-sules e dalla sconfitta sulla Marmolada.

3 gennaio. «Non c'è verso: l'uomo che ha smarrito Dio,senza un qualche idolo non può vivere. Sarà la scienza,la magia, la razza, l'arte, sarà il più delle volte se stesso.Ma all'esigenza del credere e dell'adorare, non sfugge»(Manacorda). Forse è così: alla mancanza di Dio avevosupplito con l'adorazione e l'idolatria di me stesso: leMésules avevano distrutto anche questo idolo: da ciò lacrisi di smarrimento, non avendo più fede in me stesso enon avendo ancora con che sostituirla. Forse avrebbepotuto sorgere l'idolatria per la Natura, ma anche peressa, come oggetto passivo della nostra sensibilità, nonvi può essere adorazione se non siamo noi stessi che nefacciamo un mito.

A Milano febbre intensa di lavoro: terminare la guida e

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1° gennaio, Buenos Aires. Natale in mare, capodannoin America, lontano dalla tradizionale convenzionalitàmilanese, già tutto preso da un'avventura grande e tuttanuova, che mi distacca una volta di più da una vita cheavrebbe potuto diventar monotona. Soprattuttoquest'avventura ha valore per me, perché è la soluzionedesiderata, quanto impreveduta, è la risposta miglioreagli interrogativi e ai dubbi sorti dal dramma delle Mé-sules e dalla sconfitta sulla Marmolada.

3 gennaio. «Non c'è verso: l'uomo che ha smarrito Dio,senza un qualche idolo non può vivere. Sarà la scienza,la magia, la razza, l'arte, sarà il più delle volte se stesso.Ma all'esigenza del credere e dell'adorare, non sfugge»(Manacorda). Forse è così: alla mancanza di Dio avevosupplito con l'adorazione e l'idolatria di me stesso: leMésules avevano distrutto anche questo idolo: da ciò lacrisi di smarrimento, non avendo più fede in me stesso enon avendo ancora con che sostituirla. Forse avrebbepotuto sorgere l'idolatria per la Natura, ma anche peressa, come oggetto passivo della nostra sensibilità, nonvi può essere adorazione se non siamo noi stessi che nefacciamo un mito.

A Milano febbre intensa di lavoro: terminare la guida e

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preparare tutto per la spedizione, di cui Bonacossa miaveva affidato con cieca fiducia tutta l'organizzazione ela responsabilità! Era quello che ci voleva per me: lavo-rare e agire a mio volere, rendendo conto soltanto del ri-sultato conseguito. Sono arrivato a tutto puntualmente,senza commettere un errore, pur con la mia totale ine-sperienza in materia. Nell'azione ho ritrovato la mia for-za di agire e l'azione mi ha portato fuori dalle piccolebeghe borghesi dell'ambiente cittadino, verso orizzontiben più vasti, verso quelle mete di sconfinata libertà esolitudine che avevo sempre sognato.Sul mare ancora un po' di lavoro: del resto la pace e ilsilenzio dell'imminente stellata sempre uguale, senzafine e senza tempo. Mi perdevo in una contemplazioneassente, senza pensiero e senza oggetto.Per la sig.ra Ranieri avevo provato qualche cosa di piùdi una semplice simpatia occasionale, poiché alla bellez-za della donna si univa la profonda comprensione diun'anima sensibile, come la Nene, a cui non trovavostrano di dire e di rivelare tutto me stesso. Ma col suosbarco a Santos, probabilmente anche questo è finito. Lasua vicinanza tuttavia non è stata estranea alla viva im-pressione di luce e di gioia che mi ha lasciato la stupen-da baia di Rio e l'incanto delle ultime notti sul mare.

15 gennaio, S. Cruz. Mare, mare: pace e immensità. Idelfini saltano sopra le onde, i pinguini si tuffano gio-cando e scherzando: voli di gabbiani e di anitre attraver-sano il cielo e vanno a posarsi sul mare e a cullarsi sulle

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preparare tutto per la spedizione, di cui Bonacossa miaveva affidato con cieca fiducia tutta l'organizzazione ela responsabilità! Era quello che ci voleva per me: lavo-rare e agire a mio volere, rendendo conto soltanto del ri-sultato conseguito. Sono arrivato a tutto puntualmente,senza commettere un errore, pur con la mia totale ine-sperienza in materia. Nell'azione ho ritrovato la mia for-za di agire e l'azione mi ha portato fuori dalle piccolebeghe borghesi dell'ambiente cittadino, verso orizzontiben più vasti, verso quelle mete di sconfinata libertà esolitudine che avevo sempre sognato.Sul mare ancora un po' di lavoro: del resto la pace e ilsilenzio dell'imminente stellata sempre uguale, senzafine e senza tempo. Mi perdevo in una contemplazioneassente, senza pensiero e senza oggetto.Per la sig.ra Ranieri avevo provato qualche cosa di piùdi una semplice simpatia occasionale, poiché alla bellez-za della donna si univa la profonda comprensione diun'anima sensibile, come la Nene, a cui non trovavostrano di dire e di rivelare tutto me stesso. Ma col suosbarco a Santos, probabilmente anche questo è finito. Lasua vicinanza tuttavia non è stata estranea alla viva im-pressione di luce e di gioia che mi ha lasciato la stupen-da baia di Rio e l'incanto delle ultime notti sul mare.

15 gennaio, S. Cruz. Mare, mare: pace e immensità. Idelfini saltano sopra le onde, i pinguini si tuffano gio-cando e scherzando: voli di gabbiani e di anitre attraver-sano il cielo e vanno a posarsi sul mare e a cullarsi sulle

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onde. Il cielo ha colorazioni sempre più intense, dal ver-de mare fino al turchese: al tramonto, nuvole rosse comericcioli di rame riflettono una luce calda e strana comequella che precede la tempesta. Nei lunghi crepuscolifino alle 10 di sera, passeggiavo sul ponte o sulla riva,guardando silenzioso; non riuscivo neppure a cantare,tanto forte era la voce del silenzio in cui vivevo. Maiavevo provato un senso di solitudine così assoluta: pareche la Natura qui si stenda infinita nella sua essenza pri-mitiva; nel suo aspetto più ingrato e più desolato:l'uomo non vi è potuto ancora giungere.Terra piatta e uniforme a sconfinati tavolieri di petraia edi sabbia in parte ricoperta da bassa e rada sterpagliaspinosa. Pochi gruppi di case tirate in piedi in qualchemodo e di capanne di lamiera ondulata e scossa fragoro-samente dal vento incessante, si raccolgono nelle unichetre o quattro insenature naturali della costa; alle portedelle case, a qualche centinaio di metri dal mare, è già ildeserto di sabbia, che par premere inesorabilmente suquei miseri abituri per ricacciarli in mare. A Commodo-ro Rivadavia le torri di ferro dei pozzi di petrolio popo-lano a perdita d'occhio il tavoliere, come scheletri spet-trali: pompano il liquido nero, silenziosi, senza che alcu-no ne sorvegli il funzionamento, quasi automi creatianch'essi per crescere l'orrore di questa terra di squalloree di fantasmi. Solo il mare, nella sua immensa vita, èpopolato: uccelli e pesci a migliaia pare non siano anco-ra stati raggiunti dalla furia di distruzione dell'uomo.Nella solitudine selvaggia e primitiva si ha un senso di

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onde. Il cielo ha colorazioni sempre più intense, dal ver-de mare fino al turchese: al tramonto, nuvole rosse comericcioli di rame riflettono una luce calda e strana comequella che precede la tempesta. Nei lunghi crepuscolifino alle 10 di sera, passeggiavo sul ponte o sulla riva,guardando silenzioso; non riuscivo neppure a cantare,tanto forte era la voce del silenzio in cui vivevo. Maiavevo provato un senso di solitudine così assoluta: pareche la Natura qui si stenda infinita nella sua essenza pri-mitiva; nel suo aspetto più ingrato e più desolato:l'uomo non vi è potuto ancora giungere.Terra piatta e uniforme a sconfinati tavolieri di petraia edi sabbia in parte ricoperta da bassa e rada sterpagliaspinosa. Pochi gruppi di case tirate in piedi in qualchemodo e di capanne di lamiera ondulata e scossa fragoro-samente dal vento incessante, si raccolgono nelle unichetre o quattro insenature naturali della costa; alle portedelle case, a qualche centinaio di metri dal mare, è già ildeserto di sabbia, che par premere inesorabilmente suquei miseri abituri per ricacciarli in mare. A Commodo-ro Rivadavia le torri di ferro dei pozzi di petrolio popo-lano a perdita d'occhio il tavoliere, come scheletri spet-trali: pompano il liquido nero, silenziosi, senza che alcu-no ne sorvegli il funzionamento, quasi automi creatianch'essi per crescere l'orrore di questa terra di squalloree di fantasmi. Solo il mare, nella sua immensa vita, èpopolato: uccelli e pesci a migliaia pare non siano anco-ra stati raggiunti dalla furia di distruzione dell'uomo.Nella solitudine selvaggia e primitiva si ha un senso di

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verità, sconosciuta nelle terre popolate dall'uomo. Veri-tà, forse era necessario venire fino qui per conoscere checosa sia il vero. Fin qui, dove la Natura è unica signorae unica legge, dove la lotta per la vita non è l'inganno, lafrode o la rivalità fra uomini, ma è ancora la primitivalotta per l'esistenza. Qui solo il forte può vivere, e perciòè vera vita. È quella vita di cui noi in Europa ancora rin-corriamo il fantasma nella severa solitudine delle nostreAlpi. Ma che cos'è qualche estremo angolino delle no-stre montagne, in cui solo con tutta la nostra buona vo-lontà possiamo ancora sentire il palpito della Natura edella Vita, in confronto all'immensità e alla solitudine diqueste lande desolate?Qui è la verità, e qui posso trovare la risposta al quesitoche è sorto nell'ora delle Mésules. Qui saprò se sono an-cora Siegfried, l'eroe capace di dominare per forza divolere anche l'immensità della Natura, o se sono Parsi-fal, perduto e soggiogato nella contemplazione del mi-stero divino, più grande e più forte della mia capacità divolere. La solita alternativa: volere o amore. Volere èvittoria, amore è superamento di se stesso verso l'ogget-to. Io so volere: ma può l'uomo vivere senza amore?Anche l'eroe deve evolversi verso l'amore, anche Sieg-fried: se no è un mostro. Fino a quando o fino a qualpunto saprò ancora vincere, di fronte a questa Natura,che oggi mi si presenta non più con le minuscole bizzar-rie dolomitiche, ma con la potenza smisurata dei suoipiani riarsi e infiniti, ove è negata ogni vita all'intruso?Vorrei essere tutto solo su una grande vetta, e là forse

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verità, sconosciuta nelle terre popolate dall'uomo. Veri-tà, forse era necessario venire fino qui per conoscere checosa sia il vero. Fin qui, dove la Natura è unica signorae unica legge, dove la lotta per la vita non è l'inganno, lafrode o la rivalità fra uomini, ma è ancora la primitivalotta per l'esistenza. Qui solo il forte può vivere, e perciòè vera vita. È quella vita di cui noi in Europa ancora rin-corriamo il fantasma nella severa solitudine delle nostreAlpi. Ma che cos'è qualche estremo angolino delle no-stre montagne, in cui solo con tutta la nostra buona vo-lontà possiamo ancora sentire il palpito della Natura edella Vita, in confronto all'immensità e alla solitudine diqueste lande desolate?Qui è la verità, e qui posso trovare la risposta al quesitoche è sorto nell'ora delle Mésules. Qui saprò se sono an-cora Siegfried, l'eroe capace di dominare per forza divolere anche l'immensità della Natura, o se sono Parsi-fal, perduto e soggiogato nella contemplazione del mi-stero divino, più grande e più forte della mia capacità divolere. La solita alternativa: volere o amore. Volere èvittoria, amore è superamento di se stesso verso l'ogget-to. Io so volere: ma può l'uomo vivere senza amore?Anche l'eroe deve evolversi verso l'amore, anche Sieg-fried: se no è un mostro. Fino a quando o fino a qualpunto saprò ancora vincere, di fronte a questa Natura,che oggi mi si presenta non più con le minuscole bizzar-rie dolomitiche, ma con la potenza smisurata dei suoipiani riarsi e infiniti, ove è negata ogni vita all'intruso?Vorrei essere tutto solo su una grande vetta, e là forse

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saprei ancora cantare e dominare con la mia voce l'urlodel vento, spandendola a ondate verso la valle, fino a su-scitarne tutti gli echi della notte. Là saprei ancora vince-re.

18 gennaio, La Primera. Lande desolate, di argilla, disabbia, con poche zolle d'erba: branchi di pecore vaganosenza cessa alla ricerca della pastura e fuggono selvaggeall'avvicinarsi del camion. Lepri e conigli sbucano fuorida ogni lato, qualche gatto selvatico, qualche guanaco,otarde, falchi e piccoli uccellini. Sembra strano di trova-re ancora tanta vita in un paesaggio così ingrato. 300 kmdi camion tra larghi svallamenti e basse colline argillosesempre uguali, su una pista tracciata solo dal passaggiodei camions nella landa uniforme: pista che si sposta apiacimento quando un tratto diviene inservibile. Questaè la traversata della "meseta" patagonica. Le uniche duemacchie di verde, paiono oasi incantevoli, nate miraco-losamente in mezzo alla steppa: l'una è l'arrivo a Piedra-buena, che appare improvvisamente affacciandosiall'orlo dell'altopiano: con l'acqua pompata dal rio sonoriusciti a creare una fertile ortaglia, difesa dal vento dauna doppia cintura, di pioppi esternamente, di ciliegi in-ternamente: par di rinascere dopo tanti chilometri disabbia, a entrare in mezzo a questo stretto recinto di fio-ri, di frutta matura e di verdura, fiancheggiato dal corsomaestoso e tranquillo del rio. L'altra oasi è a Mata Ama-rilla, anch'essa creata artificialmente nel mezzo diun'estesissima piana, perfettamente piatta, arida, gialla,

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saprei ancora cantare e dominare con la mia voce l'urlodel vento, spandendola a ondate verso la valle, fino a su-scitarne tutti gli echi della notte. Là saprei ancora vince-re.

18 gennaio, La Primera. Lande desolate, di argilla, disabbia, con poche zolle d'erba: branchi di pecore vaganosenza cessa alla ricerca della pastura e fuggono selvaggeall'avvicinarsi del camion. Lepri e conigli sbucano fuorida ogni lato, qualche gatto selvatico, qualche guanaco,otarde, falchi e piccoli uccellini. Sembra strano di trova-re ancora tanta vita in un paesaggio così ingrato. 300 kmdi camion tra larghi svallamenti e basse colline argillosesempre uguali, su una pista tracciata solo dal passaggiodei camions nella landa uniforme: pista che si sposta apiacimento quando un tratto diviene inservibile. Questaè la traversata della "meseta" patagonica. Le uniche duemacchie di verde, paiono oasi incantevoli, nate miraco-losamente in mezzo alla steppa: l'una è l'arrivo a Piedra-buena, che appare improvvisamente affacciandosiall'orlo dell'altopiano: con l'acqua pompata dal rio sonoriusciti a creare una fertile ortaglia, difesa dal vento dauna doppia cintura, di pioppi esternamente, di ciliegi in-ternamente: par di rinascere dopo tanti chilometri disabbia, a entrare in mezzo a questo stretto recinto di fio-ri, di frutta matura e di verdura, fiancheggiato dal corsomaestoso e tranquillo del rio. L'altra oasi è a Mata Ama-rilla, anch'essa creata artificialmente nel mezzo diun'estesissima piana, perfettamente piatta, arida, gialla,

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bruciata dal sole e dal vento. I pochi abitatori delleestancias hanno organizzato quanto meglio la loro vita,con la radio e con qualche comodità: più che un esilio,la loro pare una vita di rassegnazione disperata. Anchechi ama la solitudine, anche il misantropo, non può tro-vare bastante ragione di vita in una terra così arida ecosì uguale, in una natura così ingrata e così repulsiva.Eppure c'è gente che ha la forza di viverci per anni, an-che per tutta la vita: incoscienti? Gente senza bisogni?O è gente tanto forte da trovare unicamente in se stessaogni ragione e ogni risorsa di vita? O anche la solitudinedel deserto può avere un fascino, da cui poi non ci si rie-sce più a staccare?Poi, finalmente, improvvisamente, il lago: rosseggianella luce del tramonto rispecchiando i fantastici picchidella Cordillera: cuspidi e torri di granito rossiccio, pa-reti di ghiaccio, roccioni affastellati di basalto: l'immen-sa fiumana del ghiacciaio, scende giù fino a tuffarsi nellago. La natura risorge a nuova vita, improvvisa, quasiribellandosi, e affermandosi con maggior violenza. È ilcontrasto con le lande dell'altopiano o è la stupenda bel-lezza di questo scenario che richiama anche me a nuovavita, alla mia vita di azione, di volontà di affermazione?La mollezza di un mese di ozio e della sciocca vita dibordo è svanita: qui mi trovo ancora io, tutto protesoverso la meta, verso il Fitz Roy che urla nella forza sca-tenata del vento la sfida del suo superbo ardimento. Ierisera quelle pareti rosse nel tramonto mi parevano tropporepulsive, ma oggi lo vedo, lo sento già con quella ne-

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bruciata dal sole e dal vento. I pochi abitatori delleestancias hanno organizzato quanto meglio la loro vita,con la radio e con qualche comodità: più che un esilio,la loro pare una vita di rassegnazione disperata. Anchechi ama la solitudine, anche il misantropo, non può tro-vare bastante ragione di vita in una terra così arida ecosì uguale, in una natura così ingrata e così repulsiva.Eppure c'è gente che ha la forza di viverci per anni, an-che per tutta la vita: incoscienti? Gente senza bisogni?O è gente tanto forte da trovare unicamente in se stessaogni ragione e ogni risorsa di vita? O anche la solitudinedel deserto può avere un fascino, da cui poi non ci si rie-sce più a staccare?Poi, finalmente, improvvisamente, il lago: rosseggianella luce del tramonto rispecchiando i fantastici picchidella Cordillera: cuspidi e torri di granito rossiccio, pa-reti di ghiaccio, roccioni affastellati di basalto: l'immen-sa fiumana del ghiacciaio, scende giù fino a tuffarsi nellago. La natura risorge a nuova vita, improvvisa, quasiribellandosi, e affermandosi con maggior violenza. È ilcontrasto con le lande dell'altopiano o è la stupenda bel-lezza di questo scenario che richiama anche me a nuovavita, alla mia vita di azione, di volontà di affermazione?La mollezza di un mese di ozio e della sciocca vita dibordo è svanita: qui mi trovo ancora io, tutto protesoverso la meta, verso il Fitz Roy che urla nella forza sca-tenata del vento la sfida del suo superbo ardimento. Ierisera quelle pareti rosse nel tramonto mi parevano tropporepulsive, ma oggi lo vedo, lo sento già con quella ne-

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cessità con cui ho sempre sentito quelle montagne chedovevano essere mie. Accetto la sfida e son certo chesaprò lottare: saprò anche volere la vittoria? Oggi misento un tale impeto di azione e di freschezza giovanile,che mi pare che nulla mi potrà fermare. Fitz Roy: oranon è più un sogno lontano, è la mia meta e la sento cosìprofondamente mia, che mi occupa tutto e che non milascerà pace finché non l'avrò raggiunta.

21 gennaio, Campo al Rio de Las Vueltas. Le monta-gne son sempre eguali in tutto il mondo. Avvicinandomialla Cordillera, trovandomi già in mezzo ad essa, misentivo a casa mia, at home. Un giorno dopo esser arri-vato qui, anche il Fitz Roy non aveva più nulla di straor-dinario: era la mia montagna, la montagna meravigliosa,che guardavo ormai con familiarità, con confidenza, consicurezza.Ieri vagavo solo attraverso la landa sconfinata alla ricer-ca di un'estancia che non sapevo dov'era: il Fitz Roysempre più vicino mi faceva dimenticare con la sua im-ponenza la stanchezza del lungo cammino. Ma mi pare-va così strano il pensare di essere in America, di essertanto lontano dal mondo e di sentirmi così bene, così pa-drone di me e delle mie montagne, così felice nella soli-tudine sconfinata. Sì, felicità: non pensare più nulla, nonsapere più nulla del mondo tanto lontano; vivere dellavita vera di queste montagne, di questa gente forte erude, di un'onestà e di una serietà morale tutta montana-ra. Questa è sincerità, solidarietà e spontaneità; questa è

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cessità con cui ho sempre sentito quelle montagne chedovevano essere mie. Accetto la sfida e son certo chesaprò lottare: saprò anche volere la vittoria? Oggi misento un tale impeto di azione e di freschezza giovanile,che mi pare che nulla mi potrà fermare. Fitz Roy: oranon è più un sogno lontano, è la mia meta e la sento cosìprofondamente mia, che mi occupa tutto e che non milascerà pace finché non l'avrò raggiunta.

21 gennaio, Campo al Rio de Las Vueltas. Le monta-gne son sempre eguali in tutto il mondo. Avvicinandomialla Cordillera, trovandomi già in mezzo ad essa, misentivo a casa mia, at home. Un giorno dopo esser arri-vato qui, anche il Fitz Roy non aveva più nulla di straor-dinario: era la mia montagna, la montagna meravigliosa,che guardavo ormai con familiarità, con confidenza, consicurezza.Ieri vagavo solo attraverso la landa sconfinata alla ricer-ca di un'estancia che non sapevo dov'era: il Fitz Roysempre più vicino mi faceva dimenticare con la sua im-ponenza la stanchezza del lungo cammino. Ma mi pare-va così strano il pensare di essere in America, di essertanto lontano dal mondo e di sentirmi così bene, così pa-drone di me e delle mie montagne, così felice nella soli-tudine sconfinata. Sì, felicità: non pensare più nulla, nonsapere più nulla del mondo tanto lontano; vivere dellavita vera di queste montagne, di questa gente forte erude, di un'onestà e di una serietà morale tutta montana-ra. Questa è sincerità, solidarietà e spontaneità; questa è

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la gente ch'io ho sempre amato e che tanto raramente hopotuto trovare nell'ipocrisia della vita civile.Come avrei potuto credere che da tanta felicità, sarei dicolpo ripiombato nell'ipocrisia dei miei compagni citta-dini? Come avrei potuto credere che al ritorno da unacamminata di 30 km senza riposo, fatta per l'utilità co-mune, sarei stato accolto dalla diffidenza, dal sospetto,dall'ingiuria e dall'ipocrisia dei discorsini detti ad artedietro la tenda? L'ipocrisia in città mi nausea e mi disgu-sta, ma qui tra la purezza di questi monti è una bestem-mia, che fa troppo male perch'io possa rispondere.L'unica risposta sarebbe di andarmene tutto solo tra que-ste montagne, che non mi negherebbero la sincerità del-la loro amicizia. Mi illudevo che questi compagni mipotessero rimanere indifferenti per tutto il viaggio e sipotessero conservare rapporti di reciproca comprensionee sopportazione. Ma l'ingiuria di ieri è una ferita chenon può essere sanata né perdonata: i rapporti non po-tranno essere chiariti con l'ipocrisia, e diverranno sem-pre più tesi fino a spezzarsi. Non so cosa avverrà, nédove troverò la soluzione: intanto il Fitz Roy che ierivedevo già così vicino e sentivo già così mio, ora è fug-gito lontano. L'ipocrisia è l'unico nemico contro cui nonho armi per combattere, ma la sincerità della montagnami darà la forza e la volontà di vincere. E vorrò vinceretutto solo, perché la vittoria sia tutta mia e non sia profa-nata dalla bestemmia dell'ipocrisia e dell'ambizione bor-ghese, meschina e vile.

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la gente ch'io ho sempre amato e che tanto raramente hopotuto trovare nell'ipocrisia della vita civile.Come avrei potuto credere che da tanta felicità, sarei dicolpo ripiombato nell'ipocrisia dei miei compagni citta-dini? Come avrei potuto credere che al ritorno da unacamminata di 30 km senza riposo, fatta per l'utilità co-mune, sarei stato accolto dalla diffidenza, dal sospetto,dall'ingiuria e dall'ipocrisia dei discorsini detti ad artedietro la tenda? L'ipocrisia in città mi nausea e mi disgu-sta, ma qui tra la purezza di questi monti è una bestem-mia, che fa troppo male perch'io possa rispondere.L'unica risposta sarebbe di andarmene tutto solo tra que-ste montagne, che non mi negherebbero la sincerità del-la loro amicizia. Mi illudevo che questi compagni mipotessero rimanere indifferenti per tutto il viaggio e sipotessero conservare rapporti di reciproca comprensionee sopportazione. Ma l'ingiuria di ieri è una ferita chenon può essere sanata né perdonata: i rapporti non po-tranno essere chiariti con l'ipocrisia, e diverranno sem-pre più tesi fino a spezzarsi. Non so cosa avverrà, nédove troverò la soluzione: intanto il Fitz Roy che ierivedevo già così vicino e sentivo già così mio, ora è fug-gito lontano. L'ipocrisia è l'unico nemico contro cui nonho armi per combattere, ma la sincerità della montagnami darà la forza e la volontà di vincere. E vorrò vinceretutto solo, perché la vittoria sia tutta mia e non sia profa-nata dalla bestemmia dell'ipocrisia e dell'ambizione bor-ghese, meschina e vile.

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6 febbraio. Sì, non era con quel preludio di urto coicompagni che potevo accingermi a una grande conqui-sta. L'attesa e le lungaggini ci hanno fatto perdere leuniche eccezionali belle giornate che ci avrebbero potu-to consentire la salita della montagna meravigliosa.Con la pesantezza dei campi e dell'organizzazione ditutto l'equipaggiamento, siamo arrivati al campo base,mentre io percorrevo ogni tappa, quasi ansioso di avvi-cinarmi al monte. Mi sentivo così solo, circondato dalladiffidenza dei compagni e così a disagio al loro contatto,ma così felice appena mi trovavo solo a vagare tra leselve sconosciute, seguendo quasi istintivamente le trac-ce delle pecore. Natura ricca di boschi intricati e spino-si, di vallette, di ruscelli, di laghi: dalle radure il FitzRoy appariva sempre più superbo e imponente. Ritorna-vo con l'animo pieno di luce, incantato da quelle visionidi superba bellezza: ritornavo presso la rude e cordialeschiettezza di questi montanari, che paiono rispecchiarela sincerità e la forza di queste crode: e tanto più minauseava il trovarmi a contatto col viscidume dell'ipo-crisia cittadina che mi aveva seguito fin qui dall'Italia.Col carico pesante saliamo lentamente per i ghiacciai.Alle prime incognite ci leghiamo e parto con Titta in ri-cognizione. In lui ho subito sentito istinto di alpinistavero, completo e sicuro, che non avevo certo potuto im-maginare prima: una decisione pronta e sicura, un istin-to che proviene solo da ricca esperienza, una fermezzaardita, ma mai temeraria. Tra noi si è subito creata la so-lidarietà della cordata, e l'ho subito sentita come un

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6 febbraio. Sì, non era con quel preludio di urto coicompagni che potevo accingermi a una grande conqui-sta. L'attesa e le lungaggini ci hanno fatto perdere leuniche eccezionali belle giornate che ci avrebbero potu-to consentire la salita della montagna meravigliosa.Con la pesantezza dei campi e dell'organizzazione ditutto l'equipaggiamento, siamo arrivati al campo base,mentre io percorrevo ogni tappa, quasi ansioso di avvi-cinarmi al monte. Mi sentivo così solo, circondato dalladiffidenza dei compagni e così a disagio al loro contatto,ma così felice appena mi trovavo solo a vagare tra leselve sconosciute, seguendo quasi istintivamente le trac-ce delle pecore. Natura ricca di boschi intricati e spino-si, di vallette, di ruscelli, di laghi: dalle radure il FitzRoy appariva sempre più superbo e imponente. Ritorna-vo con l'animo pieno di luce, incantato da quelle visionidi superba bellezza: ritornavo presso la rude e cordialeschiettezza di questi montanari, che paiono rispecchiarela sincerità e la forza di queste crode: e tanto più minauseava il trovarmi a contatto col viscidume dell'ipo-crisia cittadina che mi aveva seguito fin qui dall'Italia.Col carico pesante saliamo lentamente per i ghiacciai.Alle prime incognite ci leghiamo e parto con Titta in ri-cognizione. In lui ho subito sentito istinto di alpinistavero, completo e sicuro, che non avevo certo potuto im-maginare prima: una decisione pronta e sicura, un istin-to che proviene solo da ricca esperienza, una fermezzaardita, ma mai temeraria. Tra noi si è subito creata la so-lidarietà della cordata, e l'ho subito sentita come un

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grande bene umano nell'asprezza della lotta. Anche ilgiorno dopo, nell'attacco alla spalla del Fitz Roy, la lottafu tutta sua, ma l'ho saputo seguire con quella partecipa-zione che viene soltanto dalla cordata. Leo invece mi èsempre rimasto l'ospite indifferente, che si è preso insie-me per fargli piacere, ma che non può dare alcun aiutoné morale, né materiale. Aldo ha avuto un atto di gene-rosità, di cui non l'avrei mai creduto capace: accompa-gnarci fino al Campo Alto, faticando per portare il fortecarico, pur avendo già rinunciato all'ascensione.All'attacco al mattino, già ad ora tarda e stanchi delgiorno precedente, non possiamo superare la crepaccia.Attacchiamo alla sera in un altro punto: Titta supera lacrepaccia, poi procedo io, destreggiandomi con diver-tente gioco su placche di magnifico granito bianco. Lanotte ci sorprende mentre Titta sta gradinando un ripi-dissimo sdrucciolo ghiacciato: procediamo ancora nelsilenzio immenso della notte di plenilunio, fino a un sas-so ghiacciato ove ci accomodiamo per il bivacco. Spet-tacolo fantastico, quel regno di crode e di ghiacci scon-volti, biancheggianti nell'intenso e sfuggente chiarorelunare.Al mattino, ancora lungo lavoro di piccozza: mi piacevala sicurezza di Titta, nel suo gradinare metodico sullosdrucciolo ripidissimo e uniforme, tutto solo con la cor-da tutta sfilata dietro. Quantunque senta ancora per ilghiaccio la diffidenza dell'inesperienza, capisco comeanch'esso possa avere un fascino pari a quello dellegrandi placche di granito. Finalmente raggiungiamo la

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grande bene umano nell'asprezza della lotta. Anche ilgiorno dopo, nell'attacco alla spalla del Fitz Roy, la lottafu tutta sua, ma l'ho saputo seguire con quella partecipa-zione che viene soltanto dalla cordata. Leo invece mi èsempre rimasto l'ospite indifferente, che si è preso insie-me per fargli piacere, ma che non può dare alcun aiutoné morale, né materiale. Aldo ha avuto un atto di gene-rosità, di cui non l'avrei mai creduto capace: accompa-gnarci fino al Campo Alto, faticando per portare il fortecarico, pur avendo già rinunciato all'ascensione.All'attacco al mattino, già ad ora tarda e stanchi delgiorno precedente, non possiamo superare la crepaccia.Attacchiamo alla sera in un altro punto: Titta supera lacrepaccia, poi procedo io, destreggiandomi con diver-tente gioco su placche di magnifico granito bianco. Lanotte ci sorprende mentre Titta sta gradinando un ripi-dissimo sdrucciolo ghiacciato: procediamo ancora nelsilenzio immenso della notte di plenilunio, fino a un sas-so ghiacciato ove ci accomodiamo per il bivacco. Spet-tacolo fantastico, quel regno di crode e di ghiacci scon-volti, biancheggianti nell'intenso e sfuggente chiarorelunare.Al mattino, ancora lungo lavoro di piccozza: mi piacevala sicurezza di Titta, nel suo gradinare metodico sullosdrucciolo ripidissimo e uniforme, tutto solo con la cor-da tutta sfilata dietro. Quantunque senta ancora per ilghiaccio la diffidenza dell'inesperienza, capisco comeanch'esso possa avere un fascino pari a quello dellegrandi placche di granito. Finalmente raggiungiamo la

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spalla: la piramide rocciosa del Fitz Roy si erge sopra dinoi più formidabile che mai, ancora per oltre 700 m. Imiei compagni sono stanchi per il lungo lavoro sulghiaccio: io invece sono voglioso, smanioso di azione.La fessura obliqua, che appariva la più praticabile ètroppo pericolosa per caduta di pietre. Io vorrei attacca-re da un'altra parte, pur di attaccare la mia montagna,ora che finalmente l'avevo vicina e la toccavo. Sapevoche era assurdo, irragionevole forse, attaccare un'impre-sa di estrema difficoltà in queste condizioni di stanchez-za e senza viveri; ma io volevo affrontare la montagna,volevo raccogliere la sua sfida, volevo accettare la lottaa qualsiasi condizione, volevo osare con quella temera-rietà e quella potenza di volontà che sempre mi avevafatto trionfare. I compagni mi hanno invece imposto ilritorno come era ragionevole: ho sentito alla gola unnodo di pianto per la rinuncia, come raramente mi av-viene di provare: sapevo che la rinuncia era probabil-mente definitiva. Se un'impresa non riesce al primo as-salto, ben difficilmente mi riesce per quanti altri tentati-vi io possa fare. E la rinuncia era amara: forse nes-sun'altra montagna, neppure la Marmolada, avevo cosìintensamente desiderato e amato. Ritorno: sì, non erostato sconfitto, perché non avevo neppur tentato, ma ilritorno significava rinuncia. Nessun'altra montagna mipoteva più importare, né interessare: quella che avevosentito così mia, che avevo avuto a portata di mano, misfuggiva ora lontana, irraggiungibile.Ritorno al campo: senza riposo riprendo le ricognizioni.

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spalla: la piramide rocciosa del Fitz Roy si erge sopra dinoi più formidabile che mai, ancora per oltre 700 m. Imiei compagni sono stanchi per il lungo lavoro sulghiaccio: io invece sono voglioso, smanioso di azione.La fessura obliqua, che appariva la più praticabile ètroppo pericolosa per caduta di pietre. Io vorrei attacca-re da un'altra parte, pur di attaccare la mia montagna,ora che finalmente l'avevo vicina e la toccavo. Sapevoche era assurdo, irragionevole forse, attaccare un'impre-sa di estrema difficoltà in queste condizioni di stanchez-za e senza viveri; ma io volevo affrontare la montagna,volevo raccogliere la sua sfida, volevo accettare la lottaa qualsiasi condizione, volevo osare con quella temera-rietà e quella potenza di volontà che sempre mi avevafatto trionfare. I compagni mi hanno invece imposto ilritorno come era ragionevole: ho sentito alla gola unnodo di pianto per la rinuncia, come raramente mi av-viene di provare: sapevo che la rinuncia era probabil-mente definitiva. Se un'impresa non riesce al primo as-salto, ben difficilmente mi riesce per quanti altri tentati-vi io possa fare. E la rinuncia era amara: forse nes-sun'altra montagna, neppure la Marmolada, avevo cosìintensamente desiderato e amato. Ritorno: sì, non erostato sconfitto, perché non avevo neppur tentato, ma ilritorno significava rinuncia. Nessun'altra montagna mipoteva più importare, né interessare: quella che avevosentito così mia, che avevo avuto a portata di mano, misfuggiva ora lontana, irraggiungibile.Ritorno al campo: senza riposo riprendo le ricognizioni.

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Anche il vagare per boschi e per valli ignote, ove ogniquadro ha il senso di una rivelazione e di una scoperta, ètanto ricco. E ripensavo alle Mésules, ripensavo se nonsia vero che la vita per me sia da ricercare non piùnell'impresa, e nella conquista eroica, ma nell'amore.Fitte foreste di alberi nodosi e contorti con ramificazionidi una varietà pittorica inesauribile: alberi morti, legnesecche: branchi di cavalli selvatici fuggono galoppando:lepri e uccelli sfuggono intorno, senza paura dell'uomo,che non hanno ancora conosciuto: alcuni bellissimi, pic-chi neri, con la testa a ciuffo rosso cardinale. Anitre eotarde si lasciano trasportare dalle rapide del fiume, cul-landosi e rimbalzando sulle onde: un'anitra, col petto co-lor rame risale la corrente vorticosa di pietra in pietra,fermandosi a beccare i moscerini nell'aria.Dalla foresta si sbuca improvvisamente in una pianaprativa: la valle del Rio Electrico è sbarrata da una suc-cessione di cordonate moreniche regolarissime, tra cui ilfiume insinua piccoli e incantevoli laghetti. Il fondo èchiuso dai soliti grandi ghiacciai, e da una muraglia nerae uniforme, tutta merlata in cima da enormi seracchi dighiaccio, dalle forme più bizzarre. A destra il Fitz Royeleva le sue pareti giallo-rossicce, più che mai verticali,compatte e probabilmente inaccessibili.Ma io voglio andare ancora più avanti, nella mia smaniadi vedere e di conoscere, procedo ancora per placche estrani mammelloni rossi e levigatissimi, solcati tortuosa-mente da infossature erbose ed acquitrinose, che creanoun paesaggio fantastico da bolgia dantesca, e giungo

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Anche il vagare per boschi e per valli ignote, ove ogniquadro ha il senso di una rivelazione e di una scoperta, ètanto ricco. E ripensavo alle Mésules, ripensavo se nonsia vero che la vita per me sia da ricercare non piùnell'impresa, e nella conquista eroica, ma nell'amore.Fitte foreste di alberi nodosi e contorti con ramificazionidi una varietà pittorica inesauribile: alberi morti, legnesecche: branchi di cavalli selvatici fuggono galoppando:lepri e uccelli sfuggono intorno, senza paura dell'uomo,che non hanno ancora conosciuto: alcuni bellissimi, pic-chi neri, con la testa a ciuffo rosso cardinale. Anitre eotarde si lasciano trasportare dalle rapide del fiume, cul-landosi e rimbalzando sulle onde: un'anitra, col petto co-lor rame risale la corrente vorticosa di pietra in pietra,fermandosi a beccare i moscerini nell'aria.Dalla foresta si sbuca improvvisamente in una pianaprativa: la valle del Rio Electrico è sbarrata da una suc-cessione di cordonate moreniche regolarissime, tra cui ilfiume insinua piccoli e incantevoli laghetti. Il fondo èchiuso dai soliti grandi ghiacciai, e da una muraglia nerae uniforme, tutta merlata in cima da enormi seracchi dighiaccio, dalle forme più bizzarre. A destra il Fitz Royeleva le sue pareti giallo-rossicce, più che mai verticali,compatte e probabilmente inaccessibili.Ma io voglio andare ancora più avanti, nella mia smaniadi vedere e di conoscere, procedo ancora per placche estrani mammelloni rossi e levigatissimi, solcati tortuosa-mente da infossature erbose ed acquitrinose, che creanoun paesaggio fantastico da bolgia dantesca, e giungo

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fino all'ultimo vallone: un urlo di gioia: il Fitz Roy miappare con un aspetto tutto nuovo, più imponente emaestoso che mai: la sua parete domina il fondo del val-lone con un'altezza di forse 2000 m. Ma qui le sue cresteattenuano la loro verticalità, le sue enormi placche digranito bianco, solido, asciutto e pulito, paiono invitaread un'arrampicata superba. Scendo nel vallone di corsa,quasi ebbro: mi sembra di conoscere per la prima voltache cos'è la felicità. Vorrei correre fino a quella parete,correre con tutto lo slancio della mia felicità e della miarinnovata speranza: il Fitz Roy mi è ancora una volta vi-cino, e da qui è accessibile, mi invita con un'arrampicataaffascinante.Il solito ostruzionismo dei compagni mi esaspera. Sicercano scuse per andar da un'altra parte, considerandoperduti inutilmente i giorni per i tentativi al Fitz Roy, ri-tenuto inaccessibile. Il tempo cambia: forse è finito ilbello, forse le condizioni per la scalata di una parete di2000 metri non si realizzeranno più. E trasportiamo ilcampo nella valle Fitz Roy.Pioggia, vita di campo spensierata e beata: sorda ostilitàcon Aldo e un pochino anche con Leo, cameratismo conTitta. Si unisce a noi il figlio Madsen2, innamorato deisuoi monti che vuol venire a conoscere con noi: la fre-schezza del suo entusiasmo è un alito di vento vivifican-te e nonostante la sua inesperienza alpinistica, lo acco-

2 - Castiglioni si riferisce ad uno dei figli di Andreas Madsen, esploratoredanese ed autore di “La Patagonia vieja”. [nota per l'edizione elettronicaManuzio]

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fino all'ultimo vallone: un urlo di gioia: il Fitz Roy miappare con un aspetto tutto nuovo, più imponente emaestoso che mai: la sua parete domina il fondo del val-lone con un'altezza di forse 2000 m. Ma qui le sue cresteattenuano la loro verticalità, le sue enormi placche digranito bianco, solido, asciutto e pulito, paiono invitaread un'arrampicata superba. Scendo nel vallone di corsa,quasi ebbro: mi sembra di conoscere per la prima voltache cos'è la felicità. Vorrei correre fino a quella parete,correre con tutto lo slancio della mia felicità e della miarinnovata speranza: il Fitz Roy mi è ancora una volta vi-cino, e da qui è accessibile, mi invita con un'arrampicataaffascinante.Il solito ostruzionismo dei compagni mi esaspera. Sicercano scuse per andar da un'altra parte, considerandoperduti inutilmente i giorni per i tentativi al Fitz Roy, ri-tenuto inaccessibile. Il tempo cambia: forse è finito ilbello, forse le condizioni per la scalata di una parete di2000 metri non si realizzeranno più. E trasportiamo ilcampo nella valle Fitz Roy.Pioggia, vita di campo spensierata e beata: sorda ostilitàcon Aldo e un pochino anche con Leo, cameratismo conTitta. Si unisce a noi il figlio Madsen2, innamorato deisuoi monti che vuol venire a conoscere con noi: la fre-schezza del suo entusiasmo è un alito di vento vivifican-te e nonostante la sua inesperienza alpinistica, lo acco-

2 - Castiglioni si riferisce ad uno dei figli di Andreas Madsen, esploratoredanese ed autore di “La Patagonia vieja”. [nota per l'edizione elettronicaManuzio]

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gliamo nella nostra cordata come un amico.Ma queste montagne di ghiaccio non mi interessano:non posso sentire l'ascensione come un'impresa mia: lasalita si risolve in una marcia più o meno faticosa, gi-rando ed evitando crepacci e seraccate: per me ha il solosenso di una meta panoramica e poiché c'è nebbia e ven-to la salita non ha scopo. Vado solo per accompagnare icompagni e li seguo passivamente. Il Fitz Roy apparetra gli squarci di nubi superbamente impennato e gran-dioso. Ci arrestiamo a bivaccare in una buca nella neve:il giorno dopo nella tormenta ridiscendiamo. Il ritornomi è del tutto indifferente: la gita aveva il solo scopo ditrascorrere alcune giornate in attesa e nella speranza for-se vana che ritornino le condizioni favorevoli per la sali-ta al Fitz Roy, la mia montagna. La vita qui si risolve inun'attesa indifferente e senza tempo. Solo soffro il pesodi una compagnia noiosa e soprattutto il peso di dover-mi sempre trascinar dietro in ogni tentativo due indivi-dui se non tecnicamente, certo moralmente inetti adogni genere di vero alpinismo e soprattutto a questemontagne.Poiché più di quant'altre io abbia conosciuto, questemontagne richiedono forza morale, solidarietà a tuttaprova, spirito di sacrificio e di rinuncia ad ogni non in-dispensabile benessere e soprattutto decisione e rapiditàdi esecuzione. Il clima sempre incerto e variabile, ilvento quasi incessante, le formidabili difficoltà tecnichedi ghiaccio e di roccia e soprattutto le costruzioni estre-mamente ripide e ardite da ogni versante e le incrosta-

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gliamo nella nostra cordata come un amico.Ma queste montagne di ghiaccio non mi interessano:non posso sentire l'ascensione come un'impresa mia: lasalita si risolve in una marcia più o meno faticosa, gi-rando ed evitando crepacci e seraccate: per me ha il solosenso di una meta panoramica e poiché c'è nebbia e ven-to la salita non ha scopo. Vado solo per accompagnare icompagni e li seguo passivamente. Il Fitz Roy apparetra gli squarci di nubi superbamente impennato e gran-dioso. Ci arrestiamo a bivaccare in una buca nella neve:il giorno dopo nella tormenta ridiscendiamo. Il ritornomi è del tutto indifferente: la gita aveva il solo scopo ditrascorrere alcune giornate in attesa e nella speranza for-se vana che ritornino le condizioni favorevoli per la sali-ta al Fitz Roy, la mia montagna. La vita qui si risolve inun'attesa indifferente e senza tempo. Solo soffro il pesodi una compagnia noiosa e soprattutto il peso di dover-mi sempre trascinar dietro in ogni tentativo due indivi-dui se non tecnicamente, certo moralmente inetti adogni genere di vero alpinismo e soprattutto a questemontagne.Poiché più di quant'altre io abbia conosciuto, questemontagne richiedono forza morale, solidarietà a tuttaprova, spirito di sacrificio e di rinuncia ad ogni non in-dispensabile benessere e soprattutto decisione e rapiditàdi esecuzione. Il clima sempre incerto e variabile, ilvento quasi incessante, le formidabili difficoltà tecnichedi ghiaccio e di roccia e soprattutto le costruzioni estre-mamente ripide e ardite da ogni versante e le incrosta-

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zioni di ghiaccio impastate dal vento sopra pareti verti-cali, fanno di queste montagne quanto di più formidabil-mente difeso io abbia avuto occasione di vedere e alcu-ne di esse, come il Cerro Torre, danno la più spaventosaimpressione di assoluta inaccessibilità con mezzi natura-li, anche a chi come me è abituato a vedere sempre unaipotetica possibilità in ogni monte e in ogni versante.Per vincere queste montagne ci vuole una forza moralee una forza di volontà di una cordata di eccezione e sonconvinto che solo se arriverò a liberarmi degli inutilifardelli e ad aver piena libertà d'azione con Titta, potròriuscire a realizzare qualche vera impresa e non qualchesciocca buffonata.

11 febbraio. È strano come la salita del Doblado non miabbia dato alcuna soddisfazione né alcuna gioia. Eppureè una bella cima, importante, l'unica cima della Cordil-lera Patagonica, che sia stata finora conquistatadall'uomo. E se ciò ancora non era sufficiente a darmisoddisfazione nel mio rapporto assoluto e personale conla montagna, aggiungerò che la salita non è stata del tut-to facile, ha avuto tratti assai interessanti, è stata un po'strappata di forza nella violenza del vento e che vi hopartecipato attivamente e vivamente. Eppure quando invetta Titta mi ha chiesto se ero soddisfatto, il mio sìstentato, certo non ha potuto nascondere la mia perfettaindifferenza per quella calotta nevosa che non riusciva adarmi alcun interesse, che non potevo sentire come mia.Il mio occhio cercava continuamente tra le folate di neb-

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zioni di ghiaccio impastate dal vento sopra pareti verti-cali, fanno di queste montagne quanto di più formidabil-mente difeso io abbia avuto occasione di vedere e alcu-ne di esse, come il Cerro Torre, danno la più spaventosaimpressione di assoluta inaccessibilità con mezzi natura-li, anche a chi come me è abituato a vedere sempre unaipotetica possibilità in ogni monte e in ogni versante.Per vincere queste montagne ci vuole una forza moralee una forza di volontà di una cordata di eccezione e sonconvinto che solo se arriverò a liberarmi degli inutilifardelli e ad aver piena libertà d'azione con Titta, potròriuscire a realizzare qualche vera impresa e non qualchesciocca buffonata.

11 febbraio. È strano come la salita del Doblado non miabbia dato alcuna soddisfazione né alcuna gioia. Eppureè una bella cima, importante, l'unica cima della Cordil-lera Patagonica, che sia stata finora conquistatadall'uomo. E se ciò ancora non era sufficiente a darmisoddisfazione nel mio rapporto assoluto e personale conla montagna, aggiungerò che la salita non è stata del tut-to facile, ha avuto tratti assai interessanti, è stata un po'strappata di forza nella violenza del vento e che vi hopartecipato attivamente e vivamente. Eppure quando invetta Titta mi ha chiesto se ero soddisfatto, il mio sìstentato, certo non ha potuto nascondere la mia perfettaindifferenza per quella calotta nevosa che non riusciva adarmi alcun interesse, che non potevo sentire come mia.Il mio occhio cercava continuamente tra le folate di neb-

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bia, l'ineguagliabile architettura del Fitz Roy che appari-va da qui come un ciclopico cono di roccia appuntito earditissimo che si erge d'un solo balzo per 2300 metrisopra la valle ghiacciata. Quando potrò ritornare a lui?Alla mia croda meravigliosa?

22 febbraio. Brutto tempo stabile, pioggia e neve quasiininterrotta per giorni e giorni. La convivenza con Aldoal campo diveniva insopportabile: la tensione semprepiù irritante per tutti e due. La giornata assonnata eoziosa mi era interminabile. Ho offerto a Titta di dedica-re alcuni giorni in una passeggiata al Lago S. Martin.Ma ha rifiutato: effettivamente lui cerca l'ascensione perl'ascensione: il resto non gli interessa. Leo invece ha ac-cettato con piacere e il suo desiderio di vedere e di co-noscere lo fa un buon compagno di gita e di viaggio.Qui non si sente più quella sua mancanza di decisione,di volontà e di spirito di sacrificio che lo rendono inettoa una grande ascensione: lui cerca l'avventura dell'igno-to, ma l'avventura comoda: forse vorrebbe anchel'avventura eroica, ma non ha la forza d'animo sufficien-te. Così ce n'andammo a zonzo alcuni giorni, a cavallo ea piedi, per valli, laghi e boschi meravigliosi. Pioggia ebassi velari di nubi nascondevano i monti: il nostro eraun vagare cieco, seguendo il sentiero che ci guidava at-traverso paesaggi continuamente nuovi. Nulla di tuttoquesto era segnato sulle carte: la nostra gita aveva tuttoil sapore avventuroso di un viaggio di esplorazione. Aun tratto ci affacciamo verso il Lago S. Martin: il tempo

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bia, l'ineguagliabile architettura del Fitz Roy che appari-va da qui come un ciclopico cono di roccia appuntito earditissimo che si erge d'un solo balzo per 2300 metrisopra la valle ghiacciata. Quando potrò ritornare a lui?Alla mia croda meravigliosa?

22 febbraio. Brutto tempo stabile, pioggia e neve quasiininterrotta per giorni e giorni. La convivenza con Aldoal campo diveniva insopportabile: la tensione semprepiù irritante per tutti e due. La giornata assonnata eoziosa mi era interminabile. Ho offerto a Titta di dedica-re alcuni giorni in una passeggiata al Lago S. Martin.Ma ha rifiutato: effettivamente lui cerca l'ascensione perl'ascensione: il resto non gli interessa. Leo invece ha ac-cettato con piacere e il suo desiderio di vedere e di co-noscere lo fa un buon compagno di gita e di viaggio.Qui non si sente più quella sua mancanza di decisione,di volontà e di spirito di sacrificio che lo rendono inettoa una grande ascensione: lui cerca l'avventura dell'igno-to, ma l'avventura comoda: forse vorrebbe anchel'avventura eroica, ma non ha la forza d'animo sufficien-te. Così ce n'andammo a zonzo alcuni giorni, a cavallo ea piedi, per valli, laghi e boschi meravigliosi. Pioggia ebassi velari di nubi nascondevano i monti: il nostro eraun vagare cieco, seguendo il sentiero che ci guidava at-traverso paesaggi continuamente nuovi. Nulla di tuttoquesto era segnato sulle carte: la nostra gita aveva tuttoil sapore avventuroso di un viaggio di esplorazione. Aun tratto ci affacciamo verso il Lago S. Martin: il tempo

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si schiarisce improvvisamente e una superba Cordilleradi picchi grandiosi e ghiacciati ci si schiera di fronte.Un'enorme ghiacciaio nero e seraccato, estremo lembosettentrionale dell'altipiano ghiacciato continentale,scende maestoso fino a tuffarsi nel lago. L'azzurrodell'acqua sorride in contrasto coi cupi e ripidissimifianchi che lo serrano d'ambo i lati. Dopo 15 km unasottile cordonata morenica lo sbarra come una diga: solouno stretto rio è riuscito a scavarsi un varco lateralmentee a sfociare nella continuazione del lago. Raramente hogoduto di uno spettacolo così strano e pittoresco.Sulla piccola penisola morenica è la piccola estancia diGomez, che ci accoglie con la tradizionale ospitalità pa-tagonica. È lui solo a godersi tanta meraviglia di paesag-gio; vive solo la maggior parte dell'anno, distante parec-chie ore di cavallo dall'essere umano più vicino, isolatoda una cordillera insuperabile dalla sua patria e da unconfine e una barriera doganale da ogni naturale sboccoverso l'Argentina. Per vendere le sue lane deve chiedereun permesso speciale a Buenos Aires o lasciarsi strozza-re da profittatori e contrabbandieri. Eppure vive lì da 9anni e non ha alcuna intenzione di andarsene: passa leserate suonando sul grammofono il suo repertorio di di-schi che ormai deve sapere a memoria: non è né un bru-to né un filosofo, né un lama tibetano, ma un uomo nor-malissimo, civile e gentile, abbastanza giovane e intelli-gente per potersi fare una strada in qualsiasi parte delmondo. Eppure è felice là nella sua solitudine, con lesue pecore. La sua vita sembra un mistero o una con-

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si schiarisce improvvisamente e una superba Cordilleradi picchi grandiosi e ghiacciati ci si schiera di fronte.Un'enorme ghiacciaio nero e seraccato, estremo lembosettentrionale dell'altipiano ghiacciato continentale,scende maestoso fino a tuffarsi nel lago. L'azzurrodell'acqua sorride in contrasto coi cupi e ripidissimifianchi che lo serrano d'ambo i lati. Dopo 15 km unasottile cordonata morenica lo sbarra come una diga: solouno stretto rio è riuscito a scavarsi un varco lateralmentee a sfociare nella continuazione del lago. Raramente hogoduto di uno spettacolo così strano e pittoresco.Sulla piccola penisola morenica è la piccola estancia diGomez, che ci accoglie con la tradizionale ospitalità pa-tagonica. È lui solo a godersi tanta meraviglia di paesag-gio; vive solo la maggior parte dell'anno, distante parec-chie ore di cavallo dall'essere umano più vicino, isolatoda una cordillera insuperabile dalla sua patria e da unconfine e una barriera doganale da ogni naturale sboccoverso l'Argentina. Per vendere le sue lane deve chiedereun permesso speciale a Buenos Aires o lasciarsi strozza-re da profittatori e contrabbandieri. Eppure vive lì da 9anni e non ha alcuna intenzione di andarsene: passa leserate suonando sul grammofono il suo repertorio di di-schi che ormai deve sapere a memoria: non è né un bru-to né un filosofo, né un lama tibetano, ma un uomo nor-malissimo, civile e gentile, abbastanza giovane e intelli-gente per potersi fare una strada in qualsiasi parte delmondo. Eppure è felice là nella sua solitudine, con lesue pecore. La sua vita sembra un mistero o una con-

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danna: o è la natura che con la sua ricchezza inesauribileè ragione sufficiente di vita e di felicità anche nellagrande solitudine? O l'ignoranza della sua stupida vita?Anche Martin Bierg diceva che gli anni in Patagoniapassano tanto presto, che ci si trova ad averne molti die-tro le spalle senza che ci si sia accorti del loro trascorre-re. Forse perché qui l'uomo ritrova la sua vera vita, cheè bastare a se stesso, che è la solidarietà col prossimonella lotta contro la Natura avversa e scatenata, e nonlotta col prossimo e distruzione di ogni bene e idealeumano; che è soprattutto verità e amore e non ipocrisia eodio, come nella vita borghese.

27 febbraio, Rio Gallegos. Vigliacco! Sì, vigliacco: hoabbandonato il terreno senza neppur aver lottato; ho ce-duto passivamente agli altri, abbandonando ciò che sen-tivo così intimamente come mio, per altre mete che nonmi interessano.Con Leo avevo deciso di fermarmi più a lungo al LagoViedma lasciando partire Aldo e Titta e rinunciando aeventuali e ipotetiche salite in Cile. La neve che conti-nuava a cadere abbondantemente rendeva assurda lasperanza di fare ancora qualche cosa al Lago Viedma:ma se l'alpinista facesse solo quel che è ragionevole perprima cosa non andrebbe in montagna. Io sentivo quellemontagne come mie, ormai le conoscevo e mi sarebbebastato qualche giorno di buon tempo per compierequalche salita, che mi desse quella soddisfazione ch'iocercavo ora così avidamente e di cui avevo così biso-

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danna: o è la natura che con la sua ricchezza inesauribileè ragione sufficiente di vita e di felicità anche nellagrande solitudine? O l'ignoranza della sua stupida vita?Anche Martin Bierg diceva che gli anni in Patagoniapassano tanto presto, che ci si trova ad averne molti die-tro le spalle senza che ci si sia accorti del loro trascorre-re. Forse perché qui l'uomo ritrova la sua vera vita, cheè bastare a se stesso, che è la solidarietà col prossimonella lotta contro la Natura avversa e scatenata, e nonlotta col prossimo e distruzione di ogni bene e idealeumano; che è soprattutto verità e amore e non ipocrisia eodio, come nella vita borghese.

27 febbraio, Rio Gallegos. Vigliacco! Sì, vigliacco: hoabbandonato il terreno senza neppur aver lottato; ho ce-duto passivamente agli altri, abbandonando ciò che sen-tivo così intimamente come mio, per altre mete che nonmi interessano.Con Leo avevo deciso di fermarmi più a lungo al LagoViedma lasciando partire Aldo e Titta e rinunciando aeventuali e ipotetiche salite in Cile. La neve che conti-nuava a cadere abbondantemente rendeva assurda lasperanza di fare ancora qualche cosa al Lago Viedma:ma se l'alpinista facesse solo quel che è ragionevole perprima cosa non andrebbe in montagna. Io sentivo quellemontagne come mie, ormai le conoscevo e mi sarebbebastato qualche giorno di buon tempo per compierequalche salita, che mi desse quella soddisfazione ch'iocercavo ora così avidamente e di cui avevo così biso-

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gno. Mi sembrava che se mi fossi liberato dalla compa-gnia di Aldo, se fossi rimasto col solo Leo, alpinistica-mente nullo, mi sarei di nuovo sentito solo, avrei di nuo-vo posseduto quella libertà che solo la solitudine puòdare e nella gioia della libertà avrei ritrovato la forza divolere forse anche l'impossibile. Il Fitz Roy mi è statoveramente vicino solo nei momenti in cui mi trovavosolo di fronte a lui e fin dal primo giorno avevo sentitoche doveva essere una conquista mia e tutta mia. Perquesto io volevo rimanere: per questo io dovevo rimane-re. Titta invece ha insistito per andare in Cile, nella spe-ranza di poter ancora fare qualche cosa, affinché il risul-tato di questo viaggio non fosse del tutto negativo e nonpotendo fare nulla da solo e meno ancora con Aldo, hainsistito perché venissimo anche noi. Io ho la convinzio-ne che non si farà nulla, perché non son montagne que-ste che si possano salire di colpo e la stagione è troppoavanzata per permetterci le necessarie ricognizioni e ilnecessario lento approccio materiale e morale a questenuove montagne. Eppure non ho saputo rifiutare all'ami-co, non ho saputo di fronte a lui sostenere l'apparente-mente assurdo contro l'apparentemente ragionevole. Perlui son partito: mi pareva doveroso non sciogliermidall'amico che mi era stato così strettamente unito nellacordata.Vigliacco: e un nodo di pianto mi serrava la gola comequel giorno sulla spalla del Fitz Roy, quando i compagnimi costrinsero al ritorno, che io presentivo fin d'alloracome definitivo. Sconfitta? Peggio: vigliaccheria della

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gno. Mi sembrava che se mi fossi liberato dalla compa-gnia di Aldo, se fossi rimasto col solo Leo, alpinistica-mente nullo, mi sarei di nuovo sentito solo, avrei di nuo-vo posseduto quella libertà che solo la solitudine puòdare e nella gioia della libertà avrei ritrovato la forza divolere forse anche l'impossibile. Il Fitz Roy mi è statoveramente vicino solo nei momenti in cui mi trovavosolo di fronte a lui e fin dal primo giorno avevo sentitoche doveva essere una conquista mia e tutta mia. Perquesto io volevo rimanere: per questo io dovevo rimane-re. Titta invece ha insistito per andare in Cile, nella spe-ranza di poter ancora fare qualche cosa, affinché il risul-tato di questo viaggio non fosse del tutto negativo e nonpotendo fare nulla da solo e meno ancora con Aldo, hainsistito perché venissimo anche noi. Io ho la convinzio-ne che non si farà nulla, perché non son montagne que-ste che si possano salire di colpo e la stagione è troppoavanzata per permetterci le necessarie ricognizioni e ilnecessario lento approccio materiale e morale a questenuove montagne. Eppure non ho saputo rifiutare all'ami-co, non ho saputo di fronte a lui sostenere l'apparente-mente assurdo contro l'apparentemente ragionevole. Perlui son partito: mi pareva doveroso non sciogliermidall'amico che mi era stato così strettamente unito nellacordata.Vigliacco: e un nodo di pianto mi serrava la gola comequel giorno sulla spalla del Fitz Roy, quando i compagnimi costrinsero al ritorno, che io presentivo fin d'alloracome definitivo. Sconfitta? Peggio: vigliaccheria della

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fuga.

Ancora tutta la «meseta»: riconosciamo il cammino giàpercorso a ogni svolta, a ogni guado, a ogni casa. Bran-chi di guanachi galoppanti o al pascolo insieme alle pe-core, torme di struzzi, voli di anitre e di otarde, lepri econigli, un armadillo, sono l'unica diversione nelle lun-ghe ore di auto attraverso la steppa. Poiché per i capriccidi Aldo abbiamo rinunciato anche all'ultimo progetto, diandare direttamente a Magellano attraversando tutta laregione dei laghi. Ormai che ho abdicato ad ogni miavolontà, ormai che ho rinunciato a ciò che più mi impor-tava, tutto il resto mi è affatto indifferente.Non so ancora come andrà a finire questa commedia.All'episodio del Rio de las Vueltas avevo già sentito chela rottura sarebbe divenuta inevitabile; peccato solo chenon si sia verificata subito, ché il nostro soggiorno inmontagna sarebbe stato più gradevole e più conclusivo.Invece è avvenuta solo ieri a Piedrabuena. Ogni giornol'urto con Aldo diveniva più acuto: ogni volta ch'io apri-vo bocca voltava ostentatamente le spalle o rispondevacon insolenza. Ieri si è sfogato lamentandosi di un muc-chio di cose immaginarie, sfalsando come d'abitudineatti e parole. Gli ho detto con tutta calma che ero dispo-sto a rimborsargli fino all'ultimo centesimo le spese cheaveva fatto per me, ma che non ero disposto a lasciarmiinsolentire tutto il giorno. Finalmente si decise a dichia-rare che non voleva più continuare con me e che oggiqui avrebbe sciolto la compagnia. Gli risposi che avreb-

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fuga.

Ancora tutta la «meseta»: riconosciamo il cammino giàpercorso a ogni svolta, a ogni guado, a ogni casa. Bran-chi di guanachi galoppanti o al pascolo insieme alle pe-core, torme di struzzi, voli di anitre e di otarde, lepri econigli, un armadillo, sono l'unica diversione nelle lun-ghe ore di auto attraverso la steppa. Poiché per i capriccidi Aldo abbiamo rinunciato anche all'ultimo progetto, diandare direttamente a Magellano attraversando tutta laregione dei laghi. Ormai che ho abdicato ad ogni miavolontà, ormai che ho rinunciato a ciò che più mi impor-tava, tutto il resto mi è affatto indifferente.Non so ancora come andrà a finire questa commedia.All'episodio del Rio de las Vueltas avevo già sentito chela rottura sarebbe divenuta inevitabile; peccato solo chenon si sia verificata subito, ché il nostro soggiorno inmontagna sarebbe stato più gradevole e più conclusivo.Invece è avvenuta solo ieri a Piedrabuena. Ogni giornol'urto con Aldo diveniva più acuto: ogni volta ch'io apri-vo bocca voltava ostentatamente le spalle o rispondevacon insolenza. Ieri si è sfogato lamentandosi di un muc-chio di cose immaginarie, sfalsando come d'abitudineatti e parole. Gli ho detto con tutta calma che ero dispo-sto a rimborsargli fino all'ultimo centesimo le spese cheaveva fatto per me, ma che non ero disposto a lasciarmiinsolentire tutto il giorno. Finalmente si decise a dichia-rare che non voleva più continuare con me e che oggiqui avrebbe sciolto la compagnia. Gli risposi che avreb-

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be potuto decidersi al Lago Viedma, invece di insistereper farci partire per il Cile; ma poiché in Cile ci venivoper Titta e non per lui, era poi lo stesso, e se avessi potu-to andare senza di lui, tanto meglio. Evidentemente spe-rava ch'io tornassi solo in Italia, battuto e umiliato si ac-corse troppo tardi della solidarietà degli altri due com-pagni verso di me e che se dovevamo separarci, chi do-veva tornar da solo in Italia, sarebbe stato lui, facendociuna figura assai meschina. Ora, dopo tanti parolonigrossi, e dopo che Titta gli ha detto di non fare il bambi-no (!), vista la mala parata, pare che abbia intenzione dirimangiarsi tutto, è tutto ammansito e gentile perfinocon me, e viene a Magellano con noi, con l'intenzione(pare) di proseguire per il Nord. Ne avrei fatto a menovolentieri della sua compagnia, che ci guasterà anchel'ultima parte di questo viaggio: ma tanto è lo stesso,poiché con la partenza dal Lago Viedma ho rinunciato aqualsiasi speranza di poter concludere qualcosa quaggiùe tutto mi è ormai indifferente.Con Aldo sono ormai del tutto libero, e anche lui mi èora indifferente: non ci parliamo e ci ignoriamo recipro-camente. La solidarietà risoluta dei due compagni versodi me, ha dimostrato a lui e a tutti che nel nostro dissi-dio il torto non era dalla mia parte. Forse a lui rimane ilrancore della sconfitta, della ritirata umiliante e della fi-gura fatta. A me rimane solo il dispiacere che l'immensaricchezza di questo viaggio non sia stata accompagnata,come avrebbe potuto e dovuto, da eguale serenità.

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be potuto decidersi al Lago Viedma, invece di insistereper farci partire per il Cile; ma poiché in Cile ci venivoper Titta e non per lui, era poi lo stesso, e se avessi potu-to andare senza di lui, tanto meglio. Evidentemente spe-rava ch'io tornassi solo in Italia, battuto e umiliato si ac-corse troppo tardi della solidarietà degli altri due com-pagni verso di me e che se dovevamo separarci, chi do-veva tornar da solo in Italia, sarebbe stato lui, facendociuna figura assai meschina. Ora, dopo tanti parolonigrossi, e dopo che Titta gli ha detto di non fare il bambi-no (!), vista la mala parata, pare che abbia intenzione dirimangiarsi tutto, è tutto ammansito e gentile perfinocon me, e viene a Magellano con noi, con l'intenzione(pare) di proseguire per il Nord. Ne avrei fatto a menovolentieri della sua compagnia, che ci guasterà anchel'ultima parte di questo viaggio: ma tanto è lo stesso,poiché con la partenza dal Lago Viedma ho rinunciato aqualsiasi speranza di poter concludere qualcosa quaggiùe tutto mi è ormai indifferente.Con Aldo sono ormai del tutto libero, e anche lui mi èora indifferente: non ci parliamo e ci ignoriamo recipro-camente. La solidarietà risoluta dei due compagni versodi me, ha dimostrato a lui e a tutti che nel nostro dissi-dio il torto non era dalla mia parte. Forse a lui rimane ilrancore della sconfitta, della ritirata umiliante e della fi-gura fatta. A me rimane solo il dispiacere che l'immensaricchezza di questo viaggio non sia stata accompagnata,come avrebbe potuto e dovuto, da eguale serenità.

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21 febbraio, Oceano Pacifico. Mare, ancora mare (tra-sferimento in mare per il Cile). Che senso di pace e diimmensità sconfinata! E come tutta la nostra vita e lenostre cose paiono piccole e meschine di fronte a tantaimmensità! Dopo il vento e il freddo della Patagonia,dopo le burrasche di Magellano, oggi mi trovo improv-visamente nel mare aperto e calmo come l'oceano. Frot-te di isolotti rotondi e coperti di bosco emergono dalleacque, come un'immensa regione montuosa inondatadall'oceano, da cui emergono solo gli estremi cocuzzoli.La nave si destreggia sfiorando scogli e isolotti. Il solecala lontano, tuffandosi nel mare luminoso di riflessi dirame, mentre dal lato opposto un vulcano tutto bianco dineve si spegne in una rosea foschia. La notte è chiara distelle: la luna si riflette nel mare con una grande strisciaargentea. Col lento beccheggio della nave, pare che tuttala volta celeste dondoli sopra di noi cullandoci. Pace, si-lenzio, riposo, immensità. Non si pensa più a nulla per-duti nel vuoto infinito.

Dall'inverno di Magellano, siamo tornati all'autunno,all'estate: dai ghiacci flottanti nei canali, alle palme, aifrutteti carichi, ai fiori. Il Cerro S. Lucia, breve cocuz-zolo di verzura che sorge nel mezzo della città, è tuttoun giardino, con vialetti e sentieri che s'inerpicano tra idirupi fioriti. La città si stende ai piedi, dilagando vastaverso le montagne. Nel fondo, leggermente velata di unaluce diffusa, diafana e irreale, la cupola bianca del Ne-vado del Plomo. La montagna è lontana, sembra quasi

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21 febbraio, Oceano Pacifico. Mare, ancora mare (tra-sferimento in mare per il Cile). Che senso di pace e diimmensità sconfinata! E come tutta la nostra vita e lenostre cose paiono piccole e meschine di fronte a tantaimmensità! Dopo il vento e il freddo della Patagonia,dopo le burrasche di Magellano, oggi mi trovo improv-visamente nel mare aperto e calmo come l'oceano. Frot-te di isolotti rotondi e coperti di bosco emergono dalleacque, come un'immensa regione montuosa inondatadall'oceano, da cui emergono solo gli estremi cocuzzoli.La nave si destreggia sfiorando scogli e isolotti. Il solecala lontano, tuffandosi nel mare luminoso di riflessi dirame, mentre dal lato opposto un vulcano tutto bianco dineve si spegne in una rosea foschia. La notte è chiara distelle: la luna si riflette nel mare con una grande strisciaargentea. Col lento beccheggio della nave, pare che tuttala volta celeste dondoli sopra di noi cullandoci. Pace, si-lenzio, riposo, immensità. Non si pensa più a nulla per-duti nel vuoto infinito.

Dall'inverno di Magellano, siamo tornati all'autunno,all'estate: dai ghiacci flottanti nei canali, alle palme, aifrutteti carichi, ai fiori. Il Cerro S. Lucia, breve cocuz-zolo di verzura che sorge nel mezzo della città, è tuttoun giardino, con vialetti e sentieri che s'inerpicano tra idirupi fioriti. La città si stende ai piedi, dilagando vastaverso le montagne. Nel fondo, leggermente velata di unaluce diffusa, diafana e irreale, la cupola bianca del Ne-vado del Plomo. La montagna è lontana, sembra quasi

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un miraggio: domani vado ad essa, ma senza convinzio-ne: troppo la sento lontana dopo tanto tempo di ozio ab-bandonato, senza volontà e senza slancio. So che daròtutte le mie forze per riuscire, ma so anche che non riu-scirò, poiché non è più possibile che qualche cosa mipossa più riuscire in questo viaggio assurdo. È forse inun mese di vuoto o nell'insufficienza morale dei compa-gni che posso ritrovare ancora quell'impeto giovanile diqualche anno fa, e che sarebbe ora necessario per trion-fare in pochi giorni su un colosso di 5400 m, che ha re-sistito a tanti attacchi di gente allenata e preparata? An-cora non si è convinti dell'assurdità di voler improvvisa-re un'ascensione su queste montagne, come fossero leguglie delle Dolomiti?

2 aprile, Jumcal. Invece questa volta si erano realizzatele condizioni necessarie per darmi la vittoria e avevo ri-trovato con Titta la mia cordata. Questa volta non è statoun ritorno o una rinuncia, è stata una sconfitta. Eppuremi ha dato più gioia questa sconfitta di tante altre vitto-rie, perché qui finalmente avevo ritrovato me stesso, horiscattato la vigliaccheria delle rinunce in Patagonia, lot-tando con tutte le mie forze, fin dove l'impossibile mi hafermato. Il primo giorno, a soli 3000 m, già un cerchiodi ferro mi stringeva la testa e mi dava spossatezza: an-cora una volta si doveva riconoscere l'assurdità di volertentare una montagna difficile di 5400 m, con un mesedi mare per tutta preparazione. Ma il giorno dopo già sa-livo a 4000 metri senza fatica. Il mattino del tentativo il

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un miraggio: domani vado ad essa, ma senza convinzio-ne: troppo la sento lontana dopo tanto tempo di ozio ab-bandonato, senza volontà e senza slancio. So che daròtutte le mie forze per riuscire, ma so anche che non riu-scirò, poiché non è più possibile che qualche cosa mipossa più riuscire in questo viaggio assurdo. È forse inun mese di vuoto o nell'insufficienza morale dei compa-gni che posso ritrovare ancora quell'impeto giovanile diqualche anno fa, e che sarebbe ora necessario per trion-fare in pochi giorni su un colosso di 5400 m, che ha re-sistito a tanti attacchi di gente allenata e preparata? An-cora non si è convinti dell'assurdità di voler improvvisa-re un'ascensione su queste montagne, come fossero leguglie delle Dolomiti?

2 aprile, Jumcal. Invece questa volta si erano realizzatele condizioni necessarie per darmi la vittoria e avevo ri-trovato con Titta la mia cordata. Questa volta non è statoun ritorno o una rinuncia, è stata una sconfitta. Eppuremi ha dato più gioia questa sconfitta di tante altre vitto-rie, perché qui finalmente avevo ritrovato me stesso, horiscattato la vigliaccheria delle rinunce in Patagonia, lot-tando con tutte le mie forze, fin dove l'impossibile mi hafermato. Il primo giorno, a soli 3000 m, già un cerchiodi ferro mi stringeva la testa e mi dava spossatezza: an-cora una volta si doveva riconoscere l'assurdità di volertentare una montagna difficile di 5400 m, con un mesedi mare per tutta preparazione. Ma il giorno dopo già sa-livo a 4000 metri senza fatica. Il mattino del tentativo il

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tempo pare cambiare: ciò offre a Aldo la scusa per rima-nere in tenda. Presto comincia a nevicare: saliamo senzaconvinzione fino a 4000 metri a portare rifornimenti epresto siamo di ritorno. Il sole splende di nuovo nel po-meriggio e la neve sparisce rapidamente. Il mattino se-guente anche Leo rinuncia. Mi sentivo così felice di sa-lire nel mattino sfolgorante di luce, senza la zavorra deicompagni inetti, col sacco leggero, con Titta che sentivocosì vicino e così deciso. Mi pareva di essere un altro, diritrovare quel me stesso che da tanto tempo non sapevopiù riconoscere, tutto voglioso di azione e di lotta, tuttosmanioso di vittoria. Ancora una volta mi pareva chenessun ostacolo mi avrebbe potuto fermare e già sentivola cima, distante ancora 2000 metri così vicina e cosìmia. Abbandoniamo la ferramenta, abbandoniamo lescarpe chiodate, per diminuire il nostro forte carico; ab-bandoniamo quasi tutti i viveri: ci pare tutto inutile eche la nostra volontà di vittoria deve bastare a condurciin vetta senza bisogno di aiuti. Saliamo lenti, misurandole nostre forze che ci dovranno sorreggere per 3-4 giorniad altezze a cui non siamo abituati; sostiamo ansimanti,preoccupati di non stancarci; eppure l'altimetro sale ra-pidamente. A 4000 metri ci leghiamo: attacco la partepiù ripida e più problematica di tutta la cresta: una fes-sura strapiombante mi fa ansimare; poi rocce facili: pro-cediamo lenti ma continui. Ecco che anche l'altro saltoha il suo punto debole: un diedro verticale con buoni ap-pigli. Mi pareva di aver ritrovato lo slancio del SassMaor o del Focobon, che sapeva infrangere ogni ostaco-

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tempo pare cambiare: ciò offre a Aldo la scusa per rima-nere in tenda. Presto comincia a nevicare: saliamo senzaconvinzione fino a 4000 metri a portare rifornimenti epresto siamo di ritorno. Il sole splende di nuovo nel po-meriggio e la neve sparisce rapidamente. Il mattino se-guente anche Leo rinuncia. Mi sentivo così felice di sa-lire nel mattino sfolgorante di luce, senza la zavorra deicompagni inetti, col sacco leggero, con Titta che sentivocosì vicino e così deciso. Mi pareva di essere un altro, diritrovare quel me stesso che da tanto tempo non sapevopiù riconoscere, tutto voglioso di azione e di lotta, tuttosmanioso di vittoria. Ancora una volta mi pareva chenessun ostacolo mi avrebbe potuto fermare e già sentivola cima, distante ancora 2000 metri così vicina e cosìmia. Abbandoniamo la ferramenta, abbandoniamo lescarpe chiodate, per diminuire il nostro forte carico; ab-bandoniamo quasi tutti i viveri: ci pare tutto inutile eche la nostra volontà di vittoria deve bastare a condurciin vetta senza bisogno di aiuti. Saliamo lenti, misurandole nostre forze che ci dovranno sorreggere per 3-4 giorniad altezze a cui non siamo abituati; sostiamo ansimanti,preoccupati di non stancarci; eppure l'altimetro sale ra-pidamente. A 4000 metri ci leghiamo: attacco la partepiù ripida e più problematica di tutta la cresta: una fes-sura strapiombante mi fa ansimare; poi rocce facili: pro-cediamo lenti ma continui. Ecco che anche l'altro saltoha il suo punto debole: un diedro verticale con buoni ap-pigli. Mi pareva di aver ritrovato lo slancio del SassMaor o del Focobon, che sapeva infrangere ogni ostaco-

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lo, che sapeva trovare la chiave del passaggio anche nel-le muraglie che parevano più inaccessibili. Mi sentocosì in alto e così felice e sento in Titta una così perfettarispondenza, che ormai sono sicuro della vittoria. Laprima Torre è raggiunta: la parte più ripida della cresta èsuperata. Sono appena le 3 e abbiamo già salito 1.350m: forse la vittoria sarà anche più facile e più rapida diquanto avessimo osato sperare.Quando un intaglio improvviso e inaspettato ci sbarrò lastrada, ne restai sorpreso; non mi pareva possibile chequalcosa venisse ancora a frapporsi fra me e la meta, orache credevo di aver ritrovato in me quella volontà di vit-toria che sempre mi aveva fatto trionfare di ogni più au-dace impresa. Non cercai neppure di forzare, non soloperché mi è parso subito vano ogni sforzo, ma soprattut-to perché quell'ostacolo mi diceva chiaramente che ilmio cammino era finito. Ritorno rapido per evitare unbivacco, che realmente temevo per il freddo eccessivo:ritorno non umiliato, ma quasi festoso, perché questavolta avevo finalmente lottato, avevo dato quanto era inme di dare. E nella mia ritrovata sensazione di essere enella ritrovata padronanza di me stesso e della mia cro-da, mi sentivo di nuovo agile, sciolto e leggero; in 3 oreavevamo ridisceso i 1.300 metri di cresta.Non mi sentivo battuto, ora che avevo ritrovato il con-tatto con la montagna e il dominio di essa, e già guarda-vo dove avrei potuto tentare nuovamente questo enormecolosso roccioso, che già sentivo così mio, che avevasaputo rieccitare il mio spirito agonistico, fino a fissare

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lo, che sapeva trovare la chiave del passaggio anche nel-le muraglie che parevano più inaccessibili. Mi sentocosì in alto e così felice e sento in Titta una così perfettarispondenza, che ormai sono sicuro della vittoria. Laprima Torre è raggiunta: la parte più ripida della cresta èsuperata. Sono appena le 3 e abbiamo già salito 1.350m: forse la vittoria sarà anche più facile e più rapida diquanto avessimo osato sperare.Quando un intaglio improvviso e inaspettato ci sbarrò lastrada, ne restai sorpreso; non mi pareva possibile chequalcosa venisse ancora a frapporsi fra me e la meta, orache credevo di aver ritrovato in me quella volontà di vit-toria che sempre mi aveva fatto trionfare di ogni più au-dace impresa. Non cercai neppure di forzare, non soloperché mi è parso subito vano ogni sforzo, ma soprattut-to perché quell'ostacolo mi diceva chiaramente che ilmio cammino era finito. Ritorno rapido per evitare unbivacco, che realmente temevo per il freddo eccessivo:ritorno non umiliato, ma quasi festoso, perché questavolta avevo finalmente lottato, avevo dato quanto era inme di dare. E nella mia ritrovata sensazione di essere enella ritrovata padronanza di me stesso e della mia cro-da, mi sentivo di nuovo agile, sciolto e leggero; in 3 oreavevamo ridisceso i 1.300 metri di cresta.Non mi sentivo battuto, ora che avevo ritrovato il con-tatto con la montagna e il dominio di essa, e già guarda-vo dove avrei potuto tentare nuovamente questo enormecolosso roccioso, che già sentivo così mio, che avevasaputo rieccitare il mio spirito agonistico, fino a fissare

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in essa il mio puntiglio ambizioso e la mia volontà divittoria. È strano: il primo aspetto di questi monti miaveva lasciato così freddo, quasi ostile: quegli eternivalloni brulli e monotoni senza vista e senza vita, serratifra altissimi fianchi di petraia rossastra, senza un albero,senza un filo d'erba, senza un animale, mi dava un sensodi tristezza e di desolazione che non mi poteva dare nes-sun fascino. Lo stesso massiccio del Leones, pur nellasua grandiosità, pur con la sua fantastica parete vertica-le, mi appariva come un ammasso di rocce frantumate,crollanti e repulsive. Quasi per dovere passai in rasse-gna i vari chilometri di parete, ma l'esame di quelle roc-ce sfasciate e ghiacciate mi aveva dato quasi un senso didisgusto, sì da scoraggiare qualsiasi tentativo. Scelsi al-fine la cresta, come la via alpinisticamente più logica,più diretta, più bella, anche se non la più facile. E questamontagna ch'io non volevo neppur tentare, questa mon-tagna a cui son venuto solo per compiacere a Titta, que-sta montagna che mi era parsa così repulsiva, appena at-taccata potei sentirla così intimamente mia, sì che ilsemplice tentativo fallito, potè darmi la maggior soddi-sfazione alpinistica ch'io ebbi in tutto il viaggio.Ora tutto è finito, la partenza è decisa: ritornerò mai alLeones? Mentre sento sempre così vivo il fascino per laPatagonia, per i suoi monti, per la sua vita, per le suetempeste, quello del Leones rimane un puntiglio o pocopiù che un capriccio, un desiderio di spuntarla nella par-tita: un sentimento quindi piuttosto vano, che va semprepiù perdendo la sua forza nella mia vita attuale, che va

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in essa il mio puntiglio ambizioso e la mia volontà divittoria. È strano: il primo aspetto di questi monti miaveva lasciato così freddo, quasi ostile: quegli eternivalloni brulli e monotoni senza vista e senza vita, serratifra altissimi fianchi di petraia rossastra, senza un albero,senza un filo d'erba, senza un animale, mi dava un sensodi tristezza e di desolazione che non mi poteva dare nes-sun fascino. Lo stesso massiccio del Leones, pur nellasua grandiosità, pur con la sua fantastica parete vertica-le, mi appariva come un ammasso di rocce frantumate,crollanti e repulsive. Quasi per dovere passai in rasse-gna i vari chilometri di parete, ma l'esame di quelle roc-ce sfasciate e ghiacciate mi aveva dato quasi un senso didisgusto, sì da scoraggiare qualsiasi tentativo. Scelsi al-fine la cresta, come la via alpinisticamente più logica,più diretta, più bella, anche se non la più facile. E questamontagna ch'io non volevo neppur tentare, questa mon-tagna a cui son venuto solo per compiacere a Titta, que-sta montagna che mi era parsa così repulsiva, appena at-taccata potei sentirla così intimamente mia, sì che ilsemplice tentativo fallito, potè darmi la maggior soddi-sfazione alpinistica ch'io ebbi in tutto il viaggio.Ora tutto è finito, la partenza è decisa: ritornerò mai alLeones? Mentre sento sempre così vivo il fascino per laPatagonia, per i suoi monti, per la sua vita, per le suetempeste, quello del Leones rimane un puntiglio o pocopiù che un capriccio, un desiderio di spuntarla nella par-tita: un sentimento quindi piuttosto vano, che va semprepiù perdendo la sua forza nella mia vita attuale, che va

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sempre più decisamente orientandosi verso la luce el'Amore superiore. Questo viaggio infatti non ha fattoche confermare più decisamente che mai l'orientamentodelle Mésules.

8 aprile. Mare, ancora il mare con la sua infinita ric-chezza di luci e di vita. Nella notte nera, le stelle brilla-no, piccole e luminose. Uno specchio di luna scherzadietro le nubi, quasi onde di velluto nero, iridatod'argento. La prua della nave taglia potente l'onda: laspuma biancheggia nella notte riflettendo con bagliorifugaci le mille luci della nave. E poi l'incanto di Rio,della sua baia, dei suoi monti, della sua vegetazione tro-picale. In me un senso di nostalgia e di tristezza per tut-to quello che ho lasciato, un senso di solitudine in mez-zo a molta gente che mi è del tutto indifferente e che midà noia, perché non mi lascia neppur star solo con lamia solitudine. E non posso non pensare quanto era piùbella la baia di Rio vista dal ponte più alto con la Sig.raRanieri, quanto erano più ricche quelle notti vissute ac-canto a lei. Forse non vi è nulla di più dolce e nulla chefaccia tanto bene, quanto la comprensione intima e pro-fonda di due anime umane. Oggi sono stanco di solitudi-ne, sono stanco di questi mesi passati sopportando uncompagno che odiavo e due compagni indifferenti. E hoquasi rimorso di aver vissuto così solo un'avventura cosìricca come questo viaggio, un'avventura che avrebbepotuto essere così profondamente umana e che invecemi ha reso più che mai selvaggio e ribelle contro il mio

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sempre più decisamente orientandosi verso la luce el'Amore superiore. Questo viaggio infatti non ha fattoche confermare più decisamente che mai l'orientamentodelle Mésules.

8 aprile. Mare, ancora il mare con la sua infinita ric-chezza di luci e di vita. Nella notte nera, le stelle brilla-no, piccole e luminose. Uno specchio di luna scherzadietro le nubi, quasi onde di velluto nero, iridatod'argento. La prua della nave taglia potente l'onda: laspuma biancheggia nella notte riflettendo con bagliorifugaci le mille luci della nave. E poi l'incanto di Rio,della sua baia, dei suoi monti, della sua vegetazione tro-picale. In me un senso di nostalgia e di tristezza per tut-to quello che ho lasciato, un senso di solitudine in mez-zo a molta gente che mi è del tutto indifferente e che midà noia, perché non mi lascia neppur star solo con lamia solitudine. E non posso non pensare quanto era piùbella la baia di Rio vista dal ponte più alto con la Sig.raRanieri, quanto erano più ricche quelle notti vissute ac-canto a lei. Forse non vi è nulla di più dolce e nulla chefaccia tanto bene, quanto la comprensione intima e pro-fonda di due anime umane. Oggi sono stanco di solitudi-ne, sono stanco di questi mesi passati sopportando uncompagno che odiavo e due compagni indifferenti. E hoquasi rimorso di aver vissuto così solo un'avventura cosìricca come questo viaggio, un'avventura che avrebbepotuto essere così profondamente umana e che invecemi ha reso più che mai selvaggio e ribelle contro il mio

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prossimo, più che mai insofferente di questa nostra vitacosì vana e così vuota.

29 aprile. Mann, Novalis, Maeterlinck, Tagore, Kipling:fa bene, pur nella distrazione svagata della vita di bordo,ritrovare il contatto con la cultura, dopo tanti mesi di as-senza e di inattività mentale, con compagni con cui nonera possibile trovare alcun contatto di cultura o di pen-siero men che banale. Lo stesso senso di risveglio ap-passionato che ho trovato in poche battute di Beethovensentite occasionalmente in un cinematografo, o quandonei boschi della Patagonia ripetevo un canto di Dante ouna lirica di Rilke. E mi pareva che anche ciò che sape-vo a memoria avesse un senso così nuovo, una profondi-tà sconosciuta fino allora, un'umanità così vera. La vocestessa con cui le pronunciavo non aveva più quell'enfasicantante, che cercava solo l'armonia del verso, ma erasolo un parlato così intimamente vero e sentito, che illu-minava la poesia di una luce tutta nuova. Come tutto ècambiato in me dopo le Mésules! Mi sforzo sempre ditrovare in me quello che avevo sempre conosciuto pri-ma, e invece in ogni aspetto della mia vita e del mio es-sere, mi ritrovo così profondamente diverso, quasi danon riconoscermi. È ben ora ormai che io accetti questonuovo orientamento, tanto più profondamente umano, dicui avevo avuto la sensazione nell'ora stessa passata sul-le Mésules, e concordemente ad esso io orienti il cam-mino della mia vita. È ora di por fine al dubbio,all'incertezza, al bivio e di seguire quella strada su cui

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prossimo, più che mai insofferente di questa nostra vitacosì vana e così vuota.

29 aprile. Mann, Novalis, Maeterlinck, Tagore, Kipling:fa bene, pur nella distrazione svagata della vita di bordo,ritrovare il contatto con la cultura, dopo tanti mesi di as-senza e di inattività mentale, con compagni con cui nonera possibile trovare alcun contatto di cultura o di pen-siero men che banale. Lo stesso senso di risveglio ap-passionato che ho trovato in poche battute di Beethovensentite occasionalmente in un cinematografo, o quandonei boschi della Patagonia ripetevo un canto di Dante ouna lirica di Rilke. E mi pareva che anche ciò che sape-vo a memoria avesse un senso così nuovo, una profondi-tà sconosciuta fino allora, un'umanità così vera. La vocestessa con cui le pronunciavo non aveva più quell'enfasicantante, che cercava solo l'armonia del verso, ma erasolo un parlato così intimamente vero e sentito, che illu-minava la poesia di una luce tutta nuova. Come tutto ècambiato in me dopo le Mésules! Mi sforzo sempre ditrovare in me quello che avevo sempre conosciuto pri-ma, e invece in ogni aspetto della mia vita e del mio es-sere, mi ritrovo così profondamente diverso, quasi danon riconoscermi. È ben ora ormai che io accetti questonuovo orientamento, tanto più profondamente umano, dicui avevo avuto la sensazione nell'ora stessa passata sul-le Mésules, e concordemente ad esso io orienti il cam-mino della mia vita. È ora di por fine al dubbio,all'incertezza, al bivio e di seguire quella strada su cui

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ormai mi trovo con tutti e due i piedi, rinunciando persempre a quella vita, che, anche se mi dava più gioia,ormai non è più mia. Non volevo staccarmi da quellastrada luminosa e su cui camminavo tanto dritto e tantosicuro, forse per nostalgia, forse per pigrizia di non do-ver ricominciare tutto da capo. Mi pare che questo mioorientamento attuale sia ancora tutto da scoprire, da stu-diare, da riconoscere: non so ancora vederci chiaro inesso, non so ancora dove mi dovrà portare, non so anco-ra se non esigerà un cambiamento radicale in tutta lamia vita, anche esteriore. Dovrò proprio giungere finoalla liquidazione totale di quello che è stata la mia vitafino ad oggi? Il periodo eroico, il periodo di Siegfried, ècerto definitivamente chiuso ma questo mio orientamen-to verso una più profonda umanità, verso l'amore, forselogica evoluzione della natura umana, è essa un'evolu-zione verso l'alto, verso un amore superiore e mistico daParsifal, o è semplicemente un ritorno alla realtà dellavita comune, una necessità di rientrare nel consorzioumano? Potrò ancora guardare il mondo dall'alto dellamia solitudine, o dovrò mescolarmi a quel consorzio, dacui tuttora rifuggo e la cui vita mi sembra tanto meschi-na, gretta e inutile? Probabilmente né l'uno né l'altro; mase dovessi dire oggi qual'è la mia concezione della vita edella personalità umana, a cui dovrei orientare il mioideale e la mia vita pratica, certo non lo saprei definire.

Domani rientro in patria: ritorno senza gioia e senza tri-stezza: l'inattività, l'ozio forzato di due mesi, dopo la

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ormai mi trovo con tutti e due i piedi, rinunciando persempre a quella vita, che, anche se mi dava più gioia,ormai non è più mia. Non volevo staccarmi da quellastrada luminosa e su cui camminavo tanto dritto e tantosicuro, forse per nostalgia, forse per pigrizia di non do-ver ricominciare tutto da capo. Mi pare che questo mioorientamento attuale sia ancora tutto da scoprire, da stu-diare, da riconoscere: non so ancora vederci chiaro inesso, non so ancora dove mi dovrà portare, non so anco-ra se non esigerà un cambiamento radicale in tutta lamia vita, anche esteriore. Dovrò proprio giungere finoalla liquidazione totale di quello che è stata la mia vitafino ad oggi? Il periodo eroico, il periodo di Siegfried, ècerto definitivamente chiuso ma questo mio orientamen-to verso una più profonda umanità, verso l'amore, forselogica evoluzione della natura umana, è essa un'evolu-zione verso l'alto, verso un amore superiore e mistico daParsifal, o è semplicemente un ritorno alla realtà dellavita comune, una necessità di rientrare nel consorzioumano? Potrò ancora guardare il mondo dall'alto dellamia solitudine, o dovrò mescolarmi a quel consorzio, dacui tuttora rifuggo e la cui vita mi sembra tanto meschi-na, gretta e inutile? Probabilmente né l'uno né l'altro; mase dovessi dire oggi qual'è la mia concezione della vita edella personalità umana, a cui dovrei orientare il mioideale e la mia vita pratica, certo non lo saprei definire.

Domani rientro in patria: ritorno senza gioia e senza tri-stezza: l'inattività, l'ozio forzato di due mesi, dopo la

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partenza dalla Patagonia, e il tedio della vita di bordo midanno ora un'indifferenza assoluta, acciecano in unaspecie di letargo ogni sensibilità e ogni attività. Pensoalla vita che mi attende, alla ripresa del mio lavoro,all'estate in montagna, ormai vicina, agli amici che ritro-verò e che mi daranno ancora una volta il bene del loroaffetto e della loro comprensione, ma vi penso senzaquella gioia che dovrei provare a ritrovare la mia vita etutto ciò che è mio dopo tanti mesi di solitudine e diozio, e vi penso senza quel senso di meschinità e di di-sgusto che provavo in Patagonia ricordando la nostravita europea. Ora non ho che indifferenza. Tanto più chenon so come mi ritroverò ora in quella che fu la miavita, non so neppure se in essa cercherò una ripresadell'attività, o una liquidazione totale per orientarmi ver-so mete del tutto diverse.

20 giugno. Ho ridato vita al mio lavoro al punto in cuil'avevo lasciato. E il mio lavoro era a quel punto, comese l'avessi interrotto la sera prima, ma io che lo ripren-devo dopo la lunga parentesi non ero più a quel punto.Più avanti? Più indietro? Non so; certo molto lontano.Non so ancora dove andrò a finire. Certo, a volte credodi capire, poi penso che non c'è niente di vero. Probabil-mente lo sbocco di questa crisi sarà in un rinnovamentototale di me stesso e della mia vita; forse ancora unavolta dovrò ricominciare tutto da capo. Ma perché? Inogni modo ciò che oggi mi preoccupa è esclusivamentel'interrogativo di me stesso. Ogni altra cosa mi è indiffe-

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partenza dalla Patagonia, e il tedio della vita di bordo midanno ora un'indifferenza assoluta, acciecano in unaspecie di letargo ogni sensibilità e ogni attività. Pensoalla vita che mi attende, alla ripresa del mio lavoro,all'estate in montagna, ormai vicina, agli amici che ritro-verò e che mi daranno ancora una volta il bene del loroaffetto e della loro comprensione, ma vi penso senzaquella gioia che dovrei provare a ritrovare la mia vita etutto ciò che è mio dopo tanti mesi di solitudine e diozio, e vi penso senza quel senso di meschinità e di di-sgusto che provavo in Patagonia ricordando la nostravita europea. Ora non ho che indifferenza. Tanto più chenon so come mi ritroverò ora in quella che fu la miavita, non so neppure se in essa cercherò una ripresadell'attività, o una liquidazione totale per orientarmi ver-so mete del tutto diverse.

20 giugno. Ho ridato vita al mio lavoro al punto in cuil'avevo lasciato. E il mio lavoro era a quel punto, comese l'avessi interrotto la sera prima, ma io che lo ripren-devo dopo la lunga parentesi non ero più a quel punto.Più avanti? Più indietro? Non so; certo molto lontano.Non so ancora dove andrò a finire. Certo, a volte credodi capire, poi penso che non c'è niente di vero. Probabil-mente lo sbocco di questa crisi sarà in un rinnovamentototale di me stesso e della mia vita; forse ancora unavolta dovrò ricominciare tutto da capo. Ma perché? Inogni modo ciò che oggi mi preoccupa è esclusivamentel'interrogativo di me stesso. Ogni altra cosa mi è indiffe-

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rente. Anche il ritrovare gli amici non mi ha dato nessu-na gioia.È passato di qui Battista, ma non l'ho potuto vedere; èpassato Bruno, sempre eguale, sempre forte della sua in-genuità improvvisatrice. Si allena per andare all'Eiger eci si mette d'impegno. Mi ha detto di andare con lui, maio ho rifiutato. Due anni fa sarei andato all'attacco con lacertezza che ne sarei arrivato in cima con quella stessasemplicità con cui risolvevo ogni problema. Oggi non loposso più; non perché abbia paura, ma perché so cheoggi non potrei avere una grande vittoria; non le diffi-coltà tecniche o la mia incapacità fisica mi rigetterebbe-ro, ma una circostanza esteriore, come alla seconda ter-razza della Marmolada o alla spalla del Fitz Roy. Comeuna volta sembrava che l'ostacolo si annientasse sul miocammino prima ancora ch'io lo affrontassi, così oggil'ostacolo si erge prima ancora ch'io inizi la lotta. Battu-to, senza neppure aver lottato.Sono andato alla Presolana ad arrampicare; una crestaqualunque; mi sentivo molto giù d'allenamento, moltofiacco, ma la mia tecnica mi bastava per superare qual-che passaggio anche abbastanza difficile. Ma non era ladifficoltà ch'io temevo; mi sembrava che ad ogni mo-mento su quella cresta dovesse rizzarsi un ostacolo in-sormontabile e finché non son stato in cima, mi chiede-vo continuamente con una curiosità tra ironica e incre-dula, se sarei arrivato in vetta. Da quattro domenicheora, per una circostanza o per l'altra, non son più andatoin montagna; anche nelle piccole cose, nelle minime, è

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rente. Anche il ritrovare gli amici non mi ha dato nessu-na gioia.È passato di qui Battista, ma non l'ho potuto vedere; èpassato Bruno, sempre eguale, sempre forte della sua in-genuità improvvisatrice. Si allena per andare all'Eiger eci si mette d'impegno. Mi ha detto di andare con lui, maio ho rifiutato. Due anni fa sarei andato all'attacco con lacertezza che ne sarei arrivato in cima con quella stessasemplicità con cui risolvevo ogni problema. Oggi non loposso più; non perché abbia paura, ma perché so cheoggi non potrei avere una grande vittoria; non le diffi-coltà tecniche o la mia incapacità fisica mi rigetterebbe-ro, ma una circostanza esteriore, come alla seconda ter-razza della Marmolada o alla spalla del Fitz Roy. Comeuna volta sembrava che l'ostacolo si annientasse sul miocammino prima ancora ch'io lo affrontassi, così oggil'ostacolo si erge prima ancora ch'io inizi la lotta. Battu-to, senza neppure aver lottato.Sono andato alla Presolana ad arrampicare; una crestaqualunque; mi sentivo molto giù d'allenamento, moltofiacco, ma la mia tecnica mi bastava per superare qual-che passaggio anche abbastanza difficile. Ma non era ladifficoltà ch'io temevo; mi sembrava che ad ogni mo-mento su quella cresta dovesse rizzarsi un ostacolo in-sormontabile e finché non son stato in cima, mi chiede-vo continuamente con una curiosità tra ironica e incre-dula, se sarei arrivato in vetta. Da quattro domenicheora, per una circostanza o per l'altra, non son più andatoin montagna; anche nelle piccole cose, nelle minime, è

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tutta una serie di contrarietà, di nessun conto, ma noninsignificanti. E come potrebbe essere altrimenti? Comepotrebbe andarmi bene qualche cosa, dal momento cheho rinunziato ad ogni iniziativa, al controllo di me stes-so e della mia vita? Dal momento che rimango inerte adattendere l'evento, invece di essere io a crearmelo?L'altra sera ho suonato la Walchiria con uno slancio euna partecipazione come da molto tempo non mi avve-niva; da un paio d'anni infatti non riuscivo più a prendersul serio questi eroi wagneriani, mi sembravano deidonchisciotte di cartapesta, che sbraitavano a vuoto.Nulla infatti di più ridicolo dell'eroismo wagneriano, seanziché accettarlo immedesimandosi, lo si piglia sottouna fredda critica obbiettiva e realistica. Ma se l'altrasera ho ritrovato in tutta la sua grandezza lo slancioeroico di Siegmund, ciò vuol dire che questo slancio inme non è ancora spento. E perché non debbo più saperritrovare questo slancio d'azione, di volontà e di domi-nio anche su una parete verticale? Perché debbo lasciarmorire nell'inerzia dell'apatia e del dubbio quello chec'era di più bello in me: la mia sicurezza e la mia fran-chezza rettilinea? Forse basterebbe una chiara vittorianella vita o sulla croda, per rimettermi in arcione, perpermettermi di rialzare la testa e di fissare il mio sguar-do dritto in avanti. Ma la troverò questa vittoria? Nesarò capace o ne sarò degno?

6 luglio. Sono passati di qui Bruno e Battista nello stes-so giorno; che contrasto: Bruno in partenza per la sua

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tutta una serie di contrarietà, di nessun conto, ma noninsignificanti. E come potrebbe essere altrimenti? Comepotrebbe andarmi bene qualche cosa, dal momento cheho rinunziato ad ogni iniziativa, al controllo di me stes-so e della mia vita? Dal momento che rimango inerte adattendere l'evento, invece di essere io a crearmelo?L'altra sera ho suonato la Walchiria con uno slancio euna partecipazione come da molto tempo non mi avve-niva; da un paio d'anni infatti non riuscivo più a prendersul serio questi eroi wagneriani, mi sembravano deidonchisciotte di cartapesta, che sbraitavano a vuoto.Nulla infatti di più ridicolo dell'eroismo wagneriano, seanziché accettarlo immedesimandosi, lo si piglia sottouna fredda critica obbiettiva e realistica. Ma se l'altrasera ho ritrovato in tutta la sua grandezza lo slancioeroico di Siegmund, ciò vuol dire che questo slancio inme non è ancora spento. E perché non debbo più saperritrovare questo slancio d'azione, di volontà e di domi-nio anche su una parete verticale? Perché debbo lasciarmorire nell'inerzia dell'apatia e del dubbio quello chec'era di più bello in me: la mia sicurezza e la mia fran-chezza rettilinea? Forse basterebbe una chiara vittorianella vita o sulla croda, per rimettermi in arcione, perpermettermi di rialzare la testa e di fissare il mio sguar-do dritto in avanti. Ma la troverò questa vittoria? Nesarò capace o ne sarò degno?

6 luglio. Sono passati di qui Bruno e Battista nello stes-so giorno; che contrasto: Bruno in partenza per la sua

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impresa, ricco di entusiasmo spensierato, grande ragaz-zone sereno e limpido come un ruscello di montagna.Battista con la noia deprimente di un mese di serviziomilitare, con la profondità e la complessità dei suoi se-condi piani e delle sue quinte, illuminate spesso conlampi improvvisi di certe sue frasi così spontanee, sem-plici e così grandi che rivelano tutto il suo essere, acuta-mente sensibile. Avevo quasi paura di non ritrovare piùcon lui, dopo tanti mesi, quel senso di intesa e di reci-proca comprensione profonda, che si era creato nellepoche giornate vissute insieme tra i monti. Avevo pauradi provare anche per lui l'indifferenza che avevo provatoper gli altri amici di Milano. Mi è bastato l'espressionedel suo sguardo, qualche suo atto timidamente trattenu-to, qualche mezza frase quasi strappata dal bisogno for-se inconscio di dire tutto se stesso a chi può comprende-re, per sentire quanto mi sia ancora vicino, quanto mifaccia bene la sua sincerità, e come Battista sia ormai ilpiù vero, forse l'unico vero amico nel più completo sen-so della parola ch'io ancora possegga; l'unico che mipossa dare col suo affetto un vero bene, l'unico che mipossa dare con la sua comprensione un appoggio mora-le, l'unico a cui potrei dire senza reticenze tutto me stes-so.

16 ottobre. L'inerzia mi ha accompagnato in montagna.Andavo ad arrampicare quasi per forza di abitudine,perché c'ero sempre andato e non c'era nessuna ragionech'io non ci andassi anche quest'anno; ci andavo per non

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impresa, ricco di entusiasmo spensierato, grande ragaz-zone sereno e limpido come un ruscello di montagna.Battista con la noia deprimente di un mese di serviziomilitare, con la profondità e la complessità dei suoi se-condi piani e delle sue quinte, illuminate spesso conlampi improvvisi di certe sue frasi così spontanee, sem-plici e così grandi che rivelano tutto il suo essere, acuta-mente sensibile. Avevo quasi paura di non ritrovare piùcon lui, dopo tanti mesi, quel senso di intesa e di reci-proca comprensione profonda, che si era creato nellepoche giornate vissute insieme tra i monti. Avevo pauradi provare anche per lui l'indifferenza che avevo provatoper gli altri amici di Milano. Mi è bastato l'espressionedel suo sguardo, qualche suo atto timidamente trattenu-to, qualche mezza frase quasi strappata dal bisogno for-se inconscio di dire tutto se stesso a chi può comprende-re, per sentire quanto mi sia ancora vicino, quanto mifaccia bene la sua sincerità, e come Battista sia ormai ilpiù vero, forse l'unico vero amico nel più completo sen-so della parola ch'io ancora possegga; l'unico che mipossa dare col suo affetto un vero bene, l'unico che mipossa dare con la sua comprensione un appoggio mora-le, l'unico a cui potrei dire senza reticenze tutto me stes-so.

16 ottobre. L'inerzia mi ha accompagnato in montagna.Andavo ad arrampicare quasi per forza di abitudine,perché c'ero sempre andato e non c'era nessuna ragionech'io non ci andassi anche quest'anno; ci andavo per non

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dover confessare a me stesso e agli altri che quest'annonon avevo voglia di andarci, perch'io non ero più io,quasi per un residuo di ambizione di dover svolgere unacerta attività alpinistica per tener alto il mio nome. Na-turalmente non è così per forza, senza voglia né volontà,o per ragioni di prestigio personale, che si può raggiun-gere la vittoria in montagna. Ci andavo fidando chel'inerzia residua della mia capacità tecnica e della miaesperienza mi portasse in cima, augurandomi continua-mente di non incontrare una difficoltà che mi impegnas-se seriamente. Temevo la difficoltà non per la paura dicadere, ma per la paura di dovermi impegnare; poichésapevo di andar bene finché mi portavano i miei mezzifisici, ma se un passaggio richiedeva la spinta dell'auda-cia e della volontà di vincere, queste mi mancavano e,se non potevo piantare un chiodo, altro non mi rimanevache retrocedere. Andavo a tentare salite celebri in tuttele zone delle Alpi, ben sapendo di trovarle assai menodifficili della loro fama. Ma se per caso incontravo unpassaggio veramente difficile, lo studiavo lungamenteinvano fino a persuadermi che non c'era modo di aggi-rarlo, né di piantar chiodi, fino a stancarmi, ma non midecidevo a provarmici, quantunque lo vedessi benissimoe avessi un'assicurazione poco sotto, solo per mancanzadi slancio e di decisione. È così che invece di riuscirmitutte le salite, come ero abituato (o viziato) un tempo,quest'anno me ne riuscivano regolarmente una sì e unano. È così che son tornato indietro non solo nei tentatividi parecchie vie nuove (Punta Guglielmina, parete della

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dover confessare a me stesso e agli altri che quest'annonon avevo voglia di andarci, perch'io non ero più io,quasi per un residuo di ambizione di dover svolgere unacerta attività alpinistica per tener alto il mio nome. Na-turalmente non è così per forza, senza voglia né volontà,o per ragioni di prestigio personale, che si può raggiun-gere la vittoria in montagna. Ci andavo fidando chel'inerzia residua della mia capacità tecnica e della miaesperienza mi portasse in cima, augurandomi continua-mente di non incontrare una difficoltà che mi impegnas-se seriamente. Temevo la difficoltà non per la paura dicadere, ma per la paura di dovermi impegnare; poichésapevo di andar bene finché mi portavano i miei mezzifisici, ma se un passaggio richiedeva la spinta dell'auda-cia e della volontà di vincere, queste mi mancavano e,se non potevo piantare un chiodo, altro non mi rimanevache retrocedere. Andavo a tentare salite celebri in tuttele zone delle Alpi, ben sapendo di trovarle assai menodifficili della loro fama. Ma se per caso incontravo unpassaggio veramente difficile, lo studiavo lungamenteinvano fino a persuadermi che non c'era modo di aggi-rarlo, né di piantar chiodi, fino a stancarmi, ma non midecidevo a provarmici, quantunque lo vedessi benissimoe avessi un'assicurazione poco sotto, solo per mancanzadi slancio e di decisione. È così che invece di riuscirmitutte le salite, come ero abituato (o viziato) un tempo,quest'anno me ne riuscivano regolarmente una sì e unano. È così che son tornato indietro non solo nei tentatividi parecchie vie nuove (Punta Guglielmina, parete della

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Sciora di Fuori, C. d'Ambiez), ma anche su vie già per-corse da altri, come sulla fessura Deye della Torre diRiofreddo, dove in tre ore di tentativi non ho saputo tro-vare la decisione di buttarmi su una paretina di pochimetri, di cui del resto vedevo benissimo il passaggio.Nella stessa situazione mi son trovato alla fessura Knu-bel del Grépon dove non sapevo decidermi a superareun passaggio di un metro, che vedevo benissimo: alfinemi ci son buttato non per reale volontà di vincere l'osta-colo, ma solo per onor di firma, e come il topo che nonosa attraversare una camera, ma scivola lungo i muri,così anch'io mi son tenuto così ben attaccato alle corde,che quando avevo già quasi superato il passaggio, mi èmancata la corda e son volato via. Quella stessa baldan-za, quella bramosia di osare, quella sicurezza di vinceresempre ogni ostacolo, che mi avevano guidato e soste-nuto in tutte le mie lunghe campagne alpinistiche, eranoproprio ciò che mi mancava ora, proprio ora che la miatecnica ed esperienza alpinistica hanno raggiunto la loropiena maturità.Eppure proprio il giorno che maggiormente ho sentitoquesto vuoto è stato il giorno che ho saputo raggiungerel'unica mia vera vittoria di quest'anno. Ritornavodall'insuccesso alla Parete della Sciora di Fuori e mi do-mandavo se valeva la pena ch'io insistessi ancora inun'attività che non mi poteva portare più ad alcun risul-tato; sentivo vivamente che l'alpinismo era divenuto perme una parola vuota, o almeno troppo povera per poter-mi dare una sufficiente soddisfazione, se disgiunta

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Sciora di Fuori, C. d'Ambiez), ma anche su vie già per-corse da altri, come sulla fessura Deye della Torre diRiofreddo, dove in tre ore di tentativi non ho saputo tro-vare la decisione di buttarmi su una paretina di pochimetri, di cui del resto vedevo benissimo il passaggio.Nella stessa situazione mi son trovato alla fessura Knu-bel del Grépon dove non sapevo decidermi a superareun passaggio di un metro, che vedevo benissimo: alfinemi ci son buttato non per reale volontà di vincere l'osta-colo, ma solo per onor di firma, e come il topo che nonosa attraversare una camera, ma scivola lungo i muri,così anch'io mi son tenuto così ben attaccato alle corde,che quando avevo già quasi superato il passaggio, mi èmancata la corda e son volato via. Quella stessa baldan-za, quella bramosia di osare, quella sicurezza di vinceresempre ogni ostacolo, che mi avevano guidato e soste-nuto in tutte le mie lunghe campagne alpinistiche, eranoproprio ciò che mi mancava ora, proprio ora che la miatecnica ed esperienza alpinistica hanno raggiunto la loropiena maturità.Eppure proprio il giorno che maggiormente ho sentitoquesto vuoto è stato il giorno che ho saputo raggiungerel'unica mia vera vittoria di quest'anno. Ritornavodall'insuccesso alla Parete della Sciora di Fuori e mi do-mandavo se valeva la pena ch'io insistessi ancora inun'attività che non mi poteva portare più ad alcun risul-tato; sentivo vivamente che l'alpinismo era divenuto perme una parola vuota, o almeno troppo povera per poter-mi dare una sufficiente soddisfazione, se disgiunta

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dall'interesse esplorativo di una compilazione di guide odi regioni sconosciute.Partiamo con comodo dal rifugio e ci avviamo con pas-so da passeggiata per la lunga traversata di morene eghiacciai: cammino come un automa distratto da questipensieri: poi ci sdraiamo al sole sui bei lastroni di grani-to quasi non avessimo alcuna meta per la giornata. Maproprio allora io mi risentii una volontà d'azione, qualequest'anno non avevo ancora provato e persuasi Vitaledi andare a vedere l'attacco dello Spigolo della S. Anna.Io invece ero ben deciso ad attaccare la parete del Badi-le e quasi mi stupivo che Bramani guardasse continua-mente alla S. Anna, mentre io non guardavo che al Ba-dile. È stato forse questa segretezza nelle intenzioni enella decisione che mi ha fatto sentire l'impresa così ap-passionatamente mia; è stato forse l'aver attaccato la pa-rete alla 1 di pomeriggio e l'averla voluta attaccare quasisenza ammettere discussioni, nonostante l'opposizionedi Vitale che non ne aveva voglia e non ne voleva sape-re, che mi hanno ridestato quel senso di avventura, cer-cata e voluta, quell'audacia di gettarsi allo sbaraglio,malgrado le circostanze avverse, quella sicurezza di riu-scita o almeno di saper degnamente lottare, che mi per-metteva di imporre la mia volontà sufficientemente forteper bastare all'impresa, anche se priva della solidarietàdel compagno, che mi seguiva quasi passivamente. Né ilghiaccio che ricopriva la parete, né la continua incertez-za sulla possibilità di proseguire su quelle enormi plac-che di granito, hanno potuto scuotere per un istante la

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dall'interesse esplorativo di una compilazione di guide odi regioni sconosciute.Partiamo con comodo dal rifugio e ci avviamo con pas-so da passeggiata per la lunga traversata di morene eghiacciai: cammino come un automa distratto da questipensieri: poi ci sdraiamo al sole sui bei lastroni di grani-to quasi non avessimo alcuna meta per la giornata. Maproprio allora io mi risentii una volontà d'azione, qualequest'anno non avevo ancora provato e persuasi Vitaledi andare a vedere l'attacco dello Spigolo della S. Anna.Io invece ero ben deciso ad attaccare la parete del Badi-le e quasi mi stupivo che Bramani guardasse continua-mente alla S. Anna, mentre io non guardavo che al Ba-dile. È stato forse questa segretezza nelle intenzioni enella decisione che mi ha fatto sentire l'impresa così ap-passionatamente mia; è stato forse l'aver attaccato la pa-rete alla 1 di pomeriggio e l'averla voluta attaccare quasisenza ammettere discussioni, nonostante l'opposizionedi Vitale che non ne aveva voglia e non ne voleva sape-re, che mi hanno ridestato quel senso di avventura, cer-cata e voluta, quell'audacia di gettarsi allo sbaraglio,malgrado le circostanze avverse, quella sicurezza di riu-scita o almeno di saper degnamente lottare, che mi per-metteva di imporre la mia volontà sufficientemente forteper bastare all'impresa, anche se priva della solidarietàdel compagno, che mi seguiva quasi passivamente. Né ilghiaccio che ricopriva la parete, né la continua incertez-za sulla possibilità di proseguire su quelle enormi plac-che di granito, hanno potuto scuotere per un istante la

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mia fede e la mia sicurezza. Come nelle mie salite piùbelle, come nelle mie giornate più luminose, ancora unavolta potevo inebriarmi nella gioia di quell'arrampicatastupenda. Non sapevo più nulla né della mia crisi, né deimiei dubbi, né del compagno che mi seguiva: ero solonell'immensità di quell'architettura che con una fuga gi-gantesca di placche, si ergeva con slancio gotico verso ilcielo, convergendo nella cuspide luminosa, splendentenell'ultimo sole. Ero io, salivo, salivo sempre: tratto pertratto il passaggio si apriva davanti a me, innominato,difficile, ma sempre possibile, quasi fosse creato di vol-ta in volta dalla mia certezza che il passaggio dovevasempre esserci. Mi sentivo così sicuro quel giorno suquelle enormi placche esposte, aggrappato a quelle sotti-lissime crepe, in cui a stento e dolorosamente riuscivo aficcare le dita col corpo tutto proteso in fuori, alla Dül-fer; e salivo fino al termine della fessura, già sicuro chedove questa moriva nella placca liscia, ne avrei trovatocerto un'altra. È stata questa l'unica salita che io abbiapotuto sentire veramente e intimamente mia, che sia sta-ta condotta con lo slancio di un tempo in un rapportoesclusivo e diretto tra me e la montagna, l'unica quindicondotta con vera purezza di spirito, l'unica quindi chemi abbia potuto dare una vera gioia di vita, di vittoria edi luce. Anche altre salite sono state godute come i ca-mini della cima di Riofreddo, le fessure del Grépon (aparte la Knubel), le placche dei Gemelli: ma nessuna èstata così pienamente e puramente vissuta come la pare-te del Badile.

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mia fede e la mia sicurezza. Come nelle mie salite piùbelle, come nelle mie giornate più luminose, ancora unavolta potevo inebriarmi nella gioia di quell'arrampicatastupenda. Non sapevo più nulla né della mia crisi, né deimiei dubbi, né del compagno che mi seguiva: ero solonell'immensità di quell'architettura che con una fuga gi-gantesca di placche, si ergeva con slancio gotico verso ilcielo, convergendo nella cuspide luminosa, splendentenell'ultimo sole. Ero io, salivo, salivo sempre: tratto pertratto il passaggio si apriva davanti a me, innominato,difficile, ma sempre possibile, quasi fosse creato di vol-ta in volta dalla mia certezza che il passaggio dovevasempre esserci. Mi sentivo così sicuro quel giorno suquelle enormi placche esposte, aggrappato a quelle sotti-lissime crepe, in cui a stento e dolorosamente riuscivo aficcare le dita col corpo tutto proteso in fuori, alla Dül-fer; e salivo fino al termine della fessura, già sicuro chedove questa moriva nella placca liscia, ne avrei trovatocerto un'altra. È stata questa l'unica salita che io abbiapotuto sentire veramente e intimamente mia, che sia sta-ta condotta con lo slancio di un tempo in un rapportoesclusivo e diretto tra me e la montagna, l'unica quindicondotta con vera purezza di spirito, l'unica quindi chemi abbia potuto dare una vera gioia di vita, di vittoria edi luce. Anche altre salite sono state godute come i ca-mini della cima di Riofreddo, le fessure del Grépon (aparte la Knubel), le placche dei Gemelli: ma nessuna èstata così pienamente e puramente vissuta come la pare-te del Badile.

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Così ho tirato avanti l'estate, sfuggendo sempre con unascusa o con l'altra la grande impresa; e quando ai primidi settembre son fuggito in Carnia con la scusa dellanuova guida, ero segretamente felice di poter conside-rarla finita (senza onore e senza infamia) la mia stagionedi arrampicate e di non aver più l'impegno morale difare ascensioni, di cui l'unico stimolo era un insufficien-te residuo d'ambizione. E mi son messo a girar da soloper monti quasi deserti, dormendo nelle malghe e neifienili, tutto preso nell'esplorazione sistematica di questaregione per me del tutto nuova. Quelle ore di camminoper sentieri faticosi, quei dislivelli che tanto mi pesava-no per portarmi agli attacchi delle arrampicate per meprive di interesse, ora si moltiplicavano dall'alba al tra-monto, quasi senza riposo, con un'aderenza così viva alpaesaggio, con una gioia di vivere quelle giornate lumi-nose di autunno in semplice e sincero contatto con la na-tura, che ancora una volta ho dovuto riconoscere piùchiaro che mai quello che avevo visto già sulle Mésules;per me l'alpinismo e la vita stessa non si esplica più nel-la volontà d'azione, ma nell'amore, nella dedizione enella comunione con ciò che so amare; soprattutto laNatura. Come già in Patagonia avevo trovato la felicità,non nell'ascensione del Doblado, ma nella scoperta delversante inesplorato del Fitz Roy o nella gita per boschie per valli al Lago S. Martin, così qui, più in piccolo, hotrovato soddisfazione e il senso della mia attività inmontagna non nella salita dei più arditi picchi delleAlpi, ma nel vagabondaggio senza meta tra i boschi e

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Così ho tirato avanti l'estate, sfuggendo sempre con unascusa o con l'altra la grande impresa; e quando ai primidi settembre son fuggito in Carnia con la scusa dellanuova guida, ero segretamente felice di poter conside-rarla finita (senza onore e senza infamia) la mia stagionedi arrampicate e di non aver più l'impegno morale difare ascensioni, di cui l'unico stimolo era un insufficien-te residuo d'ambizione. E mi son messo a girar da soloper monti quasi deserti, dormendo nelle malghe e neifienili, tutto preso nell'esplorazione sistematica di questaregione per me del tutto nuova. Quelle ore di camminoper sentieri faticosi, quei dislivelli che tanto mi pesava-no per portarmi agli attacchi delle arrampicate per meprive di interesse, ora si moltiplicavano dall'alba al tra-monto, quasi senza riposo, con un'aderenza così viva alpaesaggio, con una gioia di vivere quelle giornate lumi-nose di autunno in semplice e sincero contatto con la na-tura, che ancora una volta ho dovuto riconoscere piùchiaro che mai quello che avevo visto già sulle Mésules;per me l'alpinismo e la vita stessa non si esplica più nel-la volontà d'azione, ma nell'amore, nella dedizione enella comunione con ciò che so amare; soprattutto laNatura. Come già in Patagonia avevo trovato la felicità,non nell'ascensione del Doblado, ma nella scoperta delversante inesplorato del Fitz Roy o nella gita per boschie per valli al Lago S. Martin, così qui, più in piccolo, hotrovato soddisfazione e il senso della mia attività inmontagna non nella salita dei più arditi picchi delleAlpi, ma nel vagabondaggio senza meta tra i boschi e

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gli alti pascoli della Carnia.

Ottobre. Ed ora qui di nuovo nella quiete riposante diTregnago, tanto adatta per un temporeggiare assente,senza che mi richieda alcuna iniziativa. Anchenell'assembramento famigliare e nel chiasso di 10 bam-bini, riuscivo a sentirmi meno estraneo degli altri anni, atrovare anzi un certo affiatamento. Ora, partiti tutti, lacasa è rientrata nel silenzio: profumo di fiori, cinguetta-re di uccelli su tutti gli alberi, caldo di sole, luci e coloridi infinita ricchezza, smaglianti notti di luna: in me cal-ma e serenità di una vita uguale e senza tempo; una pas-seggiata al Monte Cerri, le mie note sulla Carnia, la ven-demmia, Huxley, un po' di pianoforte (ove pure comin-cio a ritrovarmi), sono tutta la mia giornata. E vorrei chequesta serenità autunnale si prolungasse fino a primave-ra: mai come quest'anno, con la mia incertezza e povertàdi vita, ho guardato con ripulsione all'avvicinarsi dellungo grigiore dell'inverno e alla deprimente ipocrisiadell'ambiente cittadino.

28 novembre. Un giorno ho sentito un impulso di leg-gere al pianoforte alcune poesie di Rilke, specialmentequei versi ritmati e armoniosi della storia dei Re Magi,mi bastava di leggerli perché la mia voce scorresse svol-gendo quel ritmo in un fraseggiare melodico, fresco eleggero che pareva legato a quelle parole come fossescritto, tanto era immediato e spontaneo. Appena termi-nato, ho ricominciato da capo; la melodia si è svolta in

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gli alti pascoli della Carnia.

Ottobre. Ed ora qui di nuovo nella quiete riposante diTregnago, tanto adatta per un temporeggiare assente,senza che mi richieda alcuna iniziativa. Anchenell'assembramento famigliare e nel chiasso di 10 bam-bini, riuscivo a sentirmi meno estraneo degli altri anni, atrovare anzi un certo affiatamento. Ora, partiti tutti, lacasa è rientrata nel silenzio: profumo di fiori, cinguetta-re di uccelli su tutti gli alberi, caldo di sole, luci e coloridi infinita ricchezza, smaglianti notti di luna: in me cal-ma e serenità di una vita uguale e senza tempo; una pas-seggiata al Monte Cerri, le mie note sulla Carnia, la ven-demmia, Huxley, un po' di pianoforte (ove pure comin-cio a ritrovarmi), sono tutta la mia giornata. E vorrei chequesta serenità autunnale si prolungasse fino a primave-ra: mai come quest'anno, con la mia incertezza e povertàdi vita, ho guardato con ripulsione all'avvicinarsi dellungo grigiore dell'inverno e alla deprimente ipocrisiadell'ambiente cittadino.

28 novembre. Un giorno ho sentito un impulso di leg-gere al pianoforte alcune poesie di Rilke, specialmentequei versi ritmati e armoniosi della storia dei Re Magi,mi bastava di leggerli perché la mia voce scorresse svol-gendo quel ritmo in un fraseggiare melodico, fresco eleggero che pareva legato a quelle parole come fossescritto, tanto era immediato e spontaneo. Appena termi-nato, ho ricominciato da capo; la melodia si è svolta in

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molti punti differente, ancora più tersa e luminosa, quasiil fluire cristallino di un ruscello alpino. Stavo ad ascol-tare la mia voce, i suoni che le mie dita provocavanoscorrendo la tastiera, con un senso di curiosità, passandodi sorpresa in sorpresa a una così continua varietà e ric-chezza di toni e di riflessi, con cui gli armoniosi versi diRilke si colorivano, come per incanto. Ero completa-mente estraneo alla creazione a cui assistevo ammaliato,a questa nascita spontanea della melodia, a cui la miavoce serviva solo da strumento per concretarsi. Avreivoluto che un disco di fonografo potesse fissare quelmiracolo e ridonarmelo ogni volta che quella serenità mifosse venuta a mancare. Il miracolo non si ripete; la fre-schezza di un attimo, tosto sfiorisce ed è perduta persempre. Quante volte ho cercato di ritrovare quella me-lodia breve e trasparente, non mi è riuscito altro che fra-si grevi ed opache, faticosamente estorte da un ricordotroppo fugace.

Il defluire della vita è come il moto dell'onda; infiniteonde fondono e compenetrano il loro moto a costituirel'eterno divenire del mondo. Come vano sarebbe il cer-care di arrestare l'onda dell'oceano prima ch'essa abbiaraggiunto il vertice o la sua depressione, così vano rie-sce ogni sforzo di voler arrestare la china fatale prima diaver toccato il fondo, prima di essersi purificati attraver-so l'esperienza del dolore, per essere di nuovo degni diascendere verso la luce.Anche la mia vita è sempre stata un ondeggiare periodi-

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molti punti differente, ancora più tersa e luminosa, quasiil fluire cristallino di un ruscello alpino. Stavo ad ascol-tare la mia voce, i suoni che le mie dita provocavanoscorrendo la tastiera, con un senso di curiosità, passandodi sorpresa in sorpresa a una così continua varietà e ric-chezza di toni e di riflessi, con cui gli armoniosi versi diRilke si colorivano, come per incanto. Ero completa-mente estraneo alla creazione a cui assistevo ammaliato,a questa nascita spontanea della melodia, a cui la miavoce serviva solo da strumento per concretarsi. Avreivoluto che un disco di fonografo potesse fissare quelmiracolo e ridonarmelo ogni volta che quella serenità mifosse venuta a mancare. Il miracolo non si ripete; la fre-schezza di un attimo, tosto sfiorisce ed è perduta persempre. Quante volte ho cercato di ritrovare quella me-lodia breve e trasparente, non mi è riuscito altro che fra-si grevi ed opache, faticosamente estorte da un ricordotroppo fugace.

Il defluire della vita è come il moto dell'onda; infiniteonde fondono e compenetrano il loro moto a costituirel'eterno divenire del mondo. Come vano sarebbe il cer-care di arrestare l'onda dell'oceano prima ch'essa abbiaraggiunto il vertice o la sua depressione, così vano rie-sce ogni sforzo di voler arrestare la china fatale prima diaver toccato il fondo, prima di essersi purificati attraver-so l'esperienza del dolore, per essere di nuovo degni diascendere verso la luce.Anche la mia vita è sempre stata un ondeggiare periodi-

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co tra la luce e la tenebra, tra la fermezza e lo smarri-mento.

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co tra la luce e la tenebra, tra la fermezza e lo smarri-mento.

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17 gennaio. Non ho mai voglia di prendere in manoquesto diario, perché non ho nulla da scriverci. Mi paredi trascorrere il mio tempo in una specie di letargo ozio-so, in attesa di non so cosa, forse della rinascita dellamia vita. Inganno il tempo con un lavoro assiduo, meto-dico, calmo; ma il lavoro è senza gioia, perché è senzameta, e la calma è serenità perché è senza ideali.Il mio unico ideale sarebbe di andarmene da qui, lonta-no, lontano da questa atmosfera ammorbante, da questavita sciocca e ipocrita, verso una vita più vera, più viri-le, più umana, come quella della Patagonia. E il mio so-gno è sempre là, ma quanto è lontano; e quanto deboleson io, quando cerco di liberarmi da inutili vincoli bor-ghesi, che ancora mi tengono avvinto a questa vita chenon è per me.Sono andato ancora un paio di giorni in Austria con glisci, non tanto per far gite, ché sapevo che le condizionidella montagna non lo permettevano, ma per respirareun po' d'aria pura dopo un mese di Milano. Ed ecco ilsole rideva tra i boschi e dalle cime ebbre di luce spazia-vo su valli e monti candidi, che si perdevano lontaninell'atmosfera lieve e trasparente. Mi pareva di essereun altro, di ritrovarmi ancora una volta; e nelle agili sci-volate a valle mi lanciavo festante, come di una ritrovatagiovinezza.

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17 gennaio. Non ho mai voglia di prendere in manoquesto diario, perché non ho nulla da scriverci. Mi paredi trascorrere il mio tempo in una specie di letargo ozio-so, in attesa di non so cosa, forse della rinascita dellamia vita. Inganno il tempo con un lavoro assiduo, meto-dico, calmo; ma il lavoro è senza gioia, perché è senzameta, e la calma è serenità perché è senza ideali.Il mio unico ideale sarebbe di andarmene da qui, lonta-no, lontano da questa atmosfera ammorbante, da questavita sciocca e ipocrita, verso una vita più vera, più viri-le, più umana, come quella della Patagonia. E il mio so-gno è sempre là, ma quanto è lontano; e quanto deboleson io, quando cerco di liberarmi da inutili vincoli bor-ghesi, che ancora mi tengono avvinto a questa vita chenon è per me.Sono andato ancora un paio di giorni in Austria con glisci, non tanto per far gite, ché sapevo che le condizionidella montagna non lo permettevano, ma per respirareun po' d'aria pura dopo un mese di Milano. Ed ecco ilsole rideva tra i boschi e dalle cime ebbre di luce spazia-vo su valli e monti candidi, che si perdevano lontaninell'atmosfera lieve e trasparente. Mi pareva di essereun altro, di ritrovarmi ancora una volta; e nelle agili sci-volate a valle mi lanciavo festante, come di una ritrovatagiovinezza.

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La neve era malferma e pericolosa; studiai metro permetro il percorso per evitare la slavina, che il sordo boa-to sotto i miei piedi mi annunciava continuamente.Quando dovetti uscire sul pendio, mi sentii trascinare avalle insieme a tutta la spessa crosta nevosa; mi voltai edopo pochi metri ne ero già uscito lateralmente su terre-no sicuro, e potevo contemplare lo spettacolo di quelladensa fiumana, che scorreva lentamente e si ammassavain fondo, pressandosi in blocchi compatti. Tolsi gli sci eproseguii a piedi; subito dopo fui investito da una se-conda slavina partita 10 metri sopra di me; piantai pro-fondamente gli sci e mi aggrappai ad essi per ancorarmie resistere al peso della neve. Una terza valanga, di piùimponenti dimensioni, si staccò pochi metri davanti ame, appena uscii su un lento pendio. Il pericolo non solomi lasciava calmissimo e perfettamente conscio di quelche dovevo fare, ma anche del tutto indifferente. Il peri-colo non mi ha mai fatto paura; da ragazzo forse era in-coscienza, poi poteva anche essere eroismo, ora è indif-ferenza. Forse sarebbe meglio aver paura, piuttosto chequesta stupida indifferenza. Ma son convinto che il mi-glior modo, forse l'unico di evitare il pericolo, è di nontemerlo; ovverossia esser persuasi che non esiste.

25 marzo. Venendo a casa ho incontrato un gruppo digiovani studenti, sui 15 anni, inquadrati al passo, al co-mando di un coetaneo caposquadra in divisa di avan-guardista. I ragazzi erano evidentemente poco intimiditidall'autorità del compagno coetaneo e parlavano, discu-

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La neve era malferma e pericolosa; studiai metro permetro il percorso per evitare la slavina, che il sordo boa-to sotto i miei piedi mi annunciava continuamente.Quando dovetti uscire sul pendio, mi sentii trascinare avalle insieme a tutta la spessa crosta nevosa; mi voltai edopo pochi metri ne ero già uscito lateralmente su terre-no sicuro, e potevo contemplare lo spettacolo di quelladensa fiumana, che scorreva lentamente e si ammassavain fondo, pressandosi in blocchi compatti. Tolsi gli sci eproseguii a piedi; subito dopo fui investito da una se-conda slavina partita 10 metri sopra di me; piantai pro-fondamente gli sci e mi aggrappai ad essi per ancorarmie resistere al peso della neve. Una terza valanga, di piùimponenti dimensioni, si staccò pochi metri davanti ame, appena uscii su un lento pendio. Il pericolo non solomi lasciava calmissimo e perfettamente conscio di quelche dovevo fare, ma anche del tutto indifferente. Il peri-colo non mi ha mai fatto paura; da ragazzo forse era in-coscienza, poi poteva anche essere eroismo, ora è indif-ferenza. Forse sarebbe meglio aver paura, piuttosto chequesta stupida indifferenza. Ma son convinto che il mi-glior modo, forse l'unico di evitare il pericolo, è di nontemerlo; ovverossia esser persuasi che non esiste.

25 marzo. Venendo a casa ho incontrato un gruppo digiovani studenti, sui 15 anni, inquadrati al passo, al co-mando di un coetaneo caposquadra in divisa di avan-guardista. I ragazzi erano evidentemente poco intimiditidall'autorità del compagno coetaneo e parlavano, discu-

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tevano, ascoltando il caposquadra solo nello scandire ilpasso. Questi, non riuscendo a imporre la disciplina, faun salto avanti, e, in mezzo alla strada e davanti a tuttidà uno scapaccione al primo ragazzo della prima fila. Ilragazzo ha un moto di spontanea reazione, poi, conside-rando la divisa e la momentanea autorità di cui è rivesti-to il compagno, vince lo sdegno che trabocca dal suoviso paonazzo di rabbia. Il caposquadra ridacchia, fierodel suo trionfo e soprattutto di aver dato un bello sca-paccione in pubblico al suo compagno, in un momentoin cui era sicuro che questo non glielo avrebbe potutorestituire. Il pubblico osserva e commenta il gesto. Forsea nessuno però viene in mente di scorgere in questo ge-sto un esempio significativo della vigliaccheria chel'educazione fascista genera nei giovani, rivestendoli didivise e svuotandoli di moralità.

E ancora una volta, sempre più netto e deciso, si delineail mio atteggiamento psichico verso la montagna. Nonpiù l'impresa più o meno eroica, ma il vivere nella mon-tagna e della montagna, fino ad immedesimarsi in essa,fino ad annullarsi in essa.

25 aprile. Una settimana di pace e di solitudine nellaluce della grande montagna, ecco quello che da lungotempo sognavo, quello che solo poteva ricondurmi a ri-trovare me stesso e la felicità. Sì, una settimana fra ighiacci del Monte Bianco, sciando e arrampicando suilunghi ghiacciai silenziosi, sulle rocce solitarie che ap-

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tevano, ascoltando il caposquadra solo nello scandire ilpasso. Questi, non riuscendo a imporre la disciplina, faun salto avanti, e, in mezzo alla strada e davanti a tuttidà uno scapaccione al primo ragazzo della prima fila. Ilragazzo ha un moto di spontanea reazione, poi, conside-rando la divisa e la momentanea autorità di cui è rivesti-to il compagno, vince lo sdegno che trabocca dal suoviso paonazzo di rabbia. Il caposquadra ridacchia, fierodel suo trionfo e soprattutto di aver dato un bello sca-paccione in pubblico al suo compagno, in un momentoin cui era sicuro che questo non glielo avrebbe potutorestituire. Il pubblico osserva e commenta il gesto. Forsea nessuno però viene in mente di scorgere in questo ge-sto un esempio significativo della vigliaccheria chel'educazione fascista genera nei giovani, rivestendoli didivise e svuotandoli di moralità.

E ancora una volta, sempre più netto e deciso, si delineail mio atteggiamento psichico verso la montagna. Nonpiù l'impresa più o meno eroica, ma il vivere nella mon-tagna e della montagna, fino ad immedesimarsi in essa,fino ad annullarsi in essa.

25 aprile. Una settimana di pace e di solitudine nellaluce della grande montagna, ecco quello che da lungotempo sognavo, quello che solo poteva ricondurmi a ri-trovare me stesso e la felicità. Sì, una settimana fra ighiacci del Monte Bianco, sciando e arrampicando suilunghi ghiacciai silenziosi, sulle rocce solitarie che ap-

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pena si spogliavano del loro aspetto invernale nel sole diprimavera. Ripensavo al tedio e alla nausea della Mer deGlace nell'estate scorsa, quand'era tutta brulicante dicentinaia di turisti gracchianti; ora era tutta candida e in-tatta; solo qualche vecchia pista di sci guidava tra le cre-pacciate come un segnavia muto nella solitudine. Al ri-fugio solo la rude e cordiale ospitalità del custode; so-pra, più nulla. Serenità e luce; orizzonti infiniti, immen-sità della montagna, quasi tumultuosa nell'accavallarsiciclopico di architetture stupende. E tutto questo incan-to, questo gioco di luci e di masse, era lì tutt'attorno ame, solo per me. Vicino a me Bruno col suo affetto e lasua dedizione così generosa, con la sua passione cosìsemplice e sincera. Abbiamo salito il Dente del Gigante,quello sprezzato pinnacolo, che mi parve tanto meschi-no visto da Courmayeur, quella banale e breve arrampi-cata, che nessuna soddisfazione mi avrebbe dato in altromomento e forse anche la nausea delle lunghe comitivechiassose; ora così solo nel fulgore di questo meriggiodi sole, mi sapeva dare la gioia piena di ritrovarmi suquella meravigliosa placca di granito, di arrampicarmiagilmente sulla solida roccia asciutta, nel sole e nel ven-to. E poi scorrazzare con gli sci dall'uno all'altro ghiac-ciaio, senza un programma, senza una meta, in felicicorse veloci fra scenari grandiosi e stupendi, rapidamen-te mutevoli; e ritrovarsi così tutto solo fra le mie monta-gne, con un compagno amico, in un'atmosfera di oblio edi felicità. Riposo, distensione di nervi. Mi concedevotutto a godere istante per istante quelle giornate di sere-

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pena si spogliavano del loro aspetto invernale nel sole diprimavera. Ripensavo al tedio e alla nausea della Mer deGlace nell'estate scorsa, quand'era tutta brulicante dicentinaia di turisti gracchianti; ora era tutta candida e in-tatta; solo qualche vecchia pista di sci guidava tra le cre-pacciate come un segnavia muto nella solitudine. Al ri-fugio solo la rude e cordiale ospitalità del custode; so-pra, più nulla. Serenità e luce; orizzonti infiniti, immen-sità della montagna, quasi tumultuosa nell'accavallarsiciclopico di architetture stupende. E tutto questo incan-to, questo gioco di luci e di masse, era lì tutt'attorno ame, solo per me. Vicino a me Bruno col suo affetto e lasua dedizione così generosa, con la sua passione cosìsemplice e sincera. Abbiamo salito il Dente del Gigante,quello sprezzato pinnacolo, che mi parve tanto meschi-no visto da Courmayeur, quella banale e breve arrampi-cata, che nessuna soddisfazione mi avrebbe dato in altromomento e forse anche la nausea delle lunghe comitivechiassose; ora così solo nel fulgore di questo meriggiodi sole, mi sapeva dare la gioia piena di ritrovarmi suquella meravigliosa placca di granito, di arrampicarmiagilmente sulla solida roccia asciutta, nel sole e nel ven-to. E poi scorrazzare con gli sci dall'uno all'altro ghiac-ciaio, senza un programma, senza una meta, in felicicorse veloci fra scenari grandiosi e stupendi, rapidamen-te mutevoli; e ritrovarsi così tutto solo fra le mie monta-gne, con un compagno amico, in un'atmosfera di oblio edi felicità. Riposo, distensione di nervi. Mi concedevotutto a godere istante per istante quelle giornate di sere-

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nità ineffabile; e non sapevo più nulla, volevo non sapernulla, ma soltanto vivere e sentirmi vivere. Pareva chel'aria pura e rarefatta dei 4000 metri fosse entrata anchein me sgombrando tutto quello che di torbido e di inutilevi potesse essere rimasto, lasciando a una distanza piùgrande dell'oblio ogni ricordo del fango cittadino in cuimi dibattevo pur dianzi.Ho voluto chiudere la breve campagna con la salita delMonte Bianco, in compagnia di Vitale e parecchi altrimilanesi. Ottimi compagni e amici tutti, alpinisti e cor-dialmente simpatici. Ma era tutt'altra cosa, tutt'altra at-mosfera. La montagna bellissima aveva cessato di vive-re per me; era solo l'oggetto fisico della mia ascensione.

6 maggio. Ho ritrovato finalmente la sig.ra Ranieri.Dico finalmente perché la desideravo e non potevo di-menticarla: eppure non l'avevo mai cercata, pensandoche forse era meglio per lei e per me non incontrarsi piùe allontanare il ricordo come un sogno che si mescolaalle notti d'incanto sul mare e al fascino della Baia diRio. Quest'inverno l'avevo vista pochi momenti alla sta-zione: mi era parsa ancora più bella, di una finezza di li-neamenti ancora più delicata: ma in quei brevi momentinulla si era potuto scambiarsi oltre le poche notizie som-marie, affrettate e del tutto banali. Temevo di non trovarpiù qui, al contatto di questa vita reale, quella comunio-ne spirituale che avevo trovato in quella vita di sognodel viaggio. Il fatto che sia stata lei questa volta a cerca-re di me, mi ha sciolto da ogni riguardo, mi ha fatto sen-

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nità ineffabile; e non sapevo più nulla, volevo non sapernulla, ma soltanto vivere e sentirmi vivere. Pareva chel'aria pura e rarefatta dei 4000 metri fosse entrata anchein me sgombrando tutto quello che di torbido e di inutilevi potesse essere rimasto, lasciando a una distanza piùgrande dell'oblio ogni ricordo del fango cittadino in cuimi dibattevo pur dianzi.Ho voluto chiudere la breve campagna con la salita delMonte Bianco, in compagnia di Vitale e parecchi altrimilanesi. Ottimi compagni e amici tutti, alpinisti e cor-dialmente simpatici. Ma era tutt'altra cosa, tutt'altra at-mosfera. La montagna bellissima aveva cessato di vive-re per me; era solo l'oggetto fisico della mia ascensione.

6 maggio. Ho ritrovato finalmente la sig.ra Ranieri.Dico finalmente perché la desideravo e non potevo di-menticarla: eppure non l'avevo mai cercata, pensandoche forse era meglio per lei e per me non incontrarsi piùe allontanare il ricordo come un sogno che si mescolaalle notti d'incanto sul mare e al fascino della Baia diRio. Quest'inverno l'avevo vista pochi momenti alla sta-zione: mi era parsa ancora più bella, di una finezza di li-neamenti ancora più delicata: ma in quei brevi momentinulla si era potuto scambiarsi oltre le poche notizie som-marie, affrettate e del tutto banali. Temevo di non trovarpiù qui, al contatto di questa vita reale, quella comunio-ne spirituale che avevo trovato in quella vita di sognodel viaggio. Il fatto che sia stata lei questa volta a cerca-re di me, mi ha sciolto da ogni riguardo, mi ha fatto sen-

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tire ancora più libero, più vicino, più spontaneo. Il di-scorso è ripreso con quella naturalezza con cui si era ini-ziato la prima sera sul piroscafo, ed è ripreso al puntostesso in cui l'avevamo lasciato all'arrivo a Santos, comefosse stato ieri. Ricordavo esattamente ogni nostra paro-la. Alla partenza del treno si è di nuovo interrotto bru-scamente. Ma è un filo che non si spezza; può interrom-persi per mesi o per anni, lo si ritrova poi più vivo e piùsolido che mai.

2 giugno. «Se la tecnica non è pari all'amore, la monta-gna ripaga duramente chi l'avvicina» (Zapparoli). Ma sel'amore non è pari alla tecnica, l'alpinismo diviene unvirtuosismo assurdo.

13 giugno, Sappada. Finalmente una giornata di calma.Alcune giornate di pioggia, mi hanno fatto rimettere alcorrente con tutti gli arretrati del mio lavoro. La pioggiascroscia senza interruzione; sono qui solo in questo lin-do alberghetto ospitale, nella calma di una giornata di ri-poso e senza meta. Dalla finestra vedo i prati tutti fioriti,i boschi madidi di pioggia, le crode che ogni tanto rie-scono a squarciare i densi velari di nubi e a sbucar fuoria frammenti, quasi apparizioni irreali.Son corso fra i monti, ancora carichi di neve in disfaci-mento; giornate di sole, e giornate di pioggia violenta;ma io vagavo egualmente da mane a sera per sentieri eper boschi, per valli e per creste, bruciato di sole o fradi-cio di pioggia, instancabile e insofferente di ogni sosta.

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tire ancora più libero, più vicino, più spontaneo. Il di-scorso è ripreso con quella naturalezza con cui si era ini-ziato la prima sera sul piroscafo, ed è ripreso al puntostesso in cui l'avevamo lasciato all'arrivo a Santos, comefosse stato ieri. Ricordavo esattamente ogni nostra paro-la. Alla partenza del treno si è di nuovo interrotto bru-scamente. Ma è un filo che non si spezza; può interrom-persi per mesi o per anni, lo si ritrova poi più vivo e piùsolido che mai.

2 giugno. «Se la tecnica non è pari all'amore, la monta-gna ripaga duramente chi l'avvicina» (Zapparoli). Ma sel'amore non è pari alla tecnica, l'alpinismo diviene unvirtuosismo assurdo.

13 giugno, Sappada. Finalmente una giornata di calma.Alcune giornate di pioggia, mi hanno fatto rimettere alcorrente con tutti gli arretrati del mio lavoro. La pioggiascroscia senza interruzione; sono qui solo in questo lin-do alberghetto ospitale, nella calma di una giornata di ri-poso e senza meta. Dalla finestra vedo i prati tutti fioriti,i boschi madidi di pioggia, le crode che ogni tanto rie-scono a squarciare i densi velari di nubi e a sbucar fuoria frammenti, quasi apparizioni irreali.Son corso fra i monti, ancora carichi di neve in disfaci-mento; giornate di sole, e giornate di pioggia violenta;ma io vagavo egualmente da mane a sera per sentieri eper boschi, per valli e per creste, bruciato di sole o fradi-cio di pioggia, instancabile e insofferente di ogni sosta.

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L'Elda mi ha seguito sempre con una dedizione assolutae affettuosa; ma quando nel suo affetto o nella sua maltrattenuta espansione sentivo, non più il compagno digita, ma la donna, io provavo un senso di fastidio, per-ché volevo essere solo con la montagna, e tutto per lamontagna; e al suo affetto rispondevo con bruschi atteg-giamenti, gelidi come frustate. Ma forse proprio perquesto lei mi si avvinghiava con una dedizione semprepiù abbandonata, come un cane bastonato; e io sentivoche qui non posso ricambiare il suo affetto. Il mio amoreper la montagna è troppo forte e troppo esclusivo. E an-che questa constatazione è un'esperienza risolta. E al ri-torno dai monti, una scappata a Firenze; di quelle scap-pate senza scopo e senza scuse, volute solo per aggiun-gere gioia a gioia, in un periodo di così fresca sensibilitàe di così intensa capacità di vita. L'incanto di un merig-gio sereno sui colli di Fiesole e la serena incomparabilepurezza architettonica della Baita Fiesolana, i grandiosicontrappunti della Messa di Beethoven e la sempre rin-novata sorpresa che danno chiese e palazzi di Firenze,pur visti cento volte, la profonda e schietta umanità nel-la stilizzazione dell'arte arcaica egizia, greca o medieva-le e un primo incontro con l'intelligenza vasta, aperta eappassionata di Fosco Maraini, sono state altrettanteesperienze profondamente vissute.Pochi giorni a Milano per la rapida liquidazione degliimpegni col CAI e prima di tornare in montagna, ecco-mi di nuovo un giorno a Firenze. La realizzazione dellaWalchiria nei giardini di Boboli, è stata anch'essa

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L'Elda mi ha seguito sempre con una dedizione assolutae affettuosa; ma quando nel suo affetto o nella sua maltrattenuta espansione sentivo, non più il compagno digita, ma la donna, io provavo un senso di fastidio, per-ché volevo essere solo con la montagna, e tutto per lamontagna; e al suo affetto rispondevo con bruschi atteg-giamenti, gelidi come frustate. Ma forse proprio perquesto lei mi si avvinghiava con una dedizione semprepiù abbandonata, come un cane bastonato; e io sentivoche qui non posso ricambiare il suo affetto. Il mio amoreper la montagna è troppo forte e troppo esclusivo. E an-che questa constatazione è un'esperienza risolta. E al ri-torno dai monti, una scappata a Firenze; di quelle scap-pate senza scopo e senza scuse, volute solo per aggiun-gere gioia a gioia, in un periodo di così fresca sensibilitàe di così intensa capacità di vita. L'incanto di un merig-gio sereno sui colli di Fiesole e la serena incomparabilepurezza architettonica della Baita Fiesolana, i grandiosicontrappunti della Messa di Beethoven e la sempre rin-novata sorpresa che danno chiese e palazzi di Firenze,pur visti cento volte, la profonda e schietta umanità nel-la stilizzazione dell'arte arcaica egizia, greca o medieva-le e un primo incontro con l'intelligenza vasta, aperta eappassionata di Fosco Maraini, sono state altrettanteesperienze profondamente vissute.Pochi giorni a Milano per la rapida liquidazione degliimpegni col CAI e prima di tornare in montagna, ecco-mi di nuovo un giorno a Firenze. La realizzazione dellaWalchiria nei giardini di Boboli, è stata anch'essa

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un'esperienza indimenticabile. L'orchestra wagnerianaportata all'aperto perdeva tutto il suo fragore rimbom-bante e si spandeva nella notte stellata con la freschezzadi Mozart; gli urli delle Walchirie perdevano il loro ca-rattere barbaro e selvaggio, e si incrociavano da un capoall'altro della collina, come richiami nella foresta, men-tre i cavalli bianchi si lanciavano a galoppo sfrenatonell'ombra luminosa della notte chiara di primavera.L'azione si svolgeva rapida e movimentata nello scena-rio naturale, con piena libertà di movimenti e di svilup-pi; e anche quell'esaltazione eroica, che non sempre rie-sce a prender sul serio fra le quinte di cartapesta dei pal-coscenici teatrali, qui poteva aver libero sfogo attraversola purezza delle voci, non più falsate dalle casse armoni-che delle sale da teatro, ed assumeva un senso di cosìprofonda umanità, quale Wagner stesso forse non avevamai sognato nelle sue barocche costruzioni di Bayreuth.Poi subito tra i monti di nuovo; questa volta con Bruno,come sempre compagno ideale, anche se ora fisicamentee moralmente abbattuto dalle gravi malattie recenti; mail suo spirito ha sempre la sua fresca e schietta ingenuitàe lo vorrebbe trascinare forse più in là di quanto il suofisico oggi consentirebbe. Sono andato fra le crode; cro-de facili, per allenamento; volevo realizzare un allena-mento lento e progressivo che mi mettesse a punto e midesse quella sicurezza e quella fiducia che l'anno scorsonon avevo mai trovato. Ho subito ritrovato tutte le risor-se della mia tecnica; arrampicavo su rocce facili, ma an-che nei passaggi più esposti mi sentivo a posto e sicuro,

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un'esperienza indimenticabile. L'orchestra wagnerianaportata all'aperto perdeva tutto il suo fragore rimbom-bante e si spandeva nella notte stellata con la freschezzadi Mozart; gli urli delle Walchirie perdevano il loro ca-rattere barbaro e selvaggio, e si incrociavano da un capoall'altro della collina, come richiami nella foresta, men-tre i cavalli bianchi si lanciavano a galoppo sfrenatonell'ombra luminosa della notte chiara di primavera.L'azione si svolgeva rapida e movimentata nello scena-rio naturale, con piena libertà di movimenti e di svilup-pi; e anche quell'esaltazione eroica, che non sempre rie-sce a prender sul serio fra le quinte di cartapesta dei pal-coscenici teatrali, qui poteva aver libero sfogo attraversola purezza delle voci, non più falsate dalle casse armoni-che delle sale da teatro, ed assumeva un senso di cosìprofonda umanità, quale Wagner stesso forse non avevamai sognato nelle sue barocche costruzioni di Bayreuth.Poi subito tra i monti di nuovo; questa volta con Bruno,come sempre compagno ideale, anche se ora fisicamentee moralmente abbattuto dalle gravi malattie recenti; mail suo spirito ha sempre la sua fresca e schietta ingenuitàe lo vorrebbe trascinare forse più in là di quanto il suofisico oggi consentirebbe. Sono andato fra le crode; cro-de facili, per allenamento; volevo realizzare un allena-mento lento e progressivo che mi mettesse a punto e midesse quella sicurezza e quella fiducia che l'anno scorsonon avevo mai trovato. Ho subito ritrovato tutte le risor-se della mia tecnica; arrampicavo su rocce facili, ma an-che nei passaggi più esposti mi sentivo a posto e sicuro,

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come non sempre mi avviene in principio di stagione earrampicavo libero tutta la cordata, senza un chiodo esenza un'assicurazione, godendo ancora una volta dellamia ritrovata sicurezza baldanzosa e sempre trionfante.Era il mio spirito smanioso di avventura, che rinascevain questo periodo di felicità, o era la sicurezza che midava la compagnia di Bruno? Volevo collaudare questospirito, la mia capacità di spirito e di azione su una salitadifficile; ma il cattivo tempo ha troncato sul nascereogni attività.Bruno ora è ripartito e ricomincerà come l'anno scorsol'avvicendarsi di compagni indifferenti, con cui non pos-so affiatarmi, ché non mi danno la forza morale di vole-re la grande impresa. Eppure oggi mi sento così smanio-so di azione, che mi pare che potrebbero realizzarsi tuttele condizioni per ritrovare anche la mia capacità eroica.Troverò in me stesso la forza necessaria? Oggi special-mente che il mio amore per la montagna è sempre piùdecisamente orientato verso la pura dedizione, oggi chel'ambizione della grande impresa è totalmente spenta?Oggi sono sulla soglia della risoluzione imprevista dellamia crisi, verso una luce rinnovata e purificata; sapròraggiungere quell'affermazione che sola può ridonarmila fiducia piena in me stesso e nella mia capacità di vo-lere? È possibile che la mia crisi si dissolva così senzal'esperienza della tragedia, o è solo una stasi luminosa emomentanea, da cui precipitare più in basso? Solo lemie crode mi possono dar risposta a tutti questi interro-gativi. E, come sempre, da loro e solo da loro attendo

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come non sempre mi avviene in principio di stagione earrampicavo libero tutta la cordata, senza un chiodo esenza un'assicurazione, godendo ancora una volta dellamia ritrovata sicurezza baldanzosa e sempre trionfante.Era il mio spirito smanioso di avventura, che rinascevain questo periodo di felicità, o era la sicurezza che midava la compagnia di Bruno? Volevo collaudare questospirito, la mia capacità di spirito e di azione su una salitadifficile; ma il cattivo tempo ha troncato sul nascereogni attività.Bruno ora è ripartito e ricomincerà come l'anno scorsol'avvicendarsi di compagni indifferenti, con cui non pos-so affiatarmi, ché non mi danno la forza morale di vole-re la grande impresa. Eppure oggi mi sento così smanio-so di azione, che mi pare che potrebbero realizzarsi tuttele condizioni per ritrovare anche la mia capacità eroica.Troverò in me stesso la forza necessaria? Oggi special-mente che il mio amore per la montagna è sempre piùdecisamente orientato verso la pura dedizione, oggi chel'ambizione della grande impresa è totalmente spenta?Oggi sono sulla soglia della risoluzione imprevista dellamia crisi, verso una luce rinnovata e purificata; sapròraggiungere quell'affermazione che sola può ridonarmila fiducia piena in me stesso e nella mia capacità di vo-lere? È possibile che la mia crisi si dissolva così senzal'esperienza della tragedia, o è solo una stasi luminosa emomentanea, da cui precipitare più in basso? Solo lemie crode mi possono dar risposta a tutti questi interro-gativi. E, come sempre, da loro e solo da loro attendo

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con fiducia la risposta a ogni dubbio e l'aiuto per risolle-varmi a nuova luce.

3 agosto, Milano. Ho telegrafato a Pisoni da Verona; aTrento mi aveva già raggiunto con la sua serenità radio-sa e festante. Non è più il ragazzo inconscio e avventatodi qualche anno fa, ma nulla ha perduto della freschezzadella sua passione. Faceva così bene trovarsi con lui esentire in lui quella passione ancora così sincera, cosìpura, così spoglia da ogni ambizione. Veniva ai montisolo per i monti e sapeva godere l'arrampicata come ilbosco, la malga e il pastore come il viaggio e i luoghinuovi. Abbiamo trascorso giornate febbrili, rinnovandoogni giorno arrampicate in gruppi diversi, e poi anchequalche giornata di riposo abbandonandoci alla pace delbosco, del prato, del bagno nel torrente. E in ogni mo-mento ho trovato in lui una sensibilità così pronta e cosìfresca, una rispondenza così vivace, che ogni cosa eraanche per me doppiamente goduta. Con lui anche in roc-cia mi son sentito di nuovo sicuro come nei miei annimigliori, e ho completato il mio allenamento. Non hocercato la grande impresa, perché non desideravo la lot-ta, ma solo di vivere e godere in pieno abbandono quellegiornate di serenità.Pisoni mi ha lasciato quando mi ha raggiunto Vitale conZoia. In treno mostravo a Vitale man mano questo equello, ma lui degnava appena di uno sguardo distratto,e continuava a discutere infervorato dei pettegolezziportati dalla città, o delle cose del suo negozio. Dovevo

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con fiducia la risposta a ogni dubbio e l'aiuto per risolle-varmi a nuova luce.

3 agosto, Milano. Ho telegrafato a Pisoni da Verona; aTrento mi aveva già raggiunto con la sua serenità radio-sa e festante. Non è più il ragazzo inconscio e avventatodi qualche anno fa, ma nulla ha perduto della freschezzadella sua passione. Faceva così bene trovarsi con lui esentire in lui quella passione ancora così sincera, cosìpura, così spoglia da ogni ambizione. Veniva ai montisolo per i monti e sapeva godere l'arrampicata come ilbosco, la malga e il pastore come il viaggio e i luoghinuovi. Abbiamo trascorso giornate febbrili, rinnovandoogni giorno arrampicate in gruppi diversi, e poi anchequalche giornata di riposo abbandonandoci alla pace delbosco, del prato, del bagno nel torrente. E in ogni mo-mento ho trovato in lui una sensibilità così pronta e cosìfresca, una rispondenza così vivace, che ogni cosa eraanche per me doppiamente goduta. Con lui anche in roc-cia mi son sentito di nuovo sicuro come nei miei annimigliori, e ho completato il mio allenamento. Non hocercato la grande impresa, perché non desideravo la lot-ta, ma solo di vivere e godere in pieno abbandono quellegiornate di serenità.Pisoni mi ha lasciato quando mi ha raggiunto Vitale conZoia. In treno mostravo a Vitale man mano questo equello, ma lui degnava appena di uno sguardo distratto,e continuava a discutere infervorato dei pettegolezziportati dalla città, o delle cose del suo negozio. Dovevo

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saperlo che lui va in montagna solo per l'arrampicata;eppure me ne sentii umiliato e rimpiangevo la passionedi Pisoni, che era partito col treno in direzione opposta.Mi rinchiusi in me stesso come un riccio o una tartaruganel suo guscio, per conservare gelosamente in me stessola ricchezza che avevo conquistato nei giorni precedenti.Accettai Vitale come compagno di cordata, ma gli rima-si sempre lontano spiritualmente: feci un lungo giro dasolo, felice di poter essere solo; anche la sua volgaritàspesso mi dava noia. Volgarità che non dipende da edu-cazione, ma da sensibilità d'animo; tant'è vero che in unmontanaro o in un pastore analfabeta si trova spesso unacosì acuta gentilezza di sentimenti e di espressioni qualenon si trova neppure in persone di ottima educazione ocultura. Lo accettai come compagno di cordata ma eroanche ben lieto che il tempo incerto mi offrisse la scusadi rinunciare all'ascensione. Tentai un giorno una salitanuova; superai lunghi tratti di difficoltà estrema, lieto disaper ancora una volta vincere, pur sentendomi così solodi fronte alla montagna. Ma quando cominciai a sentir-mi fisicamente stanco, la mancanza di un appoggio mo-rale, ancor più che materiale, mi tolse ogni volontà diinsistere. Alla montagna oggi vado con amore, quasicome ad un rito, e mi spiace portarvi chi per mancanzadi amore, può profanare il rito; e la montagna stessa misi nega quando vado a lei coi profani anziché con gliiniziati.Stasera parto ancora con Vitale e con altri per il Delfina-to, voglioso di grandi ascensioni: riuscirò a superare il

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saperlo che lui va in montagna solo per l'arrampicata;eppure me ne sentii umiliato e rimpiangevo la passionedi Pisoni, che era partito col treno in direzione opposta.Mi rinchiusi in me stesso come un riccio o una tartaruganel suo guscio, per conservare gelosamente in me stessola ricchezza che avevo conquistato nei giorni precedenti.Accettai Vitale come compagno di cordata, ma gli rima-si sempre lontano spiritualmente: feci un lungo giro dasolo, felice di poter essere solo; anche la sua volgaritàspesso mi dava noia. Volgarità che non dipende da edu-cazione, ma da sensibilità d'animo; tant'è vero che in unmontanaro o in un pastore analfabeta si trova spesso unacosì acuta gentilezza di sentimenti e di espressioni qualenon si trova neppure in persone di ottima educazione ocultura. Lo accettai come compagno di cordata ma eroanche ben lieto che il tempo incerto mi offrisse la scusadi rinunciare all'ascensione. Tentai un giorno una salitanuova; superai lunghi tratti di difficoltà estrema, lieto disaper ancora una volta vincere, pur sentendomi così solodi fronte alla montagna. Ma quando cominciai a sentir-mi fisicamente stanco, la mancanza di un appoggio mo-rale, ancor più che materiale, mi tolse ogni volontà diinsistere. Alla montagna oggi vado con amore, quasicome ad un rito, e mi spiace portarvi chi per mancanzadi amore, può profanare il rito; e la montagna stessa misi nega quando vado a lei coi profani anziché con gliiniziati.Stasera parto ancora con Vitale e con altri per il Delfina-to, voglioso di grandi ascensioni: riuscirò a superare il

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disagio e ad isolarmi nel mio misticismo fino a vinceretutto solo? Non cerco più ora la grande vittoria, pur sen-tendomi oggi in condizioni fisiche tali da conquistarequalsiasi successo: mi manca l'ambizione e la volontàeroica che mi spingano alla lotta e alla conquista. Ormaiil rapporto con la montagna è esclusivamente di amore ecerco soltanto la montagna da amare, non da conquista-re o da vincere. E ne ho una soddisfazione pari a quelladelle mie più grandi vittorie, ma più pura, più alta, piùserena: e la mia ascensione rimane tutta per me, non in-quinata o imbrattata da pettegolezzi di alpinisti, chiac-chiere di giornali, o puttanesimo di medaglie.

Amore, amore: ecco la soluzione della mia crisi, ecco laluce che deve ormai illuminare il mio cammino. L'avevogià intuito il giorno delle Mésules, l'avevo capito ancorpiù chiaramente in Patagonia; ma non mi ero saputo de-cidere ad abbandonare le mie mete eroiche, temendoche la rinuncia all'eroismo dovesse significare rinunciaalla montagna. L'eroismo non si può comandare, comenon si comanda l'amore; la campagna di quest'anno miha insegnato, senza più possibilità di dubbio, che il verosentimento che mi deve addurre alla montagna è soltan-to l'amore. Ogni ascensione in cui ci fosse, anche nasco-sto o inconfessato, un sentimento di ambizione, più omeno eroica, mi è sempre fallita: sono sempre riuscitoinvece, quando sono andato alla montagna con senti-mento di puro amore e con compagni che potevo amaree che sapevano amare al pari di me. Fin dal giorno delle

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disagio e ad isolarmi nel mio misticismo fino a vinceretutto solo? Non cerco più ora la grande vittoria, pur sen-tendomi oggi in condizioni fisiche tali da conquistarequalsiasi successo: mi manca l'ambizione e la volontàeroica che mi spingano alla lotta e alla conquista. Ormaiil rapporto con la montagna è esclusivamente di amore ecerco soltanto la montagna da amare, non da conquista-re o da vincere. E ne ho una soddisfazione pari a quelladelle mie più grandi vittorie, ma più pura, più alta, piùserena: e la mia ascensione rimane tutta per me, non in-quinata o imbrattata da pettegolezzi di alpinisti, chiac-chiere di giornali, o puttanesimo di medaglie.

Amore, amore: ecco la soluzione della mia crisi, ecco laluce che deve ormai illuminare il mio cammino. L'avevogià intuito il giorno delle Mésules, l'avevo capito ancorpiù chiaramente in Patagonia; ma non mi ero saputo de-cidere ad abbandonare le mie mete eroiche, temendoche la rinuncia all'eroismo dovesse significare rinunciaalla montagna. L'eroismo non si può comandare, comenon si comanda l'amore; la campagna di quest'anno miha insegnato, senza più possibilità di dubbio, che il verosentimento che mi deve addurre alla montagna è soltan-to l'amore. Ogni ascensione in cui ci fosse, anche nasco-sto o inconfessato, un sentimento di ambizione, più omeno eroica, mi è sempre fallita: sono sempre riuscitoinvece, quando sono andato alla montagna con senti-mento di puro amore e con compagni che potevo amaree che sapevano amare al pari di me. Fin dal giorno delle

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Mésules avevo capito che avrei compiuto qualche im-presa in meno, ma che avrei saputo amare molto di più.Ma ci vollero più di due anni per ritrovarmi in camminosulla nuova via. Gli anni scorsi, pensavo che fosse lamia incapacità o la mia depressione morale che mi vie-tava la grande impresa; ora non più: mi sento in formaperfetta, capace di qualsiasi conquista; tecnica e allena-mento mi rendono facile qualsiasi passaggio; in nessunaoccasione quest'anno mi son sentito seriamente impe-gnato; ma la grande impresa non è più per me, perchénon so più volere la conquista. Oggi so soltanto amare eamare in un modo così puro, così spoglio da qualsiasialtro sentimento nobile o ignobile, così superiore e in-differente ad ogni rapporto o contatto della vita in cuivivo, che mi pare che soltanto ora ho imparato a vera-mente amare.

4 settembre. Delfinato, brullo squallore riarso di vallilunghe e sprofondate tra erti fianchi bruno rossastri: pic-coli villaggi sperduti nella gran pietraia: rara una mac-chia di verde che colpisce come un'oasi: rarissimi glisquarci che permettono di vedere o di indovinare le cro-de e le seraccate che si celano dietro i primi baluardi.Qui non è il facile turismo delle Dolomiti, ove ancheuna rapida corsa in auto permette di godere i più stupen-di paesaggi; qui anche il turista deve sapersi guadagnarele sue soddisfazioni, deve internarsi lungamente su per ivalloni di monotona petraia, deve spesso traversareghiacciai, inerpicarsi per ripide rocce. Solo allora si sve-

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Mésules avevo capito che avrei compiuto qualche im-presa in meno, ma che avrei saputo amare molto di più.Ma ci vollero più di due anni per ritrovarmi in camminosulla nuova via. Gli anni scorsi, pensavo che fosse lamia incapacità o la mia depressione morale che mi vie-tava la grande impresa; ora non più: mi sento in formaperfetta, capace di qualsiasi conquista; tecnica e allena-mento mi rendono facile qualsiasi passaggio; in nessunaoccasione quest'anno mi son sentito seriamente impe-gnato; ma la grande impresa non è più per me, perchénon so più volere la conquista. Oggi so soltanto amare eamare in un modo così puro, così spoglio da qualsiasialtro sentimento nobile o ignobile, così superiore e in-differente ad ogni rapporto o contatto della vita in cuivivo, che mi pare che soltanto ora ho imparato a vera-mente amare.

4 settembre. Delfinato, brullo squallore riarso di vallilunghe e sprofondate tra erti fianchi bruno rossastri: pic-coli villaggi sperduti nella gran pietraia: rara una mac-chia di verde che colpisce come un'oasi: rarissimi glisquarci che permettono di vedere o di indovinare le cro-de e le seraccate che si celano dietro i primi baluardi.Qui non è il facile turismo delle Dolomiti, ove ancheuna rapida corsa in auto permette di godere i più stupen-di paesaggi; qui anche il turista deve sapersi guadagnarele sue soddisfazioni, deve internarsi lungamente su per ivalloni di monotona petraia, deve spesso traversareghiacciai, inerpicarsi per ripide rocce. Solo allora si sve-

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la questo mondo così strano e affascinante; le cime roc-ciose, le pareti immani, le guglie e le torri si moltiplica-no a perdita d'occhio quanto più si sale. Tra l'una el'altra, fiumane di ghiaccio calano impetuose e sconvol-te, riempiono le prime conche, s'infrangono in mille az-zurri ricami sopra i salti di roccia, precipitano a vallespezzandosi in blocchi immani, che rotolano e rimbalza-no col fragore del tuono. Poi è la vampa del tramontoche incendia queste rupi rossigne, il crepuscolo lento diluci sfumate, la notte tersa e stellata, luccicante di milleriflessi. Giornate luminose di azzurro e di sole, orizzontilimpidi e sconfinati. Gioia di vagabondare quasi allascoperta di questo fantastico regno sconosciuto, gioia divivere dalle cime queste visioni d'incanto, gioiad'abbandono in una contemplazione assente, assaporan-do anche fisicamente questo sole, quest'aria così forte,così sincera, sdraiato sui lastroni caldi del meriggio. An-cora una volta smania d'azione e desiderio di conquista:sulla parete della Meije sentivo e godevo di tutta la miapotenza fisica e della mia capacità tecnica; salivo senzaimpegnarmi nelle difficoltà, libero ed agile sugli appiglisolidissimi. Correvo per isolarmi dai compagni che sibisticciavano futilmente per reciproca incomprensione eostentata insofferenza. Quando già credevo in un suc-cesso eccezionalmente rapido e brillante, l'ultima fessu-ra mi si presenta ricolma di ghiaccio: con pazienza e te-nacia la rimonto tutta, fin sotto l'ultimo strapiombo, maquesto mi sbarra il cammino della vetta. Forse era pec-cato d'ambizione la speranza del successo brillante, for-

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la questo mondo così strano e affascinante; le cime roc-ciose, le pareti immani, le guglie e le torri si moltiplica-no a perdita d'occhio quanto più si sale. Tra l'una el'altra, fiumane di ghiaccio calano impetuose e sconvol-te, riempiono le prime conche, s'infrangono in mille az-zurri ricami sopra i salti di roccia, precipitano a vallespezzandosi in blocchi immani, che rotolano e rimbalza-no col fragore del tuono. Poi è la vampa del tramontoche incendia queste rupi rossigne, il crepuscolo lento diluci sfumate, la notte tersa e stellata, luccicante di milleriflessi. Giornate luminose di azzurro e di sole, orizzontilimpidi e sconfinati. Gioia di vagabondare quasi allascoperta di questo fantastico regno sconosciuto, gioia divivere dalle cime queste visioni d'incanto, gioiad'abbandono in una contemplazione assente, assaporan-do anche fisicamente questo sole, quest'aria così forte,così sincera, sdraiato sui lastroni caldi del meriggio. An-cora una volta smania d'azione e desiderio di conquista:sulla parete della Meije sentivo e godevo di tutta la miapotenza fisica e della mia capacità tecnica; salivo senzaimpegnarmi nelle difficoltà, libero ed agile sugli appiglisolidissimi. Correvo per isolarmi dai compagni che sibisticciavano futilmente per reciproca incomprensione eostentata insofferenza. Quando già credevo in un suc-cesso eccezionalmente rapido e brillante, l'ultima fessu-ra mi si presenta ricolma di ghiaccio: con pazienza e te-nacia la rimonto tutta, fin sotto l'ultimo strapiombo, maquesto mi sbarra il cammino della vetta. Forse era pec-cato d'ambizione la speranza del successo brillante, for-

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se era peccato l'accompagnare sulla parete meravigliosai compagni, che si bisticciavano con animo malevolo:ancora una volta ho sentito che il rito d'amore non erapuro, e la vetta mi si è negata. Due giorni dopo vi ritor-nai, un po' per puntiglio, ma più ancora per avere la scu-sa di liberarmi dallo stupido questionare e vociare didue compagni: Vitale solo era trasformato; non piùl'asprezza, l'ambizione, la volgarità; in lui era solo soli-darietà affettuosa, dedizione e serenità; era ritornato ilVitale delle giornate più belle passate con lui sui monti.Salii fino al punto di prima e ridiscesi; dell'ascensionenon mi importava più nulla; ero felice della giornata diserenità passata sulla croda calda di sole, ero felice dellaritrovata solidarietà e solidità della nostra cordata, che sisnodava tanto agile e sicura sulla parete altissima e ver-ticale. Se avessi raggiunto la vetta, certo non sarei statotanto felice ridiscendendo per la cresta della via comu-ne, popolata di cordate vocianti e profane.La meta, la conquista per me non sono proprio più nul-la; il senso dell'alpinismo si risolve tutto nell'atto di co-munione e d'amore con la montagna e col compagno dicordata.

7 ottobre, Tregnago. Quest'anno la luminosità tersa diquesto magnifico settembre pareva rispecchiasse lachiarezza solare ch'era nell'animo mio. Come al solitovagavo senza meta; avevo solo un certo numero ben de-finito di itinerari da percorrere, che dovevo esaurire en-tro una certa data. Partivo alla mattina in una direzione

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se era peccato l'accompagnare sulla parete meravigliosai compagni, che si bisticciavano con animo malevolo:ancora una volta ho sentito che il rito d'amore non erapuro, e la vetta mi si è negata. Due giorni dopo vi ritor-nai, un po' per puntiglio, ma più ancora per avere la scu-sa di liberarmi dallo stupido questionare e vociare didue compagni: Vitale solo era trasformato; non piùl'asprezza, l'ambizione, la volgarità; in lui era solo soli-darietà affettuosa, dedizione e serenità; era ritornato ilVitale delle giornate più belle passate con lui sui monti.Salii fino al punto di prima e ridiscesi; dell'ascensionenon mi importava più nulla; ero felice della giornata diserenità passata sulla croda calda di sole, ero felice dellaritrovata solidarietà e solidità della nostra cordata, che sisnodava tanto agile e sicura sulla parete altissima e ver-ticale. Se avessi raggiunto la vetta, certo non sarei statotanto felice ridiscendendo per la cresta della via comu-ne, popolata di cordate vocianti e profane.La meta, la conquista per me non sono proprio più nul-la; il senso dell'alpinismo si risolve tutto nell'atto di co-munione e d'amore con la montagna e col compagno dicordata.

7 ottobre, Tregnago. Quest'anno la luminosità tersa diquesto magnifico settembre pareva rispecchiasse lachiarezza solare ch'era nell'animo mio. Come al solitovagavo senza meta; avevo solo un certo numero ben de-finito di itinerari da percorrere, che dovevo esaurire en-tro una certa data. Partivo alla mattina in una direzione

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ma non sapevo mai ove sarei giunto alla sera; di ora inora il mio programma si mutava, accoppiando gli itine-rari nel modo più impensato, con marce lunghissime edi grande profitto, cambiando letto ogni sera, da un al-bergo, a un rifugio, a un fienile, mutando ogni giornopaesi e genti, varcando più volte il confine. Il viverecosì di ora in ora senza programma, dà a ogni giornata,a ogni piccolo episodio, il senso di una grande avventu-ra; e il vagare così tra i monti e le valli, tra selve e prati,per intere giornate, l'aprirsi di orizzonti lontanissimi nelterso azzurro del cielo autunnale, la ricchezza infinita diluci e di colori del paesaggio settembrino, mi dava untal senso di felicità, che il mio spirito era tutto aperto avedere e a godere di ogni sfumatura. Anche i contadinierano in festa nel tagliare il fieno, finalmente sotto ilsole che lo seccava dalla mattina alla sera; anche i pa-stori cantavano guidando il bestiame, lieti del sole e dinon dover più rientrare alla sera fradici della pioggiaquotidiana; anche i caprioli nei boschi e i camosci neglialti valloni pareva balzassero più agili e veloci e godes-sero anch'essi della gran luce del sole. E il verde frescoe ridente dei boschi entro cui il sole penetrava quasischerzando coi raggi obliqui fra fronda e fronda, il ful-gore delle crode che si stagliavano nell'azzurro del cielocon una nettezza e una vicinanza, che era quasi un invi-to, il colore delle vallate dei villaggi, di un paesaggio diinfinita ricchezza, tutto era per me motivo di emozione edi felicità o mi prendeva talmente che giungevo quasi aperdere la nozione del mio io e ad abbandonarmi in un

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ma non sapevo mai ove sarei giunto alla sera; di ora inora il mio programma si mutava, accoppiando gli itine-rari nel modo più impensato, con marce lunghissime edi grande profitto, cambiando letto ogni sera, da un al-bergo, a un rifugio, a un fienile, mutando ogni giornopaesi e genti, varcando più volte il confine. Il viverecosì di ora in ora senza programma, dà a ogni giornata,a ogni piccolo episodio, il senso di una grande avventu-ra; e il vagare così tra i monti e le valli, tra selve e prati,per intere giornate, l'aprirsi di orizzonti lontanissimi nelterso azzurro del cielo autunnale, la ricchezza infinita diluci e di colori del paesaggio settembrino, mi dava untal senso di felicità, che il mio spirito era tutto aperto avedere e a godere di ogni sfumatura. Anche i contadinierano in festa nel tagliare il fieno, finalmente sotto ilsole che lo seccava dalla mattina alla sera; anche i pa-stori cantavano guidando il bestiame, lieti del sole e dinon dover più rientrare alla sera fradici della pioggiaquotidiana; anche i caprioli nei boschi e i camosci neglialti valloni pareva balzassero più agili e veloci e godes-sero anch'essi della gran luce del sole. E il verde frescoe ridente dei boschi entro cui il sole penetrava quasischerzando coi raggi obliqui fra fronda e fronda, il ful-gore delle crode che si stagliavano nell'azzurro del cielocon una nettezza e una vicinanza, che era quasi un invi-to, il colore delle vallate dei villaggi, di un paesaggio diinfinita ricchezza, tutto era per me motivo di emozione edi felicità o mi prendeva talmente che giungevo quasi aperdere la nozione del mio io e ad abbandonarmi in un

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oblio senza spazio e senza tempo, solo guardando, go-dendo e vivendo di ciò che mi circondava.

Amore ed estasi. L'esperienza delle Mésules si ripeteva,meno intensa forse, ma anche meno fuggevole. Quelloche allora è stato l'incanto di un momento, ora divenivail mio modo di essere. La Natura mi parlava con un col-loquio intimo e così ben comprensibile, cantava per mein tutta la sua gloria. Anche le crode le sentivo vicine,mi pareva mi attirassero con tutta la vivacità, quasi lanecessità, dell'antico fascino. Volevo ritornare ad esse,ma non osavo; temevo di infrangere con una nuovasconfitta o con un'esperienza negativa l'incanto di tantafelicità. Alla fine mi ci volli provare; feci una salita conSoravito e mi sentii sicuro. Avevo una mano ferita e an-cor tutta fasciata per una caduta in moto due giorni pri-ma; che importa? Un bivacco in quella stagione e in ter-ritorio straniero; che importa? Soravito e Sancristoforo,ufficiali in servizio attivo, non potevano arrischiare losconfinamento in territorio tedesco; che importa? I com-pagni anziché incoraggiarmi, parlavano continuamente,e sfiduciati, del ritorno; che importa? Ero io solo con lamia stupenda parete, bianca, marmorea, verticale, e lasentivo ancora una volta così intimamente e profonda-mente mia, che per me non potevano più esserci ragionio condizioni esteriori. E salivo senza arrestarmi, unacordata via l'altra: salivo così spedito e con tanta sicu-rezza, che non avevo neppur bisogno di metter chiodid'assicurazione. Il mio modo di salire era un'espressione

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oblio senza spazio e senza tempo, solo guardando, go-dendo e vivendo di ciò che mi circondava.

Amore ed estasi. L'esperienza delle Mésules si ripeteva,meno intensa forse, ma anche meno fuggevole. Quelloche allora è stato l'incanto di un momento, ora divenivail mio modo di essere. La Natura mi parlava con un col-loquio intimo e così ben comprensibile, cantava per mein tutta la sua gloria. Anche le crode le sentivo vicine,mi pareva mi attirassero con tutta la vivacità, quasi lanecessità, dell'antico fascino. Volevo ritornare ad esse,ma non osavo; temevo di infrangere con una nuovasconfitta o con un'esperienza negativa l'incanto di tantafelicità. Alla fine mi ci volli provare; feci una salita conSoravito e mi sentii sicuro. Avevo una mano ferita e an-cor tutta fasciata per una caduta in moto due giorni pri-ma; che importa? Un bivacco in quella stagione e in ter-ritorio straniero; che importa? Soravito e Sancristoforo,ufficiali in servizio attivo, non potevano arrischiare losconfinamento in territorio tedesco; che importa? I com-pagni anziché incoraggiarmi, parlavano continuamente,e sfiduciati, del ritorno; che importa? Ero io solo con lamia stupenda parete, bianca, marmorea, verticale, e lasentivo ancora una volta così intimamente e profonda-mente mia, che per me non potevano più esserci ragionio condizioni esteriori. E salivo senza arrestarmi, unacordata via l'altra: salivo così spedito e con tanta sicu-rezza, che non avevo neppur bisogno di metter chiodid'assicurazione. Il mio modo di salire era un'espressione

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di canto di cui la luce ch'era in me era la melodia e dicui il movimento delle mie membra segnava il ritmosciolto e variato. Anche questa volta, come nell'annosulle Pale, giunsi in vetta in un tempo brevissimo, senzaun'incertezza, senza sentirmi in nessun punto seriamenteimpegnato e sempre con quel senso che questa voltanessun ostacolo avrebbe potuto fermarmi, perché dove-va avere la sua soluzione.Avevo ritrovato la mia volontà di vittoria? No, questavolta era la volontà d'amore; non più la potenza dellavolontà eroica, non più il trionfo nella lotta, ma il trion-fo dell'amore. E per questo mi è parso che la nuova vit-toria fosse tanto più grande e più sublime di ogni altra,tanto più luminosa. La crisi che si è aperta il 18 marzo1936 sulle Mésules si è chiusa il 24 settembre 1938 sulBiegenkopf. Due anni e mezzo di incertezze per ritrova-re il senso della mia vita. Ma oggi so che la mia volontàha ripreso di nuovo la pienezza del suo imperio, sì daoccupare e saturare così perfettamente il mio cammino,da non lasciar spazio neppure per il dubbio più sottile.Ma tale volontà non è più retta dal senso inumano dellalotta, di eroismo e di dominio, ma spazia oggi in unasfera tanto più alta e così profondamente umana e so-vraumana, qual è il sentimento dell'Amore. E la felicitàche ne deriva è più luminosa, più piena, più pura.

17 novembre. Il fatto odierno è significativo: potevaconsiderare il battesimo come un'opportunità e come unatto formale privo di importanza morale: non era neces-

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di canto di cui la luce ch'era in me era la melodia e dicui il movimento delle mie membra segnava il ritmosciolto e variato. Anche questa volta, come nell'annosulle Pale, giunsi in vetta in un tempo brevissimo, senzaun'incertezza, senza sentirmi in nessun punto seriamenteimpegnato e sempre con quel senso che questa voltanessun ostacolo avrebbe potuto fermarmi, perché dove-va avere la sua soluzione.Avevo ritrovato la mia volontà di vittoria? No, questavolta era la volontà d'amore; non più la potenza dellavolontà eroica, non più il trionfo nella lotta, ma il trion-fo dell'amore. E per questo mi è parso che la nuova vit-toria fosse tanto più grande e più sublime di ogni altra,tanto più luminosa. La crisi che si è aperta il 18 marzo1936 sulle Mésules si è chiusa il 24 settembre 1938 sulBiegenkopf. Due anni e mezzo di incertezze per ritrova-re il senso della mia vita. Ma oggi so che la mia volontàha ripreso di nuovo la pienezza del suo imperio, sì daoccupare e saturare così perfettamente il mio cammino,da non lasciar spazio neppure per il dubbio più sottile.Ma tale volontà non è più retta dal senso inumano dellalotta, di eroismo e di dominio, ma spazia oggi in unasfera tanto più alta e così profondamente umana e so-vraumana, qual è il sentimento dell'Amore. E la felicitàche ne deriva è più luminosa, più piena, più pura.

17 novembre. Il fatto odierno è significativo: potevaconsiderare il battesimo come un'opportunità e come unatto formale privo di importanza morale: non era neces-

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sario dare un valore impegnativo a una cerimonia a cuilui (il fratello Manlio) per primo non crede. I bambini,anche se battezzati, avrebbero potuto egualmente cre-scere con piena libertà di pensiero, come lui aveva desi-derato finora. Perché invece rinunciare completamentealla propria convinzione, cambiare indirizzo e dare aibambini una vera istruzione religiosa, con tutto l'annes-so di pratiche cattoliche? Ilaria andava già probabilmen-te creando in se stessa la religione più bella e più giusta:quella che ciascuno si crea secondo il proprio bisognospirituale: come può oggi credere con convinzione a tut-to ciò che preti e maestre le vengono a raccontare? Sipuò avere una credenza se si è cresciuti in essa e si è ac-cettata inconsciamente come cosa che non si discute,prima che la ragione sia in grado di formulare un dub-bio? Più tardi si può acquistare una fede solo in seguitoa una profonda crisi morale. Ilaria è già troppo ragione-vole per accettarla senza discuterla, mentre non puòavere ora una crisi di coscienza che le faccia sentire ilbisogno di una fede. La sua religione sarà quindi inevi-tabilmente soggetta al dubbio, non potrà mai quindi es-sere una fede, forse anche pregiudicando irrimediabil-mente la sua possibilità di avere una fede vera anche inavvenire. La Nene dice che farà di tutto, per quanto stain lei, affinché questa religione possa essere una cosaseria: tanto meglio, ma come è possibile? Si può raccon-tare e insegnare tante cose anche senza esserne convinti;ma non si può ispirare una fede se questa fede non è an-che nostra nel più profondo dell'anima. E allora perché

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sario dare un valore impegnativo a una cerimonia a cuilui (il fratello Manlio) per primo non crede. I bambini,anche se battezzati, avrebbero potuto egualmente cre-scere con piena libertà di pensiero, come lui aveva desi-derato finora. Perché invece rinunciare completamentealla propria convinzione, cambiare indirizzo e dare aibambini una vera istruzione religiosa, con tutto l'annes-so di pratiche cattoliche? Ilaria andava già probabilmen-te creando in se stessa la religione più bella e più giusta:quella che ciascuno si crea secondo il proprio bisognospirituale: come può oggi credere con convinzione a tut-to ciò che preti e maestre le vengono a raccontare? Sipuò avere una credenza se si è cresciuti in essa e si è ac-cettata inconsciamente come cosa che non si discute,prima che la ragione sia in grado di formulare un dub-bio? Più tardi si può acquistare una fede solo in seguitoa una profonda crisi morale. Ilaria è già troppo ragione-vole per accettarla senza discuterla, mentre non puòavere ora una crisi di coscienza che le faccia sentire ilbisogno di una fede. La sua religione sarà quindi inevi-tabilmente soggetta al dubbio, non potrà mai quindi es-sere una fede, forse anche pregiudicando irrimediabil-mente la sua possibilità di avere una fede vera anche inavvenire. La Nene dice che farà di tutto, per quanto stain lei, affinché questa religione possa essere una cosaseria: tanto meglio, ma come è possibile? Si può raccon-tare e insegnare tante cose anche senza esserne convinti;ma non si può ispirare una fede se questa fede non è an-che nostra nel più profondo dell'anima. E allora perché

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dare una religione che non può mai essere una fede?Perché pregiudicare in un bambino la possibilità dicrearsi una fede, di darsi il conforto della fede? Perchéassoggettare i propri figli all'ipocrisia degli insegnamen-ti dei preti? Non sarebbe stato meglio considerare il bat-tesimo una semplice formalità opportunistica, e fare inmodo che i bambini se ne dimenticassero al più prestopossibile, e almeno non vi dessero alcun valore?Sembra che una volta di più Manlio, di fronte aun'imposizione non voglia né ribellarsi né cercar scap-patoie, ma che, costretto a subirla, l'accetti anche conscrupolosa lealtà in tutte le sue conseguenze, quasi fa-cendola propria. Chi non sa reagire all'evento, deve su-birlo.

16 novembre. Solo chi raggiunge l'amore è alpinista;non chi va alla montagna solo per sfogo di un fugacemomento di esuberanza.

15 dicembre. Forse io resto tanto ignoto a tutti per lamia ritrosia a parlare di me stesso. E allora mi può averconosciuto molto più profondamente la sig.ra Ranieri, inquelle poche ore passate insieme, che molte persone chepur mi vivono vicine. Ma perché io dovrei far qualchecosa per darmi a conoscere? Non è questo un senso digelosia e anche di ricchezza l'esser tutto quanto racchiu-so in questo diario? Non è anche questo un modo dipossedersi più completamente e più intimamente,l'appartenere soltanto a se stesso? Non perché si abbia

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dare una religione che non può mai essere una fede?Perché pregiudicare in un bambino la possibilità dicrearsi una fede, di darsi il conforto della fede? Perchéassoggettare i propri figli all'ipocrisia degli insegnamen-ti dei preti? Non sarebbe stato meglio considerare il bat-tesimo una semplice formalità opportunistica, e fare inmodo che i bambini se ne dimenticassero al più prestopossibile, e almeno non vi dessero alcun valore?Sembra che una volta di più Manlio, di fronte aun'imposizione non voglia né ribellarsi né cercar scap-patoie, ma che, costretto a subirla, l'accetti anche conscrupolosa lealtà in tutte le sue conseguenze, quasi fa-cendola propria. Chi non sa reagire all'evento, deve su-birlo.

16 novembre. Solo chi raggiunge l'amore è alpinista;non chi va alla montagna solo per sfogo di un fugacemomento di esuberanza.

15 dicembre. Forse io resto tanto ignoto a tutti per lamia ritrosia a parlare di me stesso. E allora mi può averconosciuto molto più profondamente la sig.ra Ranieri, inquelle poche ore passate insieme, che molte persone chepur mi vivono vicine. Ma perché io dovrei far qualchecosa per darmi a conoscere? Non è questo un senso digelosia e anche di ricchezza l'esser tutto quanto racchiu-so in questo diario? Non è anche questo un modo dipossedersi più completamente e più intimamente,l'appartenere soltanto a se stesso? Non perché si abbia

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nulla da nascondere, ma solo perché è la forma più com-pleta di libertà morale.Se mai volessi raccogliere in sintesi e tradurre in paroleil mio essere, ne uscirebbe probabilmente un ritratto diuna rassomiglianza così esatta, cruda, tagliente, quasiferoce, che mi farebbe forse ribrezzo il rileggerla.

È assai maggior presunzione pensare all'universo infini-to, che non riusciamo neppur a intuire, che pensare alproprio universo ristretto e definito entro la limitata sfe-ra della propria capacità intellettuale (del resto se anchel'universo fosse infinito, ognuno di noi potrebbe esserneal centro, poiché qualsiasi punto è il centro di una sferainfinita!). E allora l'universo si identifica anche con laverità. È vero per noi solo ciò che conosciamo, solo ciòche è compreso nella sfera del nostro intelletto. Meglioancora, è vero per noi solo ciò che è in noi. Tutto il restocome potrebbe esser vero, se ci sfugge? Peggio, se ci èignoto? Come potremmo considerare la verità, il mondodi apparenze ch'è intorno a noi? Come ciascuno è alcentro del proprio universo, è altrettanto al centro delproprio mondo reale (che in fondo è la stessa cosa), è alcentro della propria verità. Non esiste una verità assolu-ta, ma solo una verità in ciascuno di noi; la verità asso-luta è solo un'illusione data dalla concordanza su alcunimedesimi punti delle verità di tutti noi. La verità è soloin noi, ma in ciascuno di noi; anche nell'ipocrita, poichéanch'egli non potrebbe esser falso se non avesse in sé ilvero a cui contrastare.

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nulla da nascondere, ma solo perché è la forma più com-pleta di libertà morale.Se mai volessi raccogliere in sintesi e tradurre in paroleil mio essere, ne uscirebbe probabilmente un ritratto diuna rassomiglianza così esatta, cruda, tagliente, quasiferoce, che mi farebbe forse ribrezzo il rileggerla.

È assai maggior presunzione pensare all'universo infini-to, che non riusciamo neppur a intuire, che pensare alproprio universo ristretto e definito entro la limitata sfe-ra della propria capacità intellettuale (del resto se anchel'universo fosse infinito, ognuno di noi potrebbe esserneal centro, poiché qualsiasi punto è il centro di una sferainfinita!). E allora l'universo si identifica anche con laverità. È vero per noi solo ciò che conosciamo, solo ciòche è compreso nella sfera del nostro intelletto. Meglioancora, è vero per noi solo ciò che è in noi. Tutto il restocome potrebbe esser vero, se ci sfugge? Peggio, se ci èignoto? Come potremmo considerare la verità, il mondodi apparenze ch'è intorno a noi? Come ciascuno è alcentro del proprio universo, è altrettanto al centro delproprio mondo reale (che in fondo è la stessa cosa), è alcentro della propria verità. Non esiste una verità assolu-ta, ma solo una verità in ciascuno di noi; la verità asso-luta è solo un'illusione data dalla concordanza su alcunimedesimi punti delle verità di tutti noi. La verità è soloin noi, ma in ciascuno di noi; anche nell'ipocrita, poichéanch'egli non potrebbe esser falso se non avesse in sé ilvero a cui contrastare.

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Dicembre. Qualche volta vien sera e mi accorgo che intutta la giornata non ho scambiato una parola con alcu-no. E mi par strano, tanto è stata ricca la mia giornata;ma forse proprio per questo ha potuto esser ricca e cosìserena. Non mi accorgo neppure del cielo grigio e dellapioggerella insistente di quest'inverno uggioso, dellanebbia tetra e opaca, che obbliga a tener accesa la lam-pada tutto il giorno. In me c'è soltanto luce e serenità.

Vitale ha pubblicato sulla Rivista un articolo sulla paretedel Badile, mettendo in bella mostra se stesso. Anchenella relazione tecnica che gli avevo dato, ha avuto curadi cambiare una cosa sola: anteporre il suo nome al mio.L'anno scorso, nelle notizie pubblicate dai giornali, ave-va fatto finta di scusarsene; ora l'intenzione è troppoevidente in un articolo preparato e riveduto da lui. Alprimo momento, confesso, me ne son seccato, perchénella relazione ufficiale almeno avrei voluto l'esattezzadei fatti, non foss'altro che per amor di esattezza. Ma infondo che me ne importa?È un'ascensione quella che ho veramente amato; l'unicaforse tra quelle compiute l'anno scorso. È un'ascensioneche ho voluto io, mentre Vitale non voleva neppur attac-care; è un'ascensione che ho guidato io, anche per la ri-cerca della via, mentre Vitale è rimasto insolitamentepassivo per tutta la lunghezza della parete, ad eccezionedi un traverso su una placca di 5 metri che ha fatto perprimo lui mentre io l'assicuravo da più in alto. È quindiun'ascensione esclusivamente mia, mia perché per due

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Dicembre. Qualche volta vien sera e mi accorgo che intutta la giornata non ho scambiato una parola con alcu-no. E mi par strano, tanto è stata ricca la mia giornata;ma forse proprio per questo ha potuto esser ricca e cosìserena. Non mi accorgo neppure del cielo grigio e dellapioggerella insistente di quest'inverno uggioso, dellanebbia tetra e opaca, che obbliga a tener accesa la lam-pada tutto il giorno. In me c'è soltanto luce e serenità.

Vitale ha pubblicato sulla Rivista un articolo sulla paretedel Badile, mettendo in bella mostra se stesso. Anchenella relazione tecnica che gli avevo dato, ha avuto curadi cambiare una cosa sola: anteporre il suo nome al mio.L'anno scorso, nelle notizie pubblicate dai giornali, ave-va fatto finta di scusarsene; ora l'intenzione è troppoevidente in un articolo preparato e riveduto da lui. Alprimo momento, confesso, me ne son seccato, perchénella relazione ufficiale almeno avrei voluto l'esattezzadei fatti, non foss'altro che per amor di esattezza. Ma infondo che me ne importa?È un'ascensione quella che ho veramente amato; l'unicaforse tra quelle compiute l'anno scorso. È un'ascensioneche ho voluto io, mentre Vitale non voleva neppur attac-care; è un'ascensione che ho guidato io, anche per la ri-cerca della via, mentre Vitale è rimasto insolitamentepassivo per tutta la lunghezza della parete, ad eccezionedi un traverso su una placca di 5 metri che ha fatto perprimo lui mentre io l'assicuravo da più in alto. È quindiun'ascensione esclusivamente mia, mia perché per due

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giorni mi son sentito così solo di fronte alla montagna,mia perché l'ho così pienamente vissuta. E l'ascensioneresta più intimamente, più gelosamente, più segretamen-te mia, ora che il mio nome figura in secondo ordine escompare nelle relazioni ufficiali destinate al pubblico.Le ascensioni che amo vorrei tenerle tutte per me, comeun segreto, senza farne neppur parola con alcuno, oppu-re anche vorrei donarle a un amico, perché restino piùmie e perché mi diano felicità anche maggiore. Donarlesì, ma non farmele carpire con così bassa e sciatta ipo-crisia. Da parecchio tempo vado osservando come Vita-le riesca sempre meno a celare l'ambizione, la polemicae il pettegolezzo della sua attività alpinistica e comequel velo di originaria passione che mai una volta pudi-camente mi ammantava, vada sempre più diradandosi.La disonestà, specialmente con la montagna, è cosa chenon posso assolutamente ammettere né perdonare. Nonè per me che mi spiace la faccenda del Badile, ché la sa-lita rimane troppo intangibilmente mia, tanto che non micuro nemmeno di chiedere una rettifica; ma mi spiace didover constatare troppo palesemente in lui quello chegià temevo. E nei nostri rapporti in futuro, non potròmai togliere tra di noi l'ombra della disonestà, non potròmai cancellare l'impressione di aver a che fare con unapersona immorale.Ipocrisia! È mai possibile che non si riesca a lottare con-tro questo morbo che infesta e appesta tutta l'umanità,tanto che neppure i migliori amici si salvano dal conta-gio? Dove sono mai la verità e la sincerità? Dovremo

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giorni mi son sentito così solo di fronte alla montagna,mia perché l'ho così pienamente vissuta. E l'ascensioneresta più intimamente, più gelosamente, più segretamen-te mia, ora che il mio nome figura in secondo ordine escompare nelle relazioni ufficiali destinate al pubblico.Le ascensioni che amo vorrei tenerle tutte per me, comeun segreto, senza farne neppur parola con alcuno, oppu-re anche vorrei donarle a un amico, perché restino piùmie e perché mi diano felicità anche maggiore. Donarlesì, ma non farmele carpire con così bassa e sciatta ipo-crisia. Da parecchio tempo vado osservando come Vita-le riesca sempre meno a celare l'ambizione, la polemicae il pettegolezzo della sua attività alpinistica e comequel velo di originaria passione che mai una volta pudi-camente mi ammantava, vada sempre più diradandosi.La disonestà, specialmente con la montagna, è cosa chenon posso assolutamente ammettere né perdonare. Nonè per me che mi spiace la faccenda del Badile, ché la sa-lita rimane troppo intangibilmente mia, tanto che non micuro nemmeno di chiedere una rettifica; ma mi spiace didover constatare troppo palesemente in lui quello chegià temevo. E nei nostri rapporti in futuro, non potròmai togliere tra di noi l'ombra della disonestà, non potròmai cancellare l'impressione di aver a che fare con unapersona immorale.Ipocrisia! È mai possibile che non si riesca a lottare con-tro questo morbo che infesta e appesta tutta l'umanità,tanto che neppure i migliori amici si salvano dal conta-gio? Dove sono mai la verità e la sincerità? Dovremo

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proprio cercarle solo nelle bestie?

22 dicembre. Non si può amare senza conoscere, manon si può veramente conoscere se non per forza d'amo-re.

Un ciclo si è veramente concluso in questi ultimi mesi.L'evoluzione verso l'amore, che è nata con la crisi delleMésules e che ora ha raggiunto una completa coscienza,sì da esser divenuto il fondamento della mia vita attuale.È stata una crisi, che mi ha dato molta incertezza e sban-damento, che in qualche momento mi ha fatto anchemolto soffrire, senza che fosse giustificata da alcunacausa reale. È stata dovuta allo smarrimento, datodall'improvvisa evoluzione avvenuta in me in un'ora sul-le Mésules. In fondo non sapevo credere che un acci-dente relativamente banale e una sensazione mistica diuna breve ora, avessero potuto realmente portare in me enel mio modo di essere e di sentire un rivolgimento cosìsostanziale. E invece di farlo immediatamente mio e diorientarmi subito ad esso, ho cercato prima di aggrap-parmi al mio passato, pur sentendolo irrimediabilmentesuperato, poi di attendere passivamente che l'evoluzionesi compisse. Quando l'anno scorso, una tragica prospet-tiva mi ha fatto credere che in questo evento dovesse ef-fettivamente sboccare la mia crisi (che in ogni momentodel resto avevo sentito come inutile) e nella tragedia edalla tragedia dovessi cercare la resurrezione, ebbi inquesto evento esterno un primo fondamento di certezza

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proprio cercarle solo nelle bestie?

22 dicembre. Non si può amare senza conoscere, manon si può veramente conoscere se non per forza d'amo-re.

Un ciclo si è veramente concluso in questi ultimi mesi.L'evoluzione verso l'amore, che è nata con la crisi delleMésules e che ora ha raggiunto una completa coscienza,sì da esser divenuto il fondamento della mia vita attuale.È stata una crisi, che mi ha dato molta incertezza e sban-damento, che in qualche momento mi ha fatto anchemolto soffrire, senza che fosse giustificata da alcunacausa reale. È stata dovuta allo smarrimento, datodall'improvvisa evoluzione avvenuta in me in un'ora sul-le Mésules. In fondo non sapevo credere che un acci-dente relativamente banale e una sensazione mistica diuna breve ora, avessero potuto realmente portare in me enel mio modo di essere e di sentire un rivolgimento cosìsostanziale. E invece di farlo immediatamente mio e diorientarmi subito ad esso, ho cercato prima di aggrap-parmi al mio passato, pur sentendolo irrimediabilmentesuperato, poi di attendere passivamente che l'evoluzionesi compisse. Quando l'anno scorso, una tragica prospet-tiva mi ha fatto credere che in questo evento dovesse ef-fettivamente sboccare la mia crisi (che in ogni momentodel resto avevo sentito come inutile) e nella tragedia edalla tragedia dovessi cercare la resurrezione, ebbi inquesto evento esterno un primo fondamento di certezza

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e da quel momento ricominciai a camminare, fino ariacquistare la perfetta coscienza, fino ad eliminare ognidubbio, fino a ritrovar la felicità in una "luce d'amore",che non è in contrapposizione, ma un'evoluzione delmito eroico del mio precedente periodo.

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e da quel momento ricominciai a camminare, fino ariacquistare la perfetta coscienza, fino ad eliminare ognidubbio, fino a ritrovar la felicità in una "luce d'amore",che non è in contrapposizione, ma un'evoluzione delmito eroico del mio precedente periodo.

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1939

15 gennaio, Milano. L'anno si è iniziato in tripudio diluce e di sole. Raramente ho goduto tanto una campagnasciistica come in queste due settimane, passate girova-gando attraverso tutti i monti della Carnia. La neve fre-sca e abbondante rendeva facile qualsiasi pendio, am-morbidiva ogni scossa; mi lanciavo veloce e senza pau-ra, quasi voglioso di gridare la mia gioia e la mia eb-brezza. Lunghe salite tracciando la pista nei pendii intat-ti, traversate da valle a valle, percorsi di cresta, panora-mi immensi, visioni d'incanto di crode e di boschi: laVal Visdende era un paesaggio di fiaba con quelle im-mense foreste ancora cariche di neve, gli alberi e i ramitutti incappucciati come una processione di fantasmi,curvi fino a spezzarsi sotto il grave fardello; con un col-po di bastone, si scrollavano di dosso la cappa biancaammonticchiata, risollevavano lentamente il capo curva-to, si drizzavano quasi con un sospiro di sollievo e digratitudine. Mi piaceva di girare tra quei boschi piani,affondando io stesso nella soffice coltre, e passare traramo e ramo, sfiorandoli senza agitarli, tra quell'inesau-ribile bizzarria di forme grottesche. Tra i fusti alti, drittie nudi della pineta i raggi obliqui del sole basso penetra-vano tenui come riflessi dorati, scherzando con un giococontinuamente mutevole. Sole, sole, sole; inondava diluce le belle crode bianche del Peralba e del Ciadenis,

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15 gennaio, Milano. L'anno si è iniziato in tripudio diluce e di sole. Raramente ho goduto tanto una campagnasciistica come in queste due settimane, passate girova-gando attraverso tutti i monti della Carnia. La neve fre-sca e abbondante rendeva facile qualsiasi pendio, am-morbidiva ogni scossa; mi lanciavo veloce e senza pau-ra, quasi voglioso di gridare la mia gioia e la mia eb-brezza. Lunghe salite tracciando la pista nei pendii intat-ti, traversate da valle a valle, percorsi di cresta, panora-mi immensi, visioni d'incanto di crode e di boschi: laVal Visdende era un paesaggio di fiaba con quelle im-mense foreste ancora cariche di neve, gli alberi e i ramitutti incappucciati come una processione di fantasmi,curvi fino a spezzarsi sotto il grave fardello; con un col-po di bastone, si scrollavano di dosso la cappa biancaammonticchiata, risollevavano lentamente il capo curva-to, si drizzavano quasi con un sospiro di sollievo e digratitudine. Mi piaceva di girare tra quei boschi piani,affondando io stesso nella soffice coltre, e passare traramo e ramo, sfiorandoli senza agitarli, tra quell'inesau-ribile bizzarria di forme grottesche. Tra i fusti alti, drittie nudi della pineta i raggi obliqui del sole basso penetra-vano tenui come riflessi dorati, scherzando con un giococontinuamente mutevole. Sole, sole, sole; inondava diluce le belle crode bianche del Peralba e del Ciadenis,

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puliva le pareti quasi da ogni traccia di neve, le riscalda-va con una luce calda e dorata, mettendone in evidenzaogni più piccola ruga o asperità. Erano così vicine quel-le crode, così nette e così vive che pareva vibrassero ecantassero ad ogni soffio d'aria, come le corde tese di unviolino. Avrei voluto accogliere l'invito e correre adesse, afferrare quegli appigli, accarezzare quella rocciatiepida di sole, bere a sazietà della gran luce meridiana.E poi quando il sole era già scomparso, prima dei freddie taglienti riflessi della sera, grandi vampate di fiammaincendiavano il cielo, nuvole di rame intarsiavanol'azzurro; e la neve diveniva anch'essa tutta rosa, quasinon fiocchi candidi fossero caduti dal cielo, ma petali dipesco; pareva di sentirne il profumo e la soavità lieve.

Periodo di lavoro, periodo di felicità, felicità del lavoro,di dimenticarsi, eppure di sentirsi essere nel lavoro. La-voro intenso, fedele a un programma imposto, lavoroche mi assorbe l'intera giornata per esaurire ogni capito-lo nei limiti di tempo prefissati. A volte ho quasi rimor-so di lasciarmi assorbire così completamente dal mio la-voro, di sacrificare questo periodo di lucidità a un lavo-ro così arido e metodico. Ma appunto perché il lavoro ècosì arido e metodico, richiede anche un ritmo, e solocon un ritmo incalzante riesce a procedere spedito esbrigativo. Così in questo mese sono riuscito a portarmia buon punto anche con la Carnia, conciliando la mono-tonia della stagione con la monotonia del lavoro e sfrut-tando l'una per l'altra.

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puliva le pareti quasi da ogni traccia di neve, le riscalda-va con una luce calda e dorata, mettendone in evidenzaogni più piccola ruga o asperità. Erano così vicine quel-le crode, così nette e così vive che pareva vibrassero ecantassero ad ogni soffio d'aria, come le corde tese di unviolino. Avrei voluto accogliere l'invito e correre adesse, afferrare quegli appigli, accarezzare quella rocciatiepida di sole, bere a sazietà della gran luce meridiana.E poi quando il sole era già scomparso, prima dei freddie taglienti riflessi della sera, grandi vampate di fiammaincendiavano il cielo, nuvole di rame intarsiavanol'azzurro; e la neve diveniva anch'essa tutta rosa, quasinon fiocchi candidi fossero caduti dal cielo, ma petali dipesco; pareva di sentirne il profumo e la soavità lieve.

Periodo di lavoro, periodo di felicità, felicità del lavoro,di dimenticarsi, eppure di sentirsi essere nel lavoro. La-voro intenso, fedele a un programma imposto, lavoroche mi assorbe l'intera giornata per esaurire ogni capito-lo nei limiti di tempo prefissati. A volte ho quasi rimor-so di lasciarmi assorbire così completamente dal mio la-voro, di sacrificare questo periodo di lucidità a un lavo-ro così arido e metodico. Ma appunto perché il lavoro ècosì arido e metodico, richiede anche un ritmo, e solocon un ritmo incalzante riesce a procedere spedito esbrigativo. Così in questo mese sono riuscito a portarmia buon punto anche con la Carnia, conciliando la mono-tonia della stagione con la monotonia del lavoro e sfrut-tando l'una per l'altra.

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L'alpinismo senza amore è come il pietismo senza fede.Ipocrisia. Eppure le persone che vanno in montagnasenza amore sono in proporzione ancora maggiore diquelle che vanno a messa senza una profonda convin-zione.

15 marzo. Sono andato via per bisogno di reazione fisi-ca all'intenso lavoro sedentario di questo periodo. Noncercavo la montagna questa volta, ma solo lo sforzo esono andato al Monte Rosa non per godermi la solitudi-ne e l'immensità dell'alta montagna, ma solo per cercarenel grande dislivello il massimo sforzo e la massimareazione del mio fisico al malessere di una prolungatainazione: era con me Vittorio Gilberti e la sua fresca se-renità piena di luce e di passione.Da Milano al mattino, da Gressoney alle due del pome-riggio; 2000 metri per salire alla Gnifetti; crostoni dineve gelata rendevano più faticosa la salita. Ancora sot-to i 3000 metri cominciai a sentire lo sbalzo di pressionee a respirare a fatica: non mi sentivo stanco fisicamente,ché avrei camminato anche tutta notte, ma ogni pochipassi avevo bisogno di fermarmi e respirare profonda-mente per rinnovar l'ossigeno che mi mancava. Salivolentissimo, ma sapevo che a un'ora o all'altra dovevo ar-rivare e che sarei arrivato. Ho avuto l'impressione preci-sa, che anche a grandi altezze, dopo il dovuto allena-mento, saprei trovare sempre la forza di volontà per vin-cere la rarefazione dell'aria e per conquistare la meta.Gilberti invece, che era salito con fatica molto minore,

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L'alpinismo senza amore è come il pietismo senza fede.Ipocrisia. Eppure le persone che vanno in montagnasenza amore sono in proporzione ancora maggiore diquelle che vanno a messa senza una profonda convin-zione.

15 marzo. Sono andato via per bisogno di reazione fisi-ca all'intenso lavoro sedentario di questo periodo. Noncercavo la montagna questa volta, ma solo lo sforzo esono andato al Monte Rosa non per godermi la solitudi-ne e l'immensità dell'alta montagna, ma solo per cercarenel grande dislivello il massimo sforzo e la massimareazione del mio fisico al malessere di una prolungatainazione: era con me Vittorio Gilberti e la sua fresca se-renità piena di luce e di passione.Da Milano al mattino, da Gressoney alle due del pome-riggio; 2000 metri per salire alla Gnifetti; crostoni dineve gelata rendevano più faticosa la salita. Ancora sot-to i 3000 metri cominciai a sentire lo sbalzo di pressionee a respirare a fatica: non mi sentivo stanco fisicamente,ché avrei camminato anche tutta notte, ma ogni pochipassi avevo bisogno di fermarmi e respirare profonda-mente per rinnovar l'ossigeno che mi mancava. Salivolentissimo, ma sapevo che a un'ora o all'altra dovevo ar-rivare e che sarei arrivato. Ho avuto l'impressione preci-sa, che anche a grandi altezze, dopo il dovuto allena-mento, saprei trovare sempre la forza di volontà per vin-cere la rarefazione dell'aria e per conquistare la meta.Gilberti invece, che era salito con fatica molto minore,

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fu colto da sfinimento poco sotto il rifugio e insieme daun così profondo abbattimento morale, che mi disse chetemeva di non farcela più, con un tono così depresso dafar impressione. Forse era anche l'oscurità della notteche gli dava quel senso di scoramento, e l'incertezza ditrovare il rifugio, che non sapevamo esattamente ovefosse.Pensavo all'anno scorso, alla lotta per raggiungere il ri-fugio dell'Hörnli: ma allora era lotta contro gli elementi,questa volta era lotta contro me stesso. E in questa se-conda lotta sono stato probabilmente assai più vicinoallo sfinimento, ma mi sentivo nello stesso tempo assaipiù forte e più sicuro di vincere e di saper ottenere dame stesso fino all'estremo limite delle mie energie.Dopo una notte affannosa e insonne credevo di non po-ter salire oltre; invece appena calzati di nuovo gli sci, misentii perfettamente a mio agio come se fossi stato 2000metri più in basso. Il ghiacciaio era insidioso, i crepaccicoperti dalla neve soffiata dal vento, eguale e uniforme,che celava la trappola senza che il ponte fosse abbastan-za solido per sostenere. Camminavamo con molta atten-zione e cautela, Gilberti davanti e io a pochi metri, conmetà della corda avvolta e annodata attorno al corpo.Eravamo al Col del Lys quando mi sentii sprofondare lacorda dagli sci; sentii il tonfo del ponte che crollava die-tro di me nell'enorme voragine: mi aggrappai un istante,poi caddi nel vuoto. La corda filava trascinando Gilber-ti; riesce però ad arrestarsi a un metro dall'orlo, mentrela corda s'incastra tagliando la neve. Sospeso nel vuoto

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fu colto da sfinimento poco sotto il rifugio e insieme daun così profondo abbattimento morale, che mi disse chetemeva di non farcela più, con un tono così depresso dafar impressione. Forse era anche l'oscurità della notteche gli dava quel senso di scoramento, e l'incertezza ditrovare il rifugio, che non sapevamo esattamente ovefosse.Pensavo all'anno scorso, alla lotta per raggiungere il ri-fugio dell'Hörnli: ma allora era lotta contro gli elementi,questa volta era lotta contro me stesso. E in questa se-conda lotta sono stato probabilmente assai più vicinoallo sfinimento, ma mi sentivo nello stesso tempo assaipiù forte e più sicuro di vincere e di saper ottenere dame stesso fino all'estremo limite delle mie energie.Dopo una notte affannosa e insonne credevo di non po-ter salire oltre; invece appena calzati di nuovo gli sci, misentii perfettamente a mio agio come se fossi stato 2000metri più in basso. Il ghiacciaio era insidioso, i crepaccicoperti dalla neve soffiata dal vento, eguale e uniforme,che celava la trappola senza che il ponte fosse abbastan-za solido per sostenere. Camminavamo con molta atten-zione e cautela, Gilberti davanti e io a pochi metri, conmetà della corda avvolta e annodata attorno al corpo.Eravamo al Col del Lys quando mi sentii sprofondare lacorda dagli sci; sentii il tonfo del ponte che crollava die-tro di me nell'enorme voragine: mi aggrappai un istante,poi caddi nel vuoto. La corda filava trascinando Gilber-ti; riesce però ad arrestarsi a un metro dall'orlo, mentrela corda s'incastra tagliando la neve. Sospeso nel vuoto

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giro così rapidamente da restarne intontito. Gilberti siassicura e mi assicura con la piccozza. Sotto di me forse4-5 metri il ponte crollato ha formato un nuovo ponte.Non posso calarmi, perché ho tutta la corda avvolta e ilnodo è così stretto, che stando appeso non lo posso scio-gliere. La corda mi sega le reni e mi mozza il respiro.Bisogna che mi liberi presto, finché ho ancora forza,perché la mia salvezza dipende solo da me. Non mi re-sta che tagliare la corda e lasciarmi cadere sul ponte sot-tostante. Resisterà al tonfo, o precipiterò con esso finoin fondo alla voragine? Sono perfettamente conscio del-la gravità della situazione; contrariamente ad altra espe-rienza di caduta (Piz di Sagron), ho conservato in ogniistante una perfetta lucidità e una piena coscienza di ciòche stava succedendo. Mi sono liberato dai bastoni, hosganciato gli sci, ho tolto di tasca il coltello, ho comin-ciato a tagliare il laccio che mi cingeva la vita: il laccioche mi legava alla vita. Sapevo che tagliando quel laccioavevo eguale probabilità di salvarmi o di precipitare.Ma sapevo anche che non vi era altro da fare o da tenta-re. E questa certezza mi dava risoluzione e calma. Nonho provato un istante di incertezza davanti a quell'attoche poteva essere supremo. Ormai non è più possibile ilpentimento della mia decisione. Guardo ancora una vol-ta il basso. Penso alla Mamma, che sempre mi è vicina;è un istante di vera e purissima fede. Fede in Lei, che miha sempre guidato e aiutato, fede nel mio destino, chenon mi tradisce quando ho la forza di tenerlo in pugnocon un così lucido senso di certezza. Un taglio netto e

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giro così rapidamente da restarne intontito. Gilberti siassicura e mi assicura con la piccozza. Sotto di me forse4-5 metri il ponte crollato ha formato un nuovo ponte.Non posso calarmi, perché ho tutta la corda avvolta e ilnodo è così stretto, che stando appeso non lo posso scio-gliere. La corda mi sega le reni e mi mozza il respiro.Bisogna che mi liberi presto, finché ho ancora forza,perché la mia salvezza dipende solo da me. Non mi re-sta che tagliare la corda e lasciarmi cadere sul ponte sot-tostante. Resisterà al tonfo, o precipiterò con esso finoin fondo alla voragine? Sono perfettamente conscio del-la gravità della situazione; contrariamente ad altra espe-rienza di caduta (Piz di Sagron), ho conservato in ogniistante una perfetta lucidità e una piena coscienza di ciòche stava succedendo. Mi sono liberato dai bastoni, hosganciato gli sci, ho tolto di tasca il coltello, ho comin-ciato a tagliare il laccio che mi cingeva la vita: il laccioche mi legava alla vita. Sapevo che tagliando quel laccioavevo eguale probabilità di salvarmi o di precipitare.Ma sapevo anche che non vi era altro da fare o da tenta-re. E questa certezza mi dava risoluzione e calma. Nonho provato un istante di incertezza davanti a quell'attoche poteva essere supremo. Ormai non è più possibile ilpentimento della mia decisione. Guardo ancora una vol-ta il basso. Penso alla Mamma, che sempre mi è vicina;è un istante di vera e purissima fede. Fede in Lei, che miha sempre guidato e aiutato, fede nel mio destino, chenon mi tradisce quando ho la forza di tenerlo in pugnocon un così lucido senso di certezza. Un taglio netto e

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deciso. Vado. Il ponte mi sostiene.Il resto non ha importanza. Riesco a risalire con le mieforze per la parete di ghiaccio. Recupero gli sci, e scen-diamo come se nulla fosse stato. Non sento neppure ilminimo eccitamento nervoso. Dell'accidente nessunatraccia, salvo una profonda esperienza vissuta. E conessa la maggior forza, data dalla consapevolezza di po-ter sempre conservare lucidità e freddezza in qualsiasisituazione, di saper sempre dominare me stesso di frontea qualsiasi evento.Credo di aver detto altra volta che l'uomo più forte nonè colui che sa dominare il mondo, ma colui che sa domi-nare se stesso.

Tregnago. Pace, calma: ne avevo bisogno dopo la ten-sione di quest'ultimo periodo: tensione di lavoro e so-prattutto tensione per gli eventi. Richiami e requisizionicontinue (anche Ferruccio e Bruno richiamati), sposta-menti di truppe, ammasso d'armi, intensificazione difortificazioni: non si parla che di guerra. Le aggressionidelittuose e vigliacche, col solo scopo di conquista o dirapina, si ripetono ormai periodicamente, con la mo-struosa sfacciataggine di chi sa che non esiste una giu-stizia che possa punire la delinquenza di uno stato, comesi punisce la delinquenza di un individuo. Ma il malenon ha mai trionfato, e se non esiste una giustizia chepunisce, esiste sempre la ribellione di chi sa difendersi.Intanto si vive di ora in ora, senza esser certi del doma-ni, con l'incubo e la persuasione che presto o tardi la ca-

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deciso. Vado. Il ponte mi sostiene.Il resto non ha importanza. Riesco a risalire con le mieforze per la parete di ghiaccio. Recupero gli sci, e scen-diamo come se nulla fosse stato. Non sento neppure ilminimo eccitamento nervoso. Dell'accidente nessunatraccia, salvo una profonda esperienza vissuta. E conessa la maggior forza, data dalla consapevolezza di po-ter sempre conservare lucidità e freddezza in qualsiasisituazione, di saper sempre dominare me stesso di frontea qualsiasi evento.Credo di aver detto altra volta che l'uomo più forte nonè colui che sa dominare il mondo, ma colui che sa domi-nare se stesso.

Tregnago. Pace, calma: ne avevo bisogno dopo la ten-sione di quest'ultimo periodo: tensione di lavoro e so-prattutto tensione per gli eventi. Richiami e requisizionicontinue (anche Ferruccio e Bruno richiamati), sposta-menti di truppe, ammasso d'armi, intensificazione difortificazioni: non si parla che di guerra. Le aggressionidelittuose e vigliacche, col solo scopo di conquista o dirapina, si ripetono ormai periodicamente, con la mo-struosa sfacciataggine di chi sa che non esiste una giu-stizia che possa punire la delinquenza di uno stato, comesi punisce la delinquenza di un individuo. Ma il malenon ha mai trionfato, e se non esiste una giustizia chepunisce, esiste sempre la ribellione di chi sa difendersi.Intanto si vive di ora in ora, senza esser certi del doma-ni, con l'incubo e la persuasione che presto o tardi la ca-

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tastrofe sia fatale: e per togliersi dall'incubo si vorrebbequasi accelerarla, rassegnati alla fatalità di ciò che ognu-no pur sente come mostruosamente assurdo. Si può ac-cettare la fatalità di un terremoto, ma come accettare cheil mondo intero corra incontro alla propria distruzioneper la inconcepibile criminalità di due soli individui? Ola distruzione stessa è fatale per il bisogno stesso di rin-novamento che è intrinseco nella vita? forse quei duepoveri pazzi non sono che strumenti inconsci e necessariper provocare questa distruzione e questo rinnovamento,come il tradimento di Giuda era necessario perché sicompisse l'opera di redenzione di Cristo.Ma qui tutto è pace, solennissima pace; ci si sente cosìdistanziati dal mondo e dal suo tragico orgoglio. Nel si-lenzio riposante non si sente che il cinguettare degli uc-celli sul cedro; il sole del meriggio inonda di luce mor-bida e soffusa tutta la vallata, sfumando quasi i contornie i profili delle colline sul cielo diafano. Il pesco qui nelviale sorride coi suoi petali rosati, ignaro e innocentecome un bimbo.

A Firenze non son capace di andare a visitare questo oquest'altro; vado a cercare le cose più disparate, che mivadano bene in quel momento, a seconda della giornata,dell'ora, della luce, del tempo che fa: entro in una chiesasolo per vedere una statua, cerco quel tale angolo, quellatal visuale, quel tal particolare. L'anno scorso non vole-vo vedere altro che architettura del '400, e ho scopertoS. Miniato; quest'anno volevo solo scultura. Nessuna

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tastrofe sia fatale: e per togliersi dall'incubo si vorrebbequasi accelerarla, rassegnati alla fatalità di ciò che ognu-no pur sente come mostruosamente assurdo. Si può ac-cettare la fatalità di un terremoto, ma come accettare cheil mondo intero corra incontro alla propria distruzioneper la inconcepibile criminalità di due soli individui? Ola distruzione stessa è fatale per il bisogno stesso di rin-novamento che è intrinseco nella vita? forse quei duepoveri pazzi non sono che strumenti inconsci e necessariper provocare questa distruzione e questo rinnovamento,come il tradimento di Giuda era necessario perché sicompisse l'opera di redenzione di Cristo.Ma qui tutto è pace, solennissima pace; ci si sente cosìdistanziati dal mondo e dal suo tragico orgoglio. Nel si-lenzio riposante non si sente che il cinguettare degli uc-celli sul cedro; il sole del meriggio inonda di luce mor-bida e soffusa tutta la vallata, sfumando quasi i contornie i profili delle colline sul cielo diafano. Il pesco qui nelviale sorride coi suoi petali rosati, ignaro e innocentecome un bimbo.

A Firenze non son capace di andare a visitare questo oquest'altro; vado a cercare le cose più disparate, che mivadano bene in quel momento, a seconda della giornata,dell'ora, della luce, del tempo che fa: entro in una chiesasolo per vedere una statua, cerco quel tale angolo, quellatal visuale, quel tal particolare. L'anno scorso non vole-vo vedere altro che architettura del '400, e ho scopertoS. Miniato; quest'anno volevo solo scultura. Nessuna

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città, neppure Venezia, mi dà tanto come Firenze. Nes-suna città so viverla così intensamente come Firenze.

29 maggio. Oggi a Genova sono andato a cercare ilmare: già pregustavo il suo odore acre, vivificante, lasua immensità. Ma non l'ho trovato: sotto un cielo plum-beo, l'onda pareva moscia, senza forza e senza vita.

Saglio diceva discorrendo che se non fosse per la soddi-sfazione di veder stampato il proprio nome, nessuno siassumerebbe un lavoro così gravoso come la compila-zione di una guida, per un così magro compenso. Stavaper offendermi, poi pensai che forse era vero; anzi èsenz'altro una verità. Come si potrebbe concepire infattiche uno lavori solo per la soddisfazione intima del lavo-ro o per un proprio ideale? Tutto oggi è solo ambizionee vanità; quella stessa vanità che ha spinto Vitale a met-ter per primo il suo nome nella relazione della parete delBadile. Anche l'alpinismo non è altro che vanità. Forseil torto è mio che non ho abbastanza ambizione e cheperciò provo tanta ripugnanza per l'ambizione e la vani-tà altrui. Dal momento che l'ideale non esiste è inutilecrucciarsi per volere il mondo diverso da quel che è.L'ideale è soltanto nella solitudine, troncando ogni rap-porto col mondo, ché ogni rapporto, anche il più puro,non riesce alla lunga a celare il suo fango.Solo in un'isola deserta, o sulla vetta di un monte si puòancora credere o illudersi di un ideale. Solo in un mona-stero del Tibet o tra i ghiacci della Patagonia l'uomo può

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città, neppure Venezia, mi dà tanto come Firenze. Nes-suna città so viverla così intensamente come Firenze.

29 maggio. Oggi a Genova sono andato a cercare ilmare: già pregustavo il suo odore acre, vivificante, lasua immensità. Ma non l'ho trovato: sotto un cielo plum-beo, l'onda pareva moscia, senza forza e senza vita.

Saglio diceva discorrendo che se non fosse per la soddi-sfazione di veder stampato il proprio nome, nessuno siassumerebbe un lavoro così gravoso come la compila-zione di una guida, per un così magro compenso. Stavaper offendermi, poi pensai che forse era vero; anzi èsenz'altro una verità. Come si potrebbe concepire infattiche uno lavori solo per la soddisfazione intima del lavo-ro o per un proprio ideale? Tutto oggi è solo ambizionee vanità; quella stessa vanità che ha spinto Vitale a met-ter per primo il suo nome nella relazione della parete delBadile. Anche l'alpinismo non è altro che vanità. Forseil torto è mio che non ho abbastanza ambizione e cheperciò provo tanta ripugnanza per l'ambizione e la vani-tà altrui. Dal momento che l'ideale non esiste è inutilecrucciarsi per volere il mondo diverso da quel che è.L'ideale è soltanto nella solitudine, troncando ogni rap-porto col mondo, ché ogni rapporto, anche il più puro,non riesce alla lunga a celare il suo fango.Solo in un'isola deserta, o sulla vetta di un monte si puòancora credere o illudersi di un ideale. Solo in un mona-stero del Tibet o tra i ghiacci della Patagonia l'uomo può

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ancora sentirsi uomo e credere in se stesso, nel proprioessere e nella propria vita. Tutto il resto è finzione. Larealtà stessa non è che finzione. Solo nell'ideale è la ve-rità, poiché è vero solo ciò che è in noi e solo in quantonoi sappiamo astrarci dalla menzogna del mondo con-creto ed elevarci al di sopra della meschinità viscida etortuosa della vita quotidiana.Solitudine delle vette, luce di spazi infiniti, unica verità.

In fondo la scienza conosce solo il fenomeno esteriore:ma cosa conosce delle forze intrinseche e vitali della na-tura, e che cosa conosce, in particolare, della forza psi-chica dell'uomo? Un fachiro indiano o un asceta tibeta-no è probabilmente assai più vicino all'intuizionedell'essenza della vita e della natura, di quanto non losiano tutti gli scienziati d'occidente. La potenza superio-re della volontà umana, che avevo già osservato in menegli anni passati, oggi si rinnova per forza d'amorecome nel credente si rinnova per forza di fede. Il feno-meno è però sempre il medesimo: è la capacità ultrater-rena della nostra psiche di creare eventi che paiono mi-racolosi, perché non spiegabili con elementi scientifici,quando tutta la sua forza sia concentrata per un moventequalsiasi.

11 agosto. Angoscia e terrore. Sì, terrore; terrore chequel rantolo ossessionante avesse ad essere soffocatoimprovvisamente, mentr'io fossi stato lì presente. Erapiù forte di me, non mi pareva di poter reggere a un mo-

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ancora sentirsi uomo e credere in se stesso, nel proprioessere e nella propria vita. Tutto il resto è finzione. Larealtà stessa non è che finzione. Solo nell'ideale è la ve-rità, poiché è vero solo ciò che è in noi e solo in quantonoi sappiamo astrarci dalla menzogna del mondo con-creto ed elevarci al di sopra della meschinità viscida etortuosa della vita quotidiana.Solitudine delle vette, luce di spazi infiniti, unica verità.

In fondo la scienza conosce solo il fenomeno esteriore:ma cosa conosce delle forze intrinseche e vitali della na-tura, e che cosa conosce, in particolare, della forza psi-chica dell'uomo? Un fachiro indiano o un asceta tibeta-no è probabilmente assai più vicino all'intuizionedell'essenza della vita e della natura, di quanto non losiano tutti gli scienziati d'occidente. La potenza superio-re della volontà umana, che avevo già osservato in menegli anni passati, oggi si rinnova per forza d'amorecome nel credente si rinnova per forza di fede. Il feno-meno è però sempre il medesimo: è la capacità ultrater-rena della nostra psiche di creare eventi che paiono mi-racolosi, perché non spiegabili con elementi scientifici,quando tutta la sua forza sia concentrata per un moventequalsiasi.

11 agosto. Angoscia e terrore. Sì, terrore; terrore chequel rantolo ossessionante avesse ad essere soffocatoimprovvisamente, mentr'io fossi stato lì presente. Erapiù forte di me, non mi pareva di poter reggere a un mo-

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mento così. Non sapevo allontanarmi, poiché quand'erovia da quella camera mi pareva che da un momentoall'altro dovesse verificarsi quell'attimo supremo; maquand'ero vicino a quel letto avevo continuamente il ter-rore che si verificasse ciò a cui non volevo e non potevoassistere. Avrei voluto che ciò che era ormai fatale si ve-rificasse subito, per troncare a Lui quella pena orribile,per troncare a noi quell'angoscia così estenuante; ma iostesso insistevo perché si facesse ancora qualche cosaper sostenerlo, per rimandare all'indomani o almeno diqualche ora quell'attimo a cui non potevo pensare e chemi faceva tanto terrore. Avrei voluto esser lontano, lon-tano e non saper nulla, mentre sentivo invece che l'unicoconforto era proprio quello di esser tutti vicini e di sen-tirci ancora così uniti intorno a quel letto di morte. Nonpotevo guardarlo, ché mi faceva troppa pena quel voltosfigurato, quell'occhio spento e velato, quella boccaaperta e anelante, quel rantolo affannoso e ormai quasistrozzato. Ma non potevo staccarmi da quel letto, nonperdevo una battuta di quel rantolo, che era l'ultimo se-gno di vita, e ogni sospensione mi dava terrore. Non riu-scivo più a dominarmi, a mantenere la mia calma; pas-seggiavo su e giù per la camera agitato e nervoso, o misedevo con la testa tra le mani per non vedere. Fantasmimi agitavano nel sogno, come nella veglia. Sognavosempre di lui e mi destavo di soprassalto con l'impres-sione di qualcuno che ci venisse a chiamare. Le nuvoleche lente s'avanzavano al tramonto e sorgendo all'oriz-zonte come schiere di nere pecorelle invadevano a poco

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mento così. Non sapevo allontanarmi, poiché quand'erovia da quella camera mi pareva che da un momentoall'altro dovesse verificarsi quell'attimo supremo; maquand'ero vicino a quel letto avevo continuamente il ter-rore che si verificasse ciò a cui non volevo e non potevoassistere. Avrei voluto che ciò che era ormai fatale si ve-rificasse subito, per troncare a Lui quella pena orribile,per troncare a noi quell'angoscia così estenuante; ma iostesso insistevo perché si facesse ancora qualche cosaper sostenerlo, per rimandare all'indomani o almeno diqualche ora quell'attimo a cui non potevo pensare e chemi faceva tanto terrore. Avrei voluto esser lontano, lon-tano e non saper nulla, mentre sentivo invece che l'unicoconforto era proprio quello di esser tutti vicini e di sen-tirci ancora così uniti intorno a quel letto di morte. Nonpotevo guardarlo, ché mi faceva troppa pena quel voltosfigurato, quell'occhio spento e velato, quella boccaaperta e anelante, quel rantolo affannoso e ormai quasistrozzato. Ma non potevo staccarmi da quel letto, nonperdevo una battuta di quel rantolo, che era l'ultimo se-gno di vita, e ogni sospensione mi dava terrore. Non riu-scivo più a dominarmi, a mantenere la mia calma; pas-seggiavo su e giù per la camera agitato e nervoso, o misedevo con la testa tra le mani per non vedere. Fantasmimi agitavano nel sogno, come nella veglia. Sognavosempre di lui e mi destavo di soprassalto con l'impres-sione di qualcuno che ci venisse a chiamare. Le nuvoleche lente s'avanzavano al tramonto e sorgendo all'oriz-zonte come schiere di nere pecorelle invadevano a poco

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a poco l'orizzonte, mi ricordavano il coro finale del Bo-ris, che lento s'avanza a circondare col suo canto fune-bre l'agonia del morente. Guardavo dalla finestra il cieloluminoso, le auree luci del tramonto, lo scintillio dellestelle nella calma notte d'estate. Ma non sapevo volareverso di loro; l'animo mio era troppo legato a quel lettodi pena, a quel rantolo affannoso, che sentivo semprenell'orecchio come una condanna, anche quand'ero lon-tano.Da due giorni non prendeva più nulla, ché il semplicedeglutire un sorso d'acqua lo poteva soffocare; avevamocessato anche le iniezioni di canfora, ché pareva crudel-tà prolungare la sua resistenza e la sua sofferenza. Si at-tendeva solo che si spegnesse, come una macchina si ar-resta quando ha consumato fin l'ultima goccia di essen-za. Il cuore batteva ancora, valido, solo perdendo qual-che colpo. La sua energia non era ancora del tutto con-sumata. Al mattino il dottore ascoltandolo disse che or-mai i polmoni erano completamente ricoperti di catarro,da cui non riusciva più a liberarsi. A mezzogiorno losollevai ancora una volta, sembrando che questo potessealleviare per un momento il suo affanno. Per poco nonrimase soffocato tra le mia braccia. Non lo toccammopiù, ché il minimo movimento avrebbe potuto esserglifatale. Il respiro diventava sempre più affannoso, il ran-tolo più soffocato, l'occhio semichiuso era completa-mente spento; la sofferenza aveva sfigurato il volto, sca-vando delle buche spettrali. Preti e monache ronzavanod'attorno con le loro stupide frasi e con la loro ipocrisia

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a poco l'orizzonte, mi ricordavano il coro finale del Bo-ris, che lento s'avanza a circondare col suo canto fune-bre l'agonia del morente. Guardavo dalla finestra il cieloluminoso, le auree luci del tramonto, lo scintillio dellestelle nella calma notte d'estate. Ma non sapevo volareverso di loro; l'animo mio era troppo legato a quel lettodi pena, a quel rantolo affannoso, che sentivo semprenell'orecchio come una condanna, anche quand'ero lon-tano.Da due giorni non prendeva più nulla, ché il semplicedeglutire un sorso d'acqua lo poteva soffocare; avevamocessato anche le iniezioni di canfora, ché pareva crudel-tà prolungare la sua resistenza e la sua sofferenza. Si at-tendeva solo che si spegnesse, come una macchina si ar-resta quando ha consumato fin l'ultima goccia di essen-za. Il cuore batteva ancora, valido, solo perdendo qual-che colpo. La sua energia non era ancora del tutto con-sumata. Al mattino il dottore ascoltandolo disse che or-mai i polmoni erano completamente ricoperti di catarro,da cui non riusciva più a liberarsi. A mezzogiorno losollevai ancora una volta, sembrando che questo potessealleviare per un momento il suo affanno. Per poco nonrimase soffocato tra le mia braccia. Non lo toccammopiù, ché il minimo movimento avrebbe potuto esserglifatale. Il respiro diventava sempre più affannoso, il ran-tolo più soffocato, l'occhio semichiuso era completa-mente spento; la sofferenza aveva sfigurato il volto, sca-vando delle buche spettrali. Preti e monache ronzavanod'attorno con le loro stupide frasi e con la loro ipocrisia

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rivoltante. Una monaca, con voce stridula venne a stril-lare delle preci, con le rimette, come le filastrocche deibambini. Avevo i nervi troppo tesi per poter reggere aun così ripugnante insulto, proprio mentre stava percompiersi il grande e sacro mistero della morte. Quandoentrò ancora il prete, uscii dalla camera con la Nene. Su-bito Mario e l'infermiera vennero a chiamarci. I fratellisinghiozzavano sul letto. Bruno chiamava disperatamen-te Papà, Papà. Non respirava più. Avevo potuto così es-ser presente, senza tuttavia assistere a quell'attimo chetroppo mi atterriva. Ma riprese ancora; il cuore riprese abattere, qualche rantolo intermittente ancora gonfiava ilsuo petto in un ultimo anelito.Poi più nulla, da quel momento, rientrando in casa, cisiamo sentiti soli, senza di lui. Poi la cerimonia conven-zionale, meno odiosa, di quanto sono i funerali a Mila-no. Condoglianze e frasi fatte. Accompagnai il feretro aVerona per la cremazione; mi pareva di consegnare unbaule al deposito bagagli. Formalità pratiche; l'oggettonon era più nulla per me; forse eravamo entrambi tantolontani. Quando riportarono la cassetta, si sentivano leossa battere contro le pareti di zinco. Senso di annienta-mento, di definitivo.

28 agosto, Milano. Fuggire; un bisogno di evasionesentivo da quei luoghi, da quei ricordi; un bisogno di ri-poso e di distensione. Mi sentivo proprio stanco di fisi-co, di nervi e di spirito. Partii subito da Tregnago verso imonti, verso la Marmolada. Non per cercare l'ascensio-

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rivoltante. Una monaca, con voce stridula venne a stril-lare delle preci, con le rimette, come le filastrocche deibambini. Avevo i nervi troppo tesi per poter reggere aun così ripugnante insulto, proprio mentre stava percompiersi il grande e sacro mistero della morte. Quandoentrò ancora il prete, uscii dalla camera con la Nene. Su-bito Mario e l'infermiera vennero a chiamarci. I fratellisinghiozzavano sul letto. Bruno chiamava disperatamen-te Papà, Papà. Non respirava più. Avevo potuto così es-ser presente, senza tuttavia assistere a quell'attimo chetroppo mi atterriva. Ma riprese ancora; il cuore riprese abattere, qualche rantolo intermittente ancora gonfiava ilsuo petto in un ultimo anelito.Poi più nulla, da quel momento, rientrando in casa, cisiamo sentiti soli, senza di lui. Poi la cerimonia conven-zionale, meno odiosa, di quanto sono i funerali a Mila-no. Condoglianze e frasi fatte. Accompagnai il feretro aVerona per la cremazione; mi pareva di consegnare unbaule al deposito bagagli. Formalità pratiche; l'oggettonon era più nulla per me; forse eravamo entrambi tantolontani. Quando riportarono la cassetta, si sentivano leossa battere contro le pareti di zinco. Senso di annienta-mento, di definitivo.

28 agosto, Milano. Fuggire; un bisogno di evasionesentivo da quei luoghi, da quei ricordi; un bisogno di ri-poso e di distensione. Mi sentivo proprio stanco di fisi-co, di nervi e di spirito. Partii subito da Tregnago verso imonti, verso la Marmolada. Non per cercare l'ascensio-

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ne, a cui mi sentivo spiritualmente inadatto, ma per cer-care l'incanto della solitudine, della pace e dei fiori,come al Sass Forà. Forse avrei dovuto aver con me unamico, che mi fosse molto vicino, che mi sapesse amaree comprendere, che mi desse quella serenità che mi ave-va dato Pisoni in Val Visdende. Invece partii con Save-rio e un amico suo, ma io ero troppo lontano dalla loroingenua freschezza, per poter vivere la loro giornata. Misentii solo, molto solo, tra quelle montagne che non ave-vano più per me quella parola ch'io attendevo da loro.Perché? perché io non le so più comprendere? o non leso più amare?Passai per la Val di Fassa, senza fermarmi, quasi di na-scosto, per non vedere, per non dover salutare nessuno.Feci la Marmolada, tra le nebbie, senza gioia, solo peraccompagnare i ragazzi. Rividi quella parete sudovest,che per due anni era stata tanto per me e provai un sensodi disgusto per il vile oggetto di polemica e di smodera-ta ambizione, che ne aveva fatto Soldà, non con la suaascensione, ma con tutte le frottole in mala fede ch'egliha detto e scritto. Mi pareva che la parete stessa ne fosseinsozzata; non era più quel superbo lastrone di marmocandido e immacolato, com'io l'avevo conosciuto e ama-to fino a 3 anni fa. Ora è solo un muro, oggetto inerte esenza vita, atto all'autoesaltazione e all'affermazione po-lemica di chi non sa né amare né comprendere.Rividi la via Micheluzzi, nella sua splendida dirittura,grondante d'acqua e repulsiva. Rividi la parete S e pen-sai all'ultima gita di Kahn. Rividi la punta di Rocca che

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ne, a cui mi sentivo spiritualmente inadatto, ma per cer-care l'incanto della solitudine, della pace e dei fiori,come al Sass Forà. Forse avrei dovuto aver con me unamico, che mi fosse molto vicino, che mi sapesse amaree comprendere, che mi desse quella serenità che mi ave-va dato Pisoni in Val Visdende. Invece partii con Save-rio e un amico suo, ma io ero troppo lontano dalla loroingenua freschezza, per poter vivere la loro giornata. Misentii solo, molto solo, tra quelle montagne che non ave-vano più per me quella parola ch'io attendevo da loro.Perché? perché io non le so più comprendere? o non leso più amare?Passai per la Val di Fassa, senza fermarmi, quasi di na-scosto, per non vedere, per non dover salutare nessuno.Feci la Marmolada, tra le nebbie, senza gioia, solo peraccompagnare i ragazzi. Rividi quella parete sudovest,che per due anni era stata tanto per me e provai un sensodi disgusto per il vile oggetto di polemica e di smodera-ta ambizione, che ne aveva fatto Soldà, non con la suaascensione, ma con tutte le frottole in mala fede ch'egliha detto e scritto. Mi pareva che la parete stessa ne fosseinsozzata; non era più quel superbo lastrone di marmocandido e immacolato, com'io l'avevo conosciuto e ama-to fino a 3 anni fa. Ora è solo un muro, oggetto inerte esenza vita, atto all'autoesaltazione e all'affermazione po-lemica di chi non sa né amare né comprendere.Rividi la via Micheluzzi, nella sua splendida dirittura,grondante d'acqua e repulsiva. Rividi la parete S e pen-sai all'ultima gita di Kahn. Rividi la punta di Rocca che

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fu un atto di dedizione, ma che non poté mai essere unamia ascensione, perché troppo esclusiva fu la partecipa-zione di Vinatzer. Rividi la parete del Serauta e mi stupiicome avevo potuto andarci all'attacco con tanta decisio-ne e tanta speranza. Ricordi di giornate vissute, ma ri-cordi ormai lontani di una vita ormai completamente su-perata e spenta. Non è nel passato ch'io ho mai ritrovatola mia vita, ma nell'avvenire; ogni volta che ho guardatodietro di me, è stato solo smarrimento; la mia vita sisvolge troppo rapida e troppo intensa, perché io possaritrovarla nel ieri. Solo davanti a me è la luce.Nuovi problemi mi affascinano su quella montagnadove c'è ancora qualche cosa da scoprire; non eral'ascensione più o meno difficile, che m'attirava, quantoil problema per se stesso, per l'interesse di quella monta-gna che vorrei conoscere in ogni sua piega. Conforto at-taccò la via più bella, più diritta, più logica; riuscì dopodue giorni e mezzo di lotta con le difficoltà, col ghiac-cio, col maltempo. Una chiara espressione di felicità glianimava il volto, un sano entusiastico desiderio di lottal'aveva portato alla vittoria. Se l'era ben meritata e fuicontento che la vittoria fosse stata sua, ne fui contentocome fosse stata mia. Io non cercavo ora la vittoria, mala soluzione del problema su quella mia montagna; nonpiù vincere per dominare, come prima delle Mésules,ma solo conoscere per poter meglio amare.Vitale mi raggiunse quando Conforto era già in parete.Gli proposi di tentare un'altra via, mi disse che non vo-leva aver l'aria di mettersi in gara; giusto, specialmente

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fu un atto di dedizione, ma che non poté mai essere unamia ascensione, perché troppo esclusiva fu la partecipa-zione di Vinatzer. Rividi la parete del Serauta e mi stupiicome avevo potuto andarci all'attacco con tanta decisio-ne e tanta speranza. Ricordi di giornate vissute, ma ri-cordi ormai lontani di una vita ormai completamente su-perata e spenta. Non è nel passato ch'io ho mai ritrovatola mia vita, ma nell'avvenire; ogni volta che ho guardatodietro di me, è stato solo smarrimento; la mia vita sisvolge troppo rapida e troppo intensa, perché io possaritrovarla nel ieri. Solo davanti a me è la luce.Nuovi problemi mi affascinano su quella montagnadove c'è ancora qualche cosa da scoprire; non eral'ascensione più o meno difficile, che m'attirava, quantoil problema per se stesso, per l'interesse di quella monta-gna che vorrei conoscere in ogni sua piega. Conforto at-taccò la via più bella, più diritta, più logica; riuscì dopodue giorni e mezzo di lotta con le difficoltà, col ghiac-cio, col maltempo. Una chiara espressione di felicità glianimava il volto, un sano entusiastico desiderio di lottal'aveva portato alla vittoria. Se l'era ben meritata e fuicontento che la vittoria fosse stata sua, ne fui contentocome fosse stata mia. Io non cercavo ora la vittoria, mala soluzione del problema su quella mia montagna; nonpiù vincere per dominare, come prima delle Mésules,ma solo conoscere per poter meglio amare.Vitale mi raggiunse quando Conforto era già in parete.Gli proposi di tentare un'altra via, mi disse che non vo-leva aver l'aria di mettersi in gara; giusto, specialmente

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quando sapevamo che la gara sarebbe stata perduta perun'impresa così lunga e così ardua. Vitale, in fatto di in-confessabili reticenze, è maestro. Pensavo anche chedopo il Badile non abbiamo più portato a termine unasalita insieme (anzi, lui non ha più fatto una salita degnadi nota). Eppure ancora molte volte sono partito con lui,perché per me è sempre un amico, perché sono molto aldi sopra della sua meschina ambizione, perché vorrei di-menticare il suo inutile falso. Ma ogni volta, per una ra-gione o per l'altra, siamo tornati indietro; tipico special-mente il ritorno dal Biegenkopf (durante il primo tenta-tivo), dove invece son riuscito con Soravito. Evidente-mente il suo stupido falso ha spezzato tra di noi quellasolidarietà della cordata, che è condizione essenziale perla riuscita di un'impresa; ed ogni sforzo di buona volon-tà per colmare il distacco è ormai vano. Ma tanto piùforte è anche il disgusto che provo per l'alpinismo comeè ormai praticato da quasi tutti. E quando trovo qualcheragazzo ancora animato da una vera e fresca passione,lungi da ogni gara e da ogni polemica, ne resto stupito equasi lo compiango come un illuso, che dovrà prestoprovare delle ben amare delusioni.Andai in Civetta, al Vazzoler, tra quelle altissime crodefantastiche, che anch'esse erano state così mie e mi ave-vano donato tanta felicità. Il libro del rifugio è pieno diautoesaltazioni, di confronti, di gradi di difficoltà, diorari. Sui massi lungo il sentiero sono scritti col minio inomi degli eroici protagonisti di qualche grande impre-sa. È tanto che non abbiano ancor venduto il loro nome

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quando sapevamo che la gara sarebbe stata perduta perun'impresa così lunga e così ardua. Vitale, in fatto di in-confessabili reticenze, è maestro. Pensavo anche chedopo il Badile non abbiamo più portato a termine unasalita insieme (anzi, lui non ha più fatto una salita degnadi nota). Eppure ancora molte volte sono partito con lui,perché per me è sempre un amico, perché sono molto aldi sopra della sua meschina ambizione, perché vorrei di-menticare il suo inutile falso. Ma ogni volta, per una ra-gione o per l'altra, siamo tornati indietro; tipico special-mente il ritorno dal Biegenkopf (durante il primo tenta-tivo), dove invece son riuscito con Soravito. Evidente-mente il suo stupido falso ha spezzato tra di noi quellasolidarietà della cordata, che è condizione essenziale perla riuscita di un'impresa; ed ogni sforzo di buona volon-tà per colmare il distacco è ormai vano. Ma tanto piùforte è anche il disgusto che provo per l'alpinismo comeè ormai praticato da quasi tutti. E quando trovo qualcheragazzo ancora animato da una vera e fresca passione,lungi da ogni gara e da ogni polemica, ne resto stupito equasi lo compiango come un illuso, che dovrà prestoprovare delle ben amare delusioni.Andai in Civetta, al Vazzoler, tra quelle altissime crodefantastiche, che anch'esse erano state così mie e mi ave-vano donato tanta felicità. Il libro del rifugio è pieno diautoesaltazioni, di confronti, di gradi di difficoltà, diorari. Sui massi lungo il sentiero sono scritti col minio inomi degli eroici protagonisti di qualche grande impre-sa. È tanto che non abbiano ancor venduto il loro nome

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a qualche fabbricante di scatolette alimentari; forse per-ché con tutte le loro gesta, vale ancora troppo poco pertrovare un acquirente. Su ogni parete, su ogni terra, mipareva di veder idealmente tracciato l'itinerario di questieroici piantatori di chiodi. Le mie crode così insozzatenon avevano più una parola per me, si nascondevano trale nebbie. Solo a notte, dal piazzale del rifugio, mi ap-parvero ancora una volta con le loro sagome immense eportentose, guardai alla Busazza e ripensai a quella not-te passata con Gilberti in cima alla parete. Come mi pa-reva lontana, e quanta nostalgia! (vedi 1931)Fuggire, evadere; mai come in quel momento, guardan-do la sagoma cupa e muta della Busazza, sentii il biso-gno di andarmene lontano, lontano da ogni profanazio-ne, a cercare la vita, la verità e la felicità, dove la naturaè ancora selvaggia e pura, dove l'uomo non sia ancoragiunto con la sua menzogna. Fuggire verso la solitudineimmensa.Chi mi potrà più trattenere, ora che sono libero? Liberoe solo. È una libertà così grande, che mi fa quasi paura.Paura, perché mi giunge in un momento di stanchezza edi smarrimento, in un momento in cui non ho la forza diprendere in mano il mio destino e guidarlo, assoggettar-lo, verso la mia nuova vita. Sento in me ora una tale de-vastazione, una così completa e definitiva distruzione diogni mio ideale, che basterebbe ben poco per farmi di-ventare un pazzo o un delinquente. Il cammino della ri-costruzione sarà lento, faticoso e difficile; avrei bisognodi tutta la mia forza, per distaccarmi violentemente da

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a qualche fabbricante di scatolette alimentari; forse per-ché con tutte le loro gesta, vale ancora troppo poco pertrovare un acquirente. Su ogni parete, su ogni terra, mipareva di veder idealmente tracciato l'itinerario di questieroici piantatori di chiodi. Le mie crode così insozzatenon avevano più una parola per me, si nascondevano trale nebbie. Solo a notte, dal piazzale del rifugio, mi ap-parvero ancora una volta con le loro sagome immense eportentose, guardai alla Busazza e ripensai a quella not-te passata con Gilberti in cima alla parete. Come mi pa-reva lontana, e quanta nostalgia! (vedi 1931)Fuggire, evadere; mai come in quel momento, guardan-do la sagoma cupa e muta della Busazza, sentii il biso-gno di andarmene lontano, lontano da ogni profanazio-ne, a cercare la vita, la verità e la felicità, dove la naturaè ancora selvaggia e pura, dove l'uomo non sia ancoragiunto con la sua menzogna. Fuggire verso la solitudineimmensa.Chi mi potrà più trattenere, ora che sono libero? Liberoe solo. È una libertà così grande, che mi fa quasi paura.Paura, perché mi giunge in un momento di stanchezza edi smarrimento, in un momento in cui non ho la forza diprendere in mano il mio destino e guidarlo, assoggettar-lo, verso la mia nuova vita. Sento in me ora una tale de-vastazione, una così completa e definitiva distruzione diogni mio ideale, che basterebbe ben poco per farmi di-ventare un pazzo o un delinquente. Il cammino della ri-costruzione sarà lento, faticoso e difficile; avrei bisognodi tutta la mia forza, per distaccarmi violentemente da

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tutto ciò che è stato e che ormai non è più nulla per me,per ricostruire dal nulla, dalla sabbia del deserto, dallasolitudine, la mia nuova vita, tutta mia.Fuggire, evadere. Ho bisogno di esser solo, di racco-gliermi tutto in me stesso, di difendermi selvaggiamenteda tutto e da tutti, di odiare tutto e tutti, fino al momentoin cui avrò ritrovato me stesso, e avrò ricostruito la miavita. Allora potrò stendere di nuovo la mano a chi miama, e a chi io amo. Ora ho bisogno di evadere al piùpresto, il più lontano possibile. Guai se dovessi rimanereancora qui per molti mesi legato a questo tavolo; forsemi perderei per sempre, senza possibilità di resurrezio-ne.

2 settembre, Tregnago. Attesa, ancora attesa spasmodi-ca, osservando inerti giorno per giorno l'avvicinarsi del-la catastrofe, a cui non volevo credere, come ci si rifiutadi credere alla più mostruosa delle assurdità. Oggi è unarealtà; la guerra è cominciata ieri, quella guerra che nes-sun uomo, nessun governante, neppure Mussolini vole-va, ma in cui l'umanità si trova ora fatalmente e inespli-cabilmente travolta da un pazzo megalomane, forse tra-volto lui stesso o accecato dalla sua folle brama di rapi-na, di dominio, di abominabile e feroce tirannide. Sem-bra incredibile che un uomo abbia potuto ciò, che il suopopolo stesso asservito e abbrutito si sia lasciato con-durre per la seconda volta in 20 anni verso la rovina,verso la distruzione della nazione. Può darsi che ancoraquesta volta gli vada bene; ma l'annientamento della

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tutto ciò che è stato e che ormai non è più nulla per me,per ricostruire dal nulla, dalla sabbia del deserto, dallasolitudine, la mia nuova vita, tutta mia.Fuggire, evadere. Ho bisogno di esser solo, di racco-gliermi tutto in me stesso, di difendermi selvaggiamenteda tutto e da tutti, di odiare tutto e tutti, fino al momentoin cui avrò ritrovato me stesso, e avrò ricostruito la miavita. Allora potrò stendere di nuovo la mano a chi miama, e a chi io amo. Ora ho bisogno di evadere al piùpresto, il più lontano possibile. Guai se dovessi rimanereancora qui per molti mesi legato a questo tavolo; forsemi perderei per sempre, senza possibilità di resurrezio-ne.

2 settembre, Tregnago. Attesa, ancora attesa spasmodi-ca, osservando inerti giorno per giorno l'avvicinarsi del-la catastrofe, a cui non volevo credere, come ci si rifiutadi credere alla più mostruosa delle assurdità. Oggi è unarealtà; la guerra è cominciata ieri, quella guerra che nes-sun uomo, nessun governante, neppure Mussolini vole-va, ma in cui l'umanità si trova ora fatalmente e inespli-cabilmente travolta da un pazzo megalomane, forse tra-volto lui stesso o accecato dalla sua folle brama di rapi-na, di dominio, di abominabile e feroce tirannide. Sem-bra incredibile che un uomo abbia potuto ciò, che il suopopolo stesso asservito e abbrutito si sia lasciato con-durre per la seconda volta in 20 anni verso la rovina,verso la distruzione della nazione. Può darsi che ancoraquesta volta gli vada bene; ma l'annientamento della

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Germania è divenuta ormai una necessità imprescindibi-le, se il mondo vuole riavere la sua pace, se gli uominivogliono riavere la loro libertà. È per questa necessità,ormai da tutti sentita, che è credibile che il conflitto siestenda nei prossimi giorni, gettando nuovamente nelcaos tutta l'Europa. Mussolini, dopo aver per anni crimi-nosamente aiutato l'espansione e il potenziamento dellaGermania, che anche per noi costituisce l'unico grandepericolo, ha avuto la saggezza di ritirarsi al momentodell'azione, di rinunciare (o romper fede) all'alleanzamilitare stabilita con tanto chiasso appena qualche mesefa, di dichiararsi neutrale. Riuscirà a mantenersi tale?Forse è questione di giorni, di ore. O si rivolgerà al mo-mento opportuno contro la Germania, per abbattere laminaccia che incombe su noi tutti, dopo averla per tantotempo aiutata e rafforzata? È una cosa orribile, vorreiesser già lontano, in un mondo tutto diverso, ch'io so-gno, e non saper nulla di questo folle furore di distruzio-ne assurda.Anche guardando a me stesso, l'eventualità di una guer-ra mi fa terrore. In un momento di spirito altissimo,avrei potuto accettarla come una grande avventura, unaprofonda esperienza di vita e di morte, dimenticandone imotivi assurdi e le conseguenze. Avrei forse potuto vi-verla giorno per giorno, nella sua realtà, senza voler ve-dere oltre la piccola cerchia degli avvenimenti intorno.Ora no, ora sono troppo debole di spirito, troppo stancomoralmente, troppo scosso di nervi, per poter affrontareuna simile esperienza. Ora non ho la forza di tener in

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Germania è divenuta ormai una necessità imprescindibi-le, se il mondo vuole riavere la sua pace, se gli uominivogliono riavere la loro libertà. È per questa necessità,ormai da tutti sentita, che è credibile che il conflitto siestenda nei prossimi giorni, gettando nuovamente nelcaos tutta l'Europa. Mussolini, dopo aver per anni crimi-nosamente aiutato l'espansione e il potenziamento dellaGermania, che anche per noi costituisce l'unico grandepericolo, ha avuto la saggezza di ritirarsi al momentodell'azione, di rinunciare (o romper fede) all'alleanzamilitare stabilita con tanto chiasso appena qualche mesefa, di dichiararsi neutrale. Riuscirà a mantenersi tale?Forse è questione di giorni, di ore. O si rivolgerà al mo-mento opportuno contro la Germania, per abbattere laminaccia che incombe su noi tutti, dopo averla per tantotempo aiutata e rafforzata? È una cosa orribile, vorreiesser già lontano, in un mondo tutto diverso, ch'io so-gno, e non saper nulla di questo folle furore di distruzio-ne assurda.Anche guardando a me stesso, l'eventualità di una guer-ra mi fa terrore. In un momento di spirito altissimo,avrei potuto accettarla come una grande avventura, unaprofonda esperienza di vita e di morte, dimenticandone imotivi assurdi e le conseguenze. Avrei forse potuto vi-verla giorno per giorno, nella sua realtà, senza voler ve-dere oltre la piccola cerchia degli avvenimenti intorno.Ora no, ora sono troppo debole di spirito, troppo stancomoralmente, troppo scosso di nervi, per poter affrontareuna simile esperienza. Ora non ho la forza di tener in

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mano caldamente il mio destino, di reggermi e di gui-darmi sicuramente attraverso gli eventi; oggi soggiace-rei miseramente, passivamente, abbiettamente, a unacondizione di cui sentirei e soffrirei tutta l'assurdità,come già durante il servizio militare precipito nella piùterribile crisi morale ch'io abbia mai vissuto, da cui nonso né come né quando potrei risollevarmi.Non sono il pericolo o la morte stessa, che mi fanno ter-rore; è piuttosto la tensione di una continua angoscia, diuna situazione che non saprei in alcun modo accettare, eche dovrei subire con intima e profonda sofferenza. Il ri-schio o la morte sono elementi del tutto secondari a cuinon penso neppure. In questo momento sono così libero,che non lascio nulla e nessuno. Ho sempre vissuto cosìintensamente la mia vita, che non ho rimpianti. La mor-te non mi ha mai fatto terrore neppure quando l'ho vistain faccia così da vicino, come quest'inverno nel crepac-cio del Monte Rosa. Tanto meno ora, che l'ho vista (lamorte del padre) così bella nella sua pace e nella sereni-tà, sì da sembrarmi perfino tanto più bella e più grande,nel suo infinito mistero, della vita stessa. Io non lascionulla dietro di me, ogni mia attività si completa senzalasciare residui; io non guardo al di là della morte, poi-ché è inutile indagare un mistero che è e sarà sempretale. Perciò la morte non mi fa paura, tanto più che ciòche è in natura non può che essere bello. Il dolore dellamorte, non è in se stessa, ma nel distacco, quindi neltempo che precede la morte, non nella morte stessa. Per-ciò io accoglierei in qualsiasi momento la morte, purché

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mano caldamente il mio destino, di reggermi e di gui-darmi sicuramente attraverso gli eventi; oggi soggiace-rei miseramente, passivamente, abbiettamente, a unacondizione di cui sentirei e soffrirei tutta l'assurdità,come già durante il servizio militare precipito nella piùterribile crisi morale ch'io abbia mai vissuto, da cui nonso né come né quando potrei risollevarmi.Non sono il pericolo o la morte stessa, che mi fanno ter-rore; è piuttosto la tensione di una continua angoscia, diuna situazione che non saprei in alcun modo accettare, eche dovrei subire con intima e profonda sofferenza. Il ri-schio o la morte sono elementi del tutto secondari a cuinon penso neppure. In questo momento sono così libero,che non lascio nulla e nessuno. Ho sempre vissuto cosìintensamente la mia vita, che non ho rimpianti. La mor-te non mi ha mai fatto terrore neppure quando l'ho vistain faccia così da vicino, come quest'inverno nel crepac-cio del Monte Rosa. Tanto meno ora, che l'ho vista (lamorte del padre) così bella nella sua pace e nella sereni-tà, sì da sembrarmi perfino tanto più bella e più grande,nel suo infinito mistero, della vita stessa. Io non lascionulla dietro di me, ogni mia attività si completa senzalasciare residui; io non guardo al di là della morte, poi-ché è inutile indagare un mistero che è e sarà sempretale. Perciò la morte non mi fa paura, tanto più che ciòche è in natura non può che essere bello. Il dolore dellamorte, non è in se stessa, ma nel distacco, quindi neltempo che precede la morte, non nella morte stessa. Per-ciò io accoglierei in qualsiasi momento la morte, purché

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sia improvvisa, come la morte in montagna o la morte inguerra, io amo la vita, tanto più quanto più intensamentela so vivere, quanto più ricerco avidamente ogni soddi-sfazione e ogni gioia ch'ella mi può dare. Ciò non togliech'io accetterei con serenità anche la morte in qualsiasimomento, anche subito, piuttosto che prolungare la miaesistenza in una vecchiezza, che non mi consentisse piùdi vivere la mia vita, piuttosto che spegnermi in una len-ta e lunghissima agonia, come Papà. Non temo dunquela morte nella guerra, ma temo la guerra stessa, comeun'esperienza, che in questo momento non sarei capacedi affrontare.

Il ritrovarmi al pianoforte è stato un gran bene; non osa-vo aprire la tastiera, quasi temendo di sentirmi troppoassente; invece ho vissuto e sofferto quella musica conpiena aderenza. Anche alcuni giorni fa, in una passeg-giata solitaria in Brenta, ho ripetuto alcuni canti di Dan-te; tra gli altri il Conte Ugolino, che da moltissimi anninon ripetevo, forse dal liceo. Ho stentato qua e là a ritro-vare i versi e le rime, ma la potenza tragica, il dolore el'umanità di quella pagina, mi ha profondamente com-mosso, come se per la prima volta io la leggessi.

Attesa, ancora attesa; attesa vana. Avevo bisogno di agi-re, di prendere un'iniziativa qualsiasi e di condurla finoin fondo. Conquistare per riconquistare se stesso. Affer-marmi per credere e aver fiducia in me. Ma la guerra hatroncato ogni possibilità. Il mio sogno di partire per

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sia improvvisa, come la morte in montagna o la morte inguerra, io amo la vita, tanto più quanto più intensamentela so vivere, quanto più ricerco avidamente ogni soddi-sfazione e ogni gioia ch'ella mi può dare. Ciò non togliech'io accetterei con serenità anche la morte in qualsiasimomento, anche subito, piuttosto che prolungare la miaesistenza in una vecchiezza, che non mi consentisse piùdi vivere la mia vita, piuttosto che spegnermi in una len-ta e lunghissima agonia, come Papà. Non temo dunquela morte nella guerra, ma temo la guerra stessa, comeun'esperienza, che in questo momento non sarei capacedi affrontare.

Il ritrovarmi al pianoforte è stato un gran bene; non osa-vo aprire la tastiera, quasi temendo di sentirmi troppoassente; invece ho vissuto e sofferto quella musica conpiena aderenza. Anche alcuni giorni fa, in una passeg-giata solitaria in Brenta, ho ripetuto alcuni canti di Dan-te; tra gli altri il Conte Ugolino, che da moltissimi anninon ripetevo, forse dal liceo. Ho stentato qua e là a ritro-vare i versi e le rime, ma la potenza tragica, il dolore el'umanità di quella pagina, mi ha profondamente com-mosso, come se per la prima volta io la leggessi.

Attesa, ancora attesa; attesa vana. Avevo bisogno di agi-re, di prendere un'iniziativa qualsiasi e di condurla finoin fondo. Conquistare per riconquistare se stesso. Affer-marmi per credere e aver fiducia in me. Ma la guerra hatroncato ogni possibilità. Il mio sogno di partire per

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l'America e di cercare là in quelle immensità selvagge espopolate una vita più vera e più rispondente ai mieiideali, come l'avevo intravvista in Patagonia, quel sognoche per tanto tempo mi aveva lusingato, e che andavoconcretando e preparando, è troncato sul punto di realiz-zarsi e chissà quanti anni passeranno prima che possaesser ripreso. Ogni più attraente prospettiva di attivitàqui è egualmente troncata, resa inattuale e rimandata inaltra epoca (se dopo la distruzione di questa guerra sipotrà ancora pensare a queste cose!). Ogni altra possibi-le iniziativa è scoraggiata dal dubbio di cosa sarà di noiforse fra pochissimi mesi. Il nostro intervento si renderàpresto o tardi inevitabile. Come incamminarci per unastrada qualsiasi, quando si sa che dopo pochi passi sidovrà correre verso ben altre mete? Non resta che l'atte-sa, l'attesa passiva dell'evento, la vigliaccheria dell'atte-sa, di chi ormai impotente a condurre la propria vita e ilproprio destino, si lascia condurre e fatalmente vi sog-giace. Ribellione: sarò mai capace di ribellione, a qual-siasi costo, pur di rendermi di nuovo padrone di mestesso?

Manlio diceva una volta che alla vita lui non ha maichiesto la felicità; la sua meta era l'accettazione. L'accet-tazione è forse l'eroismo di un santo o di un asceta; perme accettazione è solo rinuncia; accettare significa solosubire e quindi essere schiavo della sorte, della vita, dime stesso. Non potrei accettare la mia sorte, farla mia,sentirla come mia, benedirla come voluta da Dio (ciò

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l'America e di cercare là in quelle immensità selvagge espopolate una vita più vera e più rispondente ai mieiideali, come l'avevo intravvista in Patagonia, quel sognoche per tanto tempo mi aveva lusingato, e che andavoconcretando e preparando, è troncato sul punto di realiz-zarsi e chissà quanti anni passeranno prima che possaesser ripreso. Ogni più attraente prospettiva di attivitàqui è egualmente troncata, resa inattuale e rimandata inaltra epoca (se dopo la distruzione di questa guerra sipotrà ancora pensare a queste cose!). Ogni altra possibi-le iniziativa è scoraggiata dal dubbio di cosa sarà di noiforse fra pochissimi mesi. Il nostro intervento si renderàpresto o tardi inevitabile. Come incamminarci per unastrada qualsiasi, quando si sa che dopo pochi passi sidovrà correre verso ben altre mete? Non resta che l'atte-sa, l'attesa passiva dell'evento, la vigliaccheria dell'atte-sa, di chi ormai impotente a condurre la propria vita e ilproprio destino, si lascia condurre e fatalmente vi sog-giace. Ribellione: sarò mai capace di ribellione, a qual-siasi costo, pur di rendermi di nuovo padrone di mestesso?

Manlio diceva una volta che alla vita lui non ha maichiesto la felicità; la sua meta era l'accettazione. L'accet-tazione è forse l'eroismo di un santo o di un asceta; perme accettazione è solo rinuncia; accettare significa solosubire e quindi essere schiavo della sorte, della vita, dime stesso. Non potrei accettare la mia sorte, farla mia,sentirla come mia, benedirla come voluta da Dio (ciò

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che è in fondo il conforto dei deboli, poiché possonogioire di qualsiasi pena, pensando che è voluta da Dio afin di bene); io debbo creare la mia sorte e cercare la fe-licità, a costo di soffrire per non poterla raggiungere, os-sia più di chi vi rinuncia; cercare la felicità non a scopoedonistico, ma perché solo nella felicità posso trovare lapienezza di vita, che è forse il primo dovere dell'uomo.Guai a chi arriva al termine della sua giornata senzaaver vissuto. Ma felicità, pienezza di vita e potenza del-la volontà sono tre termini così strettamente uniti, chemal potrebbe definirsi qual sia la causa e qual sia l'effet-to. Forse alla fine chi accetta la vita è più felice di chicerca di conquistarla. Ma quale dei due è veramenteuomo? e non vale più una sola conquista di mille accet-tazioni? Non è meglio esser padroni di se stessi (o alme-no tentare di esserlo), che esserne schiavi? Parole, paro-le; ma intanto, in questa attesa vile in cui vivo, non sonocapace né di conquista, né di accettazione. E mi sento avolte inutile, perché per non voler accettare nulla di ciòche mi può essere imposto e per non aver la forza di im-pormi, non so trar profitto della mia ricchezza, neppuredi fronte a me stesso.

Dicembre. Sofferenza e tragedia: sono un po' i terminiche buona parte degli alpinisti d'oggi (specialmente te-deschi e italiani) si sentono in dovere di far entrare a pa-role o anche a fatti in ogni loro ascensione. È l'eroismo atutti i costi che si vuol afferrare ed esaltare, proprio orache, almeno nelle Alpi addomesticatissime, l'eroismo

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che è in fondo il conforto dei deboli, poiché possonogioire di qualsiasi pena, pensando che è voluta da Dio afin di bene); io debbo creare la mia sorte e cercare la fe-licità, a costo di soffrire per non poterla raggiungere, os-sia più di chi vi rinuncia; cercare la felicità non a scopoedonistico, ma perché solo nella felicità posso trovare lapienezza di vita, che è forse il primo dovere dell'uomo.Guai a chi arriva al termine della sua giornata senzaaver vissuto. Ma felicità, pienezza di vita e potenza del-la volontà sono tre termini così strettamente uniti, chemal potrebbe definirsi qual sia la causa e qual sia l'effet-to. Forse alla fine chi accetta la vita è più felice di chicerca di conquistarla. Ma quale dei due è veramenteuomo? e non vale più una sola conquista di mille accet-tazioni? Non è meglio esser padroni di se stessi (o alme-no tentare di esserlo), che esserne schiavi? Parole, paro-le; ma intanto, in questa attesa vile in cui vivo, non sonocapace né di conquista, né di accettazione. E mi sento avolte inutile, perché per non voler accettare nulla di ciòche mi può essere imposto e per non aver la forza di im-pormi, non so trar profitto della mia ricchezza, neppuredi fronte a me stesso.

Dicembre. Sofferenza e tragedia: sono un po' i terminiche buona parte degli alpinisti d'oggi (specialmente te-deschi e italiani) si sentono in dovere di far entrare a pa-role o anche a fatti in ogni loro ascensione. È l'eroismo atutti i costi che si vuol afferrare ed esaltare, proprio orache, almeno nelle Alpi addomesticatissime, l'eroismo

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non ha più posto o almeno non ha più senso. Il veroeroismo è quello che non sa neppure di essere eroico; equando si comincia a parlare di eroismo, l'eroismo èbell'e che morto. Così il popolo italiano che è stato tantevolte veramente eroico, ha cessato di esserlo ed è diven-tato un'accozzaglia di vigliacchi e di ipocriti, da quandoogni fascista, se appena si è scottato con un cenerino, èstato esaltato come un eroe. Durante la guerra si è fattodel vero eroismo. Chi non ha potuto parteciparvi, hacreduto di poter emulare quelle gesta creandosi l'eroi-smo a tutti i costi. Così anche in montagna, l'eroismo èdiventato un vezzo. Ogni parete è strapiombante, ognirisalto è un tetto, ogni placca è liscia, ogni camino è vi-scido e bloccato, ogni appiglio è infido, ogni ostacolo èalmeno formidabile, ogni colpo di vento è la tormentache infuria, ogni goccia di pioggia è l'uragano, e cosìvia. Lo si dice, ma molti effettivamente lo credono; especialmente coloro (come la gran massa degli alpinistitedeschi) che hanno il vizio di voler sempre fare qualchecosa di più di quanto le loro possibilità glielo consenta-no.Pianteranno un mucchio di chiodi; impiegheranno untempo infinito, arrischieranno il tutto per tutto, ma allafine con una cocciutaggine non so se più ammirevole odeplorevole, raggiungeranno trionfanti la meta (a volteanche modestissima); e non sarà loro difficile dramma-tizzare con le tinte più accese il racconto della loroascensione, poiché realmente essi hanno vissuto undramma spasmodico per giungere un pochino al di là

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non ha più posto o almeno non ha più senso. Il veroeroismo è quello che non sa neppure di essere eroico; equando si comincia a parlare di eroismo, l'eroismo èbell'e che morto. Così il popolo italiano che è stato tantevolte veramente eroico, ha cessato di esserlo ed è diven-tato un'accozzaglia di vigliacchi e di ipocriti, da quandoogni fascista, se appena si è scottato con un cenerino, èstato esaltato come un eroe. Durante la guerra si è fattodel vero eroismo. Chi non ha potuto parteciparvi, hacreduto di poter emulare quelle gesta creandosi l'eroi-smo a tutti i costi. Così anche in montagna, l'eroismo èdiventato un vezzo. Ogni parete è strapiombante, ognirisalto è un tetto, ogni placca è liscia, ogni camino è vi-scido e bloccato, ogni appiglio è infido, ogni ostacolo èalmeno formidabile, ogni colpo di vento è la tormentache infuria, ogni goccia di pioggia è l'uragano, e cosìvia. Lo si dice, ma molti effettivamente lo credono; especialmente coloro (come la gran massa degli alpinistitedeschi) che hanno il vizio di voler sempre fare qualchecosa di più di quanto le loro possibilità glielo consenta-no.Pianteranno un mucchio di chiodi; impiegheranno untempo infinito, arrischieranno il tutto per tutto, ma allafine con una cocciutaggine non so se più ammirevole odeplorevole, raggiungeranno trionfanti la meta (a volteanche modestissima); e non sarà loro difficile dramma-tizzare con le tinte più accese il racconto della loroascensione, poiché realmente essi hanno vissuto undramma spasmodico per giungere un pochino al di là

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delle loro capacità, e una volta impegnati, hanno dovutolottare fino all'estremo delle loro forze per riportare acasa la pelle. Eroismo a tutti i costi, sì, ma a che pro? Èalpinismo o gioco d'azzardo, atto solo ad aumentare ilnumero delle disgrazie? è scuola di coraggio o scuola dipaura? o è solo voluttà del sensazionale, spinta fino a vi-vere il dramma, per colmo di sensazione?Ma no, l'alpinismo non è dramma, è serenità; non è con-quista della montagna (presunzione assurda), né lotta tral'uomo e la Natura (mera finzione che noi immaginiamoper rendere eroica e grandiosa la nostra piccola lotta); ètutt'al più conquista di se stessi. Anche quando anch'ioconcepivo l'ascensione come conquista, ho sempre ri-gettato tuttavia tutte quelle salite in cui m'ero troppo im-pegnato per poterle godere. Un'impresa sofferta potràdare soddisfazione, ma nessun vero bene. La vera ascen-sione è quella che può esser goduta non solo spiritual-mente, ma anche fisicamente, per quel benessere che dàl'agilità dei movimenti, la scioltezza dei muscoli, la pie-na padronanza delle forze e della tecnica. Allora ognidifficoltà è lecita, perché neppure ci si accorge della dif-ficoltà; essa è soltanto il mezzo per mettere alla prova, equindi per poter godere, di quello straordinario stato digrazia fisico e morale; come sulla Torre Venezia, sullaBusazza, sul Sass Maor, sul Piz Long, sulla Marmolada,e su tante altre salite così profondamente vissute. Perchéparlare di sofferenza? io non ricordo con piacere quellesalite che per una ragione o per l'altra mi hanno tropposeriamente impegnato. Solo le salite portate a termine

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delle loro capacità, e una volta impegnati, hanno dovutolottare fino all'estremo delle loro forze per riportare acasa la pelle. Eroismo a tutti i costi, sì, ma a che pro? Èalpinismo o gioco d'azzardo, atto solo ad aumentare ilnumero delle disgrazie? è scuola di coraggio o scuola dipaura? o è solo voluttà del sensazionale, spinta fino a vi-vere il dramma, per colmo di sensazione?Ma no, l'alpinismo non è dramma, è serenità; non è con-quista della montagna (presunzione assurda), né lotta tral'uomo e la Natura (mera finzione che noi immaginiamoper rendere eroica e grandiosa la nostra piccola lotta); ètutt'al più conquista di se stessi. Anche quando anch'ioconcepivo l'ascensione come conquista, ho sempre ri-gettato tuttavia tutte quelle salite in cui m'ero troppo im-pegnato per poterle godere. Un'impresa sofferta potràdare soddisfazione, ma nessun vero bene. La vera ascen-sione è quella che può esser goduta non solo spiritual-mente, ma anche fisicamente, per quel benessere che dàl'agilità dei movimenti, la scioltezza dei muscoli, la pie-na padronanza delle forze e della tecnica. Allora ognidifficoltà è lecita, perché neppure ci si accorge della dif-ficoltà; essa è soltanto il mezzo per mettere alla prova, equindi per poter godere, di quello straordinario stato digrazia fisico e morale; come sulla Torre Venezia, sullaBusazza, sul Sass Maor, sul Piz Long, sulla Marmolada,e su tante altre salite così profondamente vissute. Perchéparlare di sofferenza? io non ricordo con piacere quellesalite che per una ragione o per l'altra mi hanno tropposeriamente impegnato. Solo le salite portate a termine

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con piena serenità di spirito, mi hanno dato un verobene e mi hanno lasciato un caro ricordo. Anche i bivac-chi non devono essere sopportati, ma debbono esser go-duti con tutta la gioia ch'essi possono dare. E perfino gliincidenti, quando mi son rotto le gambe, io debbo ricor-darli tra le esperienze che mi hanno dato più intensa fe-licità, almeno finché la sofferenza fisica non ha turbatoquell'ebbrezza. In montagna io non cerco la sofferenza,non per vigliaccheria, ma semplicemente perch'essa mivieta di godere la montagna e di trarne tutto quel benech'essa mi potrebbe dare. Io non cerco la lotta, ma cercodi mettermi in grado di poter superare anche l'ascensio-ne più bella e più difficile senza lotta. La lotta implical'odio: l'alpinismo è solo amore.

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con piena serenità di spirito, mi hanno dato un verobene e mi hanno lasciato un caro ricordo. Anche i bivac-chi non devono essere sopportati, ma debbono esser go-duti con tutta la gioia ch'essi possono dare. E perfino gliincidenti, quando mi son rotto le gambe, io debbo ricor-darli tra le esperienze che mi hanno dato più intensa fe-licità, almeno finché la sofferenza fisica non ha turbatoquell'ebbrezza. In montagna io non cerco la sofferenza,non per vigliaccheria, ma semplicemente perch'essa mivieta di godere la montagna e di trarne tutto quel benech'essa mi potrebbe dare. Io non cerco la lotta, ma cercodi mettermi in grado di poter superare anche l'ascensio-ne più bella e più difficile senza lotta. La lotta implical'odio: l'alpinismo è solo amore.

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1940

Gennaio. Due settimane di vagabondaggi senza metaper le Dolomiti, col solo scopo di godersi il sole, la lucee il paesaggio incantato delle crode e delle nubi. La gitapiù goduta è stata la discesa dalla Val di Fanes con Piso-ni che pareva andar scoprendo per la prima volta quelpaesaggio fiabesco degli abeti ancora incappucciati dal-la neve soffice e cristallina. Tornai anche sul Sella, conuna salita molto faticosa per la neve gelata: in cima ri-trovai quelle croste pericolose e il trovarmi solo mi davaun senso di oppressione (che senza eufemismi si potreb-be chiamare paura), che mi fece raddoppiare di pruden-za. Forse proprio per questo non avevo la mia abitualesicurezza e nel canalone ghiacciato della Forcella Por-doi feci un ruzzolone di cento metri e non so propriocome nel gran groviglio di sci all'aria, di gambe e di ba-stoncini non mi feci nulla e potei ripartire veloce e sicu-ro verso Corvara.

22 gennaio. Sono stato ieri a Bolzano a trovareVinatzer, che in una caduta di sci si è rotto il bacino. Lalettera che mi aveva scritto la sua fidanzata, lasciava te-mere qualche cosa anche di molto più grave. Eppure, in-confessatamente ed egoisticamente, ne ero quasi conten-to: mi pareva che l'accidente e la necessaria degenza do-vessero legarlo per qualche tempo ancora qui, rimandare

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Gennaio. Due settimane di vagabondaggi senza metaper le Dolomiti, col solo scopo di godersi il sole, la lucee il paesaggio incantato delle crode e delle nubi. La gitapiù goduta è stata la discesa dalla Val di Fanes con Piso-ni che pareva andar scoprendo per la prima volta quelpaesaggio fiabesco degli abeti ancora incappucciati dal-la neve soffice e cristallina. Tornai anche sul Sella, conuna salita molto faticosa per la neve gelata: in cima ri-trovai quelle croste pericolose e il trovarmi solo mi davaun senso di oppressione (che senza eufemismi si potreb-be chiamare paura), che mi fece raddoppiare di pruden-za. Forse proprio per questo non avevo la mia abitualesicurezza e nel canalone ghiacciato della Forcella Por-doi feci un ruzzolone di cento metri e non so propriocome nel gran groviglio di sci all'aria, di gambe e di ba-stoncini non mi feci nulla e potei ripartire veloce e sicu-ro verso Corvara.

22 gennaio. Sono stato ieri a Bolzano a trovareVinatzer, che in una caduta di sci si è rotto il bacino. Lalettera che mi aveva scritto la sua fidanzata, lasciava te-mere qualche cosa anche di molto più grave. Eppure, in-confessatamente ed egoisticamente, ne ero quasi conten-to: mi pareva che l'accidente e la necessaria degenza do-vessero legarlo per qualche tempo ancora qui, rimandare

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quella partenza, che sento così dolorosa per me, e chevorrei potesse non realizzarsi mai.Era in un letto e soffriva ancora molto; abbiamo parlatoa lungo, confrontando le mie esperienze analoghe allesue. Anche in lui non c'era traccia di dispetto o di ribel-lione alla sorte, come si poteva aspettarsi da uno spiritodi così ardente impulso di vita e di affermazione, masolo una grande serenità che illuminava il suo sguardodi bontà profonda. Lo stato di semi-incoscienza in cui èrimasto dopo la caduta, gli ha impedito di rendersi contoo di vivere un'esperienza come la mia sulle Mésules.Forse non ci sarà in lui un cambiamento così radicalecome quello che ha causato in me quell'accidente. Eppu-re, almeno per ora, mi sembrava che anche in lui quellostato, sia pur passeggero di impotenza avesse annullatoo almeno assopito quello slancio eroico, quel bisognointimo di affermazione e di conquista, subentrando inve-ce un sentimento di serenità, di affetto, una luce d'amoreprofondamente umana. E di altrettanto quindi lo sentivopiù vicino al mio modo di sentire e di essere, tanto dapotergli parlare, con la sicurezza di poter pienamentecomprendere ed essere compreso, come se parlassi a mestesso.

Dicono ch'io odio le donne: ma davvero, all'infuori diquelle carnali, bisogna proprio dire che ben poche sod-disfazioni io abbia avuto da loro; anzi sembra che fac-ciano del loro meglio per farsi odiare, anche quando ioavrei tutte le buone disposizioni per amarle. All'infuori

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quella partenza, che sento così dolorosa per me, e chevorrei potesse non realizzarsi mai.Era in un letto e soffriva ancora molto; abbiamo parlatoa lungo, confrontando le mie esperienze analoghe allesue. Anche in lui non c'era traccia di dispetto o di ribel-lione alla sorte, come si poteva aspettarsi da uno spiritodi così ardente impulso di vita e di affermazione, masolo una grande serenità che illuminava il suo sguardodi bontà profonda. Lo stato di semi-incoscienza in cui èrimasto dopo la caduta, gli ha impedito di rendersi contoo di vivere un'esperienza come la mia sulle Mésules.Forse non ci sarà in lui un cambiamento così radicalecome quello che ha causato in me quell'accidente. Eppu-re, almeno per ora, mi sembrava che anche in lui quellostato, sia pur passeggero di impotenza avesse annullatoo almeno assopito quello slancio eroico, quel bisognointimo di affermazione e di conquista, subentrando inve-ce un sentimento di serenità, di affetto, una luce d'amoreprofondamente umana. E di altrettanto quindi lo sentivopiù vicino al mio modo di sentire e di essere, tanto dapotergli parlare, con la sicurezza di poter pienamentecomprendere ed essere compreso, come se parlassi a mestesso.

Dicono ch'io odio le donne: ma davvero, all'infuori diquelle carnali, bisogna proprio dire che ben poche sod-disfazioni io abbia avuto da loro; anzi sembra che fac-ciano del loro meglio per farsi odiare, anche quando ioavrei tutte le buone disposizioni per amarle. All'infuori

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di una naturalmente; ma anche quella forse l'ho potutaamare, perché era già maritata (la sig.ra Ranieri). Ed èstata una fortuna che lo fosse!

13 maggio. Sono stato a far la parete della Paganella; hoseguito passivamente Pisoni, senza gioia e senza entu-siasmo. Solo verso la fine della parete ho sentito i mu-scoli sciogliersi dal loro intorpidimento, ho sentito attra-verso il rinnovarsi dell'agilità e del benessere fisico, unprimo risveglio anche di benessere morale, di gioia, didesiderio d'azione. Ma la giornata è stata troppo breveper risollevarmi in modo decisivo dal mio grigiore e an-che a Pisoni non ho saputo essere abbastanza vicino persentire il giovamento della sua luminosa e fresca giovi-nezza. Poi per due domeniche sono andato solo a cerca-re il sole, l'aria, la libertà; brevi passeggiate tra i prati infiore. Alla montagna voglio riavvicinarmi per gradi eper la via che oggi è la sola possibile per me: quelladell'amore.

Vitale voleva andare a salire due sassi alti pochi metri,che lui chiamava due torri vergini. Gli chiesi se per casonon avesse perduto il senso del ridicolo. Ci rimase unpo' male, poi voltò tutto in ischerzo, ma nei motti che cisiamo scambiati c'era una lontana punta di acredine. Eradall'estate scorsa che non andavo con lui e forse dal Ba-dile non avevamo più fatto un'ascensione insieme. Sentoin lui l'ambizione prendere una prevalenza ormai quasiassoluta sulla passione. Chiacchierando con l'uno e con

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di una naturalmente; ma anche quella forse l'ho potutaamare, perché era già maritata (la sig.ra Ranieri). Ed èstata una fortuna che lo fosse!

13 maggio. Sono stato a far la parete della Paganella; hoseguito passivamente Pisoni, senza gioia e senza entu-siasmo. Solo verso la fine della parete ho sentito i mu-scoli sciogliersi dal loro intorpidimento, ho sentito attra-verso il rinnovarsi dell'agilità e del benessere fisico, unprimo risveglio anche di benessere morale, di gioia, didesiderio d'azione. Ma la giornata è stata troppo breveper risollevarmi in modo decisivo dal mio grigiore e an-che a Pisoni non ho saputo essere abbastanza vicino persentire il giovamento della sua luminosa e fresca giovi-nezza. Poi per due domeniche sono andato solo a cerca-re il sole, l'aria, la libertà; brevi passeggiate tra i prati infiore. Alla montagna voglio riavvicinarmi per gradi eper la via che oggi è la sola possibile per me: quelladell'amore.

Vitale voleva andare a salire due sassi alti pochi metri,che lui chiamava due torri vergini. Gli chiesi se per casonon avesse perduto il senso del ridicolo. Ci rimase unpo' male, poi voltò tutto in ischerzo, ma nei motti che cisiamo scambiati c'era una lontana punta di acredine. Eradall'estate scorsa che non andavo con lui e forse dal Ba-dile non avevamo più fatto un'ascensione insieme. Sentoin lui l'ambizione prendere una prevalenza ormai quasiassoluta sulla passione. Chiacchierando con l'uno e con

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l'altro, trovò modo di far cadere una volta di più il di-scorso sulla parete del Badile, e con un tono di affettataostentazione nominò la parete che "Castiglioni ha fattocon me" dando a quel "con me" un'intonazione di ancorpiù affettata modestia. Quanta ipocrisia!

Da stamane siamo in guerra; questa sera ci sarà l'annun-cio ufficiale. Siamo gettati anche noi in quest'orribileavventura a cui non volevo credere, entriamo anche noinel novero dei briganti affamati di preda, che ci gettia-mo con selvaggia vigliaccheria su una nazione già vacil-lante per strapparle la nostra parte di bottino. Nella sto-ria d'Italia non esiste un'azione così ignominiosa. Il po-polo italiano è trascinato dalla follia criminosa di unuomo a una guerra che gli ripugna, con la consapevolez-za che la vittoria sarà forse più funesta per l'avvenired'Italia di una sconfitta, e certamente sarà più funestaper la causa della civiltà. Ma dopotutto era questo il lo-gico sbocco a cui la dittatura doveva condurci; e il po-polo italiano che per 18 anni ha subito la schiavitù senzasapersi ribellare, non si meritava altra sorte che di viverefino in fondo la sua tragedia di ignominia e di attraver-sare la più orribile prova di sangue e di distruzione peresser degno di redimersi. La nostra meta dev'essere la li-bertà; e per la libertà combatteremo tutti con tutte le no-stre forze. Ma non è combattendo contro la Francia, chepotremo riconquistare la nostra libertà.Non sono ancora stato chiamato a partecipare a questalotta, che mi ripugna, ma è probabile ch'io lo sia presto

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l'altro, trovò modo di far cadere una volta di più il di-scorso sulla parete del Badile, e con un tono di affettataostentazione nominò la parete che "Castiglioni ha fattocon me" dando a quel "con me" un'intonazione di ancorpiù affettata modestia. Quanta ipocrisia!

Da stamane siamo in guerra; questa sera ci sarà l'annun-cio ufficiale. Siamo gettati anche noi in quest'orribileavventura a cui non volevo credere, entriamo anche noinel novero dei briganti affamati di preda, che ci gettia-mo con selvaggia vigliaccheria su una nazione già vacil-lante per strapparle la nostra parte di bottino. Nella sto-ria d'Italia non esiste un'azione così ignominiosa. Il po-polo italiano è trascinato dalla follia criminosa di unuomo a una guerra che gli ripugna, con la consapevolez-za che la vittoria sarà forse più funesta per l'avvenired'Italia di una sconfitta, e certamente sarà più funestaper la causa della civiltà. Ma dopotutto era questo il lo-gico sbocco a cui la dittatura doveva condurci; e il po-polo italiano che per 18 anni ha subito la schiavitù senzasapersi ribellare, non si meritava altra sorte che di viverefino in fondo la sua tragedia di ignominia e di attraver-sare la più orribile prova di sangue e di distruzione peresser degno di redimersi. La nostra meta dev'essere la li-bertà; e per la libertà combatteremo tutti con tutte le no-stre forze. Ma non è combattendo contro la Francia, chepotremo riconquistare la nostra libertà.Non sono ancora stato chiamato a partecipare a questalotta, che mi ripugna, ma è probabile ch'io lo sia presto

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o tardi. Ma fino a quell'ora non mi pongo neppure il pro-blema di quale sia il mio dovere più forte: oggi, in que-sto momento così grave, il mio caso personale scompa-re, anche il più esasperante conflitto di coscienza che nepotrà derivare, mi pare nulla in confronto della grandio-sità dell'evento che ci incombe. Mai come in questo mo-mento ho sentito il mio io così totalmente annullarsi edassorbirsi nella causa comune dell'umanità e della civil-tà.

Un paio di arrampicate con Battista mi hanno reso la si-curezza e la fiducia in me stesso, che da tanto tempo mimancavano. Solo la montagna può risollevarmi dallostato di abbiezione in cui mi son lasciato cadere.

18 agosto, Ortisei.3 Finalmente, dopo tanto smarrimen-to e tanto grigiore, ritrovavo tutto il senso della mia vitanell'ebbrezza e nella purezza dei monti. Avevo bisognoancora di un po' di allenamento fisico; ma lo spirito, ch'èquello che conta, era pronto e voglioso di imprese, comenon era più stato dai giorni della Marmolada.Andai a S. Martino con Vitale. Ritrovai le mie crode inun fulgore di sole. Ed erano tutte per me. Gli alberghichiusi, non un villeggiante, non una macchina turbavanoil silenzio del paesaggio. Quelle orribili costruzionisembravano improvvisamente abbandonate, e già mi pa-reva di immaginarle diroccate, rivestite di edera, som-

3 - La data non congruente è così nel testo di riferimento [Nota per l'edizio-ne elettronica Manuzio]

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o tardi. Ma fino a quell'ora non mi pongo neppure il pro-blema di quale sia il mio dovere più forte: oggi, in que-sto momento così grave, il mio caso personale scompa-re, anche il più esasperante conflitto di coscienza che nepotrà derivare, mi pare nulla in confronto della grandio-sità dell'evento che ci incombe. Mai come in questo mo-mento ho sentito il mio io così totalmente annullarsi edassorbirsi nella causa comune dell'umanità e della civil-tà.

Un paio di arrampicate con Battista mi hanno reso la si-curezza e la fiducia in me stesso, che da tanto tempo mimancavano. Solo la montagna può risollevarmi dallostato di abbiezione in cui mi son lasciato cadere.

18 agosto, Ortisei.3 Finalmente, dopo tanto smarrimen-to e tanto grigiore, ritrovavo tutto il senso della mia vitanell'ebbrezza e nella purezza dei monti. Avevo bisognoancora di un po' di allenamento fisico; ma lo spirito, ch'èquello che conta, era pronto e voglioso di imprese, comenon era più stato dai giorni della Marmolada.Andai a S. Martino con Vitale. Ritrovai le mie crode inun fulgore di sole. Ed erano tutte per me. Gli alberghichiusi, non un villeggiante, non una macchina turbavanoil silenzio del paesaggio. Quelle orribili costruzionisembravano improvvisamente abbandonate, e già mi pa-reva di immaginarle diroccate, rivestite di edera, som-

3 - La data non congruente è così nel testo di riferimento [Nota per l'edizio-ne elettronica Manuzio]

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merse dalla foresta, come se il tempo potesse già averfatto giustizia di quella sacrilega presunzione umana.Nella conca di Pradidali rincorremmo l'ultimo sole finoalla base della Cima Canali. Poi il tramonto rifulse sulletorri col suo inesausto lusso di colori.All'indomani ci avviammo tardi alla cresta di Val diRoda: volevo collaudare le mie forze con quella lungagaloppata attraverso i 7 campanili. Mi lanciai smaniosoper spigoli e creste aeree, ancora una volta godendodell'esposizione, gioioso di afferrare gli appigli solidis-simi e di liberarmi su di essi quasi in volo, libero e pro-teso nello spazio. I primi tre campanili furono scavalcatiassai rapidamente: pareva davvero una galoppata frene-tica.Salivo già al 4°, senza arrestarmi; in un piccolo ghiaionescorsi un grosso masso e mi ci avviai per assicurare Vi-tale. Appena l'avevo sfiorato e quello precipita trasci-nandomi. Rotolai un paio di volte su me stesso tra i sassie arrivai ad afferrarmi all'ultima sporgenza prima delsalto sul vuoto, non capii più nulla; mi girava la testa,avevo nausea e la vista annebbiata; mi dolevano forte legambe.Capii subito però che non c'era niente di grave: indovi-nai che avevo rotto il perone. Potei scendere arrampi-cando o a corde doppie e trascinarmi poi fino al nevaio,sotto al passo di Ball. Qui Vitale mi lasciò per andare alrifugio a chiamare i ragazzi (tra cui Saverio) e a prende-re attrezzi di soccorso. Ancora una volta così rimasisolo, supino e impotente, in mezzo alle mie crode. Nulla

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merse dalla foresta, come se il tempo potesse già averfatto giustizia di quella sacrilega presunzione umana.Nella conca di Pradidali rincorremmo l'ultimo sole finoalla base della Cima Canali. Poi il tramonto rifulse sulletorri col suo inesausto lusso di colori.All'indomani ci avviammo tardi alla cresta di Val diRoda: volevo collaudare le mie forze con quella lungagaloppata attraverso i 7 campanili. Mi lanciai smaniosoper spigoli e creste aeree, ancora una volta godendodell'esposizione, gioioso di afferrare gli appigli solidis-simi e di liberarmi su di essi quasi in volo, libero e pro-teso nello spazio. I primi tre campanili furono scavalcatiassai rapidamente: pareva davvero una galoppata frene-tica.Salivo già al 4°, senza arrestarmi; in un piccolo ghiaionescorsi un grosso masso e mi ci avviai per assicurare Vi-tale. Appena l'avevo sfiorato e quello precipita trasci-nandomi. Rotolai un paio di volte su me stesso tra i sassie arrivai ad afferrarmi all'ultima sporgenza prima delsalto sul vuoto, non capii più nulla; mi girava la testa,avevo nausea e la vista annebbiata; mi dolevano forte legambe.Capii subito però che non c'era niente di grave: indovi-nai che avevo rotto il perone. Potei scendere arrampi-cando o a corde doppie e trascinarmi poi fino al nevaio,sotto al passo di Ball. Qui Vitale mi lasciò per andare alrifugio a chiamare i ragazzi (tra cui Saverio) e a prende-re attrezzi di soccorso. Ancora una volta così rimasisolo, supino e impotente, in mezzo alle mie crode. Nulla

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di nuovo poteva insegnarmi questa esperienza, che si ri-pete ormai con frequenza quasi eccessiva. Del resto nonsapevo neppur darvi gran peso, appunto perché non eracosa grave e la consideravo come un semplice acciden-te. Eppure quando mi trovai di nuovo solo nell'attesa,ancora una volta mi sentii trasformato, ancora una voltami si dischiuse quel mondo di mistico mistero. Ripensaialla notte sul Piz di Sagron, alle ore sulle Mésules. Qua-si come rinnovando il rito, mi venne alle labbra, l'innodantesco. Ne fui così commosso, che non fui capace diterminare il canto; e piansi, forse di gioia. Nella nebbiache avvolgeva il vallone, apparve dietro una velatura ir-reale il pilastro superiore della Pala, radioso dell'ultimosole. Così, sospese tra le nubi e splendenti di luce, i pit-tori raffigurano le apparizioni divine. Mi parve quasiche il dirupo più alto e più sporgente avesse le formedella Vergine col Bimbo. Ma non era la divinità umaniz-zata, ch'io cercavo e sentivo, bensì l'essenza stessa delladivinità che si raffigurava in quella rupe diafana e irrea-le, inondata di luce, sospesa tra i nembi flottanti.È proprio necessario giacere a terra impotenti, per esse-re partecipi del grande mistero, per essere invasi e capa-ci di un così alto senso di misticismo? O è di nuovo unammonimento? Forse che col rinascere del mio spiritodi conquista, avevo rotto il voto d'amore delle Mésules?e dovevo troncare all'inizio il mio superbo cammino e dinuovo ravvedermi come sulle Mésules, verso una con-cezione più alta della vita e dell'amore?

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di nuovo poteva insegnarmi questa esperienza, che si ri-pete ormai con frequenza quasi eccessiva. Del resto nonsapevo neppur darvi gran peso, appunto perché non eracosa grave e la consideravo come un semplice acciden-te. Eppure quando mi trovai di nuovo solo nell'attesa,ancora una volta mi sentii trasformato, ancora una voltami si dischiuse quel mondo di mistico mistero. Ripensaialla notte sul Piz di Sagron, alle ore sulle Mésules. Qua-si come rinnovando il rito, mi venne alle labbra, l'innodantesco. Ne fui così commosso, che non fui capace diterminare il canto; e piansi, forse di gioia. Nella nebbiache avvolgeva il vallone, apparve dietro una velatura ir-reale il pilastro superiore della Pala, radioso dell'ultimosole. Così, sospese tra le nubi e splendenti di luce, i pit-tori raffigurano le apparizioni divine. Mi parve quasiche il dirupo più alto e più sporgente avesse le formedella Vergine col Bimbo. Ma non era la divinità umaniz-zata, ch'io cercavo e sentivo, bensì l'essenza stessa delladivinità che si raffigurava in quella rupe diafana e irrea-le, inondata di luce, sospesa tra i nembi flottanti.È proprio necessario giacere a terra impotenti, per esse-re partecipi del grande mistero, per essere invasi e capa-ci di un così alto senso di misticismo? O è di nuovo unammonimento? Forse che col rinascere del mio spiritodi conquista, avevo rotto il voto d'amore delle Mésules?e dovevo troncare all'inizio il mio superbo cammino e dinuovo ravvedermi come sulle Mésules, verso una con-cezione più alta della vita e dell'amore?

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11 agosto, Tregnago. La breve estasi mistica mi lasciasempre un'impressione profonda e duratura di felicità.Non avrei più voluto scendere da quelle crode che tantagioia mi sapevano dare. Rimasi al Pradidali ancora duegiorni, poi mi decisi a scendere, in gran parte a piedi,per farmi ingessare. Tornai a Ortisei, volevo passare tra imiei monti anche quel periodo di convalescenza. Rima-nevo quasi l'intera giornata sdraiato nel sole, sul prato onei boschi. La guarigione fu questa volta rapida e senzadelusioni. Ne ebbi un benessere fisico straordinario. Epiù ancora un benessere spirituale, come una rigenera-zione e una serenità senza nubi. Come al contatto dellecrode il mio animo e le mie forze andavano riprendendol'antico slancio e l'antica volontà d'azione così anche ilmio spirito si ridestava dall'avvilente apatia dei lunghimesi di Milano e ritrovava tutta la sua vitalità e la suacapacità di gioia. Leggevo Goethe quasi riscoprendolo edue romanzi norvegesi, pieni di forza, come le antichesaghe nibelungiche. Avrei voluto anche scrivere, se ciònon mi avesse privato di qualche ora di sole sui prati.Era meraviglioso vedere con quale sicurezza di occhio edi mano quegli artigiani scolpivano il legno e sapevanoricavare direttamente dal ceppo greggio le loro figurinecosì piene di movimento. Pensavo a Michelangelo cheandava a scoprire nel blocco di marmo le sue figure,come se liberasse la figura ch'egli già vedeva da tutta lamateria ch'era in più. E invidiavo quella gioia di crearedalla materia grezza quelle figure così piene di vita.Fui felice anche della compagnia di Battista e di sua

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11 agosto, Tregnago. La breve estasi mistica mi lasciasempre un'impressione profonda e duratura di felicità.Non avrei più voluto scendere da quelle crode che tantagioia mi sapevano dare. Rimasi al Pradidali ancora duegiorni, poi mi decisi a scendere, in gran parte a piedi,per farmi ingessare. Tornai a Ortisei, volevo passare tra imiei monti anche quel periodo di convalescenza. Rima-nevo quasi l'intera giornata sdraiato nel sole, sul prato onei boschi. La guarigione fu questa volta rapida e senzadelusioni. Ne ebbi un benessere fisico straordinario. Epiù ancora un benessere spirituale, come una rigenera-zione e una serenità senza nubi. Come al contatto dellecrode il mio animo e le mie forze andavano riprendendol'antico slancio e l'antica volontà d'azione così anche ilmio spirito si ridestava dall'avvilente apatia dei lunghimesi di Milano e ritrovava tutta la sua vitalità e la suacapacità di gioia. Leggevo Goethe quasi riscoprendolo edue romanzi norvegesi, pieni di forza, come le antichesaghe nibelungiche. Avrei voluto anche scrivere, se ciònon mi avesse privato di qualche ora di sole sui prati.Era meraviglioso vedere con quale sicurezza di occhio edi mano quegli artigiani scolpivano il legno e sapevanoricavare direttamente dal ceppo greggio le loro figurinecosì piene di movimento. Pensavo a Michelangelo cheandava a scoprire nel blocco di marmo le sue figure,come se liberasse la figura ch'egli già vedeva da tutta lamateria ch'era in più. E invidiavo quella gioia di crearedalla materia grezza quelle figure così piene di vita.Fui felice anche della compagnia di Battista e di sua

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moglie, così piena di spirito, di intelligenza e di vivaci-tà. Si amano con un affetto così fresco, quasi fanciulle-sco, e così immediato che fa piacere a vedersi. Per lui lagrande felicità sembra proprio essere quel senso di pos-sedere la persona cara, di averla fatta sua, di averla tuttaper sé. In realtà però è sempre lei la più forte e semprelasciandolo o adescandolo con quel senso di possesso,finisce sempre a far lei quel che vuole. È un gioco d'unaastuzia, forse inconscia ma così fine che mi divertivamolto; anche uno spirito così volitivo e insofferentecome Battista, aveva dunque trovato chi lo sapeva do-minare per forza d'amore. E forse era proprio il sentirein lei quel bisogno d'indipendenza e di iniziativa e ilsentir lei tanto più libera di se stesso, che lo faceva cosìsospettoso di tutti e così geloso. Temevo che questa suagelosia potesse portare una nube nella nostra amicizia;avrei voluto dirgli che, per quanta simpatia io avessi po-tuto provare per sua moglie, il mio affetto per lui eratroppo grande perché io avessi potuto permettere chesorgesse in me o in lei anche l'ombra di un sentimentoche gli potesse far torto. Di donne se ne trovan sempredove e quante se ne vuole; i veri amici, invece son cosìpochi, che non son certo disposto a perder un amico peril meschino piacere di una donna. La sua gelosia primami offendeva, poi in fondo mi faceva ridere e pensavocome possono diventare stupidi gli uomini quando sisposano! E infine, trovai che non valeva la pena di darviimportanza, dal momento che lui stesso cercava di do-minare questo suo sentimento, forse riconoscendone la

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moglie, così piena di spirito, di intelligenza e di vivaci-tà. Si amano con un affetto così fresco, quasi fanciulle-sco, e così immediato che fa piacere a vedersi. Per lui lagrande felicità sembra proprio essere quel senso di pos-sedere la persona cara, di averla fatta sua, di averla tuttaper sé. In realtà però è sempre lei la più forte e semprelasciandolo o adescandolo con quel senso di possesso,finisce sempre a far lei quel che vuole. È un gioco d'unaastuzia, forse inconscia ma così fine che mi divertivamolto; anche uno spirito così volitivo e insofferentecome Battista, aveva dunque trovato chi lo sapeva do-minare per forza d'amore. E forse era proprio il sentirein lei quel bisogno d'indipendenza e di iniziativa e ilsentir lei tanto più libera di se stesso, che lo faceva cosìsospettoso di tutti e così geloso. Temevo che questa suagelosia potesse portare una nube nella nostra amicizia;avrei voluto dirgli che, per quanta simpatia io avessi po-tuto provare per sua moglie, il mio affetto per lui eratroppo grande perché io avessi potuto permettere chesorgesse in me o in lei anche l'ombra di un sentimentoche gli potesse far torto. Di donne se ne trovan sempredove e quante se ne vuole; i veri amici, invece son cosìpochi, che non son certo disposto a perder un amico peril meschino piacere di una donna. La sua gelosia primami offendeva, poi in fondo mi faceva ridere e pensavocome possono diventare stupidi gli uomini quando sisposano! E infine, trovai che non valeva la pena di darviimportanza, dal momento che lui stesso cercava di do-minare questo suo sentimento, forse riconoscendone la

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sciocchezza, e quasi cercava di compensarmene raddop-piando di cordialità spontanea e sincera. Ci siamo la-sciati quindi amici come prima, forse più di prima; l'uni-ca conseguenza è l'imbarazzo che ciò crea nei rapporticon lei, che avrei voluto potessero esser cordiali, liberi espontanei come quelli con lui e che invece restano sem-pre dominati dal timore di dar ombra alla sua suscettibi-lità.

6 novembre, Tregnago. Mi è sempre difficile riprende-re questo diario dopo un lungo abbandono: mi trovo nel-la necessità di ricapitolare un passato che non è più at-tuale e quindi non è più vivo, e ciò mi pesa, rimando daun giorno all'altro e così il periodo da ricapitolare si fasempre più lungo, e il riaccostarmi a me stesso mi èsempre più difficile; allo stesso modo come si resta im-barazzati a riprendere i rapporti con una persona che perlungo tempo si è trascurata per pura indolenza. Eppureio debbo a me stesso questo diario, perché debbo fedeltàa me stesso, perché qui è contenuta tutta la mia vita inte-riore e tutta la mia evoluzione, e perché, appunto perquesto, esso costituisce per me (e solo per me) la mag-gior ricchezza.Ritornai tra i miei amici, fra la luce dei monti, e passaiun periodo felicissimo, con giornate incantevoli di pu-rezza e di colori. Ero smanioso di azione, quasi sentissiin me risorgere tutto lo spirito eroico degli anni passati.Dopo alcuni giorni a Pradalago, andai in Brenta, tra lemie crode, che da tanti anni non rivedevo. Alla Tosa ri-

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sciocchezza, e quasi cercava di compensarmene raddop-piando di cordialità spontanea e sincera. Ci siamo la-sciati quindi amici come prima, forse più di prima; l'uni-ca conseguenza è l'imbarazzo che ciò crea nei rapporticon lei, che avrei voluto potessero esser cordiali, liberi espontanei come quelli con lui e che invece restano sem-pre dominati dal timore di dar ombra alla sua suscettibi-lità.

6 novembre, Tregnago. Mi è sempre difficile riprende-re questo diario dopo un lungo abbandono: mi trovo nel-la necessità di ricapitolare un passato che non è più at-tuale e quindi non è più vivo, e ciò mi pesa, rimando daun giorno all'altro e così il periodo da ricapitolare si fasempre più lungo, e il riaccostarmi a me stesso mi èsempre più difficile; allo stesso modo come si resta im-barazzati a riprendere i rapporti con una persona che perlungo tempo si è trascurata per pura indolenza. Eppureio debbo a me stesso questo diario, perché debbo fedeltàa me stesso, perché qui è contenuta tutta la mia vita inte-riore e tutta la mia evoluzione, e perché, appunto perquesto, esso costituisce per me (e solo per me) la mag-gior ricchezza.Ritornai tra i miei amici, fra la luce dei monti, e passaiun periodo felicissimo, con giornate incantevoli di pu-rezza e di colori. Ero smanioso di azione, quasi sentissiin me risorgere tutto lo spirito eroico degli anni passati.Dopo alcuni giorni a Pradalago, andai in Brenta, tra lemie crode, che da tanti anni non rivedevo. Alla Tosa ri-

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trovai il simpatico ambiente trentino e subito mi sentiicosì affiatato e così di casa, come non mi avviene innessun'altra parte. Portai il Dando sulla Cima Tosa e mifece piacere il vedere con che agile sicurezza si muove-va sia sulle rocce e sia sulla neve.Provai ad arrampicare (via Paulcke del Campanil Alto);mi sentivo abbastanza sicuro, ma in ogni sforzo con lapunta del piede, la gamba mi doleva ancora fortemente.Tuttavia sentivo di poter riprendere, e quasi per punti-glio volevo far ancora qualche arrampicata e qualche vianuova prima della fine della stagione. Mi pareva che seavessi passato un'estate senza fare almeno una via nuo-va, sarebbe stato come abdicare ormai alla mia attivitàalpinistica. Combinai con Graffer di andare nelle Pale,con intenzioni abbastanza serie: mi piaceva quel ragaz-zo così fresco, così pieno di spirito e così ardente di pas-sione e di attività.Andai a Ortisei a riprendere i mie attrezzi da montagna.Avevo due giorni prima di incontrarmi con Graffer eBattista voleva andare nel Catinaccio. Salendo al Passoun sasso, lasciato cadere da Battista, mi ferì profonda-mente un dito. Capii subito che dovevo rinunciare a tut-te le mie speranze; un altro accidente mi fermava pro-prio sul punto in cui stavo per riprender la mia attività.Battista salì da solo per i camini della Delago e all'indo-mani lo seguii su per lo spigolo. La gamba ormai fun-zionava quasi perfettamente; mi dava ancora un po'd'incertezza, ma non dolore. Con la mano ferita e fascia-ta invece potevo prender gli appigli solo tra mignolo e

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trovai il simpatico ambiente trentino e subito mi sentiicosì affiatato e così di casa, come non mi avviene innessun'altra parte. Portai il Dando sulla Cima Tosa e mifece piacere il vedere con che agile sicurezza si muove-va sia sulle rocce e sia sulla neve.Provai ad arrampicare (via Paulcke del Campanil Alto);mi sentivo abbastanza sicuro, ma in ogni sforzo con lapunta del piede, la gamba mi doleva ancora fortemente.Tuttavia sentivo di poter riprendere, e quasi per punti-glio volevo far ancora qualche arrampicata e qualche vianuova prima della fine della stagione. Mi pareva che seavessi passato un'estate senza fare almeno una via nuo-va, sarebbe stato come abdicare ormai alla mia attivitàalpinistica. Combinai con Graffer di andare nelle Pale,con intenzioni abbastanza serie: mi piaceva quel ragaz-zo così fresco, così pieno di spirito e così ardente di pas-sione e di attività.Andai a Ortisei a riprendere i mie attrezzi da montagna.Avevo due giorni prima di incontrarmi con Graffer eBattista voleva andare nel Catinaccio. Salendo al Passoun sasso, lasciato cadere da Battista, mi ferì profonda-mente un dito. Capii subito che dovevo rinunciare a tut-te le mie speranze; un altro accidente mi fermava pro-prio sul punto in cui stavo per riprender la mia attività.Battista salì da solo per i camini della Delago e all'indo-mani lo seguii su per lo spigolo. La gamba ormai fun-zionava quasi perfettamente; mi dava ancora un po'd'incertezza, ma non dolore. Con la mano ferita e fascia-ta invece potevo prender gli appigli solo tra mignolo e

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pollice e far pochissima forza; molti passaggi dovettiquindi prenderli a rovescio o come potevo, per supplirecon giuochi d'equilibrio e con molta tecnica alla man-canza di un appiglio. In tali condizioni l'arrampicata nonera certo un godimento, ma ne gustai egualmente l'ele-ganza.Graffer mi telegrafò di non poter venire: chiamai Buffae Bramani. Con Buffa potei ancora salire un camino sul-la Cima Wilma, di scarsa importanza ma divertente, ecosì soddisfare il mio puntiglio di una via nuova. Bra-mani arrivò insieme alle prime gocce di pioggia, dopo20 giorni di tempo splendido. Pioggia e neve c'indusse-ro, dopo tre giorni di attesa, a ritornare a Milano, rinun-ciando quindi anche a partecipare all'inaugurazionedell'ingrandimento del Rifugio Agostini e alle progettatesalite in Val d'Ambiez. Pareva che di fronte alla mia fie-ra, quasi cocciuta volontà d'azione, sorgessero semprenuovi ostacoli ad opporsi. La mia volontà non era piùcome un tempo sempre trionfante anche degli elementiesteriori, ma era sempre vinta, fermata in ogni direzio-ne. Forse, dopo la rinuncia delle Mésules, l'attività eroi-ca non è più per me; ma perché non posso ancora vince-re per forza d'amore, come sulla Marmolada o sul Bie-genkopf, se la mia passione è sempre così ardente? Oforse sono inconsciamente fermato sull'orlo del perico-lo, perché il mio slancio e la mia passione mi portereb-bero ad osare di più di quello che le mie forze fisiche at-tuali mi consentono? Credo che non mi sento più l'agili-tà di un tempo, mi sento pesante, goffo, impacciato, a

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pollice e far pochissima forza; molti passaggi dovettiquindi prenderli a rovescio o come potevo, per supplirecon giuochi d'equilibrio e con molta tecnica alla man-canza di un appiglio. In tali condizioni l'arrampicata nonera certo un godimento, ma ne gustai egualmente l'ele-ganza.Graffer mi telegrafò di non poter venire: chiamai Buffae Bramani. Con Buffa potei ancora salire un camino sul-la Cima Wilma, di scarsa importanza ma divertente, ecosì soddisfare il mio puntiglio di una via nuova. Bra-mani arrivò insieme alle prime gocce di pioggia, dopo20 giorni di tempo splendido. Pioggia e neve c'indusse-ro, dopo tre giorni di attesa, a ritornare a Milano, rinun-ciando quindi anche a partecipare all'inaugurazionedell'ingrandimento del Rifugio Agostini e alle progettatesalite in Val d'Ambiez. Pareva che di fronte alla mia fie-ra, quasi cocciuta volontà d'azione, sorgessero semprenuovi ostacoli ad opporsi. La mia volontà non era piùcome un tempo sempre trionfante anche degli elementiesteriori, ma era sempre vinta, fermata in ogni direzio-ne. Forse, dopo la rinuncia delle Mésules, l'attività eroi-ca non è più per me; ma perché non posso ancora vince-re per forza d'amore, come sulla Marmolada o sul Bie-genkopf, se la mia passione è sempre così ardente? Oforse sono inconsciamente fermato sull'orlo del perico-lo, perché il mio slancio e la mia passione mi portereb-bero ad osare di più di quello che le mie forze fisiche at-tuali mi consentono? Credo che non mi sento più l'agili-tà di un tempo, mi sento pesante, goffo, impacciato, a

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corto di fiato; ma a ciò potrei supplire con l'allenamentoprogressivo, con la mia tecnica raffinata e con l'espe-rienza, che mi consente una grande economia di forze. Eperché allora fui fermato sulla Cresta di Val di Roda,proprio quando ero sul punto di riprendermi anche fisi-camente e di ritrovare tutta la mia trionfante baldanza?Andai ancora qualche giorno con Buffa nelle Marmaro-le. Anche qui un nebbione fittissimo e costante ci ha im-pedito di arrampicare e perfino di vedere le montagne.Un solo tentativo svogliato e alla cieca su per lo Spigolodella Cresta degli Invalidi è stato spinto fino al tratto piùdifficile; ma qui né Buffa né io siamo stati capaci di pas-sare. Meglio così del resto, poiché avevo un così fortesenso di sfiducia, e un così scarso senso di solidarietàcol compagno, che non mi era possibile godere l'arram-picata, continuamente preoccupato di assicurare entram-bi. Buffa può esser un buon compagno nei rifugi e ingita, ma con lui non mi sarà mai possibile di concludernulla in roccia. Così quelle giornate nella solitudine delRifugio Chiggiato, chiuso, sono state probabilmente as-sai più godute passeggiando, leggendo, oziando, e fa-cendosi da mangiare, che se avessimo potuto andare adarrampicare.Chiusura dunque di stagione, col rammarico di aversciupato e di non aver potuto concludere nulla inun'estate così bella, e di cui avrei potuto interamente di-sporre per mia soddisfazione senza impegni di guide edi ricognizioni; il rammarico di aver passato ancora unanno senza poter riprendere quell'attività, che mi donava

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corto di fiato; ma a ciò potrei supplire con l'allenamentoprogressivo, con la mia tecnica raffinata e con l'espe-rienza, che mi consente una grande economia di forze. Eperché allora fui fermato sulla Cresta di Val di Roda,proprio quando ero sul punto di riprendermi anche fisi-camente e di ritrovare tutta la mia trionfante baldanza?Andai ancora qualche giorno con Buffa nelle Marmaro-le. Anche qui un nebbione fittissimo e costante ci ha im-pedito di arrampicare e perfino di vedere le montagne.Un solo tentativo svogliato e alla cieca su per lo Spigolodella Cresta degli Invalidi è stato spinto fino al tratto piùdifficile; ma qui né Buffa né io siamo stati capaci di pas-sare. Meglio così del resto, poiché avevo un così fortesenso di sfiducia, e un così scarso senso di solidarietàcol compagno, che non mi era possibile godere l'arram-picata, continuamente preoccupato di assicurare entram-bi. Buffa può esser un buon compagno nei rifugi e ingita, ma con lui non mi sarà mai possibile di concludernulla in roccia. Così quelle giornate nella solitudine delRifugio Chiggiato, chiuso, sono state probabilmente as-sai più godute passeggiando, leggendo, oziando, e fa-cendosi da mangiare, che se avessimo potuto andare adarrampicare.Chiusura dunque di stagione, col rammarico di aversciupato e di non aver potuto concludere nulla inun'estate così bella, e di cui avrei potuto interamente di-sporre per mia soddisfazione senza impegni di guide edi ricognizioni; il rammarico di aver passato ancora unanno senza poter riprendere quell'attività, che mi donava

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tanto fisicamente e moralmente, e a cui quest'anno dopoun lungo periodo di incertezza e di sbandamenti, mi sen-tivo spiritualmente pronto.Ancora una parola per Vitale, per ricordare una volta dipiù come, dopo il Badile, non siamo più riusciti a porta-re a termine una salita assieme. E non è mancata, neppu-re da parte mia, la miglior volontà per passar sopra quelpunto oscuro e ritrovare l'antica fiducia. Anzi sulla cre-sta di Val di Roda mi sentivo con lui la sicurezza e la so-lidarietà d'un tempo. Ma sembra un destino che non cisia più possibile portare a termine alcuna salita. Così sulBiegenkopf (durante il primo tentativo), sul Monte Fou,sulla Marmolada, sulla Cresta di Val di Roda e su moltealtre salite impedite dal maltempo. E l'estate è andatasciupata per lui ancor più che per me. L'unico compagnocon cui siamo ancora capaci di realizzare quella cosa, èBattista, ed è l'unico con cui io sento ancora una perfettaunione e fusione spirituale.A Milano passai pochi giorni di febbre di lavoro per rac-coglier rapidamente il materiale necessario per un arti-colo sulla Corsica. A Venezia passai due giornate dolcis-sime con la Rita e Dino. Poi di nuovo qui a Tregnagoper il solito 6 ottobre, che ormai minaccia di diventareanch'esso una ricorrenza tradizionale e quindi vuota eformale. Partiti tutti mi ritrovai nella solita quiete ripo-sante. Mi godevo il sole e i campi, leggevo, lavoravocon felicità. Uno dopo l'altro buttai giù senza sforzol'articolo sulla Corsica e parecchi altri, e mi riuscironosubito come dovevano essere, senza quasi una correzio-

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tanto fisicamente e moralmente, e a cui quest'anno dopoun lungo periodo di incertezza e di sbandamenti, mi sen-tivo spiritualmente pronto.Ancora una parola per Vitale, per ricordare una volta dipiù come, dopo il Badile, non siamo più riusciti a porta-re a termine una salita assieme. E non è mancata, neppu-re da parte mia, la miglior volontà per passar sopra quelpunto oscuro e ritrovare l'antica fiducia. Anzi sulla cre-sta di Val di Roda mi sentivo con lui la sicurezza e la so-lidarietà d'un tempo. Ma sembra un destino che non cisia più possibile portare a termine alcuna salita. Così sulBiegenkopf (durante il primo tentativo), sul Monte Fou,sulla Marmolada, sulla Cresta di Val di Roda e su moltealtre salite impedite dal maltempo. E l'estate è andatasciupata per lui ancor più che per me. L'unico compagnocon cui siamo ancora capaci di realizzare quella cosa, èBattista, ed è l'unico con cui io sento ancora una perfettaunione e fusione spirituale.A Milano passai pochi giorni di febbre di lavoro per rac-coglier rapidamente il materiale necessario per un arti-colo sulla Corsica. A Venezia passai due giornate dolcis-sime con la Rita e Dino. Poi di nuovo qui a Tregnagoper il solito 6 ottobre, che ormai minaccia di diventareanch'esso una ricorrenza tradizionale e quindi vuota eformale. Partiti tutti mi ritrovai nella solita quiete ripo-sante. Mi godevo il sole e i campi, leggevo, lavoravocon felicità. Uno dopo l'altro buttai giù senza sforzol'articolo sulla Corsica e parecchi altri, e mi riuscironosubito come dovevano essere, senza quasi una correzio-

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ne. Mi fa piacere questa felicità, inconsueta in questoperiodo in cui la ripresa del lavoro mentale mi costa disolito parecchio sforzo. La pace di Tregnago, con quelsuo effetto di beata narcosi, mi serve da transizionedall'intensa attività estiva al letargo invernale. Parecchiolavoro mi attende a Milano e anche per questo forseposso guardare all'inverno che mi attende, con tristezzasì, ma anche con tranquilla serenità ben diversa dallenere prospettive dell'autunno scorso.

20 dicembre. È morto Graffer, nel cielo d'Albania, inuna delle sue azioni di eroico ardimento. La notizia miha sconvolto e mi ha serrato fin quasi il pianto. Un sen-so di angoscia e di odio ancor più violento contro chi citrascina in questa pazza corsa verso l'abisso, stroncandoogni più gagliardo e fecondo impulso di giovinezza e divita. È la prima volta (ma non sarà l'ultima!) che questofurore di distruzione mi colpisce nei miei intimi affettied è per questo che l'odio e il desiderio di ribellione e divendetta non sono più fondati solo dal sentimento dimoralità e di patriottismo, ma anche sul sentimentodell'affetto personale. Eppure con Graffer non avevomai arrampicato e mi ero solo incontrato occasional-mente, senza che fra noi ci fosse mai stato alcun rappor-to di intimità. Perché dunque tanto affetto e tanta com-mozione? Forse per il suo glorioso ma inutile sacrificioper una causa che non è la nostra, ma che sarà solo lanostra rovina? o piuttosto per la stima che avevo di lui,come uno dei giovani di più luminosa rettitudine e di

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ne. Mi fa piacere questa felicità, inconsueta in questoperiodo in cui la ripresa del lavoro mentale mi costa disolito parecchio sforzo. La pace di Tregnago, con quelsuo effetto di beata narcosi, mi serve da transizionedall'intensa attività estiva al letargo invernale. Parecchiolavoro mi attende a Milano e anche per questo forseposso guardare all'inverno che mi attende, con tristezzasì, ma anche con tranquilla serenità ben diversa dallenere prospettive dell'autunno scorso.

20 dicembre. È morto Graffer, nel cielo d'Albania, inuna delle sue azioni di eroico ardimento. La notizia miha sconvolto e mi ha serrato fin quasi il pianto. Un sen-so di angoscia e di odio ancor più violento contro chi citrascina in questa pazza corsa verso l'abisso, stroncandoogni più gagliardo e fecondo impulso di giovinezza e divita. È la prima volta (ma non sarà l'ultima!) che questofurore di distruzione mi colpisce nei miei intimi affettied è per questo che l'odio e il desiderio di ribellione e divendetta non sono più fondati solo dal sentimento dimoralità e di patriottismo, ma anche sul sentimentodell'affetto personale. Eppure con Graffer non avevomai arrampicato e mi ero solo incontrato occasional-mente, senza che fra noi ci fosse mai stato alcun rappor-to di intimità. Perché dunque tanto affetto e tanta com-mozione? Forse per il suo glorioso ma inutile sacrificioper una causa che non è la nostra, ma che sarà solo lanostra rovina? o piuttosto per la stima che avevo di lui,come uno dei giovani di più luminosa rettitudine e di

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più ardente impulso di vita (pur nella sua calma pacata eserena), ch'io abbia conosciuto. Stima, rettitudine! diquante persone oggi si può dire altrettanto? quante sipossono stimare al punto, da commuoversi per la loroscomparsa come per il miglior amico? Per Graffer hoprovato lo stesso sentimento di perdita e di abbandonocome per Gilberti e Agostini; ma mentre allora potevosolo piangere la sciagura e rassegnarmi alla sorte fatale,oggi mi ribello contro colui su cui ricade tutta la respon-sabilità di ogni sciagura, che solo lui ha voluto. Si puòcon la rassegnazione dominare il destino, ma dal delittosi può difendersi solo abbattendo i criminali.

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più ardente impulso di vita (pur nella sua calma pacata eserena), ch'io abbia conosciuto. Stima, rettitudine! diquante persone oggi si può dire altrettanto? quante sipossono stimare al punto, da commuoversi per la loroscomparsa come per il miglior amico? Per Graffer hoprovato lo stesso sentimento di perdita e di abbandonocome per Gilberti e Agostini; ma mentre allora potevosolo piangere la sciagura e rassegnarmi alla sorte fatale,oggi mi ribello contro colui su cui ricade tutta la respon-sabilità di ogni sciagura, che solo lui ha voluto. Si puòcon la rassegnazione dominare il destino, ma dal delittosi può difendersi solo abbattendo i criminali.

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1941

5 novembre, Tregnago. Mi ero proposto col 1941 dicominciare un nuovo diario, visto che l'altro era quasiterminato; ma è trascorso quasi tutto l'anno senza che iosapessi decidermi ad iniziarlo. Mi spiaceva iniziarlo inun periodo così di grigiore e di inerzia, mi spiaceva ini-ziarlo prima di poter almeno intravvedere un'alba più se-rena e il principio di una nuova fase della mia vita e so-prattutto trovavo inutile scrivere un diario in un periodocosì opaco.

Ben poco ho da dire per colmare questo lungo intervallotra l'uno e l'altro diario; non si può neppur parlare di unalacuna, tanto è vuoto e arido questo periodo. Potrei ri-farmi all'inverno passato come a ieri, grigiore trascorsocon apatica indifferenza, occupando il tempo con un la-voro condotto fiaccamente e senza gioia, come tutti i la-vori che non segnano una tappa del cammino, ma soloriempiono una stasi dell'inerzia. Qualche luminosa gior-nata con gli sci tra le crode delle Dolomiti, qualche fati-cata ascensione invernale in Valtellina, qualche ora diabbandono alla musica, sono forse le uniche brevi scin-tille di vita che potrei registrare. Poi è l'estate in monta-gna: avevo bisogno di strapparmi a tanto grigiore, direagire all'inerzia che minacciava di sommergermi. Siresta tanto presi dall'apatia che ci si disinteressa perfino

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1941

5 novembre, Tregnago. Mi ero proposto col 1941 dicominciare un nuovo diario, visto che l'altro era quasiterminato; ma è trascorso quasi tutto l'anno senza che iosapessi decidermi ad iniziarlo. Mi spiaceva iniziarlo inun periodo così di grigiore e di inerzia, mi spiaceva ini-ziarlo prima di poter almeno intravvedere un'alba più se-rena e il principio di una nuova fase della mia vita e so-prattutto trovavo inutile scrivere un diario in un periodocosì opaco.

Ben poco ho da dire per colmare questo lungo intervallotra l'uno e l'altro diario; non si può neppur parlare di unalacuna, tanto è vuoto e arido questo periodo. Potrei ri-farmi all'inverno passato come a ieri, grigiore trascorsocon apatica indifferenza, occupando il tempo con un la-voro condotto fiaccamente e senza gioia, come tutti i la-vori che non segnano una tappa del cammino, ma soloriempiono una stasi dell'inerzia. Qualche luminosa gior-nata con gli sci tra le crode delle Dolomiti, qualche fati-cata ascensione invernale in Valtellina, qualche ora diabbandono alla musica, sono forse le uniche brevi scin-tille di vita che potrei registrare. Poi è l'estate in monta-gna: avevo bisogno di strapparmi a tanto grigiore, direagire all'inerzia che minacciava di sommergermi. Siresta tanto presi dall'apatia che ci si disinteressa perfino

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degli avvenimenti che non hanno una vera importanzafinché non conducono all'evento fatale, atteso con ansiae con angoscia, e ancor tanto lontano.Evasione in montagna dunque per strapparsi all'inerziadeleteria, per ritrovare ancora una volta se stessi, per po-ter ancora credere nella vita, per abbandonarsi e dimen-ticarsi nella luce del sole vero, nella purezza dei cieli,nella verginità delle crode e delle nevi. Avevo bisognodi pace, per calmare la tensione dei nervi, per riposare lospirito da tanta angoscia opprimente. Passai 10 giorni alrifugio Chiggiato coi ragazzi di Fanny. Il rifugio erachiuso e tutto per noi; e tutta per noi era anche quellameravigliosa e rigogliosa fioritura della prima estate: irododendri chiazzavano con macchie di color violento ilverde dei prati. La Nannina ne raccolse un gran catino elo mise sulla finestra della mia camera; pareva che tuttala camera fosse rischiarata da quell'acceso color di fiam-ma; inquadrato nella finestra troneggiava l'Antelao, gi-gantesca piramide solitaria ancora ammantata di neve.Vivevamo nel sole, liberi e felici, senza saper nulla delbasso mondo che potevamo scorgere lontano ai nostripiedi affacciandoci all'orlo del terrazzo. Ci saziavamo dipolenta e di latte della malga, ci inebriavamo di sole e diluce, di albe e di tramonti, di orizzonti infiniti, del cantosilenzioso della natura in tutta la pienezza del suo rigo-glioso splendore. Passavo alcune ore sul poggio da cuisi dominano i monti e la vallata, e leggevo Leonardo ePoliziano; quelle rime perfette davano alla mia voce ladolcezza di un canto, di una melodia purissima, quasi

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degli avvenimenti che non hanno una vera importanzafinché non conducono all'evento fatale, atteso con ansiae con angoscia, e ancor tanto lontano.Evasione in montagna dunque per strapparsi all'inerziadeleteria, per ritrovare ancora una volta se stessi, per po-ter ancora credere nella vita, per abbandonarsi e dimen-ticarsi nella luce del sole vero, nella purezza dei cieli,nella verginità delle crode e delle nevi. Avevo bisognodi pace, per calmare la tensione dei nervi, per riposare lospirito da tanta angoscia opprimente. Passai 10 giorni alrifugio Chiggiato coi ragazzi di Fanny. Il rifugio erachiuso e tutto per noi; e tutta per noi era anche quellameravigliosa e rigogliosa fioritura della prima estate: irododendri chiazzavano con macchie di color violento ilverde dei prati. La Nannina ne raccolse un gran catino elo mise sulla finestra della mia camera; pareva che tuttala camera fosse rischiarata da quell'acceso color di fiam-ma; inquadrato nella finestra troneggiava l'Antelao, gi-gantesca piramide solitaria ancora ammantata di neve.Vivevamo nel sole, liberi e felici, senza saper nulla delbasso mondo che potevamo scorgere lontano ai nostripiedi affacciandoci all'orlo del terrazzo. Ci saziavamo dipolenta e di latte della malga, ci inebriavamo di sole e diluce, di albe e di tramonti, di orizzonti infiniti, del cantosilenzioso della natura in tutta la pienezza del suo rigo-glioso splendore. Passavo alcune ore sul poggio da cuisi dominano i monti e la vallata, e leggevo Leonardo ePoliziano; quelle rime perfette davano alla mia voce ladolcezza di un canto, di una melodia purissima, quasi

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ultraterrena. Anche i ragazzi erano felici di quella liber-tà, di quella solitudine, di quell'avventura per loro cosìnuova e forse senza rendersene conto scoprivano quantola vita possa esser più bella, più luminosa e più vera, inconfronto a quella sciocca, torbida e falsa che si vive incittà.Con Saverio mi arrampicavo sulle belle cime delle Mar-marole. Era una buona scusa per me per non affrontarenulla di difficile, e per lui serviva come lenta e gradualeesperienza. Il primo contatto con le crode mi lasciòmeno sfiduciato e timoroso degli anni scorsi, forse per-ché questa volta cominciai con salite del tutto facili.Brevi arrampicate su roccia salda e onesta, ricca di appi-gli, era quanto mi ci voleva per sciogliere i muscoli in-torpiditi dalla lunga inattività e soprattutto per riacqui-stare fiducia in me stesso e nelle mie forze. Ogni giornomi sentivo più sicuro, tanto da cercare se non la difficol-tà almeno l'esposizione; e sugli spigoli aerei, nelle fes-sure verticali ed esposte, ritrovavo ancora una volta tuttala gioia, anche fisica, dell'arrampicata. Saverio mi eraottimo compagno, mi sembra che in lui ci sia assai dipiù di un vano desiderio di conquista e dell'ambizionedell'impresa, comprensibile del resto in un ragazzo aisuoi primi contatti con la vera montagna; ma ci sia an-che una vera e profonda passione, intima e inespressa,che scintillava nei suoi grandi occhi ingenui ogni voltache gli proponevo una nuova arrampicata, più elegante epiù difficile delle precedenti. E poi è molto che sapessegodere la montagna non solo nell'arrampicata più o

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ultraterrena. Anche i ragazzi erano felici di quella liber-tà, di quella solitudine, di quell'avventura per loro cosìnuova e forse senza rendersene conto scoprivano quantola vita possa esser più bella, più luminosa e più vera, inconfronto a quella sciocca, torbida e falsa che si vive incittà.Con Saverio mi arrampicavo sulle belle cime delle Mar-marole. Era una buona scusa per me per non affrontarenulla di difficile, e per lui serviva come lenta e gradualeesperienza. Il primo contatto con le crode mi lasciòmeno sfiduciato e timoroso degli anni scorsi, forse per-ché questa volta cominciai con salite del tutto facili.Brevi arrampicate su roccia salda e onesta, ricca di appi-gli, era quanto mi ci voleva per sciogliere i muscoli in-torpiditi dalla lunga inattività e soprattutto per riacqui-stare fiducia in me stesso e nelle mie forze. Ogni giornomi sentivo più sicuro, tanto da cercare se non la difficol-tà almeno l'esposizione; e sugli spigoli aerei, nelle fes-sure verticali ed esposte, ritrovavo ancora una volta tuttala gioia, anche fisica, dell'arrampicata. Saverio mi eraottimo compagno, mi sembra che in lui ci sia assai dipiù di un vano desiderio di conquista e dell'ambizionedell'impresa, comprensibile del resto in un ragazzo aisuoi primi contatti con la vera montagna; ma ci sia an-che una vera e profonda passione, intima e inespressa,che scintillava nei suoi grandi occhi ingenui ogni voltache gli proponevo una nuova arrampicata, più elegante epiù difficile delle precedenti. E poi è molto che sapessegodere la montagna non solo nell'arrampicata più o

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meno difficile, ma anche nelle passeggiate per valli eforcelle, sui prati e nei boschi. Amore dunque, nondell'impresa ma della natura tutta e della montagna inparticolare, come sua più sublime e grandiosa manife-stazione. E tra noi andava formandosi un rapporto deltutto nuovo: non più il semplice affetto per il ragazzo,ma il cameratismo e la solidarietà dei compagni di cor-data; la sua raggiunta maturità gli dà diritto a un rappor-to di uguaglianza. E sarei ben lieto se in lui potessi avertrovato anche un amico.Partiti la Nannina e Dando, lo trattenni ancora alcunigiorni. Gli dissi solo che avevo bisogno di trovare untorrione inaccesso e innominato; non una guglia qualsia-si ma qualcosa di importante e di sostanziale, cosa benrara nelle Dolomiti al giorno d'oggi. Studiando attenta-mente la guida Berti, mi pareva di averne individuatouno nel Gruppo della Croda dei Toni. Il suo aspetto su-però ogni mia più audace previsione: sagoma e propor-zioni degni del Campanile Basso, altrettanto ardito eisolato, ma ancor più massiccio e complesso. Vagandoun po' a casaccio nella nebbia per tutto il giorno, tra roc-ce difficili e pericolose, vi girammo tutt'attorno, senzaaver trovato una via d'accesso. Vi ritornammo due gior-ni dopo e con una arrampicata varia, complicata, tutta asorprese, superando qualche passaggio impegnativo, netoccammo la vetta. Scrissi su un pezzo di carta qualun-que "Torrione Giorgio Graffer" – 1a ascensione – data enomi, e mostrai la carta a Saverio, senza una parola,quasi fossi stato incapace di pronunciare quel nome, per

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meno difficile, ma anche nelle passeggiate per valli eforcelle, sui prati e nei boschi. Amore dunque, nondell'impresa ma della natura tutta e della montagna inparticolare, come sua più sublime e grandiosa manife-stazione. E tra noi andava formandosi un rapporto deltutto nuovo: non più il semplice affetto per il ragazzo,ma il cameratismo e la solidarietà dei compagni di cor-data; la sua raggiunta maturità gli dà diritto a un rappor-to di uguaglianza. E sarei ben lieto se in lui potessi avertrovato anche un amico.Partiti la Nannina e Dando, lo trattenni ancora alcunigiorni. Gli dissi solo che avevo bisogno di trovare untorrione inaccesso e innominato; non una guglia qualsia-si ma qualcosa di importante e di sostanziale, cosa benrara nelle Dolomiti al giorno d'oggi. Studiando attenta-mente la guida Berti, mi pareva di averne individuatouno nel Gruppo della Croda dei Toni. Il suo aspetto su-però ogni mia più audace previsione: sagoma e propor-zioni degni del Campanile Basso, altrettanto ardito eisolato, ma ancor più massiccio e complesso. Vagandoun po' a casaccio nella nebbia per tutto il giorno, tra roc-ce difficili e pericolose, vi girammo tutt'attorno, senzaaver trovato una via d'accesso. Vi ritornammo due gior-ni dopo e con una arrampicata varia, complicata, tutta asorprese, superando qualche passaggio impegnativo, netoccammo la vetta. Scrissi su un pezzo di carta qualun-que "Torrione Giorgio Graffer" – 1a ascensione – data enomi, e mostrai la carta a Saverio, senza una parola,quasi fossi stato incapace di pronunciare quel nome, per

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un senso di profonda reverenza. Forse non ne ero capaceperché ero troppo commosso. Raramente, forse mai inmontagna, mi son sentito tanto commosso, e raramente,forse mai, un'ascensione mi ha dato una gioia così pura.Tutte le mie ricerche, le mie ricognizioni di approccio,le difficoltà superate, i giorni che avevo passato conl'animo tutto teso verso quella meta, non erano stati perl'ambizione di una conquista, sia pur importante, maerano dedicati all'amico, con una dedizione così puracome un atto di fede. Quella salita, che senza dubbio èla più bella e la più importante di quest'anno, non è perme né un'ascensione né una conquista, ma solo unomaggio devoto alla memoria dell'amico; come se mifossi spogliato della mia gemma più preziosa, per de-porla con tutta umiltà ai piedi dell'amico per erigergli ilmonumento più bello, più degno, più imperituro. Non sose Saverio abbia potuto comprendere la profonda bellez-za del rito sulla vergine cima; ma il suo rispettoso silen-zio me lo lascia supporre e sperare.Quando più tardi gli amici mi chiesero fotografie e rela-zione per pubblicarle sui giornali, rifiutai; alle loro insi-stenze, adducendo l'opportunità di onorare la memoriadi Graffer rendendo noto il battesimo del nuovo torrio-ne, risposi che l'ascensione l'avevo fatta per Graffer, nonper il pubblico e per i giornali. Avrei voluto tener segre-ta quest'ascensione, nota soltanto a me e allo spirito diGraffer, che sentivo così vicino e presente in quel mo-mento di commozione, con un senso di gelosia, quasiche la pubblicità avesse potuto insozzare la purezza del

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un senso di profonda reverenza. Forse non ne ero capaceperché ero troppo commosso. Raramente, forse mai inmontagna, mi son sentito tanto commosso, e raramente,forse mai, un'ascensione mi ha dato una gioia così pura.Tutte le mie ricerche, le mie ricognizioni di approccio,le difficoltà superate, i giorni che avevo passato conl'animo tutto teso verso quella meta, non erano stati perl'ambizione di una conquista, sia pur importante, maerano dedicati all'amico, con una dedizione così puracome un atto di fede. Quella salita, che senza dubbio èla più bella e la più importante di quest'anno, non è perme né un'ascensione né una conquista, ma solo unomaggio devoto alla memoria dell'amico; come se mifossi spogliato della mia gemma più preziosa, per de-porla con tutta umiltà ai piedi dell'amico per erigergli ilmonumento più bello, più degno, più imperituro. Non sose Saverio abbia potuto comprendere la profonda bellez-za del rito sulla vergine cima; ma il suo rispettoso silen-zio me lo lascia supporre e sperare.Quando più tardi gli amici mi chiesero fotografie e rela-zione per pubblicarle sui giornali, rifiutai; alle loro insi-stenze, adducendo l'opportunità di onorare la memoriadi Graffer rendendo noto il battesimo del nuovo torrio-ne, risposi che l'ascensione l'avevo fatta per Graffer, nonper il pubblico e per i giornali. Avrei voluto tener segre-ta quest'ascensione, nota soltanto a me e allo spirito diGraffer, che sentivo così vicino e presente in quel mo-mento di commozione, con un senso di gelosia, quasiche la pubblicità avesse potuto insozzare la purezza del

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mio sentimento.Amavo la compagnia di Saverio per la freschezza,l'ingenuità, la sincerità del suo sentimento. Tanto piùquindi mi riuscì difficilmente sopportabile, subito dopo,la compagnia di Vitale, cui non seppi rifiutare la solitasettimana in montagna. Anche lui l'amavo per la suasemplicità arguta e la sua spontaneità; ma ora si senteogni anno più la sua smodata presunzione, la sua ambi-zione e la sua piccola e malcelata vigliaccheria. Quelsuo tono predicatorio e quel suo vezzo di impartire a de-stra e a sinistra consigli non richiesti, quel suo modo diandar in montagna non si sa bene se più per passione opiù per pettegolezzo, quei suoi racconti delle proprie ge-sta con quelle mezze frasi di finta modestia, che lascia-no supporre chissà che a tutti i suoi fedeli ammiratori,quella sua insistenza a farsi fotografare sul passaggio(solo quando è lui capocordata) oppure in posa eroicasulla vetta conquistata, e quella sua fifa sempre più ma-nifesta, che gli fa moltiplicare in modo quasi ridicolo leassicurazioni, sono tutte cose che rendono sempre menodigeribile la sua compagnia in montagna. Poiché lamontagna è uno specchio così limpido, che nulla lasciacelato e riflette anche la piega più recondita del proprioanimo.Lo accompagnai al Montanaia: non dimostrò alcunacommozione nel trovarsi per la prima volta in quellacerchia così straordinaria e selvaggia, neppure quandocercai di fargliela apprezzare. Solo una viva curiosità inlui, un desiderio di conoscere non tanto la montagna

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mio sentimento.Amavo la compagnia di Saverio per la freschezza,l'ingenuità, la sincerità del suo sentimento. Tanto piùquindi mi riuscì difficilmente sopportabile, subito dopo,la compagnia di Vitale, cui non seppi rifiutare la solitasettimana in montagna. Anche lui l'amavo per la suasemplicità arguta e la sua spontaneità; ma ora si senteogni anno più la sua smodata presunzione, la sua ambi-zione e la sua piccola e malcelata vigliaccheria. Quelsuo tono predicatorio e quel suo vezzo di impartire a de-stra e a sinistra consigli non richiesti, quel suo modo diandar in montagna non si sa bene se più per passione opiù per pettegolezzo, quei suoi racconti delle proprie ge-sta con quelle mezze frasi di finta modestia, che lascia-no supporre chissà che a tutti i suoi fedeli ammiratori,quella sua insistenza a farsi fotografare sul passaggio(solo quando è lui capocordata) oppure in posa eroicasulla vetta conquistata, e quella sua fifa sempre più ma-nifesta, che gli fa moltiplicare in modo quasi ridicolo leassicurazioni, sono tutte cose che rendono sempre menodigeribile la sua compagnia in montagna. Poiché lamontagna è uno specchio così limpido, che nulla lasciacelato e riflette anche la piega più recondita del proprioanimo.Lo accompagnai al Montanaia: non dimostrò alcunacommozione nel trovarsi per la prima volta in quellacerchia così straordinaria e selvaggia, neppure quandocercai di fargliela apprezzare. Solo una viva curiosità inlui, un desiderio di conoscere non tanto la montagna

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quanto le vie d'ascensione e i relativi pettegolezzi, perpoter riferire e raccontare. E raccontare poi con aria diautorevole competenza, facendo propri i giudizi e le os-servazioni altrui. La gita non mi diede naturalmente al-cuna gioia, l'arrampicata mi riuscì difficile oltre ogniaspettativa e ogni ricordo, come fosse la prima arrampi-cata della stagione, e nessuna commozione mi diede ilritrovare sulla vetta dopo 15 anni quella "straordinariacampana", ch'io stesso vi avevo portato. Gli stessi squil-li acuti e argentini della campana, che rieccheggiavanotra le crode, mi sembravano falsi e stonati. Io sono sem-pre lieto quando posso donare un'ascensione ad un ami-co, ché anzi l'ascensione stessa mi pare doppiamente piùbella. Ma perché debbo profanare una croda purissima,portandovi chi non la sa né amare né comprendere, eprivare anche me di ogni gioia dell'arrampicata?Feci anche due salite nuove, di non grande impegno, maabbastanza importanti, varie, eleganti e divertenti.Non serbo di queste salite alcun ricordo né triste né lie-to, proprio come di quelle cose che mi lasciarono deltutto indifferente. Solo nella parte superiore della secon-da, stimolato forse dal maltempo che si avvicinava, pre-si un'andatura così sciolta e sicura sulle ripide placche displendida roccia, che mi pareva di aver ritrovato la bal-danza dei tempi migliori. Ma sono tutte arrampicatesenza storia e senza gioia. Mi era indifferente l'ascensio-ne, mi era indifferente il maltempo, che anzi mi offrivala buona scusa per non andare a far scalate senza gioia esenza amore. Speravo solo che col maltempo Vitale an-

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quanto le vie d'ascensione e i relativi pettegolezzi, perpoter riferire e raccontare. E raccontare poi con aria diautorevole competenza, facendo propri i giudizi e le os-servazioni altrui. La gita non mi diede naturalmente al-cuna gioia, l'arrampicata mi riuscì difficile oltre ogniaspettativa e ogni ricordo, come fosse la prima arrampi-cata della stagione, e nessuna commozione mi diede ilritrovare sulla vetta dopo 15 anni quella "straordinariacampana", ch'io stesso vi avevo portato. Gli stessi squil-li acuti e argentini della campana, che rieccheggiavanotra le crode, mi sembravano falsi e stonati. Io sono sem-pre lieto quando posso donare un'ascensione ad un ami-co, ché anzi l'ascensione stessa mi pare doppiamente piùbella. Ma perché debbo profanare una croda purissima,portandovi chi non la sa né amare né comprendere, eprivare anche me di ogni gioia dell'arrampicata?Feci anche due salite nuove, di non grande impegno, maabbastanza importanti, varie, eleganti e divertenti.Non serbo di queste salite alcun ricordo né triste né lie-to, proprio come di quelle cose che mi lasciarono deltutto indifferente. Solo nella parte superiore della secon-da, stimolato forse dal maltempo che si avvicinava, pre-si un'andatura così sciolta e sicura sulle ripide placche displendida roccia, che mi pareva di aver ritrovato la bal-danza dei tempi migliori. Ma sono tutte arrampicatesenza storia e senza gioia. Mi era indifferente l'ascensio-ne, mi era indifferente il maltempo, che anzi mi offrivala buona scusa per non andare a far scalate senza gioia esenza amore. Speravo solo che col maltempo Vitale an-

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ticipasse il suo ritorno a Milano; invece volle accompa-gnarmi anche in Civetta, proprio là dove meno avrei de-siderato la sua compagnia. Fui anche duro con lui; allesue ben giustificate domande sulle varie vie d'ascensio-ne, rispondevo secco ed aspro, con tono di dispetto e diinsofferenza. Tanto che me ne rimproverò con tono didolcezza e senza rancore; il rimprovero era giusto, maneppure era ingiusto il dispetto che mi dava la vuota cu-riosità pettegola tra quelle architetture sublimi.Ogni ritorno in Civetta è per me qualche cosa di straor-dinario, come ogni ritorno a Firenze. La potenza diquelle linee e di quelle masse è superiore ad ogni capa-cità di ricordo; si resta meravigliati come al ripetersi diun miracolo sempre nuovo. La stessa impressione digioia e di sgomento a un tempo che provo al primo ap-parire della cupola, immensa e armoniosa, al di sopradei tetti fiorentini, provai anche rivedendo la Torre Trie-ste, nella sua smisurata verticalità, isolata e irreale tra inembi che l'avvolgevano, o rivedendo l'immensa moledella Busazza, così vicina e maestosa nella calda lucedel tramonto, così irreale e opprimente nell'ombra dellanotte stellata. Poi risalendo la Val dei Cantoni, quelledue gigantesche fiancate di roccia andavano man manoabbassandosi ai due lati, finché raggiunsi il piccolo cir-co ghiacciato ch'esse racchiudono e celano nel loro an-golo più interno e più recondito, come una gemma pre-ziosa in uno scrigno inaccessibile. Affacciandomi allamerlatura più alta dello scrigno, mi apparve improvvisa-mente, di scorcio, tutta la muraglia della Civetta. Vista

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ticipasse il suo ritorno a Milano; invece volle accompa-gnarmi anche in Civetta, proprio là dove meno avrei de-siderato la sua compagnia. Fui anche duro con lui; allesue ben giustificate domande sulle varie vie d'ascensio-ne, rispondevo secco ed aspro, con tono di dispetto e diinsofferenza. Tanto che me ne rimproverò con tono didolcezza e senza rancore; il rimprovero era giusto, maneppure era ingiusto il dispetto che mi dava la vuota cu-riosità pettegola tra quelle architetture sublimi.Ogni ritorno in Civetta è per me qualche cosa di straor-dinario, come ogni ritorno a Firenze. La potenza diquelle linee e di quelle masse è superiore ad ogni capa-cità di ricordo; si resta meravigliati come al ripetersi diun miracolo sempre nuovo. La stessa impressione digioia e di sgomento a un tempo che provo al primo ap-parire della cupola, immensa e armoniosa, al di sopradei tetti fiorentini, provai anche rivedendo la Torre Trie-ste, nella sua smisurata verticalità, isolata e irreale tra inembi che l'avvolgevano, o rivedendo l'immensa moledella Busazza, così vicina e maestosa nella calda lucedel tramonto, così irreale e opprimente nell'ombra dellanotte stellata. Poi risalendo la Val dei Cantoni, quelledue gigantesche fiancate di roccia andavano man manoabbassandosi ai due lati, finché raggiunsi il piccolo cir-co ghiacciato ch'esse racchiudono e celano nel loro an-golo più interno e più recondito, come una gemma pre-ziosa in uno scrigno inaccessibile. Affacciandomi allamerlatura più alta dello scrigno, mi apparve improvvisa-mente, di scorcio, tutta la muraglia della Civetta. Vista

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così da vicino, da ⅔ d'altezza, pareva aver triplicato lasua massa poderosa e dava l'impressione di un'imponen-za senza uguale; il suo aspetto così tetro e repulsivocontrastava però stranamente con quello della Busazza,così chiara, compatta e levigata, quasi fosse stata model-lata da un sublime artista, con la stessa cura come siscolpisce una statua nel più bel marmo cristallino.Pochi giorni dopo ero a San Martino, per raggiungereBarzaghi e Fasanotti, buoni e modesti amici, cui sonolieto di donare la gioia di un'arrampicata. Rifeci senzaalcun interesse la parete della Cima Pradidali. Poi ritor-nai ancora una volta alla mia preferita Cima Wilma, peruna via nuova che credevo da poco. Invece una serie difessure strapiombanti e viscide mi impegnarono abba-stanza seriamente. Ma l'uscita in alto, superando di slan-cio qualche inarcato strapiombo e qualche placca verti-cale con pochi ma ottimi appigli, mi diede più soddisfa-zione di qualsiasi altra arrampicata di quest'anno. E sbu-cando in cresta, proprio sulla cuspide sommitale, miparve di aver ritrovato quella linearità e quella fermezzadi procedere secondo la verticale, senza concessioni esenza deviazioni, che distinguevano tutte le mie salitedegli anni "eroici".Mi sentivo lanciato e sicuro, capace forse di qualsiasiimpresa. Ma non volevo forzare, volevo sempre lasciareun buon margine alle mie possibilità, per esser sicuro diessere sempre in grado di godere dell'ascensione, diascendere alla montagna e non di conquistarla di forza.Scesi a Milano per andare a Courmayeur a tentare qual-

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così da vicino, da ⅔ d'altezza, pareva aver triplicato lasua massa poderosa e dava l'impressione di un'imponen-za senza uguale; il suo aspetto così tetro e repulsivocontrastava però stranamente con quello della Busazza,così chiara, compatta e levigata, quasi fosse stata model-lata da un sublime artista, con la stessa cura come siscolpisce una statua nel più bel marmo cristallino.Pochi giorni dopo ero a San Martino, per raggiungereBarzaghi e Fasanotti, buoni e modesti amici, cui sonolieto di donare la gioia di un'arrampicata. Rifeci senzaalcun interesse la parete della Cima Pradidali. Poi ritor-nai ancora una volta alla mia preferita Cima Wilma, peruna via nuova che credevo da poco. Invece una serie difessure strapiombanti e viscide mi impegnarono abba-stanza seriamente. Ma l'uscita in alto, superando di slan-cio qualche inarcato strapiombo e qualche placca verti-cale con pochi ma ottimi appigli, mi diede più soddisfa-zione di qualsiasi altra arrampicata di quest'anno. E sbu-cando in cresta, proprio sulla cuspide sommitale, miparve di aver ritrovato quella linearità e quella fermezzadi procedere secondo la verticale, senza concessioni esenza deviazioni, che distinguevano tutte le mie salitedegli anni "eroici".Mi sentivo lanciato e sicuro, capace forse di qualsiasiimpresa. Ma non volevo forzare, volevo sempre lasciareun buon margine alle mie possibilità, per esser sicuro diessere sempre in grado di godere dell'ascensione, diascendere alla montagna e non di conquistarla di forza.Scesi a Milano per andare a Courmayeur a tentare qual-

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cuno dei classici itinerari del Bianco; ma le condizionisfavorevoli ce lo sconsigliarono. Andai senza voglia,quasi trascinato da Vitale, nel gruppo dell'Adamello. Losquallore di quel pietrame bruno, mi dava, in confrontoalla ricchezza di vegetazione e di colori delle Dolomiti,un senso di desolazione e di tristezza. Qualche estesopanorama di quelle linee orizzontali senza un profilo esenza una linea, che rendesse logica e attraente l'ascen-sione. Ancora un mucchio di vie nuove da fare, forseperché ancora nessun alpinista serio si era mai occupatodi quei monti. Seguii svogliatamente Vitale, quasi rasse-gnatamente, in un paio di arrampicate; lo lasciai pianta-re tutti i suoi numerosi e inutili chiodi di assicurazione,lo precedetti superando in due salti un passaggio dovelui si era affaticato invano una buona mezz'ora e poil'offesi dichiarandogli che quelle imprese potevano essevalutate di secondo grado. Le salite che avevo fatto conSaverio nelle Marmarole erano certo meno facili e piùeleganti.Ardevo di ritornare alle Dolomiti, ai bei campanili dellaCroda dei Toni. Mi trovai con Pisoni, in gran forma everamente molto sicuro in parete, meno agile nei cami-ni, che non sempre prendeva nel modo migliore. Frescodella sua ingenuità e ardente di entusiasmo come sem-pre. Salimmo ancora il Torrione Graffer, per la fessurafrontale questa volta, divertentissima; poi una gran pare-te della Croda dei Toni, in parte molto difficile. Lasciaisempre a lui di andare avanti, che ne aveva ben dirittoper la sua sicurezza e soprattutto per il suo entusiasmo;

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cuno dei classici itinerari del Bianco; ma le condizionisfavorevoli ce lo sconsigliarono. Andai senza voglia,quasi trascinato da Vitale, nel gruppo dell'Adamello. Losquallore di quel pietrame bruno, mi dava, in confrontoalla ricchezza di vegetazione e di colori delle Dolomiti,un senso di desolazione e di tristezza. Qualche estesopanorama di quelle linee orizzontali senza un profilo esenza una linea, che rendesse logica e attraente l'ascen-sione. Ancora un mucchio di vie nuove da fare, forseperché ancora nessun alpinista serio si era mai occupatodi quei monti. Seguii svogliatamente Vitale, quasi rasse-gnatamente, in un paio di arrampicate; lo lasciai pianta-re tutti i suoi numerosi e inutili chiodi di assicurazione,lo precedetti superando in due salti un passaggio dovelui si era affaticato invano una buona mezz'ora e poil'offesi dichiarandogli che quelle imprese potevano essevalutate di secondo grado. Le salite che avevo fatto conSaverio nelle Marmarole erano certo meno facili e piùeleganti.Ardevo di ritornare alle Dolomiti, ai bei campanili dellaCroda dei Toni. Mi trovai con Pisoni, in gran forma everamente molto sicuro in parete, meno agile nei cami-ni, che non sempre prendeva nel modo migliore. Frescodella sua ingenuità e ardente di entusiasmo come sem-pre. Salimmo ancora il Torrione Graffer, per la fessurafrontale questa volta, divertentissima; poi una gran pare-te della Croda dei Toni, in parte molto difficile. Lasciaisempre a lui di andare avanti, che ne aveva ben dirittoper la sua sicurezza e soprattutto per il suo entusiasmo;

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ma a me quelle arrampicate diedero solo interesse, mapoca gioia. Quando qualcuno mi precede in cordata, nonposso più sentire la montagna come mia; ogni intimorapporto tra me e la montagna mi è interrotto. Se si trat-ta di un amico, sono lieto ugualmente di essergli compa-gno e di donargli l'ascensione; ma per me è tutt'altracosa. Siamo andati per tentare una grande impresa, cuipenso da anni; Pisoni era ardente di entusiasmo; io eroancora un po' in dubbio se avrei saputo affrontarel'impresa con quell'esuberanza di forze fisiche e spiri-tuali che avrebbe richiesto. Rimandai di un giorno anco-ra, e salimmo invece una splendida Torre in Valle Laga-zuoi. Le difficoltà si rivelarono ben presto molto supe-riori al previsto. Ma anche nei tratti di estrema difficol-tà, in tutta esposizione e con scarsa assicurazione, seppiseguire Pisoni senza esitazione, slanciandomi fiduciosoe quasi incosciente e mi sentii anche in quei tratti perfet-tamente sicuro, come quando seguivo Battista sullaMarmolada di Rocca. Una scarica di sassi mi colpì allatesta subito all'inizio dell'arrampicata. Nonostante ilmale e i capogiri, proseguii ugualmente, rimettendomi apoco a poco. A 40 m dalla vetta, dopo 8 ore di sforzi, Pi-soni mi annuncia che non si può proseguire. Non nesono affatto convinto e vorrei tentare io; ma il timoreche mi riprenda qualche capogiro nel momento critico,mi fa esitare. È un istante di vera vigliaccheria, nono-stante il desiderio di cimentarmi con quell'uscita. La vi-gliaccheria è subito punita: ridiscendo la corda da unospuntone di assicurazione, una nuova scarica mi colpi-

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ma a me quelle arrampicate diedero solo interesse, mapoca gioia. Quando qualcuno mi precede in cordata, nonposso più sentire la montagna come mia; ogni intimorapporto tra me e la montagna mi è interrotto. Se si trat-ta di un amico, sono lieto ugualmente di essergli compa-gno e di donargli l'ascensione; ma per me è tutt'altracosa. Siamo andati per tentare una grande impresa, cuipenso da anni; Pisoni era ardente di entusiasmo; io eroancora un po' in dubbio se avrei saputo affrontarel'impresa con quell'esuberanza di forze fisiche e spiri-tuali che avrebbe richiesto. Rimandai di un giorno anco-ra, e salimmo invece una splendida Torre in Valle Laga-zuoi. Le difficoltà si rivelarono ben presto molto supe-riori al previsto. Ma anche nei tratti di estrema difficol-tà, in tutta esposizione e con scarsa assicurazione, seppiseguire Pisoni senza esitazione, slanciandomi fiduciosoe quasi incosciente e mi sentii anche in quei tratti perfet-tamente sicuro, come quando seguivo Battista sullaMarmolada di Rocca. Una scarica di sassi mi colpì allatesta subito all'inizio dell'arrampicata. Nonostante ilmale e i capogiri, proseguii ugualmente, rimettendomi apoco a poco. A 40 m dalla vetta, dopo 8 ore di sforzi, Pi-soni mi annuncia che non si può proseguire. Non nesono affatto convinto e vorrei tentare io; ma il timoreche mi riprenda qualche capogiro nel momento critico,mi fa esitare. È un istante di vera vigliaccheria, nono-stante il desiderio di cimentarmi con quell'uscita. La vi-gliaccheria è subito punita: ridiscendo la corda da unospuntone di assicurazione, una nuova scarica mi colpi-

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sce alla testa assai più gravemente della prima. Altronon mi resta che scendere a corda doppia, assicurato,con così forte mal di capo, che mi fa vacillare anche sulterreno piano. Un giorno di necessario riposo, poi unanevicata mette fine ad ogni nostra speranza di ascensio-ni.Ancora una volta sono stato bruscamente arrestatoquando avevo raggiunto la pienezza delle mie forze equando mi sentivo capace di qualsiasi impresa. È forseil destino che mi preserva dall'affrontare imprese chenon sono più per me, oggi che non son più capace di do-minare con la volontà il mio destino? O è forse il desti-no che mi vieta l'affermazione e mi impedisce di rompe-re fede al voto d'amore delle Mésules?Poi è una serie di camminate per monti e per valli, con-dotte con ritmo assai intensivo per terminare una seriedi ricognizioni; mi spiaceva di non poter approfittare diquelle splendide e limpide giornate di settembre e diquello stato di grazia fisico e spirituale che avevo rag-giunto per un'attività di maggior soddisfazione. Ma an-che nelle lunghe camminate solitarie, con l'attenzionesempre tesa per tutto quello che mi occorreva di osser-vare, godevo intensamente la pace della natura. E quan-do mi concedevo qualche pausa di riposo, rilasciandomuscoli e nervi nella gran carezza del sole, potevo can-tare con pieno abbandono, dimentico di me stesso e ditutti.Ancora due giorni a Venezia, tra il profumo e le luci del-la laguna, l'incanto delizioso delle calli ignote, e due se-

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sce alla testa assai più gravemente della prima. Altronon mi resta che scendere a corda doppia, assicurato,con così forte mal di capo, che mi fa vacillare anche sulterreno piano. Un giorno di necessario riposo, poi unanevicata mette fine ad ogni nostra speranza di ascensio-ni.Ancora una volta sono stato bruscamente arrestatoquando avevo raggiunto la pienezza delle mie forze equando mi sentivo capace di qualsiasi impresa. È forseil destino che mi preserva dall'affrontare imprese chenon sono più per me, oggi che non son più capace di do-minare con la volontà il mio destino? O è forse il desti-no che mi vieta l'affermazione e mi impedisce di rompe-re fede al voto d'amore delle Mésules?Poi è una serie di camminate per monti e per valli, con-dotte con ritmo assai intensivo per terminare una seriedi ricognizioni; mi spiaceva di non poter approfittare diquelle splendide e limpide giornate di settembre e diquello stato di grazia fisico e spirituale che avevo rag-giunto per un'attività di maggior soddisfazione. Ma an-che nelle lunghe camminate solitarie, con l'attenzionesempre tesa per tutto quello che mi occorreva di osser-vare, godevo intensamente la pace della natura. E quan-do mi concedevo qualche pausa di riposo, rilasciandomuscoli e nervi nella gran carezza del sole, potevo can-tare con pieno abbandono, dimentico di me stesso e ditutti.Ancora due giorni a Venezia, tra il profumo e le luci del-la laguna, l'incanto delizioso delle calli ignote, e due se-

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rate di musica alla Fenice, e poi a Milano, tutto presodal lavoro intenso e febbrile, fino alla stanchezza, macon una lucidità che mi permetteva di concludere rapi-damente ogni capitolo, senza alcun dubbio o pentimentoe nel modo più definitivo. Ero tutto preso e anche soddi-sfatto di un lavoro, che pure mi aveva poco interessato eavevo condotto avanti senza convinzione.Consegnato l'ultimo capitolo, eccomi di nuovo qui aTregnago a godermi le sinfonie di luci dei tramonti au-tunnali. I boschi e i prati ingialliscono, le viti e i cespu-gli sono rossi accesi; accordi preziosi il colore avvinaz-zato del fogliame, i grappoli bruni e vellutati e il cando-re della nevicata precoce, che aveva imbiancato tutte lecolline.Vivere della natura e sognare; e dimenticarsi nella granpace dell'estasi, senza saper più nulla del mondo che cicirconda.

«Gli uragani, la nebbia, la neve qualche volta ti farannoandare in bestia. Pensa allora a quelli che li hanno pro-vati prima di te e dì semplicemente: dove gli altri sonriusciti, si può sempre riuscire.» (Saint Exupéry). Anchel'alpinista dice: dove un altro è passato prima di me,passerò anch'io. Ed è questa una sicurezza che permettedi vincere ogni difficoltà. Solo percorrendo una via nuo-va, non si può avere questa sicurezza. È tutto qui ilgrande fascino di una prima ascensione: l'incertezza diciò che ci attende, il sentirci soli nella lotta contro la dif-ficoltà, il sentire che per vincere dobbiamo fidare sol-

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rate di musica alla Fenice, e poi a Milano, tutto presodal lavoro intenso e febbrile, fino alla stanchezza, macon una lucidità che mi permetteva di concludere rapi-damente ogni capitolo, senza alcun dubbio o pentimentoe nel modo più definitivo. Ero tutto preso e anche soddi-sfatto di un lavoro, che pure mi aveva poco interessato eavevo condotto avanti senza convinzione.Consegnato l'ultimo capitolo, eccomi di nuovo qui aTregnago a godermi le sinfonie di luci dei tramonti au-tunnali. I boschi e i prati ingialliscono, le viti e i cespu-gli sono rossi accesi; accordi preziosi il colore avvinaz-zato del fogliame, i grappoli bruni e vellutati e il cando-re della nevicata precoce, che aveva imbiancato tutte lecolline.Vivere della natura e sognare; e dimenticarsi nella granpace dell'estasi, senza saper più nulla del mondo che cicirconda.

«Gli uragani, la nebbia, la neve qualche volta ti farannoandare in bestia. Pensa allora a quelli che li hanno pro-vati prima di te e dì semplicemente: dove gli altri sonriusciti, si può sempre riuscire.» (Saint Exupéry). Anchel'alpinista dice: dove un altro è passato prima di me,passerò anch'io. Ed è questa una sicurezza che permettedi vincere ogni difficoltà. Solo percorrendo una via nuo-va, non si può avere questa sicurezza. È tutto qui ilgrande fascino di una prima ascensione: l'incertezza diciò che ci attende, il sentirci soli nella lotta contro la dif-ficoltà, il sentire che per vincere dobbiamo fidare sol-

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tanto in noi stessi. Occorre più forza morale per supera-re l'ignoto, che per superare la difficoltà.

20 dicembre. Dopo un periodo di intensità di lavoro,ora di nuovo calma, assestamento e riordinamento. Il la-voro intensivo mi dà benessere e lucidità; mi pare a vol-te di camminare di nuovo dritto come un tempo, con unpasso così deciso, che infrango tutti gli ostacoli. Diversipiccoli contrattempi, noie, ritardi, sono stati tutti supera-ti con un'autorità che non ammette discussione. E nelmio cammino di nuovo così lineare ritrovo anche la fi-ducia in me stesso e nella mia volontà.Un programma di lavoro intenso mi attende anche per imesi prossimi: il mio lavoro vien richiesto ed apprezza-to. Liberatomi dalle pastoie e dall'ipocrisia burocraticadel CAI, mi sembra di aver ora ritrovato la mia strada,tra gente onesta e desiderosa di azione più che di chiac-chiere. E in tal modo la mia strada è di nuovo aperta da-vanti a me, dritta e luminosa. Non ho che da seguirla or-mai, con fede e col mio passo sicuro.

Tutto quello che scrivo di più intimo, come le pagine diquesto diario, non potrei mai vederlo pubblicato; e ciòche scrivo per pubblicare è sempre qualche cosa di stret-tamente obbiettivo, in cui la mia anima resta del tuttocelata. Il darmi al pubblico mi sembrerebbe una spudo-ratezza e un rivoltante insulto a me stesso. Tutto il mioessere è un mondo chiuso, che potrà avere contatti conaltri solo con la sua superficie esterna; ma non potrebbe

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tanto in noi stessi. Occorre più forza morale per supera-re l'ignoto, che per superare la difficoltà.

20 dicembre. Dopo un periodo di intensità di lavoro,ora di nuovo calma, assestamento e riordinamento. Il la-voro intensivo mi dà benessere e lucidità; mi pare a vol-te di camminare di nuovo dritto come un tempo, con unpasso così deciso, che infrango tutti gli ostacoli. Diversipiccoli contrattempi, noie, ritardi, sono stati tutti supera-ti con un'autorità che non ammette discussione. E nelmio cammino di nuovo così lineare ritrovo anche la fi-ducia in me stesso e nella mia volontà.Un programma di lavoro intenso mi attende anche per imesi prossimi: il mio lavoro vien richiesto ed apprezza-to. Liberatomi dalle pastoie e dall'ipocrisia burocraticadel CAI, mi sembra di aver ora ritrovato la mia strada,tra gente onesta e desiderosa di azione più che di chiac-chiere. E in tal modo la mia strada è di nuovo aperta da-vanti a me, dritta e luminosa. Non ho che da seguirla or-mai, con fede e col mio passo sicuro.

Tutto quello che scrivo di più intimo, come le pagine diquesto diario, non potrei mai vederlo pubblicato; e ciòche scrivo per pubblicare è sempre qualche cosa di stret-tamente obbiettivo, in cui la mia anima resta del tuttocelata. Il darmi al pubblico mi sembrerebbe una spudo-ratezza e un rivoltante insulto a me stesso. Tutto il mioessere è un mondo chiuso, che potrà avere contatti conaltri solo con la sua superficie esterna; ma non potrebbe

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aprirsi, sviscerarsi ad altri senza frantumarsi e infranger-si. Non perché abbia nulla da nascondere, ma per un in-vincibile pudore, che mi impedisce di denudarmi inpubblico.

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aprirsi, sviscerarsi ad altri senza frantumarsi e infranger-si. Non perché abbia nulla da nascondere, ma per un in-vincibile pudore, che mi impedisce di denudarmi inpubblico.

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1942

20 aprile. Pienezza di luce di giornate intensamente vis-sute. La solitudine dei rifugi chiusi, la pace, il senno diessersi estraniati, fuori dal mondo, dalla volgarità edall'orrore e di essere giunti in un'oasi di pace, ove sipuò dimenticare tutto e lasciarsi vivere nella luce diun'atmosfera pura. Il Brenta nel suo aspetto invernaleera ancora più fulgido del solito, mentre la neve ammor-bidiva le squallide pietraie. Le crode per contrasto nebalzavano fuori con tanta maggior potenza di massa e dicolore. E nella solitudine, in quel gran silenzio dellenevi intatte, mi pareva che quelle crode fossero tutte perme, più vicine al mio animo, più mie. Ritrovavo le miepareti e i miei camini, ne riandavo ogni passaggio, e unafolla di ricordi mi faceva rivivere giorni felici, ormailontani. Ritrovavo il vecchio rifugio Tosa, dove avevopassato un mese intero, la mia cuccetta accanto alla fi-nestra da cui contemplavo tante albe stupende, la cuci-netta che ci aveva tanto affumicati, i miei angoli preferi-ti, il pietrame dominante tutta la valle, dove andavo aleggere Goethe e Novalis. E poi scivolavo leggero congli sci sulla neve perfetta, alla ricerca di un passaggiotalvolta fortunoso tra le rocce o su cengioni spioventi,cercavo di indovinare i ben noti sentieri nascosti sotto lacoltre candida, mi guidavo d'istinto anche tra la nebbia,quasi obbedendo a un muto richiamo delle mie crode, e

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1942

20 aprile. Pienezza di luce di giornate intensamente vis-sute. La solitudine dei rifugi chiusi, la pace, il senno diessersi estraniati, fuori dal mondo, dalla volgarità edall'orrore e di essere giunti in un'oasi di pace, ove sipuò dimenticare tutto e lasciarsi vivere nella luce diun'atmosfera pura. Il Brenta nel suo aspetto invernaleera ancora più fulgido del solito, mentre la neve ammor-bidiva le squallide pietraie. Le crode per contrasto nebalzavano fuori con tanta maggior potenza di massa e dicolore. E nella solitudine, in quel gran silenzio dellenevi intatte, mi pareva che quelle crode fossero tutte perme, più vicine al mio animo, più mie. Ritrovavo le miepareti e i miei camini, ne riandavo ogni passaggio, e unafolla di ricordi mi faceva rivivere giorni felici, ormailontani. Ritrovavo il vecchio rifugio Tosa, dove avevopassato un mese intero, la mia cuccetta accanto alla fi-nestra da cui contemplavo tante albe stupende, la cuci-netta che ci aveva tanto affumicati, i miei angoli preferi-ti, il pietrame dominante tutta la valle, dove andavo aleggere Goethe e Novalis. E poi scivolavo leggero congli sci sulla neve perfetta, alla ricerca di un passaggiotalvolta fortunoso tra le rocce o su cengioni spioventi,cercavo di indovinare i ben noti sentieri nascosti sotto lacoltre candida, mi guidavo d'istinto anche tra la nebbia,quasi obbedendo a un muto richiamo delle mie crode, e

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mi sembrava che quel veloce e agile scivolare tra gliostacoli, in contrasto con la lenta e cadenzata marciadell'estate, fosse tanto appropriato all'ambiente inverna-le, poiché così non rompevo col mio passo il grande si-lenzio, e vagavo leggero, quasi sfiorando i pendii e li-brandomi tutto con l'animo in quell'eterea serenità.Anche Saverio mi pareva godesse veramente tanta sere-nità e quel sciare così speciale in un ambiente tanto sel-vaggio di crode, che parevano ad ogni tratto sbarrare ilpassaggio. In Val d'Ambiez gli amici trentini ci accolse-ro con la loro consueta cordialità. Con loro si ha spessol'impressione di trovarsi in un mondo diverso, tanto parestraordinaria quella schiettezza, quella sana e misurataallegria, quella spontaneità e sincerità di rapporti; incontrasto con l'ipocrisia, la falsità, la disonestà, la mala-fede, l'invidia, la rivalità della vita cittadina, che rendo-no impossibile qualsiasi solidarietà e qualsiasi fiduciaanche nei rapporti che dovrebbero essere più profonda-mente umani.Poi la Presanella: peccato solo ch'io non avessi altrocompagno che Vidi, piuttosto noioso, mestierante e sto-nato all'ambiente. La sera dal rifugio il tramonto incen-dia con riflessi e bagliori violenti tutto il gruppo diBrenta, mentre la tormenta eleva dalle creste della Pre-sanella gigantesche colonne di fumo. Il mattino tersissi-mo si rischiara a poco a poco mentre saliamo i primidossi, ammorbidisce i pendii con luci rosate, che si ri-flettono, quasi ravvivandole, sulle tetre rocce granitiche.Poi dalla vetta l'orizzonte si apre immenso in tutte le di-

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mi sembrava che quel veloce e agile scivolare tra gliostacoli, in contrasto con la lenta e cadenzata marciadell'estate, fosse tanto appropriato all'ambiente inverna-le, poiché così non rompevo col mio passo il grande si-lenzio, e vagavo leggero, quasi sfiorando i pendii e li-brandomi tutto con l'animo in quell'eterea serenità.Anche Saverio mi pareva godesse veramente tanta sere-nità e quel sciare così speciale in un ambiente tanto sel-vaggio di crode, che parevano ad ogni tratto sbarrare ilpassaggio. In Val d'Ambiez gli amici trentini ci accolse-ro con la loro consueta cordialità. Con loro si ha spessol'impressione di trovarsi in un mondo diverso, tanto parestraordinaria quella schiettezza, quella sana e misurataallegria, quella spontaneità e sincerità di rapporti; incontrasto con l'ipocrisia, la falsità, la disonestà, la mala-fede, l'invidia, la rivalità della vita cittadina, che rendo-no impossibile qualsiasi solidarietà e qualsiasi fiduciaanche nei rapporti che dovrebbero essere più profonda-mente umani.Poi la Presanella: peccato solo ch'io non avessi altrocompagno che Vidi, piuttosto noioso, mestierante e sto-nato all'ambiente. La sera dal rifugio il tramonto incen-dia con riflessi e bagliori violenti tutto il gruppo diBrenta, mentre la tormenta eleva dalle creste della Pre-sanella gigantesche colonne di fumo. Il mattino tersissi-mo si rischiara a poco a poco mentre saliamo i primidossi, ammorbidisce i pendii con luci rosate, che si ri-flettono, quasi ravvivandole, sulle tetre rocce granitiche.Poi dalla vetta l'orizzonte si apre immenso in tutte le di-

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rezioni: è un belvedere isolato che si eleva nel mezzo diun mare di bianche catene innevate, e di oscure vallategià spoglie, che aiutano a distanziare i vari piani succes-sivi fino ai più lontani, fino al Rosa, ai Tauri, alle collinedi Tregnago. Nella luce radiosa di un mattino calmissi-mo, mi trattenni quasi 2 ore sulla vetta, mai sazio di uncosì affascinante spettacolo. Poi dalle nevi scesi improv-visamente nell'estate. Arrivai a Pinzolo a torso nudo,quasi voglioso di tuffarmi nel torrente, mentre la naturaera già in piena fioritura, e nei campi ferveva il lavorodei contadini. Avrei voluto poter passare anch'io di col-po nell'estate, attaccare subito qualche nuda parete diroccia, su quelle crode che nei giorni precedenti mi era-no apparse già così pulite, così invitanti e così mie.

La campagna alpinistica si è iniziata con la gita in Paga-nella. In parete ho ritrovato quel senso di sicurezza qua-si baldanzosa e quella fiducia in me stesso che già avevoprovato in Grigna. Al rifugio, con numerosi amici mila-nesi e trentini, abbiamo festeggiato la nomina ad acca-demico di Pisoni (che ho ottenuto dopo lunghi mesi diinsistenza contro l'ipocrita ostruzionismo di Bonacossa).Giornata luminosa, di allegria e di cordialità. Poi alcunigiorni di vagabondaggi solitari in Brenta, più faticatiche goduti a causa della lunghezza delle tappe e del con-tinuo impegno di attenzione e infine ancora una settima-na a Milano per esaurire il programma di lavoro. In seigiorni ho steso tutto il testo della guida sciistica delBrenta e Madonna di Campiglio, scrivendo direttamente

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rezioni: è un belvedere isolato che si eleva nel mezzo diun mare di bianche catene innevate, e di oscure vallategià spoglie, che aiutano a distanziare i vari piani succes-sivi fino ai più lontani, fino al Rosa, ai Tauri, alle collinedi Tregnago. Nella luce radiosa di un mattino calmissi-mo, mi trattenni quasi 2 ore sulla vetta, mai sazio di uncosì affascinante spettacolo. Poi dalle nevi scesi improv-visamente nell'estate. Arrivai a Pinzolo a torso nudo,quasi voglioso di tuffarmi nel torrente, mentre la naturaera già in piena fioritura, e nei campi ferveva il lavorodei contadini. Avrei voluto poter passare anch'io di col-po nell'estate, attaccare subito qualche nuda parete diroccia, su quelle crode che nei giorni precedenti mi era-no apparse già così pulite, così invitanti e così mie.

La campagna alpinistica si è iniziata con la gita in Paga-nella. In parete ho ritrovato quel senso di sicurezza qua-si baldanzosa e quella fiducia in me stesso che già avevoprovato in Grigna. Al rifugio, con numerosi amici mila-nesi e trentini, abbiamo festeggiato la nomina ad acca-demico di Pisoni (che ho ottenuto dopo lunghi mesi diinsistenza contro l'ipocrita ostruzionismo di Bonacossa).Giornata luminosa, di allegria e di cordialità. Poi alcunigiorni di vagabondaggi solitari in Brenta, più faticatiche goduti a causa della lunghezza delle tappe e del con-tinuo impegno di attenzione e infine ancora una settima-na a Milano per esaurire il programma di lavoro. In seigiorni ho steso tutto il testo della guida sciistica delBrenta e Madonna di Campiglio, scrivendo direttamente

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a macchina, con perfetta lucidità, con ordine e in mododefinitivo. Un bel record non solo di velocità, ma anchedi perfezione di lavoro. Ne ero quasi orgoglioso. Tantomi pare così strano di sorprendermi in così meschinipeccatucci di vanità!

Le prime salite sono state con Pisoni, anzi dedicate a Pi-soni. Seguivo l'amico nelle ascensioni che io stesso ave-vo indicato e che lasciavo a lui; lo seguivo abbastanzapassivamente con scarsa gioia, e ancor minore soddisfa-zione e sentivo più che mai come la posizione del se-condo di cordata potrà esser forse comoda nei momentidi vigliaccheria o in insufficiente allenamento, ma alpi-nisticamente ha un valore del tutto negativo. L'ascensio-ne è priva di interesse e ci si preoccupa soltanto di salirecol minimo sforzo evitando per quanto possibile le diffi-coltà e i passaggi impegnativi. Per questo fui lieto del ri-torno dalla Cima Bassa d'Ambiez, che presentava diffi-coltà eccessive per il mio scarso allenamento.Volli perciò esser di nuovo capocordata: sentivo chequest'anno potevo e dovevo ritrovare tutta la mia sicu-rezza, la mia baldanza, la mia autorità forse come neglianni migliori. Non solo mi sentivo già a posto sulla roc-cia, ma, ciò che più conta, sentivo proprio il desiderio ela volontà dell'impresa. Ma non volli affrontare subito ledifficoltà; volevo arrivare ad esse solo con un progressograduale e lento, solo con un allenamento perfetto, ondeevitare inciampi e disillusioni, che avrebbero potuto in-terrompere bruscamente anche questa volta il mio cam-

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a macchina, con perfetta lucidità, con ordine e in mododefinitivo. Un bel record non solo di velocità, ma anchedi perfezione di lavoro. Ne ero quasi orgoglioso. Tantomi pare così strano di sorprendermi in così meschinipeccatucci di vanità!

Le prime salite sono state con Pisoni, anzi dedicate a Pi-soni. Seguivo l'amico nelle ascensioni che io stesso ave-vo indicato e che lasciavo a lui; lo seguivo abbastanzapassivamente con scarsa gioia, e ancor minore soddisfa-zione e sentivo più che mai come la posizione del se-condo di cordata potrà esser forse comoda nei momentidi vigliaccheria o in insufficiente allenamento, ma alpi-nisticamente ha un valore del tutto negativo. L'ascensio-ne è priva di interesse e ci si preoccupa soltanto di salirecol minimo sforzo evitando per quanto possibile le diffi-coltà e i passaggi impegnativi. Per questo fui lieto del ri-torno dalla Cima Bassa d'Ambiez, che presentava diffi-coltà eccessive per il mio scarso allenamento.Volli perciò esser di nuovo capocordata: sentivo chequest'anno potevo e dovevo ritrovare tutta la mia sicu-rezza, la mia baldanza, la mia autorità forse come neglianni migliori. Non solo mi sentivo già a posto sulla roc-cia, ma, ciò che più conta, sentivo proprio il desiderio ela volontà dell'impresa. Ma non volli affrontare subito ledifficoltà; volevo arrivare ad esse solo con un progressograduale e lento, solo con un allenamento perfetto, ondeevitare inciampi e disillusioni, che avrebbero potuto in-terrompere bruscamente anche questa volta il mio cam-

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mino verso l'alto. Salite brevi dunque, facili, d'ordinariaamministrazione, senza interesse né emozioni, destinatesoprattutto al completamento della guida. Ma già gode-vo dell'arrampicata, per facile ch'essa fosse, attaccavocon entusiasmo e salivo per l'itinerario prestabilito, sen-za compromessi. Qualche passaggio più difficile, mi im-pegnava, ma lo superavo con calma e sicurezza, senzaesitazioni e senza cercar scappatoie. Così le ascensionisi moltiplicavano rapidamente, la guida si arricchivagiornalmente di ricognizioni e di nuovi itinerari ed io misentivo sempre più a posto, sempre più padrone dei mieimezzi e della mia tecnica e sentivo di nuovo la roccia,non più come ostacolo da vincere, ma come mio ele-mento naturale in cui muovermi a mio agio come un pe-sce nell'acqua o un uccello nell'aria. Elemento naturale,che diveniva anche e soprattutto mezzo di espressionedel mio essere, della mia gioia e della mia esuberanza divita. E la roccia mi ripaga della mia fedeltà e del mioamore, presentandomi sempre l'appiglio di cui ho biso-gno, offrendomi sempre la direttiva più logica e più ele-gante (come il classico diedro della Cima d'Ambiez),quasi a rendere più perfetto il godimento esteticodell'arrampicata.Nebbie fitte quotidiane; vagavo tra la nebbia trovandosempre con assoluta sicurezza l'orientamento e la viamigliore. Per me erano egualmente giornate di luce, an-che se la montagna mi negava lo spettacolo dei suoiquadri e dei suoi panorami, ritrovando piena soddisfa-zione nelle mie arrampicate e nel mio lavoro. La quiete

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mino verso l'alto. Salite brevi dunque, facili, d'ordinariaamministrazione, senza interesse né emozioni, destinatesoprattutto al completamento della guida. Ma già gode-vo dell'arrampicata, per facile ch'essa fosse, attaccavocon entusiasmo e salivo per l'itinerario prestabilito, sen-za compromessi. Qualche passaggio più difficile, mi im-pegnava, ma lo superavo con calma e sicurezza, senzaesitazioni e senza cercar scappatoie. Così le ascensionisi moltiplicavano rapidamente, la guida si arricchivagiornalmente di ricognizioni e di nuovi itinerari ed io misentivo sempre più a posto, sempre più padrone dei mieimezzi e della mia tecnica e sentivo di nuovo la roccia,non più come ostacolo da vincere, ma come mio ele-mento naturale in cui muovermi a mio agio come un pe-sce nell'acqua o un uccello nell'aria. Elemento naturale,che diveniva anche e soprattutto mezzo di espressionedel mio essere, della mia gioia e della mia esuberanza divita. E la roccia mi ripaga della mia fedeltà e del mioamore, presentandomi sempre l'appiglio di cui ho biso-gno, offrendomi sempre la direttiva più logica e più ele-gante (come il classico diedro della Cima d'Ambiez),quasi a rendere più perfetto il godimento esteticodell'arrampicata.Nebbie fitte quotidiane; vagavo tra la nebbia trovandosempre con assoluta sicurezza l'orientamento e la viamigliore. Per me erano egualmente giornate di luce, an-che se la montagna mi negava lo spettacolo dei suoiquadri e dei suoi panorami, ritrovando piena soddisfa-zione nelle mie arrampicate e nel mio lavoro. La quiete

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del rifugio ospitale e solitario, così fuori dal mondo daconsentire un completo oblio, creava l'atmosfera miglio-re per questo stato di perfetta serenità d'animo.D'altronde mi sentivo ormai già abbastanza a posto perritrovare piena soddisfazione nella mia intensa attivitàalpinistica e di lavoro. Alla domenica erano arrampicatededicate a Pisoni; ma negli altri giorni erano tutte saliteben mie, che realizzavo non più tanto per il completa-mento della guida, quanto per la gioia stessa dell'arram-picata.Perciò attaccavo per la via più bella e salivo per la viapiù diritta, senza concessioni e senza deviazioni, comenei periodi «eroici», in cui arrampicavo per la sola gioiadella conquista. Così sulla cresta della Solanda, che se-guii sempre sul filo anziché deviare sulle più facili pare-ti laterali, così sullo spigolo tanto aereo della Baratieri,così sulle rocce innevate dello spallon dei Massodi, cuinon volli rinunciare nonostante le condizioni quasi in-vernali, così nei camini della Cima Mondroni, che supe-rai con tutta eleganza senza piantar un chiodo, così sullospigolo del Crozzon che scalai in 4 ore, quasi in unacorsa frenetica, ebbro al sentirmi tanto sicuro in queilunghi caminoni, ebbro di ritrovare tutto il mio ardore etutta la mia passione su quell'architettura prodigiosa, cheho amato forse più d'ogni altra nel gruppo di Brenta.

Ma torniamo alla mia cronaca. Un richiamo di Bruno mifece tornare a Milano per il l° d'agosto, per partecipare auna progettata Missione scientifica nelle Alpi Albanesi.

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del rifugio ospitale e solitario, così fuori dal mondo daconsentire un completo oblio, creava l'atmosfera miglio-re per questo stato di perfetta serenità d'animo.D'altronde mi sentivo ormai già abbastanza a posto perritrovare piena soddisfazione nella mia intensa attivitàalpinistica e di lavoro. Alla domenica erano arrampicatededicate a Pisoni; ma negli altri giorni erano tutte saliteben mie, che realizzavo non più tanto per il completa-mento della guida, quanto per la gioia stessa dell'arram-picata.Perciò attaccavo per la via più bella e salivo per la viapiù diritta, senza concessioni e senza deviazioni, comenei periodi «eroici», in cui arrampicavo per la sola gioiadella conquista. Così sulla cresta della Solanda, che se-guii sempre sul filo anziché deviare sulle più facili pare-ti laterali, così sullo spigolo tanto aereo della Baratieri,così sulle rocce innevate dello spallon dei Massodi, cuinon volli rinunciare nonostante le condizioni quasi in-vernali, così nei camini della Cima Mondroni, che supe-rai con tutta eleganza senza piantar un chiodo, così sullospigolo del Crozzon che scalai in 4 ore, quasi in unacorsa frenetica, ebbro al sentirmi tanto sicuro in queilunghi caminoni, ebbro di ritrovare tutto il mio ardore etutta la mia passione su quell'architettura prodigiosa, cheho amato forse più d'ogni altra nel gruppo di Brenta.

Ma torniamo alla mia cronaca. Un richiamo di Bruno mifece tornare a Milano per il l° d'agosto, per partecipare auna progettata Missione scientifica nelle Alpi Albanesi.

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Scesi dai monti con quello stesso animo di tanti anni fa,quando nello stesso giorno 1° agosto dovetti presentar-mi per il servizio militare (1929). Anche allora avevocoronato la mia campagna sul Crozzon, anche alloraavevo ritrovato sul Crozzon tutta la pienezza delle mieforze fisiche e morali, anche allora avevo dovuto tronca-re a mezzo il mio trionfante cammino proprio quando lostato di grazia raggiunto attraverso un lento e gradualeallenamento mi schiudeva la possibilità di qualsiasi im-presa. Acconsentii all'Albania prima di tutto per un sen-so imperioso di dovere verso Bruno, cui non potevo ne-gare la mia collaborazione, cui evidentemente teneva eche mi aveva insistentemente richiesto; e in secondoluogo per la convenienza che avevo, (in vista di futureauspicate attività extra-europee) di partecipare a unamissione dell'Accademia d'Italia e quindi di fare un pri-mo passo per rendermi noto in quell'Istituto, che potreb-be sempre offrirmi appoggio e preziose occasioni perl'avvenire. Ma tutte queste considerazioni, pensate a Mi-lano, svanivano ora di fronte al vivo rammarico di ab-bandonare i miei monti, di rinunciare a tutti i progettisognati da tanto tempo e rimandati di anno in anno in at-tesa di ritrovarmi sufficientemente in forze; e non riusci-vo nemmeno a compensarmi con quell'interesse e quelsenso di avventura, che certo avrebbe dovuto offrirmi unviaggio in regioni ignote. L'Albania non mi presentavanessun interesse, i suoi monti non avevano per me nes-suna attrattiva, il viaggio stesso, per scopi scientifici ame estranei e in cui non avevo preso e non intendevo

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Scesi dai monti con quello stesso animo di tanti anni fa,quando nello stesso giorno 1° agosto dovetti presentar-mi per il servizio militare (1929). Anche allora avevocoronato la mia campagna sul Crozzon, anche alloraavevo ritrovato sul Crozzon tutta la pienezza delle mieforze fisiche e morali, anche allora avevo dovuto tronca-re a mezzo il mio trionfante cammino proprio quando lostato di grazia raggiunto attraverso un lento e gradualeallenamento mi schiudeva la possibilità di qualsiasi im-presa. Acconsentii all'Albania prima di tutto per un sen-so imperioso di dovere verso Bruno, cui non potevo ne-gare la mia collaborazione, cui evidentemente teneva eche mi aveva insistentemente richiesto; e in secondoluogo per la convenienza che avevo, (in vista di futureauspicate attività extra-europee) di partecipare a unamissione dell'Accademia d'Italia e quindi di fare un pri-mo passo per rendermi noto in quell'Istituto, che potreb-be sempre offrirmi appoggio e preziose occasioni perl'avvenire. Ma tutte queste considerazioni, pensate a Mi-lano, svanivano ora di fronte al vivo rammarico di ab-bandonare i miei monti, di rinunciare a tutti i progettisognati da tanto tempo e rimandati di anno in anno in at-tesa di ritrovarmi sufficientemente in forze; e non riusci-vo nemmeno a compensarmi con quell'interesse e quelsenso di avventura, che certo avrebbe dovuto offrirmi unviaggio in regioni ignote. L'Albania non mi presentavanessun interesse, i suoi monti non avevano per me nes-suna attrattiva, il viaggio stesso, per scopi scientifici ame estranei e in cui non avevo preso e non intendevo

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prendere alcuna iniziativa, mi era del tutto indifferente.

Il ritardo della autorizzazione da Tirana, fece dapprimarimandare la partenza, poi rinunciare (almeno perquest'anno) al viaggio, con grave disappunto di Bruno,che vi aveva dedicato 2 mesi di preparazione e di orga-nizzazione, e con grande ed egoistica contentezza mia,che vedevo riaprirsi insperatamente davanti a me unaporta che ormai credevo irrimediabilmente sbarrata.Ebbi un senso, quasi fisico, di sollievo, comeall'improvviso svanire di un incubo o all'annullamentodi una condanna! Corsi di nuovo alla Tosa, donde pro-misi di non muovermi, per restare sempre disponibileper un eventuale richiamo; ma già sapevo che questonon sarebbe venuto e che avrei potuto disporre libera-mente della mia estate. E allora rinascevano e si concre-tavano i progetti: Croda dei Toni, Marmolada, Agordi-no, Fanes, ecc.. Ero sazio del Brenta (dopo più d'unmese): volevo altri orizzonti, altre montagne più mie.Arrampicavo ogni giorno più per occupare la giornata inattesa di poter partire per altre zone, che per reale inte-resse nell'arrampicata. E tuttavia la salita solitaria allaCima Ceda o al Castelletto (da quanti anni non mi riu-sciva più di arrampicare solo?), la salita elegantissimadello spigolo di Cima Sella e quella della bella parete diCima Brenta Occidentale, sono state pienamente godute,quasi con entusiasmo.Subito dopo me ne andai; fu una specie di fuga precipi-tosa, piantando in asso Vitale, e tutti gli amici della

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prendere alcuna iniziativa, mi era del tutto indifferente.

Il ritardo della autorizzazione da Tirana, fece dapprimarimandare la partenza, poi rinunciare (almeno perquest'anno) al viaggio, con grave disappunto di Bruno,che vi aveva dedicato 2 mesi di preparazione e di orga-nizzazione, e con grande ed egoistica contentezza mia,che vedevo riaprirsi insperatamente davanti a me unaporta che ormai credevo irrimediabilmente sbarrata.Ebbi un senso, quasi fisico, di sollievo, comeall'improvviso svanire di un incubo o all'annullamentodi una condanna! Corsi di nuovo alla Tosa, donde pro-misi di non muovermi, per restare sempre disponibileper un eventuale richiamo; ma già sapevo che questonon sarebbe venuto e che avrei potuto disporre libera-mente della mia estate. E allora rinascevano e si concre-tavano i progetti: Croda dei Toni, Marmolada, Agordi-no, Fanes, ecc.. Ero sazio del Brenta (dopo più d'unmese): volevo altri orizzonti, altre montagne più mie.Arrampicavo ogni giorno più per occupare la giornata inattesa di poter partire per altre zone, che per reale inte-resse nell'arrampicata. E tuttavia la salita solitaria allaCima Ceda o al Castelletto (da quanti anni non mi riu-sciva più di arrampicare solo?), la salita elegantissimadello spigolo di Cima Sella e quella della bella parete diCima Brenta Occidentale, sono state pienamente godute,quasi con entusiasmo.Subito dopo me ne andai; fu una specie di fuga precipi-tosa, piantando in asso Vitale, e tutti gli amici della

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Tosa. Con Pisoni filai diretto a Cortina e, senza fermar-mi, al rifugio Cantore. La direttissima della Tofana si di-mostrò irrealizzabile non solo per la difficoltà (o impra-ticabilità?) della roccia, ma soprattutto per le pauroseprecipitazioni d'acqua e di sassi da quell'orribile canalericolmo di ghiaccio e di ghiaia. Era la punizione dellamia eccessiva presunzione, di voler scoprire nuove di-rettissime su una montagna così nota e così in vista?Certo rimasi un po' deluso della mia cantonata così mar-chiana, di esser partito così deciso all'attacco di una viatanto bella e logica vista a distanza o in fotografia e tan-to repulsiva e assurda all'atto pratico. Lo stesso senso distupita (o stupida?) delusione, che provai anni faall'attacco della fessura del Serauta e scoprii che non erauna fessura ma un filone di melafiro. Ci lanciammo dicorsa e senza sciogliere la corda per la via comune dellaparete sud, quasi facendoci beffe delle più celebrate eclassiche ascensioni, come altra volta con Vinatzer sulcamino Adang. Pareva di giocare con la roccia e conl'abisso con la stessa baldanzosa sicurezza e la stessaspensierata incoscienza di un Siegfried!E allora non più indugi, non più esitazioni: mi avvio di-ritto ormai e con passo sicuro verso la montagna: laMarmolada. Nessun'altra montagna posso sentire cosìmia, non tanto per i giorni e le notti che ho passato sullesue pareti, non tanto per lo studio meticoloso che le hodedicato d'estate e d'inverno, ma soprattutto perché nes-sun'altra montagna io ho così profondamente amato,nessun'altra montagna è stata tanta parte nella mia vita

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Tosa. Con Pisoni filai diretto a Cortina e, senza fermar-mi, al rifugio Cantore. La direttissima della Tofana si di-mostrò irrealizzabile non solo per la difficoltà (o impra-ticabilità?) della roccia, ma soprattutto per le pauroseprecipitazioni d'acqua e di sassi da quell'orribile canalericolmo di ghiaccio e di ghiaia. Era la punizione dellamia eccessiva presunzione, di voler scoprire nuove di-rettissime su una montagna così nota e così in vista?Certo rimasi un po' deluso della mia cantonata così mar-chiana, di esser partito così deciso all'attacco di una viatanto bella e logica vista a distanza o in fotografia e tan-to repulsiva e assurda all'atto pratico. Lo stesso senso distupita (o stupida?) delusione, che provai anni faall'attacco della fessura del Serauta e scoprii che non erauna fessura ma un filone di melafiro. Ci lanciammo dicorsa e senza sciogliere la corda per la via comune dellaparete sud, quasi facendoci beffe delle più celebrate eclassiche ascensioni, come altra volta con Vinatzer sulcamino Adang. Pareva di giocare con la roccia e conl'abisso con la stessa baldanzosa sicurezza e la stessaspensierata incoscienza di un Siegfried!E allora non più indugi, non più esitazioni: mi avvio di-ritto ormai e con passo sicuro verso la montagna: laMarmolada. Nessun'altra montagna posso sentire cosìmia, non tanto per i giorni e le notti che ho passato sullesue pareti, non tanto per lo studio meticoloso che le hodedicato d'estate e d'inverno, ma soprattutto perché nes-sun'altra montagna io ho così profondamente amato,nessun'altra montagna è stata tanta parte nella mia vita

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alpinistica né ha segnato date così decisive nella miaevoluzione spirituale, nessun'altra montagna mi ha datotanta gioia, tanta passione, tanta emozione. Temevo pro-prio di non potervi ritornare più. Dopo le Mésules, cheavevano significato la rinuncia del mio sogno più bello,la parete sudovest, dopo la Punta di Rocca che avevodonato a Battista con puro atto d'amore, di anno in anno,per una causa o per l'altra mi sentivo fisicamente e mo-ralmente più debole. Quel giorno, insperato, è venuto!Con una marcia lunga e faticosa sotto il peso di sacchiconsiderevoli, ci trasferiamo dal Pocol a Malga Ciapela:saliamo a sera lo «scalone» e sbuchiamo improvvisa-mente sul Pian d'Ombretta. Le pareti vibrano nel fulgoredel tramonto come corazze d'acciaio in un tripudio diluce: un'impressione di ubriacatura, schiacciante e op-primente, come un diapason di trombe in una sterminataorchestra. Presento a Pisoni le mie pareti, le vie, i pro-blemi: nel suo entusiasmo ingenuo, lui vede possibilitàdappertutto, vorrebbe salire le muraglie più lisce e piùcompatte. È grigio, dunque si deve passare; dice con lasua esperienza di Brenta o di Pale. Sorrido e lo invito apazientare e ad «assaggiare» quella roccia prima di giu-dicare e formulare itinerari. Mi sorprendo a parlare, for-te della mia lunga esperienza, con una saggezza mode-ratrice e bonaria, quasi paterna: una specie di Virgilioche guida e regge il novellino Dante e ne raffrena gli en-tusiasmi. Ma ho avuto anche subito l'impressione chequi non venivo per affrontare le mie imprese, ma soloper accompagnare Pisoni, presentargli quel mio regno

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alpinistica né ha segnato date così decisive nella miaevoluzione spirituale, nessun'altra montagna mi ha datotanta gioia, tanta passione, tanta emozione. Temevo pro-prio di non potervi ritornare più. Dopo le Mésules, cheavevano significato la rinuncia del mio sogno più bello,la parete sudovest, dopo la Punta di Rocca che avevodonato a Battista con puro atto d'amore, di anno in anno,per una causa o per l'altra mi sentivo fisicamente e mo-ralmente più debole. Quel giorno, insperato, è venuto!Con una marcia lunga e faticosa sotto il peso di sacchiconsiderevoli, ci trasferiamo dal Pocol a Malga Ciapela:saliamo a sera lo «scalone» e sbuchiamo improvvisa-mente sul Pian d'Ombretta. Le pareti vibrano nel fulgoredel tramonto come corazze d'acciaio in un tripudio diluce: un'impressione di ubriacatura, schiacciante e op-primente, come un diapason di trombe in una sterminataorchestra. Presento a Pisoni le mie pareti, le vie, i pro-blemi: nel suo entusiasmo ingenuo, lui vede possibilitàdappertutto, vorrebbe salire le muraglie più lisce e piùcompatte. È grigio, dunque si deve passare; dice con lasua esperienza di Brenta o di Pale. Sorrido e lo invito apazientare e ad «assaggiare» quella roccia prima di giu-dicare e formulare itinerari. Mi sorprendo a parlare, for-te della mia lunga esperienza, con una saggezza mode-ratrice e bonaria, quasi paterna: una specie di Virgilioche guida e regge il novellino Dante e ne raffrena gli en-tusiasmi. Ma ho avuto anche subito l'impressione chequi non venivo per affrontare le mie imprese, ma soloper accompagnare Pisoni, presentargli quel mio regno

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incantato, instradarlo sulle vie che lui avrebbe dovutopercorrere. Illustravo all'amico quelle ascensioni, perchénon cadessero in mani profane? Ma qui non era un donogeneroso come quello della Punta di Rocca; qui erapiuttosto rinuncia a favore dell'amico di ciò che non po-teva più essere mio. Mi parve che il mio compito fosseesaurito dal momento che avevo presentato all'amicotutte quelle pareti e tutti i problemi che attendevano so-luzioni: così abdicai a qualsiasi iniziativa, mi affidai alui, lo seguii fedelmente per consentire a lui di realizza-re l'impresa.Proposi di cominciare con la parete della Marmoladad'Ombretta, ma Pisoni affascinato dal sottile diedro delPiz Serauta decise di attaccare senz'altro quello all'indo-mani. Né io mossi alcuna obbiezione. Aveva ragione diiniziare senz'altro con l'impresa più bella, più ardua, piùimportante, senza ulteriori indugi. Anche a me quel die-dro stava a cuore più di ogni altra cosa, ma pensavo dilasciarlo per secondo, forse per un residuo di esitazionie di vigliaccheria, o perché non osavo prendere io stessol'iniziativa di attaccare quella linea architettonica cosìdiritta e così pura sì, ma anche così problematica. Iltempo intanto al mattino ci tiene a letto fin tardi; poi ciavviamo nel nebbione più fitto col proposito di portareil materiale fino all'attacco e di studiare da vicino il die-dro. Saliamo lentamente, ci arrestiamo in lunghe soste,facciamo inutili giri viziosi, come chi abbia da perdere iltempo per passare in qualche modo la giornata. Solo alle11 siamo all'attacco e io salgo le prime placche e fessure

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incantato, instradarlo sulle vie che lui avrebbe dovutopercorrere. Illustravo all'amico quelle ascensioni, perchénon cadessero in mani profane? Ma qui non era un donogeneroso come quello della Punta di Rocca; qui erapiuttosto rinuncia a favore dell'amico di ciò che non po-teva più essere mio. Mi parve che il mio compito fosseesaurito dal momento che avevo presentato all'amicotutte quelle pareti e tutti i problemi che attendevano so-luzioni: così abdicai a qualsiasi iniziativa, mi affidai alui, lo seguii fedelmente per consentire a lui di realizza-re l'impresa.Proposi di cominciare con la parete della Marmoladad'Ombretta, ma Pisoni affascinato dal sottile diedro delPiz Serauta decise di attaccare senz'altro quello all'indo-mani. Né io mossi alcuna obbiezione. Aveva ragione diiniziare senz'altro con l'impresa più bella, più ardua, piùimportante, senza ulteriori indugi. Anche a me quel die-dro stava a cuore più di ogni altra cosa, ma pensavo dilasciarlo per secondo, forse per un residuo di esitazionie di vigliaccheria, o perché non osavo prendere io stessol'iniziativa di attaccare quella linea architettonica cosìdiritta e così pura sì, ma anche così problematica. Iltempo intanto al mattino ci tiene a letto fin tardi; poi ciavviamo nel nebbione più fitto col proposito di portareil materiale fino all'attacco e di studiare da vicino il die-dro. Saliamo lentamente, ci arrestiamo in lunghe soste,facciamo inutili giri viziosi, come chi abbia da perdere iltempo per passare in qualche modo la giornata. Solo alle11 siamo all'attacco e io salgo le prime placche e fessure

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più per il piacere di ritrovarmi su quella meravigliosaroccia compatta, che mi dà tanta gioia per l'eleganza e ilperfetto stile dell'arrampicata, che non per il propositodi attaccare sul serio l'ascensione. Una placca verticaleci obbliga a legarci in cordata e poco dopo Pisoni riescea superare, dopo vari sforzi e tentativi, uno di queglistrapiombi a campana, tipici della Marmolada, che paio-no un nulla visti da sotto e che invece presentano le piùtremende difficoltà. Quando son passato anch'io, final-mente mi rendo conto che quello non è un passaggio chesi faccia per sport, solo per andare a vedere come sarà ildiedro poco sopra, ma è un passaggio che si vince soloquando si è decisi a lanciarsi con tutto l'impegnonell'ascensione.Ero così felice di ritrovarmi su quella roccia, mi sentivocosì sicuro e così a mio agio, che ebbi per un momentol'impulso, quando ci legammo, di andare avanti io. An-che Pisoni me l'offrì, forse sapendo quanto io tenevo aquell'ascensione, ma con un tono che lasciava chiara-mente capire quanto desiderava che io rifiutassi l'offertae quanto teneva ad esser lui capocordata. E ne avevaben diritto. Dopo un istante di esitazione, gli dissi di an-dare avanti lui non per una rinuncia generosa a favoredell'amico, ma piuttosto per un vago residuo di vigliac-cheria e soprattutto per la consapevolezza della sua su-periorità (non tanto tecnica, quanto nella capacità diosare), che offriva una maggior probabilità di successonell'impresa. Eppure, se avessi osato andare avanti io, seavessi osato riprendere la mia iniziativa e la mia autorità

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più per il piacere di ritrovarmi su quella meravigliosaroccia compatta, che mi dà tanta gioia per l'eleganza e ilperfetto stile dell'arrampicata, che non per il propositodi attaccare sul serio l'ascensione. Una placca verticaleci obbliga a legarci in cordata e poco dopo Pisoni riescea superare, dopo vari sforzi e tentativi, uno di queglistrapiombi a campana, tipici della Marmolada, che paio-no un nulla visti da sotto e che invece presentano le piùtremende difficoltà. Quando son passato anch'io, final-mente mi rendo conto che quello non è un passaggio chesi faccia per sport, solo per andare a vedere come sarà ildiedro poco sopra, ma è un passaggio che si vince soloquando si è decisi a lanciarsi con tutto l'impegnonell'ascensione.Ero così felice di ritrovarmi su quella roccia, mi sentivocosì sicuro e così a mio agio, che ebbi per un momentol'impulso, quando ci legammo, di andare avanti io. An-che Pisoni me l'offrì, forse sapendo quanto io tenevo aquell'ascensione, ma con un tono che lasciava chiara-mente capire quanto desiderava che io rifiutassi l'offertae quanto teneva ad esser lui capocordata. E ne avevaben diritto. Dopo un istante di esitazione, gli dissi di an-dare avanti lui non per una rinuncia generosa a favoredell'amico, ma piuttosto per un vago residuo di vigliac-cheria e soprattutto per la consapevolezza della sua su-periorità (non tanto tecnica, quanto nella capacità diosare), che offriva una maggior probabilità di successonell'impresa. Eppure, se avessi osato andare avanti io, seavessi osato riprendere la mia iniziativa e la mia autorità

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d'un tempo, non solo mi sarei sentito più a posto sullaroccia e l'ascensione stessa forse mi sarebbe parsa piùfacile, ma avrei potuto ritrovare tutto me stesso, avreipotuto riscattare anni di debolezza e di vigliaccheria,avrei potuto sentirmi forte e giovane come nel tempoeroico, avrei potuto conquistare la vittoria – forse l'ulti-ma grande vittoria – sulla mia montagna, avrei potutoriafferrare e rivendicare quell'impresa per tanto tempoagognata, e che ora mi lasciavo sfuggire non per donarlaall'amico, ma solo per un attimo di vigliaccheria. Pro-prio vigliaccheria? E non poteva essere invece il senti-mento delle Mésules? Il sentimento che mi fa rifuggiredalla violenza della conquista, per cercare nella monta-gna solo serenità e illuminazione dello spirito a contattocon la divina potenza della natura? In fondo, lasciandoandare avanti Pisoni, io potevo salire la mia parete, con-quistare la mia montagna senza eroismo, con puro amo-re. La mia montagna? Ma era poi ancora mia? – Parole,parole: talvolta a perdersi in un'analisi sottile della pro-pria sensibilità e del proprio modo di essere si cade nelnulla e si perde il contatto con ogni realtà. Seguivo Piso-ni passivamente, cordata per cordata; non chiedevo piùnulla né a me stesso né alla montagna, cui avevo rinun-ciato. Assicuravo, toglievo i chiodi, portavo il sacco, sa-livo meccanicamente, senza gioia; dell'ascensione stessanon m'importava più nulla. Tanto che quando un enormestrapiombo a metà diedro parve sbarrarci definitivamen-te il passo, ero quasi lieto dell'ostacolo che ci obbligavaal ritorno ancora in tempo per evitare il bivacco. E non

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d'un tempo, non solo mi sarei sentito più a posto sullaroccia e l'ascensione stessa forse mi sarebbe parsa piùfacile, ma avrei potuto ritrovare tutto me stesso, avreipotuto riscattare anni di debolezza e di vigliaccheria,avrei potuto sentirmi forte e giovane come nel tempoeroico, avrei potuto conquistare la vittoria – forse l'ulti-ma grande vittoria – sulla mia montagna, avrei potutoriafferrare e rivendicare quell'impresa per tanto tempoagognata, e che ora mi lasciavo sfuggire non per donarlaall'amico, ma solo per un attimo di vigliaccheria. Pro-prio vigliaccheria? E non poteva essere invece il senti-mento delle Mésules? Il sentimento che mi fa rifuggiredalla violenza della conquista, per cercare nella monta-gna solo serenità e illuminazione dello spirito a contattocon la divina potenza della natura? In fondo, lasciandoandare avanti Pisoni, io potevo salire la mia parete, con-quistare la mia montagna senza eroismo, con puro amo-re. La mia montagna? Ma era poi ancora mia? – Parole,parole: talvolta a perdersi in un'analisi sottile della pro-pria sensibilità e del proprio modo di essere si cade nelnulla e si perde il contatto con ogni realtà. Seguivo Piso-ni passivamente, cordata per cordata; non chiedevo piùnulla né a me stesso né alla montagna, cui avevo rinun-ciato. Assicuravo, toglievo i chiodi, portavo il sacco, sa-livo meccanicamente, senza gioia; dell'ascensione stessanon m'importava più nulla. Tanto che quando un enormestrapiombo a metà diedro parve sbarrarci definitivamen-te il passo, ero quasi lieto dell'ostacolo che ci obbligavaal ritorno ancora in tempo per evitare il bivacco. E non

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mi rallegrai affatto quando invece Pisoni trovò modo divincere anche questo formidabile ostacolo. Con questostato d'animo è ovvio che la fatica mi riuscisse penosa,che ogni difficoltà mi fosse grave e che seguissi Pisonipiù con rassegnata dedizione, che con gioia o soddisfa-zione. Mi sentivo incapace di superare senza l'aiuto del-la corda i passaggi più difficili: arrivai al termine deldiedro esausto, coi crampi alle mani per l'eccesso disforzo e pensavo che era stata eccessiva presunzione lamia di venire ad attaccare quell'ascensione, che dovevorassegnarmi e convincermi che le estreme difficoltà nonerano più per me. Forse avevo torto, come ebbi a con-statare più tardi quando superai con perfetta sicurezza,da capocordata, passaggi altrettanto impegnativi. Ma inquel momento non potevo vincere l'amarezza di sentir-mi tanto inferiore all'impresa cui mi ero accinto, tantoinferiore alla mia potenza di un tempo, che mi ero illusodi aver ritrovato quest'anno attraverso un mese e mezzodi metodico allenamento. Il bivacco fu senza gioia, nellanotte cupa, con l'incertezza del tempo che ogni tanto simetteva a piovigginare e che minacciava di impedirci dicompletare l'ascensione, ora che le maggiori difficoltàerano superate. L'indomani ripresi l'arrampicata quasicon rassegnazione e seguii ancora Pisoni senza interes-se, pur su quella cresta che in qualsiasi altro momentomi avrebbe dato la più viva gioia e la più grande soddi-sfazione. Non avevo mai creduto che proprioquell'ascensione, che doveva essere la pagina più lumi-nosa della mia annata alpinistica, mi avrebbero invece

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mi rallegrai affatto quando invece Pisoni trovò modo divincere anche questo formidabile ostacolo. Con questostato d'animo è ovvio che la fatica mi riuscisse penosa,che ogni difficoltà mi fosse grave e che seguissi Pisonipiù con rassegnata dedizione, che con gioia o soddisfa-zione. Mi sentivo incapace di superare senza l'aiuto del-la corda i passaggi più difficili: arrivai al termine deldiedro esausto, coi crampi alle mani per l'eccesso disforzo e pensavo che era stata eccessiva presunzione lamia di venire ad attaccare quell'ascensione, che dovevorassegnarmi e convincermi che le estreme difficoltà nonerano più per me. Forse avevo torto, come ebbi a con-statare più tardi quando superai con perfetta sicurezza,da capocordata, passaggi altrettanto impegnativi. Ma inquel momento non potevo vincere l'amarezza di sentir-mi tanto inferiore all'impresa cui mi ero accinto, tantoinferiore alla mia potenza di un tempo, che mi ero illusodi aver ritrovato quest'anno attraverso un mese e mezzodi metodico allenamento. Il bivacco fu senza gioia, nellanotte cupa, con l'incertezza del tempo che ogni tanto simetteva a piovigginare e che minacciava di impedirci dicompletare l'ascensione, ora che le maggiori difficoltàerano superate. L'indomani ripresi l'arrampicata quasicon rassegnazione e seguii ancora Pisoni senza interes-se, pur su quella cresta che in qualsiasi altro momentomi avrebbe dato la più viva gioia e la più grande soddi-sfazione. Non avevo mai creduto che proprioquell'ascensione, che doveva essere la pagina più lumi-nosa della mia annata alpinistica, mi avrebbero invece

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dato tanta amarezza. Neppure la ben legittima soddisfa-zione che illuminava entusiasticamente il volto raggian-te di Pisoni, mi poteva ripagare neppure in parte di tantaamarezza. La felicità di Battista sulla Punta di Rocca erastata molto anche per me, perché io gli avevo donatoquell'ascensione che avrebbe potuto esser bene mia; lafelicità di Pisoni sul Serauta invece era per me solo mo-tivo di umiliazione, quasi di vergogna per essermi senti-to fisicamente e soprattutto moralmente tanto inferiore alui e all'impresa che avevo realizzato solo col suo aiuto.Meglio sarebbe stato se avessi lasciato andare Pisonicon un altro compagno: avrei avuto la soddisfazione el'illusione di donargli quello che credevo potesse esseremio.Nè mi trovai certo meglio due giorni dopo sulla paretedella Marmolada d'Ombretta. Era anche questa unaascensione cui tenevo molto, per il fascino della paretemeravigliosa, proprio sopra al rifugio, e per l'eleganzadell'arrampicata sulle placche levigate, nei canali apertie arrotondati, nelle lunghe fessure dritte. C'ero già statoall'attacco per studiare l'itinerario, e anelavo al momentodi poter attaccare quell'ascensione. Invece ora andaiall'attacco con la rassegnazione di un condannato, soloper compiacere a Pisoni e non fargli perdere una dellesue pochissime giornate libere, ma sentendo soprattuttol'assurdità di affrontare una parete come quella in unagiornata grigia, che prometteva soltanto temporali. Cre-do che la scalata di questa parete sia tra le più belle egodibili di tutte le Dolomiti, per la qualità della roccia,

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dato tanta amarezza. Neppure la ben legittima soddisfa-zione che illuminava entusiasticamente il volto raggian-te di Pisoni, mi poteva ripagare neppure in parte di tantaamarezza. La felicità di Battista sulla Punta di Rocca erastata molto anche per me, perché io gli avevo donatoquell'ascensione che avrebbe potuto esser bene mia; lafelicità di Pisoni sul Serauta invece era per me solo mo-tivo di umiliazione, quasi di vergogna per essermi senti-to fisicamente e soprattutto moralmente tanto inferiore alui e all'impresa che avevo realizzato solo col suo aiuto.Meglio sarebbe stato se avessi lasciato andare Pisonicon un altro compagno: avrei avuto la soddisfazione el'illusione di donargli quello che credevo potesse esseremio.Nè mi trovai certo meglio due giorni dopo sulla paretedella Marmolada d'Ombretta. Era anche questa unaascensione cui tenevo molto, per il fascino della paretemeravigliosa, proprio sopra al rifugio, e per l'eleganzadell'arrampicata sulle placche levigate, nei canali apertie arrotondati, nelle lunghe fessure dritte. C'ero già statoall'attacco per studiare l'itinerario, e anelavo al momentodi poter attaccare quell'ascensione. Invece ora andaiall'attacco con la rassegnazione di un condannato, soloper compiacere a Pisoni e non fargli perdere una dellesue pochissime giornate libere, ma sentendo soprattuttol'assurdità di affrontare una parete come quella in unagiornata grigia, che prometteva soltanto temporali. Cre-do che la scalata di questa parete sia tra le più belle egodibili di tutte le Dolomiti, per la qualità della roccia,

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la varietà di passaggi, la grandiosità dell'ambiente. Ep-pure anche questa volta arrampicai senza alcuna gioia,meccanicamente, distrattamente: seguivo Pisoni badan-do solo a far meno fatica possibile: alla minima difficol-tà, proprio su quelle placche che sempre mi avevanotanto entusiasmato, mi attaccavo alla corda, senza nep-pur provare a superare il passaggio, per guadagnar tem-po, per evitare uno sforzo, per completo disinteresse.Non mi importava più nulla di quelle pareti, che puravevo tanto amato, ora che sentivo che non potevanopiù essere mie; quasi le odiavo, per avermi tradito, omeglio per avermi dato la prova della mia incapacità.Peccato! quanta felicità avrebbero invece potuto darmi,se avessi osato affrontarle da capocordata, o almeno conmaggior partecipazione e un ben diverso spirito.Lo seppi più tardi, troppo tardi, quando salii con Negrila parete della Punta Serauta. C'ero già stato all'attacco,in ricognizione, con Saverio, ma non avevo osato attac-carla. Negri, prostrato nelle forze da una forte colica, fudel tutto passivo: invece di tenermi la corda, mentre sa-livo, lo vedevo appoggiato alla roccia, con la testa tra lemani, affranto dalla debolezza, e ad ogni tappa mi chie-deva quanto mancava ad arrivare in cima e se poi diven-tava più facile, come uno che pensi soltanto alla vettacome alla fine delle sue pene. Mi sentii pertanto solo,tutto solo su quella parete, che avevo voluto affrontarecome l'ultimo grande problema della Marmolada. Que-sta volta sì che la montagna era mia, tutta mia, cantavasolo per me con le note squillanti e metalliche delle sue

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la varietà di passaggi, la grandiosità dell'ambiente. Ep-pure anche questa volta arrampicai senza alcuna gioia,meccanicamente, distrattamente: seguivo Pisoni badan-do solo a far meno fatica possibile: alla minima difficol-tà, proprio su quelle placche che sempre mi avevanotanto entusiasmato, mi attaccavo alla corda, senza nep-pur provare a superare il passaggio, per guadagnar tem-po, per evitare uno sforzo, per completo disinteresse.Non mi importava più nulla di quelle pareti, che puravevo tanto amato, ora che sentivo che non potevanopiù essere mie; quasi le odiavo, per avermi tradito, omeglio per avermi dato la prova della mia incapacità.Peccato! quanta felicità avrebbero invece potuto darmi,se avessi osato affrontarle da capocordata, o almeno conmaggior partecipazione e un ben diverso spirito.Lo seppi più tardi, troppo tardi, quando salii con Negrila parete della Punta Serauta. C'ero già stato all'attacco,in ricognizione, con Saverio, ma non avevo osato attac-carla. Negri, prostrato nelle forze da una forte colica, fudel tutto passivo: invece di tenermi la corda, mentre sa-livo, lo vedevo appoggiato alla roccia, con la testa tra lemani, affranto dalla debolezza, e ad ogni tappa mi chie-deva quanto mancava ad arrivare in cima e se poi diven-tava più facile, come uno che pensi soltanto alla vettacome alla fine delle sue pene. Mi sentii pertanto solo,tutto solo su quella parete, che avevo voluto affrontarecome l'ultimo grande problema della Marmolada. Que-sta volta sì che la montagna era mia, tutta mia, cantavasolo per me con le note squillanti e metalliche delle sue

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placche grigie, fulgenti nel sole e nell'azzurro di unalimpida giornata settembrina. Certo non c'erano passag-gi difficili come alcuni di quelli del Piz Serauta; certol'arrampicata era meno bella, meno lunga, forse menovaria e meno interessante (ma non meno difficile) dellaMarmolada d'Ombretta; ma che importa? era la mia pa-rete, la mia ascensione. Godevo immensamente passoper passo, fin dalla prima traversatina sulla placca lisciaall'attacco; godevo di sentirmi ancora una volta così si-curo su quella roccia compatta, godevo di salire in liberaarrampicata su quelle fessure verticali, per quei diedrilevigati, godevo delle difficoltà e della continuità delledifficoltà, che, superate senza la minima esitazione néstanchezza, mi davano la misura delle mie rinnovatepossibilità, godevo dell'eleganza di stile, agile e ritmicocome una danza, con cui sapevo salire, ora che la miatecnica poteva ancora una volta accoppiarsi a una bal-danzosa sicurezza in me stesso e a un ardente desideriodi ascesa.Sì, di ascesa, non di conquista. Mai un momento sentiil'impulso violento della conquista; mai un momento misentii vittorioso della montagna o della difficoltà. Gode-vo dell'arrampicata solo per la gioia di ritrovare tutte lemie forze fisiche e morali, per la gioia di sentirmi esse-re; salivo, non per vincere e dominare, ma solo per il de-siderio di ascendere, verso l'alto, verso la luce, verso lacresta che mi doveva schiudere un più ampio orizzonte,verso la vetta, da cui avrei potuto ancora una volta con-templare la mia Marmolada in tutta la sua maestà regale.

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placche grigie, fulgenti nel sole e nell'azzurro di unalimpida giornata settembrina. Certo non c'erano passag-gi difficili come alcuni di quelli del Piz Serauta; certol'arrampicata era meno bella, meno lunga, forse menovaria e meno interessante (ma non meno difficile) dellaMarmolada d'Ombretta; ma che importa? era la mia pa-rete, la mia ascensione. Godevo immensamente passoper passo, fin dalla prima traversatina sulla placca lisciaall'attacco; godevo di sentirmi ancora una volta così si-curo su quella roccia compatta, godevo di salire in liberaarrampicata su quelle fessure verticali, per quei diedrilevigati, godevo delle difficoltà e della continuità delledifficoltà, che, superate senza la minima esitazione néstanchezza, mi davano la misura delle mie rinnovatepossibilità, godevo dell'eleganza di stile, agile e ritmicocome una danza, con cui sapevo salire, ora che la miatecnica poteva ancora una volta accoppiarsi a una bal-danzosa sicurezza in me stesso e a un ardente desideriodi ascesa.Sì, di ascesa, non di conquista. Mai un momento sentiil'impulso violento della conquista; mai un momento misentii vittorioso della montagna o della difficoltà. Gode-vo dell'arrampicata solo per la gioia di ritrovare tutte lemie forze fisiche e morali, per la gioia di sentirmi esse-re; salivo, non per vincere e dominare, ma solo per il de-siderio di ascendere, verso l'alto, verso la luce, verso lacresta che mi doveva schiudere un più ampio orizzonte,verso la vetta, da cui avrei potuto ancora una volta con-templare la mia Marmolada in tutta la sua maestà regale.

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Ecco il vero significato dell'alpinismo: ascendere versola luce, verso l'amore! E mi chiedevo come mai da ca-pocordata arrampicavo con tanta eleganza e sicurezza,senza piantare un chiodo anche nei passaggi di notevoledifficoltà, mentre invece con Pisoni mi ero sentito tantoinetto anche su passaggi ben meno difficili di questo.Forse ciò dipende un po' dal fatto che come capocordatasalgo libero, con calma, studio il passaggio prima di at-taccarlo e lo supero come meglio mi piace o come credopiù opportuno, mentre come secondo salgo con l'assillodella corda che mi tira e quasi mi obbliga a correre, at-tacco il passaggio come mi capita e lo supero tante voltenon come vorrei io, ma come la corda mi costringe ocome l'esempio di Pisoni mi consiglia; così mi trovo tal-volta a metà passaggio in posizione infelice e non so piùcome proseguire e per non perder tempo o fatica mi ag-grappo alla corda disperatamente e mi tiro su di forza.Ma certamente non è tutto qui, che la corda è una troppomeschina giustificazione. La causa vera di tanta diffe-renza nel modo di arrampicare è tutta nel ben differentespirito che mi anima quando seguo passivamente unamico, in un'ascensione che per me non ha più interesse,o quando invece prendo io stesso l'iniziativa dell'ascen-sione e sento l'impresa veramente come cosa mia.Da ciò l'amarezza di aver sacrificato invano quelle dueascensioni che avrebbero potuto essere ben mie, l'ama-rezza di non avervi saputo partecipare, di non averle sa-puto vivere. Ma la Marmolada ancora una volta non do-veva lasciarmi con l'amarezza della rinuncia e con

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Ecco il vero significato dell'alpinismo: ascendere versola luce, verso l'amore! E mi chiedevo come mai da ca-pocordata arrampicavo con tanta eleganza e sicurezza,senza piantare un chiodo anche nei passaggi di notevoledifficoltà, mentre invece con Pisoni mi ero sentito tantoinetto anche su passaggi ben meno difficili di questo.Forse ciò dipende un po' dal fatto che come capocordatasalgo libero, con calma, studio il passaggio prima di at-taccarlo e lo supero come meglio mi piace o come credopiù opportuno, mentre come secondo salgo con l'assillodella corda che mi tira e quasi mi obbliga a correre, at-tacco il passaggio come mi capita e lo supero tante voltenon come vorrei io, ma come la corda mi costringe ocome l'esempio di Pisoni mi consiglia; così mi trovo tal-volta a metà passaggio in posizione infelice e non so piùcome proseguire e per non perder tempo o fatica mi ag-grappo alla corda disperatamente e mi tiro su di forza.Ma certamente non è tutto qui, che la corda è una troppomeschina giustificazione. La causa vera di tanta diffe-renza nel modo di arrampicare è tutta nel ben differentespirito che mi anima quando seguo passivamente unamico, in un'ascensione che per me non ha più interesse,o quando invece prendo io stesso l'iniziativa dell'ascen-sione e sento l'impresa veramente come cosa mia.Da ciò l'amarezza di aver sacrificato invano quelle dueascensioni che avrebbero potuto essere ben mie, l'ama-rezza di non avervi saputo partecipare, di non averle sa-puto vivere. Ma la Marmolada ancora una volta non do-veva lasciarmi con l'amarezza della rinuncia e con

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l'avvilimento dell'incapacità, ma ha voluto donarmi conla giornata della Punta Serauta ancora la soddisfazionedi ritrovarmi e di sentirmi essere, l'emozione di vivereintensamente e intimamente quell'ascensione così mia.Anche qui rimasi a lungo sulla vetta, avvolto nel morbi-do amplesso del sole. La bianca coltre della Marmoladasi stendeva davanti a me in tutta la sua ampiezza. Nellargo orizzonte, un mare di vette note ed amiche mi fa-cevano corona come un coro di Arcadi e si perdevanolontano nei vapori azzurrini del cielo. Ma io non mi sen-tivo l'eroe, centro di quest'immenso orizzonte, bensì,come sulle Mésules, solo un nulla che aveva saputo ele-varsi fino ad esser partecipe di questo mondo superiore,fino a comprendere la bellezza e i misteri, fino ad anda-re con puro atto di fede.

Partito Pisoni rimasi con Saverio. Come ho già detto ri-nunciai per il momento alla Punta Serauta e mi trasferiicon Saverio alla Croda dei Toni. Qui arrampicai non perragioni quasi professionali come in Brenta, non perl'interesse dell'impresa come in Marmolada, ma essen-zialmente per la gioia stessa dell'arrampicata. La rocciasolida e onesta, ricca di appigli, sì da consentire moltepossibilità, l'eleganza di quelle fessure, l'esposizione diquelle pareti verticali, tutto concorreva a dare una conti-nua gioia dall'attacco alla vetta. Forse mai ho realizzatouna così lunga serie di ascensioni tanto divertenti, certotra le più belle delle Dolomiti. La serie ininterrotta digiornate bellissime mi consentiva, anzi mi imponeva di

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l'avvilimento dell'incapacità, ma ha voluto donarmi conla giornata della Punta Serauta ancora la soddisfazionedi ritrovarmi e di sentirmi essere, l'emozione di vivereintensamente e intimamente quell'ascensione così mia.Anche qui rimasi a lungo sulla vetta, avvolto nel morbi-do amplesso del sole. La bianca coltre della Marmoladasi stendeva davanti a me in tutta la sua ampiezza. Nellargo orizzonte, un mare di vette note ed amiche mi fa-cevano corona come un coro di Arcadi e si perdevanolontano nei vapori azzurrini del cielo. Ma io non mi sen-tivo l'eroe, centro di quest'immenso orizzonte, bensì,come sulle Mésules, solo un nulla che aveva saputo ele-varsi fino ad esser partecipe di questo mondo superiore,fino a comprendere la bellezza e i misteri, fino ad anda-re con puro atto di fede.

Partito Pisoni rimasi con Saverio. Come ho già detto ri-nunciai per il momento alla Punta Serauta e mi trasferiicon Saverio alla Croda dei Toni. Qui arrampicai non perragioni quasi professionali come in Brenta, non perl'interesse dell'impresa come in Marmolada, ma essen-zialmente per la gioia stessa dell'arrampicata. La rocciasolida e onesta, ricca di appigli, sì da consentire moltepossibilità, l'eleganza di quelle fessure, l'esposizione diquelle pareti verticali, tutto concorreva a dare una conti-nua gioia dall'attacco alla vetta. Forse mai ho realizzatouna così lunga serie di ascensioni tanto divertenti, certotra le più belle delle Dolomiti. La serie ininterrotta digiornate bellissime mi consentiva, anzi mi imponeva di

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arrampicare tutti i giorni. Feci perfino due ascensioni algiorno. La roccia perfetta e ideale mi era divenuta cosìfamigliare, che l'arrampicata non era più un problema néuno sforzo, ma un modo di procedere abituale, comepuò divenire la bicicletta o l'automobile per chi se neserve giornalmente. Salivo ovunque con la massima na-turalezza, come se in vita mia non fossi mai stato altroche in roccia, e anche i tratti più difficili potevano solorallentare la mia andatura, ma non impegnarmi, poichémi sentivo sempre perfettamente a mio agio e sicuro.Salivo dritto, quasi trasognato, o meglio tutto presonell'ebbrezza dell'arrampicata, spesso senza neppurerendermi conto delle difficoltà: quando mi accorgevo diessere alto, pensavo di piantare un chiodo, ma se nonriuscivo o non trovavo il posto adatto, continuavo indif-ferente fino al termine della corda. Cosa dovevo farme-ne dei chiodi, quando mi sentivo tanto sicuro? Per Save-rio? Ma anche lui era ben sicuro e mi seguiva senzasforzo e senza esitazioni: e poi mi sentivo io tanto sicuroche mi pareva che la mia sicurezza dovesse bastare an-che per lui. Mi sentivo in quello stato di grazia che ra-senta i limiti dell'incoscienza come alla fine della cam-pagna nelle Pale nel 1934. Anche allora l'arrampicaremi era divenuto tanto naturale, che salivo senza accor-germi o almeno senza rendermi conto della difficoltà.Come un pianista dalla tecnica perfetta, che basta lascicorrere le dita sulla tastiera per compiere senza sforzoqualsiasi acrobazia, abbandonandosi completamente allapura gioia del suono. Anche il mio procedere così sciol-

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arrampicare tutti i giorni. Feci perfino due ascensioni algiorno. La roccia perfetta e ideale mi era divenuta cosìfamigliare, che l'arrampicata non era più un problema néuno sforzo, ma un modo di procedere abituale, comepuò divenire la bicicletta o l'automobile per chi se neserve giornalmente. Salivo ovunque con la massima na-turalezza, come se in vita mia non fossi mai stato altroche in roccia, e anche i tratti più difficili potevano solorallentare la mia andatura, ma non impegnarmi, poichémi sentivo sempre perfettamente a mio agio e sicuro.Salivo dritto, quasi trasognato, o meglio tutto presonell'ebbrezza dell'arrampicata, spesso senza neppurerendermi conto delle difficoltà: quando mi accorgevo diessere alto, pensavo di piantare un chiodo, ma se nonriuscivo o non trovavo il posto adatto, continuavo indif-ferente fino al termine della corda. Cosa dovevo farme-ne dei chiodi, quando mi sentivo tanto sicuro? Per Save-rio? Ma anche lui era ben sicuro e mi seguiva senzasforzo e senza esitazioni: e poi mi sentivo io tanto sicuroche mi pareva che la mia sicurezza dovesse bastare an-che per lui. Mi sentivo in quello stato di grazia che ra-senta i limiti dell'incoscienza come alla fine della cam-pagna nelle Pale nel 1934. Anche allora l'arrampicaremi era divenuto tanto naturale, che salivo senza accor-germi o almeno senza rendermi conto della difficoltà.Come un pianista dalla tecnica perfetta, che basta lascicorrere le dita sulla tastiera per compiere senza sforzoqualsiasi acrobazia, abbandonandosi completamente allapura gioia del suono. Anche il mio procedere così sciol-

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to, così leggero, così ritmico, era proprio come il correredelle dita sulla tastiera e la roccia mi rispondeva comeun istrumento musicale perfettamente accordato e into-nato col mio modo di essere.Che importa quali cime ho salito? Torri e fessure, cami-ni e pareti, li passavo tutti in serie, uno dopo l'altro, qua-si mi fossi fatto un compito di salire ogni cima, metodi-camente. Brevi o lunghe, facili o difficili, tutte le arram-picate erano ugualmente belle ed egualmente godute. Misorpresi anche a superare qualche passaggio di estremadifficoltà (dunque ne ero ancora capace?!), ma quasi conindifferenza; e non mi dava né più emozione né più sod-disfazione di un qualsiasi altro passaggio di media diffi-coltà. Qui non era più questione di montagna o di im-presa; era solo questione di arrampicare, quasi nel sensosportivo dell'arrampicata, e per la sola gioia dell'arram-picata.Come in una sonata di Mozart si dimentica la strutturaarmonica del pezzo, per abbandonarsi interamente allapura gioia del suono.

Ancora qualche nota sui compagni di cordata:Pisoni ha raggiunto una maturità tecnica e morale, chefa di lui ormai un alpinista completo. In arrampicata dàun senso di completa fiducia: specialmente in parete hauna padronanza e una sicurezza magnifiche: in fessura ocamino invece sale bene, ma fatica forse un po' più delnecessario, non sempre lo prende per il giusto verso e fi-nisce per trovare difficoltà un po' superiori al reale. Non

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to, così leggero, così ritmico, era proprio come il correredelle dita sulla tastiera e la roccia mi rispondeva comeun istrumento musicale perfettamente accordato e into-nato col mio modo di essere.Che importa quali cime ho salito? Torri e fessure, cami-ni e pareti, li passavo tutti in serie, uno dopo l'altro, qua-si mi fossi fatto un compito di salire ogni cima, metodi-camente. Brevi o lunghe, facili o difficili, tutte le arram-picate erano ugualmente belle ed egualmente godute. Misorpresi anche a superare qualche passaggio di estremadifficoltà (dunque ne ero ancora capace?!), ma quasi conindifferenza; e non mi dava né più emozione né più sod-disfazione di un qualsiasi altro passaggio di media diffi-coltà. Qui non era più questione di montagna o di im-presa; era solo questione di arrampicare, quasi nel sensosportivo dell'arrampicata, e per la sola gioia dell'arram-picata.Come in una sonata di Mozart si dimentica la strutturaarmonica del pezzo, per abbandonarsi interamente allapura gioia del suono.

Ancora qualche nota sui compagni di cordata:Pisoni ha raggiunto una maturità tecnica e morale, chefa di lui ormai un alpinista completo. In arrampicata dàun senso di completa fiducia: specialmente in parete hauna padronanza e una sicurezza magnifiche: in fessura ocamino invece sale bene, ma fatica forse un po' più delnecessario, non sempre lo prende per il giusto verso e fi-nisce per trovare difficoltà un po' superiori al reale. Non

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ha certo lo stile di un Gilberti, né quella versatilità chesolo potrebbe venirgli da una lunga pratica su diversitipi di roccia ma lo ritengo tuttavia uno degli arrampica-tori più a posto e più seri che ci siano oggi in Italia. Equesta maturità tecnica, la sicurezza in sé stesso, la con-sapevolezza della propria esperienza di capocordata glihanno dato ormai anche una notevole autorità. Ora nonè più il baldo arrampicatore, audace ma un po' inco-sciente e inesperto, ch'io lasciavo andare avanti, ma cheguidavo costantemente indirizzandolo in ogni singolopassaggio, non è più il lieto fanciullone che mi seguivaovunque con cieca indifferenza, chiedendo solo di ar-rampicare ovunque e comunque. Ora egli sa scegliersi lesue ascensioni, sa vedere l'itinerario, sale sicuro senzabisogno di alcun consiglio, risolve da sè il passaggiocome crede meglio: è insomma il vero capocordata. Einsieme all'autorità, si è sviluppata in lui anche una fortevolontà, tanto che più volte (come in Marmolada), misono spontaneamente piegato anch'io con piena dedizio-ne alla sua volontà. Ciò che in montagna mi era accadu-to solo con Vinatzer: e nella vita forse mai. Insommanon è più il compagno ottimo arrampicatore, ma è dive-nuto, anche tra noi due, il capocordata. E mi sembra cheattraverso questa sua raggiunta maturità anche il nostrorapporto di amicizia sia divenuto più profondo e piùconcreto.Guido Leonardi era un caro ragazzo, buono (ma non ge-neroso) e sinceramente appassionato. Mi piaceva perquella sua freschezza giovanile (19 anni) e anche per

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ha certo lo stile di un Gilberti, né quella versatilità chesolo potrebbe venirgli da una lunga pratica su diversitipi di roccia ma lo ritengo tuttavia uno degli arrampica-tori più a posto e più seri che ci siano oggi in Italia. Equesta maturità tecnica, la sicurezza in sé stesso, la con-sapevolezza della propria esperienza di capocordata glihanno dato ormai anche una notevole autorità. Ora nonè più il baldo arrampicatore, audace ma un po' inco-sciente e inesperto, ch'io lasciavo andare avanti, ma cheguidavo costantemente indirizzandolo in ogni singolopassaggio, non è più il lieto fanciullone che mi seguivaovunque con cieca indifferenza, chiedendo solo di ar-rampicare ovunque e comunque. Ora egli sa scegliersi lesue ascensioni, sa vedere l'itinerario, sale sicuro senzabisogno di alcun consiglio, risolve da sè il passaggiocome crede meglio: è insomma il vero capocordata. Einsieme all'autorità, si è sviluppata in lui anche una fortevolontà, tanto che più volte (come in Marmolada), misono spontaneamente piegato anch'io con piena dedizio-ne alla sua volontà. Ciò che in montagna mi era accadu-to solo con Vinatzer: e nella vita forse mai. Insommanon è più il compagno ottimo arrampicatore, ma è dive-nuto, anche tra noi due, il capocordata. E mi sembra cheattraverso questa sua raggiunta maturità anche il nostrorapporto di amicizia sia divenuto più profondo e piùconcreto.Guido Leonardi era un caro ragazzo, buono (ma non ge-neroso) e sinceramente appassionato. Mi piaceva perquella sua freschezza giovanile (19 anni) e anche per

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quel tanto di inesperienza. Mi seguiva ovunque, con cie-ca fiducia, come un fedele discepolo. Fin troppo talvol-ta, poiché l'affidarsi così completamente a me, andava ascapito della sua esperienza ancora embrionale. Ottimoginnasta, infatti, superava brillantemente un passaggiodifficile, ma si trovava impacciato sul facile, incerto indiscesa, completamente perso sulla neve e privo di sen-so d'orientamento. Arrampicatore quindi, ma non ancoraalpinista. Lo portavo perciò volentieri con me, perchéavesse modo di formare quell'esperienza che ancora glimancava. Disceso a Trento, dopo quasi un mese di ar-rampicate e ricognizioni in Brenta, si permise di farpubblicare sul giornale quotidiano le relazioni tecnichedi tutte le nuove salite effettuate con me, nonostante ilmio espresso e ripetuto dissenso. Era qualche cosa dipiù di un vano peccatuccio d'ambizione giovanile, poi-ché significava andar contro la mia espressa volontà, si-gnificava disporre arbitrariamente di ascensioni ch'eglinon si sarebbe mai sognato di fare e che aveva fattocome secondo di cordata, significava pubblicare senza ilmio consenso relazioni stese da me, che dovevano farparte di una guida ancora inedita. Leggerezza? Sia pure,ma troppo grave per poterci passar sopra. Tanto più chein questo caso avevo non solo il disgusto della detestatapubblicità, ma con la pubblicazione sui giornali di salitedel tutto prive di importanza, fatte solo per completarela guida, veniva ad essere lesa non solo la mia serietà dialpinista, ma anche la mia serietà professionale di com-pilatore. Non mancai di esprimergli il mio disappunto,

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quel tanto di inesperienza. Mi seguiva ovunque, con cie-ca fiducia, come un fedele discepolo. Fin troppo talvol-ta, poiché l'affidarsi così completamente a me, andava ascapito della sua esperienza ancora embrionale. Ottimoginnasta, infatti, superava brillantemente un passaggiodifficile, ma si trovava impacciato sul facile, incerto indiscesa, completamente perso sulla neve e privo di sen-so d'orientamento. Arrampicatore quindi, ma non ancoraalpinista. Lo portavo perciò volentieri con me, perchéavesse modo di formare quell'esperienza che ancora glimancava. Disceso a Trento, dopo quasi un mese di ar-rampicate e ricognizioni in Brenta, si permise di farpubblicare sul giornale quotidiano le relazioni tecnichedi tutte le nuove salite effettuate con me, nonostante ilmio espresso e ripetuto dissenso. Era qualche cosa dipiù di un vano peccatuccio d'ambizione giovanile, poi-ché significava andar contro la mia espressa volontà, si-gnificava disporre arbitrariamente di ascensioni ch'eglinon si sarebbe mai sognato di fare e che aveva fattocome secondo di cordata, significava pubblicare senza ilmio consenso relazioni stese da me, che dovevano farparte di una guida ancora inedita. Leggerezza? Sia pure,ma troppo grave per poterci passar sopra. Tanto più chein questo caso avevo non solo il disgusto della detestatapubblicità, ma con la pubblicazione sui giornali di salitedel tutto prive di importanza, fatte solo per completarela guida, veniva ad essere lesa non solo la mia serietà dialpinista, ma anche la mia serietà professionale di com-pilatore. Non mancai di esprimergli il mio disappunto,

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anzi il mio dolore, di essermi tanto ingannato sulla suaamicizia e sulla sua onestà. Mi rispose offeso, senzaaver capito nulla delle mie ragioni, e con l'evidente in-tenzione di rompere ogni rapporto. Tanto peggio per lui,e tanto meglio per me, che non correrò più il rischio cheuna cosa estremamente delicata come la serietà e il buonnome di alpinista sia messa in gioco dalla leggerezza edalla stupida ambizione di un ragazzo. Tuttavia sarei an-che stato disposto a dimenticare questo suo atto di scon-siderata leggerezza, se poco dopo egli non fosse andatoa ripetere una salita già fatta da altri alcuni giorni primae non si fosse permesso di pubblicare sui giornali rela-zione e tracciato della sua «nuova via», pur essendo per-fettamente al corrente della precedente salita. Una me-schina ambizione giovanile può essere comprensibile, e,fino a un certo punto, perdonabile; ma con un falsario inmala fede evidentemente non posso aver più nulla in co-mune. È stato per me un vero dolore non tanto di perde-re un amico e neppure di essermi tanto ingannato su dilui, quanto di vedere come un ottimo giovane, cheavrebbe potuto diventare anche un ottimo alpinista, sipossa perdere e rovinare per una meschinità. Chi potràpiù credergli o prenderlo sul serio, con una simile mac-chia proprio all'inizio della sua carriera alpinistica? Ladisonestà in alpinismo non solo genera orrore e disprez-zo come disonestà, ma ben più distrugge tutti quei valorietici che sono il fondamento stesso dell'alpinismo.A proposito, anche Pisoni ha fatto pubblicare sui giorna-li le salite in Marmolada; ma me lo aveva chiesto pre-

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anzi il mio dolore, di essermi tanto ingannato sulla suaamicizia e sulla sua onestà. Mi rispose offeso, senzaaver capito nulla delle mie ragioni, e con l'evidente in-tenzione di rompere ogni rapporto. Tanto peggio per lui,e tanto meglio per me, che non correrò più il rischio cheuna cosa estremamente delicata come la serietà e il buonnome di alpinista sia messa in gioco dalla leggerezza edalla stupida ambizione di un ragazzo. Tuttavia sarei an-che stato disposto a dimenticare questo suo atto di scon-siderata leggerezza, se poco dopo egli non fosse andatoa ripetere una salita già fatta da altri alcuni giorni primae non si fosse permesso di pubblicare sui giornali rela-zione e tracciato della sua «nuova via», pur essendo per-fettamente al corrente della precedente salita. Una me-schina ambizione giovanile può essere comprensibile, e,fino a un certo punto, perdonabile; ma con un falsario inmala fede evidentemente non posso aver più nulla in co-mune. È stato per me un vero dolore non tanto di perde-re un amico e neppure di essermi tanto ingannato su dilui, quanto di vedere come un ottimo giovane, cheavrebbe potuto diventare anche un ottimo alpinista, sipossa perdere e rovinare per una meschinità. Chi potràpiù credergli o prenderlo sul serio, con una simile mac-chia proprio all'inizio della sua carriera alpinistica? Ladisonestà in alpinismo non solo genera orrore e disprez-zo come disonestà, ma ben più distrugge tutti quei valorietici che sono il fondamento stesso dell'alpinismo.A proposito, anche Pisoni ha fatto pubblicare sui giorna-li le salite in Marmolada; ma me lo aveva chiesto pre-

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ventivamente ed io avevo consentito non solo perché sitrattava di salite importanti, non solo perché sapevoquanto lui ci tenesse, ma soprattutto perché riconoscevoche ne aveva pieno diritto, dato che quelle salite eranoben sue. Ciò non toglie che ora, con tutta la gente che sicongratula per aver letto il mio nome sul giornale, mene viene un dispetto che vorrei quasi poter ripudiarequelle salite: non posso più sentire come mio, comequalche cosa che mi appartiene, ciò che è divenuto didominio pubblico. È come se la mia donna fosse andataa prostituirsi sulla pubblica via. Beata la purezza di Bat-tista che, scendendo dalla Marmolada, si nascondevaper non esser costretto a raccontare ad alcuno cosa ave-va fatto. Quella sì è una salita che è rimasta tutta nostra,gelosamente nostra. E l'amo tuttora come la salita piùpura di tutta la mia carriera alpinistica (è in contraddi-zione con un articolo da lui scritto sulla Rivista mensiledel CAI del '37).Con Detassis mi trovai sempre bene, ma arrampicai conlui una volta sola e seguendo itinerari differenti. Fa penavedere con quanto sforzo, quantunque sia completamen-te fuori forma e senza allenamento, cerchi di mantenersia galla e all'altezza della sua fama. Verso i clienti saràforse necessario per ragioni professionali; ma versoamici e colleghi, ciò dà l'impressione di boria e nonmancano i maligni che, assai poco generosamente, lo pi-gliano in giro. Certo che è duro, specialmente per un fie-ro come lui, dover riconoscere il proprio declino.Con Vitale mi trovai benissimo; era ancora una volta il

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ventivamente ed io avevo consentito non solo perché sitrattava di salite importanti, non solo perché sapevoquanto lui ci tenesse, ma soprattutto perché riconoscevoche ne aveva pieno diritto, dato che quelle salite eranoben sue. Ciò non toglie che ora, con tutta la gente che sicongratula per aver letto il mio nome sul giornale, mene viene un dispetto che vorrei quasi poter ripudiarequelle salite: non posso più sentire come mio, comequalche cosa che mi appartiene, ciò che è divenuto didominio pubblico. È come se la mia donna fosse andataa prostituirsi sulla pubblica via. Beata la purezza di Bat-tista che, scendendo dalla Marmolada, si nascondevaper non esser costretto a raccontare ad alcuno cosa ave-va fatto. Quella sì è una salita che è rimasta tutta nostra,gelosamente nostra. E l'amo tuttora come la salita piùpura di tutta la mia carriera alpinistica (è in contraddi-zione con un articolo da lui scritto sulla Rivista mensiledel CAI del '37).Con Detassis mi trovai sempre bene, ma arrampicai conlui una volta sola e seguendo itinerari differenti. Fa penavedere con quanto sforzo, quantunque sia completamen-te fuori forma e senza allenamento, cerchi di mantenersia galla e all'altezza della sua fama. Verso i clienti saràforse necessario per ragioni professionali; ma versoamici e colleghi, ciò dà l'impressione di boria e nonmancano i maligni che, assai poco generosamente, lo pi-gliano in giro. Certo che è duro, specialmente per un fie-ro come lui, dover riconoscere il proprio declino.Con Vitale mi trovai benissimo; era ancora una volta il

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compagno ideale, che mi dava il più completo affida-mento. Non so però se fosse del tutto sincero o se fossecosì docile e cordiale perché aveva bisogno di me e spe-rava ch'io gli facessi fare qualche bella ascensione. In-vece dopo le pareti di Cima Brenta e il fallito tentativoalla Tosa, lo piantai per andare con Pisoni in Marmola-da.Mi piacque molto Mario Dalle Piane: semplice e mode-sto come compagno d'ascensione, amante della monta-gna, anzi della natura, per la natura, senza alcuna tracciad'esibizionismo. Ma in lui ho apprezzato soprattuttol'uomo di rara intelligenza, lo studioso di profonda cul-tura, la cui compagnia è un vero piacere. Infine Saveriomi è stato un ottimo compagno, come non avrei potutodesiderare il migliore. Ormai perfettamente sicuro inroccia, anche nei tratti più difficili, attento e intelligente,segue appassionatamente l'ascensione, anzi la vive. Nonsolo mi dà ormai pieno affidamento come secondo (epotrebbe forse anche passare avanti lui), ma l'affiata-mento di cordata ha creato fra di noi, assai più fortedell'anno scorso, quel rapporto di perfetta solidarietà,che va ben al di là del semplice rapporto affettivo per ilnipote o per il ragazzo. Ormai anche lui non è più un ra-gazzo, anzi va maturando rapidamente, facilitando cosìquel rapporto di eguaglianza e di solidale amicizia, indi-spensabile nella cordata. Con lui ho realizzatoquest'anno parecchie delle mie più belle e più difficiliascensioni; e se queste sono state così luminose e cosìprofondamente godute, lo devo in parte anche a lui, che

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compagno ideale, che mi dava il più completo affida-mento. Non so però se fosse del tutto sincero o se fossecosì docile e cordiale perché aveva bisogno di me e spe-rava ch'io gli facessi fare qualche bella ascensione. In-vece dopo le pareti di Cima Brenta e il fallito tentativoalla Tosa, lo piantai per andare con Pisoni in Marmola-da.Mi piacque molto Mario Dalle Piane: semplice e mode-sto come compagno d'ascensione, amante della monta-gna, anzi della natura, per la natura, senza alcuna tracciad'esibizionismo. Ma in lui ho apprezzato soprattuttol'uomo di rara intelligenza, lo studioso di profonda cul-tura, la cui compagnia è un vero piacere. Infine Saveriomi è stato un ottimo compagno, come non avrei potutodesiderare il migliore. Ormai perfettamente sicuro inroccia, anche nei tratti più difficili, attento e intelligente,segue appassionatamente l'ascensione, anzi la vive. Nonsolo mi dà ormai pieno affidamento come secondo (epotrebbe forse anche passare avanti lui), ma l'affiata-mento di cordata ha creato fra di noi, assai più fortedell'anno scorso, quel rapporto di perfetta solidarietà,che va ben al di là del semplice rapporto affettivo per ilnipote o per il ragazzo. Ormai anche lui non è più un ra-gazzo, anzi va maturando rapidamente, facilitando cosìquel rapporto di eguaglianza e di solidale amicizia, indi-spensabile nella cordata. Con lui ho realizzatoquest'anno parecchie delle mie più belle e più difficiliascensioni; e se queste sono state così luminose e cosìprofondamente godute, lo devo in parte anche a lui, che

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sentivo così vicino e così all'unisono da non creare lapiù piccola ombra in così vivida luce.

Non si parla che di sgombri, di partenze, di distruzioni edi rovine. È terribile pensare a tanta distruzione di benimateriali e morali. Pensare che da un momento all'altroanche la mia casa, i mobili, gli oggetti, gli indumenti, imiei libri, le mie musiche, le mie fotografie, le mie car-te, le mie note, tutto può andare distrutto; beni di altovalore intrinseco e beni che rappresentano lunghi anni dipaziente lavoro, beni in parte insostituibili. Non ho pau-ra per me, poiché penso che nulla mi possa accadere, maho paura per le mie cose e non so immaginare cosa fareise mi trovassi a un tratto privato di tutti i miei libri e lemie carte. Salvare? Che cosa? Non si può seppellire tut-to e in ogni caso non mi posso privare di ciò che ho bi-sogno di aver sempre sottomano per il mio lavoro. Biso-gnerebbe traslocare con tutta la casa e portarsi tutto consè; ma dove? Quello che può sembrar sicuro oggi, losarà ancora domani? Ora è la volta delle grandi città, poisarà la volta delle minori; ma se la guerra divampa an-che in Italia, più nulla vi può essere di sicuro.Si vive in una specie di incubo, con ogni attività incep-pata e subordinata agli allarmi quotidiani. Si attendel'ora dell'incursione, aspettandosi ormai certa e prossima– dopo Genova e Torino – anche la volta di Milano. Unmilione di persone vivono così sospese, con l'incubo diessere alla mercé – indifesi e impotenti – del cenno diun uomo che in qualsiasi momento può decidere e dar

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sentivo così vicino e così all'unisono da non creare lapiù piccola ombra in così vivida luce.

Non si parla che di sgombri, di partenze, di distruzioni edi rovine. È terribile pensare a tanta distruzione di benimateriali e morali. Pensare che da un momento all'altroanche la mia casa, i mobili, gli oggetti, gli indumenti, imiei libri, le mie musiche, le mie fotografie, le mie car-te, le mie note, tutto può andare distrutto; beni di altovalore intrinseco e beni che rappresentano lunghi anni dipaziente lavoro, beni in parte insostituibili. Non ho pau-ra per me, poiché penso che nulla mi possa accadere, maho paura per le mie cose e non so immaginare cosa fareise mi trovassi a un tratto privato di tutti i miei libri e lemie carte. Salvare? Che cosa? Non si può seppellire tut-to e in ogni caso non mi posso privare di ciò che ho bi-sogno di aver sempre sottomano per il mio lavoro. Biso-gnerebbe traslocare con tutta la casa e portarsi tutto consè; ma dove? Quello che può sembrar sicuro oggi, losarà ancora domani? Ora è la volta delle grandi città, poisarà la volta delle minori; ma se la guerra divampa an-che in Italia, più nulla vi può essere di sicuro.Si vive in una specie di incubo, con ogni attività incep-pata e subordinata agli allarmi quotidiani. Si attendel'ora dell'incursione, aspettandosi ormai certa e prossima– dopo Genova e Torino – anche la volta di Milano. Unmilione di persone vivono così sospese, con l'incubo diessere alla mercé – indifesi e impotenti – del cenno diun uomo che in qualsiasi momento può decidere e dar

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l'ordine di distruggere Milano. Furia orribile di devasta-zione; prevista, attesa, ma non per questo meno terribile.Del resto è giusto che ci si ripaghi della nostra stessamoneta; e la nostra abbiezione morale è tale che non sa-remo mai abbastanza ripagati. Se siamo stati tanto vili eimbelli da non saperci ribellare a chi ci ha trascinatotanto in basso, non possiamo ora sottrarci alla responsa-bilità e alla pena che ci tocca. Del resto siamo appenaagli inizi e non sappiamo ancora a qual punto dovremoarrivare. Ma è bene che si sia iniziato, poiché dall'inizioè lecito intravvedere una fine. E si ha fretta di vuotarefino in fondo questo calice di dolore e di terrore, peramaro ch'esso possa essere, per vedere anche la fine del-la nostra espiazione e poter rinascere. Rinascere anchenudi sulle nostre rovine, ma rinascere liberi. E potersentirsi uomini.

Un senso di benessere, quasi di felicità. Basta una setti-mana di cattivo tempo e di tregua dalle incursioni aereeper dimenticare ogni preoccupazione e vivere della gior-nata senza pensare al domani. Certi momenti ho rimorsodi questa mia calma, come se fosse una specie di inco-scienza. Ma quando nulla si può fare per prevenire o at-tenuare il domani che sarà terribile, perché angustiarsi esoffrire anzitempo? Se fosse possibile conservare in sca-tola anche la felicità, oh come mi priverei volentierioggi per farne scorta per il lungo periodo di tenebre checi attende, ma poiché tutto è vano, meglio godere la vitae quanto essa ci offre finché ne abbiamo la possibilità e

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l'ordine di distruggere Milano. Furia orribile di devasta-zione; prevista, attesa, ma non per questo meno terribile.Del resto è giusto che ci si ripaghi della nostra stessamoneta; e la nostra abbiezione morale è tale che non sa-remo mai abbastanza ripagati. Se siamo stati tanto vili eimbelli da non saperci ribellare a chi ci ha trascinatotanto in basso, non possiamo ora sottrarci alla responsa-bilità e alla pena che ci tocca. Del resto siamo appenaagli inizi e non sappiamo ancora a qual punto dovremoarrivare. Ma è bene che si sia iniziato, poiché dall'inizioè lecito intravvedere una fine. E si ha fretta di vuotarefino in fondo questo calice di dolore e di terrore, peramaro ch'esso possa essere, per vedere anche la fine del-la nostra espiazione e poter rinascere. Rinascere anchenudi sulle nostre rovine, ma rinascere liberi. E potersentirsi uomini.

Un senso di benessere, quasi di felicità. Basta una setti-mana di cattivo tempo e di tregua dalle incursioni aereeper dimenticare ogni preoccupazione e vivere della gior-nata senza pensare al domani. Certi momenti ho rimorsodi questa mia calma, come se fosse una specie di inco-scienza. Ma quando nulla si può fare per prevenire o at-tenuare il domani che sarà terribile, perché angustiarsi esoffrire anzitempo? Se fosse possibile conservare in sca-tola anche la felicità, oh come mi priverei volentierioggi per farne scorta per il lungo periodo di tenebre checi attende, ma poiché tutto è vano, meglio godere la vitae quanto essa ci offre finché ne abbiamo la possibilità e

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far scorta di energie morali. Meglio non pensare a nulla,godere la felicità di queste serate al pianoforte e di que-ste giornate di lavoro, godere di questa calma che flui-sce così dolce, cercando di prolungarla il più possibile,evitando ogni scossa e ogni strappo che potrebbe farlasvanire come un sogno. E anche questo sarà incoscien-za, il vivere passivamente, indifferenti nella calma atten-dendo che l'improvvisa tragedia tutto sconvolga. Ma chesi potrebbe fare? Iniziare fin da oggi la tragedia per es-servi già preparati (o già fiaccati), quando essa verrà?Mi lascio cullare dalla dolce monotonia di una vita sen-za tempo, come se fossi in una gondola senza remi ab-bandonata nel mezzo della laguna: e sogno e canto fin-ché verrà la tempesta a tutto infrangere e sommergere:allora lotterò per non perire; ma oggi che potrei fare?

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far scorta di energie morali. Meglio non pensare a nulla,godere la felicità di queste serate al pianoforte e di que-ste giornate di lavoro, godere di questa calma che flui-sce così dolce, cercando di prolungarla il più possibile,evitando ogni scossa e ogni strappo che potrebbe farlasvanire come un sogno. E anche questo sarà incoscien-za, il vivere passivamente, indifferenti nella calma atten-dendo che l'improvvisa tragedia tutto sconvolga. Ma chesi potrebbe fare? Iniziare fin da oggi la tragedia per es-servi già preparati (o già fiaccati), quando essa verrà?Mi lascio cullare dalla dolce monotonia di una vita sen-za tempo, come se fossi in una gondola senza remi ab-bandonata nel mezzo della laguna: e sogno e canto fin-ché verrà la tempesta a tutto infrangere e sommergere:allora lotterò per non perire; ma oggi che potrei fare?

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1943

7 gennaio. Sono partito la vigilia di Natale per passaresui monti come al solito il periodo delle feste. Ma sonopartito senza alcun entusiasmo, senza una meta precisa,più per obbedire a una consuetudine che per un deside-rio di evasione. Le grigie giornate velate rispondevanoal grigiore del mio animo. Andai sul Brenta per fare al-cune fotografie che mi occorrevano, e naturalmente nonpotei farle con quella luce scialba e grigia. Così sacrifi-cai anche la possibilità di qualche bella sciata a uno sco-po che non potei raggiungere che in parte.Solo negli ultimi giorni con Saverio, qualche bella gior-nata di sole mi permise di far le desiderate fotografie,mi permise di godere qualche veloce scivolata e soprat-tutto mi offrì ancora una volta l'incanto delle luci inver-nali terse e trasparenti, dei raggi di sole che scherzanotra i tronchi della pineta, delle morbide sinfonie di colorinei tramonti sul Brenta. Anzi, mi indugiavo in alto sinoa tardi, per godere dell'intera giornata e per godere deitramonti dai punti più belli: poi gli sci correvano velocie mi portavano in valle mentre già scendevano le ombredel crepuscolo: talvolta scesi perfino col buio, godendodi una specie di virtuosismo nel ritrovare esattamente lavia anche nella notte stellata attraverso i boschi senzapiste e senza traccia. Campiglio era infatti quasi deserta;non una pista nei dintorni salvo quelle che avevo trac-

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7 gennaio. Sono partito la vigilia di Natale per passaresui monti come al solito il periodo delle feste. Ma sonopartito senza alcun entusiasmo, senza una meta precisa,più per obbedire a una consuetudine che per un deside-rio di evasione. Le grigie giornate velate rispondevanoal grigiore del mio animo. Andai sul Brenta per fare al-cune fotografie che mi occorrevano, e naturalmente nonpotei farle con quella luce scialba e grigia. Così sacrifi-cai anche la possibilità di qualche bella sciata a uno sco-po che non potei raggiungere che in parte.Solo negli ultimi giorni con Saverio, qualche bella gior-nata di sole mi permise di far le desiderate fotografie,mi permise di godere qualche veloce scivolata e soprat-tutto mi offrì ancora una volta l'incanto delle luci inver-nali terse e trasparenti, dei raggi di sole che scherzanotra i tronchi della pineta, delle morbide sinfonie di colorinei tramonti sul Brenta. Anzi, mi indugiavo in alto sinoa tardi, per godere dell'intera giornata e per godere deitramonti dai punti più belli: poi gli sci correvano velocie mi portavano in valle mentre già scendevano le ombredel crepuscolo: talvolta scesi perfino col buio, godendodi una specie di virtuosismo nel ritrovare esattamente lavia anche nella notte stellata attraverso i boschi senzapiste e senza traccia. Campiglio era infatti quasi deserta;non una pista nei dintorni salvo quelle che avevo trac-

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ciato io stesso.Saverio mi seguiva con passione e comprensione, chésentiva per la montagna quel bisogno di evasione, di li-bertà e di verità. "Non puoi credere come io sospiri ditornare tra i monti", mi scriveva da Tregnago.

Milano. L'altra sera abbiamo avuto anche qui un'incur-sione aerea in grande stile. Ero abbastanza curioso di os-servare me stesso – dall'esterno – in questa esperienzaper me nuova. Gli allarmi mi avevano sempre dato unacerta agitazione nervosa, specialmente nei minuti di at-tesa subito dopo le sirene. Durante il bombardamentoinvece ritrovai in me quella calma e quella perfetta luci-dità che mi son sempre ritrovato nell'immediatezza diqualsiasi pericolo. Non era incoscienza e neppur fiducianel ricovero (che davvero ne ispira ben poca!) ma luci-dità, fermezza e soprattutto fiducia nella propria sorte.Distruzioni e incendi mi lasciavano quasi indifferente,come cose già pienamente previste e scontate. Solo ve-dendo bruciare il palazzo Silvestri in Corso Venezia pro-vai una stretta al cuore e una profonda amarezza per laperdita di un gioiello artistico, che nessuno potrà maisostituire. Del resto il mio stesso senso di indifferenza,credo l'avessero tutti i milanesi: feci un giro per la cittàla notte stessa, vidi abitazioni distrutte e caseggiati infiamme. La gente cercava di salvare e sgomberare quan-to poteva, ma senza un grido, senza una imprecazione,quasi senza una parola. Ciascuno lavorava con calma econ ordine, come si fosse trattato di un lavoro del tutto

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ciato io stesso.Saverio mi seguiva con passione e comprensione, chésentiva per la montagna quel bisogno di evasione, di li-bertà e di verità. "Non puoi credere come io sospiri ditornare tra i monti", mi scriveva da Tregnago.

Milano. L'altra sera abbiamo avuto anche qui un'incur-sione aerea in grande stile. Ero abbastanza curioso di os-servare me stesso – dall'esterno – in questa esperienzaper me nuova. Gli allarmi mi avevano sempre dato unacerta agitazione nervosa, specialmente nei minuti di at-tesa subito dopo le sirene. Durante il bombardamentoinvece ritrovai in me quella calma e quella perfetta luci-dità che mi son sempre ritrovato nell'immediatezza diqualsiasi pericolo. Non era incoscienza e neppur fiducianel ricovero (che davvero ne ispira ben poca!) ma luci-dità, fermezza e soprattutto fiducia nella propria sorte.Distruzioni e incendi mi lasciavano quasi indifferente,come cose già pienamente previste e scontate. Solo ve-dendo bruciare il palazzo Silvestri in Corso Venezia pro-vai una stretta al cuore e una profonda amarezza per laperdita di un gioiello artistico, che nessuno potrà maisostituire. Del resto il mio stesso senso di indifferenza,credo l'avessero tutti i milanesi: feci un giro per la cittàla notte stessa, vidi abitazioni distrutte e caseggiati infiamme. La gente cercava di salvare e sgomberare quan-to poteva, ma senza un grido, senza una imprecazione,quasi senza una parola. Ciascuno lavorava con calma econ ordine, come si fosse trattato di un lavoro del tutto

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ordinario. Fermezza di carattere della popolazione o ras-segnazione fino all'indifferenza e all'abbrutimento? Ibeni materiali e morali hanno dunque perso ogni valorenella vita degli uomini, come se questi non fossero altroche schiavi o bestie da soma o da macello? E saremoancora capaci di redenzione, quando verrà – ormai trabreve – l'ora della riscossa? O solo gli istinti bestialiavranno libero sfogo e invece di redimerci precipitere-mo ancora più in basso?

La campagna è troppo bella, perché io potessi seppellir-mi ancora a Milano. Tanto più che ho terminato la guidadel Brenta e ogni altro lavoro del genere, e volevo dedi-care finalmente un po' di tempo al libro della Marmola-da. E per scrivere quel libro avevo bisogno di respirare apieni polmoni, avevo bisogno di essere a contatto con lanatura, affinché il mio racconto potesse riuscire vivo eattuale e non soltanto un ricordo sfuocato di avvenimen-ti lontani. E infatti le poche pagine che ho scritto mieran riuscite così vive e così ricche, che mi davano gioianello scriverle e anche nel rileggerle, tanto mi ci ritrova-vo interamente.Mi sentivo ricco e felice, nell'atmosfera più adatta perscrivere finalmente qualcosa di veramente mio, per la-sciar sfogare tutta la mia esuberante passione, senza do-verla comprimere, come di solito, nell'aridità schematicadi una guida. Pensavo già con gioia a questo periodo diTregnago, in cui avrei potuto passare l'intera giornatasul prato, tra gli alberi, nei miei angolini tranquilli: e

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ordinario. Fermezza di carattere della popolazione o ras-segnazione fino all'indifferenza e all'abbrutimento? Ibeni materiali e morali hanno dunque perso ogni valorenella vita degli uomini, come se questi non fossero altroche schiavi o bestie da soma o da macello? E saremoancora capaci di redenzione, quando verrà – ormai trabreve – l'ora della riscossa? O solo gli istinti bestialiavranno libero sfogo e invece di redimerci precipitere-mo ancora più in basso?

La campagna è troppo bella, perché io potessi seppellir-mi ancora a Milano. Tanto più che ho terminato la guidadel Brenta e ogni altro lavoro del genere, e volevo dedi-care finalmente un po' di tempo al libro della Marmola-da. E per scrivere quel libro avevo bisogno di respirare apieni polmoni, avevo bisogno di essere a contatto con lanatura, affinché il mio racconto potesse riuscire vivo eattuale e non soltanto un ricordo sfuocato di avvenimen-ti lontani. E infatti le poche pagine che ho scritto mieran riuscite così vive e così ricche, che mi davano gioianello scriverle e anche nel rileggerle, tanto mi ci ritrova-vo interamente.Mi sentivo ricco e felice, nell'atmosfera più adatta perscrivere finalmente qualcosa di veramente mio, per la-sciar sfogare tutta la mia esuberante passione, senza do-verla comprimere, come di solito, nell'aridità schematicadi una guida. Pensavo già con gioia a questo periodo diTregnago, in cui avrei potuto passare l'intera giornatasul prato, tra gli alberi, nei miei angolini tranquilli: e

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scrivere, e sognare, senza saper più nulla del mondo.

Ma è stato anche questo soltanto un sogno! Appenaqualche ora prima di partire, ricevetti l'ordine di richia-mo alle armi. Tutti i sogni, tutti i progetti, tutte le spe-ranze si sono infrante di colpo di fronte a questa realtà.Me lo aspettavo da un momento all'altro negli anni scor-si, ma ormai non ci pensavo più e già speravo di poternerestar fuori. Era ormai una di quelle possibilità teorichea cui però in pratica non si crede più.Eppure accettai il fatto compiuto con quella calma equella serenità, che mi son sempre ritrovato nelle circo-stanze a cui non c'è rimedio. Avevo sempre pensato conterrore all'idea di rinnovare l'esperienza deprimente edeleteria di Moncalieri. Non mi fa paura la guerra, a cuidel resto non penso neppure, ma la vita militare per sestessa, la vita del reggimento, con tutte le sue idiozie,con l'annullamento forzato della personalità individuale,dell'iniziativa, quasi della facoltà di ragionare e di pen-sare. Abituato, anzi viziato, alla più illimitata libertà eindipendenza di me stesso, come potrò ritornare in ungregge di pecore e lasciarmi guidare passivamente dauno stupido pastore, il quale è a sua volta guidato da al-tri come una marionetta? Ho brigato per farmi assegnareo alla Scuola d'Aosta come Istruttore, o all'IspettoratoTruppe Alpine, come competente in materia alpina e al-pinistica: non per imboscarmi, che non ci penso neppu-re, ma per non esser condannato alla vita di reggimento,per poter essere ancora qualcosa, per mettere a profitto

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scrivere, e sognare, senza saper più nulla del mondo.

Ma è stato anche questo soltanto un sogno! Appenaqualche ora prima di partire, ricevetti l'ordine di richia-mo alle armi. Tutti i sogni, tutti i progetti, tutte le spe-ranze si sono infrante di colpo di fronte a questa realtà.Me lo aspettavo da un momento all'altro negli anni scor-si, ma ormai non ci pensavo più e già speravo di poternerestar fuori. Era ormai una di quelle possibilità teorichea cui però in pratica non si crede più.Eppure accettai il fatto compiuto con quella calma equella serenità, che mi son sempre ritrovato nelle circo-stanze a cui non c'è rimedio. Avevo sempre pensato conterrore all'idea di rinnovare l'esperienza deprimente edeleteria di Moncalieri. Non mi fa paura la guerra, a cuidel resto non penso neppure, ma la vita militare per sestessa, la vita del reggimento, con tutte le sue idiozie,con l'annullamento forzato della personalità individuale,dell'iniziativa, quasi della facoltà di ragionare e di pen-sare. Abituato, anzi viziato, alla più illimitata libertà eindipendenza di me stesso, come potrò ritornare in ungregge di pecore e lasciarmi guidare passivamente dauno stupido pastore, il quale è a sua volta guidato da al-tri come una marionetta? Ho brigato per farmi assegnareo alla Scuola d'Aosta come Istruttore, o all'IspettoratoTruppe Alpine, come competente in materia alpina e al-pinistica: non per imboscarmi, che non ci penso neppu-re, ma per non esser condannato alla vita di reggimento,per poter essere ancora qualcosa, per mettere a profitto

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di organismi o di comandi la mia competenza e le mieattitudini meglio che facendo il comandante di plotone.Ma ho brigato senza convinzione, ben sapendo comevanno le cose militari. L'ho fatto più per non avere poi apentirmi di non averlo fatto, che per la speranza di otte-nere qualche cosa.Del resto ho una così piena fiducia nel mio destino,sono così convinto che tutto accada perché deve essere eperché è bene che sia così, che mi guardo bene dal farequalche cosa per oppormivi.

Appena avuto il richiamo, sono partito, per godere degliultimi giorni, di libertà. Son passato qualche ora da Tre-gnago: nella calma sera di luna, la campagna era cosìdolce, e così piena di poesia, che mi fece sentire ancorpiù la nostalgia di quel periodo che mi ripromettevo dipassare là lavorando al mio libro.A Trento terminai in fretta le ricerche in biblioteca e poiscappai in Brenta per terminare quel poco che mi era ri-masto indietro l'anno scorso. In due giornate intensive(13 e 14 ore di marcia) vidi quanto mi premeva. Ero for-se troppo occupato e preoccupato di vedere e controllaretutto, di non dimenticare nulla, di non tardare sugli oraridi marcia strettissimi prestabiliti, per potermi abbando-nare a un pieno godimento di queste ultime due giornatedi saluto alle mie montagne. Eppure quando vagavo traquei monti quasi ignoti, identificandoli, studiandoli daogni lato e in ogni particolare, battezzando le cime inno-minate; quando mi arrampicavo già così agile e sicuro

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di organismi o di comandi la mia competenza e le mieattitudini meglio che facendo il comandante di plotone.Ma ho brigato senza convinzione, ben sapendo comevanno le cose militari. L'ho fatto più per non avere poi apentirmi di non averlo fatto, che per la speranza di otte-nere qualche cosa.Del resto ho una così piena fiducia nel mio destino,sono così convinto che tutto accada perché deve essere eperché è bene che sia così, che mi guardo bene dal farequalche cosa per oppormivi.

Appena avuto il richiamo, sono partito, per godere degliultimi giorni, di libertà. Son passato qualche ora da Tre-gnago: nella calma sera di luna, la campagna era cosìdolce, e così piena di poesia, che mi fece sentire ancorpiù la nostalgia di quel periodo che mi ripromettevo dipassare là lavorando al mio libro.A Trento terminai in fretta le ricerche in biblioteca e poiscappai in Brenta per terminare quel poco che mi era ri-masto indietro l'anno scorso. In due giornate intensive(13 e 14 ore di marcia) vidi quanto mi premeva. Ero for-se troppo occupato e preoccupato di vedere e controllaretutto, di non dimenticare nulla, di non tardare sugli oraridi marcia strettissimi prestabiliti, per potermi abbando-nare a un pieno godimento di queste ultime due giornatedi saluto alle mie montagne. Eppure quando vagavo traquei monti quasi ignoti, identificandoli, studiandoli daogni lato e in ogni particolare, battezzando le cime inno-minate; quando mi arrampicavo già così agile e sicuro

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(quantunque privo di allenamento) su e giù per quellecreste rocciose, non difficili ma affilate ed esposte, tra-versando una cima dopo l'altra; quando alla sera mi se-detti sul prato accanto alla malga per scriver le mie notenell'ultima luce del crepuscolo; quando finalmente miinfilai nel sacco di bivacco e mi gettai sul misero giaci-glio abbandonato; quando l'alba disegnava sui vaporidell'orizzonte forme e profili meravigliosi di catene fan-tastiche; in ogni momento del mio solitario vagabondarein cui potevo pensare e accorgermi di me stesso, mi sen-tivo tanto felice. Di una felicità ingenua e avventurosacome se avessi ritrovato tutta la baldanza dei miei annigiovanili, come se mi trovassi ancora una volta alla so-glia di una stagione di grandi scalate e di grandi vitto-rie... E invece? Tutto questo serviva soltanto a renderepiù grande l'altezza da cui forse domani stesso mi senti-rò precipitare? Forse se partissi immediatamente per ilfronte sarebbe meglio. La guerra sarebbe solo un'espe-rienza nuova e avventurosa, che non mi fa alcuna paurae che in questo momento saprei affrontare con lo stessospirito e la stessa fede di un'ascensione in montagna.L'accetterei completamente come avventura, dimenti-cando ogni considerazione politica, e sarei certo di sal-varmi moralmente assai più che affogando in un servi-zio di caserma.

5 giugno. Per ora tutto si riduce a una gran buffonata,ma non oso ancora farmi troppe illusioni. Sono l'ultimoarrivato di un numeroso gruppo di ufficiali richiamati,

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(quantunque privo di allenamento) su e giù per quellecreste rocciose, non difficili ma affilate ed esposte, tra-versando una cima dopo l'altra; quando alla sera mi se-detti sul prato accanto alla malga per scriver le mie notenell'ultima luce del crepuscolo; quando finalmente miinfilai nel sacco di bivacco e mi gettai sul misero giaci-glio abbandonato; quando l'alba disegnava sui vaporidell'orizzonte forme e profili meravigliosi di catene fan-tastiche; in ogni momento del mio solitario vagabondarein cui potevo pensare e accorgermi di me stesso, mi sen-tivo tanto felice. Di una felicità ingenua e avventurosacome se avessi ritrovato tutta la baldanza dei miei annigiovanili, come se mi trovassi ancora una volta alla so-glia di una stagione di grandi scalate e di grandi vitto-rie... E invece? Tutto questo serviva soltanto a renderepiù grande l'altezza da cui forse domani stesso mi senti-rò precipitare? Forse se partissi immediatamente per ilfronte sarebbe meglio. La guerra sarebbe solo un'espe-rienza nuova e avventurosa, che non mi fa alcuna paurae che in questo momento saprei affrontare con lo stessospirito e la stessa fede di un'ascensione in montagna.L'accetterei completamente come avventura, dimenti-cando ogni considerazione politica, e sarei certo di sal-varmi moralmente assai più che affogando in un servi-zio di caserma.

5 giugno. Per ora tutto si riduce a una gran buffonata,ma non oso ancora farmi troppe illusioni. Sono l'ultimoarrivato di un numeroso gruppo di ufficiali richiamati,

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che già da un mese si presentano ogni mattina in caser-ma, per essere rinviati a casa dopo mezz'ora. Sono statosubito inviato all'ospedale militare per le solite visite eda una settimana tiro in lungo così da un giorno all'altro,limitandomi a una passeggiata mattutina fino a Baggio.Oggi non mi sono neppur messo in divisa. Continuocosì la mia solita vita di lavoro e talvolta neppur mi ri-cordo di esser teoricamente in servizio. Chissà che cosìil passaggio alla vita militare non mi riesca meno duro,ingrandendomi dentro a poco a poco invece di precipi-tarvi d'un colpo come è stato a Moncalieri.

13 giugno. Sono stato assegnato alla Scuola d'Aosta, orache ci avevo perso ormai ogni speranza. Alla mia do-manda e alle varie raccomandazioni era stato rispostonegativamente, in base a una tassativa disposizione cheimponeva di assegnare a quei posti solo ufficiali cheavessero preso parte a campagne al fronte. Viceversa perintervento di Manaresi ho ottenuto quella destinazione.Non mi faccio soverchie illusioni sull'alpinismo milita-re, ma l'importante era soprattutto di evitare l'assegna-zione a un reparto ove sarei stato costretto alla vita direggimento. Ho avuto un'accoglienza così cordiale e unatale considerazione per il mio nome (che a quanto pareera ben noto a tutti gli ufficiali), quale certo non mi sareimai aspettato, specialmente in un ambiente militare; miè sembrato un organismo formato esclusivamente diistruttori, di uffici e di centri di studio vari, senza repartiorganici, in modo che ogni gerarchia scompare, ci si

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che già da un mese si presentano ogni mattina in caser-ma, per essere rinviati a casa dopo mezz'ora. Sono statosubito inviato all'ospedale militare per le solite visite eda una settimana tiro in lungo così da un giorno all'altro,limitandomi a una passeggiata mattutina fino a Baggio.Oggi non mi sono neppur messo in divisa. Continuocosì la mia solita vita di lavoro e talvolta neppur mi ri-cordo di esser teoricamente in servizio. Chissà che cosìil passaggio alla vita militare non mi riesca meno duro,ingrandendomi dentro a poco a poco invece di precipi-tarvi d'un colpo come è stato a Moncalieri.

13 giugno. Sono stato assegnato alla Scuola d'Aosta, orache ci avevo perso ormai ogni speranza. Alla mia do-manda e alle varie raccomandazioni era stato rispostonegativamente, in base a una tassativa disposizione cheimponeva di assegnare a quei posti solo ufficiali cheavessero preso parte a campagne al fronte. Viceversa perintervento di Manaresi ho ottenuto quella destinazione.Non mi faccio soverchie illusioni sull'alpinismo milita-re, ma l'importante era soprattutto di evitare l'assegna-zione a un reparto ove sarei stato costretto alla vita direggimento. Ho avuto un'accoglienza così cordiale e unatale considerazione per il mio nome (che a quanto pareera ben noto a tutti gli ufficiali), quale certo non mi sareimai aspettato, specialmente in un ambiente militare; miè sembrato un organismo formato esclusivamente diistruttori, di uffici e di centri di studio vari, senza repartiorganici, in modo che ogni gerarchia scompare, ci si

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sente tutti colleghi indipendentemente dal grado rivesti-to, e assai più del grado conta la persona. Ci si occupaesclusivamente di alpinismo, di istruzione alpinistica esciistica, di studi alpini, mentre tutto quello che ha atti-nenza con la vita militare (manovre, esercitazioni tatti-che, istruzione di armi, ecc.) viene del tutto trascurato.Insomma se non si fosse tutti in divisa non si pensereb-be certo che si tratta di un organismo militare, e spessoci se ne dimentica; anche della guerra ci se ne dimenticatotalmente, assai più che vivendo da borghese con tuttile difficoltà attuali.Queste le prime impressioni: con tutto il miglior ottimi-smo, non avrei mai sperato una sorte così fortunata. Miè stato chiesto di che cosa mi stavo occupando attual-mente, e dissi che stavo ultimando la guida del Brenta.Senza che io neppur lo chiedessi, mi sono stati concessi15 giorni di licenza, perché io possa terminare il mio la-voro. Poi passeremo tutta l'estate in montagna per corsid'istruzione; poi... possono succedere tante cose! Intantoparto di nuovo, insperatamente, per i miei monti e sperodi ritrovarmici con tutto l'ardore e la ricchezza di vitache sento in me.

6 luglio, Passo Tre Croci. Ho passato in Brenta due set-timane felicissime, la prima con Saverio, la seconda conBarzaghi. Ho girato a tappe intensive un po' dappertutto,per vedere e controllare quei pochi dubbi che mi eranorimasti. Solitudine completa, perfetta assenza dal mon-do, giornate radiose. Ci facevamo da mangiare noi stessi

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sente tutti colleghi indipendentemente dal grado rivesti-to, e assai più del grado conta la persona. Ci si occupaesclusivamente di alpinismo, di istruzione alpinistica esciistica, di studi alpini, mentre tutto quello che ha atti-nenza con la vita militare (manovre, esercitazioni tatti-che, istruzione di armi, ecc.) viene del tutto trascurato.Insomma se non si fosse tutti in divisa non si pensereb-be certo che si tratta di un organismo militare, e spessoci se ne dimentica; anche della guerra ci se ne dimenticatotalmente, assai più che vivendo da borghese con tuttile difficoltà attuali.Queste le prime impressioni: con tutto il miglior ottimi-smo, non avrei mai sperato una sorte così fortunata. Miè stato chiesto di che cosa mi stavo occupando attual-mente, e dissi che stavo ultimando la guida del Brenta.Senza che io neppur lo chiedessi, mi sono stati concessi15 giorni di licenza, perché io possa terminare il mio la-voro. Poi passeremo tutta l'estate in montagna per corsid'istruzione; poi... possono succedere tante cose! Intantoparto di nuovo, insperatamente, per i miei monti e sperodi ritrovarmici con tutto l'ardore e la ricchezza di vitache sento in me.

6 luglio, Passo Tre Croci. Ho passato in Brenta due set-timane felicissime, la prima con Saverio, la seconda conBarzaghi. Ho girato a tappe intensive un po' dappertutto,per vedere e controllare quei pochi dubbi che mi eranorimasti. Solitudine completa, perfetta assenza dal mon-do, giornate radiose. Ci facevamo da mangiare noi stessi

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nei rifugi chiusi e anche questo costituiva ogni volta unapiccola avventura. Una nevicata e un gran freddo nellaprima settimana, mi hanno impedito di arrampicare; manella seconda ho potuto già far qualcosa (CampanilAlto, Croz, Torre d'Ambiez, Tosa via nuova) e mi senti-vo già abbastanza sicuro per godere con tutta la mia pas-sione quelle arrampicate, che avrei voluto rinunciare almio programma di ricognizioni per dedicare tutto ilpoco tempo disponibile alle ascensioni.

Rientrando ad Aosta, speravo di poterci restare qualchegiorno per riordinare i miei appunti e tutte le mie cose.Ma ho avuto l'ordine di ripartire subito per accompagna-re qui a Passo Tre Croci gli uomini dei servizi e organiz-zare tutto per il Corso che s'inizierà il 10 luglio. Sonoqui solo con Crivelli e pochi soldati (tutti ottimi ragazzi)e si fa una vita in famiglia in cui di militare non ci rimanpiù quasi neppure il ricordo. Viviamo coi soldati, man-giamo il loro rancio, siamo sempre tutti assieme, tutticompagni e amici. Mi godo queste giornate di sole, que-sti luoghi magnifici, questi prati alberati morbidi comeun tappeto, meravigliosi come un parco incantato. Unsenso di pace, di riposo, di distensione, di felicità, a cuimi abbandono senza pudore, dimentico di tutto. Davve-ro non avrei mai potuto sperare tanto dalla vita militare.

1° agosto. Con l'arrivo di tutti gli ufficiali, allievi, istrut-tori, comandanti, ecc. l'atmosfera è assai cambiata. Cer-to non era possibile continuare con la libertà perfino ec-

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nei rifugi chiusi e anche questo costituiva ogni volta unapiccola avventura. Una nevicata e un gran freddo nellaprima settimana, mi hanno impedito di arrampicare; manella seconda ho potuto già far qualcosa (CampanilAlto, Croz, Torre d'Ambiez, Tosa via nuova) e mi senti-vo già abbastanza sicuro per godere con tutta la mia pas-sione quelle arrampicate, che avrei voluto rinunciare almio programma di ricognizioni per dedicare tutto ilpoco tempo disponibile alle ascensioni.

Rientrando ad Aosta, speravo di poterci restare qualchegiorno per riordinare i miei appunti e tutte le mie cose.Ma ho avuto l'ordine di ripartire subito per accompagna-re qui a Passo Tre Croci gli uomini dei servizi e organiz-zare tutto per il Corso che s'inizierà il 10 luglio. Sonoqui solo con Crivelli e pochi soldati (tutti ottimi ragazzi)e si fa una vita in famiglia in cui di militare non ci rimanpiù quasi neppure il ricordo. Viviamo coi soldati, man-giamo il loro rancio, siamo sempre tutti assieme, tutticompagni e amici. Mi godo queste giornate di sole, que-sti luoghi magnifici, questi prati alberati morbidi comeun tappeto, meravigliosi come un parco incantato. Unsenso di pace, di riposo, di distensione, di felicità, a cuimi abbandono senza pudore, dimentico di tutto. Davve-ro non avrei mai potuto sperare tanto dalla vita militare.

1° agosto. Con l'arrivo di tutti gli ufficiali, allievi, istrut-tori, comandanti, ecc. l'atmosfera è assai cambiata. Cer-to non era possibile continuare con la libertà perfino ec-

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cessiva del regime Crivelli, che, con mentalità borghese,sapeva ottenere ogni cosa con la cordialità dei rapportiassai più che con la disciplina militare. Ma il passaggioda un simile regime alla mentalità prettamente militaredegli ufficiali effettivi, con tutte le sue assurdità, è bru-sco e contrasta quasi come una bestemmia con questoambiente di monti e di natura.Sono andato a far scuola ai signori ufficiali istruttori. Hofatto un'arrampicata con uno così detto esperto e quasiavevo paura io stesso trovandomi in cordata con lui. Unaltro, quantunque designato come istruttore, non era maistato in montagna, non aveva mai toccato roccia, non siera mai legato in cordata. Me lo son preso a cuore, inse-gnandogli tutto, a cominciare dall'alfabeto, con l'esem-pio, con la parola, spiegando e commentando ogni miomovimento, perché potesse rendersene ragione e imitar-lo.Forse da questo corso, se fossi libero di fare come me-glio mi pare e non dovessi sottostare alle disposizioni diufficiali presuntuosi e ignoranti, potrei avere delle veresoddisfazioni. Ma come si può pensare a soddisfazioniin questo ambiente di ufficiali effettivi?

23 agosto, Ollomont. Mi spiace di aver abbandonatoquesto diario in un periodo di vita così intensa comequello passato a Tre Croci. Avrei avuto tanto da scrive-re, ma tra il servizio che mi impegnava e mi appassiona-va anche al di là del mio stretto dovere, le varie ascen-sioni, la corrispondenza, le serate con gli amici, non tro-

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cessiva del regime Crivelli, che, con mentalità borghese,sapeva ottenere ogni cosa con la cordialità dei rapportiassai più che con la disciplina militare. Ma il passaggioda un simile regime alla mentalità prettamente militaredegli ufficiali effettivi, con tutte le sue assurdità, è bru-sco e contrasta quasi come una bestemmia con questoambiente di monti e di natura.Sono andato a far scuola ai signori ufficiali istruttori. Hofatto un'arrampicata con uno così detto esperto e quasiavevo paura io stesso trovandomi in cordata con lui. Unaltro, quantunque designato come istruttore, non era maistato in montagna, non aveva mai toccato roccia, non siera mai legato in cordata. Me lo son preso a cuore, inse-gnandogli tutto, a cominciare dall'alfabeto, con l'esem-pio, con la parola, spiegando e commentando ogni miomovimento, perché potesse rendersene ragione e imitar-lo.Forse da questo corso, se fossi libero di fare come me-glio mi pare e non dovessi sottostare alle disposizioni diufficiali presuntuosi e ignoranti, potrei avere delle veresoddisfazioni. Ma come si può pensare a soddisfazioniin questo ambiente di ufficiali effettivi?

23 agosto, Ollomont. Mi spiace di aver abbandonatoquesto diario in un periodo di vita così intensa comequello passato a Tre Croci. Avrei avuto tanto da scrive-re, ma tra il servizio che mi impegnava e mi appassiona-va anche al di là del mio stretto dovere, le varie ascen-sioni, la corrispondenza, le serate con gli amici, non tro-

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vavo mai quell'ora di calma da poter dedicare a questodiario. E allora cerchiamo di ricapitolare:Usmiani, ad eccezione di qualche piccola mania di ca-rattere militare (che del resto si poteva facilmente elude-re) è stato un comandante di corso quasi ideale, soprat-tutto per la grande libertà di iniziativa che lasciava a noiistruttori. Ognuno era libero di svolgere il programmacome credeva meglio e di adattarlo alla capacità e algraduale progresso degli allievi. E certo non ho rinun-ciato a valermi fino alle più estreme conseguenze diquesta libertà d'azione, svolgendo perfino un program-ma più intenso e più completo degli altri e sostituendoalcune ascensioni obbligatorie con altre di maggior im-pegno e soddisfazione, che ritenevo più adatte a valoriz-zare la discreta maturità raggiunta dai miei allievi e acompletare la loro esperienza alpinistica. Quantunquefossi al mio primo corso, non ebbi esitazioni sul mododi svolgerlo e i notevoli risultati raggiunti mi hanno datoconferma di non aver commesso errori. Anche l'allena-mento in palestra, con relativa istruzione teorica e inse-gnamento di tecnica e di stile, ho saputo svolgerlo conbuon metodo, tanto che mi sono trovato assai bene findalla prima volta che ho condotto gli allievi in ascensio-ni, dove hanno potuto realizzare rapidi e significativiprogressi e raggiungere una maturità quale non avreimai sperato di poter raggiungere in così breve tempo. Ilmerito non è soltanto mio e degli ottimi istruttori che miaiutavano, ma soprattutto degli allievi, che hanno messonell'istruzione tutta la loro buona volontà e tutto il loro

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vavo mai quell'ora di calma da poter dedicare a questodiario. E allora cerchiamo di ricapitolare:Usmiani, ad eccezione di qualche piccola mania di ca-rattere militare (che del resto si poteva facilmente elude-re) è stato un comandante di corso quasi ideale, soprat-tutto per la grande libertà di iniziativa che lasciava a noiistruttori. Ognuno era libero di svolgere il programmacome credeva meglio e di adattarlo alla capacità e algraduale progresso degli allievi. E certo non ho rinun-ciato a valermi fino alle più estreme conseguenze diquesta libertà d'azione, svolgendo perfino un program-ma più intenso e più completo degli altri e sostituendoalcune ascensioni obbligatorie con altre di maggior im-pegno e soddisfazione, che ritenevo più adatte a valoriz-zare la discreta maturità raggiunta dai miei allievi e acompletare la loro esperienza alpinistica. Quantunquefossi al mio primo corso, non ebbi esitazioni sul mododi svolgerlo e i notevoli risultati raggiunti mi hanno datoconferma di non aver commesso errori. Anche l'allena-mento in palestra, con relativa istruzione teorica e inse-gnamento di tecnica e di stile, ho saputo svolgerlo conbuon metodo, tanto che mi sono trovato assai bene findalla prima volta che ho condotto gli allievi in ascensio-ni, dove hanno potuto realizzare rapidi e significativiprogressi e raggiungere una maturità quale non avreimai sperato di poter raggiungere in così breve tempo. Ilmerito non è soltanto mio e degli ottimi istruttori che miaiutavano, ma soprattutto degli allievi, che hanno messonell'istruzione tutta la loro buona volontà e tutto il loro

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entusiasmo giovanile.Non mi son certo risparmiato: anche in palestra ero con-tinuamente in movimento sulla roccia, per seguire e sor-vegliare tutte le cordate, che facevo muovere contempo-raneamente, per consigliare, aiutare, assicurare ciascu-no. Ripetevo io stesso molte volte qualche passaggio ca-ratteristico, affinché ognuno potesse vedere il modo mi-gliore di superarlo e imparare la tecnica migliore. E inascensione prendevo con me gli elementi più deboli per-ché potessero imparare, e per sveltire l'andatura dellecordate. L'essere continuamente in roccia, sempre slega-to, mi ha dato poi una sicurezza, una scioltezza di movi-menti, una padronanza di me stesso, e della tecnica piùraffinata, che mi dava spesso la gioia dell'arrampicataanche nelle semplici esercitazioni di palestra.Con gli allievi ho cercato fin dal primo giorno di essereil camerata, il compagno, l'amico, più che il capogrup-po, lasciando dimenticare perfino la responsabilità chemi incombeva di tutti loro. Scherzavamo, giocavamotutti assieme con perfetta eguaglianza, come se neppureil distacco d'età ci potesse distanziare (credevano ch'ioavessi 27/28 anni). Ma in roccia, e specialmente inascensione, ogni mia parola era ascoltata non tantocome un ordine, quanto con la persuasione a priori dellasua esattezza e delle sue necessità, quasi come fosse laparola di un oracolo. Non ho mai dato un attenti in tuttoil corso; ben raramente ho dato un ordine; talvolta nontrasmettevo neppure gli ordini che mi venivano dati, senon li trovavo giustificati. Ma tutti mi seguivano perché

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entusiasmo giovanile.Non mi son certo risparmiato: anche in palestra ero con-tinuamente in movimento sulla roccia, per seguire e sor-vegliare tutte le cordate, che facevo muovere contempo-raneamente, per consigliare, aiutare, assicurare ciascu-no. Ripetevo io stesso molte volte qualche passaggio ca-ratteristico, affinché ognuno potesse vedere il modo mi-gliore di superarlo e imparare la tecnica migliore. E inascensione prendevo con me gli elementi più deboli per-ché potessero imparare, e per sveltire l'andatura dellecordate. L'essere continuamente in roccia, sempre slega-to, mi ha dato poi una sicurezza, una scioltezza di movi-menti, una padronanza di me stesso, e della tecnica piùraffinata, che mi dava spesso la gioia dell'arrampicataanche nelle semplici esercitazioni di palestra.Con gli allievi ho cercato fin dal primo giorno di essereil camerata, il compagno, l'amico, più che il capogrup-po, lasciando dimenticare perfino la responsabilità chemi incombeva di tutti loro. Scherzavamo, giocavamotutti assieme con perfetta eguaglianza, come se neppureil distacco d'età ci potesse distanziare (credevano ch'ioavessi 27/28 anni). Ma in roccia, e specialmente inascensione, ogni mia parola era ascoltata non tantocome un ordine, quanto con la persuasione a priori dellasua esattezza e delle sue necessità, quasi come fosse laparola di un oracolo. Non ho mai dato un attenti in tuttoil corso; ben raramente ho dato un ordine; talvolta nontrasmettevo neppure gli ordini che mi venivano dati, senon li trovavo giustificati. Ma tutti mi seguivano perché

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avevano fiducia in me, perché sapevano che io facevoper loro tutto quanto mi era possibile, perché – credo –mi amavano per questo mio cameratismo e per questomio dedicarmi a loro senza risparmio.

Un lunedì mattino, mentre mi alzavo di mala voglia, an-cora indolenzito dalla lunga tirata della gita domenicale,entra in camera il mio attendente e mi annuncia conl'espressione più ingenua che Mussolini aveva fatto fa-gotto. Non sapevo crederci. Per quanto io fossi uno deipiù decisi assertori dell'imminenza di questo avveni-mento, ora che si era realizzato temevo fosse un sogno.Troppe volte le nostre speranze erano state deluse, trop-po a lungo era durato un regime che pareva dovessecrollare fin dal suo inizio. Ma quando Usmiani, davantia tutto il presidio schierato, disse poche, ma meraviglio-se parole, diede l'annuncio ufficiale, parlò di libertà e dipunizione di colpevoli, un solo grido di gioia ci ha acco-munati tutti, ufficiali e soldati. Non si sapeva ancoranulla, ma abbiamo avuto subito la sensazione che il fa-scismo era tramontato per sempre, che un'era nuova sischiudeva davanti a noi, che da quel mattino tutto eraradicalmente mutato. Libertà: quella parola che ognunoper vent'anni aveva tenuto chiusa in sé come un tesorosegreto o aveva mormorato a fior di labbro senza osarepronunciarla ad alta voce, ora era gridata a piena vocedal comandante in un rapporto ufficiale e pareva span-dersi immensa in un tripudio di luce in quel mattino ra-dioso, su fino alle crode baciate dal primo sole.

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avevano fiducia in me, perché sapevano che io facevoper loro tutto quanto mi era possibile, perché – credo –mi amavano per questo mio cameratismo e per questomio dedicarmi a loro senza risparmio.

Un lunedì mattino, mentre mi alzavo di mala voglia, an-cora indolenzito dalla lunga tirata della gita domenicale,entra in camera il mio attendente e mi annuncia conl'espressione più ingenua che Mussolini aveva fatto fa-gotto. Non sapevo crederci. Per quanto io fossi uno deipiù decisi assertori dell'imminenza di questo avveni-mento, ora che si era realizzato temevo fosse un sogno.Troppe volte le nostre speranze erano state deluse, trop-po a lungo era durato un regime che pareva dovessecrollare fin dal suo inizio. Ma quando Usmiani, davantia tutto il presidio schierato, disse poche, ma meraviglio-se parole, diede l'annuncio ufficiale, parlò di libertà e dipunizione di colpevoli, un solo grido di gioia ci ha acco-munati tutti, ufficiali e soldati. Non si sapeva ancoranulla, ma abbiamo avuto subito la sensazione che il fa-scismo era tramontato per sempre, che un'era nuova sischiudeva davanti a noi, che da quel mattino tutto eraradicalmente mutato. Libertà: quella parola che ognunoper vent'anni aveva tenuto chiusa in sé come un tesorosegreto o aveva mormorato a fior di labbro senza osarepronunciarla ad alta voce, ora era gridata a piena vocedal comandante in un rapporto ufficiale e pareva span-dersi immensa in un tripudio di luce in quel mattino ra-dioso, su fino alle crode baciate dal primo sole.

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E per oscuro che sia l'avvenire, dobbiamo felicitarci chel'avvenimento che si prospettava più fosco e più tragico,la caduta del fascismo, si è verificato senza scosse esenza quasi spargimento di sangue. Perché il fascismoera così marcio, che non aveva più alcuna forza da op-porre per tentare una sia pur disperata resistenza. Congioia frenetica abbiamo abbattuto tutti i fasci e tutte levestigia di un'epoca che ormai apparteneva al passato: inalberghi e rifugi abbiamo distrutto i ritratti: al rifugioMussolini ho fatto cancellare il nome sul muro esterno,sui registri, sulle cartoline.

La parola libertà ricorre spesso, credo, nelle pagine diquesto diario, ma vi ricorre come un sogno lontano,come un ideale lungamente perseguito, come una spe-ranza che non si osa credere possa realizzarsi. Appenaqualche pagina addietro non avrei certo pensato di poterscrivere in tutte lettere maiuscole questa parola meravi-gliosa: LIBERTÀ. E così sia.

9 settembre. L'ordine è di continuare regolarmente ilcorso e il programma d'istruzione. Ma ognuno sa benis-simo che il corso è finito; che tutto è finito. Ci si chiedeincerti quando e come si andrà a casa. La domanda piùassillante è cosa faranno i tedeschi. Andremo ora a com-battere contro i tedeschi? In parecchi a quest'idea si ac-cende un entusiasmo patriottico, quale non avevamomai conosciuto nella guerra contro gli inglesi. Le reclutedel IV ad Aosta chiedono a gran voce di salire al Picco-

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E per oscuro che sia l'avvenire, dobbiamo felicitarci chel'avvenimento che si prospettava più fosco e più tragico,la caduta del fascismo, si è verificato senza scosse esenza quasi spargimento di sangue. Perché il fascismoera così marcio, che non aveva più alcuna forza da op-porre per tentare una sia pur disperata resistenza. Congioia frenetica abbiamo abbattuto tutti i fasci e tutte levestigia di un'epoca che ormai apparteneva al passato: inalberghi e rifugi abbiamo distrutto i ritratti: al rifugioMussolini ho fatto cancellare il nome sul muro esterno,sui registri, sulle cartoline.

La parola libertà ricorre spesso, credo, nelle pagine diquesto diario, ma vi ricorre come un sogno lontano,come un ideale lungamente perseguito, come una spe-ranza che non si osa credere possa realizzarsi. Appenaqualche pagina addietro non avrei certo pensato di poterscrivere in tutte lettere maiuscole questa parola meravi-gliosa: LIBERTÀ. E così sia.

9 settembre. L'ordine è di continuare regolarmente ilcorso e il programma d'istruzione. Ma ognuno sa benis-simo che il corso è finito; che tutto è finito. Ci si chiedeincerti quando e come si andrà a casa. La domanda piùassillante è cosa faranno i tedeschi. Andremo ora a com-battere contro i tedeschi? In parecchi a quest'idea si ac-cende un entusiasmo patriottico, quale non avevamomai conosciuto nella guerra contro gli inglesi. Le reclutedel IV ad Aosta chiedono a gran voce di salire al Picco-

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lo San Bernardo per sbarrare il passo ai tedeschi. Si at-tendono ordini che non vengono: i comandi sono sparitio hanno perduto la testa. Nessuno si assume la responsa-bilità di dare un ordine qualsiasi. Si rimane inerti, inun'attesa snervante, facile preda di una ridda di notiziefantastiche, che non si sa donde provengano e che pas-sano di bocca in bocca, ingrandendosi come bolle di sa-pone. Si passano parecchie ore intorno alla radio, spe-rando in qualche notizia che chiarisca la situazione; maanche di là giungono solo notizie confuse e contraddit-torie.Cerco di tener i nervi a posto e di mantenere la calmanel mio reparto. Salgo in palestra per un esame definiti-vo di quei pochi che non avevo ancora ben osservato,poi faccio togliere tutti i chiodi. I giorni successivi, in-vece di andare in palestra, porto i miei su un prato a gio-care. È assurdo e ridicolo, in queste circostanze, conti-nuare un corso alpinistico. Faccio le classifiche sul mionotes e parlo coi soldati che sono ancora abbastanza cal-mi e sempre disciplinati. Avrei saputo certamente tenerein mano il mio reparto fino all'ultimo, se non ci fossestata la catastrofe del sabato.Sabato mattina 11 settembre il capitano ci manda a chia-mare e ci fa rientrare all'accampamento. Gli altri gruppisono già rientrati e noto subito un grande nervosismo.Le notizie si succedono incalzanti: i tedeschi sono aIvrea, sono a Castiglione, sono a Nus. A mezzogiornoun autista della Cogne riferisce che i tedeschi sono en-trati ad Aosta e che lui ha fatto appena in tempo a scap-

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lo San Bernardo per sbarrare il passo ai tedeschi. Si at-tendono ordini che non vengono: i comandi sono sparitio hanno perduto la testa. Nessuno si assume la responsa-bilità di dare un ordine qualsiasi. Si rimane inerti, inun'attesa snervante, facile preda di una ridda di notiziefantastiche, che non si sa donde provengano e che pas-sano di bocca in bocca, ingrandendosi come bolle di sa-pone. Si passano parecchie ore intorno alla radio, spe-rando in qualche notizia che chiarisca la situazione; maanche di là giungono solo notizie confuse e contraddit-torie.Cerco di tener i nervi a posto e di mantenere la calmanel mio reparto. Salgo in palestra per un esame definiti-vo di quei pochi che non avevo ancora ben osservato,poi faccio togliere tutti i chiodi. I giorni successivi, in-vece di andare in palestra, porto i miei su un prato a gio-care. È assurdo e ridicolo, in queste circostanze, conti-nuare un corso alpinistico. Faccio le classifiche sul mionotes e parlo coi soldati che sono ancora abbastanza cal-mi e sempre disciplinati. Avrei saputo certamente tenerein mano il mio reparto fino all'ultimo, se non ci fossestata la catastrofe del sabato.Sabato mattina 11 settembre il capitano ci manda a chia-mare e ci fa rientrare all'accampamento. Gli altri gruppisono già rientrati e noto subito un grande nervosismo.Le notizie si succedono incalzanti: i tedeschi sono aIvrea, sono a Castiglione, sono a Nus. A mezzogiornoun autista della Cogne riferisce che i tedeschi sono en-trati ad Aosta e che lui ha fatto appena in tempo a scap-

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pare col suo camion: il camion che doveva seguirlodopo poco è stato bloccato dai tedeschi. Si dice ancheche sono scesi dal Piccolo, hanno occupato le minieredella Thuile facendo prigioniera la nostra guarnigione esono scesi anche di là a Aosta. I soldati (non solo i miei,ma anche quelli degli altri gruppi) mi chiedono cosadobbiamo fare, cosa aspettiamo ancora ad andarcene, sedobbiamo attendere che i tedeschi vengano anche quas-sù a prelevarci in massa. Rispondo di star calmi, di noncredere alle fantasie, di attendere ordini, ma non riesco atranquillizzarli. Io stesso sono alquanto nervoso per que-sta incertezza, e soprattutto per questa mancanza di or-dini. Può darsi benissimo che nel trambusto generale sisiano dimenticati di noi; e allora spetterebbe al capitanodi prendere un'iniziativa. Ci sentiamo perduti nelle manidi un uomo simile. Siamo decisi a lasciarlo fare, finchéè innocuo, ma a prender noi l'iniziativa in caso di neces-sità. Si sente che l'autorità del grado va scomparendo diora in ora; quella che conta ormai è l'autorità dell'uomo.Non ci sentiamo più militari, ma uomini; e ognuno ri-prende la propria salvezza. Perciò il capitano non contapiù nulla; nessuno più gli dà retta. Moltissimi si rivolgo-no a me per un consiglio; qualcuno mi invita a prenderel'iniziativa, assicurandomi che se io dessi un ordine, tut-to il corso mi seguirebbe. Ma anche io non so che consi-glio dare, né che iniziativa prendere: sono troppoall'oscuro della situazione vera per poter decidere qual-che cosa.Si sa che fin dalla notte precedente le caserme di Aosta

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pare col suo camion: il camion che doveva seguirlodopo poco è stato bloccato dai tedeschi. Si dice ancheche sono scesi dal Piccolo, hanno occupato le minieredella Thuile facendo prigioniera la nostra guarnigione esono scesi anche di là a Aosta. I soldati (non solo i miei,ma anche quelli degli altri gruppi) mi chiedono cosadobbiamo fare, cosa aspettiamo ancora ad andarcene, sedobbiamo attendere che i tedeschi vengano anche quas-sù a prelevarci in massa. Rispondo di star calmi, di noncredere alle fantasie, di attendere ordini, ma non riesco atranquillizzarli. Io stesso sono alquanto nervoso per que-sta incertezza, e soprattutto per questa mancanza di or-dini. Può darsi benissimo che nel trambusto generale sisiano dimenticati di noi; e allora spetterebbe al capitanodi prendere un'iniziativa. Ci sentiamo perduti nelle manidi un uomo simile. Siamo decisi a lasciarlo fare, finchéè innocuo, ma a prender noi l'iniziativa in caso di neces-sità. Si sente che l'autorità del grado va scomparendo diora in ora; quella che conta ormai è l'autorità dell'uomo.Non ci sentiamo più militari, ma uomini; e ognuno ri-prende la propria salvezza. Perciò il capitano non contapiù nulla; nessuno più gli dà retta. Moltissimi si rivolgo-no a me per un consiglio; qualcuno mi invita a prenderel'iniziativa, assicurandomi che se io dessi un ordine, tut-to il corso mi seguirebbe. Ma anche io non so che consi-glio dare, né che iniziativa prendere: sono troppoall'oscuro della situazione vera per poter decidere qual-che cosa.Si sa che fin dalla notte precedente le caserme di Aosta

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si sono vuotate. Gruppi di soldati scappati dalla Francia,con l'aiuto cordiale e commovente della popolazionefrancese, hanno portato lo scompiglio. I soldati sonofuggiti dalle caserme, mentre gli ufficiali tentavano in-vano di trattenerli: li ricacciavano dentro per la porta equelli fuggivano dalle finestre calandosi a corda doppia.La disciplina era infranta; l'esercito si sfasciava permancanza di ordini e di una vera autorità nei quadri.Teorie interminabili di gente, vestita in tutti i modi, par-te in divisa, parte nei più disparati abiti borghesi racimo-lati un po' dappertutto, con gli zaini stracarichi, si avvia-no su per la Valpelline in cerca di scampo. La popola-zione dà l'assalto ai magazzini militari di Aosta e si ap-propria di viveri, di indumenti, di materiali. Un ufficialegetta nel cortile le sigarette, i viveri e perfino i denaridello spaccio. È il caos. Con la scusa di non lasciar nullaper i tedeschi, ciascuno arraffa più che può; qualcunoper bisogno personale, altri per speculazione e per ri-vendere poi la merce rubata a prezzi irrisori.Di fronte a queste notizie che giungevano da Aosta, èmirabile che il nostro accampamento si mantenesse an-cora unito, tranquillo e abbastanza disciplinato. Mal'attesa acuiva di ora in ora il nervosismo e si sentivache anche da noi non si sarebbe più riusciti a tenere afreno i soldati ancora per molto tempo.Alle 14 il capitano riesce a telefonare ad Aosta. Non èvero che i tedeschi siano già arrivati: sono a Chivasso:forse ad Ivrea, Boffa invita alla calma e ad attendere or-dini: verrà su lui stesso prima di sera. Un momento di

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si sono vuotate. Gruppi di soldati scappati dalla Francia,con l'aiuto cordiale e commovente della popolazionefrancese, hanno portato lo scompiglio. I soldati sonofuggiti dalle caserme, mentre gli ufficiali tentavano in-vano di trattenerli: li ricacciavano dentro per la porta equelli fuggivano dalle finestre calandosi a corda doppia.La disciplina era infranta; l'esercito si sfasciava permancanza di ordini e di una vera autorità nei quadri.Teorie interminabili di gente, vestita in tutti i modi, par-te in divisa, parte nei più disparati abiti borghesi racimo-lati un po' dappertutto, con gli zaini stracarichi, si avvia-no su per la Valpelline in cerca di scampo. La popola-zione dà l'assalto ai magazzini militari di Aosta e si ap-propria di viveri, di indumenti, di materiali. Un ufficialegetta nel cortile le sigarette, i viveri e perfino i denaridello spaccio. È il caos. Con la scusa di non lasciar nullaper i tedeschi, ciascuno arraffa più che può; qualcunoper bisogno personale, altri per speculazione e per ri-vendere poi la merce rubata a prezzi irrisori.Di fronte a queste notizie che giungevano da Aosta, èmirabile che il nostro accampamento si mantenesse an-cora unito, tranquillo e abbastanza disciplinato. Mal'attesa acuiva di ora in ora il nervosismo e si sentivache anche da noi non si sarebbe più riusciti a tenere afreno i soldati ancora per molto tempo.Alle 14 il capitano riesce a telefonare ad Aosta. Non èvero che i tedeschi siano già arrivati: sono a Chivasso:forse ad Ivrea, Boffa invita alla calma e ad attendere or-dini: verrà su lui stesso prima di sera. Un momento di

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distensione di nervi. Anche i soldati si calmano e sonodecisi ad attendere Boffa prima di prendere qualsiasi de-cisione. Tutti (e io forse più di tutti) abbiamo fiducia inBoffa e nella sua assennatezza: lo stimiamo come unvero alpinista e un alpinista è un uomo che non perdefacilmente la testa. Attendiamo da lui un chiarimentosulla realtà della situazione e un consiglio assennato sulda farsi.Boffa arriva in auto nel pomeriggio, con Campane: sonosubito notati nell'auto zaini ben gonfi e per l'accampa-mento si diffonde immediatamente la conclusione cheBoffa pensa di fuggire in Svizzera. Rapporto ufficiali:espone la situazione e chiede il nostro parere. I tedeschinon sono ancora ad Aosta, ma stanno per giungere; di-sarmano tutti i reparti; i militari isolati che cercano diraggiungere le loro case vengono fermati; gli ufficialiarrestati, i soldati talvolta disarmati e inviati a casa, ta-laltra invece inviati ai campi di concentramento. Dob-biamo consegnarci ai tedeschi e farci disarmare da loro?Il sentimento unanime è «mai, a nessun costo». Piutto-sto passare in Svizzera e consegnare le armi agli svizze-ri. E allora? Tentare una resistenza è vano, poiché nonabbiamo altre armi che i moschetti con pochissime mu-nizioni. Non resta che passare in Svizzera, oppure la-sciar liberi i soldati di raggiungere le loro case (chi neha la possibilità) per la via dei monti. Boffa propendeper la Svizzera: ha molte conoscenze e passando in mas-sa, come scuola d'Alpinismo d'Aosta, avremmo certoaccoglienza cordiale e buon trattamento. Propongo di

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distensione di nervi. Anche i soldati si calmano e sonodecisi ad attendere Boffa prima di prendere qualsiasi de-cisione. Tutti (e io forse più di tutti) abbiamo fiducia inBoffa e nella sua assennatezza: lo stimiamo come unvero alpinista e un alpinista è un uomo che non perdefacilmente la testa. Attendiamo da lui un chiarimentosulla realtà della situazione e un consiglio assennato sulda farsi.Boffa arriva in auto nel pomeriggio, con Campane: sonosubito notati nell'auto zaini ben gonfi e per l'accampa-mento si diffonde immediatamente la conclusione cheBoffa pensa di fuggire in Svizzera. Rapporto ufficiali:espone la situazione e chiede il nostro parere. I tedeschinon sono ancora ad Aosta, ma stanno per giungere; di-sarmano tutti i reparti; i militari isolati che cercano diraggiungere le loro case vengono fermati; gli ufficialiarrestati, i soldati talvolta disarmati e inviati a casa, ta-laltra invece inviati ai campi di concentramento. Dob-biamo consegnarci ai tedeschi e farci disarmare da loro?Il sentimento unanime è «mai, a nessun costo». Piutto-sto passare in Svizzera e consegnare le armi agli svizze-ri. E allora? Tentare una resistenza è vano, poiché nonabbiamo altre armi che i moschetti con pochissime mu-nizioni. Non resta che passare in Svizzera, oppure la-sciar liberi i soldati di raggiungere le loro case (chi neha la possibilità) per la via dei monti. Boffa propendeper la Svizzera: ha molte conoscenze e passando in mas-sa, come scuola d'Alpinismo d'Aosta, avremmo certoaccoglienza cordiale e buon trattamento. Propongo di

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non precipitare le decisioni: di sgomberare Ollomontdove i tedeschi potrebbero giungere facilmente con lemacchine, e ritirarci tutti a By dove certo i tedeschi nonvorrebbero avventurarsi e donde in ogni caso potremmoraggiungere in breve e con tutta sicurezza il confinesvizzero, assai prima di esser raggiunti dai tedeschi. Po-tremmo restare a By finché ci bastano i viveri e poiprendere una decisione a seconda degli sviluppi della si-tuazione.Sono angosciato e agitato; mi vien quasi da piangere.Vorrei fare qualche cosa per tutti questi miei ragazzi;vorrei tenerli uniti, legati a me, guidarli io stesso permonti e per valli, attraverso tutte le Alpi, fino a Trento,fino a Cortina, fino alle loro case; vorrei esser con lorofino all'ultimo, ma non lasciarli andare così, cacciarli viacome cani randagi, senza un soldo, senza un tozzo dipane!Già i primi gruppi se ne andavano a piedi, stracarichi,giù per la strada di Valpelline. Se ne andavano senza sa-lutar nessuno, in cammino verso le loro case. E chiavrebbero dovuto salutare? Forse i loro ufficiali che liavevano così vigliaccamente abbandonati al loro desti-no? Poveri ragazzi! mi facevano pena. I miei erano an-cora incerti, forse per la lontananza delle loro case. Ionon cessavo di incoraggiarli, di esortarli a restare uniti,e di attendere qualche giorno per vedere come si mette-vano le cose. Sapevo che non avevo più alcuna autoritàcome ufficiale; ma la mia parola valeva ancora qualchecosa ed era ancora ascoltata. Quasi tutti decidono di ri-

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non precipitare le decisioni: di sgomberare Ollomontdove i tedeschi potrebbero giungere facilmente con lemacchine, e ritirarci tutti a By dove certo i tedeschi nonvorrebbero avventurarsi e donde in ogni caso potremmoraggiungere in breve e con tutta sicurezza il confinesvizzero, assai prima di esser raggiunti dai tedeschi. Po-tremmo restare a By finché ci bastano i viveri e poiprendere una decisione a seconda degli sviluppi della si-tuazione.Sono angosciato e agitato; mi vien quasi da piangere.Vorrei fare qualche cosa per tutti questi miei ragazzi;vorrei tenerli uniti, legati a me, guidarli io stesso permonti e per valli, attraverso tutte le Alpi, fino a Trento,fino a Cortina, fino alle loro case; vorrei esser con lorofino all'ultimo, ma non lasciarli andare così, cacciarli viacome cani randagi, senza un soldo, senza un tozzo dipane!Già i primi gruppi se ne andavano a piedi, stracarichi,giù per la strada di Valpelline. Se ne andavano senza sa-lutar nessuno, in cammino verso le loro case. E chiavrebbero dovuto salutare? Forse i loro ufficiali che liavevano così vigliaccamente abbandonati al loro desti-no? Poveri ragazzi! mi facevano pena. I miei erano an-cora incerti, forse per la lontananza delle loro case. Ionon cessavo di incoraggiarli, di esortarli a restare uniti,e di attendere qualche giorno per vedere come si mette-vano le cose. Sapevo che non avevo più alcuna autoritàcome ufficiale; ma la mia parola valeva ancora qualchecosa ed era ancora ascoltata. Quasi tutti decidono di ri-

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manere.I soldati svendevano ogni cosa per procurarsi quattrostracci borghesi e qualche soldo per il viaggio. Una pic-cozza per 7 lire, un moschetto per 30, una tenda per 50,il loro corredo completo per uno straccio di abito da mi-natore. A Valpelline hanno messo su un banchetto e ven-devano ogni cosa al miglior offerente.

13 settembre, lunedì. La solita ridda di notizie fantasti-che, snervanti. Non si sa più cosa credere, cosa pensare,cosa fare. Attendere. Che cosa? Continua l'esodo dei po-chi rimasti. Anche alcuni ufficiali vorrebbero andarsene,ma vorrebbero essere in regola, avere in mano un fogliodi licenza, un documento qualsiasi che dimostri che nonsono disertori. Il capitano scende ad Aosta e ritorna lasera con la dichiarazione verbale di Boffa che siamoprosciolti dal giuramento e che quindi siamo in libertà.Nessun documento scritto. Anche noi dunque siamo rin-viati a casa come i soldati, a nostro rischio e pericolo econ un calcio nel sedere. Ci hanno inviato i nostri libret-ti personali, ma il messo che doveva portarceli non èmai arrivato e i libretti chissà dove sono finiti.Ci avvertono che non riceveremo più né stipendio, néindennità: io non ho ricevuto neppure lo stipendio d'ago-sto: forse il vaglia, ch'era giunto ad Aosta, se l'è intasca-to qualche maresciallo. La scuola invia un accontostraordinario di 1000 lire a tutti gli ufficiali istruttori:non a me, perché non sono effettivo alla Scuola. Graziedell'attenzione: come se non avessi lavorato per la Scuo-

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manere.I soldati svendevano ogni cosa per procurarsi quattrostracci borghesi e qualche soldo per il viaggio. Una pic-cozza per 7 lire, un moschetto per 30, una tenda per 50,il loro corredo completo per uno straccio di abito da mi-natore. A Valpelline hanno messo su un banchetto e ven-devano ogni cosa al miglior offerente.

13 settembre, lunedì. La solita ridda di notizie fantasti-che, snervanti. Non si sa più cosa credere, cosa pensare,cosa fare. Attendere. Che cosa? Continua l'esodo dei po-chi rimasti. Anche alcuni ufficiali vorrebbero andarsene,ma vorrebbero essere in regola, avere in mano un fogliodi licenza, un documento qualsiasi che dimostri che nonsono disertori. Il capitano scende ad Aosta e ritorna lasera con la dichiarazione verbale di Boffa che siamoprosciolti dal giuramento e che quindi siamo in libertà.Nessun documento scritto. Anche noi dunque siamo rin-viati a casa come i soldati, a nostro rischio e pericolo econ un calcio nel sedere. Ci hanno inviato i nostri libret-ti personali, ma il messo che doveva portarceli non èmai arrivato e i libretti chissà dove sono finiti.Ci avvertono che non riceveremo più né stipendio, néindennità: io non ho ricevuto neppure lo stipendio d'ago-sto: forse il vaglia, ch'era giunto ad Aosta, se l'è intasca-to qualche maresciallo. La scuola invia un accontostraordinario di 1000 lire a tutti gli ufficiali istruttori:non a me, perché non sono effettivo alla Scuola. Graziedell'attenzione: come se non avessi lavorato per la Scuo-

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la quanto gli altri e forse molto più degli altri. Così, nonsapendo ancora quanto tempo dovrò rimanere a Ollo-mont, né quando potrei ricevere qualcosa da casa, debbocercare di far durare il più possibile quel poco che ho intasca. Vorrei vestirmi in borghese, ma non posso per-mettermi il lusso di comprarmi un abito.Parecchi soldati circolano ormai in borghese; parecchiborghesi hanno indumenti militari che hanno acquistatoo scambiato coi soldati. Non si distinguono più gli unidagli altri.I soldati si rimettono in divisa solo per poter ricevere ilrancio e partecipare alle distribuzioni viveri del magaz-zino. Caos completo. Tristezza e desolazione.

Tutte le tende sono state ormai levate (o rubate); man-giamo seduti sui gradini del magazzino o sul marciapie-de della strada, passandoci a turno i pochi coperchi digavetta e gli unici due cucchiai che ci sono rimasti. Cicontiamo. Tra ufficiali e soldati siamo ancora più di 50.Scagno avverte che nessuno si faccia più illusioni;ognuno dovrà d'ora in poi provvedere a sé stesso. Gli ul-timi viveri del magazzino sono stati distribuiti e nonsarà più possibile fare il rancio per tutti. Chi vuol rima-nere, dovrà cercare sistemazione e lavoro. Noi ufficialisiamo decisi a rimanere uniti, quanto possibile. I soldatisi sparpagliano a gruppi nelle case e nei paesini vicini.Nella notte profonda, con una faticosa corvé, caliamonel pozzo della miniera armi e munizioni. Potranno for-se ancora servire. Ci sentiamo decisi a tutto, e pensiamo

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la quanto gli altri e forse molto più degli altri. Così, nonsapendo ancora quanto tempo dovrò rimanere a Ollo-mont, né quando potrei ricevere qualcosa da casa, debbocercare di far durare il più possibile quel poco che ho intasca. Vorrei vestirmi in borghese, ma non posso per-mettermi il lusso di comprarmi un abito.Parecchi soldati circolano ormai in borghese; parecchiborghesi hanno indumenti militari che hanno acquistatoo scambiato coi soldati. Non si distinguono più gli unidagli altri.I soldati si rimettono in divisa solo per poter ricevere ilrancio e partecipare alle distribuzioni viveri del magaz-zino. Caos completo. Tristezza e desolazione.

Tutte le tende sono state ormai levate (o rubate); man-giamo seduti sui gradini del magazzino o sul marciapie-de della strada, passandoci a turno i pochi coperchi digavetta e gli unici due cucchiai che ci sono rimasti. Cicontiamo. Tra ufficiali e soldati siamo ancora più di 50.Scagno avverte che nessuno si faccia più illusioni;ognuno dovrà d'ora in poi provvedere a sé stesso. Gli ul-timi viveri del magazzino sono stati distribuiti e nonsarà più possibile fare il rancio per tutti. Chi vuol rima-nere, dovrà cercare sistemazione e lavoro. Noi ufficialisiamo decisi a rimanere uniti, quanto possibile. I soldatisi sparpagliano a gruppi nelle case e nei paesini vicini.Nella notte profonda, con una faticosa corvé, caliamonel pozzo della miniera armi e munizioni. Potranno for-se ancora servire. Ci sentiamo decisi a tutto, e pensiamo

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già seriamente all'organizzazione di bande di partigiani.Ieri ero ancora ufficiale. Oggi sono ladro e non esiterei afare il bandito!Giovedì (16) due borghesi saliti in auto da Aosta ci por-tano notizie sensazionali e allarmistiche. Ci consiglianodi sgombrare immediatamente da Ollomont e di instal-larci in qualche malga più in alto e più al sicuro. A Ollo-mont potrebbero arrivare da un momento all'altro i tede-schi in macchina a prelevarci in massa, come hanno fat-to – dicono – ad Aosta. Effettivamente non si può conti-nuare a fare cucina al lato della strada e a mangiare nellegavette sul muricciolo in vista di tutti. Siamo ancora introppi e diamo troppo nell'occhio. Decidiamo di allonta-narci. D'accordo con Scagno, penso di andare in ricogni-zione alla malghe di Brenà e di Porchàres per esaminarele possibilità di installarci alla meno peggio.A Ollomont mi consigliano di andare al Berio. Cerco ilpadrone per chiedergli il consenso; è un granbrav'uomo, che anche in seguito si piglierà molto a cuo-re la nostra situazione e cercherà di aiutarci in tutti imodi. Poi salgo alle malghe; mi sembra che si prestino,almeno per una situazione provvisoria e la posizione èmolto favorevole, data la vicinanza del paese e la vistadominante sulla vallata, che ci permette di osservarequalsiasi movimento o arrivo di tedeschi. I compagniapprovano senz'altro la mia decisione. Vi ritorno la serastessa con Macchietto, Caldart e Pais; dormiamo nel fie-no e al mattino successivo ci mettiamo alacrementeall'opera per ripulire, riformare, adattare la nostra nuova

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già seriamente all'organizzazione di bande di partigiani.Ieri ero ancora ufficiale. Oggi sono ladro e non esiterei afare il bandito!Giovedì (16) due borghesi saliti in auto da Aosta ci por-tano notizie sensazionali e allarmistiche. Ci consiglianodi sgombrare immediatamente da Ollomont e di instal-larci in qualche malga più in alto e più al sicuro. A Ollo-mont potrebbero arrivare da un momento all'altro i tede-schi in macchina a prelevarci in massa, come hanno fat-to – dicono – ad Aosta. Effettivamente non si può conti-nuare a fare cucina al lato della strada e a mangiare nellegavette sul muricciolo in vista di tutti. Siamo ancora introppi e diamo troppo nell'occhio. Decidiamo di allonta-narci. D'accordo con Scagno, penso di andare in ricogni-zione alla malghe di Brenà e di Porchàres per esaminarele possibilità di installarci alla meno peggio.A Ollomont mi consigliano di andare al Berio. Cerco ilpadrone per chiedergli il consenso; è un granbrav'uomo, che anche in seguito si piglierà molto a cuo-re la nostra situazione e cercherà di aiutarci in tutti imodi. Poi salgo alle malghe; mi sembra che si prestino,almeno per una situazione provvisoria e la posizione èmolto favorevole, data la vicinanza del paese e la vistadominante sulla vallata, che ci permette di osservarequalsiasi movimento o arrivo di tedeschi. I compagniapprovano senz'altro la mia decisione. Vi ritorno la serastessa con Macchietto, Caldart e Pais; dormiamo nel fie-no e al mattino successivo ci mettiamo alacrementeall'opera per ripulire, riformare, adattare la nostra nuova

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abitazione. A mezzogiorno era già trasformata e irrico-noscibile. Abbiamo fatto anche una presa per l'acqua; hotrovato un fornello, varie panche, assi, ecc. che ci per-metteranno di sistemarci discretamente.Tutto ciò mi diverte e mi distrae; sono pieno di iniziati-va e di entusiasmo per la nuova vita che sta per iniziarsie che ha tutto il carattere di quella di un rifugio alpinochiuso, con in più quel tanto di avventuroso dato dallanostra particolare situazione.Sorge però così il problema economico. Alcuni di noiavevano i mezzi per provvedere a sé stessi; ma non pos-siamo provvedere anche per chi non ha mezzi, anche peri soldati. Siamo e dobbiamo esser tutti solidali: ognunomette in comune, a profitto della comunità, tutte le pro-prie risorse, tutte le proprie energie. Puliti dà l'esempiomettendo a disposizione una cassetta di viveri di riservache aveva raccolto ad Aosta. Io riesco a guadagnare1000 lire, accompagnando alla frontiera svizzera un per-seguitato politico: in un primo momento pensavo di averdiritto di tenermele, in sostituzione allo stipendio e alleindennità, che, a differenza degli altri ufficiali, io nonavevo ricevuto; ma poi preferisco dare anch'io il buonesempio e mettere la somma a disposizione della comu-nità, insieme a due carte annonarie che avevo potuto ot-tenere dalla stessa persona. Caldart e Pais si fanno scru-polo di pesare sulla comunità, vanno a vendere alcunioggetti militari e portano anche loro il loro contributo di1000 lire. Altre persone che accompagnamo al colle, civersano somme anche più cospicue. Così si costituisce

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abitazione. A mezzogiorno era già trasformata e irrico-noscibile. Abbiamo fatto anche una presa per l'acqua; hotrovato un fornello, varie panche, assi, ecc. che ci per-metteranno di sistemarci discretamente.Tutto ciò mi diverte e mi distrae; sono pieno di iniziati-va e di entusiasmo per la nuova vita che sta per iniziarsie che ha tutto il carattere di quella di un rifugio alpinochiuso, con in più quel tanto di avventuroso dato dallanostra particolare situazione.Sorge però così il problema economico. Alcuni di noiavevano i mezzi per provvedere a sé stessi; ma non pos-siamo provvedere anche per chi non ha mezzi, anche peri soldati. Siamo e dobbiamo esser tutti solidali: ognunomette in comune, a profitto della comunità, tutte le pro-prie risorse, tutte le proprie energie. Puliti dà l'esempiomettendo a disposizione una cassetta di viveri di riservache aveva raccolto ad Aosta. Io riesco a guadagnare1000 lire, accompagnando alla frontiera svizzera un per-seguitato politico: in un primo momento pensavo di averdiritto di tenermele, in sostituzione allo stipendio e alleindennità, che, a differenza degli altri ufficiali, io nonavevo ricevuto; ma poi preferisco dare anch'io il buonesempio e mettere la somma a disposizione della comu-nità, insieme a due carte annonarie che avevo potuto ot-tenere dalla stessa persona. Caldart e Pais si fanno scru-polo di pesare sulla comunità, vanno a vendere alcunioggetti militari e portano anche loro il loro contributo di1000 lire. Altre persone che accompagnamo al colle, civersano somme anche più cospicue. Così si costituisce

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rapidamente un fondo comune, che ci dà già una certatranquillità. Anche le risorse alimentari non ci mancano:alle nostre riserve del magazzino viveri vengono ad ag-giungersi patate e funghi in abbondanza, che costitui-scono la base di quasi tutti i nostri pasti.Tutto procede per il meglio, dunque. Si lavora intensa-mente e assiduamente, alternandosi nelle varie incom-benze. Quasi tutti danno esempio di buona volontà e dicameratismo, offrendosi spontaneamente per qualsiasilavoro, senza che ci sia bisogno di invitare i restii. Notocon piacere che anche gli ufficiali si assumono spesso icompiti più ingrati, anziché lasciarli ai soldati. Ci sentia-mo davvero tutti compagni, tutti amici, tutti eguali. Det-tando lo statuto di questa nostra piccola repubblica indi-pendente, insisto più volte su questo carattere eminente-mente comunista. Massima solidarietà; nessuno devepensare per sé, ma solo per la comunità; tutti i beni, tuttii profitti (in denaro o in generi), tutti i lavori saranno incomune; vorrei ottenere che tutti ci dessimo del tu, ma isoldati sono restii, forse più che altro per forza d'abitudi-ne. Ci chiamano però per nome, abolendo ormail'espressione fuori luogo di «signor tenente».Ma sono inezie: nei rapporti tra di noi, nel parlare, intutto c'è la massima fraternità, eguaglianza e libertà.Davvero l'esperimento comunista nel nostro piccolo sta-to ha avuto pieno successo. Ma questo è dovuto nonsolo al sistema, ma soprattutto allo spirito di collabora-zione, di dedizione alla causa comune, di altruismo e dionestà che prevale in tutti noi.

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rapidamente un fondo comune, che ci dà già una certatranquillità. Anche le risorse alimentari non ci mancano:alle nostre riserve del magazzino viveri vengono ad ag-giungersi patate e funghi in abbondanza, che costitui-scono la base di quasi tutti i nostri pasti.Tutto procede per il meglio, dunque. Si lavora intensa-mente e assiduamente, alternandosi nelle varie incom-benze. Quasi tutti danno esempio di buona volontà e dicameratismo, offrendosi spontaneamente per qualsiasilavoro, senza che ci sia bisogno di invitare i restii. Notocon piacere che anche gli ufficiali si assumono spesso icompiti più ingrati, anziché lasciarli ai soldati. Ci sentia-mo davvero tutti compagni, tutti amici, tutti eguali. Det-tando lo statuto di questa nostra piccola repubblica indi-pendente, insisto più volte su questo carattere eminente-mente comunista. Massima solidarietà; nessuno devepensare per sé, ma solo per la comunità; tutti i beni, tuttii profitti (in denaro o in generi), tutti i lavori saranno incomune; vorrei ottenere che tutti ci dessimo del tu, ma isoldati sono restii, forse più che altro per forza d'abitudi-ne. Ci chiamano però per nome, abolendo ormail'espressione fuori luogo di «signor tenente».Ma sono inezie: nei rapporti tra di noi, nel parlare, intutto c'è la massima fraternità, eguaglianza e libertà.Davvero l'esperimento comunista nel nostro piccolo sta-to ha avuto pieno successo. Ma questo è dovuto nonsolo al sistema, ma soprattutto allo spirito di collabora-zione, di dedizione alla causa comune, di altruismo e dionestà che prevale in tutti noi.

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Anche i compagni sono lieti del successo dei miei traffi-ci, si affidano interamente a me, si interessano vivamen-te e me ne riconoscono il merito. Scagno mi chiedecome ho fatto a mettere insieme tanti soldi. Non mi van-to coi compagni, poiché mi basta la soddisfazione diquello che ho potuto fare per loro, e non faccio pesare lelunghe marce quotidiane e i grandi dislivelli con lo zai-no carico, anche se qualche volta mi son sentito vera-mente stanco, quasi esausto. (Il solo Scagno, pieno dicomprensione come sempre, mi raccomandava di nonstancarmi troppo). In fondo, anche le lunghe marce,spesso a tempo di record, talvolta tra la nebbia e la tor-menta mi davano felicità: la felicità di vagare per i mon-ti, libero e talvolta solo, di cercarmi i sentieri, di studia-re i passaggi più brevi, di andare all'avventura.Per 9 giorni consecutivi sono salito al confine e anchedopo, se non avevo da salire lassù, avevo sempre da re-carmi di qua e di là per varie cose. Non avevo maiun'ora per me, per le cose mie; gli uomini trovavano iltempo di leggere libri e romanzi e se ne stavano a lettofin tardi al mattino; io a stento trovavo il tempo per scri-vere a casa. Questo diario, tanto in arretrato, l'ho potutoiniziare un pomeriggio alla Capanna Amianthe, ove erorimasto bloccato dal maltempo e l'ho potuto continuarequalche giorno fa nella prima e unica giornata di riposoche ho potuto concedermi. Ho scritto su un prato, alsole, con la schiena appoggiata a un roccione, propriocome facevo gli altri anni in quest'epoca a Tregnago.

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Anche i compagni sono lieti del successo dei miei traffi-ci, si affidano interamente a me, si interessano vivamen-te e me ne riconoscono il merito. Scagno mi chiedecome ho fatto a mettere insieme tanti soldi. Non mi van-to coi compagni, poiché mi basta la soddisfazione diquello che ho potuto fare per loro, e non faccio pesare lelunghe marce quotidiane e i grandi dislivelli con lo zai-no carico, anche se qualche volta mi son sentito vera-mente stanco, quasi esausto. (Il solo Scagno, pieno dicomprensione come sempre, mi raccomandava di nonstancarmi troppo). In fondo, anche le lunghe marce,spesso a tempo di record, talvolta tra la nebbia e la tor-menta mi davano felicità: la felicità di vagare per i mon-ti, libero e talvolta solo, di cercarmi i sentieri, di studia-re i passaggi più brevi, di andare all'avventura.Per 9 giorni consecutivi sono salito al confine e anchedopo, se non avevo da salire lassù, avevo sempre da re-carmi di qua e di là per varie cose. Non avevo maiun'ora per me, per le cose mie; gli uomini trovavano iltempo di leggere libri e romanzi e se ne stavano a lettofin tardi al mattino; io a stento trovavo il tempo per scri-vere a casa. Questo diario, tanto in arretrato, l'ho potutoiniziare un pomeriggio alla Capanna Amianthe, ove erorimasto bloccato dal maltempo e l'ho potuto continuarequalche giorno fa nella prima e unica giornata di riposoche ho potuto concedermi. Ho scritto su un prato, alsole, con la schiena appoggiata a un roccione, propriocome facevo gli altri anni in quest'epoca a Tregnago.

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Ma è ora di venire ormai a quest'ultima esperienza, chesto ancora attraversando, e che è certo la più intimamen-te vissuta e quella che avrà – almeno lo spero – le piùprofonde conseguenze morali e psicologiche, tra quantene ho vissuto in questi ultimi mesi, pur tanto ricchi dieventi e di esperienze. Ma le altre erano tutte esperien-ze, per così dire, esteriori, che dovevo e sapevo fronteg-giare con la mia decisione e la mia forza d'animo. Inquest'ultimo caso invece l'evento esteriore è del tutto se-condario di fronte al problema psicologico a cui mi haposto di fronte e che spero di aver risolto. È un'esperien-za che ha molta analogia e che dovrebbe avere le stesseprofonde conseguenze psicologiche dell'esperienza delleMésules.Era con me Pagliani che aveva fatto una gita da Aostacon la speranza di poter scambiare un po' di vino conqualche sigaretta o pacchetto di tabacco. Avrei dovutoconsegnare un paio di forme, ma soprattutto speravo dipoter anch'io scambiare un po' di vino con tabacco equalche pagnotta, che mi avevano promesso. Sapevoche da parte svizzera era in corso un'inchiesta, ma avevol'impressione che non mi dovesse riguardare. Al colletrovai il solito caporale e insieme a lui un gendarme, cheera al corrente di tutto. Pensai quindi di non aver nullada temere, tanto più che il caporale non mi fece il segna-le convenuto per il caso di pericolo. Salutai e strinsi lamano ad entrambi con la solita cordialità. Il caporale erapresso il cippo di confine e mi parve rispondere un po'imbarazzato alle mie domande. L'agente mi disse che

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Ma è ora di venire ormai a quest'ultima esperienza, chesto ancora attraversando, e che è certo la più intimamen-te vissuta e quella che avrà – almeno lo spero – le piùprofonde conseguenze morali e psicologiche, tra quantene ho vissuto in questi ultimi mesi, pur tanto ricchi dieventi e di esperienze. Ma le altre erano tutte esperien-ze, per così dire, esteriori, che dovevo e sapevo fronteg-giare con la mia decisione e la mia forza d'animo. Inquest'ultimo caso invece l'evento esteriore è del tutto se-condario di fronte al problema psicologico a cui mi haposto di fronte e che spero di aver risolto. È un'esperien-za che ha molta analogia e che dovrebbe avere le stesseprofonde conseguenze psicologiche dell'esperienza delleMésules.Era con me Pagliani che aveva fatto una gita da Aostacon la speranza di poter scambiare un po' di vino conqualche sigaretta o pacchetto di tabacco. Avrei dovutoconsegnare un paio di forme, ma soprattutto speravo dipoter anch'io scambiare un po' di vino con tabacco equalche pagnotta, che mi avevano promesso. Sapevoche da parte svizzera era in corso un'inchiesta, ma avevol'impressione che non mi dovesse riguardare. Al colletrovai il solito caporale e insieme a lui un gendarme, cheera al corrente di tutto. Pensai quindi di non aver nullada temere, tanto più che il caporale non mi fece il segna-le convenuto per il caso di pericolo. Salutai e strinsi lamano ad entrambi con la solita cordialità. Il caporale erapresso il cippo di confine e mi parve rispondere un po'imbarazzato alle mie domande. L'agente mi disse che

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non potevo stare lì dove mi trovavo (ero proprio sul li-mite) e che dovevo scendere qualche passo. Sul princi-pio non gli badai, poi, quando mi ripetè l'invito (di cuinon capivo la ragione) feci per scostarmi sul lato italia-no; ma quello mi precisò di scendere sul lato svizzero edio senza badargli mossi qualche passo da quel lato, sem-pre continuando a parlare col caporale. A un tratto mividi davanti l'agente, con la rivoltella puntata verso dime, che dicendomi: «Içi vous êtes sur Suisse» m'ingiun-geva di mostrargli il contenuto delle mie tasche e delsacco. Ero alquanto stupito di quel trattamento così con-trario alla solita cordialità e gentilezza con cui venivoaccolto dai soldati svizzeri, ma non riuscivo a rendermiconto di quanto stesse accadendo. Domandai cosa c'eradi nuovo, senza ottenere risposte. Pensai che fossero ve-nuti ordini più severi in materia di sconfinamento e chemi si volesse arrestare perché avevo fatto qualche passoal di là del cippo di confine: quella frase dell'agente melo lasciava pensare, ma mi sembrava una pignoleria tan-to assurda, che mi faceva ridere: e poi perché alloral'agente stesso mi aveva invitato a scendere da quellaparte?Dopo il breve inventario del sacco (una maglia, un fia-sco di vino e un binocolo), l'agente ingiunge d'incammi-narci davanti a lui per il sentiero, e di non comunicarecon gli ufficiali italiani rifugiati, che attendevano subitoal di là del colle. Quelli si meravigliarono di vedermiscendere in Svizzera e dissi loro soltanto che mi si face-va scendere mio malgrado. Incontrai il tenente e chiesi

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non potevo stare lì dove mi trovavo (ero proprio sul li-mite) e che dovevo scendere qualche passo. Sul princi-pio non gli badai, poi, quando mi ripetè l'invito (di cuinon capivo la ragione) feci per scostarmi sul lato italia-no; ma quello mi precisò di scendere sul lato svizzero edio senza badargli mossi qualche passo da quel lato, sem-pre continuando a parlare col caporale. A un tratto mividi davanti l'agente, con la rivoltella puntata verso dime, che dicendomi: «Içi vous êtes sur Suisse» m'ingiun-geva di mostrargli il contenuto delle mie tasche e delsacco. Ero alquanto stupito di quel trattamento così con-trario alla solita cordialità e gentilezza con cui venivoaccolto dai soldati svizzeri, ma non riuscivo a rendermiconto di quanto stesse accadendo. Domandai cosa c'eradi nuovo, senza ottenere risposte. Pensai che fossero ve-nuti ordini più severi in materia di sconfinamento e chemi si volesse arrestare perché avevo fatto qualche passoal di là del cippo di confine: quella frase dell'agente melo lasciava pensare, ma mi sembrava una pignoleria tan-to assurda, che mi faceva ridere: e poi perché alloral'agente stesso mi aveva invitato a scendere da quellaparte?Dopo il breve inventario del sacco (una maglia, un fia-sco di vino e un binocolo), l'agente ingiunge d'incammi-narci davanti a lui per il sentiero, e di non comunicarecon gli ufficiali italiani rifugiati, che attendevano subitoal di là del colle. Quelli si meravigliarono di vedermiscendere in Svizzera e dissi loro soltanto che mi si face-va scendere mio malgrado. Incontrai il tenente e chiesi

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anche a lui cosa succedeva e cosa c'era di nuovo, masenza ottenere alcuna risposta. Chiesi all'agente fin dovedovevamo andare (pensavo al rifugio Chanrion) e midisse che l'avrei visto più tardi. Ci fu vietato di parlareanche fra di noi. Dunque era un arresto in piena regola?Mai, in nessun momento pensai a reagire o a fuggire:non per la paura della rivoltella dell'agente, che in veritànon mi aveva fatto la minima impressione, ma solo per-ché ero tanto sicuro del fatto mio e la cosa mi sembravacosì comicamente assurda, che pensavo trattarsi di unequivoco ed ero tutto incuriosito di vedere come andavaa finire questa nuova e strana avventura. D'altronde eroben lieto di poter vedere la vallata svizzera e di avermodo di scendere da quella parte. Al ponte sulla Dran-ce, l'agente ci impose di caricar il suo sacchetto di effettipersonali: per chi ci piglia? Facchini? Servitori? Obbe-dimmo all'ordine, ma ero ben deciso a presentare le mierimostranze a quella qualsiasi autorità verso cui erava-mo diretti. Anziché per il sentiero di Chanrion, ci avvia-mo per quello della valle; dunque andremo almeno finoa Mauvoisin: tanto meglio: farò la conoscenza con lavalle di Bagnes, e l'avventura si fa ancora più interes-sante, perché così non potremo ritornare al colle primadi sera, e avremo modo di farci ospitare a cena e la nottein Svizzera. Osservo con interesse i versanti opposti deimonti di confine, del Combin, i ghiacciai, la vallata, chesi serra in una lunga gola desolata, selvaggia e monoto-na. Ero allegro e divertito. Non mi rendevo neppur con-to di essere in istato d'arresto. Pensavo a qualche storia

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anche a lui cosa succedeva e cosa c'era di nuovo, masenza ottenere alcuna risposta. Chiesi all'agente fin dovedovevamo andare (pensavo al rifugio Chanrion) e midisse che l'avrei visto più tardi. Ci fu vietato di parlareanche fra di noi. Dunque era un arresto in piena regola?Mai, in nessun momento pensai a reagire o a fuggire:non per la paura della rivoltella dell'agente, che in veritànon mi aveva fatto la minima impressione, ma solo per-ché ero tanto sicuro del fatto mio e la cosa mi sembravacosì comicamente assurda, che pensavo trattarsi di unequivoco ed ero tutto incuriosito di vedere come andavaa finire questa nuova e strana avventura. D'altronde eroben lieto di poter vedere la vallata svizzera e di avermodo di scendere da quella parte. Al ponte sulla Dran-ce, l'agente ci impose di caricar il suo sacchetto di effettipersonali: per chi ci piglia? Facchini? Servitori? Obbe-dimmo all'ordine, ma ero ben deciso a presentare le mierimostranze a quella qualsiasi autorità verso cui erava-mo diretti. Anziché per il sentiero di Chanrion, ci avvia-mo per quello della valle; dunque andremo almeno finoa Mauvoisin: tanto meglio: farò la conoscenza con lavalle di Bagnes, e l'avventura si fa ancora più interes-sante, perché così non potremo ritornare al colle primadi sera, e avremo modo di farci ospitare a cena e la nottein Svizzera. Osservo con interesse i versanti opposti deimonti di confine, del Combin, i ghiacciai, la vallata, chesi serra in una lunga gola desolata, selvaggia e monoto-na. Ero allegro e divertito. Non mi rendevo neppur con-to di essere in istato d'arresto. Pensavo a qualche storia

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per il traffico di fontine; qualcuno mi aveva accennatoalle valigie di alcuni rifugiati, che avevo portato al collequalche giorno prima, perché venissero recapitate ai de-stinatari. Non avevo controllato il contenuto di quellevaligie (che erano chiuse), ma mi era stato detto che sitrattava di indumenti invernali usati: d'altronde non misembrava possibile che quei rifugiati avessero potutomettere in quelle valigie qualcosa di compromettente,che avrebbe potuto arrecare noie non solo a noi ma piùancora a loro stessi. D'altronde quelle valigie erano indi-rizzate presso l'ispettor generale delle Dogane a Berna, emi pareva questa la miglior garanzia sulla legittimità delcontenuto. Insomma, qualsiasi fosse il motivo dell'arre-sto, non poteva preoccuparmi. Pagliani era invece un po'preoccupato per i suoi, che non avrebbero saputo spie-garsi la sua assenza: mi spiaceva per lui e di averlo in-volontariamente coinvolto in un'avventura che certo nonlo riguardava affatto. A un posto di guardia a metà valla-ta, ci venne offerto caffè, pane e formaggio. Caffè vero!Quanto tempo! E come lo gustammo. L'avventura si fa-ceva sempre più attraente. Più tardi, a Mauvoisin, civenne offerto pane, formaggio, cioccolato (vero!), caffè(vero!) e vino bianco in abbondanza. Di bene in meglio;l'avventura ci metteva sempre più in allegria, tanto piùche ora ci era lecito anche di parlare tra di noi e coi varisoldati che incontravamo e che, credendoci rifugiati, citrattavano con grande cordialità. Il caporale, che ci ave-va raggiunto, mi fece più volte il segnale convenuto dipericolo (a che serviva ormai?) e cenno di tacere: riuscì

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per il traffico di fontine; qualcuno mi aveva accennatoalle valigie di alcuni rifugiati, che avevo portato al collequalche giorno prima, perché venissero recapitate ai de-stinatari. Non avevo controllato il contenuto di quellevaligie (che erano chiuse), ma mi era stato detto che sitrattava di indumenti invernali usati: d'altronde non misembrava possibile che quei rifugiati avessero potutomettere in quelle valigie qualcosa di compromettente,che avrebbe potuto arrecare noie non solo a noi ma piùancora a loro stessi. D'altronde quelle valigie erano indi-rizzate presso l'ispettor generale delle Dogane a Berna, emi pareva questa la miglior garanzia sulla legittimità delcontenuto. Insomma, qualsiasi fosse il motivo dell'arre-sto, non poteva preoccuparmi. Pagliani era invece un po'preoccupato per i suoi, che non avrebbero saputo spie-garsi la sua assenza: mi spiaceva per lui e di averlo in-volontariamente coinvolto in un'avventura che certo nonlo riguardava affatto. A un posto di guardia a metà valla-ta, ci venne offerto caffè, pane e formaggio. Caffè vero!Quanto tempo! E come lo gustammo. L'avventura si fa-ceva sempre più attraente. Più tardi, a Mauvoisin, civenne offerto pane, formaggio, cioccolato (vero!), caffè(vero!) e vino bianco in abbondanza. Di bene in meglio;l'avventura ci metteva sempre più in allegria, tanto piùche ora ci era lecito anche di parlare tra di noi e coi varisoldati che incontravamo e che, credendoci rifugiati, citrattavano con grande cordialità. Il caporale, che ci ave-va raggiunto, mi fece più volte il segnale convenuto dipericolo (a che serviva ormai?) e cenno di tacere: riuscì

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a dirmi che si trattava dell'affare delle fontine. L'agenteinvece, più tardi a Fionnay, mi disse che si trattava deibagagli, ma che anche lui non ne aveva capito granchéin quella faccenda e che solo aveva avuto l'ordine dicondurci giù, perché si voleva interrogarci. Davvero unabella passeggiata per un interrogatorio! Era diventatomeno severo, forse anche vedendo il nostro buon com-portamento e la nostra spensierata allegria. Si era ancheben fidato di noi, accompagnandoci giù lui solo nellanotte buia e nebbiosa, lungo la mulattiera tagliata nellagola della valle: sarebbe bastato uno spintone... Ci portòa dormire in una camera d'albergo, tutti e due assieme, eci lasciò praticamente liberi. Eravamo un po' stanchidella lunga marcia, e gustai molto quel letto morbido equel piumino dopo tante notti passate nella tenda di Ol-lomont e sui pagliericci del Berio. Sarebbe stato ben fa-cile andarsene durante la notte; chi ci avrebbe pescato inuna notte così buia? anche i posti di blocco ai passaggiobbligati della valle, li avrei ben saputi evitare, ora chesapevo esattamente dov'erano. Al mattino uscii da soloin paese: vidi un cartello col segnavia per il rifugio Pa-nossière: anche di qua sarebbe stato ben facile e ben si-curo l'andarcene. Certo a quel rifugio non c'era nessuno,e chi ci avrebbe potuto inseguire e raggiungere, col no-stro passo, su per la mulattiera, chi sarebbe venuto a cer-carci su per le creste del Combin? Avremmo certo potu-to raggiungere prima di sera l'Amianthe e il Berio. Ep-pure ridevo di queste idee di facili fughe: mai un mo-mento ci pensai seriamente. Forse se mi avessero invita-

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a dirmi che si trattava dell'affare delle fontine. L'agenteinvece, più tardi a Fionnay, mi disse che si trattava deibagagli, ma che anche lui non ne aveva capito granchéin quella faccenda e che solo aveva avuto l'ordine dicondurci giù, perché si voleva interrogarci. Davvero unabella passeggiata per un interrogatorio! Era diventatomeno severo, forse anche vedendo il nostro buon com-portamento e la nostra spensierata allegria. Si era ancheben fidato di noi, accompagnandoci giù lui solo nellanotte buia e nebbiosa, lungo la mulattiera tagliata nellagola della valle: sarebbe bastato uno spintone... Ci portòa dormire in una camera d'albergo, tutti e due assieme, eci lasciò praticamente liberi. Eravamo un po' stanchidella lunga marcia, e gustai molto quel letto morbido equel piumino dopo tante notti passate nella tenda di Ol-lomont e sui pagliericci del Berio. Sarebbe stato ben fa-cile andarsene durante la notte; chi ci avrebbe pescato inuna notte così buia? anche i posti di blocco ai passaggiobbligati della valle, li avrei ben saputi evitare, ora chesapevo esattamente dov'erano. Al mattino uscii da soloin paese: vidi un cartello col segnavia per il rifugio Pa-nossière: anche di qua sarebbe stato ben facile e ben si-curo l'andarcene. Certo a quel rifugio non c'era nessuno,e chi ci avrebbe potuto inseguire e raggiungere, col no-stro passo, su per la mulattiera, chi sarebbe venuto a cer-carci su per le creste del Combin? Avremmo certo potu-to raggiungere prima di sera l'Amianthe e il Berio. Ep-pure ridevo di queste idee di facili fughe: mai un mo-mento ci pensai seriamente. Forse se mi avessero invita-

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to a fuggire, avrei rifiutato, tanto ero divertito dalla no-stra strana avventura e tanto ero incuriosito di vedernela fine. Quando ci dissero che dovevamo scendere fino aMartigny, fummo più che mai entusiasti del bel viagget-to che ci si proponeva. Incoscienza? fiducia eccessiva-mente cieca nella propria sorte, che presupponevo do-vesse sempre condurmi a buon fine in ogni avventura?Probabilmente era proprio la mia buona sorte a rendermicosì cieco e incosciente durante tutto il viaggio, affinchéio arrivassi qui in questa cella; perché dovevo venir qui,era necessario ch'io venissi qui affinché la mia mente ela mia coscienza s'illuminassero di quella verità che nel-le ultime settimane io non avevo voluto vedere.Solo quando entrai nella prima stanzetta e fui invitato adeporre quanto avevo nelle tasche, realizzai che davveroci si conduceva in prigione. La forma dell'arresto avreb-be ben dovuto lasciarmelo supporre, ma la libertà che ciera stata concessa durante il viaggio mi aveva fatto sup-porre che si trattasse davvero di un semplice interroga-torio. Le pesanti sbarre dei cancelli sulle scale, mi fece-ro una certa impressione; ma ancor più ebbi un momen-to di sconforto, quando fui chiuso in cella da solo, sepa-rato da Pagliani. Tuttavia pensai ancora si trattasse diuna semplice formalità provvisoria, in attesa dell'inter-rogatorio che avrebbe potuto svolgersi nel pomeriggio.Quando venne il custode a portarmi il rancio di mezzo-giorno (un'ottima zuppa con pasta bianca, molto sostan-ziosa e abbondante), gli chiesi quando saremmo stati in-terrogati e quando avremmo potuto avere una spiegazio-

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to a fuggire, avrei rifiutato, tanto ero divertito dalla no-stra strana avventura e tanto ero incuriosito di vedernela fine. Quando ci dissero che dovevamo scendere fino aMartigny, fummo più che mai entusiasti del bel viagget-to che ci si proponeva. Incoscienza? fiducia eccessiva-mente cieca nella propria sorte, che presupponevo do-vesse sempre condurmi a buon fine in ogni avventura?Probabilmente era proprio la mia buona sorte a rendermicosì cieco e incosciente durante tutto il viaggio, affinchéio arrivassi qui in questa cella; perché dovevo venir qui,era necessario ch'io venissi qui affinché la mia mente ela mia coscienza s'illuminassero di quella verità che nel-le ultime settimane io non avevo voluto vedere.Solo quando entrai nella prima stanzetta e fui invitato adeporre quanto avevo nelle tasche, realizzai che davveroci si conduceva in prigione. La forma dell'arresto avreb-be ben dovuto lasciarmelo supporre, ma la libertà che ciera stata concessa durante il viaggio mi aveva fatto sup-porre che si trattasse davvero di un semplice interroga-torio. Le pesanti sbarre dei cancelli sulle scale, mi fece-ro una certa impressione; ma ancor più ebbi un momen-to di sconforto, quando fui chiuso in cella da solo, sepa-rato da Pagliani. Tuttavia pensai ancora si trattasse diuna semplice formalità provvisoria, in attesa dell'inter-rogatorio che avrebbe potuto svolgersi nel pomeriggio.Quando venne il custode a portarmi il rancio di mezzo-giorno (un'ottima zuppa con pasta bianca, molto sostan-ziosa e abbondante), gli chiesi quando saremmo stati in-terrogati e quando avremmo potuto avere una spiegazio-

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ne del nostro arresto: mi disse che non sapeva e che nonpoteva rispondere su tale argomento. Mi venne in mentesolo allora che era sabato pomeriggio (9 ottobre) e che ifunzionari non sarebbero venuti forse fino al lunedì. Laprospettiva di dover rimanere in cella quasi due giornimi parve in quel momento disperatamente, insopporta-bilmente lunga.Come avrei fatto a tirare fino al lunedì? La solitudinestessa, la segregazione in quelle condizioni, mi facevaterrore: mi sembrava di non aver più la forza di regger-mi, di dominarmi, di controllarmi.

Nel pomeriggio della domenica venne inaspettatamenteil commissario delle dogane per una prima presa di con-tatto. Mi spiegò trattarsi di informazioni doganali perl'affare delle valigie e quello delle fontine. Cercai di di-mostrargli la mia piena innocenza e la mia perfetta buo-na fede, mi parve abbastanza convinto, imputandomi indefinitiva soltanto la colpa di non aver esibito le proveche la dogana venisse effettivamente pagata. L'unicamia colpa sarebbe dunque l'aver avuto fiducia nei solda-ti e nell'ufficiale svizzero. Mi sembrava che questa nonpotesse essere neppure un'imputazione, né mi assicuròche secondo le leggi svizzere, anche per questo solo eropassibile di un'ammenda, sia pure in misura molto infe-riore a quella dei principali responsabili.Mi piacque molto il modo di investigare; volle saperetutto di noi, della nostra vita, della nostra situazione e simostrò pieno di comprensione delle particolari circo-

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ne del nostro arresto: mi disse che non sapeva e che nonpoteva rispondere su tale argomento. Mi venne in mentesolo allora che era sabato pomeriggio (9 ottobre) e che ifunzionari non sarebbero venuti forse fino al lunedì. Laprospettiva di dover rimanere in cella quasi due giornimi parve in quel momento disperatamente, insopporta-bilmente lunga.Come avrei fatto a tirare fino al lunedì? La solitudinestessa, la segregazione in quelle condizioni, mi facevaterrore: mi sembrava di non aver più la forza di regger-mi, di dominarmi, di controllarmi.

Nel pomeriggio della domenica venne inaspettatamenteil commissario delle dogane per una prima presa di con-tatto. Mi spiegò trattarsi di informazioni doganali perl'affare delle valigie e quello delle fontine. Cercai di di-mostrargli la mia piena innocenza e la mia perfetta buo-na fede, mi parve abbastanza convinto, imputandomi indefinitiva soltanto la colpa di non aver esibito le proveche la dogana venisse effettivamente pagata. L'unicamia colpa sarebbe dunque l'aver avuto fiducia nei solda-ti e nell'ufficiale svizzero. Mi sembrava che questa nonpotesse essere neppure un'imputazione, né mi assicuròche secondo le leggi svizzere, anche per questo solo eropassibile di un'ammenda, sia pure in misura molto infe-riore a quella dei principali responsabili.Mi piacque molto il modo di investigare; volle saperetutto di noi, della nostra vita, della nostra situazione e simostrò pieno di comprensione delle particolari circo-

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stanze in cui ci trovavamo. Non badava tanto al fattomateriale, quanto ai moventi psicologici. Questa è verae intelligente giustizia! Dopo aver superata la crisi psi-cologica ero già calmo e ho potuto sostenere l'interroga-torio con perfetta lucidità e, mi sembra, con buoni effet-ti. Dopo l'interrogatorio mi sentivo anche più sereno,perché finalmente sapevo qual era l'imputazione ed eroormai certo che comunque non ci potesse essere nulla digrave. Soltanto la cosa sarebbe andata per le lunghe perle necessità dell'inchiesta, che avrebbe dovuto estendersia molte persone, per di più a militari che avrebbero do-vuto essere interrogati sul posto (Chanrion). Quindi,nell'attesa, la prospettiva di star dentro almeno una setti-mana. Il primo giorno, la prospettiva di star rinchiusofino al lunedì in attesa dell'inchiesta mi era parsa quasiintollerabile ed esasperante. Ora la prospettiva di stardentro una settimana o più non m'impressionava affatto;l'accolsi con una rassegnazione che aveva quasidell'indifferenza.

Lunedì (11 ottobre) interrogatorio dalla mattina allasera. Non mi ha affatto stancato, anche per il fatto chenon avevo bisogno di raccontar storie, ma avevo solo dadire tutta la verità. Ormai non mi importava niente diaccusare quei militari svizzeri che mi avevano inganna-to e che mi avevano trascinato in questo pasticcio: laschietta verità era la mia miglior difesa. E l'ho detta conuno scrupolo di onestà forse perfino eccessivo. Mi hamolto interessato il metodo d'inchiesta, che ha voluto ri-

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stanze in cui ci trovavamo. Non badava tanto al fattomateriale, quanto ai moventi psicologici. Questa è verae intelligente giustizia! Dopo aver superata la crisi psi-cologica ero già calmo e ho potuto sostenere l'interroga-torio con perfetta lucidità e, mi sembra, con buoni effet-ti. Dopo l'interrogatorio mi sentivo anche più sereno,perché finalmente sapevo qual era l'imputazione ed eroormai certo che comunque non ci potesse essere nulla digrave. Soltanto la cosa sarebbe andata per le lunghe perle necessità dell'inchiesta, che avrebbe dovuto estendersia molte persone, per di più a militari che avrebbero do-vuto essere interrogati sul posto (Chanrion). Quindi,nell'attesa, la prospettiva di star dentro almeno una setti-mana. Il primo giorno, la prospettiva di star rinchiusofino al lunedì in attesa dell'inchiesta mi era parsa quasiintollerabile ed esasperante. Ora la prospettiva di stardentro una settimana o più non m'impressionava affatto;l'accolsi con una rassegnazione che aveva quasidell'indifferenza.

Lunedì (11 ottobre) interrogatorio dalla mattina allasera. Non mi ha affatto stancato, anche per il fatto chenon avevo bisogno di raccontar storie, ma avevo solo dadire tutta la verità. Ormai non mi importava niente diaccusare quei militari svizzeri che mi avevano inganna-to e che mi avevano trascinato in questo pasticcio: laschietta verità era la mia miglior difesa. E l'ho detta conuno scrupolo di onestà forse perfino eccessivo. Mi hamolto interessato il metodo d'inchiesta, che ha voluto ri-

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salire fino alle cause più lontane, ha voluto entrare neipiù minuti dettagli, e ha sempre tenuto conto soprattuttodei moventi psicologici. Sarò riuscito a dimostrare lamia buona fede? Lo spero; ma tutto dipende dalle depo-sizioni degli altri, che avranno tutto l'interesse invece adire che io ero al corrente della frode. Dal momento cheè provato che da parte mia non c'è stato contrabbando,tutta l'accusa si poggia sulla questione della buona fede.Intanto mi toccherà star qui fino alla fine dell'inchiesta.Solo allora potrei ottenere la libertà provvisoria in attesadel giudizio; ma per ottenerla dovrei versare una fortesomma a cauzione. Dove trovare qui questa somma? Alcambio attuale (70 lire per 1 franco) anche una piccolacifra comporta somme enormi che non posso pensare afarmi venire dall'Italia. Potrei farmi venire i 250 fr. gua-dagnati, che ho al Berio, ma questi potranno forse basta-re per l'eventuale ammenda, non certo per la cauzione.Potrei chiederla ai Bier, a cui dopo tutto ho reso un im-portante servizio portandoli al confine, e a causa deiquali sono stato arrestato, ma potranno o vorranno aiu-tarmi?

Così cominciarono a passare lente ed eguali le mie gior-nate di reclusione. Tutte le mattine incido la data sulmuro della mia cella. Anche da qui forse non sarebbeimpossibile una fuga, ma ormai non mi conviene arri-schiare e non ci penso neppure. Ottenni di poter scriveree mi dedicai a questo diario. Certo al Berio o altrovenon avrei mai trovato il tempo o la tranquillità per de-

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salire fino alle cause più lontane, ha voluto entrare neipiù minuti dettagli, e ha sempre tenuto conto soprattuttodei moventi psicologici. Sarò riuscito a dimostrare lamia buona fede? Lo spero; ma tutto dipende dalle depo-sizioni degli altri, che avranno tutto l'interesse invece adire che io ero al corrente della frode. Dal momento cheè provato che da parte mia non c'è stato contrabbando,tutta l'accusa si poggia sulla questione della buona fede.Intanto mi toccherà star qui fino alla fine dell'inchiesta.Solo allora potrei ottenere la libertà provvisoria in attesadel giudizio; ma per ottenerla dovrei versare una fortesomma a cauzione. Dove trovare qui questa somma? Alcambio attuale (70 lire per 1 franco) anche una piccolacifra comporta somme enormi che non posso pensare afarmi venire dall'Italia. Potrei farmi venire i 250 fr. gua-dagnati, che ho al Berio, ma questi potranno forse basta-re per l'eventuale ammenda, non certo per la cauzione.Potrei chiederla ai Bier, a cui dopo tutto ho reso un im-portante servizio portandoli al confine, e a causa deiquali sono stato arrestato, ma potranno o vorranno aiu-tarmi?

Così cominciarono a passare lente ed eguali le mie gior-nate di reclusione. Tutte le mattine incido la data sulmuro della mia cella. Anche da qui forse non sarebbeimpossibile una fuga, ma ormai non mi conviene arri-schiare e non ci penso neppure. Ottenni di poter scriveree mi dedicai a questo diario. Certo al Berio o altrovenon avrei mai trovato il tempo o la tranquillità per de-

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scrivere gli avvenimenti, interni ed esterni, tutto peresteso. Sono lieto quindi di aver potuto fare un'esposi-zione esauriente di questo intenso e drammatico periododella mia vita. D'altra parte questo diario mi ha fattopassare molte ore fuori dalle mura della prigione, per-mettendomi di rivivere giornate tristi o liete, ma ricchedi eventi: è stato per me in tutti questi giorni la migliorcompagnia e la miglior distrazione. Alterno lo scriverecon un po' di passeggiata su e giù per la cella e conqualche lettura: ho avuto un libro sui problemi economi-ci della Francia attuale. Molto interessante. La giornatacosì passa abbastanza rapidamente e senza tedio: solo lanotte, con le sue ore di buio, mi riesce lunga. In fondo,tante giornate che passo lavorando nel mio studio a Mi-lano, non sono molto diverse da quelle che passo qui. Èquestione di idea: se potessi aver qui le mie carte e lemie cose, probabilmente anche la prigione non mi riu-scirebbe per nulla gravosa. Quello che mi preoccupa dipiù è la situazione dei compagni; dopo la dichiarazionedi guerra di Badoglio alla Germania, può darsi che an-che la permanenza al Berio, a pochi passi dalla guarni-gione tedesca, non sia più sicura. Sarebbe forse necessa-rio prendere una decisione, ma è probabile che gli amiciesitino a prenderla senza di me e non vogliano andarse-ne prima del mio ritorno. Certo mi spiacerebbe di nontrovare più nessuno quando ritorno, tanto più che potreiavere ancora bisogno di loro per farmi venire denaro ebiancheria di ricambio. Ma più ancora mi spiacerebbeche avessero delle noie serie per causa mia.

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scrivere gli avvenimenti, interni ed esterni, tutto peresteso. Sono lieto quindi di aver potuto fare un'esposi-zione esauriente di questo intenso e drammatico periododella mia vita. D'altra parte questo diario mi ha fattopassare molte ore fuori dalle mura della prigione, per-mettendomi di rivivere giornate tristi o liete, ma ricchedi eventi: è stato per me in tutti questi giorni la migliorcompagnia e la miglior distrazione. Alterno lo scriverecon un po' di passeggiata su e giù per la cella e conqualche lettura: ho avuto un libro sui problemi economi-ci della Francia attuale. Molto interessante. La giornatacosì passa abbastanza rapidamente e senza tedio: solo lanotte, con le sue ore di buio, mi riesce lunga. In fondo,tante giornate che passo lavorando nel mio studio a Mi-lano, non sono molto diverse da quelle che passo qui. Èquestione di idea: se potessi aver qui le mie carte e lemie cose, probabilmente anche la prigione non mi riu-scirebbe per nulla gravosa. Quello che mi preoccupa dipiù è la situazione dei compagni; dopo la dichiarazionedi guerra di Badoglio alla Germania, può darsi che an-che la permanenza al Berio, a pochi passi dalla guarni-gione tedesca, non sia più sicura. Sarebbe forse necessa-rio prendere una decisione, ma è probabile che gli amiciesitino a prenderla senza di me e non vogliano andarse-ne prima del mio ritorno. Certo mi spiacerebbe di nontrovare più nessuno quando ritorno, tanto più che potreiavere ancora bisogno di loro per farmi venire denaro ebiancheria di ricambio. Ma più ancora mi spiacerebbeche avessero delle noie serie per causa mia.

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Mi era stato promesso di fare il possibile per terminarel'inchiesta entro la settimana. Attesi quindi il sabato e ladomenica senza impazienza; ma ieri, (lunedì) cominciaiad insistere per sapere qualche cosa. Era trascorsa ormaitutta una settimana dal nostro interrogatorio e incomin-ciavo a impazientirmi del silenzio. Ho urgenza di arriva-re ad una conclusione sia per ritornare presso gli amici esia per il timore che in questa stagione avanzata qualchenevicata possa chiudere i valichi di montagna. Solo oggi(martedì 19) ottenni di vedere il commissario e mi disseche era ancora tutto da cominciare. L'autorizzazione deicomandi militari per poter procedere all'inchiesta ègiunta solo ieri e domani i commissari saliranno a Chan-rion per darvi corso. Tra il viaggio, l'inchiesta, e l'even-tualità di qualche confronto, occuperanno certamentetutta questa settimana. Mi fu precisato inoltre che, dopola fine dell'inchiesta, ci vorranno ancora 10-15 giorniper attendere il verdetto; oppure potrei esser rilasciato inlibertà provvisoria pagando la cauzione che potrà aggi-rarsi sui 1000 fr. Incoraggiante! Star dentro un mese, perpoi vedersi magari prosciolti!

21 ottobre. Ieri mi son messo a scrivere un articolo eoggi l'ho finito; scrivevo dapprima con qualche sforzo,poi con facilità e perfino con brio. Così trovo ancora daoccupare le mie giornate in modo abbastanza conclusivoe la mia mente resta trasportata ben lontana da qui, a ri-vivere giornate luminose. Se potessi aver qui i miei ma-noscritti, credo che anche il soggiorno qui non mi riusci-

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Mi era stato promesso di fare il possibile per terminarel'inchiesta entro la settimana. Attesi quindi il sabato e ladomenica senza impazienza; ma ieri, (lunedì) cominciaiad insistere per sapere qualche cosa. Era trascorsa ormaitutta una settimana dal nostro interrogatorio e incomin-ciavo a impazientirmi del silenzio. Ho urgenza di arriva-re ad una conclusione sia per ritornare presso gli amici esia per il timore che in questa stagione avanzata qualchenevicata possa chiudere i valichi di montagna. Solo oggi(martedì 19) ottenni di vedere il commissario e mi disseche era ancora tutto da cominciare. L'autorizzazione deicomandi militari per poter procedere all'inchiesta ègiunta solo ieri e domani i commissari saliranno a Chan-rion per darvi corso. Tra il viaggio, l'inchiesta, e l'even-tualità di qualche confronto, occuperanno certamentetutta questa settimana. Mi fu precisato inoltre che, dopola fine dell'inchiesta, ci vorranno ancora 10-15 giorniper attendere il verdetto; oppure potrei esser rilasciato inlibertà provvisoria pagando la cauzione che potrà aggi-rarsi sui 1000 fr. Incoraggiante! Star dentro un mese, perpoi vedersi magari prosciolti!

21 ottobre. Ieri mi son messo a scrivere un articolo eoggi l'ho finito; scrivevo dapprima con qualche sforzo,poi con facilità e perfino con brio. Così trovo ancora daoccupare le mie giornate in modo abbastanza conclusivoe la mia mente resta trasportata ben lontana da qui, a ri-vivere giornate luminose. Se potessi aver qui i miei ma-noscritti, credo che anche il soggiorno qui non mi riusci-

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rebbe pesante. Mi sento perfettamente calmo e padronedi me stesso.Ieri nuovo interrogatorio: confronto con Perrandin. Misono accorto subito che si giuocava sulle parole e cheanche il commissario, nell'interesse dell'amministrazio-ne, cercava di prendermi in trappola per accrescere lamia responsabilità, ho dovuto far molta attenzione e pe-sare bene le parole per non lasciarmi sfuggire (in france-se) qualche termine inesatto che si prestasse ad una falsainterpretazione. Fortuna che tutti gli interrogatori sisono svolti in francese e che ho potuto quindi sostenerlisenza fatica e senza difficoltà. Anche quello di ieri allafine è stato pienamente favorevole a me. Sono semprepiù convinto però che ben difficilmente riuscirò a cavar-mela nella faccenda delle fontine, poiché la legge doga-nale svizzera – contrariamente a quanto credevo, e an-che contrariamente al diritto internazionale – prevede laresponsabilità anche per fatti che si sono svolti su terri-torio straniero.Sono preoccupato per gli amici del Berio, la cui situa-zione potrebbe essersi fatta grave in seguito all'ordine dimobilitazione di tutti i militari da parte dell'autorità te-desca e dell'autorità fascista. Che sia forse un bene, inquesto momento, trovarsi qui, sia pure in prigione, fuorida qualsiasi pericolo del genere? E fino a quando dovre-mo ancora temere e odiare quella gente?

23 ottobre. Le giornate si susseguono eguali e monoto-ne. Ma appunto perché sono così eguali e prive di avve-

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rebbe pesante. Mi sento perfettamente calmo e padronedi me stesso.Ieri nuovo interrogatorio: confronto con Perrandin. Misono accorto subito che si giuocava sulle parole e cheanche il commissario, nell'interesse dell'amministrazio-ne, cercava di prendermi in trappola per accrescere lamia responsabilità, ho dovuto far molta attenzione e pe-sare bene le parole per non lasciarmi sfuggire (in france-se) qualche termine inesatto che si prestasse ad una falsainterpretazione. Fortuna che tutti gli interrogatori sisono svolti in francese e che ho potuto quindi sostenerlisenza fatica e senza difficoltà. Anche quello di ieri allafine è stato pienamente favorevole a me. Sono semprepiù convinto però che ben difficilmente riuscirò a cavar-mela nella faccenda delle fontine, poiché la legge doga-nale svizzera – contrariamente a quanto credevo, e an-che contrariamente al diritto internazionale – prevede laresponsabilità anche per fatti che si sono svolti su terri-torio straniero.Sono preoccupato per gli amici del Berio, la cui situa-zione potrebbe essersi fatta grave in seguito all'ordine dimobilitazione di tutti i militari da parte dell'autorità te-desca e dell'autorità fascista. Che sia forse un bene, inquesto momento, trovarsi qui, sia pure in prigione, fuorida qualsiasi pericolo del genere? E fino a quando dovre-mo ancora temere e odiare quella gente?

23 ottobre. Le giornate si susseguono eguali e monoto-ne. Ma appunto perché sono così eguali e prive di avve-

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nimenti, la settimana è trascorsa senza che quasi me neaccorgessi. La prima settimana, in cui aspettavo di gior-no in giorno la soluzione, mi era parsa lunghissima;questa invece in cui non mi attendevo più niente, è pas-sata rapida come le settimane monotone di lavoro nelmio studio a Milano. Anche ieri ho scritto un articolo,politico questa volta, che vorrei mandare se possibile aqualche giornale svizzero. Nonostante l'argomento perme insolito, l'ho scritto tutto d'un fiato, con facilità, em'è riuscito chiaro, ordinato, organico, credo molto effi-cace, senza che abbia avuto bisogno di fare né una can-cellatura, né una correzione. Raramente mi era capitatodi scrivere così di getto e in modo così definitivo. Nonattribuisco importanza a questi scritti, ma servono per-fettamente al loro scopo di riempire la mia giornata e ditrasportarmi per parecchie ore ben lontano da questemura.Anche la compagnia di Pagliani mi è divenuta molto piùgradita che nei primi giorni e penso con angosciaall'eventualità ch'egli possa esser libero prima di me elasciarmi di nuovo tutto solo. È ormai più rassegnato an-che lui al prolungarsi della nostra detenzione ed ha riac-quistato un tono gioviale e quasi allegro, che certo nonaveva nei primi giorni. Parliamo insieme molto di più,su tanti argomenti diversi, e quantunque nella sua con-versazione non possa trovare niente di speciale né ungrande interesse, tuttavia mi distrae e mi riesce gradevo-le e simpatico.

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nimenti, la settimana è trascorsa senza che quasi me neaccorgessi. La prima settimana, in cui aspettavo di gior-no in giorno la soluzione, mi era parsa lunghissima;questa invece in cui non mi attendevo più niente, è pas-sata rapida come le settimane monotone di lavoro nelmio studio a Milano. Anche ieri ho scritto un articolo,politico questa volta, che vorrei mandare se possibile aqualche giornale svizzero. Nonostante l'argomento perme insolito, l'ho scritto tutto d'un fiato, con facilità, em'è riuscito chiaro, ordinato, organico, credo molto effi-cace, senza che abbia avuto bisogno di fare né una can-cellatura, né una correzione. Raramente mi era capitatodi scrivere così di getto e in modo così definitivo. Nonattribuisco importanza a questi scritti, ma servono per-fettamente al loro scopo di riempire la mia giornata e ditrasportarmi per parecchie ore ben lontano da questemura.Anche la compagnia di Pagliani mi è divenuta molto piùgradita che nei primi giorni e penso con angosciaall'eventualità ch'egli possa esser libero prima di me elasciarmi di nuovo tutto solo. È ormai più rassegnato an-che lui al prolungarsi della nostra detenzione ed ha riac-quistato un tono gioviale e quasi allegro, che certo nonaveva nei primi giorni. Parliamo insieme molto di più,su tanti argomenti diversi, e quantunque nella sua con-versazione non possa trovare niente di speciale né ungrande interesse, tuttavia mi distrae e mi riesce gradevo-le e simpatico.

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29 ottobre. Venerdì mattina (29) ci avvertono di tenercipronti per partire per Sion. Stupore e sconforto. Normal-mente venivano inviati a Sion i prigionieri quando laloro posizione di arresto preventivo si trasformava in ar-resto vero e proprio. Cosa significava questo trasferi-mento? Forse che l'inchiesta era chiusa e che ci si invia-va al penitenziario a scontar la nostra pena senza darpossibilità di ottenere la libertà pagando una cauzione ol'ammenda? Perché non dirci nulla? Da un pezzo nonavevo più potuto vedere i commissari e il guardianom'aveva solo detto che si attendevano sempre ordini daLosanna. La solita storia: quando non vogliono dir nien-te della situazione, si trincerano sempre dietro la formu-la "si attendono ordini". Passai una mattinata molto agi-tata nell'attesa della partenza. Ci venne assicurato che aSion si stava meglio che a Martigny e potei capire che iltrasferimento era stato ordinato in seguito alle evasioniche si ripetevano a distanza di pochi giorni dal troppocomodo carcere di Martigny. Avevo ben notato fin dalprimo giorno la facilità con cui si sarebbe potuto fuggi-re, ma non avevo mai pensato seriamente a questa possi-bilità, sempre credendo si trattasse di una cosa di pochigiorni e che quindi non mi convenisse di arrischiare unafuga e di precludermi quindi la possibilità di tornare inSvizzera per molti anni. Ora però quasi mi pentivo dinon aver approfittato di quella possibilità, certo che daSion la cosa mi sarebbe stata molto più difficile.

Abbiamo fatto il viaggio insieme a due contrabbandieri

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29 ottobre. Venerdì mattina (29) ci avvertono di tenercipronti per partire per Sion. Stupore e sconforto. Normal-mente venivano inviati a Sion i prigionieri quando laloro posizione di arresto preventivo si trasformava in ar-resto vero e proprio. Cosa significava questo trasferi-mento? Forse che l'inchiesta era chiusa e che ci si invia-va al penitenziario a scontar la nostra pena senza darpossibilità di ottenere la libertà pagando una cauzione ol'ammenda? Perché non dirci nulla? Da un pezzo nonavevo più potuto vedere i commissari e il guardianom'aveva solo detto che si attendevano sempre ordini daLosanna. La solita storia: quando non vogliono dir nien-te della situazione, si trincerano sempre dietro la formu-la "si attendono ordini". Passai una mattinata molto agi-tata nell'attesa della partenza. Ci venne assicurato che aSion si stava meglio che a Martigny e potei capire che iltrasferimento era stato ordinato in seguito alle evasioniche si ripetevano a distanza di pochi giorni dal troppocomodo carcere di Martigny. Avevo ben notato fin dalprimo giorno la facilità con cui si sarebbe potuto fuggi-re, ma non avevo mai pensato seriamente a questa possi-bilità, sempre credendo si trattasse di una cosa di pochigiorni e che quindi non mi convenisse di arrischiare unafuga e di precludermi quindi la possibilità di tornare inSvizzera per molti anni. Ora però quasi mi pentivo dinon aver approfittato di quella possibilità, certo che daSion la cosa mi sarebbe stata molto più difficile.

Abbiamo fatto il viaggio insieme a due contrabbandieri

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di Valpelline; due bravi ragazzi che si erano fatti pescarenel modo più ingenuo immaginabile. Facciamo subitoamicizia. La compagnia, il sole, la distrazione del viag-gio, ci danno affezione e allegria. A Sion siamo accoltibene, quasi con cordialità, e ci han messi in un granstanzone, ove già si trovavano altri contrabbandieri ita-liani e alcuni internati polacchi, jugoslavi, ungheresi.Tutti dentro il refettorio di un antico convento.Tutto il giorno chiediamo la paglia per dormire per terra,ma venne la sera e la paglia non s'era ancora vista. Pa-gliani ed io trovammo posto sui pagliericci insieme aglistranieri, ma gli altri dovettero dormire per terra, conuna coperta ciascuno. E soltanto alla sera del giornosuccessivo, dopo continue insistenze, ottenemmo la pa-glia e qualche coperta in più. Si aveva l'impressione diessere presi in giro, di esser trattati peggio di cani, di es-ser trascurati come esseri indegni che ci si occupasse dinoi.Neppure ci fu concesso di far acquistare fuori frutta, cibio altro, come a Martigny. E il vitto della prigione erabuono, ma insufficiente: le molte patate saziavano almomento, ma non davano un sufficiente nutrimento. Misentivo qui di infiacchire di giorno in giorno e pensavocome avrei potuto rifare la lunga marcia per superare ilcolle e ritornare a Ollomont.Misuravo avanti e indietro il lungo stanzone (18 passi),solo chiacchierando con l'uno o con l'altro; sfogliavo ri-viste e giornali, passavo lunghe ore alla finestra a goder-mi il sole e l'aria libera. Le giornate erano lunghe e mo-

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di Valpelline; due bravi ragazzi che si erano fatti pescarenel modo più ingenuo immaginabile. Facciamo subitoamicizia. La compagnia, il sole, la distrazione del viag-gio, ci danno affezione e allegria. A Sion siamo accoltibene, quasi con cordialità, e ci han messi in un granstanzone, ove già si trovavano altri contrabbandieri ita-liani e alcuni internati polacchi, jugoslavi, ungheresi.Tutti dentro il refettorio di un antico convento.Tutto il giorno chiediamo la paglia per dormire per terra,ma venne la sera e la paglia non s'era ancora vista. Pa-gliani ed io trovammo posto sui pagliericci insieme aglistranieri, ma gli altri dovettero dormire per terra, conuna coperta ciascuno. E soltanto alla sera del giornosuccessivo, dopo continue insistenze, ottenemmo la pa-glia e qualche coperta in più. Si aveva l'impressione diessere presi in giro, di esser trattati peggio di cani, di es-ser trascurati come esseri indegni che ci si occupasse dinoi.Neppure ci fu concesso di far acquistare fuori frutta, cibio altro, come a Martigny. E il vitto della prigione erabuono, ma insufficiente: le molte patate saziavano almomento, ma non davano un sufficiente nutrimento. Misentivo qui di infiacchire di giorno in giorno e pensavocome avrei potuto rifare la lunga marcia per superare ilcolle e ritornare a Ollomont.Misuravo avanti e indietro il lungo stanzone (18 passi),solo chiacchierando con l'uno o con l'altro; sfogliavo ri-viste e giornali, passavo lunghe ore alla finestra a goder-mi il sole e l'aria libera. Le giornate erano lunghe e mo-

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notone, ma meno tristi che a Martigny.È stata una fortuna che con tanta gente con cui mi sontrovato a convivere in quello stanzone, non ci fosse nes-suno che non fosse una persona per bene: il che, per unaprigione, è un caso abbastanza straordinario. Tutti con-trabbandieri (italiani e in seguito anche francesi) o rifu-giati. I delinquenti, i ladri, i falsari, ecc. erano rinchiusinelle celle, ed era uno spettacolo abbastanza grottesco,all'ora del rancio, veder uscire come per incanto da quel-le portoncine tutta una serie di figure strane e svariate,che subito, appena ricevuta la loro gamella, sparivano dinuovo nel loro antro. Noi nel nostro stanzone, ci dimen-ticavamo completamente della vicinanza di tutti quegliinquilini, che solo picchiavano alle porte di quando inquando per passarsi attraverso le fessure una sigaretta oun giornale, oppure bestemmiavano se facevano troppobaccano alla sera e non li lasciavano dormire. Tra di noi,specialmente nel nostro gruppo italiano, c'era anche unacerta solidarietà e cameratismo, tanto che ci spartivamoquelle poche razioni di minestra o di cioccolato, che riu-scivamo a carpire in più.Curioso anche il fatto che quasi tutti, italiani o stranieri,mi davano del voi. È consuetudine nelle prigioni di darsitutti del tu e appena entrato i colleghi già pratici di que-gli usi mi diedero subito del tu. Anche io diedi subitodel tu a tutti e non mi fu difficile, dato il nostro camera-tismo. Gli altri italiani, cui io davo del tu, seguitaronofino all'ultimo a darmi del voi, mentre davano del tu aPagliani. Ben pochi sapevano ch'io ero ufficiale, nessu-

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notone, ma meno tristi che a Martigny.È stata una fortuna che con tanta gente con cui mi sontrovato a convivere in quello stanzone, non ci fosse nes-suno che non fosse una persona per bene: il che, per unaprigione, è un caso abbastanza straordinario. Tutti con-trabbandieri (italiani e in seguito anche francesi) o rifu-giati. I delinquenti, i ladri, i falsari, ecc. erano rinchiusinelle celle, ed era uno spettacolo abbastanza grottesco,all'ora del rancio, veder uscire come per incanto da quel-le portoncine tutta una serie di figure strane e svariate,che subito, appena ricevuta la loro gamella, sparivano dinuovo nel loro antro. Noi nel nostro stanzone, ci dimen-ticavamo completamente della vicinanza di tutti quegliinquilini, che solo picchiavano alle porte di quando inquando per passarsi attraverso le fessure una sigaretta oun giornale, oppure bestemmiavano se facevano troppobaccano alla sera e non li lasciavano dormire. Tra di noi,specialmente nel nostro gruppo italiano, c'era anche unacerta solidarietà e cameratismo, tanto che ci spartivamoquelle poche razioni di minestra o di cioccolato, che riu-scivamo a carpire in più.Curioso anche il fatto che quasi tutti, italiani o stranieri,mi davano del voi. È consuetudine nelle prigioni di darsitutti del tu e appena entrato i colleghi già pratici di que-gli usi mi diedero subito del tu. Anche io diedi subitodel tu a tutti e non mi fu difficile, dato il nostro camera-tismo. Gli altri italiani, cui io davo del tu, seguitaronofino all'ultimo a darmi del voi, mentre davano del tu aPagliani. Ben pochi sapevano ch'io ero ufficiale, nessu-

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no certo sospettava la mia posizione sociale o culturale;il mio abbigliamento da pezzente e la mia qualità dicontrabbandiere, non lasciavano certo indovinare chi iofossi. Eppure quel voi era un segno di considerazione, dirispetto, di distanza incolmabile: pareva che anche qui,come a Ollomont, come al Berio, io esercitassi senzavolerlo, una specie di ascendente morale, che faceva sìche tutti si appoggiassero a me per un consiglio, per unainformazione, per una pratica, per una petizione, per tut-to ciò che premeva ed occorreva loro. C'è poco da esse-re fieri di un'affermazione in un simile ambiente, ma èevidente che la mia personalità, la mia presenza di spiri-to, la mia chiarezza d'idee s'impongono subito in ognicircostanza, anche nelle condizioni in cui maggiormentedovrebbero sentirsi umiliate e depresse. Davvero neppu-re la prigione ha potuto essere per me scuola d'umiltà.Per la prima volta dal mio arresto fui preoccupato dellasorte che mi attendeva e mi pentii seriamente di nonaver approfittato delle varie possibilità di fuga che mi sierano offerte. Anche Campanella, dapprima rassegnatoa scontare la sua condanna, ora cominciava a sentire ilpeso di questo regime, che riesce tanto più gravoso peruomini desiderosi di azione, di vita e di avventura, comenoi. Mi disse che se mi avesse conosciuto a Martigny,certamente sarebbe fuggito con me, approfittando dellafacilità di evasione da quella prigione. Dimostrava unagrande fiducia in me, nella mia decisione, nella mia ini-ziativa, nella mia previdenza. Da parte mia confidavomolto nella sua pratica di contrabbandiere e nella sua

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no certo sospettava la mia posizione sociale o culturale;il mio abbigliamento da pezzente e la mia qualità dicontrabbandiere, non lasciavano certo indovinare chi iofossi. Eppure quel voi era un segno di considerazione, dirispetto, di distanza incolmabile: pareva che anche qui,come a Ollomont, come al Berio, io esercitassi senzavolerlo, una specie di ascendente morale, che faceva sìche tutti si appoggiassero a me per un consiglio, per unainformazione, per una pratica, per una petizione, per tut-to ciò che premeva ed occorreva loro. C'è poco da esse-re fieri di un'affermazione in un simile ambiente, ma èevidente che la mia personalità, la mia presenza di spiri-to, la mia chiarezza d'idee s'impongono subito in ognicircostanza, anche nelle condizioni in cui maggiormentedovrebbero sentirsi umiliate e depresse. Davvero neppu-re la prigione ha potuto essere per me scuola d'umiltà.Per la prima volta dal mio arresto fui preoccupato dellasorte che mi attendeva e mi pentii seriamente di nonaver approfittato delle varie possibilità di fuga che mi sierano offerte. Anche Campanella, dapprima rassegnatoa scontare la sua condanna, ora cominciava a sentire ilpeso di questo regime, che riesce tanto più gravoso peruomini desiderosi di azione, di vita e di avventura, comenoi. Mi disse che se mi avesse conosciuto a Martigny,certamente sarebbe fuggito con me, approfittando dellafacilità di evasione da quella prigione. Dimostrava unagrande fiducia in me, nella mia decisione, nella mia ini-ziativa, nella mia previdenza. Da parte mia confidavomolto nella sua pratica di contrabbandiere e nella sua

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perfetta conoscenza dei luoghi che ci avrebbero permes-so di raggiungere quasi sicuramente il confine senza far-ci pescare, se fossimo riusciti ad uscire dall'edificio del-la prigione. Cominciammo a fantasticare progetti difuga, dapprima solo per il piacere di fantasticare unanuova attraente avventura, allo stesso modo come si puòsognare una bella impresa alpinistica anche quando si èben lontani dal poterla realizzare. Poi i progetti andava-no man mano concretandosi con le prudenti e furtive ri-cognizioni e sondaggi nelle varie parti dello stabile, fin-ché il piano di fuga venne accuratamente studiato e sta-bilito. La discussione di tutte le varie possibilità, l'esamedi ogni singolo particolare, il prevedere ogni eventuali-tà, l'escogitare i mezzi migliori, ci teneva occupati molteore e ci faceva passare rapidamente i giorni e le serate,tutti presi dall'interesse della nostra avventura. Se anchel'evasione non si fosse attuata, era già molto per noil'aver trascorso una settimana tutti presi dall'interessedella nostra avventura. Ma tanto ci siamo lasciati pren-dere dalle nostre fantasticherie, che finimmo noi stessiper esser convinti della possibilità di evasione, e ciò chedapprima era puramente un sogno, divenne alla fine unprogetto ben concreto. Non eravamo convintidell'opportunità dell'evasione, che forse non era conve-niente né per me né per lui, ma ormai ci eravamo mon-tati reciprocamente la testa con questa entusiasmanteavventura, ci eravamo convinti della grande probabilitàdi riuscita e il tirarci indietro ci sarebbe sembrata una vi-gliaccheria. Ogni particolare era deciso, l'itinerario di

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perfetta conoscenza dei luoghi che ci avrebbero permes-so di raggiungere quasi sicuramente il confine senza far-ci pescare, se fossimo riusciti ad uscire dall'edificio del-la prigione. Cominciammo a fantasticare progetti difuga, dapprima solo per il piacere di fantasticare unanuova attraente avventura, allo stesso modo come si puòsognare una bella impresa alpinistica anche quando si èben lontani dal poterla realizzare. Poi i progetti andava-no man mano concretandosi con le prudenti e furtive ri-cognizioni e sondaggi nelle varie parti dello stabile, fin-ché il piano di fuga venne accuratamente studiato e sta-bilito. La discussione di tutte le varie possibilità, l'esamedi ogni singolo particolare, il prevedere ogni eventuali-tà, l'escogitare i mezzi migliori, ci teneva occupati molteore e ci faceva passare rapidamente i giorni e le serate,tutti presi dall'interesse della nostra avventura. Se anchel'evasione non si fosse attuata, era già molto per noil'aver trascorso una settimana tutti presi dall'interessedella nostra avventura. Ma tanto ci siamo lasciati pren-dere dalle nostre fantasticherie, che finimmo noi stessiper esser convinti della possibilità di evasione, e ciò chedapprima era puramente un sogno, divenne alla fine unprogetto ben concreto. Non eravamo convintidell'opportunità dell'evasione, che forse non era conve-niente né per me né per lui, ma ormai ci eravamo mon-tati reciprocamente la testa con questa entusiasmanteavventura, ci eravamo convinti della grande probabilitàdi riuscita e il tirarci indietro ci sarebbe sembrata una vi-gliaccheria. Ogni particolare era deciso, l'itinerario di

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marcia e l'orario già stabilito con precisione: restavasolo da decidere il giorno della partenza. Proposi il sa-bato sera, poiché avrebbe dato meno sospetto il trovarciper strada di notte o il trovarci sui monti la domenica: einoltre c'era buona probabilità che la nostra fuga nonfosse notata fino al lunedì e che quindi avessimo il tem-po di raggiungere la frontiera prima che fosse datol'allarme. Non sono del tutto certo che avremmo effetti-vamente attuato il nostro progetto, ma è certo che ci at-traeva entrambi col fascino dell'avventura e che era cosìaccuratamente studiato che avrebbe potuto benissimoessere attuato.Sapevo però benissimo che l'evasione non mi conveni-va: perché nel caso che non riuscisse, avrebbe seriamen-te compromesso la mia situazione, e soprattutto perché,anche se fortunata, avrebbe definitivamente chiuso perme la porta della Svizzera, nel caso che la situazione inItalia fosse divenuta intollerabile. Ma pur essendo con-vinto dell'opportunità, credo che non avrei saputo rinun-ciare all'attraente avventura e non avrei saputo negare aCampanella la mia collaborazione. Ancora una volta miaffidai completamente e con cieca fiducia al mio desti-no. Se nulla fosse avvenuto prima del sabato, che mi fa-cesse cambiare decisione, sarei partito. Nel pomeriggiostesso del sabato, quando avremmo dovuto iniziare i la-vori preparatori, venni chiamato dal Commissario perfirmare il verbale di chiusura dell'inchiesta. Era redattoin modo sfavorevole a me ed ebbi ancora lunghe discus-sioni col Commissario. Alla fine firmai, facendo però

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marcia e l'orario già stabilito con precisione: restavasolo da decidere il giorno della partenza. Proposi il sa-bato sera, poiché avrebbe dato meno sospetto il trovarciper strada di notte o il trovarci sui monti la domenica: einoltre c'era buona probabilità che la nostra fuga nonfosse notata fino al lunedì e che quindi avessimo il tem-po di raggiungere la frontiera prima che fosse datol'allarme. Non sono del tutto certo che avremmo effetti-vamente attuato il nostro progetto, ma è certo che ci at-traeva entrambi col fascino dell'avventura e che era cosìaccuratamente studiato che avrebbe potuto benissimoessere attuato.Sapevo però benissimo che l'evasione non mi conveni-va: perché nel caso che non riuscisse, avrebbe seriamen-te compromesso la mia situazione, e soprattutto perché,anche se fortunata, avrebbe definitivamente chiuso perme la porta della Svizzera, nel caso che la situazione inItalia fosse divenuta intollerabile. Ma pur essendo con-vinto dell'opportunità, credo che non avrei saputo rinun-ciare all'attraente avventura e non avrei saputo negare aCampanella la mia collaborazione. Ancora una volta miaffidai completamente e con cieca fiducia al mio desti-no. Se nulla fosse avvenuto prima del sabato, che mi fa-cesse cambiare decisione, sarei partito. Nel pomeriggiostesso del sabato, quando avremmo dovuto iniziare i la-vori preparatori, venni chiamato dal Commissario perfirmare il verbale di chiusura dell'inchiesta. Era redattoin modo sfavorevole a me ed ebbi ancora lunghe discus-sioni col Commissario. Alla fine firmai, facendo però

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numerose riserve, riaffermando i punti essenziali cheavevo già sostenuto nelle mie deposizioni. Di nuovo ilCommissario mi lasciò intendere che le prospettive cir-ca l'esito erano tutt'altro che rosee per me e mi chiese seavevo modo di pagare una somma considerevole. Iopensavo solo che tra poche ore sarei fuggito e che quin-di la sentenza era indifferente e pensavo anche che quelcolloquio era proprio quello che ci voleva per confer-marmi nel mio progetto di fuga e per togliermi ognidubbio residuo. Ottenni che telefonasse a Losanna per-ché mi venisse precisato l'ammontare della cauzione cheavrei dovuto versare per ottenere la libertà. Feci questarichiesta solo per curiosità, ma senza alcuna speranza dipoter trovare la somma necessaria. Venne risposto checome complice del fatto avrei potuto essere condannatoa 3/4 della cifra base d'ammenda: con la riduzione di 1/3cui avevo inoltre diritto, l'ammontare si riduceva a 255fr., cioè a meno di quanto avessi già pagato coi 28 giornidi prigione (pari a 280 fr.). Ero dunque libero, e anchePagliani era libero perché assolto: aveva fatto 28 giornidi prigione per nulla! Solo ci rimanevano da scontare al-cuni giorni per il passaggio clandestino della frontiera:giorni (5 per Pagliani e 10 per me), che non potevanoessere conteggiati tra quelli fatti in più per le dogane.Non era ancora dunque la libertà, ma era la fine di ognipreoccupazione e la possibilità di contare con certezzasul giorno preciso della liberazione.Non c'era più ragione dunque di pensare alla fuga: mirincresceva rinunciare al mio bel progetto, mi rincresce-

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numerose riserve, riaffermando i punti essenziali cheavevo già sostenuto nelle mie deposizioni. Di nuovo ilCommissario mi lasciò intendere che le prospettive cir-ca l'esito erano tutt'altro che rosee per me e mi chiese seavevo modo di pagare una somma considerevole. Iopensavo solo che tra poche ore sarei fuggito e che quin-di la sentenza era indifferente e pensavo anche che quelcolloquio era proprio quello che ci voleva per confer-marmi nel mio progetto di fuga e per togliermi ognidubbio residuo. Ottenni che telefonasse a Losanna per-ché mi venisse precisato l'ammontare della cauzione cheavrei dovuto versare per ottenere la libertà. Feci questarichiesta solo per curiosità, ma senza alcuna speranza dipoter trovare la somma necessaria. Venne risposto checome complice del fatto avrei potuto essere condannatoa 3/4 della cifra base d'ammenda: con la riduzione di 1/3cui avevo inoltre diritto, l'ammontare si riduceva a 255fr., cioè a meno di quanto avessi già pagato coi 28 giornidi prigione (pari a 280 fr.). Ero dunque libero, e anchePagliani era libero perché assolto: aveva fatto 28 giornidi prigione per nulla! Solo ci rimanevano da scontare al-cuni giorni per il passaggio clandestino della frontiera:giorni (5 per Pagliani e 10 per me), che non potevanoessere conteggiati tra quelli fatti in più per le dogane.Non era ancora dunque la libertà, ma era la fine di ognipreoccupazione e la possibilità di contare con certezzasul giorno preciso della liberazione.Non c'era più ragione dunque di pensare alla fuga: mirincresceva rinunciare al mio bel progetto, mi rincresce-

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va non poter aiutare Campanella, ma sarebbe stato as-surdo tentare un'evasione per soli 10 giorni che mi rima-nevano da trascorrere in carcere. 10 giorni! Quandosono entrato in carcere a Martigny mi pareva assurda einsopportabile la prospettiva di rimanerci 2 giorni; e ora10 giorni non mi parevano più nulla, una volta che ave-vo la certezza che sarebbero stati proprio gli ultimi.In quel progetto di fuga avevo ritrovato il vero me stes-so, la mia energia, il mio spirito d'iniziativa. Rinascevala mia volontà, ed anche il mio orgoglio, sopito ma nondomato; veniva riaffermata la fiducia nella mia buonasorte, che mi doveva guidare sempre al meglio. È statainfatti questa buona sorte, a cui sapevo ormai di nuovotendere con la più decisa volontà, che mi ha trattenutodall'evasione poche ore prima di attuarla, e ha datoall'avventura un esito inaspettatamente favorevole, cheha stupito lo stesso Commissario e che era in contrastocon le ammende assai gravi inflitte agli altri contrabban-dieri. Mi è sembrato che col ritrovare me stesso e conl'abbandono di tutti i dubbi e gli scrupoli morali, anchela mia buona sorte abbia ripreso ad assistermi: non solomi ha permesso di cavarmela così a buon mercato quan-do ormai non ci speravo più, ma pure i 10 giorni che mirimanevano da fare sono stati inaspettatamente ridotti a5, così potei fare il viaggio di ritorno con Pagliani.Quando mi sentii chiamare quella sera, di tutto mi sareiaspettato fuorché la liberazione e quando mi si disse diprepararmi a partire credevo già a qualche nuova com-plicazione piuttosto che alla partenza per l'Italia.

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va non poter aiutare Campanella, ma sarebbe stato as-surdo tentare un'evasione per soli 10 giorni che mi rima-nevano da trascorrere in carcere. 10 giorni! Quandosono entrato in carcere a Martigny mi pareva assurda einsopportabile la prospettiva di rimanerci 2 giorni; e ora10 giorni non mi parevano più nulla, una volta che ave-vo la certezza che sarebbero stati proprio gli ultimi.In quel progetto di fuga avevo ritrovato il vero me stes-so, la mia energia, il mio spirito d'iniziativa. Rinascevala mia volontà, ed anche il mio orgoglio, sopito ma nondomato; veniva riaffermata la fiducia nella mia buonasorte, che mi doveva guidare sempre al meglio. È statainfatti questa buona sorte, a cui sapevo ormai di nuovotendere con la più decisa volontà, che mi ha trattenutodall'evasione poche ore prima di attuarla, e ha datoall'avventura un esito inaspettatamente favorevole, cheha stupito lo stesso Commissario e che era in contrastocon le ammende assai gravi inflitte agli altri contrabban-dieri. Mi è sembrato che col ritrovare me stesso e conl'abbandono di tutti i dubbi e gli scrupoli morali, anchela mia buona sorte abbia ripreso ad assistermi: non solomi ha permesso di cavarmela così a buon mercato quan-do ormai non ci speravo più, ma pure i 10 giorni che mirimanevano da fare sono stati inaspettatamente ridotti a5, così potei fare il viaggio di ritorno con Pagliani.Quando mi sentii chiamare quella sera, di tutto mi sareiaspettato fuorché la liberazione e quando mi si disse diprepararmi a partire credevo già a qualche nuova com-plicazione piuttosto che alla partenza per l'Italia.

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Felicità? Non potrei dire. Sorpresa a tutta prima, poisoddisfazione di poterci rifocillare a sazietà. Nella mar-cia in montagna per superare il colle, sentii solo il disa-gio morale di trovarmi insieme a parecchi compagni nonalpinisti, che coi loro discorsi stupidi m'impedivano diritrovare il contatto con le mie montagne. Eppure dallaprigione alla piena libertà dei monti, il passaggio eraben grande e improvviso. Ma forse era troppo atteso,troppo scontato, perché io potessi provare tutta la felici-tà che la liberazione avrebbe potuto darmi. Ero più pre-occupato di evitare ogni possibile incontro con pattugliedi tedeschi o di militi, che disposto a godere della liber-tà, della montagna grandiosa e innevata, della natura cheaveva ammantato tutti i boschi coi meravigliosi coloridell'autunno.

L'avevo sognato ben diverso questo ritorno in patria.Avevo già saputo a Martigny, passando, che al Berionon c'era più nessuno. Ben immaginavo che non avreb-bero resistito così a lungo, col freddo, la neve e senzapiù nulla da fare.Mi fu riferito che subito dopo la mia partenza, l'ambien-te del Berio subì un profondo mutamento: quanto erasimpatico ed ammirevole prima per quella cordialità equella solidarietà che vi regnava, altrettanto divennespregevole poi per il continuo bisticciarsi degli ufficiali,che pensavano solo a fregarsi l'un l'altro. Invece di lavo-rare o trafficare a vantaggio della comunità, come si erafatto nel primo periodo, ciascuno pensava solo ad ap-

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Felicità? Non potrei dire. Sorpresa a tutta prima, poisoddisfazione di poterci rifocillare a sazietà. Nella mar-cia in montagna per superare il colle, sentii solo il disa-gio morale di trovarmi insieme a parecchi compagni nonalpinisti, che coi loro discorsi stupidi m'impedivano diritrovare il contatto con le mie montagne. Eppure dallaprigione alla piena libertà dei monti, il passaggio eraben grande e improvviso. Ma forse era troppo atteso,troppo scontato, perché io potessi provare tutta la felici-tà che la liberazione avrebbe potuto darmi. Ero più pre-occupato di evitare ogni possibile incontro con pattugliedi tedeschi o di militi, che disposto a godere della liber-tà, della montagna grandiosa e innevata, della natura cheaveva ammantato tutti i boschi coi meravigliosi coloridell'autunno.

L'avevo sognato ben diverso questo ritorno in patria.Avevo già saputo a Martigny, passando, che al Berionon c'era più nessuno. Ben immaginavo che non avreb-bero resistito così a lungo, col freddo, la neve e senzapiù nulla da fare.Mi fu riferito che subito dopo la mia partenza, l'ambien-te del Berio subì un profondo mutamento: quanto erasimpatico ed ammirevole prima per quella cordialità equella solidarietà che vi regnava, altrettanto divennespregevole poi per il continuo bisticciarsi degli ufficiali,che pensavano solo a fregarsi l'un l'altro. Invece di lavo-rare o trafficare a vantaggio della comunità, come si erafatto nel primo periodo, ciascuno pensava solo ad ap-

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propriarsi il più possibile della roba comune e a vender-la a proprio esclusivo profitto. Poi arrivarono a rubarsil'un l'altro anche le cose personali, degenerando in con-tinue questioni e litigi. Trovai le mie cose radunate inuna cassa: mancavano la Leica, la penna stilografica, lagiacca a vento, e altre piccole cose di minor valore, mache evidentemente avevano fatto comodo a qualcuno.Tra le mie carte che avevo lasciato all'albergo, mancavaun pacco di fotografie del Brenta, su cui avevo segnatogli itinerari: era una scelta di fotografie che mi erano ne-cessarie per la mia guida, e che rappresentavano mesi dipazienti ricognizioni e di lavoro di raccolta. Dunque nonera solo il furto di oggetti di valore (che oggi non si pos-sono neppure trovare da acquistare a nessun prezzo) mac'era anche il vandalismo e il dispetto. A qualcuno saràpiaciuta quella serie di fotografie e se ne sarà appropria-to senza pensare che cosa essa rappresentava per me.Sarei rimasto volentieri un po' di tempo ad Ollomont perrimettermi a lavorare alle cose mie, se la mia situazionelà non fosse diventata poco sicura. I tedeschi facevanoperquisizioni al Berio e avevano arrestato parecchie per-sone che avevano aiutato le bande di patrioti e di fuggia-schi. A Ollomont tutti mi conoscevano, tutti sapevanoquello che avevo fatto, tutti sapevano che ero stato unmese in Svizzera. I militi facevano la spia e c'era quindida temere che da un momento all'altro mi si venisse acercare. Appena ottenuti i documenti e le carte annona-rie che mi occorrevano, scesi ad Aosta, poi a Torino acercare Balliano (presidente Casa editrice Montes). Mi

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propriarsi il più possibile della roba comune e a vender-la a proprio esclusivo profitto. Poi arrivarono a rubarsil'un l'altro anche le cose personali, degenerando in con-tinue questioni e litigi. Trovai le mie cose radunate inuna cassa: mancavano la Leica, la penna stilografica, lagiacca a vento, e altre piccole cose di minor valore, mache evidentemente avevano fatto comodo a qualcuno.Tra le mie carte che avevo lasciato all'albergo, mancavaun pacco di fotografie del Brenta, su cui avevo segnatogli itinerari: era una scelta di fotografie che mi erano ne-cessarie per la mia guida, e che rappresentavano mesi dipazienti ricognizioni e di lavoro di raccolta. Dunque nonera solo il furto di oggetti di valore (che oggi non si pos-sono neppure trovare da acquistare a nessun prezzo) mac'era anche il vandalismo e il dispetto. A qualcuno saràpiaciuta quella serie di fotografie e se ne sarà appropria-to senza pensare che cosa essa rappresentava per me.Sarei rimasto volentieri un po' di tempo ad Ollomont perrimettermi a lavorare alle cose mie, se la mia situazionelà non fosse diventata poco sicura. I tedeschi facevanoperquisizioni al Berio e avevano arrestato parecchie per-sone che avevano aiutato le bande di patrioti e di fuggia-schi. A Ollomont tutti mi conoscevano, tutti sapevanoquello che avevo fatto, tutti sapevano che ero stato unmese in Svizzera. I militi facevano la spia e c'era quindida temere che da un momento all'altro mi si venisse acercare. Appena ottenuti i documenti e le carte annona-rie che mi occorrevano, scesi ad Aosta, poi a Torino acercare Balliano (presidente Casa editrice Montes). Mi

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fece un certo effetto, dopo tanto tempo, ritornare allacittà e alla vita civile (se così si può chiamare la vita chesi conduce oggi in Italia). Balliano si trova in difficoltàper il blocco dei conti in banca e si è rimesso a farl'avvocato. Tutto fermo dal lato editoriale. Anche la gui-dina sciistica del Brenta, già composta, corretta e con iclichés pronti, non verrà stampata per ora. Sarà forsemeglio così, ma a me manca lo stimolo a riprendere ilmio lavoro, con la prospettiva che chissà quando potràvenir stampato.

Sul treno di Aosta, ho trovato Cantano che mi ha parlatodella possibilità di far passare al CAI la Scuola di Aosta.Qualche tempo fa sarebbe stato del tutto facile. Ora bi-sogna far la domanda al Ministero. Quantunque non siamolto ottimista su questa possibilità, mi sono subito oc-cupato della cosa, che sarebbe di grandissimo interesseper i molti sviluppi futuri e di cui mi potrei anche occu-pare direttamente. Sono andato a Torino, poi a Milanoper parlare coi dirigenti del CAI. Solito ostruzionismoda parte di Bertarelli, che non smentisce la sua mentalitàdi gallina, boicottando sistematicamente qualsiasi inizia-tiva che torni a vantaggio del CAI.Ho provato quasi un senso di disagio a riprendere con-tatto con quella gente e con quelle mentalità piccine edecrepite e di ritrovare ancora tutto al punto di prima,più ammuffito e più rancido di prima, come se nulla fos-se successo dal 25 luglio in poi! Non mi sembra quasipossibile che un periodo così denso di avvenimenti capi-

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fece un certo effetto, dopo tanto tempo, ritornare allacittà e alla vita civile (se così si può chiamare la vita chesi conduce oggi in Italia). Balliano si trova in difficoltàper il blocco dei conti in banca e si è rimesso a farl'avvocato. Tutto fermo dal lato editoriale. Anche la gui-dina sciistica del Brenta, già composta, corretta e con iclichés pronti, non verrà stampata per ora. Sarà forsemeglio così, ma a me manca lo stimolo a riprendere ilmio lavoro, con la prospettiva che chissà quando potràvenir stampato.

Sul treno di Aosta, ho trovato Cantano che mi ha parlatodella possibilità di far passare al CAI la Scuola di Aosta.Qualche tempo fa sarebbe stato del tutto facile. Ora bi-sogna far la domanda al Ministero. Quantunque non siamolto ottimista su questa possibilità, mi sono subito oc-cupato della cosa, che sarebbe di grandissimo interesseper i molti sviluppi futuri e di cui mi potrei anche occu-pare direttamente. Sono andato a Torino, poi a Milanoper parlare coi dirigenti del CAI. Solito ostruzionismoda parte di Bertarelli, che non smentisce la sua mentalitàdi gallina, boicottando sistematicamente qualsiasi inizia-tiva che torni a vantaggio del CAI.Ho provato quasi un senso di disagio a riprendere con-tatto con quella gente e con quelle mentalità piccine edecrepite e di ritrovare ancora tutto al punto di prima,più ammuffito e più rancido di prima, come se nulla fos-se successo dal 25 luglio in poi! Non mi sembra quasipossibile che un periodo così denso di avvenimenti capi-

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tali, che io ho così intensamente e intimamente vissuto,non abbia ancora portato quella radicale trasformazionenel modo di agire e di pensare, che sarà inevitabile perquanti abbiano almeno un minimo senso della realtà.Anche con Gervasutti e qualche altro, con cui avevosempre avuto rapporti molto cordiali, ho provato solo unsenso di estrema freddezza.Anche qui a Milano, in questa settimana, ho lavoratoesclusivamente a far propaganda e ad aiutare quanti sitrovano in situazioni pericolose. Non so quando potròriprendere ad occuparmi delle cose mie. Mi sembra chei miei doveri mi chiamino verso compiti ben più impor-tanti.

5 gennaio.4 Il ritorno a Milano non mi ha dato alcunagioia, neppure la sensazione di rientrare in porto dopoun periodo così avventuroso. Sono giunto a Milano soloper vedere com'era effettivamente la situazione, per ri-trovare i miei, per vedere qualche amico, ma senza alcu-na intenzione di rimanerci.La casa fredda e vuota, i vetri rotti dal bombardamentoestivo, tutte le mie cose nelle casse in cantina, che nonvolevo aprire e rovistare per pochi giorni, la città deva-stata in modo desolante, vuota, senza risorse, disorga-nizzata, tutto m'invitava a rimanerci il meno possibile, afuggire di nuovo lontano, in cerca di qualche asilo dipace. Senso di provvisorietà, giornate inutili, vuote e

4 - La data non congruente è così nel testo di riferimento [Nota per l'edizio-ne elettronica Manuzio]

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tali, che io ho così intensamente e intimamente vissuto,non abbia ancora portato quella radicale trasformazionenel modo di agire e di pensare, che sarà inevitabile perquanti abbiano almeno un minimo senso della realtà.Anche con Gervasutti e qualche altro, con cui avevosempre avuto rapporti molto cordiali, ho provato solo unsenso di estrema freddezza.Anche qui a Milano, in questa settimana, ho lavoratoesclusivamente a far propaganda e ad aiutare quanti sitrovano in situazioni pericolose. Non so quando potròriprendere ad occuparmi delle cose mie. Mi sembra chei miei doveri mi chiamino verso compiti ben più impor-tanti.

5 gennaio.4 Il ritorno a Milano non mi ha dato alcunagioia, neppure la sensazione di rientrare in porto dopoun periodo così avventuroso. Sono giunto a Milano soloper vedere com'era effettivamente la situazione, per ri-trovare i miei, per vedere qualche amico, ma senza alcu-na intenzione di rimanerci.La casa fredda e vuota, i vetri rotti dal bombardamentoestivo, tutte le mie cose nelle casse in cantina, che nonvolevo aprire e rovistare per pochi giorni, la città deva-stata in modo desolante, vuota, senza risorse, disorga-nizzata, tutto m'invitava a rimanerci il meno possibile, afuggire di nuovo lontano, in cerca di qualche asilo dipace. Senso di provvisorietà, giornate inutili, vuote e

4 - La data non congruente è così nel testo di riferimento [Nota per l'edizio-ne elettronica Manuzio]

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sbandate: non ho concluso quasi nulla. Sono andato aMerate a trovar Manlio, a Pavia da Bruno, a Viggiù conVitale: a Milano ho visto anche Fanny, risparmiandomicosì il progettato viaggio a Tregnago (in questi momentidisastrosi) e rinunciando quindi anche al viaggio a Tren-to.

Sempre più, quando ripenso al mese trascorso in Svizze-ra, lo considero come una parentesi vuota, un'esperienzamancata, che non ha lasciato alcuna traccia in me, né inmale, né in bene. So dire che la crisi morale dei primigiorni è stata così profondamente vissuta, che avevocreduto dovesse portare ad una svolta decisiva di tutto ilmio modo di essere e di pensare, come l'esperienza delleMésules. Tutto si è risolto invece in una semplice av-ventura psicologica, che si è chiusa senza lasciar traccia,allo stesso modo come si è chiusa senza conseguenzal'avventura materiale della detenzione.

Sono andato a Como a sentire un concerto. Avevo tantobisogno di musica: era forse il mio desiderio più acuto.Non ho ascoltato: mi sono abbandonato tutto nella granpace verde ed idilliaca della VI di Beethoven. Mi parevaquasi impossibile che nello stato attuale di rivolgimentitragici e di tensione nervosa potesse ancora esistere e cifosse ancora dato di ascoltare un'espressione di pura se-renità così fresca e riposante. Provai un senso quasi fisi-co di benessere e di distensione, come quando mi ab-bandono su un prato al sole o sotto un larice profumato

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sbandate: non ho concluso quasi nulla. Sono andato aMerate a trovar Manlio, a Pavia da Bruno, a Viggiù conVitale: a Milano ho visto anche Fanny, risparmiandomicosì il progettato viaggio a Tregnago (in questi momentidisastrosi) e rinunciando quindi anche al viaggio a Tren-to.

Sempre più, quando ripenso al mese trascorso in Svizze-ra, lo considero come una parentesi vuota, un'esperienzamancata, che non ha lasciato alcuna traccia in me, né inmale, né in bene. So dire che la crisi morale dei primigiorni è stata così profondamente vissuta, che avevocreduto dovesse portare ad una svolta decisiva di tutto ilmio modo di essere e di pensare, come l'esperienza delleMésules. Tutto si è risolto invece in una semplice av-ventura psicologica, che si è chiusa senza lasciar traccia,allo stesso modo come si è chiusa senza conseguenzal'avventura materiale della detenzione.

Sono andato a Como a sentire un concerto. Avevo tantobisogno di musica: era forse il mio desiderio più acuto.Non ho ascoltato: mi sono abbandonato tutto nella granpace verde ed idilliaca della VI di Beethoven. Mi parevaquasi impossibile che nello stato attuale di rivolgimentitragici e di tensione nervosa potesse ancora esistere e cifosse ancora dato di ascoltare un'espressione di pura se-renità così fresca e riposante. Provai un senso quasi fisi-co di benessere e di distensione, come quando mi ab-bandono su un prato al sole o sotto un larice profumato

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dopo la tensione di una lunga e difficile ascensione. Hoosservato tante volte quanto il mondo sarebbe migliorese tutti gli uomini fossero alpinisti; ma lo stesso sarebbeanche se tutti gli uomini fossero musicisti e se invece ditante conferenze e trattati, si tenessero concerti di veramusica.Non ho voluto farmi venire un pianoforte per questi po-chi giorni, ma nelle lunghe serate gelide, costretto incasa per il coprifuoco, ne sentivo una forte nostalgia.

Ma non è egoismo l'adagiarsi vigliaccamente in questacalma beata, oggi che ognuno dovrebbe lottare con tuttele sue forze se non vorrà doversi per sempre vergognaredi esser chiamato italiano?Quando incontro per via quei pochi ufficiali che si sonospontaneamente ripresentati per costituire le sparute filedel nuovo esercito repubblicano fascista, provo non solodisprezzo, ma quasi un senso di ribrezzo per quegli es-seri spregevoli traditori e venduti.

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dopo la tensione di una lunga e difficile ascensione. Hoosservato tante volte quanto il mondo sarebbe migliorese tutti gli uomini fossero alpinisti; ma lo stesso sarebbeanche se tutti gli uomini fossero musicisti e se invece ditante conferenze e trattati, si tenessero concerti di veramusica.Non ho voluto farmi venire un pianoforte per questi po-chi giorni, ma nelle lunghe serate gelide, costretto incasa per il coprifuoco, ne sentivo una forte nostalgia.

Ma non è egoismo l'adagiarsi vigliaccamente in questacalma beata, oggi che ognuno dovrebbe lottare con tuttele sue forze se non vorrà doversi per sempre vergognaredi esser chiamato italiano?Quando incontro per via quei pochi ufficiali che si sonospontaneamente ripresentati per costituire le sparute filedel nuovo esercito repubblicano fascista, provo non solodisprezzo, ma quasi un senso di ribrezzo per quegli es-seri spregevoli traditori e venduti.

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1944

10 gennaio, Milano. Sono andato a Cortina la seradell'ultimo dell'anno, sperando di potermi incontrare conMacchietto e coi miei ragazzi di Ollomont o passare conloro la notte di capodanno. Mi sembrava che il ritrovar-mi con loro mi sarebbe stato di buon augurio. InveceManlio era appena ripartito e i ragazzi dello "scoiattolo"erano saliti al rifugio 5 Torri a far baldoria. Così mi sontrovato con persone alquanto indifferenti, in una Cortinapiena di tedeschi, trasformata in un unico enorme ospe-dale militare e in regime di completa annessione alReich. Sono andato a dormire presto la sera, tanto piùche ero stanco e al mattino non ho scambiato auguri connessuno. L'unico vero italiano e l'unico vero alpinistache ho trovato è stato Degregorio e con lui mi son tratte-nuto a lungo in intime cordialità. Ho ritrovato anche al-cuni soldati e alpieri di Tre Croci, che si sono trattenutia lungo con me; poi sono scesi anche i ragazzi dello"scoiattolo" e mi hanno salutato con sincera cordialità.Ma io mi sono sentito ormai tanto lontano da loro, an-che da Bibi Ghedina, e non potevo più trovare un verocontatto. I rapporti militari finiti per sempre e con loronon ho ancora alcun rapporto di alpinismo o di amiciziaper poterci ritrovare su un qualsiasi piano di vicinanza.Per loro io sono sempre il loro tenente, benvoluto, sti-mato, ma tenente: per me essi non sono più i miei solda-

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10 gennaio, Milano. Sono andato a Cortina la seradell'ultimo dell'anno, sperando di potermi incontrare conMacchietto e coi miei ragazzi di Ollomont o passare conloro la notte di capodanno. Mi sembrava che il ritrovar-mi con loro mi sarebbe stato di buon augurio. InveceManlio era appena ripartito e i ragazzi dello "scoiattolo"erano saliti al rifugio 5 Torri a far baldoria. Così mi sontrovato con persone alquanto indifferenti, in una Cortinapiena di tedeschi, trasformata in un unico enorme ospe-dale militare e in regime di completa annessione alReich. Sono andato a dormire presto la sera, tanto piùche ero stanco e al mattino non ho scambiato auguri connessuno. L'unico vero italiano e l'unico vero alpinistache ho trovato è stato Degregorio e con lui mi son tratte-nuto a lungo in intime cordialità. Ho ritrovato anche al-cuni soldati e alpieri di Tre Croci, che si sono trattenutia lungo con me; poi sono scesi anche i ragazzi dello"scoiattolo" e mi hanno salutato con sincera cordialità.Ma io mi sono sentito ormai tanto lontano da loro, an-che da Bibi Ghedina, e non potevo più trovare un verocontatto. I rapporti militari finiti per sempre e con loronon ho ancora alcun rapporto di alpinismo o di amiciziaper poterci ritrovare su un qualsiasi piano di vicinanza.Per loro io sono sempre il loro tenente, benvoluto, sti-mato, ma tenente: per me essi non sono più i miei solda-

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ti ma non sono niente altro. Forse se facessi qualche gitacon loro, le cose cambierebbero subito, ma così non hosaputo trovar con loro alcun vero affiatamento.Ho ritrovato invece le mie crode, splendide e luminosenel tersissimo cielo invernale. Ora, dopo il mese vera-mente vissuto di Tre Croci, anche le crode di Cortina lesento mie. Mentre gli sci scorrevano come in un binariosullo stradone del Falzarego, guardavo insaziabile lamia Tofana e mai quella parete mi è parsa così bella,come ora che la potevo sentire proprio mia. Seguivo tut-to l'itinerario, ritrovavo i passaggi, ne rivivevo tuttal'emozione e ammiravo quella parete formidabile e quel-la via così ardita e così esposta. E poi guardavo al Pope-na, al Sorapìss, alla Fiames: passai da Tre Croci, ritrovaiil custode, rividi le belle palestre che avevo scoperto peri mie allievi.Scendendo da Tre Croci, gli sci serpeggiavano agilmen-te tra le piccole ondulazioni della morbida coltre nevo-sa. In pochi minuti fui a Valbona. È stato questo l'unicotratto, nella lunga traversata da Canazei, in cui potei go-dere la scivolata. Silenzio e solitudine del bosco, incantodi luci del tramonto fino al vespro sugli arditi profilidelle Marmarole.Un momento m'apparve, piccola e soffocata tra le crodeimmani, la Torre dei Sabbioni anch'essa ora così mia.Poiché soltanto le montagne che ci hanno dato almenoun attimo di vita vera, possiamo sentire come nostre:con un senso di possesso che non è dominio, ma è puris-simo amore. Le altre montagne le ammiriamo, sì, ma

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ti ma non sono niente altro. Forse se facessi qualche gitacon loro, le cose cambierebbero subito, ma così non hosaputo trovar con loro alcun vero affiatamento.Ho ritrovato invece le mie crode, splendide e luminosenel tersissimo cielo invernale. Ora, dopo il mese vera-mente vissuto di Tre Croci, anche le crode di Cortina lesento mie. Mentre gli sci scorrevano come in un binariosullo stradone del Falzarego, guardavo insaziabile lamia Tofana e mai quella parete mi è parsa così bella,come ora che la potevo sentire proprio mia. Seguivo tut-to l'itinerario, ritrovavo i passaggi, ne rivivevo tuttal'emozione e ammiravo quella parete formidabile e quel-la via così ardita e così esposta. E poi guardavo al Pope-na, al Sorapìss, alla Fiames: passai da Tre Croci, ritrovaiil custode, rividi le belle palestre che avevo scoperto peri mie allievi.Scendendo da Tre Croci, gli sci serpeggiavano agilmen-te tra le piccole ondulazioni della morbida coltre nevo-sa. In pochi minuti fui a Valbona. È stato questo l'unicotratto, nella lunga traversata da Canazei, in cui potei go-dere la scivolata. Silenzio e solitudine del bosco, incantodi luci del tramonto fino al vespro sugli arditi profilidelle Marmarole.Un momento m'apparve, piccola e soffocata tra le crodeimmani, la Torre dei Sabbioni anch'essa ora così mia.Poiché soltanto le montagne che ci hanno dato almenoun attimo di vita vera, possiamo sentire come nostre:con un senso di possesso che non è dominio, ma è puris-simo amore. Le altre montagne le ammiriamo, sì, ma

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come dal di fuori: non sono nostre, ci sono estranee.Ecco perché l'alpinismo non può essere soltanto con-templazione, ma deve essere azione. È necessario con-quistare per possedere, per poter compiutamente amare.Come con una donna, anche con la montagna è necessa-rio l'atto vitale perché sia perfetta la comunione d'amo-re.

"Non è strano che il mare consoli l'anima quando lo sivede, e renda così malinconici quando vi si pensa?"(Björnson).E l'amore è la più grande, anzi l'unica vera felicità dellavita.

"Quand'ero giovane, avevo ali forti instancabili, ma nonconoscevo le montagne. Quando fui vecchio, conobbi lemontagne, ma le ali stanche non tennero più dietro allavisione. Il genio è saggezza e gioventù" (Lee Masters).Saper essere ancora giovane, quando si è raggiunta lamaturità.

Desideravo tanto un po' di musica. Di sentir musica, mapiù ancora di suonare, di abbandonarmi, di perdermi nelsuono del mio strumento e della mia voce. Era fin daltempo del Berio, che ne sentivo un desiderio acuto, unavera sete. Appena di ritorno a Milano, ero corso a Comoper sentire un concerto; di passaggio a Tregnago, ho vo-luto riaprire la tastiera e anche il suono di quello stru-mento terribile, mi è parso soavissimo. Quando son ri-

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come dal di fuori: non sono nostre, ci sono estranee.Ecco perché l'alpinismo non può essere soltanto con-templazione, ma deve essere azione. È necessario con-quistare per possedere, per poter compiutamente amare.Come con una donna, anche con la montagna è necessa-rio l'atto vitale perché sia perfetta la comunione d'amo-re.

"Non è strano che il mare consoli l'anima quando lo sivede, e renda così malinconici quando vi si pensa?"(Björnson).E l'amore è la più grande, anzi l'unica vera felicità dellavita.

"Quand'ero giovane, avevo ali forti instancabili, ma nonconoscevo le montagne. Quando fui vecchio, conobbi lemontagne, ma le ali stanche non tennero più dietro allavisione. Il genio è saggezza e gioventù" (Lee Masters).Saper essere ancora giovane, quando si è raggiunta lamaturità.

Desideravo tanto un po' di musica. Di sentir musica, mapiù ancora di suonare, di abbandonarmi, di perdermi nelsuono del mio strumento e della mia voce. Era fin daltempo del Berio, che ne sentivo un desiderio acuto, unavera sete. Appena di ritorno a Milano, ero corso a Comoper sentire un concerto; di passaggio a Tregnago, ho vo-luto riaprire la tastiera e anche il suono di quello stru-mento terribile, mi è parso soavissimo. Quando son ri-

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tornato stabilmente a Milano, ho cercato invano in tuttala città un pianoforte a nolo. Niente. Mi rincresceva farritornare il mio sfollato, ma anche sentivo una forte no-stalgia di musica, tanto più in queste sere in cui non èpossibile uscire per il coprifuoco e tanto più in questoperiodo di totale mancanza di opere e di concerti. Final-mente ho pensato al pianoforte dei Luzzato, che dovevatrovarsi ancora a casa di Manlio. Dopo varie difficoltàsono riuscito a farlo portar qui e a farlo metter in ordine.Contavo i giorni, tanto ero assetato di musica. La primasera volli concedermi proprio i miei pezzi preferiti: V diBeethoven, Suite Bergamasque, Concerto Italiano; la se-conda sera Monteverdi, Frescobaldi, Pizzetti e ancoraDebussy. Non potevo desiderare di meglio. E invecenessuna gioia mi ha dato il ritrovarmi al pianoforte, il ri-trovare le mie musiche preferite. Tale era lo stato di apa-tia in cui ero caduto in questo grigio periodo milanese,che tutto mi era divenuto indifferente.Ma ora, a poco a poco, comincio a ritrovarmi. Leggosenza stento, le dita scorrono da sé senza ch'io debba ba-dare alla tastiera, la voce mi esce di nuovo piena e senzasforzo, non riesco ancora a dimenticarmi e a perderminell'onda sonora, ma già un immedesimarsi nella musi-ca, e già un riesprimere quello che leggo con l'animo piùche con le dita.

E insieme alla musica è tornato anche il sole. Un soletiepido da primavera, un'aria leggera e trasparente, unvento crudo e vivificante come una brezza montana. Lo

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tornato stabilmente a Milano, ho cercato invano in tuttala città un pianoforte a nolo. Niente. Mi rincresceva farritornare il mio sfollato, ma anche sentivo una forte no-stalgia di musica, tanto più in queste sere in cui non èpossibile uscire per il coprifuoco e tanto più in questoperiodo di totale mancanza di opere e di concerti. Final-mente ho pensato al pianoforte dei Luzzato, che dovevatrovarsi ancora a casa di Manlio. Dopo varie difficoltàsono riuscito a farlo portar qui e a farlo metter in ordine.Contavo i giorni, tanto ero assetato di musica. La primasera volli concedermi proprio i miei pezzi preferiti: V diBeethoven, Suite Bergamasque, Concerto Italiano; la se-conda sera Monteverdi, Frescobaldi, Pizzetti e ancoraDebussy. Non potevo desiderare di meglio. E invecenessuna gioia mi ha dato il ritrovarmi al pianoforte, il ri-trovare le mie musiche preferite. Tale era lo stato di apa-tia in cui ero caduto in questo grigio periodo milanese,che tutto mi era divenuto indifferente.Ma ora, a poco a poco, comincio a ritrovarmi. Leggosenza stento, le dita scorrono da sé senza ch'io debba ba-dare alla tastiera, la voce mi esce di nuovo piena e senzasforzo, non riesco ancora a dimenticarmi e a perderminell'onda sonora, ma già un immedesimarsi nella musi-ca, e già un riesprimere quello che leggo con l'animo piùche con le dita.

E insieme alla musica è tornato anche il sole. Un soletiepido da primavera, un'aria leggera e trasparente, unvento crudo e vivificante come una brezza montana. Lo

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aspiravo a pieni polmoni, a grandi sorsate, come perbere quell'aria dei monti. Vorrei tanto poter ritornare trai monti, per ritrovarmi, per ritrovare tutta la mia energia,il mio spirito d'iniziativa, la mia volontà d'azione, il piùvero me stesso.5

FINE

5 - Poco tempo dopo Castiglioni morì. Il quotidiano "Popolo Valtellinese"del giugno 1944 riportò il seguente trafiletto:"In località passo del Forno, a poche centinaia di metri del confine Sviz-zero, è stato rinvenuto, dopo circa due mesi dalla morte, il cadavere di unuomo di circa 35 anni, in stranissime condizioni di equipaggiamento. A circa 3000 metri, lo sconosciuto era ricoperto soltanto da due paia dimutande, senza abiti, e a capo scoperto e si trovava avvolto in una coper-ta da letto; i piedi, calzati con babbucce, recavano i ramponi da ghiaccio. Dall'insieme dei rilievi, si esclude l'ipotesi di un delitto e si ritiene inveceche lo sventurato sia evaso dalla Svizzera in circostanze fortunose. La salma, che non fu potuta identificare per mancanza di documenti, èstata tumulata a Chiesa Valmalenco." La salma venne poi identificata: si trattava di Ettore Castiglioni. Si seppein seguito che l'11 marzo del 1944 era partito con gli sci dalla CapannaPorro per "sbrigare una faccenda" per conto del Comitato di liberazionenazionale, con passaporto falso, ma era stato scoperto dalla gendarmeriaelvetica. Arrestato, era stato rinchiuso al piano superiore dell'Hotel Lon-ghin. Per impedirgli la fuga era stato privato dei calzoni, degli scarponi edegli sci. Nonostante ciò il giorno successivo era fuggito calandosi da unafinestra, senza attrezzatura (salvo un paio di ramponi) e senza vestiti adat-ti, riparandosi alla meglio con una coperta. Sua intenzione era di tornarein Italia attraverso il ghiacciaio del Forno e l'omonimo passo. Fu sorpre-so però da una tormenta di neve a 2650 metri di quota e morì assiderato.[Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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aspiravo a pieni polmoni, a grandi sorsate, come perbere quell'aria dei monti. Vorrei tanto poter ritornare trai monti, per ritrovarmi, per ritrovare tutta la mia energia,il mio spirito d'iniziativa, la mia volontà d'azione, il piùvero me stesso.5

FINE

5 - Poco tempo dopo Castiglioni morì. Il quotidiano "Popolo Valtellinese"del giugno 1944 riportò il seguente trafiletto:"In località passo del Forno, a poche centinaia di metri del confine Sviz-zero, è stato rinvenuto, dopo circa due mesi dalla morte, il cadavere di unuomo di circa 35 anni, in stranissime condizioni di equipaggiamento. A circa 3000 metri, lo sconosciuto era ricoperto soltanto da due paia dimutande, senza abiti, e a capo scoperto e si trovava avvolto in una coper-ta da letto; i piedi, calzati con babbucce, recavano i ramponi da ghiaccio. Dall'insieme dei rilievi, si esclude l'ipotesi di un delitto e si ritiene inveceche lo sventurato sia evaso dalla Svizzera in circostanze fortunose. La salma, che non fu potuta identificare per mancanza di documenti, èstata tumulata a Chiesa Valmalenco." La salma venne poi identificata: si trattava di Ettore Castiglioni. Si seppein seguito che l'11 marzo del 1944 era partito con gli sci dalla CapannaPorro per "sbrigare una faccenda" per conto del Comitato di liberazionenazionale, con passaporto falso, ma era stato scoperto dalla gendarmeriaelvetica. Arrestato, era stato rinchiuso al piano superiore dell'Hotel Lon-ghin. Per impedirgli la fuga era stato privato dei calzoni, degli scarponi edegli sci. Nonostante ciò il giorno successivo era fuggito calandosi da unafinestra, senza attrezzatura (salvo un paio di ramponi) e senza vestiti adat-ti, riparandosi alla meglio con una coperta. Sua intenzione era di tornarein Italia attraverso il ghiacciaio del Forno e l'omonimo passo. Fu sorpre-so però da una tormenta di neve a 2650 metri di quota e morì assiderato.[Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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