Rosacroce d'Oro e Porta Magica Di Roma (Piazza Vittorio - Ex Villa Palombara)(1)

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1 La Rosacroce d’Oro, nel XVII secolo, e la Porta Alchemica di Piazza Vittorio a Roma

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La Rosacroce d’Oro, nel XVII secolo, e la Porta Alchemica di Piazza Vittorio a Roma

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Introduzione

(estratti da Wikipedia) La Porta Alchemica, detta anche Porta Magica o Porta Ermetica o Porta dei Cieli, è un monumento edificato tra il 1655 e il 1680 da Massimiliano Palombara marchese di Pietraforte (1614-1680) nella sua residenza, villa Palombara, sita nella campagna orientale di Roma sul colle Esquilino nella posizione quasi corrispondente all'odierna piazza Vittorio, dove oggi è stata collocata. La Porta Alchemica è l'unica sopravvissuta delle cinque porte di villa Palombara, sull'arco della porta perduta sul lato opposto vi era un'iscrizione che permette di datarla al 1680, inoltre vi erano altre quattro iscrizioni perdute sui muri della palazzina all'interno della villa.

La leggenda

Secondo la leggenda, trasmessaci nel 1802 dall'erudito Francesco Girolamo Cancellieri, uno stibeum pellegrino fu ospitato nella villa per una notte. Il "pellegrino", identificabile con l'alchimista Francesco Giustiniani Bono (falso nome, adottato da Giuseppe Francesco Borri, nel suo periodo di semi-libertà dopo il processo dell’inquisizione), dimorò per una notte nei giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace di produrre l'oro, il mattino seguente fu visto scomparire per sempre attraverso la porta, ma lasciò dietro alcune pagliuzze d'oro frutto di una riuscita trasmutazione alchemica, e una misteriosa carta piena di enigmi e simboli magici che doveva contenere il segreto della pietra filosofale.

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La Storia

Il Borri nel 1659 fu accusato dalla Santa Inquisizione di eresia e veneficio. Datosi alla fuga, dopo una vita avventurosa passata in varie città d'Europa dove esercitò la professione medica, fu arrestato e restò recluso a Roma nelle carceri di Castel Sant'Angelo tra il 1671 e il 1677. Quando gli fu concesso il regime della semilibertà dal 1678, riprese a frequentare il suo vecchio amico Massimiliano Palombara (1614-1685) che lo ospitò nella sua villa negli anni successivi fino alla sua morte avvenuta nel 1680. Tra gli anni 1678 e 1680 Borri e Palombara fecero le iscrizioni enigmatiche, e di certo si sa che almeno una scritta della villa (quella sopra l'arco della porta in via Merulana) risale al 1680.

Gli alchimisti di Palazzo Riario

L'interesse del marchese Palombara per l'alchimia nacque probabilmente per la sua frequentazione sin dal 1656, della corte romana della regina Cristina di Svezia, a Palazzo Riario (oggi Palazzo Corsini) sulle pendici del colle Gianicolo oggi sede dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Dopo che la regina si convertì al cattolicesimo, abdicò al trono di Svezia e passò gran parte del resto della sua vita esule a Roma, dal 1655 fino alla sua morte avvenuta nel 1689. Cristina di Svezia era un'appassionata cultrice di alchimia e di scienza (fu istruita da Cartesio) e possedeva un avanzato laboratorio gestito dall'alchimista Pietro Antonio Bandiera. In Palazzo Riario nacque un'accademia a cui si collegano i nomi di personaggi illustri del Seicento come il medico esoterista Giuseppe Francesco Borri, di nobile famiglia milanese, l'astronomo Giovanni Cassini, l'alchimista Francesco Maria Santinelli, l'erudito Athanasius Kircher. Il marchese Palombara dedicò a Cristina di Svezia il suo poema rosicruciano La Bugia redatto nel 1656, e secondo una leggenda la stessa Porta Alchemica sarebbe stata edificata nel 1680 come celebrazione di una riuscita trasmutazione avvenuta nel laboratorio di Palazzo Riario. (fine estratti di Wikipedia).

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La Rosacroce d’Oro Il Marchese Massimilano Palombara in una sua lettera parla esplicitamente della Rosacoce d’Oro e delle sue due classi (Rosacroce e Aurea Croce). Anche il conte Francesco Maria Santinelli era un membro della Rosacroce d’Oro. Infatti, nel suo Carlo V, chiaramente autobiografico, il protagonista è ricevuto nella Rosacroce d’Oro. Elemento di spicco, forse uno dei capi se non addirittura l’Imperator della Rosacroce d’Oro attiva a Venezia nel XVII° secolo era Federico Gualdi, del quale Santinelli seguirà le orme nei suoi scritti alchemici. Il centro che unisce tutti questi personaggi sembra essere la regina Cristina di Svezia, alla quale Santinelli era fedele, e per la quale organizzò il benvenuto quando questa passò da Pesaro. Il Palombara fu da lei sovvenzionato per realizzare il suo laboratorio e per condurvi i suoi lavori con gli altri alchimisti del gruppo, egli le dedicò il suo poema rosicriciano La Bugia. Il Borri, in una delle sue lettere racconta che nel 1666 incontrò ad Amburgo l'ex regina Cristina di Svezia, ed incassò da lei una grossa somma di denaro per una non specificata operazione. Cristina di Svezia ebbe, per un certo tempo, come precettore René Descartes, ovvero, Cartesio. Di lui si dice che potrebbe essere stato affiliato ai Rosacroce classici, durante uno dei suoi viaggi in Germania. Il biografo Baillet citando passi di un perduto Studium bonae mentis, sostiene che Cartesio pensò che i rosacrociani potessero aver scoperto proprio quella nuova scienza che egli aveva intuito e che andava abbozzando. Non c’è alcuna prova concreta che Cartesio sia stato o meno un membro della Rosacroce tedesca o se conoscesse qualche membro di tale associazione, tuttavia, è particolarmente interessante notare che Cristina di Svezia, a Roma, si circondò di membri della Rosacroce d’Oro, dei quali fu anche mecenate.

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Iscrizioni cancellate della Villa

1) <<VILLAE IANUAM TRANANDO RECLUDENS IÀSON OBTINET LOCUPLES VELLUS MEDEAE. 1680>>

Traduzione: Oltrepassando la porta di questa villa, lo scopritore Giasone ottiene vello di Medea In gran copia 1680.

Commento: Giasone è un Eroe, che vedremo anche più avanti citato nel frontespizio della porta. Egli conquista il Vello d’Oro, con l’aiuto di Medea. Il Vello d’Oro è il simbolo dell’abito d’Oro delle Nozze alchemiche.

2) <<AQUA A QUA HORTI IRRIGANTUR NON EST AQUA A QUA HORTI ALUNTUR>>

Traduzione: L'acqua con la quale i giardini sono annaffiati non è acqua dalla quale sono alimentati.

Commento: I giardini di Villa Palombara erano sede di un piccolo cerchio d’alchimisti. Questa iscrizione vuol significare che un’altra acqua, non solo quella con la quale irrigare il terreno dei giardini, era presente in quei luoghi. La frase allude al campo di forza, che nutriva i membri di tale cerchia. L’acqua che annaffia questo giardino terreno non è l’acqua <<il prana divino>> che alimenta il giardino dell’Anima Nuova.

3) <<CUM SOLO SOPHORUM LAPIS NON SALE ET DATUR SOLE SILE LUPIS>>

Traduzione: Accontentati del solo sale e del sole.

Commento: Il Sale è la testimonianza fisica di un processo, il sole è la forza che da Vita. Sii contento se riesci a rendere concreto quanto la forza, di cui il sole è simbolo, ti offre la possibilità di fare. Sii, però, vigile come il serpente e puro come la colomba, la tua materia prima è già in te e intorno a te.

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4) <<QUI POTENTI HODIE PECUNIA NATURAE ARCANA EMITUR SPURIA REVELAT NOBILITAS SED MORTEM NON LEGITIMA QUAERIT SAPIENTIA>>

Traduzione: Colui che svela gli arcani della natura al potente cerca da se stesso la morte.

Commento: Si tratta di un monito molto importante. Che la sinistra non sappia ciò che fa la destra. Che l’io non s’impossessi della comprensione dell’Anima per il proprio vantaggio. Non date le perle ai porci ne fate un letto di rose agli asini.

5) <<HOC IN RUBE, CAELI RORE, FUSIS AEQUIS, PHYSIS AQUIS, SOLUM FRACTUM, REDDIT FRUCTUM, DUM CUM SALE NITRI, AC SOLE, SURGUNT FUMI SPARSI FIMI. ISTUD NEMUS, PARVUS NUMUS, TENET FORMA SEMPER FIRMA, DUM SUNT ORTAE SINE ARTE VITES, PYRA, ET POMA PURA. HABENS LACUM, PROPE, LUCUM, UBI LUPUS NON, SED LUPUS SEPE LUDIT; DUM NON LAEDIT MITES OVES, ATQUE AVES; CANIS CUSTOS INTER CASTOS AGNOS FERAS MITTIT FORAS, ET EST AEGRI HUJUS AGRI AER SOLUS VERA li SALUS, REPLENS HERBIS VIAS URBIS. SULCI SATI DANT PRO SITI SCYPHOS VINI. [2] INTROVENI, VIR NON VANUS. EXTRA VENUS. VOBIS, FURES, CLANDO FORES. LABE LOTUS, BIBAS LAETUS MERI MARE, BACCHI MORE. INTER UVAS, Sl VIS, OVAS, ET QUOD CUPIS, GRATIS CAPIS. TIBI PARO, CORDE PURO, QUICQUID PUTAS, A ME PETAS. DANT HIC APES CLARAS OPES DULCIS MELLIS, SEMPER MOLLIS. HIC IN SILVAE UMBRA SALVE TU, QUI LUGES, NUNC SI LEGES NOTAS ISTAS, STANS HIC AESTAS, VERA MISTA; FRONTE MOESTA NUNQUAM FLERES, INTER FLORES SI MANERES, NEC MANARES INTER FLETUS, DUM HIC FLATUS AURAE SPIRANT, UNDE SPERANT MESTAE MENTES INTER MONTES, INTER COLLES, INTER GALLES, ET IN VALLE HUJUS VILLAE, UBI VALLUS CLAUDIT VELLUS. [3] BONUM OMEN, SEMPER AMEN ETIAM PETRAE DUM A PUTRE SURGUNT PATRE, ITA NOTAS, HIC VIX NATUS, IN HAC PORTA, LUTO PARTA, TEMPUS RIDET, BREVI RODET.>>

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Traduzione: <<In questa villa dalla rugiada celeste, dai piani arati e dalle acque correnti, il suolo dissodato dà frutto; mentre che, nel salnitro e pel sole, dallo sparso letame s'alza fumo. Questo bosco, di poca entità, conserva sempre identico il suo aspetto; mentre sono nati spontaneamente i tralci delle viti, i peri e i meli sinceri. Vicino al lago v'e un boschetto, dove spesso scherza non già il lupo, ma la lepre; scherza senza offendere le miti pecorelle e gli uccelletti. Il cane custode de' casti agnelli, mette in fuga le fiere; e la sola aria di questa campagna ridà la salute all'infermo. Questa tenuta riempie d'erbaggi le vie della città. I solchi coltivati danno, per la sete, coppe di vino. Entra, uomo modesto! Che Venere stia lontana! A voi, ladri, chiudo le porte. Bevi allegramente, a profusione, vino puro, a mo' di Bacco. Gioisci (a stare) tra i vigneti e prendi liberamente ciò che più ti aggrada. A te preparo schiettamente quanto mi chiedi. Qui le api producono a dovizia dolce miele, sempre tenero. Salute a te, che piangi all'ombra della selva! Ora, se tu comprendessi questo, che qui l'estate è mista alla primavera, non piangeresti mestamente. Se tu restassi qui, in mezzo ai fiori, non staresti a piangere, perché qui spira l'effluvio dell'aria. Perciò le anime melanconiche sperano tra i monti, tra i colli, tra i sentieri e nella valle di questa villa, dove l'ovile recinge le pecore. Ti faccio buon augurio: Che sia sempre così! Ma tu, appena ti sarai levato, segna qui, su questa [soglia di] porta, che il fango (la malta) ha generata [la porta del casino], - perché le pietre (i minerali) nascono dalla putrefazione, - che il tempo scherza noncurantemente, ma che in brev'ora tutto distrugge.>>

Commento: Questa è una poetica raffigurazione del Campo di Forza e di Luce di una autentica Scuola Spirituale. Vi si vede armonia, e quanto è potenziale si manifesta portando frutto. Il campo in questione ha il potere di ridare la salute all’infermo, ovvero, di offrire le forze ed il metodo necessari alla Salvezza del Microcosmo. Il Vino dello Spirito è offerto in abbondanza. Vi leggiamo una consolazione alle sofferenze di colui la cui anima è afflitta dalle pene della natura della morte. Vi leggiamo anche un avvertimento a rimanere saldi nel Campo di Forza, per evitare che la natura della morte possa distruggere quanto acquisito, perché ancora debole.

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La Porta Alchemica

Il Frontespizio

Il bassorilievo che sormonta l'architrave, è ripreso dal frontespizio dell'Aureum Seculum Redivivum (Francoforte, 1677), di Hinricus Madathanus. Si tratta di un Pentacolo di Salomone, contornato dal motto: <<TRI SVNT MIRABILIA DEVS ET HOMO MATER ET VIRGO TRINVS ET VNVS>>, Traduzione: tre sono le cose mirabili: Dio e l'uomo, la madre e la vergine, l'uno e il trino. Commento: Si tratta di tre coppie.

1. Dio e Uomo. 2. Madre e Vergine 3. Uno e Trino.

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Queste coppie esprimono il modello della manifestazione Originale della Natura. Dio creò l’uomo come attuatore del suo potenziale d’Ideazione, questo potenziale poteva esprimersi nell’aspetto Madre del divino, ovvero, la Sostanza Primordiale, vero e proprio arsenale di forze caotiche e quindi Vergini poiché ancora non fecondate dall’idea informatrice e formatrice. Per poter manifestare nella materia l’ideazione divina, è necessario che questa sia infusa in essa mediante una triplice forza, avente la sua origine nell’Uno, in Dio. Anche nella Pistis Sophia vediamo che il demiurgo è un essere dotato di triplice forza, proprio come gli altri appartenenti agli eoni dell’alto. Sovrapposto al Pentacolo, vi è un cerchio sormontato da una croce e reca il motto: <<CENTRVM IN TRIGONO CENTRI>> Traduzione: Il centro è nel triangolo del centro. Commento: Il vero centro è solo il Triangolo che rappresenta l’Uomo Divino Originale dotato della sua Triplice Santa Personalità.

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Sul frontespizio della porta vi è l’iscrizione ebraica Ruah Elohim che significa lo Spirito di Elohim (lui gli dei, i sette rettori, le sette forze dello Spirito Settemplice), al disotto della scritta ebraica vi è la scritta in latino: <<HORTI MAGICI INGRESSVM HESPERIVS CVSTODIT DRACO ET SINE ALCIDE COLCHICAS DELICIAS NON GVSTASSET IASON>> Traduzione: il drago delle Esperidi custodisce l'ingresso dell'orto magico e senza Ercole, Giasone non avrebbe assaggiato le delizie della Colchide. Commento: In questo verso due miti sono posti uno al fianco dell’altro. Il primo è quello del Giardino delle Esperidi, nel quale le Esperidi, figlie di Atlante, custodivano l’albero che Gea regalò a Zeus ed Era per il loro matrimonio. Quest’albero generava mele d’oro. L’albero era sorvegliato dal serpente Ladone che aveva cento teste e che non chiudeva mai i suoi occhi. Secondo un mito Ercole riuscì a conquistare le preziose mele con l’aiuto di Atlante, sostituendolo nel reggere il peso del mondo. Secondo un altro mito Ercole uccise il serpente scagliandovi contro una freccia scoccata al disopra delle mura del giardino costruito da Atlante. Il frutto fu quindi conquistato sopportando il “peso del mondo” ed abbattendo il Serpente che vi faceva da guardia. Il secondo Mito, è quello di Giasone e del mitico viaggio degli Argonauti, verso la Colchide, fra i quali ricordiamo vi era anche Orfeo (fondatore dei Misteri Orfici dedicati a Dioniso) e Eracle o Ercole (per i romani). La loro missione era conquistare il Vello d’Oro. Il potere del magico Vello d’Oro era di guarire le ferite. Il vello fu posto in un boschetto da Eete che vi pose un drago a guardia.

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Giasone arrivò nella Colchide (sull’attuale costa georgiana del Mar Nero) per conquistare il vello d’oro, che il re Eeta aveva avuto da Frisso. Eeta promise di darlo a Giasone a patto di superare tre prove: una volta saputo di cosa si trattava, Giasone si disperò. Ma Era ne parlò con Afrodite, la quale chiese al figlio Eros di far innamorare di Giasone la figlia di Eeta, Medea, così da aiutarlo nelle tre prove. Nella prima, Giasone doveva arare un campo facendo uso di due tori dalle unghia di bronzo che spiravano fiamme dalle narici e che doveva aggiogare all’aratro. Medea gli diede una pomata che lo protesse dalle fiamme dei tori, consentendogli di superare la prova. Nella seconda, Giasone doveva seminare nel campo appena arato i denti di un drago, i quali, germogliando, generavano un’armata di guerrieri. Ancora una volta Medea istruì Giasone su come poteva fare per avere la meglio: egli lanciò un sasso in mezzo ai guerrieri che, incapaci di capirne la provenienza, si attaccarono tra di loro, annientandosi. Nella terza, Giasone doveva sconfiggere il drago insonne che era a guardia del vello d’oro. Gli spruzzò una pozione ricavata da alcune erbe, datagli sempre da Medea: il drago si addormentò ed egli poté conquistare il vello d’oro. Giasone scappò con la nave Argo insieme a Medea, che aveva rapito il fratellino Apsirto. Inseguiti da Eeta, Medea uccise il fratello, lo fece a pezzi e lo gettò in acqua: Eeta si fermò a raccoglierli, perdendo di vista la Argo. Medea è figlia del Re Eete ed ha poteri magici. Quando Medea si vede tradita da Giasone, innamoratosi della figlia di Re Creonte di Corinto, ordì la sua vendetta uccidendo la moglie di Giasone, i suoi due figli e facendolo morire solo, sulla ormai fatiscente, nave Argo. A causa del tradimento della promessa fatta a Medea, Giasone perse il favore di Era.

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Giasone cade in disgrazia a causa della sua volontà di riappropriarsi del potere temporale che gli era stato sottratto quando il trono di suo padre fu usurpato. La figura di Ercole è importante anche nel mito di Giasone, poiché spinge gli Argonauti a perseverare. In entrambi i miti vediamo delle costanti: - Un boschetto o un giardino che nasconde un tesoro - Un eroe deve compiere una serie di imprese per poter conquistare il

premio. - Solo con la dedizione è possibile ottenere il premio per le fatiche

sostenute. - Una fiera è posta a guardia del premio e questa deve essere vinta. - La fiera è un drago o un serpente, entrambe le figure riportano

all’immagine del Serpente di Fuoco. Ricapitolando: Se si accetta di affrontare il peso del cammino, superando grazie alla dedizione tutti gli ostacoli, il serpente di fuoco può essere vinto e i frutti dell’albero della vita possono essere colti. Tali frutti sono il nuovo Manto dell’Anima, il Vello d’Oro, che ha la capacità di guarire ogni ferita, anche quella che la Caduta ha generato.

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Gli stipiti laterali

Sui due lati della prora si trovano incisi i simboli dei pianeti e un’iscrizione latina per ciascuno di essi. A sinistra:

(Saturno = piombo)

<<QVANDO IN TVA DOMO

NIGRI CORVI PARTVRIENT ALBAS

COLVMBAS TVNC VOCABERIS

SAPIENS>>

Traduzione: quando nella tua casa corvi neri

partoriranno bianche colombe,

allora tu potrai dirti saggio

Commento: Questa scritta è un chiaro rimando alla Nigredo o Opera al Nero (corvi neri) come premessa alla successiva Albedo o Opera al Bianco (colombe bianche). L’Opera al Nero è la Resa dell’Io.

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A destra:

(Giove = stagno)

<<DIAMETER SPHAERAE

THAV CIRCVLI CRVX ORBIS

NON ORBIS PROSVNT>>

Traduzione: il diametro della sfera, il tau del cerchio, la croce del globo,

ai ciechi non servono

Commento: Secondo un moderno alchimista il diametro della sfera è il simbolo del salnitro (Nel sistema della personalità il Salnitro è il simbolo dell’etere nervoso – si tratta di una corrente vitale unita alla natura fisica e nell’uomo caduto è causa di distruzione dei valori assoluti dell’anima. Nel caso dell’etere nervoso, dell’uomo caduto si parla di <<Salnitro Corrotto>>). Se è vero che esiste un Salnitro corrotto è anche vero che ne esiste uno originale e puro, per assimilare il quale è necessaria la presenza di un’Anima Nuova orientata sul cammino. Il Tau del cerchio è il simbolo del vetriolo (formula che significa: Visita Interiori Terre Rettificando Invenies Occultum Lapidem Veram Medicina – che liberamente tradotto significa: Scendi nelle terre interiori e rendendo diritti i sentieri in te troverai la Pietra Nascosta che è la Vera Medicina), e la croce del globo è il simbolo dell'antimonio (Mercurio filosofico, l’Anima Nuova). Queste conoscenze sono inutili a chi è cieco, a colui o colei che non possiede la coscienza di cui Giove è il simbolo. Per coloro che, invece, la possiedono, è chiaro quale sia il lavoro da compiere.

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L’alchimista deve saper ricavare il puro Salnitro Celeste, la forza pura del Campo di Forza e di Luce di una Scuola Spirituale e con questa lavorare alla conoscenza di sé e alla rettificazione dei cammini per il proprio Dio interiore. Grazie a quest’assiduo lavoro, potrà nascere un’Anima Nuova, capace di unirsi allo Spirito e di fungere da mediatrice fra questi e il corpo. A sinistra:

(Marte = ferro)

<<QUI SCIT

COMBVRERE AQVA ET LAVARE IGNE FACIT DE TERRA

CAELVM ET DE CAELO TERRAM

PRETIOSAM>>

Traduzione: chi sa ardere con l'acqua e lavare col fuoco, fa della terra cielo

e del cielo terra preziosa

Commento: L’Acqua è simbolo dell’Anima. Ardere con l’Acqua, significa aver un’anima ignea, in altre parole, aver ottenuto l’Anima Spirito, grazie all’unione del Mercurio Filosofico e dello Zolfo. L’immagine “Lavare con il Fuoco” allude all’aspetto purificatore del Fuoco dello Spirito, all’alkaest e alla fiamma, con la quale è purificata, calcinata e lavata la nostra materia, il nostro essere uomini di questa natura.

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Grazie al possesso dell’anima Spirito e alla forza purificatrice del Fuoco Spirituale, la Forza Ignea del Campo di Forza di una scuola Spirituale, la Terra, la personalità può essere trasmutata e resa più sottile (“fa della terra cielo”), permettendo, così, la manifestazione dello Spirito nella materia (“e del cielo terra preziosa”). A destra:

(Venere = rame)

<<SI FECERIS VOLARE TERRAM SVPER

CAPVT TVVM EIVS PENNIS

AQVAS TORRENTVM CONVERTES IN PETRAM>>

Traduzione: se farai volare

la terra sopra la tua testa,

con le sue penne trasformerai l'acqua dei torrenti

in pietra

Commento: Se la Terra si eleva sopra la testa, se il veicolo più denso è il nuovo manto dell’Anima, le correnti eteriche del nuovo campo di vita potranno essere utilizzate come alimenti per il nuovo veicolo eterico, reso indipendente dal corpo fisico.

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A sinistra:

Commento: Latona era la Dea del progresso e della tecnologia, simile ad Efesto. Generò Artemide, personificazione della Luna, con la quale successivamente venne identificata la romana Diana, protettrice delle selve, la cui etimologia del nome è dius ("della luce", da dies, "[luce del] giorno"). Latona è quindi l’immagine del potere d’ideazione. Diana è, invece, l’immagine della Luce dell’Anima. Sbiancare equivale a rendere puro. Rendendo pura l’Ideazione, sulla base della comprensione nata dalla nuova anima Spirito, la Luce dell’Anima si manifesta senza veli, senza nulla che la possa oscurare.

(Mercurio = mercurio)

<<AZOT ET IGNIS

DEALBANDO LATONAM VENIET

SINE VESTE DIANA>>

Traduzione: sbiancando Latona

col mercurio e col fuoco, Diana viene senza veste

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A destra:

(Mercurio rovesciato)

<<FILIUS NOSTER MORTVVS VIVIT

REX AB IGNE REDIT ET CONIVGIO

GAVDET OCCVLTO>> Traduzione: il nostro figlio

morto vive, ritorna re dal fuoco

e gode dell'occulto accoppiamento

Commento: Il nostro mercurio, la nostra vitalità, l’argento vivo della nostra vita è stato capovolto, è stato trasfigurato dal fuoco ed è tornato a essere Re. L’armonia testa cuore è ristabilita. Nel microcosmo rinasce l’Uomo Nuovo e si manifesta pienamente. Le Nozze Alchemiche sono celebrate.

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La soglia

EST OPVS OCCVLTVM VERI VT GERMINET

SOPHI APERIRE TERRAM SALVTEM PRO POPVLO

Traduzione: È l'opera segreta del vero saggio aprire la terra, affinché germini per la salvezza della gente. Commento: Il vero Saggio, colui che ha Celebrato in Sé le vere Nozze Alchemiche si mette al servizio dell’Umanità. La sua missione è aprire una breccia nella densità della materia, affinché i raggi del sole divino possano penetrarvi e nutrire il seme divino sepolto nell’uomo. Sulla soglia troviamo anche il motto: <<SI SEDES NON IS>> Traduzione: Se letto da sinistra a destra (Se siedi non vai) Se letto da destra a sinistra (Se non siedi vai) Commento: Si tratta di un’incitazione a non adagiarsi, a non limitarsi a uno studio intellettuale ma a varcare la soglia del cammino.

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Appendice – Notizia estesa sui personaggi del circolo del Palombara.

Il marchese Savelli Palombara

Massimiliano Savelli Palombara, figlio di Oddo V marchese di PietraForte e di Laura Ceuli, nasce a Roma il 14 dicembre 1614. Personaggio colto, poeta manierista e studioso di alchimia, autore del manoscritto La Bugia, in cui racconta la sua esperienza alchemica, Massimiliano si fece costruire nel 1653 sul terreno acquistato dal padre nel 1620 dal duca Alessandro Sforza, la sua Villa sull’Esquilino che occupava un territorio che si estendeva dai giardini di piazza Vittorio fino agli odierni viale Manzoni e via Merulana.

Villa Palombara, in giallo, in una pianta del 1676 Villa Palombara sarà destinata a diventare luogo di incontro per gli intellettuali e gli studiosi di astrologia e di alchimia dell’epoca, tra cui l'illustre studioso gesuita Padre Athanasius Kircher, l’astronomo Domenico Cassini e la regina Cristina di Svezia, stabilitasi a Roma dopo aver abdicato nel 1656, di cui egli diviene gentiluomo e persona di fiducia. La posizione sociale del marchese Massimiliano nonché un congruo patrimonio, gli permisero di finanziare progetti alchemici. Villa Palombara era provvista di una piccola dependance separata (Casino Nobile), probabilmente adibita a laboratorio, dove si svolgevano in segreto gli incontri e gli esperimenti alchemici. Massimiliano fu probabilmente introdotto allo studio dell’alchimia ermetica dal padre Oddo (marchese di PietraForte) che già si occupava di

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ermetismo ed alchimia. A riprova di ciò vi è il suo stemma, composto da una colomba (lo spirito) in volo alle cui zampe è legata con una corda una pesante pietra (la materia), a voler rappresentare il tentativo dello spirito di sollevare dal suo stato la materia. Una leggenda racconta che: Nel 1870 gli architetti incaricati di costruire Roma Capitale d’Italia visitavano e misuravano tutta la Piazza Vittorio. Incuriositi dalla strana costruzione abbellita dalla preziosa Porta Magica, che allora conteneva un portoncino in legno, peraltro sempre chiuso, chiesero ai negozianti della piazza che cosa fosse. Tutti risposero con una normalità tanto veritiera quanto scioccante che era la bottega dell’Alchimista! E che anzi : “Strano non sia in giro, perché ieri era qui a comprar frutta…” Questo proverebbe che l’Alchimista del marchese di Palombara fosse ancora in vita ed in giro per la piazza 200 anni dopo.

Cristina di Svezia

Cristina di Svezia era un'appassionata cultrice di alchimia e di scienza (fu istruita da Cartesio) e possedeva un avanzato laboratorio gestito dall'alchimista Pietro Antonio Bandiera. In palazzo Riario (oggi Palazzo Corsini) sulle pendici del colle del Gianicolo, oggi sede dell’Accademia Nazionale dei Lincei che allora, fu l’accademia a cui si collegano i nomi di personaggi illustri del Seicento romano come il medico esoterista Francesco Giuseppe Borri, di nobile famiglia milanese, l'astronomo Giovanni Cassini, l'alchimista Francesco Maria Santinelli, l'erudito Athanasius Kircher. Chi non la conosceva la trovava strana, con quei capelli in disordine, le mani sporche d’inchiostro e una spalla più alta dell’altra. Pur essendo piccola, non portava le alte calzature delle dame di corte, ma scarpe basse maschili di marocchino nero. La voce poi poteva diventare a tratti dura e maschile. Nessuno però poteva negare l’ardore dello sguardo e la pensosa dolcezza del viso. Parlava il latino, il greco, il francese e il tedesco. Le piaceva ascoltare i filosofi e i teologi, ma solo raramente esprimeva le sue opinioni. A caccia era un’ottima tiratrice, ma a tavola mangiava in

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fretta, distrattamente. Cartesio, che aveva accettato nel 1649 l’invito della regina, era stato stroncato dalla sua abitudine di convocarlo ogni mattina alle cinque nella gelida biblioteca reale per dialogare con lei. Cristina non disdegnava gli uomini, ma diceva sempre che avrebbe preferito la morte a un marito. «Sposarmi per me è impossibile. Ho spesso chiesto a Dio di darmene la voglia, ma non mi è mai venuta». D’altronde non aveva il minimo desiderio di avere figli. Era convinta che, in ogni caso, avrebbe partorito un mostro. La Pallade del Nord, come veniva chiamata, preferiva a quella maschile la compagnia di Belle, una giovane aristocratica malinconica e avvenente. «Questa è la mia compagna di letto» spiegò al perplesso ambasciatore inglese. Poi, fingendo di tranquillizzarlo, aveva aggiunto che l’anima della sua protetta era bella come il suo corpo. Nel 1652, l’anno in cui Belle si sposò, Cristina si convertì segretamente al cattolicesimo: un atto che meditava da tempo. Detestava il rigore dei protestanti. Una serie di gesuiti, ammessi alla corte come interpreti, aveva tessuto intorno alla regnante una delicata trama, spingendola alla conversione. La decisione era maturata durante una terribile febbre che l’aveva spinta sull’orlo della tomba. Cristina aveva fatto voto di consacrarsi a Dio se fosse rimasta in vita. Il suo profondo orgoglio le rendeva impossibile nascondere la sua fede cattolica, ma non poteva abiurare e così, a ventisette anni, dopo dieci di regno, rinunciò alla corona per essere libera. Uno dei suoi motti era “incomparabile” e cosa poteva essere più incomparabile dell’avere abdicato? L’anno della sua professione di fede, il 1655, incontrò il papa in Vaticano. Una stimata regina che rinunciava al trono per abbracciare la vera fede era una vittoria incalcolabile per i cattolici. Superata l’ebbrezza del momento, Cristina si buttò in una serie di intrighi con Mazzarino e la corte di Francia. Voleva mantenere un potere occulto e ottenere dall’Europa cattolica una ricompensa per il suo gesto: il regno di Napoli. Inoltre spendeva molto e solo la Francia poteva elargirle quello di cui aveva bisogno. Rovinò tutto facendo pugnalare un suo amante, Monaldeschi, che l’aveva tradita in un complotto, a Fontainebleau. Nel suo palazzo romano, l’esule viveva come una regina, dedicandosi all’alchimia, alla chimica e all’astrologia, circondata da studiosi e cardinali. Legata a letterati e sapienti, creò una serie di accademie. La sua

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ricchissima biblioteca fu la base della Biblioteca Alessandrina. Aveva scritto delle memorie “dedicate a Dio’ che si fermavano al decimo anno d’età e delle massime meravigliose. Fare del bene a un essere umano, aveva scritto, è come accarezzare una pantera. Cristina intervenne per difendere dalle persecuzioni i più famosi convertiti al cattolicesimo, ma non esitò a protestare con Luigi XIV per quelle ai protestanti francesi. Malgrado l’abdicazione, continuava infatti a sentirsi sua pari. La sua fierezza la rendeva goffa e inopportuna nelle dispute diplomatiche. I prelati non apprezzavano la sua ironia sull’ipocrisia bigotta della corte vaticana. Ma Cristina amava un giovane cardinale, Decio Azzolino. «Voglio vivere e morire schiava vostra» gli aveva scritto e nel conclave del 1670, divenne l’agente fedele delle ambizioni di Azzolino. Morì serenamente dopo una crisi di rabbia: un prelato aveva osato insidiare una delle fanciulle che prediligeva. Aveva ordinato ventimila messe per il riposo della sua anima. Fu sepolta solennemente a San Pietro con la corona in testa e lo scettro in mano. Aveva lasciato tutto al cardinale Azzolino come «dimostrazione d’affetto, di stima e di gratitudine», ma l’erede morì due mesi dopo di lei. "

Francesco Giuseppe Borri

Francesco Giuseppe Borri nacque a Milano il 4 maggio 1627 da padre medico. Da ragazzo frequentò con profitto il seminario dei Gesuiti di Roma, ma nel 1649 ne venne espulso per irrequietezza (cacciato per insubordinazione ). Nonostante ciò proseguì ugualmente negli studi di medicina e chimica, conducendo una vita brillante finché nel 1654 lasciò la mondanità per dedicarsi alla teologia ed all’ermetismo. il Borri conobbe a Roma nel 1665, la regina Cristina di Svezia che risiedeva a Palazzo Riario alla Lungara (Palazzo Corsini) dove la Regina teneva i suoi ricevimenti. Anche il Borri frequentava il salotto di Cristina come altri personaggi importanti e studiosi dell’epoca.

In quegli anni viveva a Roma il marchese Massimiliano Savelli di Palombara e di Pietra Forte: questi era proprietario di una villa con giardino e fontana, ora occupata dalla piazza Vittorio Emanuele fino alla via Labicana.

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Si racconta come il Marchese un giorno, conobbe Giuseppe Francesco Borri. Un bel giorno i servitori del Palombara scorsero negli "horti" della villa un uomo intento a raccogliere erbe. Avvicinandolo incuriosito, il Marchese chiese cosa ci facesse e cosa stesse cercando nei suoi "horti". Il mendicante rispose che stava cercando delle erbe utili alla fabbricazione della tanto decantata pietra filosofale per creare il nobile metallo. Massimiliano Palombara, sconvolto ed eccitato da queste parole, autorizzò lo sconosciuto a raccogliere tutte le erbe che voleva e, affinché questi potesse soddisfare il suo intento, gli mise a disposizione i suoi raffinati strumenti d’alchimista del laboratorio per una notte intera. la mattina seguente entrando nel laboratorio si accorse che lo sconosciuto era sparito, lasciando sul bancone da lavoro per per testimoniare come la possibilità del miracolo della trasmutazione fosse una cosa tutt’altro che irreale un mucchietto di oro purissimo e alcune pergamene con strani simboli alchemici e formule magiche. Dopo la morte di Innocenzo X, salendo al soglio pontificio Alessandro VII, nemico dei novatori, il Borri fu costretto ad abbandonare Roma e si rifugiò a Milano dove si mise a diffondere le sue dottrine giudicate sovvertitrici dalla Chiesa; ricercato dall'Inquisizione, si rifugiò in Svizzera. I suoi seguaci furono costretti ad abiurare e il Borri fu condannato in contumacia e in sua vece fu bruciata la sua effigie, dipinta a grandezza naturale. Passò in Alsazia a Strasburgo e infine si stabili ad Amsterdam, dove raggiunse il massimo della sua fortuna per la fama che si guadagnò come medico e taumaturgo. Il Borri predicava la necessità di un’unica religione mondiale. Iniziò a condurre una vita lussuosa che contraddiceva quanto aveva insegnato ai suoi discepoli. Anche in questa nazione provocò gelosie che lo misero nella condizione di fuggire per evitare la prigione. Arrivato a Copenaghen presso la corte di Federico III ottenne aiuti economici e onori; fu nominato prima consigliere e poi ministro ma, alla morte del re, fu costretto ad abbandonare la Danimarca con l'intento di rifugiarsi in Turchia. Durante il viaggio fu arrestato in Moravia e consegnato all'imperatore d'Austria Leopoldo I, il quale a sua volta lo consegnò a Roma dove regnava Clemente X, che lo fece rinchiudere a Castel S. Angelo in attesa della pena

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capitale. La pena di morte fu commutata in carcere a vita, dopo aver compiuto l'atto dell'abiura. La cerimonia solenne si svolse nella chiesa della Minerva alla presenza del clero, della nobiltà romana e del popolo affluito in massa; il cerimoniale fu terribile e crudele, non una voce si levò in sua difesa, comprese le persone che erano state guarite dal Borri che gridavano "al fuoco, al fuoco!". Rimase in carcere fino al 1678; in seguito, grazie all'intervento dell'ambasciatore di Francia, che era stato da lui guarito, ottenne un carcere meno duro e la possibilità di lavorare in un laboratorio alchemico installato a Castel S. Angelo; ottenne anche il permesso di uscire dalla prigione. In questa condizione di libertà quasi assoluta ebbe la possibilità di ricominciare a frequentare la nobiltà romana, compresi il marchese di Palombara e Cristina di Svezia. Certamente non fu di poca importanza il suo apporto negli esperimenti alchemici che si praticavano nelle magiche notti nel laboratorio del marchese con la complicità di Cristina. Dopo la morte della regina di Svezia, sua protettrice, e con la salita al soglio pontificio di Innocenzo XII, il Borri fu di nuovo rinchiuso a Castel S. Angelo dove morì per febbri miasmatiche il 20 agosto 1695.

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SOMMARIO

INTRODUZIONE 2

La leggenda 2

La Storia 3

Gli alchimisti di Palazzo Riario 3

LA ROSACROCE D’ORO 4

ISCRIZIONI CANCELLATE DELLA VILLA 5

LA PORTA ALCHEMICA 8

Il Frontespizio 8

Gli stipiti laterali 13

La soglia 19

APPENDICE – NOTIZIA ESTESA SUI PERSONAGGI DEL CIRCOLO DEL PALOMBARA. 20

Il marchese Savelli Palombara 20

Cristina di Svezia 21

Francesco Giuseppe Borri 23