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Stralcio dal libro di 1 R.Schiavi Fra bombe e veleni…una vita!

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Stralcio dal libro di

R. Schiavi “Tra bombe e

veleni….una vita!”

particolarmente dedicato alle bonifiche del territorio da

ordigni bellici1 R.Schiavi Fra bombe e veleni…una vita!

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7. IL VALORE DELL’ESPERIENZA

L’esperienza, può essere decisiva nello stabilire le cause di un incidente.

Molto tempo fa, nell’ospedale civile di Parma, avvenne un’esplosione che provocò la morte di uno o più infermieri e di una ventina di degenti in sala di rianimazione. Più precisamente lo scoppio era avvenuto in prossimità di una sala operatoria in cui erano bombole di oxico, una miscela ossigeno - azoto adoperata in chirurgia.

Sembrava che un infermiere avesse “sgasato”1 la bombola senza riduttore e, da qui, l’esplosione. Siccome alcune delle bombole presentavano dei fori con evidenti segni di fusione, era stato ipotizzato che, il forte efflusso di ossigeno dalla bombola, avesse creato l’accensione di una miscela in cui il combustibile sarebbe stato fornito dal grasso che è posto sulla filettatura. La combustione si sarebbe poi autoalimentata con l’acciaio stesso della bombola secondo il principio della lancia termica. Sarebbe stato il dardo di fiamma a creare quei fori e determinare poi lo scoppio della bombola, visto quindi come esplosione meccanica e non come reazione chimica. L’ossigeno avrebbe poi provocato la facile combustione del materiale presente in sala operatoria e completato il disastro.

Poiché la cosa appariva troppo complicata, fu nominato un collegio formato da me, da un chimico e da un perito “balistico” che, a parte fosse un amico ed essere

1 Aperto la bombola senza riduttore di pressione.

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stato lui a suggerire la mia presenza, non capivo bene cosa ci stesse a fare.

I fori sulle bombole, con segni di fusione, erano uguali a quelli provocati da proiettili o schegge ad alta velocità sulle blindature dei carri armati o sugli scudi delle artiglierie, secondo note leggi della fisica. Le lunghe e numerose schegge, caratteristiche del modo di fratturarsi dei recipienti allungati, erano invece sorprendentemente simili a quelle da bombarda, risalenti alla guerra 15/18.

La bombarda era una specie di mortaio che lanciava dei bomboloni pieni di esplosivo capace di produrre schegge taglienti ed allungate, ideali per

la distruzione dei reticolati. Secondo me e secondo il collegio, quindi, era

avvenuto un fenomeno chimico all’interno della bombola, e pertanto un’esplosione e non uno scoppio che non avrebbe generato quel tipo di frammentazione, creata dalla presenza di un gas combustibile, idrogeno, acetilene od altro, residuo magari di un precedente caricamento, piuttosto che di errore nel caricamento stesso.

In realtà le bombole hanno determinate colorazioni che permettono di individuare a prima vista il contenuto ed esistono anche particolari filettature e raccordi per ciascun tipo di gas che dovrebbe impedire interscambi, anche se esistono adattatori che lo consentono. Di fatto, incidenti del genere erano già successi nel mondo e, uno di

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essi, durante lo scaricamento di bombole di ossigeno in cui era stato immesso erroneamente un gas combustibile, “iniziato”, si concordava nel dire, proprio con le modalità di Parma.

L’esperienza avuta nel campo delle bonifiche mi tornò utile anche quando un tale, sulle pendici dell’Adamello, morì mentre saldava alcuni residuati bellici, ritenuti inerti, per farne una panoplia per il suo Bar. Si trattava di ogive2 con spoletta dei famigerati “shrapnel”, il terrore dei soldati nella guerra 15-18. Il proiettile di questo tipo, il cui nome era derivato da quello dell’ufficiale inglese che lo aveva inventato un secolo prima, arrivato sulle trincee nemiche e innescato da una spoletta a tempo, sparava, dall’al-to, dei grossi pallettoni di piombo o di acciaio. Il bicchiere e l’ogiva con la spoletta, pertanto, rimanevano intatti e senza esplosivo. Sull’Adamello di questi residuati inerti ce ne erano talmente tanti, che il nostro povero uomo aveva pensato di raccoglierli e unirli mediante saldatura fino a comporre una stella.

Apparentemente inspiegabile l’incidente. Ma gli italiani ed ancor più gli austriaci e gli altri belligeranti del conflitto 14-18, anche qui viene fuori l’importanza delle conoscenze storiche, per aumentare l’efficacia di questi proiettili, avevano creato la “granata-granata a pallette”.

2 parti anteriori del proiettile in cui è investita la spoletta e non sinonimo di proiettile, come si legge in molti rapporti di polizia.

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La denominazione è italiana perché tutto l’arsenale bellico austriaco divenne nostro, essendo indubbiamente più moderno di quello che avevamo allora, ma non tanto da pretendere di farci una seconda guerra, vent’anni più tardi, con una babele di calibri che aumenteranno, ancor di più, il peso logistico che comporta una guerra moderna..

In pratica, nella granata-granata, il bicchiere sparava non solo i pallettoni, ma anche un’ogiva, caricata nel caso con 150 grammi di esplosivo, che funzionava a percussione all’arrivo sul terreno.

Ma il poveruomo non lo sapeva.Questa “scoperta” mi tornò utile molti anni più tardi,

nella zona del Montello che aveva rappresentato, nel primo conflitto mondiale, l’ultimo baluardo difensivo prima dello sbocco nella pianura padana. Un agricoltore si era recato dal meccanico col suo attrezzo “fresa-sotterrasassi” per “un toco de fero” che aveva inceppato le sue lame rotanti. Il meccanico, un ragazzo di vent’anni, era intervenuto con la

fiamma ossidrica e l’esplosione susseguitasi, gli aveva provocato un orrendo foro di quasi 15 centimetri di diametro nella faccia, giusto come quello del fondello dell’ogiva di una granata-granata a pallette austriaca da 149/12. L’ogiva era senza spoletta, recuperata in passato dai “recuperanti”3 perché di bronzo ed era stato 3 In quasi tutti i teatri della guerra 15/18 hanno operato più o meno abusivamente, i “recuperanti” che campavano, a prezzo di frequenti disgrazie, recuperando, appunto, materiale bellico. E, in fin dei conti, facevano un’azione benemerita, visto il disinteresse generale per questo potenziale pericolo

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l’improprio innesco al calore che aveva provocato soltanto una deflagrazione e lo sparo del fondello, senza gravi danni all’attrezzatura.

I termini usati per definire le granate sono rigorosamente esatti (il termine shrapnel era assolutamente vietato nel “ventennio”) perche compaiono nei testi dei miei artificieri che avevano lavorato nelle bonifiche e nel trasformare le granate-granate a pallette, non gradite invero allo Stato Maggiore italiano per gli scarsi effetti a terra, in semplici granate a pallette. Eppure, parlando di questo con un giovine benemerito appassionato di “guerra bianca”, ricevevo continuamente correzioni senza che la sua giovanile presunzione di sapere gli facesse lontanamente supporre che la maggiore età e l’esperienza diretta, potessero avere un valore alcuno. Da ragazzo i racconti dei reduci della prima guerra, presi in giro dai miei coetanei, mi affascinavano perché mi trasmettevano la vera Storia, assieme a quelle emozioni che solo il racconto diretto e non certamente internet, può dare.

Sull’Adamello, dove fra l’altro è esistito fino al secondo dopoguerra un nostro deposito a Sonico, proprio per le esigenze di bonifica e dal quale avevo ereditato un paio di operai, capitò anche un altro incidente che azzoppò una famosa guida alpina a oltre tremila metri di quota. Stava costruendo una baracca per gli escursionisti dispersi, col materiale ricavato da quei baraccamenti tenuti sospesi da funi d’acciaio su pareti a strapiombo, che avevano rappresentato l’unico riparo dagli “shrapnel” austriaci.

Faustinelli, questo il nome della guida, stava facendo una cosa benemerita ma qualche maligno (maledetti!) aveva detto che lavorava con gli esplosivi. In realtà, la guida picconava in una grotta, e una picconata era finita su

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di una scatola d’incendivi celata dal ghiaccio. Per me, non c’erano dubbi, perché saltarono fuori altre scatole con detonatori ancora capaci di esplodere, il piccone col manico spezzato e il sangue.

La guida si fece un laccio emostatico con la cintura dei pantaloni e fu trovato dopo tre giorni da una comitiva tedesca. Nella capanna che stava costruendo, trovai un diario con uno stupendo elogio funebre per un amico perduto in conseguenza di una frana: un topino che condivideva con lui i lunghi momenti di solitudine. Faustinelli terminò poi i suoi lavori in montagna, nonostante la sua gamba di legno.

Tornando dal sopralluogo di cui ho appena parlato, con un po’ di difficoltà per via del mio artificiere rimasto incrodato e trasportato a spalla, trovai la stazione della funivia sguarnita. Avevano appena portato via il manovratore, ucciso dallo scoppio di un proiettile d’artiglieria restituito dal ghiacciaio, cui stava cercando di asportare la corona di forzamento in rame che, come noto, serve per impegnare lo stesso nella rigatura e ricevere il necessario moto rotatorio di stabilizzazione nella traiettoria. Alcuni proiettili erano, ai tempi, caricati con acido picrico che doveva essere introdotto in “custodia” per evitarne il contatto con metalli e la creazione di sensibilissimi picrati, all’origine, con tutta probabilità, della disgrazia.

Guida alpina era anche un'altra eccezionale persona, appassionato di mineralogia e di storia, che mi è venuto a cercare dalle Dolomiti dove risiedeva. Raccoglieva, nella zona del Falzarego, cimeli storici fra i quali toccanti lettere di soldati cui, la morte sopravvenuta, non aveva consentito la spedizione.

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Un giorno l’uomo fu accusato di detenzione di materiale bellico e di occultamento di cadaveri. Notare che ho scritto “cadaveri” perché le sei ossa che aveva raccolto per portarle al vicino ossario, assieme a qualche bicchiere arrugginito di shrapnel e qualche cartuccia marcia, erano state fatte analizzare per accertare se appartenessero a più morti e rendere il reato più grave! Il fatto non merita commento.

In effetti, la cosa non rappresentava una novità. Con l’uscita della Legge 110, poiché l’articolo “uno” considerava armi da guerra anche le bombe e le parti di esse, furono sequestrate anche delle schegge. Mio suocero, che se ne portava dietro alcune che non gli erano state estratte dopo il suo ferimento sul Carso, ha corso grossi rischi!

Fra i residuati bellici della prima guerra mondiale frequenti erano i ritrovamenti di bombe a mano SIPE, costituite da un involucro di ghisa prefragmentato per compensare lo scarso potere brisante della carica di polvere nera. Le bombe avevano un tappo a vite che proteggeva una miccia con una capocchia di accensione che s’innescava per frizione. Per questo, i soldati avevano

una specie di grattugino cucito sulla manica in cui era strofinata la capocchia della bomba prima di lanciarla. Lo scoppio avveniva con un ritardo di cinque o sei secondi. Di queste bombe ce ne erano talmente tante, che a Pontedilegno ne avevano fatta una catena ornamentale che cingeva il monumento dei caduti.

Nel cremonese, un anziano signore aveva fatto, con una di esse, un bel lume a

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petrolio. mettendo uno stoppino al posto della miccia e saldando sull’involucro ferri artisticamente lavorati; ma, un giorno, lo denunciarono per detenzione di armi da guerra. Nel rapporto si parlava di detenzione di un ANAS, certamente non per riferirsi alle strade statali, ma alla bomba MKII americana, altrimenti detta “ANANAS”.

In tribunale spiegai che si trattava di una “Sipe” e parlai anche del suo funzionamento e del ritardo, non ben definito, che consentiva agli austriaci di rispedirla indietro dalle proprie trincee, come si era visto in un vecchio film intitolato “scarpe grosse” in memoria degli scarponi degli alpini. Il giudice, tenendo probabilmente conto del fatto che l’imputato era ultra ottantenne e malato di cancro, improvvisò con l’avvocato della difesa una simpatica pantomima che illustrava la nascita del “ping-pong”. La scena mise molto in imbarazzo la PM che chiese l’assoluzione, non perché l’oggetto era soltanto un lume a petrolio, ma perché aveva ritenuto che fosse un ”ananas”, quando invece era una “Sipe”! La sentenza è stata citata in altre sentenze assolutorie presso altri Tribunali.

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Spesso, erano denunciati e condannati per detenzione di parte di munizionamento da guerra, tranne che a Brescia, ragazzi che, reduci dal servizio militare, si erano portati dietro dei bossoli calibro 7,62 Nato. Da notare che,

da sempre, i bossoli, anche se muniti di innesco, sono liberamente detenibili e fra questi, quelli in calibro 308 Winchester che è l’equivalente dello obsolescente

calibro Nato. Mi pareva impossibile che il simbolo Nato impresso sul fondello dei bossoli fosse discriminante fra la libera detenzione e la galera, come si diceva, invece, anche in una rivista cosiddetta specialistica. Al massimo, per me, si poteva configurare una sottrazione di beni allo Stato4, giacché i bossoli sparati erano raccolti in ambito militare per il loro valore intrinseco e non per la paura di un loro “reimpiego”. Ma, di fronte a qualche esemplare ritrovato magari dopo un’esercitazione, si poteva parlare di “res nullius” o, meglio, di “res derelicta” come spiegherà meglio una illuminata circolare del Ministero dell’Interno, che metterà fine a questi sequestri.

Una volta, i bossoli di artiglieria che non fossero di un “cartoccio proietto” (con proiettile crimpato sul bossolo) erano utilizzati fino a cinque volte e, ad ogni riutilizzo, veniva fatta una tacca nel fondello. Oggi, viste le prestazioni esasperate di alcuni cannoni controcarro in particolare, a parte la non convenienza, i bossoli non solo

4 Un carabiniere fu processato per la sottrazione di due cartucce impiegate nell’uccisione (colposa) della moglie. Ne parlerò più avanti.

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non vengono ricaricati, ma è addirittura vietato l’uso di bossoli sparati nella produzione di quelli nuovi, anche nella percentuale di “rottami” che è possibile utilizzare nella colata.

Questo fatto mi capitò di accertarlo in occasione del sequestro, nel porto di Livorno, di centinaia di migliaia di bossoli destinati a una ditta che, per questo, ebbe una pesante pausa nella lavorazione.

Personalmente, ho visto i bossoli di artiglieria come campanacci o portafiori specialmente, poi, se si riferivano ad artiglierie che non si trovano più neanche nei musei.

Anche se certe convinzioni sono dure da morire, come quella di considerare “da guerra” cartucce calibro 9 parabellum, regolarmente venduto invece nelle armerie, perché il divieto alla detenzione di tal calibro vale soltanto per le cartucce con palla incamiciata.

A proposito di residuati bellici, per parlare di esperienze irripetibili, rammento anche che sono stato di casa al Vittoriale degli Italiani, a Gardone Riviera, prima che fosse aperto al pubblico, per accertare l’inefficienza di tutto l’arsenale che il “vate” si era portato dietro: torpedini

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e siluri sul MAS della beffa di Buccari, le bombe dell’aereo di Vienna, la Santa Barbara della nave Puglia, col cui cannone ho sparato (a salve) in occasione della commemorazione della trasvolata su Vienna5, suscitando la gelosia del figlio del vecchio giardiniere che, da ragazzo, lo faceva su ordine del poeta. Controllai e resi inattiva persino la mitragliatrice Schwarzloze, nella stanza della “baraculla” (la fine e l’inizio della vita), che aveva il nastro con duecento colpi infilato e pronto all’uso!

Al Vittoriale, per riferire cose piacevoli, ho conosciuto straordinarie persone quali il vecchio domestico di D’Annunzio che, tutte le mattine, spazzolava gli abiti e li metteva nella gruccia, pronti per essere indossati. Prevenendo gesti di stupore, diceva: “Per me il Comandante è come non fosse mai morto”.

Non era matto!I vecchi artificieri mi ricordavano che, per un certo

periodo, erano andati a fare le bonifiche con la limousine bianca Isotta Fraschini, proveniente dal Vittoriale ed in uso alla Petacci.

In effetti, quasi tutti i miei operai erano vecchi, ma di grande esperienza anche in mestieri strani come i

“carradori” specializzati nel costruire mozzi e raggi dei carriaggi, di cui avevamo tutta l’attrezzatura che sarebbe valsa la pena di salvare. Li impiegai a San Martino della

battaglia per le ruote dei cannoni della batteria piemontese 5 Dove buttò solo manifestini.

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e per rimettere le “scarpe” all’obice sull’Adamello, simile al cannone del disegno. Un mio capo operaio, che aveva salvato i disegni d’armi e prototipi dell’”Armaguerra” l’8 settembre 43, aveva precedentemente lavorato nelle trasformazioni in moschetti automatici delle “Villar Perosa”, le straordinarie ma inutili armi a due canne calibro 9 Glisenti, di cui avevamo in carico ancora i pezzi in bronzo non utilizzati. Mi viene da sorridere quando a Brescia si organizzano seminari con nozioni di quarta mano attinte alla Direzione Musei!

Fuori della porta del mio alloggio presso l’ex arsenale c’era un bellissimo cannone da 70/15 ad affusto rigido e con un sistema di frenatura a ceppi, originale: i ceppi erano collegati attraverso un’asta ai mozzi ed appoggiati nella parte anteriore della ruota, in modo che fossero trascinati durante il rinculo e, dopo mezzo giro delle ruote, frenassero il cannone. L’avevo ricevuto in dono da una ditta cui avevo eseguito un progetto di ristrutturazione, visto, sempre per smentire qualche "malfamatore", che avevo rifiutato qualsiasi lecito compenso. Il pezzo d’artiglieria proveniva dall’Africa ed io vi avevo imbastito la bella storia che lo vedeva armare gli Ascari eritrei musulmani6, perché quelli di religione copta finivano in fanteria, della colonna Baratieri, annientata ad Adua dagli Etiopi. I cannoni della batteria erano stati portati come trofeo ad Addis Abeba da Menelik e ripresi dopo la campagna del 1936. In realtà, il mio cannone era stato

6 I mussulmani venivano considerati più metodici. Nell’abito dell’esercito si era effettivamente razzisti. Quando vigeva ancora l’anacronistica usanza dell’attendente, usato impropriamente anche per i lavori di casa, gli ufficiali generali chiedevano (con lettera) ai reparti, un militare marchigiano, perché ritenuto più lavoratore e riservato, o veneto. Escludevano esplicitamente, invece, chissà perché, toscani e meridionali.

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costruito nell’arsenale di Napoli due anni dopo Adua e faceva sicuramente parte, invece, delle artiglierie cammellate di appoggio ai meharisti, durante la repressione della guerriglia in Libia da parte del generale Graziani. Il pezzo d’artiglieria, una volta chiuso l’arsenale, era finito davanti al monumento dei caduti del comando brigata “Legnano” e mi stava benissimo; poi non so dove sia andato a finire. Visto la sviscerata sensibilità per la Storia che alberga anche in ambito militare, non vorrei che fosse finito in fonderia.

A proposito di vecchi pezzi di artiglieria: ero andato a vedere un obice da 105/22 acquistato da un rottamatore, identico a quello fotografato in un monumento ai caduti sulle montagne bresciane, Il pezzo era munito di regolare certificazione ma, poiché girando il volantino la bocca da fuoco si alzava, il proprietario era stato denunciato e dovevo accertare la possibilità di ripristino dell’efficienza che gli avrebbe consentito di compiere non so bene quale atto criminale.

Il pezzo, pieno di buchi e di tagli, non era il 105 americano già in dotazione all’artiglieria da campagna

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italiana dopo la guerra, ma era molto somigliante all’88/27 inglese per via di una piattaforma su cui potevano girare le ruote in modo da brandeggiare l’arma per 360° con un solo servente: un espediente che aveva reso impareggiabile il cannone inglese nella campagna d’africa 40/43. In effetti, il pezzo d’artiglieria in sequestro era diverso da quello inglese perché aveva l’otturatore a cuneo a scorrimento orizzontale, era manovrabile in alzo e direzione da due serventi e, soprattutto, era in calibro 105 mm. Scoprii così, il “mostro” o “obice da 105/22 mod.14/61” un pezzo d’artiglieria derivato da quello Skoda di preda bellica da 100/17 reso “up to date” nel 1962 dai nostri arsenali. Il “puzzle” era stato realizzato, evidentemente, per far lavorare quegli operai, ereditati dalla guerra, che la nuova strategia di affidare all’industria civile la costruzione dei materiali d’armamento, aveva lasciato senza lavoro. Era capitato anche ai miei operai impiegati alla rimessa a nuovo di oltre diecimila Thompson in calibro 45 ACP, distrutti non appena ultimato il restauro. Il “mostro”, era rimasto in dotazione ad alcuni reparti solamente qualche anno, prima di essere inviato alla rottamazione. Siccome appariva bene evidente la data di nascita, il 1917, poteva entrare, secondo me, fra i beni inalienabili riferentesi al primo conflitto mondiale che una recente legge rendeva detenibili con una semplice denuncia al sindaco!

Mi è capitato anche di trattare materiale nuovo. In ambito militare si era perennemente in ristrettezze

economiche e per risolverle, naturalmente, si trovava il sistema per spendere di più. Esaurita la somma per le spese telefoniche? Si provvedeva mandando un messaggio a mezzo vettura, con tanto di capomacchina e spese di

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“missione”. Per risparmiare munizioni nei campi d’arma, sparava solo il pezzo base. Solo alla fine del campo si dava la possibilità al resto della batteria di provare l’ebbrezza della partenza del colpo. Così i depositi rimanevano pieni di materiale che, divenuto obsoleto, bisognava distruggere7. Dal momento che non demandavo l’operazione ad altri, ho potuto fare delle esperienze che hanno messo in dubbio il valore delle “librette”. Per il tiro di “sbarramento” al disopra delle truppe amiche, con i medi calibri, è prevista una distanza di sicurezza di 400 metri. Poveri fanti!

Dovendo distruggere delle decine di migliaia di proiettili da 149/19 a Valle Duppo, collocai la tenda del posto comando a poco meno di 800 metri dal punto di brillamento. Alla fine della giornata era più buchi che tenda. Per fortuna che l’esperienza mi aveva suggerito dei ripari con sacchetti a terra! Un giorno venne trovarmi un superiore la cui lontananza da Brescia mi consentiva di non vederlo mai. Dopo qualche secondo dagli scoppi, l’agghiacciante sibilo delle schegge in arrivo, che è difficile riprodurre onomatopeicamente. Al superiore spaventato che mi chiedeva cosa fosse quel “frufrufru” risposi: “Lei che ha fatto la guerra lo dovrebbe sapere. E stia un pochino più sotto al riparo!”.

Non l’ho più visto. Ancora più emozionante stare con gli artificieri in

una buca a una diecina di metri dal valloncello dove si brillavano fino a 200 kg di esplosivo (per guadagnare 7 O avviarli all’affondamento. Una volta affondarono anche mine controcarro italiane che, avendo l’involucro in legno, furono ritrovate dopo un po’ di giorni a riva e toccò organizzare una nuova bonifica. L’unico oggetto metallico della mina era lo spillo del percussore, non rilevabile dai cercamine inglesi. Fu un’invenzione nostra o un caso?

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tempo, ma io, mi ero procurato anche i sismografi): la terra che trema, l’aria che manca e, infine, un senso di euforia come per uno scansato pericolo che, in effetti, non c’era stato. Una cura che suggerirei agli impiegati chiacchieroni, stressati dalla mancanza di lavoro.

Una volta, una ditta doveva fare delle dimostrazioni sull’efficacia antimissile della granate da 40/70 con spoletta “radar”, ai rappresentanti della marina delle nazioni della NATO. Tutto questo, per rilanciare il proprio datato cannone “Bofors”, insidiato dal “Mauser” tedesco di calibro più piccolo, ma con maggiore celerità di tiro. Poiché non c’era tempo per le autorizzazioni presso il poligono di Nettuno, mi chiesero di utilizzare il mio, fra un brillamento e l’altro. La ditta aveva come consulente un vecchio e nobile ufficiale tedesco,Von Xxxx, capo di stato maggiore di Rommel in Africa Settentrionale, che, nonostante i suoi ottant’anni suonati, faceva il bagno d’inverno, a Nettuno, alle sei del mattino ed era vivace e scattante. Quando arrivavo al poligono durante l’allestimento dei bersagli per le prove, era lui che mi apriva la porta della vettura con una battuta di tacchi ed un “herr Major” che mi inorgogliva enormemente.

Avevo dato esatte indicazioni all’ingegnere che doveva arrivare col pezzo d’artiglieria sul sito ed il nome del paese in cui imboccare la strada giusta, ma il tecnico arrivò al poligono quando ormai si era deciso di rinunciare alla prova. Era successo che nessuno delle numerose persone da lui interpellate lungo la strada, conoscesse il paese di “Vergine” da lui cercato. Dopo circa un’ora di andirivieni, a Vestone, qualcuno ebbe un’ispirazione e chiese se, per caso, cercasse invece “Casto” il paese da me indicato, da cui partiva la strada che conduceva al

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poligono. Oggi, col telefonino ed i gps, non sarebbe successo!

Il poligono “occasionale” dove venivano fatti i brillamenti non era molto lontano dalla Rocca d’Anfo un mio vecchio amatissimo deposito fortezza, dove riuscivo a far funzionare due teleferiche con motore Diesel a due tempi brevetto Junker, della guerra 15/18.

L’esperienza in fatto di bonifiche non è poi valsa più di tanto. Qualche anno fa, ci furono diverse riunioni in Prefettura riguardanti i problemi di bonifica dell’Adamello di cui, come si è visto, conoscevo tutte le problematiche, comprese quelle riguardanti le valanghe di cui mi ero interessato dopo che una di esse aveva spazzato via un albergo sotto la funivia del “Paradiso”, senza che fossi neanche interpellato. Capisco benissimo che questo è stato fatto per riguardo e per non disturbarmi, ma ritengo che qualcuno sapesse che ero ancora in carica come membro effettivo della Commissione Tecnica Provinciale, che dovrebbe essere (ma probabilmente è questo che non sapevano) l’organo tecnico della Prefettura in fatto di esplosivi. Venne a cercarmi, invece, il Presidente del CAI, il compianto onorevole Ing. Sam Quilleri8, veramente interessato per la montagna e non “pro forma”, che si era addirittura scandalizzato per la mia assenza. Ma, quando c’è solo da chiacchierare e non da rischiare, tutti diventano bravi.

Di questa esigenza, poi, non se ne parlò più.

8 presidente dell’ordine degli ingegneri cui probabilmente è rimasta la mia pratica per l’iscrizione all’albo.

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L’articolo rappresentato più, invece, si riferisce a una

bonifica effettuata in mia presenza, quando questa operazione non era già più di mia competenza e non ne avrei più parlato, vista la banalità, per me, dell’evento, se un fatto del genere successo recentemente, avesse creato un movimento di stampa e di autorità impressionante. Anche in questo caso, comunque, non fui interpellato, nonostante che, in questo genere di lavoro, potessi rappresentare la memoria storica, avendo operato per vent’anni nel campo, proprio nella zona del ritrovamento e con artificieri, come il Maresciallo Di Chiara che, con tutto il rispetto degli attuali operatori, che per quanto hanno detto e fatto non mi hanno entusiasmato, il mestiere lo aveva svolto a Berlino, con i tedeschi, durante la guerra.

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Il maresciallo era una persona fuori del comune. Era capo di un mio deposito munizioni a Mompiano alle porte di Brescia ed aveva una sensibilità straordinaria. Da casa sua, a un paio di centinaia di metri dall’impianto, sapeva riconoscere chiunque passasse sulla strada, attraverso i latrati dei cani di guardia alle riservette: questa, mi diceva mentre eravamo seduti a tavola, è una donna, questo è il signor X che va al roccolo, quest’altro è un soldato della guardia che va in paese di nascosto a comprare le sigarette (o a trovare la morosa). Raccoglieva i viveri di conforto per le guardie non utilizzati, per regalarli agli orfanelli e andicappati del vicino collegio Nikolajewka che passavano vicino all’ingresso del deposito durante la quotidiana passeggiata e non lesinava carezze. Quando Di Chiara morì, la moglie ricevette una lettera di uno di questi ragazzi che annunciava il conseguimento del diploma: quante volte, diceva, durante quelle passeggiate, era tornato indietro per rubare una carezza in più a chi immaginava fosse quel padre che non aveva mai conosciuto.

Mi raccontava che non molto tempo dalla fine della guerra, era stato chiamato a Limone del Garda per una mina. Gli austriaci, nella guerra 15/18 avevano fatto uno sbarramento di mine marine trattenute a mezz’acqua da catene, per impedire l’ingresso a mezzi subacquei italiani nella parte trentina del lago. Una di queste, evidentemente sfuggita alle ricerche, aveva pensato bene di venire a galla e andare alla deriva a cinquant’anni di distanza. Gli ordigni della prima guerra sono assai più difficili da disinnescare di quelli della seconda, di cui si sa tutto. Mentre cercava di renderla inoffensiva a distanza, la mina esplose. Non successe niente alle persone viste le

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precauzioni adottate, ma dalla montagna venne giù mezzo cimitero e a Riva i vetri infranti non si contarono. Visto quello che c’era stato non molto tempo prima, nessuno, per fortuna, ci fece molto caso!

Ritornando “a bomba” alla bomba, non avrei neanche

fatto caso all’accaduto, se non mi fosse toccato fare la parte dell’intruso, allorché fui chiamato sul luogo del rinvenimento come consulente per la Procura, esclusa in un primo tempo dal “concistoro” in Prefettura, senza poter far e dire niente, per non interferire con l’opera degli artificieri. Per la consulenza scritta, naturalmente, non ho neanche presentato la parcella.

Qualcuno, comunque, al di fuori della Prefettura che non ha bisogno, visti gli scienziati di cui dispone, ogni tanto si ricorda di me.

IL CAPO DELLA POLIZIADIRETTORE GENERALE DELLA PUBBLICA SICUREZZARoma, xxxxxxx Sig. Generale

Mi è gradito comunicarLe che la S.V. su designazione del Ministero dell'Industria del Commercio e dell'Artigianato, con decreto del Ministro dell'Interno datato 5 giugno 2000, è stata nominata membro supplente della Commissione Consultiva Centrale per il Controllo delle Armi - per le funzioni consultive in materia di armi e di sostanze esplosive ed

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infiammabili, per il quinquennio 2000 - 20059.Nel complimentarmi per lo nomina, La ringrazio per il contributo di

professionalità ed esperienza che presterà a favore dell'Amministrazione e Le invio i più cordiali saluti.

De Gennaro(l’incarico è stato confermato anche per il quinquennio 06-10)

In passato, in effetti, quando esistevano ancora due delle più grandi fabbriche di esplosivi e gli attentati procedevano al ritmo di uno per notte, non era così e un Prefetto, anche se con una decina d’anni di ritardo, perché la mia attività antecedente era stata ancora molto più intensa e Prefetti e Questori facevano a gara per avermi a cena, si era preso la briga di scrivere la lettera, che riporto integralmente, al mio superiore diretto, la cui lontananza non gli consentiva di valutare la natura delle mie “distrazioni” di cui parlava qualche benevolo collega10.

li 17.12.1983Chiarissimo Generale.

Una recente affermazione, sia pure in campo sportivo, di un Ufficiale superiore che presta servizio presso l’Ufficio Leva di Brescia, mi fornisce l'occasione per segnalare alla Sua attenzione un complesso di meriti e di particolari capacità che l'Ufficiale stesso ha posto in evidenza in questi ultimi anni nel1'espletamento dei servizi a lui affidati.

Si tratta del Col. di Artiglieria Romano Schiavi che da diversi anni presta servizio

9 Fra i membri non esiste un rapporto di subordinazione. Non avrei potuto accettare un impiego a tempo pieno perché, non avendo un rapporto di dipendenza, non avrei avuto chi mi ripagasse delle spese non coperte dal M.I. come capita ad altri membri. Questo, per tacitare un …..le.10 La maldicenza è stata un facile sport praticato nei miei confronti. Non è l’unico caso in cui quanto facessi per la comunità con grande rischio, fosse interpretato come mio tornaconto.

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presso l'Ufficio Leva11.Egli ha recentemente conseguito il titolo

mondiale di tiro e, specificatamente nelle gare di Versailles che si sono svolte nel settembre scorso alle quali hanno partecipato concorrenti di 18 nazioni.

Il prestigioso titolo acquisito dall'Ufficiale ha avuto larga risonanza negli ambienti cittadini soprattutto per gli altri numerosi meriti acquisiti dall'Ufficiale nel corso del suo lungo servizio prestato a Brescia.

Mi sembra doveroso da parte mia, Signor Generale, segnalare che il Col. Schiavi - oltre a far parte della Commissione tecnica delle armi e degli esplosivi (In una provincia come quella di Brescia che conta più di 200 fabbriche di armi),come pure delle apposite commissioni di esami per chimici direttori di stabilimenti minatori, fabbricanti d'armi, armaioll e fochini - ha svolto e svolge vari incarichi di insegnamento di balistica e di topografia presso la Scuola di Polizia Giudiziaria che, come Ella sa, cura il perfezionamento delle capacità professionali di funzionari, sottufficiali e di agenti della Polizia di Stato.

Ma, a parte tali attività,ritengo ancor più doveroso porre in evidenza l'opera svolta dal Col. Schiavi nel campo della lotta al terrorismo con interventi antisabotaggio che egli, su richiesta degli organi di Polizia, ha svolto in gran numero 11 In realtà non era passato molto tempo dalla chiusura dell’arsenale ed ero capoufficio leva che, allora, non dipendeva dal Distretto. Ci tengo molto a precisarlo.

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e svolge tuttora anche con grave rischio della propria incolumità personale.

Aggiungo anzi a tal proposito che, allorché si è presentata più volte la necessità di rimuovere un ordigno esplosivo. sia gli organi di Polizia che quelli Giudiziari hanno chiesto la presenza del Col. Schiavi anche in quei casi nei quali era stata assicurata la presenza di specialisti artificieri.

Ciò non solo per la piena riuscita delle operazioni suddette ma anche per il buon esito delle indagini legate quasi sempre ai primi rilevamenti nei quali il Col. Schiavi ha dato un notevole contributo con la sua altissima capacità professionale.

Sottolineo inoltre che tutto ciò il Col. Schiavi ha fatto fuori del normale orario di servizio quale componente dell'Ufficio Leva senza pretendere alcun riconoscimento di alcun genere e con grande spirito di abnegazione.

Mi preme anche dirLe che la presente lettera non è stata suggerita o sollecitata dall’interessato il quale ha sempre lavorato in silenzio riscuotendo il più lusinghiero apprezzamento delle Autorità civili e militari di questa provincia ed il plauso dell'intera cittadinanza.

Voglia accogliere, Signor Generale, le espressioni della mia più viva e cordiale stima. (Fausto Cordiano)

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Una bomba da 500 libbre.Nel caso l’ordigno, lanciato da un caccia bombardiere, non

aveva la spoletta anteriore. In altri casi, la bomba fu trovata con i cavi che comandano le sicurezze ancora attaccati, perché rottisi al momento dello sgancio. Ma si trattava, spesso, di difetti insiti nel congegno, oggetto di inchiesta da parte degli stessi anglo-americani. A Temù, nei pressi di Pontedilegno, ne fu trovata una da 1000 libbre. Per com’era stata descritta e visto il luogo, si pensava ad una bomba da bombarda. L’ordigno era stato evidentemente sganciato da un bombardiere in avaria al rientro da una missione in Germania (chissà perché, quando avevano qualche bomba d’avanzo, centravano case o paesi. A Urbania la bomba colpì la chiesa facendo 250 vittime civili. Per esercitarsi?). L’involucro della bomba scaricata fu preteso dal comune che mi richiese anche la “corona di forzamento” che è propria, invece, dei proiettili di artiglieria. Volevano, evidentemente i governali che si disperdono al contatto col terreno, anche quando la bomba non esplode.

Gli inglesi, a suo tempo, ci avevano fornito un attrezzo per il dispolettamento a distanza, quasi inutile se non avessero mai sganciato in Italia, come avevano assicurato, bombe ad azione “differita”, utilizzate per far fuori un po’ di artificieri e far perdurare l’effetto terroristico del bombardamento.

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Romano Schiavi backgroundEsperienze profes-sionali 1968 – 1980

Comandante sez. Stacc. Art. (ex Arsenale Militare di Brescia) Riparazione e distribuzione armi portatili in ambito nazionale; Responsabile di sette depositi munizioni; Responsabile della bonifica del territorio da mine ed ordigni bellici;Responsabile dell’antisabotaggio. Ha condotto personalmente tutti gli interventi a Brescia e nel territorio della Legione CC Brescia in tale periodo. Ha diretto interventi anche dopo la chiusura dello stabilimento, quando ha ricoperto, per sei anni, l’incarico di Presidente del Consiglio Militare di Leva per le province di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova.

1975-19842002-2009Docente presso la scuola di Polizia Giudiziaria Amministrativa Investigativa in materia di armi, esplosivi e tecnica investigativa.

1984Docente di topografia al II corso allievi Commissari di P.S.

1968 - 2002Membro della Commissione Tecnica in materia di armi ed esplosivi Commissione d’esame a fabbricanti riparatori d’armi.Commissione d’esame per l’abilitazione di ingegneri o chimici direttori di fabbriche di esplosivi, fochini, minatori e di addetti alla fabbricazione ed allo sparo di fuochi artificiali (art.101 Reg/TULPS).

2000 – 2010 Consulente presso la Commissione Consultiva Centrale armi ed esplosivi presso il Ministero dell’interno (art.84 Reg/TULPS). Incaricato per lo studio dell’adeguamento del TULPS all’A.D.R. (trasporto merci pericolose su strada)

1997-2003Docente in corsi di specializzazione presso l’istituto di medicina legale dell’Università di Torino e “Tor Vergata“ di Roma

1983 – 1995 Operatore e docente presso il laboratorio Indagini Criminali di Venezia

1983Ha collaborato all’Introduzione in Italia di nuovi sistemi di indagine criminalistica e della microscopia elettronica.

1983Campione del mondo e recordman di tiro con armi d’epoca a Versailles e due volte campione italiano. E’ stato maestro di tiro UITS.

1994-1998Commissione Campi presso la Federazione Italiana Tiro a Volo (FITAV)Ha effettuato operazioni di collaudo di poligoni e balipedi privati e dell’UITS per l’autorità civile e militare e trattato incidenti ad essi relativi. Ha progettato poligoni e campi di tiro. Nel 1980 ha disegnato, secondo criteri nuovi, il

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più grande impianto di tiro al piattello in Italia ed il primo campo di “trap americano”. Nel 2004 il più moderno poligono in sotterraneo.Incaricato del progetto e direzione lavori dei tre più grandi impianti sportivi riguardanti il tiro a segno, a volo e con l’arco esistenti al mondo per i giochi del Mediterraneo ed una Olimpiade in un Paese estero.

1970-2009Attività giudiziaria di ufficio■ Ha operato quale consulente o perito presso uffici giudiziari di: Trieste, Gorizia, Udine, Tolmezzo, Pordenone, Belluno, Treviso, Venezia, Padova, Vicenza, Bassano del Grappa, Verona, Rovigo, Trento, Bolzano, Mantova, Brescia, Gardone Val Trompia Breno, Salò, Cremona, Crema, Bergamo, Milano, Lecco, Como, Pavia, Monza, Busto Arsizio, Novara, Vercelli, Verbania, Asti, Mondovì, Savona, S.Remo, Parma, Modena, Bologna, Forlì, Rimini, Urbino, Fermo, Livorno, Pistoia, Roma, Napoli, Reggio Calabria, Locri, Catania, Siracusa, Agrigento, Ragusa, Trapani, Termini Imerese, Palermo, Lanusei, Sassari.Ha operato anche all’estero presso i Tribunali di Alexandria (Virginia) Liegi, Tirana e Toronto.

Istruzione ■ Frequenza del quadriennio presso l’Accademia Militare di Modena e Scuola di Applicazione di Torino, proveniente dal Liceo Classico.■ Laurea in scienze strategiche presso l’Università di Torino. In particolare, dopo il biennio propedeutico di Ingegneria ed altri studi ingegneristici del triennio, ha trattato specificatamente, balistica interna ed esterna ed esplosivi, ha superato gli esami integrativi e frequentato altri corsi universitari presso il politecnico di Milano e l’università di Pavia. Tali studi e la direzione di stabilimento consentono l’iscrizione all’albo degli Ingegneri (T.U. sull’istruzione superiore art.180 approvato con R.D. 31.8.33 n.1592); Ha frequentato corsi fra i quali quello per gli addetti agli automezzi e superato gli esami ingegneristici integrativi per il servizio tecnico della motorizzazione; Ha conseguito, a Belfast, il diploma in “fire arms examination” che gli consente di operare in campo giudiziario nel Regno Unito ed USA Membro diplomato della Forensic Science S. e della Californian Criminalist Ass.;Ha frequentato corsi presso l’Istituto di Criminologia di Losanna.Ha frequentato ed operato presso i Laboratori di Polizia Scientifica di Scotland Yard e della polizia Cantonale Ticinese;Autore di pubblicazioni in materia armi, esplosivi, indagini giudiziarie e della sezione riguardante queste materie, che appare nell’enciclopedia di medicina legale edita dalla CEDAM di Padova: E’ abilitato al maneggio ed alla fabbricazione di esplosivi di qualsiasi specie.

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PUBBLICITA’Gen. Romano Schiavi - Tra bombe e veleni ... una vita! Edizione a cura dell’Autore. Brescia 2008 Il generale Romano Schiavi, per quanto ne so il miglior perito per esplosivi ed armi che abbiamo avuto in Italia, giunto a quell’età in cui si tende a far dei bilanci della propria vita, ha pubblicato un libro di ricordi

sulle proprie esperienze di esperto nell’arco di quarant’anni. Il che vuol dire che ha visto nascere e fatto crescere la scienza delle perizie balistiche ed esplosivistiche in Italia.Il libro è scritto con stile umoristico e ripercorre casi giudiziari famosi trattati dall’Autore; ma lascia l’amaro in bocca perché la realtà che ne esce è desolante.In quarant’anni non si è riusciti a far comprendere ai giudici che fra i periti vi è una marea di ciarlatani e scalzacani e che se questi entrano in un processo, rovinano il processo e molti innocenti; di recente si sono viste indagini su casi gravi ridicolizzate dalla approssimazione dei laboratori ufficiali; è noto che vi sono periti esperti soltanto nel presentare parcelle milionarie che lo Stato paga senza fare una piega; ecc. ecc.Eppure il migliore dei periti (lui questo non lo racconta, ma lo so io) è stato lentamente messo da parte perché aveva lo sciocco vizio di dar torto ai pubblici ministeri; e questi, è noto, non amano che si sgonfi ciò che essi hanno gonfiato con tanta cura e che si faccia toccar loro con mano, che il loro perito di fiducia, magari aduso a frequentare gli ambienti giudiziari, così abile a creare accuse  per sbattere i mostri in prima pagina, era un pazzoide incompetente.Detto ciò, il libro è altamente istruttivo e, se essi usassero leggere, dovrebbe essere lo ”livre de chevet” di quei periti e giudici di cui abbiamo appena detto: scoprirebbero quale  enorme quantità di

nozioni sono necessarie per essere dei buoni periti, quali infiniti trabocchetti si presentano, come l’intelligenza e la cultura siano  mezzi di indagine infinitamente superiori ai microscopi in mano a principianti imbacuccati in tute bianche di plastica.Chi vuole acquistare il libro può ordinarlo direttamente all’autore al costo di 30 euro scrivendo a [email protected]. (togliere il numero 123, che serve per evitare lo spam).(16 aprile 2008)BANCO DI BRESCIA ABI 03500 CAB 11210 CC 18102IBAN IT 02 X 03500 11210 000000018102 INTESTATO A SCHIAVI ROMANOPAY PAL su romano [email protected]

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