Romagna DOC

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9 0 3 1 / Aprile NUMERO VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS La lingua dei poeti Il vino e chi lo beve Il vino in versi romagnoli Il “battesimo” col Sangiovese Terra e gente di Romagna Periodico semestrale - Organo Ufficiale del Consorzio Vini di Romagna - spedizione in a.p. 70% - DCI Ra - tassa riscossa. Taxe percue - economy/c. In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa. 0 8 1 4 3 6 1 0 1 8

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Magazine del Consorzio Vini di Romagna che di volta in volta, seguendo il filo del vino e dei sapori, tocca i vari aspetti delle terre di Romagna

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90 31/Aprile NUMERO

VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

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03Editoriale

04Una lunga strada in compagnia> Beppe Sangiorgi

08La lingua dei poeti> Martina Liverani intervista Ivano Marescotti

10Il “battesimo” col Sangiovese> Cristiano Cavina

14Il vino e chi lo beve> Fabio Magnani

18Terra e gente di Romagna> Barbara Amati

22Gli antichi strumenti della cantina> David Navacchia

24Albana di Romagna DOCG

26Le parole dei vini romagnoli> Giordano Zinzani

30Un dialetto poetico,forte, evocativo e sensuale.Come il vino> Beppe Sangiorgi

34Uva e vino nella cultura popolare romagnola

36Il vino in versi romagnoli> Elio Pezzi

40News> Roberto Ronchi

VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

90 31/Aprile NUMERO

Consorzio Vini di RomagnaC.so Garibaldi 2 - 48018 Faenza (RA) ITALIATel. +39 0546 28455 - Fax +39 0546 [email protected]

ROMAGNA DOC n.13APRILE 2009

Direttore responsabileGiordano Zinzani

Coordinamento di redazioneBeppe Sangiorgi

RedazioneGian Carlo Mondini, David Navacchia,Franco Piazza, Roberto Ronchi,Beppe Sangiorgi, Giordano Zinzani

Hanno collaboratoBarbara Amati, Cristiano Cavina,Martina Liverani, Fabio Magnani, Elio Pezzi

Progetto grafico e impaginazionePh5 gruppo Faenza

FotografieMassimo Vespignani, Archivio Luigi Baldrati,Foto Londi, Archivio P. Papi, Andrea Samaritani

TraduzioniElena SchedaChris Flockhart

StampaGE.GRAF Tipolitografia - Bertinoro

ROMAGNA DOCOrgano ufficiale del Consorzio Vini di Romagna Comitato di presidenza:Giordano ZinzaniDavid NavacchiaRoberto RonchiFranco Piazza

Iscrizione al tribunale di Ravenna Registro Stampa n. 721 del 17.01.1983

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Consento che i miei dati personali vengano trattati ai fin i esclusivi di questo abbonamento e di eventuali informazioni su altre iniziative della rivista Romagna DOC, nel rispetto della normativa 675/96 del 31/12/96.

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03ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

rosegue il nostro viaggio attraverso la Romagna, cogliendone

di volta in volta gli aspetti più rappresentativi ed avendo sem-

pre come punto di riferimento il vino e il suo mondo, al quale,

da questo numero, iniziando con l’Albana di Romagna Docg,

dedichiamo nella pagina centrale una scheda specialistica da

leggere e da consultare. Il resto delle pagine hanno come filo

conduttore il dialetto romagnolo, espressione della cultura

popolare che nella sua storia ha affiancato e si è lasciato affiancare per lun-

ghi tratti dal vino nella vita quotidiana degli uomini. E, come il vino, il dialet-

to lega ancora i romagnoli alla loro terra. L’uno e l’altro rappresentano la chia-

ve che apre al turista la porta che si spalanca su un territorio fisico ed umano

ricco di storie, di cordialità, di sapori e di profumi. Di pagina in pagina vino

e dialetto romagnoli svelano legami, intrecci ed allacciamenti che spaziano

dal nome degli strumenti ai proverbi, dalla poesia al cinema, fino alla traspo-

sizione dei termini identificativi del vino che nel passaggio dal dialetto all’ita-

liano documenta anche la ricerca di una qualità sempre più accentuata, senza

perdere di vista il passato, del quale il nostro presente è in fondo figlio in tutti

i suoi aspetti. Emblematico è il racconto scritto da Cristiano Cavina proprio

per questa rivista nel quale accosta al Sangiovese il suo dialetto italianizzato,

molto in voga oggi tra i giovani, che costituisce un ponte tra passato e presen-

te. Così come i vini romagnoli, i cui sapori e profumi, oltre al gusto e all’ol-

fatto, sollecitano rimandi a modi di vita, facce, atteggiamenti mentali che

appartengono al solido e radicato panorama umano di questa terra.

P

Giordano Zinzani

presidente del consorzio vini di romagna

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una lunga

strada in

compagnia

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05ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

ttorno al 1890 il consumo di

vino in Romagna era di 149

litri all’anno per individuo, con-

tro i 95 della media nazionale.

Un consumo di massa indotto in Romagna

dalla scarsa potabilità dell’acqua che favoriva

una produzione vinicola più attenta alla

quantità che alla qualità. Ovviamente anche

in Romagna c’era chi “beveva bene”: i nobili e

i grandi proprietari terrieri avevano alle loro

dipendenze bravi cantinieri che lavoravano

secondo le regole e con le tecnologie più avan-

zate il mosto che i mezzadri conferivano con

le castellate. Se ne ricavavano bottiglie che

ottenevano alti riconoscimenti nelle esposi-

zione ma che venivano consumate nella

ristretta cerchia della famiglia e degli ospiti

Il vino e il dialetto romagnoli hanno percorso affiancati una lunga

storia, accomunati dall’essere il primo la tipica bevanda della classi

popolari che trovavano nel secondo il loro normale modo di espres-

sione. Così è stato fino agli anni ’70 del secolo scorso, quando si è

verificato un cambio di passo ed entrambi hanno trovato riconosci-

menti internazionali imboccando contemporaneamente la strada

della qualità il primo e della dignità il secondo.

perchè i nobili romagnoli, a differenza di

quelli toscani, ritenevano il commercio, in

particolare quello del vino, un’arte “vile”.

Allo stesso modo il dialetto in Romagna ha

sempre identificato le classi popolari, tanto

da essere definito “la lingua dei poveri”, a

differenza di quello veneto, parlato anche

da religiosi e nobili o quello toscano diven-

tato lingua nazionale. Così che nell’ultimo

dopoguerra, non avendo avuto la fortuna

del dialetto napoletano con le canzoni ed il

teatro o di quello romano con il cinema, il

dialetto romagnolo è stato messo da parte

perchè rappresentativo della campagna,

della rozzezza e dei ceti sociali disederati,

al contrario dell’italiano che significava

città, educazione e ceti borghesi. >

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> Beppe Sangiorgi

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07ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

In nome di tali pregiudizi anche i genitori del poeta di Cesenatico

Marino Moretti gli avevano vietato fin da piccolo di parlare il dialet-

to della sua Romagna. E lui, da adulto, si rammaricava di non poter

parlare il “caro gergo natio – precipite, scosceso”. Ed il poeta Aldo

Spallicci così commentava quella proibizione: O Marino, u m’ pè d

sintì / “Scòrar dialet? Vargogna! / A la zenta pocsì / lassél sicura bso-

gna!”. / Inveci la mi mama / la m’ha cunté al su fôl / e a dì coma ch’us

s’ciama / tot quant in rumagnôl . / ...Per quest a j ho vlù ben / e a in

vòi incora / ch’u m’ pê dl’ essar piò vsèn / a la zenta ch’ lavora (O

Marino, mi pare di sentire / “Parlare dialetto? Vergogna! / Alla gente

purchessia / lasciarlo bisogna!”. / Invece la mia mamma / mi ha rac-

contato le sue favole / e a dirmi come si chiama / tutto quanto in

romagnolo. / ...Per questo le ho voluto bene / e ce ne voglio ancora /

che mi par di essere più vicino / alla gente che lavora).

E’ con il film Amarcord , realizzato da Federico Fellini nel 1973 con

sceneggiatura e dialoghi scritti insieme a Tonino Guerra, che il dia-

letto romagnolo acquista dignità e fama internazionale grazie anche

all’Oscar assegnatogli nel 1974 quale miglior film straniero. La

notorietà è tale che la parola amarcord, che deriva dalla voce dialet-

tale “a m’arcord” (mi ricordo) è diventata un topos della lingua ita-

liana in tutto il mondo.

Curiosamente, o forse no, i produttori vitivinicoli romagnoli negli

stessi anni ’70 imboccano con decisione, intelligenza e consapevo-

lezza delle potenzialità dei loro vini la strada della qualità, che nei

decenni successivi porterà la produzione enologica romagnola ad

essere conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo.

Una lingua anticaIn realtà non esiste un unico dialetto romagnolo ma tante parlate che presentano variazioni da luogo a luogo su

un fondo comune. Un fondo molto antico che secondo il linguista Giuseppe Pittàno risale alla colonizzazione cel-

tica, ossia gallica, della fine del V secolo a.C. e che si ritrova soprattutto nella forza dell’accento che ha contratto

le parole facendo cadere le vocali finali – moròs per moroso, sas per sasso o gat per gatto – o le vocali interme-

die: stmàna per settimana, sbdèl per ospedale e così via. Di influsso celtico è il suono nasale: vên (vino), pân

(pane) o dmân (domani).

A questo si sono poi sovrapposti altri strati linguistici in seguito ad invasioni o colonizzazioni, come quella romana,

fino al consolidamento di una lingua che il fusignanese Francesco Giugni (1881-1968) descrive, qua e là italianeg-

giando, con divertita ironia: A dila s-cetta e’ nostar rumagnol / l’è un dialet un po’ dur da mastighè; / quand pu t’at

mett a scrival, e’ mi fiol, / se incora t’an si mat, t’sté par dvintè. // Al sa d’tudesch, d’franzes zerti parol, / e d’laten

a sintìli prununziè: / us dis “tabac” par dir un ragazol, / e “tusur” agli è quel da tajè. // A dmandè “Ci va oggi?” in ita-

lian, / i t’arspond: “Sissignori, ai vegh incù”; / e cosa vut che pensa un povar s-cian // quand l’ha d’ch’in fè cun di

baron futtù, / ch’i i mett davanti una gran tira d’pan, / dgend: “Tutan, taitan, magntan quant t’in vu”?.

(A dirla schietta il nostro romagnolo / è un dialetto un po’ duro da masticare; / quando poi ti metti a scriverlo, il mio

figliolo, / se ancora non sei matto, stai per diventarlo. // Sanno di tedesco, di francese certe parole, / e di latino a

sentirle pronunziare: / si dice “tabac” per dire bambino, / e “tusur” sono quelle da tagliare (le forbici). // A chiedere

“Ci va oggi”? in italiano, / ti rispondono: “Sissignore, ci vado incù”; / e cosa vuoi che pensi un pover uomo // quan-

do ha a che fare con dei baroni fottuti / che gli mettono davanti una gran tiera di pane, / dicendo: “Prenditene, taglia-

tene, mangiatene quanto ne vuoi”?).

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La lingua dei poeti

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09ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

Capace di alternare inter-

pretazioni hollywoodiane

alle ormai innumerevoli

repliche del suo Recital

in dialetto romagnolo,

Ivano Marescotti, più di

altri, ha il merito di aver

riscoperto, per diffonderlo,

l’aspetto poetico della

nostra parlata locale,

anche grazie al suo incon-

tro con Raffaello Baldini

e con gli altri grandi poeti

dialettali di Romagna.

“Il dialetto romagnolo è esangue, sta morendo”, afferma Marescotti,

“Già dagli anni Sessanta, i romagnoli che usavano il dialetto smise-

ro di farlo perché se ne vergognavano. Era la lingua della povera

gente, degli ignoranti, ed occorreva disfarsene. Erano i tempi delle

prime trasmissioni televisive e i bambini dovevano imparare ad

esprimersi utilizzando la lingua italiana. Oggi, il dialetto romagno-

lo, più di altri, sta morendo. E proprio in questo momento di trapas-

so, trovano terreno fertile i grandi poeti, che recuperano e utilizza-

no una lingua legata alla tradizione dalla straordinaria forza espres-

siva e poetica.”

Per quale motivo il dialetto romagnolo si sta estinguendo più

velocemente di altri dialetti popolari?

“Il nostro dialetto non ha una tradizione secolare e soprattutto non

è mai stato veicolato, attraverso le arti, dai grandi interpreti e auto-

ri nel passato. Basti pensare al lavoro di Goldoni sul dialetto vene-

to, quello di Pirandello sul dialetto siciliano, o ai grandi interpreti

della commedia napoletana, per citarne alcuni. Solo di recente,

attraverso le opere di grandi poeti come Raffaello Baldini, Nevio

Spadoni, Tonino Guerra e altri, stiamo assistendo ad una rinnovata

attenzione verso il nostro dialetto, che peraltro trova sempre più

spazio anche nell’ambito del teatro. Invece quando io ho iniziato a

fare teatro, non potevo parlare in dialetto, dovevo mascherare il

mio accento romagnolo perché non era raffinato, me ne vergogna-

vo…”

E poi cosa è successo?

“Ho incontrato Raffaello Baldini, il più grande poeta che il dialet-

to romagnolo abbia mai avuto, ed ho capito l’importanza della poe-

sia dialettale romagnola nell’ambito del panorama letterario nazio-

nale. Il dialetto è la lingua dei poeti, del teatro, è carica di espressi-

vità. E’ la lingua che ci viene dal profondo, non è ragionata. Il pen-

siero è veloce, le parole per esprimerlo sono più lente. Ed è proprio

tra il concepimento del pensiero, e prima della traduzione dello

stesso in parola scritta, che si insinua il dialetto. In questo

spazio/tempo infinitesimale tra moto di istinto e ragione, tra impe-

to e riflessione…c’è un mondo da scoprire e rivalutare. Un mondo

che è poesia, drammaturgia, teatro. Un linguaggio pieno, denso di

spunti e carico di intensità che si presta magistralmente a quelle

manifestazioni artistiche, come appunto il teatro e la poesia, che

più hanno a che fare con l’intimità e l’interiorità. Come diceva il

grande Baldini “con il Dialetto, si può parlare con Dio, ma non si

può parlare di Dio”. Questa frase, riassume ed esemplifica perfetta-

mente il significato e l’intensità del dialetto: è la lingua del cuore

e delle viscere che non ha freni inibitori. E’ la lingua della sponta-

neità, e dell’individualità, che ti rende tecnicamente impossibile

una narrazione in terza persona.

Questa intervista apparirà su un magazine dedicato al vino e più

precisamente ai vini romagnoli, veri, sinceri e genuini proprio

come la lingua che lei ha decantato finora…

“Anche il vino ha a che fare con la fisicità e con l’espressività di sé.

Il vino si fa toccare, e poi ti appartiene. Il vino è affabulatorio, pro-

prio come il modo di raccontare e vivere la realtà in dialetto.

Insomma: In vino veritas. In dialetto, pure!”

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Cristiano Cavina è un giovane scrittore romagnolo che

ha raggiunto fama e successo con quattro libri editi

da Marcos y Marcos – Alla grande, Nel paese di Tolintesàc,

Un’ultima stagione da esordienti e I frutti dimenticati –

nei quali ricorda il piccolo paese – Càsola Valsenio -

dove è cresciuto e dove abita, annodando i fili della vita

di un tempo con quella di oggi attraverso i racconti uditi

in casa o al bar ed utilizzando una sorta di dialetto italianizzato

come un ponte tra passato e presente.

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11ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

> Cristiano Cavina

Quando mio zio Paolo compì due mesi, nel freddo inverno del ’45, nonno Gianì lo infa-

gottò alla meglio in una vecchia coperta e lo portò alla Villetta, una vecchia casa coloni-

ca nascosta dietro alla collina della Chiesa di Sopra.

C’era la neve, e sfulgava ad ogni passo.

Andava da un suo caro cugino, che per chissà quale ragione si chiamava Saturno.

Saturno lo stava aspettando seduto sulla pietra di un vecchio camino annerito dagli anni,

cullando sulle ginocchia un bottiglione di Sangiovese, che tutti quelli della loro genera-

zione chiamavano semplicemente va negre. >

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13ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

Quando nonno entrò, scrollandosi la neve di dosso, liberando strato dopo strato zio

Paolo dalla vecchia coperta, Saturno tolse il tappo al suo bottiglione e ne versò un bel po’

nel bicchiere.

Vi immerse un indice calloso e lo porse alla bocca del neonato, che gorgogliò tittando

con gioia, spalancando gli occhi a quel nuovo sapore del mondo.

Trent’anni dopo – zio Paolo non era più un bambino, anche se a volte si comportava

come tale e abitava in Germania, dove aveva aperto una bottega di biciclette, una bouti-

que, come diceva lui – trent’anni dopo dicevo, nonno Gianì si ritrovò a percorrere a piedi

la salita verso la Villetta, sotto la sagoma della Chiesa di Sopra.

Sfulgava negli stessi punti di tanti anni prima, non perché ci fosse la neve, dato che era

un bel pomeriggio di fine luglio, ma perché era molto più vecchio, e non allenato a por-

tare in braccio un altro neonato di due mesi, il suo ultimo nipote, prodotto piuttosto

casuale e inaspettato della sua figlia più piccola.

Quel neonato ero io.

Saturno ci stava aspettando nel cortile, seduto su un vecchio ceppo, da tempo immemo-

re promosso a sgabello.

Nonno Gianì mi depose sulle sue ginocchia.

Tra i piedi aveva il caro vecchio buciò di va negre.

Ovviamente non c’era lo stesso vino di trent’anni prima, dentro, dato che il vino “fatto

in casa” non tende a migliorare invecchiando come il vino raffinato dei signori.

Saturno versò un bicchiere, vi immerse lo stesso indice, sempre più calloso, e me lo portò

alla bocca.

Così, come zio Paolo, venni battezzato anch’io.

Nonno Gianì morì nel novembre del 2003.

I novant’anni e spiccioli che gli erano stati concessi in questo mondo non furono sufficien-

ti per portare a termine l’ultimo battesimo profano dei Cavina, con il va negre al posto del-

l’acqua benedetta e il piccolo Saturno nei panni di Giovanni il Battista.

Lui teneva ancora botta, con la sua faccia da eterno bambino, le sopracciglia folte come

quelle di una civetta, lo sguardo da folletto buono.

Trentaquattro anni dopo il mio battesimo, sessantaquattro dopo quello di mio zio Paolo,

toccò a me percorrere la salita della Chiesa di Sopra, direzione la Villetta, cercando di non

sfulgare.

Saturno ci aspettava in poltrona, con un bel pleid sulle ginocchia.

Sembrava un valoroso generale in pensione, solo che le decorazioni, guadagnate sui campi

in pendenza e non su quelli di battaglia, le portava tutte dentro, e non appese al bavero.

Era molto vecchio, un poco incerto con le mani, così, come i grandi condottieri, si limitò a

dare gli ordini a Mino, suo figlio.

Pescò dalla credenza il vecchio bottiglione, svitò il tappo e ne versò un bicchiere.

Saturno vi immerse quel prodigioso indice, antichissimo, e lo portò alla bocca del bimbo

che gli avevo posato sulle ginocchia.

Per un attimo, pensai che esisteva una forma di immortalità, anche per noi esseri umani.

Il bimbo portava lo stesso nome di nonno Gianì, Giovanni Cavina.

Era il suo bisnipote.

Era mio figlio.

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15ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

La bottiglia di vino era appe-

na stata posata mentre una

goccia, quella che di solito

non ne vuole sapere di essere

bevuta, sfuggiva alla sete sci-

volando via lungo l’etichet-

ta tradita dall’indelebile

traccia vinosa. Una goccia di

ricordi che aprono la fanta-

sia alle porte del tempo rac-

contando di quella terra di

Romagna dove ancora la

parola era dialettale.

Come il territorio è legato al vino anche le persone sono unite, da un

sottile filo di ricordi ancestrali, al bere della terra che li rappresenta.

Il vino è unione di persone, di terre arate dal tempo e dalla fatica

degli uomini, feconde di profumi e sapori di cui se ne percepisce l’im-

portanza tramite i colori del linguaggio dialettale che lega la gente al

proprio bere.

“E’ bé” in Romagna da sempre ha rappresentato il vino e, con questo,

il profondo legame dei romagnoli alla terra. Per i romagnoli il vino,

“è bé”, rappresenta qualcosa di molto intimo, un rito che riporta alla

fusione col proprio passato. In Romagna ci sono dei locali storici

dove è possibile godersi un calice di vino che sono come dei “santua-

ri”, battezzati, guarda caso, con nomi dialettali – come ad esempio la

Ca de Bé di Bertinoro e la Ca de Vèn di Ravenna - dove questo rito

prende forma e dove il sorseggiare vino altro non è che un ritorno al

passato, alle origini del tempo e dove, istintivamente, si ritorna

all’espressione dialettale che permette di tradurre meglio quelle sen-

sazioni. Bere vino, infatti, va oltre il semplice atto di alzare il bicchie-

> Fabio Magnani

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www.phcinque.it

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17ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

re. Bere vino equivale ad assaporare una storia di vita, quella di un

territorio, quella di chi produce con fatica ogni anno il proprio pro-

dotto, significa onorare gli sforzi e di chi, in passato, si è impegnato

per far sì che il suo messaggio giungesse fino a noi attraverso quei

profumi. Ecco allora che il filo sottile tra passato presente e futuro si

fa ancora più stretto e prende forma con una modalità di linguaggio

dialettale.

Nei secoli passati, la vita era concentrata nelle campagne e il lega-

me con la terra era molto più sentito, tanto è vero che in alcuni vec-

chi testi di epoche oramai lontane si legge che i romagnoli erano

definiti come coloro che vestivano di una larga mantella e parlava-

no un linguaggio aspro e acceso come il loro vino. L’attenzione

deve cadere sull’analogia vino e linguaggio dialettale, ovvero, tra le

caratteristiche organolettiche che allora possedeva il Sangiovese,

che aveva doti di freschezza e tannicità che lo rendevano nervoso,

e coloro che lo facevano e lo bevevano e che si esprimevano con

toni altrettanto accesi a testimoniare la provocazione giocosa deri-

vante dalla passione, tutta romagnola, per la vita stessa. A volte,

infatti, ci sono delle analogie tra il carattere del vino e chi lo beve

che si evidenziano attraverso il linguaggio.

Oggi i romagnoli esprimono l’amore per la propria terra nello stesso

modo, sorseggiando il loro vino e vantandone le qualità con simili-

tudini e analogie che spesso si rifanno più al linguaggio popolare che

al “gergo” dei sommelier. Questo legame oggi lo si nota anche nel fio-

rire di etichette produttori romagnoli che utilizzano nomi di riferi-

mento dialettale a ricordare l’amore, l’intimità, la forza e la passione

che da sempre, in Romagna, ha consolidato il profondo legame tra

terra e vino espresso con l’unica lingua possibile ai romagnoli: il dia-

letto della loro terra.

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19ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

Sulle tavole, piadine, braciole, canocchie e vongole, nei bicchieri Sangiovese, ma anche

Cagnina, Albana e Trebbiano: tutto si fonde e si confonde in un calice di vino, tra passato

e presente non c’è linea di demarcazione, non c’è separazione. Perché, se è vero che noi

siamo il risultato di una storia -della nostra storia- è anche vero che questo vale per qual-

siasi prodotto, ma in particolare per il vino. Che è il prodotto della natura, e dunque della

pioggia e del sole ed ancor più della fatica dell’uomo, della sua intelligenza, delle sue intui-

zioni trasmesse di generazione in generazione attraverso il dialetto, la lingua delle campa-

gne romagnole. Le nostre radici affondano in un territorio generoso che ha nutrito intere

generazioni perché è stato trattato -lavorato- con rispetto. Sfruttando anche i terreni calca-

ri, proprio di quei calanchi che sono una caratteristica di tutta la fascia della media collina

romagnola: lì la sapienza contadina ha ricavato ettari ed ettari di terreno naturalmente

vocato alla viticoltura. I produttori hanno imparato a governare l’intero ciclo del vino, dalla

vigna, alla cantina, alla bottiglia, il consumatore ha cominciato a costruirsi una cultura del

vino intesa come conoscenza del prodotto, della sua storia, delle tradizioni, delle tecniche

di produzione. Così, saper bere è tutto questo: è capire l’anima di un vino i cui caratteri

obbediscono a fattori locali come il sole, il clima, l’esposizione e a congiunture storiche,

come vendemmia, vinificazione, imbottigliamento. >

TERRA EGENTE DIROMAGNASi dice che anche i Santi in Romagna siano allegri e le

Madonne abbiano volti contadini nei quali si legge la fati-

ca di vivere. La Romagna solatìa che cantava il Pascoli è,

da un lato, uno slogan per il turismo estivo del mare e del

divertimento, ma dall’altro rimanda a campi e colline

assolati ad abbracciare case coloniche, vigne e frutteti,

sapori e profumi che resistono alle mode.

> Barbara Amati

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21ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

Questo è ciò che trasmettono i produttori ai consumatori, a chi sce-

glie, fra tanti, il loro vino: coloro che oggi propongono le loro pro-

duzioni in eleganti bottiglie, personalizzano il vetro, sfoggiano eti-

chette che raccontano un pezzetto di sé, fino a qualche decennio

fa vendevano l’uva alle cantine sociali o il vino in damigiana. Poi,

ecco il salto di qualità, la voglia di fare il proprio vino, di mettersi

alla prova, di sfidare il mercato.

In questo percorso di crescita i produttori romagnoli sono stati

affiancati da una ricerca scientifica attenta portata avanti

dall’Università di Bologna e dall’Esave di Tebano, come da una tec-

nologia all’avanguardia. Dalla sperimentazione, dalle prove in

vigna e in cantina, sono nati i vini di oggi: le modifiche apportate

ai tradizionali sistemi di allevamento, le scelte varietali, le selezio-

ni clonali, nuovi schemi di potatura, pressature soffici e vinifica-

zioni controllate che accompagnano l’uva in un procedimento di

trasformazione che conserva ed esalta le caratteristiche organolet-

tiche del frutto. Ciò ha fatto sì che i vini della Romagna, in tutte le

loro sfumature ed espressioni, raggiungessero elevati livelli di qua-

lità e d’immagine in Italia e all’estero.

Tutto questo, però, è avvenuto rimanendo costantemente a contatto

con il territorio e con la realtà di una viticoltura antica: qui insisto-

no aziende piccole e medie, e molti produttori di oggi che lavorano

i vigneti dei loro genitori e dei loro nonni portano in sé una cultura

contadina e delle tradizioni che non vanno disconosciute. Qui non è

come in altre regioni dove imprenditori venuti da fuori hanno

acquistato aziende vitivinicole e hanno cominciato a produrre vino:

vino, invece di qualsiasi altro prodotto, perché ha in sé qualcosa di

nobile e di sacro che lo differenzia da tutti gli altri alimenti. In

Romagna c’è una trama di aziende con imprenditori che sono nati

sulla terra e che di quella terra e di quei vigneti conoscono ogni

angolo: il che significa conoscerne le potenzialità, valorizzarne al

meglio la vocazione e al contempo evitare gli errori. E’ vero, il

mondo va avanti, le tecniche si affinano, le metodologie produttive

cambiano, occorre adeguare la qualità e la tipologia dei prodotti ai

gusti dei consumatori. Ma le tradizioni e la cultura contadina riman-

gono un bagaglio prezioso per chi se ne serve con intelligenza, tra-

ghettando quelle conoscenze e quei valori in un futuro che affonda

comunque le proprie radici nel passato. Oggi il ritorno ad esempio

ai vitigni autoctoni, dà ragione ai romagnoli che, al contrario di altri

che negli ultimi vent’anni hanno voluto gettarsi alle spalle un patri-

monio prezioso, grazie alla loro caparbietà -spesso restii ai cambia-

menti- non hanno voluto appiattirsi sul nuovo rinunciando al con-

sueto. Le nuove generazioni hanno un po’ svecchiato questi atteggia-

menti, ma la loro intelligenza è tale da mantenere ciò che di valido,

di autentico, di sano c’era in quella saggezza contadina, traendone

stimolo per andare avanti sulla strada delle innovazioni dove tutto

ciò serve per migliorare il prodotto e la sua immagine.

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Page 22: Romagna DOC

Gli antichi

strumenti

della cantina

La viticoltura, si sa, è diffusa

in Romagna da secoli.

Gli strumenti utilizzati

dai contadini, in vigna e cantina,

sono, per questo motivo,

compagni della vita quotidiana

del viticoltore che da sempre

li considera veri e propri

"membri" della famiglia, ciascuno

con il suo termine dialettale.

> David Navacchia

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Vivaci e profumati. I vitigni romagnoli della linea di vini DocBrumale, nata nel 2003 dall’esperienza enologica dell’aziendaCaviro, manifestano tutto il carattere e la giovialità caratteristici diquesta terra. Il Sangiovese, il Trebbiano e il Sangiovese-Merlot sipresentano come vini moderni e contraddistinti da un alto stan-dard di qualità, rivestiti da un’etichetta affidata all’estro pittoricodi un altro grande esponente del genio cretivo romagnolo, comeil pittore Tonino Gottarelli. Vini che vantano un ottimo rapportoqualità-prezzo e che per questo hanno conquistato l’apprezza-mente dei consumatori, che vi hanno riconosciuto la cura el’esperienza che contraddistinguono tutti i prodotti Caviro.

dalle Aziende CAVIRO . I romagnoli Brumale. Qualità e tradizione

23ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

a grande estensione del territorio di riferimen-

to, e le varie espressioni dialettali di quella che

è una vera e propria "lingua" romagnola por-

tano però a trovarsi con termini completamen-

te diversi utilizzati per identificare un medesimo strumento:

se ad esempio l'imbuto a Rimini è il pidiul, a Forlì, a meno di

40 chilometri di distanza, diventa il pidariol.

Il primo vero strumento di lavoro del vignaiolo romagnolo

non si teneva però in mano, ma si attaccava al muro e lì vi

rimaneva per un anno. Si trattava infatti del Luneri, o

meglio, del Luneri di Smembar, che, indicando le fasi luna-

ri, consigliava al contadino i tempi giusti per interventi in

vigna (potature, concimazioni, raccolto) e in cantina (svina-

ture, travasi e imbottigliamenti).

In vigna si andava con la felza (dialetto di Castiglione di

Ravenna) per sfogliare, e con el tùsùr (dialetto forlivese) per

potare e vendemmiare. Non mancavavo i bgonz, i bigonci

(dal latino bi-congius, cioè un doppio congio).

In cantina regnavano e’ strandòur (Cesena) che era il tor-

chio, e le botti in legno, al bot che, se oggi contraddistin-

guono cantine di qualità, fino a metà del secolo scorso

erano davvero problematiche, sia per la loro gestione igie-

nica sia perché era lì che il vino spesso si deteriorava, a

causa, di contaminazioni batteriche dovute alla difficile

pulizia di questi recipienti.

Il vino fermentava nel tino, e' tinaz, mentre, per quantità

minori si usava e' mastel. La pidria (Rimini) era bacinella in

legno che serviva per mettere il vino nella botte, mentre l'im-

buto era, a Rimini e' pidiul, che, nel forlivese, diventava e'

pidariol. Interessante l’origine della parola pidariol, derivata

non dal latino ma addirittura dal bizantino pletria.

Molto spesso il vino rimaneva nelle botti sino al momento di

andare in tavola. Era compito dell’azdòra, spillarlo dalla

botte e portarlo in tavola prima del ritorno, dai campi, del

capo famiglia.

Se invece il prodotto era destinato ad essere venduto, si tra-

vasava in damigiane, la damzena o si imbottigliava diretta-

mente int’la bocia, chiusa con e’ ciùtùr, il tappo (Forlì). A pro-

posito di ciùtùr: è un tipico francesismo la versione romagno-

la di cavatappi, e’ tarabuso, derivata dritta dritta dal francese

tire bouchon.

l

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albana diromagna

docg

Albana di Romagna secco- colore: giallo paglierino, tendente

al dorato per i prodotti invecchiati;- odore: con leggero profumo caratteristico dell’Albana;- sapore: asciutto, leggermente tannico, caldo e armonico;- titolo alcolometrico totale minimo: 12,00%;- zuccheri riduttori: massimo 9 g/l;

Albana di Romagna amabile- colore: giallo paglierino, tendente al dorato

per i prodotti invecchiati;- odore: caratteristico dell’Albana;- sapore: fruttato, amabile, gradevole, caratteristico;- titolo alcolometrico totale minimo: 12,50%;- zuccheri riduttori da svolgere: da 12 a 30 g/l;

Albana di Romagna dolce- colore: giallo paglierino, tendente

al dorato per i prodotti invecchiati;- odore: caratteristico dell’Albana;- sapore: fruttato, dolce, gradevole, caratteristico;- titolo alcolometrico effettivo minimo: 8,50%;- titolo alcolometrico totale minimo: 12,50%;- zuccheri riduttori: da 45 a 80 g/l;

Albana di Romagna passito- colore: giallo dorato con tendenza all’ambrato;- odore: intenso, caratteristico;- sapore: vellutato, gradevolmente amabile o dolce;- titolo alcolometrico totale minimo: 17,00%;- titolo alcolometrico effettivo minimo: 12,50%;- appassimento uve: fino al 30 marzo successivo alla

vendemmia, vinificazione non anteriore al 15 ottobre;- contenuto zuccherino dopo l’appassimento:

non inferiore a 284 g/l.L’immissione al consumo non può essere effettuata prima del 1° settembre dell’anno successivoalla vendemmia.

Albana di Romagna passito riserva- colore: da giallo paglierino a giallo oro con riflessi ambrati;- odore: intenso, con chiare note fruttate e di muffa nobile;- sapore: pieno e intensamente dolce, gradevolmente acido;- titolo alcolometrico totale minimo: 24,00%;- titolo alcolometrico effettivo: minimo: 4,00% - massimo: 11,00%;- gradazione del mosto alla pigiatura: non inferiore ai 400 g/lL’immissione al consumo non può essere effettuata prima del 1° dicembre dell’anno successivo alla vendemmia.

E’ l’unico vino a denominazione di origine controllata e garantita della Regione Emilia Romagnaed è stato il primo vino bianco italiano a fregiarsi di tale qualifica (13 Aprile 1987).La zona di produzione comprende le fasce collinari e pedecollinari di 7 comuni della provincia di Bologna, 10 della provincia di Forlì-Cesena e 6 della provincia di Ravenna.Dell’Albana di Romagna d.o.c.g, ottenuta esclusivamente con il vitigno omonimo ne esistono 5 versioni che differiscono per il contenuto di zuccheri ed il titolo alcolometrico:

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25ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

na leggenda vuole che nell’anno 435 una bellissima

dama dai capelli biondi, Galla Placidia, figlia del-

l’imperatore Teodosio, arrivasse un mattino in un

paese della Romagna, cavalcando una bianca giu-

menta. Ammirati da tanta bellezza, gli ospiti paesa-

ni le offrirono, in una rozza brocca di terracotta, il dolce e vigoro-

so vino del luogo – l’Albana appunto – un vino che aveva lo stes-

so colore dei capelli della principessa. E questa, estasiata dalla

bontà di quel nettare, esclamò: “Non così umilmente ti si dovreb-

be bere, bensì berti in oro per rendere omaggio alla tua soavità”. Da

allora – è voce comune – nella fastosa corte di Ravenna si bevve

Albana in preziosissime coppe, e il paese dove la principessa si era

dissetata prese il nome di Bertinoro.

E’ soltanto a partire dal XIV secolo, però, che cominciano i riferi-

menti specifici all’Albana. All’inizio del 1300, Pier de Crescenzi nel

suo Trattato dell’Agricoltura così la descrive: “Si chiama Albana, la

quale tardissimamente pullula, ed è uva bianca, un poco lungo

abbiente il granello, e fa assai grandi grappoli e spessi e lunghi.. e

le sue granella molto sono colorate dal sole, e molto tosto la sua

maturità si compie, ed è assai dolce in sapore”.

Nel XVII secolo l’Albana godeva di grande reputazione, anche al di

fuori della Romagna. Nel suo trattato L’economia del cittadino in

villa del 1674, l’agronomo bolognese Vincenzo Tanara, rilevava che

“l’Albana pare tenga in primo luogo a far vino delicato ed è anco-

ra la più universale uva che vi sia”. E’ inoltre interessante notare

che detto autore già distingueva per questo vitigno diversi tipi

quali “Albana rara”, “Albana spessa di grana” e “Albanone”. E a fine

‘800 risultavano coltivate in Romagna l’Albana bianca o gentile,

tipica del Cesenate e del Forlivese; una “Albana della Forcella o

della Serra” nelle zone di Forlì e di Faenza: l’Albana della Gaiana,

località presso Castel San Pietro; l’ Albana della Compadrona, ori-

ginaria delle colline di Dozza Imolese e l’Albana Bagarona.

Con un passato così ricco di storia era logico che l’Albana di

Romagna fosse uno dei primi bianchi italiani a richiedere la DOC,

che gli infatti riconosciuta nel 1967 e vent’anni dopo, nel 1987,

ottenne la Denominazione di Origine Controlla e Garantita. Un

riconoscimento sempre più confermato negli anni, fino alla produ-

zione attuale espressa nelle tipologie elencate a fianco, con al

punto più alto l’Albana passito che ha alle spalle una lunga storia,

documentata già nel 1782 dall’abate Giovanni Battarra nella

Pratica agraria distribuita in varj dialoghi. Questo tipo di produ-

zione ebbe in passato esclusivamente un carattere familiare: era

tradizione che i contadini romagnoli ne producessero qualche bot-

tiglia da grappoli posti ad appassire, appesi come collane, sotto le

grondaie, per proteggerli dalla pioggia e le poche bottiglie che rica-

vavano da quella vinificazione le conservavano come reliquie, per

il giorno in cui si sarebbero sposate le figlie o per un ospite illu-

stre. Oggi l’Albana passito rappresenta un prodotto di eccellenza

della viticoltura romagnola e, per questo, è il vino che si offre

all’ospite e che non manca mai sulla tavola nelle grandi occasioni.

Gli abbinamenti a tavolaPer il tipo secco: antipasti a base dipesce, torte saltate, frittate, acquadel-le e bianchetti fritti, piadine con i cic-cioli, paste gratinate, pancetta e radic-chio (i classici bruciatini fatti con pocoaceto), brodetti di pesce, salumi e pia-dine, mortadella, prosciutto, passatelli,risotti vari (funghi, zafferano), timballi,lasagne con sughi vegetali (nonragout rosso). Per le tipologie dolceed amabile: formaggi semistagionati,crostate con frutta e polpa bianca,macedonia di frutta (aggiungere lostesso vino nella macedonia), ciam-belle, pere con lo zabaione, zuccheri-ni, dolci da forno. Per il passito ed ilpassito riserva: formaggi erborinati ingenere purché supportati da confettu-re, mostarde o savor, pasticceriasecca, scroccadenti, crostate di fruttaanche rossa, dolci di ricotta, dolci dinocciole e mandorle, fegati grassi inpadella. Perfetto l’abbinamento conformaggio di fossa accompagnato daun cucchiaio di miele di castagno o dimillefiori, confettura di fichi e cotogne,mostarda, fichi caramellati.

L’Albana nasce da un

vitigno autoctono della

Romagna la cui origine

è avvolta nel mistero.

E’ certo che si coltiva

da almeno duemila anni

e probabilmente furono

i Romani ad introdurlo.

Da qui l’ipotesi che

il nome derivi dai Colli

Albani o che il nome

si riferisca alla qualità

dell’uva e poiché questa

dovette stimarsi migliore

fra tutte le uve bianche,

venne detta “bianca”

per eccellenza, cioè

latinamente Albana.

u

albana diromagna

docg

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Page 27: Romagna DOC

Le paroledei viniromagnoli La società d'oggi, si sa, corre. Non è incline a rispettare le

tradizioni, a osservare, a dedicare più tempo di quello stret-

tamente necessario, in un incessante procedere frenetico che

travolge tutto, anche la lingua, le parole che usiamo per

comunicare.

Chi non appartiene all'ultima generazione si sarà

ben reso conto dei mutamenti che l'uomo ha

apportato al suo parlare. Lampante, in questo caso,

è il dialetto romagnolo; lingua o dialetto appunto,

che essendo di natura povera raccoglie tra i suoi

termini tutta la saggezza e la semplicità della gente

di Romagna.

Gli accenti e spesso i vocaboli stessi cambiano nel

giro di pochi chilometri, e proprio a questa lingua,

che ormai mal sopporta le innovazioni e i modi di

comunicare di oggi, sono legati alcuni termini cari

a chi lavora le terra, a chi fa il vino.

Pensando, oggi, a tutti i termini legati al vino, al

modo di produrlo, al modo di presentarlo, illu-

strarlo e pubblicizzarlo c'è da mettersi le mani nei

capelli, oppure c'è da sorridere per la fantasia che

spesso tocca l'immaginazione di chi si trova a

descrivere un vino.

Attualmente, ad esempio la classificazione dei pro-

fumi dei vini si avvale di una catalogazione ampia

e senza confini di fantasia.

Mettere a confronto la cultura nel descrivere un

27ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

> Giordano Zinzani

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29ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

dalle Aziende TRE MONTI

Nasce il Thea BiancoErano già qualche vendemmia, che in azienda si coltivava il progetto di affiancare alThea Rosso un bianco "importante": se la vendemmia 2002 non era proprio "l'idea-le" per fare questo tentativo, il 2003 sembrava l'anno giusto... Ma si sa, quando c'èin gioco un fattore emotivo forte come, per noi, è il ricordo della mamma, si diventaincontentabili...L'annata 2004, invece, ci ha donato delle uve bianche fantastiche, e non potevamo tirar-ci indietro. Vittorio Navacchia ha messo a punto un assemblaggio delle migliori uveaziendali, senza l'aiuto del legno, ha "partorito" il nostro bianco del cuore.Duemilacinquecento bottiglie in commercio dallo scorso mese di giugno.Le guide 2007 per Tre MontiAnche quest’anno “Duemilavini”, guida ufficiale AIS, ha assegnato ad un nostro vinoil massimo riconoscimento, riservato ai migliori 300 vini italiani.Con questo risultato, la nostra azienda si è aggiudicata, prima ed unica in EmiliaRomagna, il “Taste Vin”, segno distintivo riservato alle aziende che abbiano ottenu-

to per almeno 10 volte i 5 grappoli. Il risultato è stato completato da altri due vini con 4grappoli (Ciardo 2005 e Albana Passito 2004) e da ben 5 con 3 grappoli ( Salcerella,Sangiovese Riserva, Thea Bianco, Sangiovese Superiore, Trebbiano Vigna del Rio).Ottima anche la recensione della guida ai vini d'Italia edita da Slow Food - GamberoRosso Due i nostri vini che sono arrivati alla finale “nazionale” per i tre bicchieri: Il TheaRosso 2004, ed il Sangiovese Riserva 2003. Altri tre i vini con i due bicchieri: Ciardo05, Salcerella 05 e Albana Passito 05. Citiamo “ Il Sangiovese Riserva 2003 è sottilee profondo insieme, tutto giocato sull’equilibrio, piacevole e autentico, un’espressioneesatta del territorio che apre uno stile tutto nuovo per la Romagna”.L’almanacco del Berebene 2007, che è specializzato sui vini sotto gli 8 euro, ha pre-miato i nostri Trebbiano di Romagna Vigna del Rio 2005 e l’Albana di Romagna DOCGVigna della Rocca 2005 con l’OSCAR QUALITA’ PREZZO nelle rispettive tipologie.Ancor più importante: L’Albana è stato giudicato come MIGLIOR VINO DELL’EMILIAROMAGNA PER IL RAPPORTO QUALITA’ PREZZO.

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vino oggi in una lingua come l'italiano con i termi-

ni del dialetto romagnolo legati al vino, diffusi in

Romagna attorno al 1850, è una sfida impari.

Odori fiorali, fruttati, vegetali, di frutta secca, di

caramello, di legno, di terra, chimici, sono andati a

sostituire termini come: "vén bròsch" (vino bru-

sco/acidulo), "vén dolz cum la saba" (vino dolce

come la saba, il mosto cotto), termini immediati,

con poca poesia, ma facilmente comprensibili.

Non era norma utilizzare termini per elogiare il

vino, per lo più venivano utilizzati termini negati-

vi che andavano a sottolineare i difetti e le man-

canze del prodotto. Oggi il vino é un bene edoni-

stico che ha portato i consumatori alla ricerca di

soddisfazioni e di piacere, mentre, tempo fa il vino

era considerato solo una bevanda/alimento di uso

comune che pretendeva spesso di essere solo

appena bevibile.

Termini dialettali romagnoli riferiti al vino in

senso negativo erano di uso comune, come "vén

arscaldè" vino che ha dato la volta, non più bevibi-

le o "vén con la nuvla", altro modo di definire un

vino con un difetto di conservazione, oppure un

"vén com la tariéga" si diceva di un vino pessimo,

disgustoso. La triaca era una mistura liquida

buona per tutti i mali ma dal sapore disgustoso.

Usava dire "vén cun e’ pônt" di un vino con una

punta di aceto, come allo stesso modo "vén cun la

fiama" che significava un vino con la fiamma, con

un sentore di aceto. Un vino poteva essere "gros"

austero, "trovd" torbido, ancora da affinare, come si

poteva sentire di un "ven sòt" asciutto, "stciapè"

tagliato, "svinì" svanito, "bròsch" agro, "sgròz"

crudo, di uva non ben matura, oppure "turcè" per

un vino torchiato, molto pressato. Da notare che

tutti questi termini inerenti al vino in senso nega-

tivo trovano la correlazione con i termini attuali

relativi a difetti della produzione, ma ormai poco

usati, a dimostrazione della strada percorsa in

Romagna verso la qualità del vino.

Nel passato ci si limitava ad un consumo di vino

strettamente locale come lo dimostra la definizio-

ne, "vén nustran" (vino nostrano); le tecniche di

produzione o definizioni di provenienza non

hanno conosciuto molti termini del nostro dialet-

to. Pochi infatti sono i modi di dire legati alla pro-

duzione dei vini; tra questi tornano alla memoria

"mez-vén", il mezzovino, ricavato dall’aggiunta di

acqua dopo la prima spillatura; "terzanèl" il terza-

nello, vino spillato dopo due aggiunte di acqua

detto anche “aquadéz” (acquaticcio), questo a spie-

gare come in condizioni di povertà si sfruttava

fino al limite le potenzialità dell'uva. Fino a "e’vén

de puntël" il vino del puntello, così chiamato per-

chè dopo la svinatura del vino e del vinello si ver-

sava acqua sulle vinacce che venivano tenute in

basso mediante un palo (puntël) che poggiava

superiormente nel coperchio del tino mantenuto

fermo con un peso. Questo vinello veniva spillato

fino a Natale, se si provvedeva a versare sulle

vinacce sempre altra acqua.

Solo in qualche caso ci si spingeva ad elogiare le

caratteristiche con termini che andavano a decla-

mare perlopiù il residuo zuccherino o la forza e la

corposità dei vini. Per definire l'età usavano termi-

ni come "vén nòv" per vino giovane, "vén da bevar

dop Carnuvèl", vino da bere dopo Carnevale, che

necessita almeno di qualche mese di affinamento,

"vén d’durèda" per un vino ben strutturato, che può

serbarsi sano per molti anni. Alla corposità e robu-

stezza di un vino si riferivano modi come "vén

cargh", un vino carico di colore, di struttura e di

corpo, oppure "vén gajèrd" di un vino poderoso,

potente. Per parlare di vini frizzanti usava dire "vén

picant",vino piccante, frizzante e "vén cun la grana",

vino che brilla, che mostra dei granellini, il perlage.

Per finire, una nota dolce. Parlando dei vini dolci

si usava il "vén sant", vino santo, quello che si fa la

settimana santa con l’uva appassita, paragonabile

ai nostri attuali passiti; "vén dolz", il vino dolce;

"vén amabil", il vino amabile; “vèn abuchè” il vino

abboccato e in modo più generale "vén bon", vino

buono, generoso. E se proprio si parlava di un'an-

nata e di un prodotto eccezionale allora si poteva

dire che "l’era ‘na pisèda de Signor", detto di

un’Albana meravigliosa.

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Un dialetto poetico, forte,

evocativo e sensuale.

Come il vino> Beppe Sangiorgi

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Page 31: Romagna DOC

31ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

Ad esempio possiamo trovare in un bicchiere di Sangiovese di Romagna Doc Riserva il

sapore poetico di descrizioni di un tempo, ricche di riferimenti, metafore, di parole cariche

di significati profondi; parole che raccontano e spiegano. Un vecchia contadina che da

ragazza, nei giorni di “vela chiara”, andava a vedere l’Adriatico dalla cima di Monte Mauro,

Si dice che i prodotti della stessa terra, pur di generi diversi,

presentino tratti comuni. Siano essi frutto dello stesso terre-

no o dello stesso clima o, com’è il caso del vino e del dialetto,

della comune storia, cultura, indole e modi di vita della

gente. Il dialetto romagnolo, insistendo come gli altri dialet-

ti in un’area ristretta, presenta, rispetto alla lingua italiana,

termini più precisi, più profondi e più interpretativi del mondo

fisico ed umano che l’ha prodotto, così com’è per il vino.

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Page 32: Romagna DOC

www.consorziovinidiromagna.it

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Page 33: Romagna DOC

dalle Aziende FERRUCCI

Ricorrendo in quell’anno il cinquantenario dell’Azienda, si pensò di cele-brarlo con un nuovo e particolare vino. Forti anche dell’esperienzadell’Albana Passito, prodotta fin dal 1950, si decise di puntare su di unSangiovese prodotto con uve sottoposte ad un leggero appassimento.Nel 1982 uscì la prima bottiglia di un vino che avrebbe fatto la storia e lafama dell’Azienda. Il DOMUS CAIA.Da allora si è sempre guardato con occhio decisamente severo ai risul-tati ottenuti in cantina di quello che si stava imponendo come il nostro vinobandiera. Questo ha portato nell’arco di venti anni da un lato alla manca-ta uscita di quattro annate e dall’altro ad un livello qualitativo standardmolto elevato che ha portato ad ottenere un crescendo di riconoscimen-ti e conquiste di nuovi mercati al punto da costringerci ad effettuare dra-stiche assegnazioni per potere accontentare se pure in minima parte le

richieste che arrivano ormai da anni da tutto il mondo. Ultimo riconosci-mento in ordine di tempo è l’assegnazione dopo il DOMUS CAIA 1999anche al DOMUS CAIA 2000 dei 5 grappoli dell’eccellenza da parte dellaGuida DUEMILAVINI dell’Associazione Italiana Sommeliers. Uscito daiconfini nazionali dopo aver ricevuto la medaglia d’argento a Vinalia 1987di Valencia Spagna oggi il DOMUS CAIA lo si può trovare, non senzaqualche difficoltà , in Giappone, Francia, Svizzera, Belgio, Germania,Danimarca, USA, oltre che naturalmente in Italia e siamo al punto che lamaggior parte della produzione viene prenotata anche un anno primadella uscita. Decisamente un ottimo risultato che ci riempie di soddisfa-zione ma che ci stimola a ricercare continuamente una qualità se possi-bile sempre più elevata.

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33ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

nell’Appennino faentino, così descriveva ciò che

vedeva da quell’altura: "E' mer l'é 'na spianèda

totta turchina ch'la pé e' zel per téra" (Il mare è

una spianata turchina che sembra il cielo in

terra).

Poi, in analogia al Trebbiano di Romagna Doc,

c’è la “potenza” del dialetto, cioè la sua capacità

di esprimere, sotto una veste di grande sempli-

cità, concetti forti e profondi in due parole.

Come rivela l’espressione di una madre che, per

spiegare quanto era stato grande il dolore per il

figlio partigiano ucciso dai tedeschi che poi ave-

vano impedito il recupero del corpo da parte dei

parenti, affermava: “Gnânc la Madòna”, cioè

neanche la Madonna aveva provato una soffe-

renza come la sua perché almeno aveva potuto

stringere tra le braccia Gesù morto.

Vino e dialetto sono accomunati anche da una

forte carica evocativa. Il Pagadebit di Romagna

Doc rimanda per nome e colore al duro lavoro

sotto il sole cocente dei vignaiuoli di un tempo,

la cui vita era gravata dalla fatica e dalla pover-

tà che hanno segnato anche le parole di un

tempo. Cioè Paróli d’una volta, come ha titolato

una sua poesia il santarcangiolese Nino

Pedretti: A vagh scarabuciand / pruvend sla

vòusa / paróli vèci d’un témp / ch’al géva al dòni

t l’agocc / ch’al m’ è passi pianìn / sòta la pèla /

e al m’à fiuréi / te’ sangh, sòta i cavéll. / Paróli

ch’agli à durméi / par an sòta la zèndra, / e adess

a tir fura, / me’ fugh de mi paèis (Vado scaraboc-

chiando / provando con la voce / parole vecchie di

un tempo / che dicevano le donne agucchiando /

che mi sono passate piano / sotto la pelle / e mi

sono fiorite / nel sangue, sotto i capelli. / Parole

che hanno dormito / per anni sotto la cenere, / e

adesso tiro fuori / al fuoco del mio paese).

Il dialetto ha anche il pregio di rendere più dolci

e leggere certe espressioni popolari che descrivo-

no, in modo diretto la fisicità e la gioia del vive-

re. La stessa felicità venata di un piacere quasi

sensuale che si prova sorseggiando un bicchiere

di Albana di Romagna Docg Passito e che lo

scrittore riminese Guido Nozzoli aveva avvertito

nelle parole di una vecchissima mondina di

Conselice: “Un giorno d’estate, parlando del

marito perso tanti anni prima, ne decantava il

vigore e l’ardore rievocando i suoi primi incontri

con lui, tra le ombre notturne dei pioppi. In quel

chiamare le cose con il loro nome, nel mostrare

il senso reale senza artifici di metafore v’era una

sorta di primitivo candore, una stimolante fre-

schezza dei sentimenti. Nel racconto della vec-

chia, le parole più rozze e le immagini più crude

si caricavano di un’intensa, irripetibile poeticità.

Era come se parlasse del vento, del fuoco, del

grano. Un amore pieno di ottimismo. Un atto di

fede nella vita e nei suoi simboli”.

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Page 34: Romagna DOC

Uva e vino

nella cultura

popolare

romagnola

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Page 35: Romagna DOC

35ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

Il vino accompagna da un paio di millenni la vita dei roma-

gnoli in modo così diffuso e stretto che e’ bè, il bere, iden-

tifica tout court il vino. Questa presenza ha fatto sì che il

vino sia spesso citato nelle espressioni dialettali della

cultura popolare tradizionale: proverbi, modi di dire e

indovinelli, che spaziano dagli aspetti materiali a quelli

sociali, economici, caratteriali e di pensiero.

Cominciando dal potere del vino di mette-

re a posto molte cose, come svela il prover-

bio che afferma: “Schêrpa lêrga, gòt pin d’

vén/ e tu’ e’ mond coma ch’e’ vén” (Scarpa

larga, gotto pieno di vino/ e prendi il

mondo come viene). Il potere salutare del

vino, attestato da moderne ricerche medi-

che, era conosciuto anche un tempo, se pur

in modo empirico: “Un bichir d’vén dòp a

la mnëstra,/ e’ fa vde’ e’ dutor da la finëstra”

(Un bicchiere di vino dopo la minestra,/ fa

vedere il medico dalla finestra). Ma per

godere degli effetti benefici del vino la sag-

gezza popolare stabiliva modalità ben pre-

cise: “S’t’vu che e’ vén u t’fëza bôn,/ bil piân

piâ, no’ a gargajon” (Se vuoi che il vino ti

faccia bene,/ bevilo piano piano e non a

garganella). Il vino dunque era ritenuto

apportatore di salute e di piacere che, a dif-

ferenza di altri aspetti gradevoli della vita,

si poteva apprezzare anche da vecchi:

“Quand che la bêrba la met e’ stupén,/ lasa

la dòna e bêda a e’ vén” (Quando la barba

mette lo stoppino – cioè s’imbianca - /

lascia la donna e bada al vino).

Molti modi di dire si riferiscono alla quali-

tà del vino, con termini ovviamente molto

diversi da quelli usati dai sommelier di

oggi. Ad esempio per lodare un ottimo

vino si diceva “Un vén che e dà la vèsta a

un zig” (Un vino che dà la vista a un cieco)

oppure “L’è un vén che fa resuscitè i mort”

(E’ un vino che fa resuscitare i morti”.

Ovviamente si trattava di vini che veniva-

no bevuti schietti, secondo la tendenza dei

romagnoli a non “rovinare” il vino con l’ag-

giunta di acqua così come erano propensi,

e molti lo sono ancora, a voler vedere le

cose chiare e con poche chiacchiere: un

atteggiamento che veniva sottolineato con

“Vler poc acva int e’ bè” (Volere poca acqua

nel vino).

L’uva e il vino si trovano anche in molti

indovinelli che servivano per scoprire il

mondo rurale con divertimento. L’uva, ad

esempio, si nascondeva sotto questo indo-

vinello: “La mi mama l’è verdarëla,/ e’ mi

bab l’è sturtarël,/ mo mè a sò vnuda bèla:/

a sò bianca, ròssa ma sgrazieda./ A vegn

tajeda, s-ciazeda,/ buteda int un tinaz, /

strasineda par tòt i paléz,/ int al tevul di

sgnur,/ int i cafè, int agli ustarì/ l’è ‘na gran

confusion/ e s’um coj la mela vì/ a faz nasr

dla quis-ciòn”. (La mia mamma è verdoli-

na,/ il mio babbo storto,/ ma io sono venu-

ta bella:/ sono bianca, rosa, ma disgraziata./

Vengo tagliata, schiacciata,/ gettata in un

tino,/ trascinata per tutti i palazzi,/ sulle

tavole dei ricchi,/ nei caffè, nelle osterie/ è

una gran confusione/ e se mi coglie la mala

sorte/ faccio nascere delle questioni). Uva e

vino erano abilmente richiamati con que-

ste parole: “Son bèla, son bilena,/ servo

Iddio e la cuséna,/ molta zent a fègh lavu-

rè,/ mas-c l’inveran e femna l’istè” (Sono

bella, son bellina,/ servo Iddio e la cucina,/

molta gente faccio lavorare,/ maschio l’in-

verno e femmina l’estate).

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il vino in versi rom

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37ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

versi romagnoli

Il vino, anzi il bere buon vino, se è nel dna dei romagnoli,

trova nei poeti della nostra terra dei cantori non facili, che

non cedono cioè al fascino di celebrarlo in versi. Bisogna

cercarli, bisogna scoprirli quei versi, così ti accorgi che essi,

come il vino buono sono fermentati a regola d’arte, sono il

frutto di una lunga maturazione.

l contrario, nella “poesia popolare”, nelle filastrocche (int al zirudèll), è più

facile trovare versi sul vino, magari a sigillo di un canto per una festa, o di

uno stornello allegro. Un tipico esempio ce lo offre la ravennate Elsa Bezzi

nella raccolta Memöri d’amôr, quando, al termine della celebrazione poetica

di un anniversario, scrive: “Ades j’enn i’a fat e’ su zir / mo l’è sempar zovan e’

cor;/ incù l’è dvintê d’Or che fil/ e fra ‘sti du inamurê/ e tên sempar viv l’Amor! Eviva! Alzé i

bichir! Cin, cin cun tent Auguri!” (Adesso gli anni hanno fatto il loro giro/ ma è sempre giova-

ne il cuore;/ oggi è diventato d’Oro il filo/ e tra questi due innamorati/ è sempre vivo

l’Amore!/ Evviva! Alziamo i bicchieri! Cin cin con tanti Auguri).

Il vino della Romagna dei poeti è invece di qualità, come la loro poesia: non sempre cono-

sciuta, a volte è imitata, altre è usata per ‘viaggi’ di parole, un po’ come il Sangiovese, che ha

reso famosi il Chianti e il Brunello, o come il Trebbiano, ‘sposato’ al Pinot di noti spumanti.

Resta comunque una grande poesia, come quella di Giovanni Pascoli, Lorenzo Stecchetti,

Tonino Guerra, Tolmino Baldassari, Giovanni Nadiani, per citare soltanto alcuni poeti di que-

sta terra di vini. >

A

> Elio Pezzi

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39ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

Per Aldo Spallicci, poeta (e medico, e politi-

co) bertinorese, il primo dei nostri grandi, il

vino – come scrive in Rumagna – è una

festa: “Un, mez runché l’aveva un fiasch, e

dù/ Is tireva pr’e nês par cumpliment,/ E al

tromb al sbarluteva sota i dent:/ Ciò, te t’è

dbú, te t’è dbú, te t’è dbú!” (Uno, mezzo

rauco, aveva un fiasco, e due/ Si tiravano

per il naso per complimento,/ E le trombe

borbottavano sotto i denti:/ Ciò, tu hai

bevuto, tu hai bevuto, tu hai bevuto!). Sì, il

vino è una festa: “L’è l’ora a ‘d fnila! – dic,

però un gni azova/ Che i balaren j è int e piô

bël dla sbócia/ E tra i rogg i s-ciutúra un’etra

bocìa” (È ora di finirla! – disse, però non

giova/ Che i ballerini sono sul più bello

della bisboccia/ E tra le urla stappano un’al-

tra bottiglia), e ancora: “Bì só, cumpagn, e

guai a te s’t’ an bì” (Bevi su, compagno, e

guai a te se non bevi).

La festa però non è sempre allegra, come

ricorda nella raccolta La Balêda de vént

Gianni Fucci, un altro dei grandi santar-

cangiolesi: “E’ roêsla i dè dla fira ‘d San

Martéin/ sa tott cla cunfusiòun,/ si uéur

smaghéus de pèss frétt e de véin,/ s’cla

landa ‘d luce che, mènda un lampiòun/ la

bêsa l’Olga cl’ha va a stènd i pan/ tra fuma-

ri e malàn” (Ruzzolano i giorni della fiera

di San Martino/ con tutta quella confusio-

ne,/ con l’odore sgarbato di vino e pesce

fritto/ e quella striscia di luce che da un

lampione/ bacia l’Olga che va a stendere i

panni/ tra i fumo e il chiasso). C’è come

un’amarezza appena consolata dal vino,

scrive Nadiani nella raccolta Tir: “in fldé a

e’ bancon on dri/ cl’êtar in fila intavanê/ a

gvardê ‘t i sprei de’ nostra bé (fórsi adës ‘s

asfêlt u i bat e’ sôl)/ pr’un sgond u s’scapa j

oc e’ vut/ arzir de’ no pinsè e u s’flvegia un

pô/ a la volta ad böta e’ fugh dal cich/ apiê-

di trama al dida brusêdi ad zal” (seduti al

bancone uno dietro/ all’altro in fila ebbri/ a

guardare il lucore del nostro vino (forse

adesso sull’asfalto batte il sole)/ per un atti-

mo ci appisoliamo nel vuoto/ lieve del non

pensare e ci sveglia un po’/ alla volta di

colpo il fuoco dei mozziconi/ accesi tra le

dita arse di giallo).

Il vino è e resta bevanda da compagnia per

eccellenza per i romagnoli e i loro poeti. È

ancora Nadiani a dircelo nel suo poemetto

Sarner (Maestrale): “avnin a cvê/ stasim da

stê incora un pô/ una brescla/ ad bê un’etra

volta/ pu a s’avjê nenca nô/ a la mota/

fasend cont d’gnint/ senza ch’u s’n adéga

incion/ dgim qvêl/ no staflim lasê ins al

spen” (venite qui/ restate ancora un po’/

una briscola/ beviamo un’altra volta/ poi

andiamo via anche noi/ di soppiatto/ facen-

do finta di nulla/ senza che nessuno se ne

accorga/ dite qualcosa/ non lasciatemi nel-

l’incertezza).

Il vino è di tutti e per tutti: per i vecchi,

scrive il poeta (e medico: lo è stato anche di

Paolo VI) faentino Ugo Piazza in Ruscaia:

“Tota zent che senza pénn/ campeva nuvan-

t’énn/ scanucend sera e matena/ cun dl’al-

bana e dla canéna./ E pu im dis che e bé e

fa mél!” (Tutta gente che senza penne/ cam-

pava novant’anni/ scannucciando sera e

mattina/ dell’albana e della canina./ E poi

mi dicono che il bere fa male!), e per i cit-

tadini di ogni sesso, età e lavoro, come gli

abitanti di San Mauro Pascoli mirabilmen-

te descritti da Gianfranco Miro Gori, poeta

sindaco, nella raccolta Gnént, come “la

Bigérla, ròsa d’voìn e, ènca sòta e’ duce, d’so-

cialóisum” (la Bigerla, rossa di vino e,

anche sotto il duce,/ di socialismo), e per gli

insonni come te (e me): “T’ ci atturnè me’

frigo:/ t’è raié s’na landa/ d parsót, un bicir

d voìn/ e pu t’è magné e béu/ cmè che fòs

de’ mezdè” (Sei tornato al frigorifero:/ hai

cominciato con una fetta/ di prosciutto, un

bicchiere di vino,/ poi hai mangiato e bevu-

to/ come fosse mezzogiorno).

Ma è e resta l’amicizia lo scopo del bere

ricorda il poeta cervese Tolmino Baldassari

nella sua La néva: “Ad nöta i bév cun me i

amigh/ a s’atruven da un êtar temp/ u n’è

ch’a ciacarèma tânt/ i chéfl dla vita/ è zà

sté/ ognun e’ sa che cl’êt l’è lè/ ma quéfli an

s’avden/ an saven quant mònd ch’vi sia/ o

ch’un ni sia” (Di notte bevono con me gli

amici/ ci troviamo da un altro tempo/ non

è che parliamo tanto/ i casi della vita sono

già accaduti/ ognuno sa che l’altro è lì/ ma

quasi non ci scorgiamo/ non sappiamo

quanto mondo ci sia/ o non ci sia).

La domanda resta, la poesia resta, il vino

anche. Al suo fianco.

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news

La Romagna nelle GuideUna recensione delle più diffuse guide dei vini vendute a livello nazionale ci aiuta a capire quel-la che è la condizione dei nostri vini ed il tipo di gradimento che questi riscontrano da parte deipalati più esperti.Cominciamo la rassegna da I Migliori Vini d’Italia edita dall’Espresso che testualmente dice “ilSangiovese è non solo il più originale e valido vino regionale, ma anche un concorrente dei paritipologia toscani”, mentre nella parte introduttiva menziona come il carattere storicamente nontroppo complesso dei vini regionali possa essere visto come una nuova arma alla luce dei piùrecenti orientamenti dei consumatori.Vini d’Italia del Gambero Rosso esordisce con: “Nove vini che conquistano i Tre Bicchieri sono ilmiglior risultato conseguito da questa regione da quando la guida Vini d’Italia viene pubblicata”.Ottimo il risultato quindi per Fattoria Zerbina, San Patrignano, Calonga, San Valentino e Casettodei Mandorli. (I tre bicchieri in regione sono per l’esattezza 5 romagnoli e 4 emiliani).L’introduzione ai vini della regione continua sottolineando come questo sia un preciso segnale difermento che investe l’intero territorio.Ancora riconoscimenti e successi per le aziende di Romagna con i “cinque grappoli” ottenutinella guida Duemilavini curata dall’Associazione Italiana Sommelier, che assegna ai vini diFattoria Zerbina, Tre Monti e San Patrignano (due vini) il massimo riconoscimento.Rimanendo sempre in ambito AIS, citiamo la guida La Romagna da bere dove nella presenta-zione il direttore Magni conferma il grande fermento dei vini e delle aziende in Romagna, men-tre Gian Carlo Mondini, presidente AIS Romagna, sottolinea: “La Romagna da bere compie unlustro e mai come in questa quinta edizione è stata ricca di eccellenze”.Luca Maroni, nella parte conclusiva della guida Annuario dei migliori vini italiani stila una serie distatistiche dove la regione Emilia-Romagna supera in tutti gli indici (piacevolezza, consistenza,equilibrio, integrità) quella che è una media aritmetica nazionale. Nella guida I Vini Italiani 2009,edita sempre da Rizzoli e curata da Luca Maroni, i vini vengono elencati per “acquistabilità” (indi-ce che esprime - dice Luca Maroni - la relazione tra più elementi, tra i quali la piacevolezza ed ilprezzo di vendita) e su 500 etichette recensite una cinquantina sono emiliano romagnole.

> Roberto Ronchi

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Page 41: Romagna DOC

41ROMAGNA DOC . VINI E SAPORI WINES AND FLAVOURS

Nella rocca di Dozza, prestigiosa sede dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna, sono statiproclamati i vincitori dell’edizione 2008 del Trofeo Consorzio Vini di Romagna - 8° Master delSangiovese, uno dei concorsi enologici più importanti e qualificati a livello nazionale in quan-to il protagonista assoluto è sempre e comunque il Sangiovese, uno dei vini e dei vitigni prin-cipi della viticoltura italiana e mondiale.Al termine del concorso, organizzato dal Consorzio Vini di Romagna e dall’AssociazioneItaliana Sommelier (AIS), in collaborazione con l'Enoteca Regionale Emilia Romagna e ilComune di Dozza, il prestigioso titolo di vincitore è stato assegnato alla sommelier SimonaBizzarri di Arezzo. La quale, nel corso di una serie di impegnative prove (scritte, orali e prati-che di servizio e degustazione), si è imposta sul romagnolo Davide Staffa di Cotignola, secon-do classificato per il secondo anno consecutivo, seguito da Luca Martini, anch’esso di Arezzo,salito sulla terza piazza del podio d’onore e sul trentino Roberto Anesi, quarto classificato.Per Simona Bizzarri, sommelier del Ristorante La Nuova Tagliatella di Arezzo, si tratta di un’im-portante e gratificante riconoscimento in quanto conferma le sue altissime qualità professiona-li ma anche perché nelle otto edizioni del Master del Sangiovese è stata la seconda donna adaggiudicarsi l’ambito riconoscimento.A valutare e giudicare i partecipanti al concorso è stata una giuria esperta e qualificata com-posta da Giordano Zinzani, presidente del Consorzio Vini di Romagna; Gian Alfonso Roda,presidente dell’Enoteca Regionale Emilia Romagna; Gian Carlo Mondini, presidente SezioneA.I.S. Romagna; Hiarusca Martellato, vice presidente Sezione Romagna Assoenologi; IvanoAntonini, vincitore dell’edizione 2007 del Master e fresco vincitore del titolo di MigliorSommelier d’Italia; Franco Ziliani, esperto giornalista enogastronomico. In veste di testimonialper la prova di servizio dei finalisti del Master hanno partecipato la giornalista canadese CindaChavich del quotidiano Globe and Mail e Maurizio Magni, direttore della rivista Mare&Monti.

Master del Sangiovese 2008

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Page 42: Romagna DOC

Giordano Zinzani President of Consorzio Vini di Romagna Our journey through Romagna goes on. Every timewe will address one of its hallmarks while maintainingthe wine world as our point of reference since thecentral page will contain a detailed article about wineto be read and kept for further reference. This issuewill focus on Albana di Romagna Docg while the

common theme of the remaining pages is the dialect from Romagna,an expression of the popular culture that has evolved in a closerelationship with wine throughout men’s daily life. Like wine, dialect stillties the people from Romagna to their land. Both can be considered asa key allowing tourists to open up a door onto a land offering stories,hospitality, flavours and aromas. Browsing the pages, wine and dialectfrom Romagna reveal ties, links and affinities ranging from the name ofthe rural tools to proverbs, from poetry to cinema up to the translationof wine-related words. Indeed, the shift from dialect to Italian is alsoevidence of a search for a higher quality without losing sight of the pastbeing aware that our present stems from our past under all respects.The short-story especially written by Cristiano Cavina for thismagazine is emblematic. It is about the Sangiovese wine and it usesan Italianized dialect that today is very popular among young people,representing a bridge between past and present. The same applies towines from Romagna whose flavours and aromas evoke references tolifestyles, faces, and mental approaches belonging to the local peoplewho are closely tied to their land.

A long way together > Beppe SangiorgiThe wine and dialect from Romagna have come along way together through history. As a matter offact, the former was the typical drink of the workingclasses who found in the latter their usual way ofexpressing themselves. This has been the situationuntil the Seventies when their pace changed and

both gained international acknowledgements: wine followed theroute to quality and dialect the one to dignity. Around 1890 wineconsumption in Romagna equalled 149 litres per year per person,while the national average was 95. Such a massive consumption inRomagna was related to the shortage of drinking water whichencouraged wineries to produce large quantities without caring toomuch about quality. Of course, there were people in Romagna whodrank fine wine too: noblemen and large landowners relied onskilled cellarmen who worked the must - brought by sharecroppersin large barrels called “castellate” - according to the rules and usingadvanced technologies. The bottles produced often received highacknowledgments in the exhibitions but were consumed within therestricted circle of the family and its guests because the localnobility, unlike the Tuscan one, regarded trade, in particular winetrade, as a “mean” job. Similarly, in Romagna the dialect has alwaysidentified the working class so much that it was defined “thelanguage of the poor”, unlike the Venetian one, which was alsospoken by the clergy and noblemen or the Tuscan one, which wasadopted as national language. In the second post-war period, sinceit had neither achieved the success of the Neapolitan dialect insinging and theatre nor that of the Roman one in cinema, it wasforgotten because it represented the countryside, rude mannersand disadvantaged social classes, while the Italian language wasrelated to the city, learned people and the middle class. Becauseof these prejudices, the parents of poet Marino Moretti (born inCesenatico) prohibited him from speaking any dialect since he wasa child. When he grew up, he regretted that he could not speak his“caro gergo natio – precipite, scosceso” (dear local language –falling, and arduous). Poet Aldo Spallicci made the following remarkabout such prohibition: O Marino, u m’ pè d sintì / “Scòrar dialet?Vargogna! / A la zenta pocsì / lassél sicura bsogna!”. / Inveci la mimama / la m’ha cunté al su fôl / e a dì coma ch’us s’ciama / totquant in rumagnôl . / ...Per quest a j ho vlù ben / e a in vòi incora/ ch’u m’ pê dl’ essar piò vsèn / a la zenta ch’ lavora (Oh Marino, Iseem to hear / “Speaking in dialect? Shame! / Leave it to ordinarypeople!”. / Instead my mother / used to tell me her stories / and tellme what things were called / all in Romagna dialect. / … That’s whyI liked her / and I want once more / to seem to be nearer / to theworking people).

Following the film Amarcord, directed by Federico Fellini in 1973whose script and dialogues were written together with ToninoGuerra, the dialect of Romagna gained dignity and internationalfame, also thanks to the Oscar it won in 1974 as best foreignlanguage film. Its popularity is such that the word amarcord, derivedfrom the dialect expression “a m’arcord” (I remember) has becomea commonplace of the Italian language all over the world.Surprisingly, or maybe not so much, it was in the Seventies thatwine-makers in Romagna found their way to quality withdetermination, intelligence and awareness of their potential. In thefollowing decades, this process would lead the local wineproduction to be internationally well-known and appreciated.

The poets’ language > Interview to Ivano Marescotti by Martina LiveraniHe can alternate Hollywood-style performanceswith long runs of his recital in Romagna dialect.Ivano Marescotti, more than others, has got themerit of having revived and promoted the poeticalside of our local language, also thanks to his

encounter with Raffaello Baldini and the other great poets ofRomagna.“The dialect of Romagna is bloodless, it is dying”, says Marescotti,“Since the Sixties, the people from Romagna speaking in dialectstopped doing it because they became ashamed of it. It was thelanguage spoken by poor people, by the unlearned, and it wasnecessary to get rid of it. It was the time of the early televisionprogrammes and children had to learn the Italian language. Today,the dialect from Romagna, more than others, is dying.Paradoxically, this very moment of agony is quite fruitful for thegreat poets who are rediscovering and using this tradition-relatedlanguage having an extraordinary expressive and poetic strength.”Why is the dialect of Romagna dying more rapidly than the otherpopular dialects?“Our dialect lacks a century-old tradition and, above all, has neverbeen transmitted, through the arts, by the great actors and authorsof the past. Just think about Goldoni’s work on the Venetian dialect,about Pirandello’s on the Sicilian dialect, or about the great actorsof the Neapolitan comedy, just to mention a few. Just recently,thanks to the works written by great poets like Raffaello Baldini,Nevio Spadoni, Tonino Guerra and others, we are witnessing arenewed attention towards our dialect, which is also gaining moreand more space in the theatre field. On the contrary, when I startedto act, I could not speak in dialect, I had to hide my accent becauseit was not refined, and I was ashamed of it…”What happened then?“I met Raffaello Baldini, the greatest among the poets who wrote inRomagna dialect, and I realized how important folk poetry is on thenational literary scene. The dialect is the language of poets, oftheatre, it is highly expressive. It is the language coming from thedepths of our soul, it is not rational. Our thought is quick, while thewords meant to express it are slower. It is just after a thought isconceived, and before it is translated into written words, that dialectworks its way. Right in this infinitesimal space/time between instinctand reason, impetus and reflection…there is a world to discoverand re-evaluate. A world which is poetry, drama, theatre. Alanguage rich in inputs and intensity which perfectly lends itself toart expressions such as theatre and poetry, the ones which aremore related to intimacy and inner life. As the great Baldini used tosay, “you can speak dialect with God, but you cannot use it to speakabout God". This sentence brilliantly summarizes and typifies themeaning and intensity of dialect: it is the language of the heart andguts that is not subject to any control. It is a spontaneous andindividualistic language, which cannot be used for telling a story inthe third person.This interview will appear on a magazine dealing with wine andmore exactly with wines from Romagna, which are as true, sincereand genuine as the language you have been praising so far…“Wine too is related with physicality and with the way to expressoneself. Once you have established a contact with wine, it willbelong to you forever. Each wine tells a story, exactly as dialect isa way to recount and enjoy life. In brief: In vino veritas (in wine thereis truth). In dialect, too!”

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A “baptism” with Sangiovese> Cristiano CavinaCristiano Cavina is a young writer from Romagnawho has achieved fame and success thanks to fourbooks published by Marcos y Marcos – Allagrande, Nel paese di Tolintesàc, Un’ultima stagioneda esordienti and I frutti dimenticati – where herecalls the small village – Càsola Valsenio – where

he grew up and where he still lives, tying the threads of old-time lifewith those of today’s life through the tales heard at home or at thebar and using a sort of Italianized dialect as a bridge between pastand present.When my uncle Paolo was two months old, in the cold winter of1945, my grandfather Gianì wrapped him up in an old blanket asbest he could and took him to the Villetta, an old farmhouse hiddenbehind the hill of the Chiesa di Sopra (upper church).It was snowing, and he sfulgava (was slipping) at every step.He was going to see a cousin of his, who was named Saturno forunknown reasons.Saturno was waiting from him sitting on the stone of an oldblackened chimney, cradling a large bottle of Sangiovese on hisknees, which was simply called va negre (black wine) by all thoseof their generation.When my grandfather stepped in, shaking off the snow, and settinguncle Paolo free from the blanket layer after layer, Saturno took thecork out of his big bottle and poured a generous amount of wineinto the glass.He plunged his calloused forefinger into the wine and offered it tothe baby, who gurgled tittando (sucking) joyfully and opened hiseyes wide to enjoy that new taste.Thirty years later – uncle Paolo was no longer a child, even ifsometimes he still behaved as such and he was living in Germany,where he had opened a bicycle shop, a boutique, as he woulddescribe it – thirty years later, I was saying, my grandfather Gianìwas going up the hill towards the Villetta, below the silhouette ofChiesa di Sopra.He sfulgava (was slipping) in the same spot as many years earlier,not because it was snowing, since it was a sunny afternoon in lateJuly, but because he was much older, and no longer used toholding another two month old baby in his arms, his latestgrandson, the rather accidental and unexpected product of hisyoungest daughter.That child was me.Saturno was waiting for us in the yard, sitting at the base of a tree,that had been upgraded to stool from time immemorial.My grandfather Gianì placed me on his knees.He had his beloved old buciò (large bottle) of va negre (black wine)between his legs.Of course, it did not contain the same wine of thirty years earlier,since ours does not improve while ageing as the lords’ refined wine.Saturno poured some wine in a glass, plunged his even morecalloused forefinger, and brought it to my mouth.This was my baptism, as it happened to uncle Paolo.Grandfather Gianì died in November 2003.His ninety-odd years that were granted to him to live in this worldwere not enough to carry out the last profane baptism of the Cavinafamily, with va negre instead of the holy water and the shortSaturno in the shoes of St John the Baptist.He teneva ancora botta (was still is good shape), with his childishface, his eyebrows as thick as those of an owl, the look of a kindgoblin.Thirty-four years after my baptism, sixty-four after that of my unclePaolo, it was up to me to go up the hill of the Chiesa di Sopra,towards the Villetta, trying not to sfulgare (slip).Saturno was waiting for us sitting in his armchair, with a niceblanket on his knees.He looked like a retired valiant general with the difference that hecarried all his decorations inside, rather than on his collar and thathe had earned them on hilly fields rather than on the battlefield.Since he was very old, and his hands trembled a little, like the greatmilitary leaders, he just gave orders to Mino, his son.He took the old large bottle from the cupboard, unscrewed the corkand poured some wine into a glass.Saturno plunged his prodigious, ancient forefinger in and offered itto the mouth of the baby I had placed on his knees.For one second, I thought that there was a sort of immortality, forhuman beings as well.The baby’s name was that of my grandfather Gianì, Giovanni Cavina.He was his great-grandson.He was my son.Wine and wine drinkers

> Fabio MagnaniThe bottle of wine had just been placed and a drop,the one that usually refuses to be drunk, was escapingfrom thirst sliding along the label, betrayed by theindelible vinous trail. One drop of memories whichopens up the doors of time to imagination recountingthat land of Romagna where people still spoke dialect.Like any land is linked to wine, also people are joined,by a thin thread of ancestral memories, to the land

representing them. Wine joins people to fields ploughed by time andmen’s hard work, rich in aromas and flavours whose importance isexpressed by a colourful dialect that links people to their way ofdrinking. “E’ bé” (drinking) in Romagna has always meant “drinkingwine” showing the close tie between the locals and their land. For thepeople of Romagna, drinking wine, “è bé”, is something very intimate,almost a ritual evoking a blend with their past. In Romagna one canenjoy a glass of wine in historic places which are regarded as“sanctuaries”, and whose name (not by coincidence) is in dialect –such as Ca de Bé in Bertinoro and Ca de Vèn in Ravenna – where thisritual takes place every day, where sipping wine becomes a veritableway to go back to the past, to one’s origins, and where, instinctively,dialect is used again to better translate these sensations. Drinkingwine, in fact, goes beyond the mere act of lifting a glass. Drinking winemeans tasting a story, that of a land, that of those producing their wineevery year with difficulty, it means honouring the efforts of those who,in the past, committed themselves to convey their message to usthrough these aromas.Thus, the thin thread between past, present andfuture becomes even narrower taking up the shape of a dialect. Overthe past centuries, most people lived in the countryside and they weremuch more aware of the link with their land. As a matter of fact, in someold-time documents people from Romagna are defined as thosewearing a long cloak and speaking a language as harsh and lively astheir wine.We would like to draw your attention to the analogy betweenwine and dialect, namely, between the organoleptic features showedby Sangiovese at that time, which was tannic, fresh and nervous, andthose producing and drinking it who used an equally lively languagebrimming with playful and provocative expressions coming from thepassion for life characterizing Romagna. Sometimes, in fact, a numberof affinities can be identified between the wine character and the wayof speaking of those drinking it. Today people from Romagna showhow much they love their land in the same way, sipping wine andboasting its qualities with analogies and metaphors more related to thepopular language rather than to sommeliers’ terminology. Nowadaysthis link can be also found in the increasing number of wine-makersfrom Romagna who create labels with dialect words recalling the love,intimacy, strength and passion which have always characterized theclose link between land and wine, a link which is expressed through theonly language possible for people from Romagna: the dialect of theirland.

The land and the people of Romagna> Barbara AmatiSomebody says that in Romagna even Saints arehappy while Virgins have a peasant’s face in whichone can read the hardships of life. The “Romagnasolatìa” (sunny Romagna) praised by the Italian poetPascoli is, on the one hand, a catch phrase forsummer tourism offering beaches and fun, and on the

other, it refers to sunny fields and hills featuring farmhouses, vineyardsand orchards, timeless flavours and aromas. Piadina bread, chops,squills and clams on the table, Sangiovese, but also Cagnina, Albanaand Trebbiano, in the glass: everything blends together in a glass ofwine. There is no boundary line, no separation between past andpresent. If it is true that we are the result of history – our history – it isalso true that this applies to any product, and notably to wine. Wine isa product of nature, namely of rainfall and sun and even more of man’shard work, of his intelligence and intuition which are handed over fromone generation to the next through dialect, the language spoken inRomagna’s countryside. Our origins are rooted into a generous soilthat has nourished entire generations because it was treated -worked-respectfully. Farmers managed to exploit the calcareous soils, whichmake up the gullies scattered along the strip of foothills in Romagna.Here, farmers were skilled enough to get several hectares of soilsuitable to vine-growing. Producers learnt to control the whole winecycle taking place in the vineyard, in the cellar, until the bottle, andconsumers started to build up their own wine culture, namely theknowledge of a product through its history, traditions, and productiontechniques. Aware drinking is all about this: it means understanding thesoul of a wine whose features depend on local factors such as sun,climate, exposure as well as on historical circumstances such as

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azdora (the housewife) to tap it from the barrel and bring it to the tablebefore the head of the family was back from the fields. On the contrary,if wine was produced to be sold, it was bottled in demijohns, damzena,or directly int’la bocia, into the bottle, and closed with e’ ciùtùr, the cork(Forlì). On this subject, e’ tarabuso (corkscrew) is a Gallicism as itcomes from the French word tire bouchon.

Albana di Romagna DOCG Albana is obtained from a grape variety typical ofRomagna whose origin is surrounded by mystery.There is evidence that it has been grown for at leasttwo thousand years and it was probably introduced bythe Romans. That is why it is assumed that its nameeither comes from “Colli Albani” (Albani hills) or refersto the grapes quality. Since this variety was regarded

as the best one among all white grapes, it was named "bianca" (white)par excellence, namely “Albana” from the Latin word.The legend goesthat in the year 435 a beautiful blond-haired noblewoman, GallaPlacidia, the daughter of Emperor Teodosio, arrived early one morningin a small village of Romagna, riding a white mare. Struck by herbeauty, the inhabitants offered her the sweet and vigorous local wine –Albana – in a rough terracotta jug, a wine having the same colour ofthe princess’ hair. Delighted by the excellence of that nectar, sheexclaimed “This should not be served in such a humble jug, but shouldbe drunk from a golden cup, to pay homage to its sweetness!” Andfrom that point on, Albana was served at the magnificent Ravennacourt in precious golden cups.The town where the princess quenchedher thirst was dubbed “Bertinoro,” or “Drink it in gold”. It was only in the14th century that specific references were made to Albana. At thebeginning of the 14th century, Pier de Crescenzi, in his Trattatodell’Agricoltura (treaty on agriculture) described it as follows: “It is calledAlbana, which it a very late variety, it is white, with a slightly long berry,its bunches are tightly-packed and elongated and its berries are sun-coloured, it becomes ripe soon, and it has a very sweet taste”. In the17th century Albana enjoyed a great reputation, outside Romagna aswell. In his treaty L’economia del cittadino in villa published in 1674, theBolognese agronomist Vincenzo Tanara, noted “It seems that Albanayields a delicate wine and it is the most universal grape variety ever”.Moreover, it should be pointed out that this author had alreadyidentified different types of this variety such as “Albana rara”, “Albanaspessa di grana” and “Albanone”. In the late 19th century, several typeswere grown in Romagna: Albana bianca or gentile, typical of Cesenaand Forlì’s areas; “Albana della Forcella o della Serra” around Forlì andFaenza: Albana della Gaiana, in a small town near Castel San Pietro;Albana della Compadrona, grown on Dozza Imolese’s hills, andAlbana Bagarona. Thanks to its rich historical past, Albana diRomagna was one of the first Italian white wines to apply for the DOCappellation, which was actually granted to it in 1967.Twenty years later,in 1987, it was also given the DOCG (Controlled and GuaranteedOrigin Appellation). This acknowledgement has been confirmed overthe years, and today Albana production includes the types listed nextto this article. The most renowned version is Albana Passito that alsoboasts a long history, documented ever since 1782 by Abbot GiovanniBattarra in his book Pratica agraria distribuita in varj dialoghi. In the oldtime Albana was exclusively home-made. Traditionally, farmers fromRomagna would produce a few bottles from bunches left to dry,hanging as necklaces under the eaves gutters to protect them from therain. The few bottles produced in this way were jealously kept until theday in which a daughter would marry or an important guest would paya visit. Today Albana passito is a first-rate product in Romagna’s vine-growing sector. That is why it is often offered to guests and it is alwaysserved on special days.

The words of Romagna wines > Giordano Zinzani It is well-known that modern society is rushing. It is notinclined to wait for traditions, to observe, to dedicatemore time than the one which is strictly necessary. It isa never-ending, frantic rush which overwhelmseverything, including language, and the words we useto communicate.Those who do not belong to the latest

generation have certainly become aware of the changes made by manto his way of speaking. A case in point is the Romagna tongue, alanguage or dialect which has poor origins and includes wordsexpressing all the wisdom and simplicity of the people fromRomagna.The accent and the words too often change within the radiusof a few kilometres. This language, which hardly tolerates innovationsand the modern ways of communication, is linked to a few terms dearto those who work the land, and make wine. If we think about all thewords dealing with wine, with the way it is produced, presented,explained and advertised, one could go easily mad or smile at the lively

grapes harvest, wine-making, bottling. This is exactly what producerstry to convey to consumers, to people choosing their wines amongmany others. Today producers present their products in elegant,customized bottles carrying labels which tell something about them.Just a few decades ago, they used to sell their grapes to co-operativecompanies or their wine in demijohns. Later on, a qualitative leap wastaken, and they showed all their will to make wine, to test their skills, tochallenge the market. In this growth process, Romagna producerswere helped by the careful scientific research work conducted by theUniversity of Bologna and Esave of Tebano, and by state-of-the-arttechnology. Today’s wines are the result of the tests carried out both inthe vineyard and in the cellar. Changes made to traditional trainingsystems, variety choices, clonal selections, new pruning methods, softpressing techniques and controlled wine-making constitute aprocessing procedure aimed to keep and enhance the organolepticfeatures of the grapes. Thanks to all this, the wines from Romagna, inall their nuances and expressions, have reached high levels of qualityand image both in Italy and abroad. This process has taken placewhile maintaining a close contact with the local area and with thetraditional vine-growing world. Here there are several small andmedium-sized enterprises, and nowadays many producers working intheir parents and grandparents’ vineyards are still deeply aware of afarming culture and traditions that deserve to be honoured.Here, unlikein other regions of Italy, there are no entrepreneurs coming fromoutside who purchase vineyards and start to produce wine: wine,rather than any other product, because it encloses something nobleand sacred that makes it different from other foodstuff. Instead, inRomagna there is a network of farms run by people who were born inthe area and who know every single corner of that soil and of thosevineyards.This means that they are aware of their potential, they knowhow to harness it and how to avoid mistakes. Of course, the world goeson, techniques become more advanced, production methods change,therefore it is necessary to adjust the products' quality and typology toconsumers’ evolving taste. But traditions and the peasants’ culture stillremain a valuable background for those who are able to use it wisely,transferring this know-how and these values to a future well-rooted inthe past. For example, the current revival of native varieties shows thatpeople from Romagna were right since – being reluctant towardschange - they obstinately refused to standardize their products to follownew trends, unlike others who decided to forget their precious heritagein the last twenty years.The new generations have slightly modernizedthis attitude, but they were smart enough to maintain what is still valid,genuine and healthy in this rural wisdom, using it as a stimulus to goforward on the route of innovation where all this is instrumental toimprove the product and its image.

The ancient cellar tools > David NavacchiaIt is well-known that vine-growing has beenwidespread all over Romagna for centuries.Therefore, the tools used by farmers, both in thevineyard and in the cellar, have accompanied thevine-grower’s daily life and they have always beenconsidered as true "members" of his family, each one

with its corresponding dialect word. Due to the large extension of thearea at issue, and to the presence of various dialects that are allexpressions of Romagna “tongue”, completely different terms are oftenused to identify the same tool. For example, the funnel is called pidiulin Rimini while it is pidariol in Forlì, less than 40 kilometres away. Thefirst working tool of vineyard workers in Romagna was not supposed tobe grasped but it was hanging on the wall throughout the year. It wasa calendar or almanac, the so-called Luneri, or better, the Luneri diSmembar, which showed the moon phases and told farmers whichwas the best time for carrying out certain operations in the vineyard(i.e. pruning, manuring, harvesting) and in the cellar (drawing off thelees, racking and bottling). The felza (Castiglione di Ravenna dialect)was used in the vineyard to strip the leaves off, and el tùsùr (Forlìdialect) to prune and pick grapes. The bgonz, or “bigonci” (from Latinbi-congius, namely a double “congio”, a unit of measure for liquids)were common wine vessels. E’strandòur (Cesena), i.e. the wine-press,stood out in the cellar along with wood barrels, al bot. Today the latterare found in high-quality cellars while up to the middle of the 19thcentury they caused many problems because wine often deteriorateddue to the bacterial contaminations resulting from the fact that thesevessels were very difficult to clean.Wine underwent fermentation in thevat, e' tinaz, while the e' mastel was used in case of smaller quantities.The pidria (Rimini) was a wooden basin meant to place wine into thebarrel and the funnel was called e' pidiul in Rimini, and e' pidariol inForlì.The word pidariol has got an interesting origin as it does not comefrom Latin but from the Byzantine term pletria. Wine was often left inthe barrels until the moment it was brought to the table. It was up to the

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how great was her pain for her partisan son, killed by the Germans whothen would not allow the family to take the body back, exclaimed:“Gnânc la Madòna”, that is, not even Mary suffered as she hadbecause at least she could hold the dead Jesus in her arms.Wine anddialect also share a strong evocative power. The name and colour ofthe Pagadebit di Romagna Doc both remind us of the hard work underthe burning sun of the vineyard workers of the past, whose life wasburdened with the effort and the poverty that also marked the wordsfrom that time.That is Paróli d’una volta, which is the title of a poem byNino Pedretti from Santarcangelo: A vagh scarabuciand / pruvend slavòusa / paróli vèci d’un témp / ch’al géva al dòni t l’agocc / ch’al m’ èpassi pianìn / sòta la pèla / e al m’à fiuréi / te’ sangh, sòta i cavéll. /Paróli ch’agli à durméi / par an sòta la zèndra, / e adess a tir fura, me’fugh de mi paèis (I start scribbling / trying with my voice / old wordsfrom ages past / that the women said while knitting / that passed to meslowly / under my skin / and blossomed in me / in my blood, under myhair. / Words that slept / for years under the ashes, / and now I pull themout / to the fire of my country). Dialect also has the advantage of beingable to make certain popular expressions sweeter and lighter,expressions which describe the physicality and the joy of living in adirect way. The same grainy happiness of an almost sensual pleasurethat can be experienced sipping a glass of Albana di Romagna DocgPassito and that Rimini writer Guido Nozzoli had anticipated in thewords of a very old seasonal worker from Conselice: “One summer’sday, speaking about the husband she had lost many years before, shepraised his vigour and passion remembering her first meetings withhim, among the night shadows of the poplar trees. In calling things bytheir names, in showing the real sense without affectation of metaphorit was a sort of primitive candour, a stimulating freshness of feelings. Inthe old woman’s story, the most vulgar words and the roughest imagestook on an intense, unrepeatable poeticalness. It was as if she wastalking about wind, fire or grain. A love full of optimism. An act of faithin life and its symbols.”

Grapes and wine in Romagna’spopular cultureWine has accompanied the life of the people fromRomagna for a couple of millennia in such awidespread and close way that e’ bè, drinking, isidentified with wine and wine alone.This presence hasmeant that wine is often mentioned in expressions oftraditional popular culture in dialect: proverbs, idiomatic

expressions and riddles, which range from material to social, economic,characteristic and philosophical aspects. Beginning with the power ofwine to sort many things out, as revealed in the proverb which states:“Schêrpa lêrga, gòt pin d’ vén/ e tu’ e’mond coma ch’e’ vén” (Big shoes,glass full of wine/ and take the world as it comes). The health-givingpower of wine, certified by modern medical research, was known a longtime ago, even if only in an empirical way: “Un bichir d’vén dòp a lamnëstra,/ e’ fa vde’ e’ dutor da la finëstra” (A glass of wine a day,/ keepsthe doctor away). But in order to enjoy the beneficial effects of wine,worldly wisdom established precise conditions: “S’t’vu che e’vén u t’fëzabôn,/ bil piân piâ, no’ a gargajon” (If you want wine to be good for you,/drink it slowly and not from the bottle). Wine was therefore believed tobe good for health and humour, and different from other pleasurableaspects of life, it could also be appreciated by old people: “Quand chela bêrba la met e’stupén,/ lasa la dòna e bêda a e’vén” (When the beardstarts to get a wick – that is, when it goes grey - / forget the woman andthink about the wine). Many idioms refer to the quality of the wine, usingterms obviously very different from those used by modern sommeliers.For example in order to praise an excellent wine: “Un vén che e dà lavèsta a un zig” (A wine which lets the blind see again), or: “L’è un vénche fa resuscitè i mort” (It’s a wine which brings the dead back to life).Obviously they referred to wines which were drunk straight, following thetendency of the people of Romagna to not “ruin” the wine by addingwater, as they were inclined, and many still are, to want to see thingsclearly with no nonsense: an attitude underlined by “Vler poc acva int e’bè” (Wanting little water in the wine).Grapes and wine can also be foundin many riddles which help to discover the rural world in an amusingway. Grapes, for example, were hidden under this riddle: “La mi mamal’è verdarëla,/ e’ mi bab l’è sturtarël,/ mo mè a sò vnuda bèla:/ a sòbianca, ròssa ma sgrazieda./ A vegn tajeda, s-ciazeda,/ buteda int untinaz, / strasineda par tòt i paléz,/ int al tevul di sgnur,/ int i cafè, int agliustarì/ l’è ‘na gran confusion/ e s’um coj la mela vì/ a faz nasr dla quis-ciòn” (My mother is light green,/ my father twisted,/ but I came outbeautiful:/ I’m white, pink, but ill-fated./ I am cut, squashed,/ thrown intoa tub,/ dragged round all the buildings,/ to the tables of the rich,/ to thecafes, the inns/ and a great racket/ and if I am unlucky / I causeproblems). Grapes and wine used to be cleverly called by the followingwords: “Son bèla, son bilena,/ servo Iddio e la cuséna,/ molta zent afègh lavurè,/ mas-c l’inveran e femna l’istè” (I am beautiful, I am lovely, I

imagination shown by those describing a wine. Presently, wine aromasare catalogue on the basis on very wide and imaginative classification.Comparing today’s ability to describe a wine in the Italian language withthe wine terms of the dialect spoken in Romagna in 1850 is an unequalchallenge. Floral, fruity, vegetal, dried fruit, caramel, wood, earth,chemical aromas have replaced terms such as "vén bròsch"(sharp/acidulous wine), "vén dolz cum la saba" (a wine as a sweet assaba, the cooked must).These are immediate, not very poetic, but easy-to-understand terms. It was uncommon to use words to praise wine,more frequently negative terms were used to describe a product’sdefects or flaws.Today wine is an hedonistic good that leads consumersto seek satisfaction and pleasure when drinking while in the past winewas merely considered a common drink/food which was only expectedto be drinkable. Some dialect terms referring to wine’s negative featureswere widely used, such as "vén arscaldè", that is wine gone bad, notlonger drinkable, or "vén con la nuvla", another way of describing a winewith conservation problems, or "vén com la tariéga", meaning an awful,disgusting wine. The “triaca” was a cure-all liquid mixture tasting bad. Itwas common to say "vén cun e’ pônt" for a slightly acetic wine, while"vén cun la fiama" meant a wine with the flame, i.e. with a vinegar-likehint. A wine could be defined as "gros" austere, "trovd" cloudy, still to beaged, and it was also frequent to hear about a "ven sòt" dry, "stciapè"blended, "svinì" stale, "bròsch" acidulous, "sgròz" raw, made with unripegrapes, or "turcè" meaning a too much pressed wine. It should be notedthat all these terms relating to wine negative features can be matchedwith the current terms relating to production defects, which are rarelyused, demonstrating the advances made in Romagna towards winequality. In the past only the local wine "vén nustran" was consumed.Thatis why our dialect is not rich at all in terms describing productiontechniques or definitions of origin. There are just a few expressionsrelated to wine production. Let’s mention, among others, "mez-vén", thehalf-wine, obtained by adding water after the first tapping; "terzanèl", thethird wine, which was tapped after two additions of water, also known as“aquadéz” (watery) and this also explains how poverty forced people toexploit the grapes’potential as much as they could.The "vén de puntël",the pole wine, was called like this because after separating wine fromthe lees, water was poured onto the lees which were kept down usinga pole (puntël) whose top end was touching the vat cover which washeld in place through a weight. This wine continued to be tapped untilChristmas, provided that some additional water was poured on the lees.Only in a few cases the wine features are praised with terms focusing onthe sugar content or on the wine body. Age was defined using termssuch as "vén nòv", a young wine, "vén da bevar dop Carnuvèl", a wineto be drunk after Carnival, as it needs to be aged for at least a fewmonths, "vén d’durèda", a well-structured wine, which can stay healthyfor many years. The wine’s full body and robust structure were definedusing expressions such as "vén cargh", a wine rich in colour, structureand body, or "vén gajèrd", a powerful wine. The expressions used forsemi-sparkling wines were "vén picant", i.e. piquant, fizzy wine, and "véncun la grana", a wine with little shining bubbles, i.e. perlage. Finally, asweet note. Sweet wines were called "vén sant", holy wine, which ismade during the holy week with dried grapes, similar to today’s passiti,"vén dolz", sweet wines, "vén amabil", semi-sweet wine, “vèn abuchè”semi-dry wine and, more generally, "vén bon", a good, generous wine.And if the subject was a vintage or an exceptional wine, you could say"l’era ‘na pisèda de Signor" (it was a Lord’s piss) to describe a wonderfulAlbana.

A poetic, strong, evocative andsensual dialect. Just like the wine.> Beppe SangiorgiThey say that products from the same earth, even ofdifferent genres, have common traits. Whether theyare the fruit of the same terrain or the same climate or,as in the case of wine and dialect, of the same history,culture, nature and lifestyle of the people. The dialect

from Romagna, persevering like the other dialects in a limited area,presents, compared with the Italian language, terms which are moreprecise, deeper and more explanatory of the physical and humanworld that produced it, just as it is for wine. For example we can findthe poetic taste of descriptions from ages past in a glass of Sangiovesedi Romagna Doc Riserva, rich with references, metaphors and wordsfull of deep meaning; words which tell and explain. An old farmerwoman, who as a girl used to go to see the Adriatic on clear days fromthe top of Monte Mauro, in the Apennines near Faenza, described thesea that she could see from such a height: "E' mer l'é spianèda tottaturchina ch'la pé e' zel per téra" (The sea is a flat turquoise that lookslike the sky on the ground). An analogy with the Trebbiano di RomagnaDoc is the “power” of dialect, that is, its power to express, in anapparently simple way, concepts which are strong and deep in only afew words. As revealed by the expression of a mother who, to explain

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slice/ of ham, a glass of wine,/ then you ate and drank/ as if it wasmidday). Friendship is and always has been the aim of drinking, recallsthe poet Tolmino Baldassari from Cervia in his La néva: “Ad nöta i bévcun me i amigh/ a s’atruven da un êtar temp/ u n’è ch’a ciacarèma tânt/i chéfl dla vita/ è zà sté/ ognun e’sa che cl’êt l’è lè/ ma quéfli an s’avden/an saven quant mònd ch’vi sia/ o ch’un ni sia” (At night they drink withme my friends/ we find ourselves in another time/ we don’t talk thatmuch/ the events in our lives have already happened/ everyone knowsthe other is there/ but we almost don’t see each other/ we don’t knowhow much world is there/ or isn’t there). The question remains, thepoetry remains, and so does the wine. By its side.

News> Roberto RonchiRomagna in guidebooksThe reviews published by the most popular wineguidebooks at national level are useful to understandthe status of our wines and their popularity ratingamong the most demanding consumers. Let’s startwith a review appeared on I Migliori Vini d’Italia

published by L’Espresso newspaper which says “Sangiovese is not onlythe most original and valid regional wine, it can also rival with its Tuscancounterparts”, while the introduction points out that the historically lesscomplex character of our wines can be regarded as an advantage in thelight of the current consumer trends. Vini d’Italia by Gambero Rossobegins like this: “the nine wines which have received “Tre Bicchieri”(literally “three glasses”, the highest mark) are the best result everachieved by this Region since the Vini d’Italia guidebook has beenpublished”. This excellent result was obtained by Fattoria Zerbina, SanPatrignano, Calonga, San Valentino and Casetto dei Mandorli (moreexactly, out of the nine awarded regional wines, 5 come from Romagnaand 4 from Emilia). In the introduction it is also stressed that thisachievement is a clear sign of ferment characterizing the whole area.Further acknowledgements were also granted to Romagna-basedwineries by Duemilavini guidebook curated by the Italian SommelierAssociation (AIS) which assigned the “Cinque Grappoli” (literally “finebunches”, the highest mark) to wines by Fattoria Zerbina, Tre Monti andSan Patrignano (two wines). Let’s also mention another bookletpublished by AIS, La Romagna da bere, where in the preface written byeditor Magni the great ferment experienced by the wines and wineries ofRomagna is confirmed, while Gian Carlo Mondini, president of AISRomagna, underlines: “La Romagna da bere is five years old now andthis fifth issue is the richest one in excellent products” .Luca Maroni, inthe conclusions of his Annuario dei migliori vini italiani reports somestatistics showing that the Emilia-Romagna region exceeds the nationalaverage in all parameters considered (pleasantness, thickness, balance,wholeness). I Vini Italiani 2009 guidebook, published by Rizzoli andcurated by Luca Maroni, classifies wines in terms of their “price for value”(a parameter which, according to Luca Maroni, is the ratio betweenvarious elements such as pleasantness and the selling price) and out of500 reviewed products about fifty come from Emilia-Romagna.Master of Sangiovese 2008 The winners of Trofeo Consorzio Vini di Romagna – 8th Master ofSangiovese 2008 were declared in the castle of Dozza, the prestigiousheadquarters of Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna.This is one ofthe most important and qualified competitions at national level since theabsolute protagonist is always Sangiovese, one of the most prizedgrape varieties in the Italian and international vine-growing sector.Organized by Consorzio Vini di Romagna and the Italian SommelierAssociation (AIS), in co-operation with Enoteca Regionale EmiliaRomagna and the Municipality of Dozza, the prestigious title went tosommelier Simona Bizzarri from Arezzo who brilliantly passed anumber of demanding written, oral and practical tests dealing withserving and tasting wine, beating the Romagna-born Davide Staffa fromCotignola, who won the second prize for the second consecutive year,followed by Luca Martini, from Arezzo too, third prize and Roberto Anesifrom Trento, fourth prize. This is an important and rewardingacknowledgement for Simona Bizzarri - a sommelier working at LaNuova Tagliatella restaurant in Arezzo - that confirms her highprofessional skills. Moreover, she has been the second woman to winthis renowned title throughout its eight editions. Participants wereevaluated and judged by an expert and qualified jury made up ofGiordano Zinzani, president of Consorzio Vini di Romagna; GianAlfonso Roda, president of Enoteca Regionale Emilia Romagna; GianCarlo Mondini, president of A.I.S. Romagna Section; HiaruscaMartellato, vice president of Romagna Oenologist Association; IvanoAntonini, winner of the Master 2007 edition and recent winner of theBest Italian Sommelier title; Franco Ziliani, an experienced wine & foodjournalist. The finalists’ wine serving test of the Master saw theparticipation of the Canadian journalist Cinda Chavich from Globe andMail daily and Maurizio Magni, director of Mare&Monti magazine.

serve God and the kitchen,/ many people I make work,/ I’m a man inwinter and a woman in summer).

Wine in poetry from Romagna>Elio PezziWine, or rather drinking good wine, if it is in the DNA ofthe people from Romagna, is seldom praised by thepoets of our land who don’t surrender to the fascinationof celebrating it in rhyme. Those poems must besearched for, they must be discovered, in order thatyou can appreciate that they, like good wine, are well-

fermented, they are the result of a long period of ripening. On thecontrary, in “folk poetry”, in nursery rhymes (int al zirudèll), it is easier tofind poems about wine, for example at the end of a song at a party, ora joyful stornello.A case in point is a piece by Elsa Bezzi, from Ravenna,in the compilation Memöri d’amôr, when, at the end of a poeticcelebration of an anniversary, she writes: “Ades j’enn i’a fat e’ su zi / mol’è sempar zovan e’ cor;/ incù l’è dvintê d’Or che fil/ e fra ‘sti du inamurê/e tên sempar viv l’Amor! Eviva! Alzé i bichir! Cin, cin cun tent Auguri!”(Now the years have gone round/ but the heart is still young;/ today theband has become gold/ and between these two lovers/ love is still alive!/Hooray! Lift your glasses! Cheers with best wishes). The wine of thepoets from Romagna is one of quality, as is their poetry: not alwaysfamous, sometimes copied, or used for roundabout expressions, a littlelike the Sangiovese, which made Chianti and Brunello famous, or likethe Trebbiano, ‘married’ to the Pinot of well-known sparkling wines.Nevertheless, a great tradition of poetry remains, such as the works ofGiovanni Pascoli, Lorenzo Stecchetti, Tonino Guerra, TolminoBaldassari and Giovanni Nadiani to mention but a few of the poets fromthis land of wine. According to Aldo Spallicci, poet (and doctor andpolitician) from Bertinoro, wine – as he writes in Rumagna – is a party:“Un, mez runché l’aveva un fiasch, e dù/ Is tireva pr’e nês parcumpliment,/ E al tromb al sbarluteva sota i dent:/ Ciò, te t’è dbú, te t’èdbú, te t’è dbú!” (One, half hoarse, had a jug, and two/ pulled eachother’s noses,/ And the horns mumbled under their teeth:/ Well, youhave drunk, you have drunk, you have drunk!). Yes, wine is a party: “L’èl’ora a ‘d fnila! – dic, però un gni azova/ Che i balaren j è int e piô bël dlasbócia/ E tra i rogg i s-ciutúra un’etra bocìa” (It’s time to finish it! – shesays, but it’s not good / That the dancers are at the height of their merry-making/ And among the shouting they open another bottle), and again:“Bì só, cumpagn, e guai a te s’t’ an bì” (Drink up, friend, and shame onyou if you don’t drink). However, the party is not always jolly, as GianniFucci, another great poet from Santarcangelo, remembers in thecompilation La Balêda de vént: “E’ roêsla i dè dla fira ‘d San Martéin/ satott cla cunfusiòun,/ si uéur smaghéus de pèss frétt e de véin,/ s’clalanda ‘d luce che, mènda un lampiòun/ la bêsa l’Olga cl’ha va a stènd ipan/ tra fumari e malàn” (The days of San Martino fair tumble down/ withall that chaos,/ with the rude smell of wine and fried fish/ and that ray oflight from a street lamp/ which kisses Olga as she hangs out thewashing/ among the smoke and the din). There is a sorrow which hasjust been comforted by the wine, writes Nadiani in the compilation Tir:“in fldé a e’ bancon on dri/ cl’êtar in fila intavanê/ a gvardê ‘t i sprei de’nostra bé (fórsi adës ‘s asfêlt u i bat e’ sôl)/ pr’un sgond u s’scapa j oc e’vut/ arzir de’ no pinsè e u s’flvegia un pô/ a la volta ad böta e’ fugh dalcich/ apiêdi trama al dida brusêdi ad êal” (sitting on the counter onebehind/ the other in a drunk line/ watching the brightness of our wine(perhaps the sun is now shining on the tarmac)/ we nod off for a whileinto nothingness/ free from thinking and we are woken a little/ suddenlyby the heat from the cigarette butts/ lit between burnt, yellow fingers).Wine is and remains the drink of company par excellence for peoplefrom Romagna and their poets. Nadiani tells us again in his poemSarner (north-west wind): “avnin a cvê/ stasim da stê incora un pô/ unabrescla/ ad bê un’etra volta/ pu a s’avjê nenca nô/ a la mota/ fasend contd’gnint/ senza ch’u s’n adéga incion/ dgim qvêl/ no staflim lasê ins alspen” (come here/ stay a while longer/ a game of trumps/ we’ll drinksome more/ then we’ll leave too/ we’ll sneak out/ as if nothinghappened/ no one will notice/ say something/ don’t leave me hangingon).Wine is by all and for all: for old people, writes the poet (and doctor:he was Paolo VI’s doctor) Ugo Piazza from Faenza in Ruscaia: “Totazent che senza pénn/ campeva nuvant’énn/ scanucend sera e matena/cun dl’albana e dla canéna./ E pu im dis che e bé e fa mél!” (All thosewho had no food/ lived ninety years/ sipping morning, noon and night/albana and cagnina./ And then they say that drinking’s bad for you!),and for people of all sexes, ages and occupations, like the inhabitantsof San Mauro Pascoli admirably described by Gianfranco Miro Gori,mayor poet, in the compilation Gnént, for example “la Bigérla, ròsad’voìn e, ènca sòta e’ duce, d’socialóisum” (the Pannier -a large basketused to carry wine - red of wine and, even under the Duce,/ ofsocialism), and for the insomniacs like you (and me): “T’ ci atturnè me’frigo:/ t’è raié s’na landa/ d parsót, un bicir d voìn/ e pu t’è magné e béu/cmè che fòs de’ mezdè” (You went back to the fridge:/ you began with a

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