Roma Tre News 1/2012

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Periodico di Ateneo Anno XIV, n. 1 - 2012 “CREATIVE ACTS” LA CREATIVITÀ NEL QUOTIDIANO Il giardino in un motore L’orto in una bomba Ateneo eriodico di P Ateneo Anno XIV, n. 1 - 2012 Anno XIV, n. 1 - 2012 Il giard dino in un moto ore L’orto in una b bomba

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Creative Acts. La creatività nel quotidiano

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Periodico di AteneoU Anno XIV, n. 1 - 2012

“CREATIVE ACTS”LA CREATIVITÀ NEL QUOTIDIANO

Il giardino in un motore L’orto in una bomba

Ateneoeriodico diP

Ateneo

Anno XIV, n. 1 - 2012

Anno XIV, n. 1 - 2012

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SommarioEditoriale 3

Primo pianoRiformulare il mondo 5La creatività come misura del vivere umanodi Paolo Apolito

Intelligenze creative 7Il comportamento intrinsecamente innovativodell’animale umanodi Paolo D’Angelo

Creatività: teorie e ricerche 10di Anna Lisa Tota

Si può educare alla creatività? 14L’importanza del fattore creativo nei processi formatividi Gilberto Scaramuzzo

Genio e creatività 17Enrico Fermi e i ragazzi di via Panispernadi Roberto Mignani

Creativi culturali per un mondo migliore 20I sorprendenti risultati di ricerche sociologicheinternazionali sulla cultura olistica emergente di Enrico Cheli

Cinema e diversità culturale 23Il XVII convegno internazionale di studicinematografici promosso dal Di.Co.Spe.di Marco Maria Gazzano

La doppia stella di Leonardo Sinisgalli 26L’uomo che voleva «spiegare le macchine agliingegneri e ai poeti»di Michela Monferrini

Libertà scalza 28La forza creativa della corsa a piedi nudidi Corrado Giambalvo

Ritagli 31Se il futuro del libro è l’opera d’artedi Michela Monferrini

Una bottega a regola d’arte 33La differenza fra prodotto industriale e creazioneartigianaledi Arianna Scarozza

Irena Sendler: l’angelo del ghetto di Varsavia 35di Gaia Bottino

Recitare: professione o scelta di vita? 38Il punto di vista di un giovane attore tra aspirazioni edifficoltàdi Francesca Gisotti

Avvolta nel mio respiro 40di Adriana Mattorre

IncontriWu Ming. «Trasparenti verso i lettori, opachi verso i media» 42di Alessandra Ciarletti

Roberto Vecchioni. I colori del buio 45di Alessandra Ciarletti

Silvia Makita. «Wabi sabi: il bello che invecchia» 47di Valentina Cavalletti

Gualtiero Marchesi. L’alchimia dell’intuizione 49di Alessandra Ciarletti

Reportage«Creare è resistere e resistere è creare» 51Creatività come movimento e adattamento di Cinzia Delorenzi

Arte con todos 54Lezioni di creatività dalla periferiadella Gran Buenos Airesdi Gianni Tarquini

RubrichePopscene 58Ultim’ora da Laziodisu 60Non tutti sanno che… 61

RecensioniIl futuro ha un cuore antico? 64Il vintage high tech dei libri volanti di Mr Lessmoredi Paolo Di Paolo

Information is beautiful 65La creatività dei dati, ovvero la percezioneè comprensionedi Francesco Martellini

Roma Fringe Festival 67Arriva in Italia la più grande rassegna di teatro offdi Francesca Gisotti

Dio c’è… e va in macchina 68L’Accademia Arte nel cuore in scenaal Teatro Olimpicodi Arianna Scarozza

Il silenzio fa rumore 69The artist e il ritorno del film mutodi Michela Scoccia

Periodico dell’Università degli Studi Roma TreAnno XIV, numero 1/2012

Direttore responsabileAnna Lisa Tota(Professore straordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi)

CaporedattoreAlessandra Ciarletti

Vicecaporedattore e segreteria di redazioneFederica Martellini [email protected]

RedazioneUgo Attisani, Gaia Bottino, Valentina Cavalletti, Gessica Cuscunà, Paolo DiPaolo, Irene D’Intino, Indra Galbo, Francesca Gisotti, Elisabetta Garuccio Nor-rito, Michela Monferrini, Monica Pepe

Hanno collaborato a questo numeroPaolo Apolito (professore ordinario di Antropologia culturale), Enrico Cheli(docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Università degliStudi di Siena), Paolo D’Angelo (professore ordinario di Estetica), Cinzia Delo-renzi (danzatrice e coreografa), don Pino Fanelli (assistente spirituale Facoltàdi Economia e Facoltà di Scienza Politiche), Gianpiero Gamaleri (presidenteAdisu Roma Tre) Marco Maria Gazzano (professore associato di Storie e teoriedel cinema, delle arti elettroniche e dell’intermedialità), Corrado Gianbalvo(istruttore della Federazione italiana di atletica leggera, coordinatore del Five-fingers tester team e special project manager della Vibram), Francesco Mar-tellini, Adriana Mattorre (studentessa Facoltà di Lettere e Filosofia), RobertoMignani (professore associato di Fisica teorica), Gilberto Scaramuzzo (coordi-natore del MimesisLab - Laboratorio di pedagogia dell’espressione, Diparti-mento di Progettazione educativa e didattica), Arianna Scarozza (studentessadel CdL in Scienze politiche e relazioni internazionali), Michela Scoccia (stu-dentessa del CdL in Scienze politiche e relazioni internazionali), Gianni Tarqui-ni (specializzato in Storia e in cooperazione internazionale)

Immagini e fotoNadia Angelucci, Semira Belkhir, M. Borchi, Cristina Chichi, Veronica D’Auria,Andrew Hosner, Federico Perez Losada, Azzurra Primavera, Daniella Rosário,Gianni Tarquini, Siamack Tofighbakhsh, Eleonora Vasco, www.enricocheli.com,www.misterrob.co.uk, www.informationisbeautiful.net, host.uniroma3.it/labora-tori/mimesislab, www.vecchioni.org

Progetto graficoMagda PaolilloConmedia s.r.l. - Via Ippolito Nievo, 62 - Romawww.conmedia.itIl progetto grafico della copertina è di Tommaso D’Errico

Impaginazione e stampaTipografia Gimax di Medei MassimilianoVia Valdambrini, 22 - 00058 Santa Marinella (RM) - tel. 0766 511644

In copertinaUn piccolo giardino ricavato nel vano motore di un’automobile, Vancouver ecoltivazione di ortaggi nel container di una cluster bomb, Phonsavanh, Laos(foto di Elizabeth Briel)

Finito di stampare maggio 2012

ISSN: 2279-9192

Registrazione Tribunale di Roman. 51/98 del 17/02/1998

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«Chiamatelo comevolete, esso è ilsentimento che noiabbiamo di esserecreatori delle no-stre intenzioni, del-le nostre decisioni,dei nostri atti, econ ciò delle nostreabitudini, del no-stro carattere, dinoi stessi. Artigianidella nostra vita,artisti [...].»(Bergson 1934,sul concetto diélan vital)

Abbiamo scelto in questo numero un’immagine dicopertina e un titolo un po’ particolari per parlarvi dicreatività. Le due foto, scattate rispettivamente inCanada e in Laos, propongono due adattamenti se-condari: un giardino in auto e un orto in una bomba.Sia la vecchia automobile in disuso, sia l’involucrodella bomba sono infatti reintegrate nell’ordine delquotidiano attraverso un atto di immaginazionecreativa. Un cittadino di Vancouver decide di rimuo-vere il motore alla sua vecchia auto e di trasformarlacosì in un mini-giardino che contribuisce al verdecittadino. La bomba, invece, diventa un piccolo or-to, un vaso in cui far crescere e germogliare i semidi varie piante ornamentali e commestibili. Un og-getto pensato e costruito per seminare morte e di-struzione, diventa così nella rivisitazione di una fa-miglia del Laos uno splendido e originale vaso perle piante. Un segno che la vita dopo la guerra può ri-prendere il suo incessante fluire, un segno che allafine il messaggio della distruzione non può prevale-re sull’istinto della vita.

Creative acts è quindi un modo per parlare di creati-vità nel quotidiano, di coniugare il pensiero creativoad una possibilità estesa a tutti noi e non ad una pre-rogativa esclusiva di pochi individui, eccellenti e ge-niali. Noi viviamo in una cultura chirografica, come

direbbe Ong, (che conosce cioè i sistemi di scrittura).In questo tipo di culture l’innovazione è di per sé unvalore, sostanzialmente perché innovare costa poco equindi la comunità può permetterselo. Nelle societàcontemporanee occidentali il valore della tradizioneè costantemente rimesso in gioco dai processi di in-novazione culturale, tecnologica e sociale. In talicontesti la creatività è di per sé un valore, perché per-mette il proliferare di idee e di soluzioni nuove, per-ché permette di perseguire il mito dell’evoluzionecontinua e del progresso incessante. Il termine creati-vità è fortemente polisemico e rimanda ad accezionimolto diverse fra loro. Le prospettive teoriche e le ri-cerche empiriche che si sono occupate di creativitàsono molteplici: molti contributi pubblicati in questonumero sono rivolti proprio a fornire una rassegnaampia e dettagliata di tutti i possibili sguardi sul fe-nomeno “creatività”. Un fenomeno peraltro che è alcentro di un’attenzione sempre crescente: dai festivaldella creatività - di cui si parla in uno degli articoliche vi proponiamo - alle TED Conferences (Techno-

“Creative acts”: la creatività nel quotidianodi Anna Lisa Tota

Anna Lisa Tota

Creative acts è un modo per parlare di

creatività nel quotidiano, di coniugare il

pensiero creativo ad una possibilità

estesa a tutti noi e non ad una

prerogativa esclusiva di pochi individui,

eccellenti e geniali

Bombe trasformate in fioriere, Laos. Si calcola che in Laos sianostate sganciate almeno 1,4 milioni di tonnellate di ordigni tra il1964 e il 1973. Questa e l’immagine di pagina seguente docu-mentano come i laotiani abbiano saputo reinventare una quoti-dianità profondamente segnata dalla guerra

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logy, Entertainment and Design) nate negli anni No-vanta in California, dove in ben diciotto minuti lementi più brillanti e creative del mondo espongono leloro idee, messe poi a disposizioni di tutti on line. Laprospettiva implicata dalle TED è che le idee genialie creative debbano essere diffuse sull’intero pianeta eche, al contempo, in quanto mediate attraverso ilcontenitore TED, istituiscano a loro volta nuove basidi distinzione e diseguaglianza sociale (parteciparead una TED, infatti, per esporre le proprie idee neifatidici 18 minuti costa soltanto 7500 dollari… ). In qualche modo il piccolo gesto creativo nel quoti-diano e le TED sembrano essere fenomeni agli anti-podi, quasi a rappresentare i due estremi attraversocui guardare le manifestazioni del fenomeno creativi-tà nelle società contemporanee. Tuttavia, fra tutte leaccezioni possibili, quella che più ci è cara allude al-la creatività come fenomeno diffuso, si riferisce pro-prio alla creatività di tutte quelle azioni, quei pensierie quelle parole che paiono dotati di un’intensità unpo’ speciale. Sono pensieri, parole e corsi di azioneche condividono la caratteristica di essere “pacifica-mente rivoluzionari”. Attivano con la loro presenzauna serie di mutamenti rispetto allo status quo che al-trimenti non avrebbero potuto avere luogo. In questosenso la creatività è una qualità processuale, propriadi quelle inter-azioni che sono al contempo “condi-zioni sufficienti e necessarie” perché qualcosa dinuovo e di diverso accada nel mondo.Talora sono piccoli segni come una bomba trasfor-mata in fioriera o uno pneumatico di camion trasfor-mato in un’altalena per bambini oppure un mazzo difiori dipinto su un muro di un tunnel per commemo-rare la morte di un amico. Talora sono invece grandi

azioni che hanno mutato il destino di molte persone,come il bellissimo caso di Irena Sendler. Come em-blema di “creative acts” vorremmo proporvi propriola sua biografia: una giovane donna che con un attodi invenzione creativa salva dal ghetto di Varsavia2500 neonati e bambini, destinati altrimenti a morire

nella follia dei campi di concentramento. Le azionicreative sono dunque quelle, piccole o grandi, che ri-voluzionano pacificamente il mondo, sono quelle chelasciano il segno nella vita di chi le compie e in quel-la di tutti coloro che ne sono testimoni. Alla memoriadi Irena dunque è dedicato questo numero e il mioeditoriale, e a tutti voi naturalmente che con piacerecontinuate a dedicarci la vostra attenzione e il vostrointeresse.

Container di cluster bomb usati come supporti di palafitte destinate allo stoccaggio del riso

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Fra tutte le accezioni possibili, quella che

più ci è cara si riferisce alla creatività di

tutte quelle azioni, quei pensieri e quelle

parole che paiono dotati di un’intensità un

po’ speciale, che condividono la

caratteristica di essere “pacificamente

rivoluzionari”. In questo senso la

creatività è una qualità processuale,

propria di quelle inter-azioni che sono al

contempo “condizioni sufficienti e

necessarie” perché qualcosa di nuovo e di

diverso accada nel mondo

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Quando nel secondodopoguerra la ristrut-turazione capitalistapenetrò saldamente inPicacicaba, regioneagraria brasiliana notaper la canna da zuc-chero, un esercito dimanodopera a buonmercato, i bóia-frias,

espulso dai processi produttivi precedenti, si trovòa fare l’esperienza del lavoro delle piantagioni, a“cadere nella canna” come si diceva: lavoro fati-cosissimo, ritmi forsennati, senso di precarietàestrema, scomparsa dei vecchi riferimenti del la-voro contadino precedente e di ogni nuova pro-spettiva di miglioramento. Spaventapasseri in lun-ghi abiti protettivi di lavoro, venivano raccoltiall’alba dai caporali nelle cittadine che punteggia-vano l’immenso panorama delle piantagioni dicanna da zucchero e là ricondotti al tramonto dopouna insensata giornata passata a tagliare canna, ac-catastare steli, bruciare fogliame secco. Ma “in-sensata” non è parola adeguata. L’antropologoJohn Dawsey si fece ingaggiare come “bóia-fria”nel 1980 per studiare dall’interno la condizione diquesti ex contadini non del tutto proletari, sco-prendo la loro quotidiana costruzione di un mondodi senso. Paradossale senso, quasi carnevalesco,fuso e confuso in un incessante clima di “stan-chezza fisica e nervosa”. I bóia-frias “caduti nellacanna”, facevano tutti i giorni teatro della e con laloro vita, un contro-teatro riflessivo. Tra trasognatae feroce autoironia e stuporoso e aggressivo sarca-

smo verso tutti gli altri, i bóia-frias mostravano aDawsey una speciale forza creativa di stravolgi-mento agito nei loro comportamenti quotidiani delmondo umanamente insensato nel quale si trovava-no a vivere. Gli antropologi hanno studiato altri

esempi negli angoli più vari della Terra di questo“potere degli ultimi”, là dove il capitalismo nellesue forme più violente e recenti ha fatto e sta facen-do la sua marcia apparentemente trionfale. Potere dinon subire il senso da un pensiero unico impostodalla logica del capitale finanziario, di riscriverlosecondo una possibilità comunitaria di dirsi altre“verità”, raccontarsi altre storie. Potere di resistereai processi di alienazione che sembrerebbero inevi-tabili sulla falsariga di ciò che avvenne nelle cittàeuropee alla nascita del capitalismo industriale.Certo è ben magro il bottino dell’invenzione di unsenso del mondo che ne confermi le ingiustiziereali. Forse perché non può fare altro, in attesa oscomparso del tutto il “sole dell’avvenire”, o forseperché non fa altro proprio in quanto si attarda ainventare mondi carnevaleschi. Di fatto esperienzecome quelle che nelle situazioni estreme ri-uma-nizzano in modi paradossali un mondo dis-umano,dicono della creatività come misura del vivereumano in generale.

Agli esseri umani non basta il mondo così com’è.Soprattutto nelle situazioni estreme di sopravvi-venza, ma anche nelle più normali condizioni, gliesseri umani vanno oltre i limiti del mondo in cuivivono, non lo accettano per com’è e lo riformu-lano. Essi costruiscono il mondo in cui vivono,non lo deducono semplicemente dalle condizioniecologiche esistenti, e gli danno un senso. Fosseroapi, fossero rondini, se ne starebbero là dove sitrovano a vivere la loro vita, adattati all’ambienteo spazzati via da esso. Ma sono esseri umani epossono vivere solo se danno al mondo un sensocondiviso e così lo abitano, vi agiscono dentro, selo spiegano e raccontano. Per questo essi, partitimillenni fa dall’Africa, hanno popolato la superfi-cie intera della Terra, angolo per angolo o quasi,subendo solo in parte le condizioni ambientali, inampia parte invece modificandole a proprio van-taggio (almeno provvisoriamente tale). O meglio,a vantaggio del senso che essi attribuivano a quel-

Riformulare il mondoLa creatività come misura del vivere umano

di Paolo Apolito

Paolo Apolito

Gli antropologi hanno studiato molti

esempi, negli angoli più vari della Terra, di

questo “potere degli ultimi” di non subire

il senso da un pensiero unico imposto dalla

logica del capitale finanziario, di

riscriverlo secondo una possibilità

comunitaria di dirsi altre “verità”,

raccontarsi altre storie

Certo è ben magro il bottino della

invenzione di un senso del mondo che ne

confermi le ingiustizie reali. Forse perché

non può fare altro, in attesa o scomparso

del tutto il “sole dell’avvenire”, o forse

perché non fa altro proprio in quanto si

attarda a inventare mondi carnevaleschi

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le condizioni. È per questo che nello stesso am-biente ecologico diverse popolazioni si sono tro-vate a costruire culture diverse, con forme diadattamento diverse, di impiego alternativo di ri-sorse ecologiche e materiali e di organizzazionesociale. Non solo. Hanno anche immaginato di-verse idee di se stessi e degli altri – cioè una pro-pria antropologia – che non era specchio fedeledella natura, al contrario mirava a modificarla,poiché le definizioni di umano che si davano, lispingevano ad esempio a non accettare passiva-mente che ci si trovasse per nascita peli sul viso, eallora a tagliarli via perché il volto di un uomodoveva esserne privo, o a non contentarsi dellagrana uniforme e indifferenziata della pelle, sucui bisognava tatuare linee grafiche che risaltasse-ro in disegni significativi, o della foggia del cra-nio che ci si trovava alla nascita – o dei piedi odelle labbra o delle orecchie – che andava mutata,a costo di pazienza e dolore, in quanto la formaumana non era, non doveva essere, quella avutaper “natura”, bensì quella pensata e forgiata traumani. E la stessa nascita biologica da sola nonbastava, non basta, ad essa andava aggiunta unanascita sociale, un qualche battesimo culturale,oppure l’ingresso nell’età adulta doveva esserenetto, non biologicamente lento, per cui quandoera tempo di assumersi responsabilità sociali, av-viare una propria famiglia, assumere il rango op-portuno, occorreva passare per un “lavoro” ritualedi trasformazione della materia biologica che erail non-ancora-uomo e farne un già-uomo.E persi-no la morte biologica non era, non è la morte ve-ra, se ad essa va aggiunta la morte che il rito facompiere al cadavere biologico. Proprio in questispazi liminali del ritual work la creatività umanacollettiva ha impiegato l’intero suo gioco di ri-creazione del mondo, poiché diversamente dall’i-dea corrente di rituale come ripetizione immobilesu se stessa, come stampo fermo per un processoseriale che punti a bloccare il dinamismo delle co-se, esso è l’attività di continuo riadattamento almutamento e - si potrebbe parafrasare Emilio Gar-roni, recentemente riproposto da Paolo Virno – diapplicazione creativa della regola generale allesingole contingenze.

C’è stata una stagione recente di Urgent Anthropo-

logy, antropologia come intervento urgente di con-servazione di forme culturali minacciate di scom-parsa. Importante tentativo di porre argini a una ri-strutturazione del globo terrestre indifferente alladistruzione di ricchezze e varietà culturali, perchéè innegabile e inquietante la scomparsa in pochidecenni di migliaia di lingue e di forme di vita. Mala prospettiva che dietro l’Urgent Anthropology fa-ceva sospettare una crescente e definitiva omologa-zione culturale si è rivelata parziale. Centinaia dimilioni di persone si muovono nella nostra epoca, eancor di più si muovono idee e manufatti, che perònon desertificano terreni culturali invasi, ma favo-riscono uno straordinario meticciamento creativodel mondo: incorporazione di aspetti ed eventi glo-bali in innumerevoli storie di localizzazione diver-se e mutevoli, e adattamento trasformativo del pro-prio mondo locale anche attraverso un prodigiosomantenimento di un tessuto connettivo di relazionisociali vive pur dentro i processi di trasformazione.

Riflettendo a partire dal presente, si scopre che ilmondo è sempre stato meticcio e che ciò che im-pedisce uno sguardo retrospettivo che colga il con-tinuo adattamento creativo della storia umana al-l’incontro e alla compresenza di diversità, è infor-care gli occhiali dell’identità e dell’autenticità perleggere le vicende umane. Lo stesso termine “me-ticcio”, che richiama una condizione spuria, nonoriginaria, è dentro questi occhiali. Inforcando gliocchiali della relazione invece, si scopre che la vi-cenda umana non è mai stata chiusa dentro confi-ni, poiché è perenne creazione adattiva più o menolenta sulle zone di contatto.

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Il mondo è sempre stato meticcio e che ciò

che impedisce uno sguardo retrospettivo

che colga il continuo adattamento creativo

della storia umana all’incontro e alla

compresenza di diversità, è inforcare gli

occhiali dell’identità per leggere le vicende

umane

Lavoro quotidiano dei bóias-frias nei campi

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Dal 2006 si tiene a Fi-renze, ogni autunno, ilfestival della creatività.Non c’è da stupirsene,anche se di primo ac-chito fa un po’ impres-sione l’accostamento trala creatività (che siamoabituati a immaginareconnessa con l’impre-vedibilità, l’estro e an-che la stravaganza) equalcosa di ritualizzatocome un festival, con le

sue scadenze annuali, la corse ad accaparrarsi gliospiti più noti, le anticamere degli organizzatori inComune e Regione. Al confronto, i festival di lettera-tura, filosofia, economia, archeologia, diritto – or-mai ci sono festival per ogni ramo del sapere – ci ap-paiono più scontati. Però, se andiamo a vedere i pro-grammi, anche il festival della creatività è abbastan-za prevedibile. Ci sono gli psicologi e i filosofi cheparlano di creatività, poi ci sono gli artisti, per lo piùprovenienti dal mondo dello spettacolo, ma anche daquello della letteratura e delle arti visive; ci sono gliscienziati, sempre gli stessi per non rischiare di an-noiare il pubblico, e naturalmente ci sono gli stilisti ei pubblicitari.

Insomma, non si deve necessariamente essere creati-vi per fare un festival sulla creatività. Però il festivalci dice subito molto, magari involontariamente, sucome intendiamo oggi la creatività. Intanto ne pre-senta una immagine polverizzata, dove ognuno ècreativo a modo suo; poi non fa nulla per evitare ilmix tra “alto” e “basso”. Gli scienziati famosi sfilanoaccanto ai pubblicitari e ai presentatori televisivi, ma

ci sono sempre gli artisti per chi vuole un po’ di en-fasi sull’essere creativi. In effetti il discorso sullacreatività è oggi ubiquo. Sappiamo per certo chedebbono essere creativi gli scienziati e gli artisti, maanche gli imprenditori; gli stilisti e i pubblicitari (nonsono loro i “creativi” per antonomasia?). Non ci ripe-tono ogni giorno che salvezza deve venire dall’inno-vazione?

In effetti, non è strano che creatività e attualità vada-no a braccetto. In fondo la “creatività” è un concettorecente, molto più recente di altri concetti fondamen-tali. Pare che il termine non abbia più di un secolo divita, e sembra – e ammetterete che anche questo è unsegno significativo – che la sua prima occorrenza siastata in lingua inglese. Di quante altre idee o concettipossiamo dire lo stesso? Per molto tempo, del con-cetto di creatività si è fatto a meno, e i termini “crea-zione” e “creare” sono stati riservati alla divinità.Certo, a partire dal Rinascimento è accaduto che sidicesse che un poeta “crea” e si sono usati terminiche con creatività hanno certamente una parentela(ingegno, wit, esprit de finesse); ma la nozione preci-sa di creatività è nata solo all’inizio del Novecento. Infatti per lunghissimo tempo è stato difficile ricono-scere proprio quel carattere innovativo e costruttivodell’agire e del conoscere umano che oggi ci apparetanto familiare da poterlo celebrare nei festival. Laconoscenza è stata pensata, a partire dal mondo anti-co e fino al Settecento come rispecchiamento dell’or-dine delle cose e come adeguamento ad esso; paralle-lamente il linguaggio è stato considerato essenzial-mente come una nomenclatura: nella concezione re-ferenzialista le parole seguono le cose, come se que-ste fossero già lì e attendessero solo di essere nomi-nate. In modo simile, per due millenni l’arte è stataconsiderata in primo luogo come imitazione, bellaperché era bello ciò che rappresentava.C’è voluto un grandissimo sforzo di pensiero per ar-rivare ad una concezione costruttiva della conoscen-za, una concezione nella quale il nostro interventonon si limita a prendere atto del modo in cui le cose

Intelligenze creativeIl comportamento intrinsecamente innovativo dell’animale umano

di Paolo D’Angelo

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Paolo D’Angelo

C’è voluto un grandissimo sforzo di

pensiero per arrivare ad una

concezione costruttiva della

conoscenza: nella quale il nostro

intervento non si limita a prendere atto

del modo in cui le cose sono, ma

concorre a strutturare il mondo

Fino al Settecento la conoscenza è stata

pensata come rispecchiamento dell’ordine

delle cose e come adeguamento ad esso;

parallelamente il linguaggio è stato

considerato essenzialmente come una

nomenclatura: le parole seguono le cose,

come se queste fossero già lì e attendessero

solo di essere nominate. In modo simile,

per due millenni l’arte è stata considerata

in primo luogo come imitazione, bella

perché era bello ciò che rappresentava

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8 sono, ma concorre a strutturare il mondo. E ancorapiù tardi si è arrivati a comprendere che il linguaggionon si limita a rispecchiare un mondo dato ma con-tribuisce a organizzarlo. Questo lungo processo èsembrato sfociare, all’inizio del secolo scorso, in unavera e propria apoteosi della creatività. Anche se iltermine non era ancora apparso, le filosofie della vi-ta, e in modo eminente la filosofia di Bergson, hannocercato di dare fondamento ad una concezione chevedeva il mondo come innovazione continua, conti-nua produzione di forme nuove. È l’idea di una evo-

luzione creatrice, come suona il titolo di quella che èprobabilmente l’opera più famosa del filosofo fran-cese. Ma anche in Italia, negli stessi anni, BenedettoCroce aveva in fondo la stessa preoccupazione: sal-vaguardare la continua diversità delle cose, opporsiad una visione statica e meccanica, sottolineando lacontinua innovazione che ha luogo nel conoscere, maanche nel parlare e nell’agire dell’uomo. L’idea ab-bastanza famigerata del carattere poetico del linguag-gio, sostenuta da Croce, voleva proprio accentuarel’aspetto per il quale il linguaggio è continua produ-zione di forme nuove (nessuna parola è veramenteeguale all’altra), a detrimento di tutto ciò che nel lin-guaggio è struttura, regola, codice. Il limite evidente

di queste concezioni era proprio il fatto di intenderela creatività come opposta all’intelletto, alla regola,ai vincoli. Si è creativi – questo il presupposto di talifilosofie – liberandosi dalle regole, superando i vin-coli e annullandoli.

Questo mito della creatività può diventare pericolo-so. La psicologia e la filosofia del Novecento, nelleloro ricerche più avvertite, hanno fatto giustizia diquanto di semplicistico si nascondeva nella esaltazio-ne incontrollata della creatività. Per esempio si è fat-ta strada una concezione graduale della creatività,non più vista come uno spartiacque assoluto tra com-portamento umano e comportamento degli animalinon umani. Oggi sappiamo che anche gli animali su-periori sono capaci di innovazioni nei loro comporta-menti, e possono mettere in campo atteggiamenti in-novativi quando si tratta, per esempio, di escogitarenuove strade per giungere al cibo.E tuttavia sembra che un discrimine rimanga, ed è undiscrimine che proprio la parola creatività può aiutar-ci a nominare. Infatti quello che nell’animale nonumano è un comportamento saltuario e in taluni casieccezionale, diventa nell’uomo la regola, la cifra piùcaratteristica del suo comportamento. Il comporta-mento umano è intrinsecamente, ineliminabilmentecreativo. L’uomo articola e mette in discussione ilproprio patrimonio di regole e principi, applicandoloin modo costruttivo e non meccanico. Non per nullala storia dell’animale umano è una storia continua diinnovazioni, cioè di comportamenti creativi.

In qualche misura, si tratta di una concezione addirit-tura opposta a quella che sta dietro l’idea di un festivaldella creatività: non più una dote isolata ed ecceziona-le, padroneggiata solo da individui fuori dell’ordinario(che è ancora, sorprendentemente, l’idea di creativitàche ritrovate per esempio nel libro di Howard GardnerIntelligenze creative, dove creativi sembrano solo in-dividui fuori dall’ordinario come Einstein, Freud, Pi-casso, Eliot o Gandhi), ma al contrario un tratto comu-ne, anzi, il tratto più specifico dell’essere umano.Questa concezione della creatività, che si trovaesemplarmente teorizzata in uno scritto del filosofo

Tre ghepardi ed una gazzella in un insolito momento di gioco:anche gli animali superiori sono capaci di innovazioni nel pro-prio comportamento, ma si tratta sempre di episodi saltuari espesso eccezionali

Il comportamento umano è

intrinsecamente, ineliminabilmente

creativo: non per nulla la storia

dell’animale umano è una storia

continua di innovazioni, cioè di

comportamenti creativi

Il linguaggio è creativo in ogni singolo

stadio del suo sviluppo, ma non contro

e nonostante le regole, ma proprio

grazie ad esse

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italiano Emilio Garroni, ripubblicato l’anno passato(era stato scritto una trentina di anni fa, ma è pro-prio il caso di dire che non dimostra i suoi anni)impone però di superare alcuni luoghi comuni par-ticolarmente radicati, primo fra tutti quello che ab-biamo segnalato, e cioè l’antitesi tra creatività e in-telligenza, e tra creatività e regole. Ancora una vol-

ta, è proprio pen-sando a quel cheaccade nel l in-guaggio che cipossiamo rendereconto di quantosia errata questaopposizione. Illinguaggio umanoè certamente unadelle sedi privile-giate della creati-vità umana, cioèdella sua capacitàdi innovazione.Che lo sia sul pia-no diacronico èevidente, perchéle lingue non stan-no mai ferme, sievolvono, si tra-sformano fino adiventare altre lin-gue; ma è altret-tanto chiaro che il

linguaggio è creativo anche in ogni singolo stadiodel suo sviluppo, perché ogni parlante a partire daun numero finito di lemmi e di regole può produrreuna infinità di enunciati diversi. Ma può farlo noncontro e nonostante le regole, ma proprio grazie adesse. Una lingua completamente agrammaticale, ouna nella quale le parole mutino significato a piaci-mento, come voleva Humpty Dumpty di Alice nel

paese delle meraviglie, è impensabile come un fer-ro di legno. Cro-ce aveva tortonel credere cheil l inguaggiofosse solo crea-zione, ma nonmeno torto ave-va Barthesquando scrivevache il linguaggioè autoritario per-ché obbliga adire. Gli orga-nizzatori del fe-stival di Firenzehanno dunqueun’ampia scelta,perché creativilo siamo tutti ,fin dal momentoin cui iniziamo aparlare. E forseanche da prima.

Chi non ha mai giocato a interpretare la forma delle nuvole, immaginandovi le figure più disparate? Creativi lo siamo tutti, fin dal mo-mento in cui iniziamo a parlare. E forse anche da prima

In Intelligenze creative di HowardGardner creativi sembrano solo indi-vidui fuori dall’ordinario come Ein-stein, Freud, Picasso, Eliot o Gandhi,ma al contrario la creatività è un trat-to comune, anzi, il tratto più specificodell’essere umano

Il saggio di Emilio Garroni sulla creati-vità, scritto trenta anni fa e ripubblicatodi recente da Quodlibet, supera il luogocomune dell’antitesi fra creatività eregole 9

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In un numerodedicato allacreatività cipareva impor-tante dareconto anchedegli studiteorici e dellericerche empi-riche che lescienze socialinegli ultimidecenni hannoelaborato suquesto tema.In questo con-

tributo vi proponiamo quindi una rassegna –speriamo utile – degli studi disponibili.

All’interno delle scienze sociali la creatività èdiventata un ambito di ricerca specifico in tempirelativamente recenti, grazie soprattutto al con-tributo di psicologia e psicoanalisi che, pur nel-la differenza delle prospettive, tendono a foca-lizzare l’attenzione sul rapporto tra caratteristi-che della personalità soggettiva e propensioneall’atto creativo. In sociologia l’interesse perquesto tema si è articolato principalmente lungodue dimensioni: la riflessione sulla creatività al-l’interno delle teorie dell’azione sociale, lo stu-dio della creatività simbolica in riferimento al-l’immaginario e all’arte. Il comune humus filo-sofico da cui derivano i vari approcci che si suc-cedono nell’analisi di questo concetto, può esse-re fatto risalire a molteplici correnti filosofiche:la riflessione di Stirner e di Ortega y Gasset sulvitalismo, quella storicistico-attualistica di deri-vazione crociana, l’etica dei valori e del geniodi Bergson e di Scheler, l’analisi di Sartre sulrapporto tra immaginazione e percezione.

Gli studi sulla creatività sono interdisciplinari:negli ultimi decenni si sono confrontati su que-sto tema psicologi e psicoanalisti, sociologi del-la cultura e sociologi della scienza, antropologi,filosofi sociali e studiosi di economia (come adesempio Richard Florida (2002) con il suo notoconcetto di “creative class”).

I primi studi sistematici sulla creatività risalgo-no nel Novecento all’approccio psicoanaliticodi derivazione freudiana, che indaga il fenome-no, analizzando le motivazioni inconsce e pro-fonde a cui la creazione artistica soggiace. L’in-terpretazione psicoanalitica istituisce una rela-zione tra impulso artistico alla creazione e istin-to della libido: l’artista, a causa dei suoi bisogniistintivi, è incapace di accontentarsi della realtàe si rivolge al mondo della fantasia. Attraversola capacità di sublimazione, che è essenzialmen-te un meccanismo di difesa, egli trasforma lesue pretese irrealistiche in scopi raggiungibili.Secondo Freud quindi, la creazione è un’attivitàderivata dalla deviazione della libido rispettoagli oggetti originari; il processo di sublimazio-ne serve all’artista per spostare l’energia libidi-ca su mete socialmente desiderabili.Lo studio delle dinamiche del profondo conti-nua a caratterizzare anche gli studi successiviche si collocano nel filone freudiano (ad esem-pio, Klein, 1929; Chasseguet-Smirgel, 1971). Inparticolare Chassaguet-Smirgel introduce nelmodello kleiniano la distinzione tra due tipi diatti creativi: quelli volti a riparare l’oggetto esolo indirettamente il soggetto e quelli che ripa-rano direttamente il soggetto. L’opera che deri-va dal processo creativo sarebbe in questo sensoun prodigioso doppio dell’artista, rifletterebbecioè lo stile psichico del creatore. Le teorie della Ego-Psychology (Kris, 1952;Kubie, 1958) invece rappresentano una svolta

Anna Lisa Tota

Creatività: teorie e ricerchedi Anna Lisa Tota

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Gli studi sulla creatività sono

interdisciplinari: negli ultimi decenni

si sono confrontati su questo tema

psicologi e psicoanalisti, sociologi della

cultura e sociologi della scienza,

antropologi, filosofi sociali e studiosi di

economia

I primi studi sistematici sulla

creatività risalgono nel Novecento

all’approccio psicoanalitico di

derivazione freudiana, che indaga il

fenomeno, analizzando le motivazioni

inconsce e profonde a cui la creazione

artistica soggiace

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decisiva rispetto all’impostazione psicoanaliti-ca, in quanto introducono il concetto di ego-re-gressione che sottolinea la funzione di controllodell’io sul processo primario. Anche Arieti(1979) definisce la creatività come un processoterziario derivante dalla compresenza di proces-si di tipo primario (come quelli tipici del sognoe delle psicopatologie) e secondario (come lalogica comune).

Oltre all’approccio psicoanalitico, il tema dellacreatività è ampiamente studiato anche dalla psi-cologia. Gli aspetti più indagati sono: da una par-te, la personalità creativa definita come sindromepositiva, rispetto alla quale si elencano serie disintomi in grado di individuare lo stato (Barron,Welsh, 1951); dall’altra, il processo di creazioneideativa, rispetto al quale si elencano le fasi cru-ciali corrispondenti a particolari stati emotivi ocognitivi attraversati dal soggetto. Si collocano inquesto filone il contributo della Gestalttheorie(Duncker, 1935; Wertheimer, 1945), quello degliassociazionisti (Mednick, 1962) e quello dei fatto-rialisti che si rifanno alla teoria del pensiero diver-gente (Guilford, 1967).I contributi della psicologia umanistica rientranonel primo tipo di teorie, quelle che indagano lapersonalità creativa. Secondo gli psicologi umani-sti, la creatività è una caratteristica costitutiva del-

l’essere umano in genere, piuttosto che una quali-tà riservata a pochi. Fromm (1959) definisce ilprocesso vitale come un processo di nascita conti-nua, di creazione appunto. Gli psicologi umanistipropongono definizioni di creatività che richia-mano questo aspetto di qualità dell’esperienza or-dinaria: essa è equilibrio realizzato tra crescita edifesa (Maslow, 1962), apertura all’esperienza(Rogers, 1969), forza che spezza le strutture ordi-narie dell’esperienza (Barron, 1968).Mentre l’approccio psicoanalitico ha studiato lecomponenti affettive dei processi creativi, i co-gnitivisti considerano determinanti le compo-nenti cognitive. Come nel caso degli psicologiumanistici, anche i cognitivisti studiano il pro-cesso creativo in generale e non soltanto quellodi creazione artistica. All’interno di tale approc-cio possiamo distinguere diverse teorie per laspiegazione delle componenti cognitive: mentregli psicologi della Gestalt (Duncker, 1935) par-lano di improvvisa ristrutturazione del campoed elaborano la nozione di «pensiero produtti-vo» (Wertheimer, 1945), gli psicologi associa-zionisti parlano di capacità di formare nuovielementi ideativi (Mednick, 1962). I fattorialistiinfine, che si rifanno al modello di Guilford(1967), individuano le funzioni mentali partico-lari che intervengono nel processo creativo cheè definito «pensiero divergente».La nozione di pensiero produttivo nasce nel-l’ambito della psicologia della Gestalt e si devea Wertheimer (1945): il pensiero produttivo èquella modalità di pensiero che non si configuracome mera ripetizione di un’abitudine appresa.Si verifica un’improvvisa riorganizzazione in-telligente dei dati del reale che è descritta come«Einsicht». Agli psicologi della forma si devononumerosi esperimenti – come quelli della fine-stra sull’altare e del parallelogramma di Wer-theimer – volti ad analizzare che cosa accadequando il pensiero lavora produttivamente.

Guilford in due ricerche successive nel

1954 e nel 1961 individua

fattorialmente la distinzione tra

pensiero divergente e convergente che

è sintetizzata dai cinque fattori di

divergenza: fluidità o fluenza,

flessibilità spontanea, flessibilità

adattiva, originalità ed elaborazione

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12La nozione di pensiero divergente invece si devea Guilford (1967) che ha elaborato un modellodell’intelletto, rappresentato graficamente da unsolido costituito da 120 elementi (4 contenuti x 5operazioni x 6 prodotti). L’autore utilizza per lascomposizione del pensiero creativo un approc-cio fattoriale: attraverso il calcolo dei coefficientidi correlazione fra i vari items individua i fattoririlevanti. In due ricerche successive, nel 1954 enel 1961, egli individua fattorialmente la distin-zione tra pensiero divergente e convergente che èsintetizzata dai cinque fattori di divergenza: flui-dità o fluenza, flessibilità spontanea, flessibilitàadattiva, originalità ed elaborazione. Un contri-buto rilevante alla riflessione psicologica e nonsu questi temi si deve nei primi anni Ottanta aGardner (1983) che ridefinisce il concetto di pro-duzione creativa introducendo la nozione di «in-telligenze multiple».

Anche i sociologi e gli psicologi sociali si occu-pano di creatività. Fra gli anni Sessanta e Settan-ta sono state realizzate una serie di ricerche pervalutare l’impatto dell’ambiente. Questi approccihanno studiato l’influenza sui processi di forma-zione di individui creativi sia di una serie di fat-tori sociobiologici (come il genere, l’età, l’ordinedi nascita, la classe sociale, la scolarizzazione),sia delle cosiddette centrali educative (la scuola,la famiglia). Scopo di queste ricerche è indivi-duare quali siano i contesti più favorevoli all’e-mergere e al diffondersi del talento creativo.Lo studio di Torrance (1962) individua una rela-zione significativa tra il genere dei soggetti e laloro creatività (misurata mediante punteggi su testspecifici). Tale significatività è confermata daglistudi degli anni Settanta di Calvin (1977) e Lott(1978), che documentano come le componenti af-fettive e cognitive legate alla creatività, sianomaggiormente inibite nei modelli educativi dellebambine. Gli stereotipi sessuali sembrano avereun notevole impatto. Alcuni studi (Altus, 1965;Liechtenwalner-Maxwell, 1969) hanno avvalora-to l’ipotesi che i primogeniti siano più creativi deiloro fratelli. Ciò dipenderebbe dal tipo di relazio-ne affettiva che si instaura con i genitori. Anche

l’ordine di nascita sembra avere quindi una certainfluenza. Rispetto allo status socioeconomico sialo studio di Andreani e Orio (1972) sia quellosuccessivo di Andreani (1974) documentano l’im-patto dello status della famiglia di origine. Infinel’impatto della scuola sulla creatività degli alunniè stato oggetto di un ampio dibattito culturale che,tra gli anni Sessanta e Settanta, ha visto contrap-porsi da una parte i sostenitori di un’organizzazio-ne scolastica conformista, dall’altra quelli più fa-vorevoli all’anticonformismo. Lo studio di Wil-son (1972), ad esempio, ha documentato l’impat-to fondamentale di un sistema scolastico apertosullo sviluppo del pensiero divergente, mentrequello di Ramney ePipe (1974) ha porta-to a risultati opposti.Da tutto questo dibat-tito sono scaturiti unaserie di programmiapplicativi: miglio-rando il clima scola-stico, si pensava dipoter sviluppare lacreatività. L’influenzadi un buon climasull’apprendimento èstata sostenuta ancheda Rogers (1969): lanon direttività delrapporto didatticosembrava avereun’effettiva incidenzasull’evoluzione delpotenziale creativo.Infine molte ricerchehanno documentatocome la mancanza diautoritarismo e l’in-staurazione di un cli-ma educativo permis-sivo favorissero lemanifestazioni creati-ve del bambino. Inparticolare la ricercadi Getzels e Jackson(1962) esaminò duefamiglie: una rappre-sentava il tipo con-vergente, l’altra quel-lo divergente. Gli au-tori hanno così potutoindividuare stili edu-cativi che sembranopiù efficaci di altri nelfavorire la creativitàdei bambini.

Alcuni studi hanno avvalorato

l'ipotesi che i primogeniti siano più

creativi dei loro fratelli. Ciò

dipenderebbe dal tipo di relazione

affettiva che si instaura con i genitori.

Anche l'ordine di nascita sembra

avere quindi una certa influenza

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Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta le ricer-che sociologiche sulla creatività si muovonolungo due filoni principali: da una parte si stu-diano i contesti sociali della creatività (De Masi,1989), il modo in cui gli attori sociali si rappor-tano con questo termine nelle pratiche della loroquotidianità (ad esempio, il concetto di “creativiculturali” elaborato da Paul Ray) e della loro vi-ta professionale (Melucci, 1994); dall’altra sitende a declinare questa nozione all’interno diuna teoria dell’azione (Joas, 1990), analizzandoil rapporto tra esistenza e mondo simbolico(Crespi, 1978), tra immaginario e mitologia(Eliade, 1985).

Lo studio di De Masi (1989) sui gruppi creativi inEuropa dal 1850 al 1950 analizza tredici esperien-ze di creatività collettiva, offrendo una ricostru-zione storica delle condizioni sociali e culturaliche le hanno caratterizzate. La ricerca di Melucci(1994) considera la creatività prendendo in consi-derazione tre differenti dimensioni: «La creativitàviene analizzata, oltre che nelle teorie e nei mo-delli circolanti [...], attraverso i soggetti a cui vie-ne attribuita [...], nei discorsi che la caratterizzano[...] e nei contesti che la rendono possibile». Unadelle questioni centrali affrontate concerne lacreatività come prodotto e discorso culturale. Cisi interroga sui meccanismi sociali che presiedonoalla costruzione sociale della creatività stessa.L’analisi verte su differenti campi di ricerca:dall’arte alla scienza, dalla pubblicità al teatro,dalle grandi organizzazioni ai movimenti sociali oall’adolescenza, definita come fase della vita incui si crea e ricrea il senso del mondo. A secondadell’ambito considerato i modi della creatività sirivelano molto diversi: ad esempio, mentre fra gliartisti il termine creatività è usato con un certodisagio, invece fra i pubblicitari si ricorre amplia-mente alle metafore della creatività per descriverela propria condizione professionale. Rispetto alle impostazioni precedenti l’approcciosociologico comporta alcuni mutamenti radicali:la creatività cessa di essere analizzata come sin-drome più o meno positiva, per essere declinata

all’interno dei contesti sociali che la rendono pos-sibile. Il focus dell’analisi prende in considerazio-ne nuovi livelli analitici: come quello delle prati-che discorsive con cui l’etichetta di creativo si at-tribuisce in un dato contesto sociale.Contributi interessanti all’analisi di questa nozioneprovengono anche da quelle riflessioni che coniu-gano il tema della creatività a quello della teoriadell’azione. Hans Joas (1990) utilizza il concetto dicreatività per fondare una teoria dell’azione socia-le, partendo dalla duplice rielaborazione della no-zione weberiana di carisma e della nozione mar-xiana di azione rivoluzionaria. Nel caso del cari-sma, Joas sottolinea come la creatività sia definitaun attributo permanente di determinate personalità,più che di determinate azioni. Il carisma infatti èconcepito come prerogativa esclusiva, segno di-stintivo del soggetto. In tal senso il leader carisma-tico costituisce l’equivalente in ambito politico diciò che il genio rappresenta in ambito scientifico eartistico. Rivisitando ilconcetto marxiano diazione, Joas sottolineacome Marx applichi l’i-dea di azione self-espressiva al concetto dilavoro. L’alienazione èil processo attraversocui ciò che material-mente produciamo, unavolta estraniato, si con-trappone a noi come po-tenza esterna, ostile enon più controllabile.L’attore sociale percepi-sce il prodotto del pro-prio lavoro come dotatodi una capacità di coer-cizione rispetto a sè. InMarx quindi la creativi-tà non sarebbe un attri-buto dell’azione umanain generale, ma soltantodell’azione rivoluzio-naria, in cui la sintesicreativa produce unanuova società (Joas,1990). Il contributo diJoas è di particolareinteresse, in quantoapre la strada alla rivi-sitazione del pensierodei classici della so-ciologia attraverso unanozione così relativa-mente recente comequella di creatività.

Rispetto alle impostazioni precedenti

l’approccio sociologico comporta

alcuni mutamenti radicali: la

creatività cessa di essere analizzata

come sindrome più o meno positiva,

per essere declinata all’interno dei

contesti sociali che la rendono

possibile

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Cos’è educare e cos’ècreatività? A volte ledomande più semplicise affrontate con serietàconsentono di intrave-dere scenari insospetta-ti. Se riportiamo educa-

re al suo significato piùpieno e essenziale, pos-siamo dirlo come: alle-

vare, nutrire, far cre-

scere (quello che per iGreci antichi era paideuo).Questa prima precisazione comporta già, se relata altitolo, il riconoscimento della creatività come qualco-

sa che preesiste all’azione educativa. Pensare la creati-vità, infatti, come qualcosa che possa (o non possa)essere allevato, nutrito e fatto crescere implica il rico-noscere la creatività stessa non come un qualcosa chevada immesso in un soggetto che ne è privo e forse bi-sognoso; ma, bensì, come qualcosa che ha una suapropria vita prima dell’intervento educativo e che dob-biamo valutare se (e eventualmente come) debba esse-re alimentato per consentirne uno sviluppo pieno.

Si può dire in modo semplice, essenziale, cos’è que-sto qualcosa che forse necessita (ma forse no) di unnutrimento e a cui diamo il nome di creatività? Iocredo si possa dirlo in modo estremamente semplice,e per cimentarmi prenderei a esaminare brevementeun atto che è facile riconoscere come creativo.Si tratta di un atto eccellente dell’agire umano e, sep-pure sotto il termine creatività possono essere ricon-dotti atti assai meno eccellenti di questo, ritengo cheindagare in questo luogo ci possa consentire di disve-lare al meglio il senso da dare a “creatività”: l’attodell’artista che fa la sua opera (non importa se unapoesia, una danza, una scultura…). Per farlo chiederò immediatamente aiuto a chi haavuto la ventura di abitare questo luogo.Dante nel Convivio (tr. IV, par. X) ci svela in manieraessenziale come l’artista procede per produrre la suaopera:

Poi chi pinge figura, se non può esser lei nonla può porre.

Onde nullo dipintore potrebbe porre alcuna fi-gura, se intenzionalmente non si facesse prima talequale la figura esser dee.

L’artista dunque, secondando Dante, produce la suaopera facendo, primamente e intenzionalmente, sestesso come dovrà poi essere l’opera che egli crea.Chi crea offre, in qualche modo, sé per un farsi co-

me; e il risultato dell’atto creativo è qualcosa (nonimporta se quadro, scultura, poesia…) a immagine esomiglianza di questo farsi.L’atto creativo sembra dunque richiedere un movi-mento radicale: essere quello che si deve esprimere;e il compimento intenzionale di questo atto.Sulla volontarietà dell’atto creativo e sul caratteredi questo farsi, che deve prodursi intimamente nelsoggetto, scrive una nota densa e ispirata Luigi Pi-randello:

Si può educare alla creatività?L’importanza del fattore creativo nei processi formativi

di Gilberto Scaramuzzo

Gilberto Scaramuzzo

L’atto creativo sembra dunque richiedere

un movimento radicale: essere quello che

si deve esprimere; e il compimento

intenzionale di questo atto

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«Poi chi pinge figura, se non può esser lei non la può porre. /Onde nullo dipintore potrebbe porre alcuna figura, / se intenzio-nalmente non si facesse prima tale quale la figura esser dee»Dante Alighieri, Convivio (tr. IV, par. X)

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Io non posso negare il cane come oggetto, an-che ammettendo che esso esiste in me sola-mente in quanto io ne ho conoscenza; oggettorimarrà sempre, se non più fisico, spirituale,oggetto ch’io contemplo in me, ma che noncreo: non posso crearlo perché io non lo hovoluto ed esso medesimo ancora non si vuolein me [...]. Quando diventerà creazione? quan-d’io cesserò di contemplarlo quale un oggettoin me, quando esso comincerà a volersi in me,qual’io per se stesso lo voglio.

Credo che se anche basassimo la nostra riflessionesoltanto su questi due brevi passaggi noi pedagogistiavremmo ricevuto delle indicazioni essenziali perprospettare una strada non scontata per l’educazionealla creatività; e forse, a ben guardare, per qualcosadi ancor più vasto.Da queste indicazioni esperte potremmo, infatti, im-mediatamente ricavare che educare alla creativitàpotrebbe semplicemente consistere nell’alimentare lacapacità di essere quel che si vuole (deve?) esprime-re, e di esprimere quel che si è; di farsi così vasti daconsentire all’altro di volersi in noi quale noi per sestesso lo vogliamo.Una convivenza di adulti che abbiano guadagnato, inforza di una azione educativa qualificata, un’eccel-lenza in queste capacità ci lascia immaginare unmondo in cui ciascuno fa sé a immagine e somiglian-

za di quello che dice, e in cui ciascuno si fa capace didire quello che egli è; e, inoltre, un mondo in cui cia-scuno vuole in sé l’altro come l’altro per se stesso sivuole: una convivenza che offre sicure prospettivealla felicità umana, una convivenza affatto diversa daquella in cui viviamo ora.Educare seriamente alla creatività, potrebbe davveroprodurre simili risultati per la convivenza umana?

Possiamo ora tener fede alle righe con cui abbia-mo principiato e dedicarci al verificare se nel sog-getto umano preesista all’azione educativa: unacapacità di essere quel che si esprime e di espri-mere quel che si è; una capacità di consentire al-l’altro di volersi in noi quale noi per se stesso lovogliamo.

Queste capacità potrebbero infatti appartenere soltan-to all’artista, e quindi rendere radicalmente vana ogniazione educativa rivolta a soggetti ontologicamentenon in possesso di queste capacità. Soltanto appurataun’evidenza relativamente a queste capacità ci si po-trà infatti interrogare se questa necessiti di essere ali-mentata, e, finalmente, accennare al come farlo.

Questi movimenti, che ci sono stati mostrati da Dan-te e Pirandello quali verità del creare, li possiamo fa-cilmente riconoscere in qualunque cucciolo dell’uo-mo ovunque nel mondo questi si trovi a nascere e acrescere. Essi sono chiaramente apprezzabili in quelgioco che tutti abbiamo fatto da bambini, e che pos-siamo ritrovare osservando la ludicità spontanea delbambino.Li ritroviamo, infatti, ben evidenti in quel giocare,che assume le forme più diverse, in cui il bambino,chiamando in causa tutte le fibre del proprio essere,fa come se fosse la mamma, l’insegnante, un anima-le, oppure un elemento della natura (per esempio ilvento, o anche le onde del mare), o anche un perso-naggio fantastico o, addirittura, fantasticato.

Una convivenza di adulti che abbiano

guadagnato, in forza di una azione

educativa qualificata, un’eccellenza nelle

proprie capacità creative ci lascia

immaginare un mondo in cui ciascuno fa

sé a immagine e somiglianza di quello che

dice, e in cui ciascuno si fa capace di dire

quello che egli è, un mondo in cui ciascuno

vuole in sé l’altro come l’altro per se stesso

si vuole: una convivenza del tutto diversa

da quella in cui viviamo ora e che offre

sicure prospettive alla felicità umana

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« […] Quando diventerà creazione? quand’io cesserò di contem-plarlo quale un oggetto in me, quando esso comincerà a volersiin me, qual’io per se stesso lo voglio» Luigi Pirandello, Per le ra-gioni estetiche della parola

Troppo spesso l’azione educativa è

costruita per ostacolare la creatività

umana e con essa una convivenza fondata

sull’empatia e sull’ascolto profondo dei

bisogni dell’altro

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Non è difficile verificare, ma anche soltanto ricorda-re, quanto in quel gioco ci sia una stretta corrispon-denza fra quel che il bambino esprime e quel chequesti in quel momento è, fin nelle fibre più intimedel proprio essere; e come in quel giocare a esserel’altro da noi, questo altro si voglia in noi e quasi cicostringa a volerlo in noi con quelle caratteristicheche appartengono ad esso e che noi ci ritroviamo avolere per noi.Per rendere evidente quanto affermato è sufficienteporsi seriamente la domanda: quanto un bambino chegiochi a fare come se fosse (per esempio) un uccelloè padrone di decidere i suoi movimenti; e quanto in-vece i suoi movimenti sono decisi dalle caratteristi-che proprie dell’uccello, che quasi impone al bambi-no una certa qualità di movimento?Non è questa la sede per entrare in profondità in que-sto dinamismo, ma non è difficile riscontrare comel’altro che si sta esprimendo voglia, in qualche mo-do, il movimento voluto dal soggetto.I dinamismi che Dante e Pirandello ci hanno mostra-to come propri dell’atto creativo sono dunque natu-

ralmente presenti nel soggetto umano, e in vivace at-tività prima dell’entrata del bambino nel percorsoeducativo che lo porterà a essere adulto nell’Occi-dente del mondo (percorso che inizia intorno ai cin-que-sei anni).Non è difficile notare, però, come tanta azione edu-cativa sia costruita proprio per avversare questi dina-mismi. E lo sia al punto che non mi sembra esageratoaffermare che essa sia proprio costruita per ostacola-re la creatività umana e con essa una convivenza fon-data sull’empatia e sull’ascolto profondo dei bisognidell’altro.Azzardo dunque, finalmente, la risposta alla do-manda che è posta nel titolo. Questa suona come unsì, forte e chiaro. Sì può educare alla creatività. An-zi si deve. Per raggiungere la padronanza dell’in-tenzionalità dell’atto che fa adulto il movimentospontaneo del bambino. Ma quest’azione educativarichiede serietà e impegno, e il coraggio di volerealimentare la natura umana per donare pienezza aquell’esprimere che genera, in tutti e in ciascuno, lapiù intima felicità.

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La mimo Vittoria Albini mentre interpreta le parole di una poesia, Libreria Arion, Roma

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Il poeta e il fisico

Come il poeta è statol’eroe romantico per ec-cellenza del XIX seco-lo, così il fisico lo è sta-to per il XX appena ter-minato. Alla base diquesta analogia, sta laconstatazione di Scho-penhauer e Nietschzeche il poeta è separato,se non distinto, dall’u-manità, sebbene immer-so in essa. Similmente, ifisici, la cui attenzione

è rivolta alle cose di natura (e alla natura delle cose),e non alle persone, sono ab origine intellettualmenteseparati dall’umano consorzio, pur facendone parte.Ciò si riflette nella rappresentazione del fisico nel-l’immaginario popolare del XX secolo (non a casoper molti aspetti personificata da Einstein): una per-sona distratta, avulsa dagli affari contingenti di que-sto mondo, persa nei suoi ragionamenti matematici,mirante ad attingere la verità eterna, la comprensionedel mondo e delle sue trame. O nelle forme dell’ap-prendista stregone, dell’evocatore di «dèmoni e me-raviglie, vento e maree...», del «distruttore di mon-di», perché, novello Prospero, ha «per primo suscita-to la tempesta» e «oscurato / il sole del meriggio».

Di fatto, come spesso accade, l’apparenza non è lasostanza, e le caratteristiche superficiali non esauri-scono l’essenza di una cosa. Così, l’immaginario po-polare ha colto solo alcune caratteristiche – le più vi-stose, ma, proprio per questo, le più ingannevoli – siadei poeti che dei fisici. Il poeta non è una persona dinobili sentimenti, che sospira alla pallida luna, ma èanzitutto e soprattutto un creatore e manipolatore dilinguaggio, che si sforza di andare oltre il senso co-mune delle parole, esprimendo l’inesprimibile. Potràpoi anche rivolgersi alla luna, come Leopardi; mal’importante è come le si rivolge. La vera e profondasomiglianza tra il fisico e il poeta non sta quindi nel-la loro (più o meno reale) separatezza dal mondo,quanto nel fatto che entrambi sperimentano alla ri-cerca di un senso superiore che risiede oltre il velario

mutevole e ingannevole delle apparenze e dei segni,del comune sentire e significare.

Ma chi sono allora i fisici, al di là della loro immagi-ne? Per rispondere, bisogna capire che cos’è la fisica.Essa ricopre, tra le scienze, un ruolo di primissimopiano, e addirittura unico per certi versi. Ciò è dovu-to essenzialmente alla profonda interconnessione esi-stente in fisica tra esperimento e teoria, fra i qualiesiste, in un certo senso, una circolarità di relazione:gli esperimenti sono necessari per costruire la teoria;d’altro canto un modello teorico, una volta formula-to, è in grado di predire l’esistenza di nuovi fenome-ni, suscettibili a loro volta di verifica sperimentale.Questo modo di procedere è tipico della scienza mo-derna, ed è stato per la prima volta codificato da Ga-lilei. Egli fu infatti il primo a porre su basi quantitati-ve, fondate sul processo di misura tramite opportunistrumenti, quella che prima era un’osservazione es-senzialmente qualitativa (e in larga parte passiva)della natura (la quale appunto, secondo Galilei, nonva «ascoltata», ma «interrogata»), e ad affermare lanecessità di una spiegazione dei fenomeni in terminimatematici (« ... le sensate esperienze debbono pre-cedere l’umano discorso... »; « ... l’universo... è scrit-to in lingua matematica, e i caratteri son triangoli,cerchi e altre figure geometriche, senza i quali mezziè impossibile a intenderne umanamente parola... »).La fisica rappresenta quindi un paradigma scientificoideale, cui ogni altra scienza deve cercare di avvici-narsi, adeguandosi alle regole dettate dal metodo ga-lileiano. Non si ha scienza, laddove non si ha possi-bilità di verifica sperimentale e di ripetibilità di unesperimento. Non si ha fisica, se alla fine il risultatodi un esperimento non può essere espresso in lin-guaggio matematico, nel contesto di una formulazio-ne teorica più o meno vasta e comprensiva.Non si deve tuttavia pensare che la conoscenza fisicaproceda per sentieri rigidamente codificati, al contra-rio, spesso il fisico procede per «aperçus», le suescoperte sono «scherzi», così che egli rischia di ap-parire, agli occhi di un ferreo epistemologo – osse-quiente ai rigidi dettami di un sistema scientifico re-golato a priori – «come una specie di opportunistasenza scrupoli», in quanto « ... le condizioni ester-

Genio e creativitàEnrico Fermi e i ragazzi di via Panisperna

di Roberto Mignani

Roberto Mignani

Come il poeta è stato l’eroe romantico per

eccellenza del XIX secolo, così il fisico lo è

stato per il XX

Il fisico costituisce un’insolita miscela di

audacia e prudenza, rivoluzione e

conservazione, fiducia e diffidenza, in

bilico tra ortodossia ed eresia

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ne..., date dai fatti dell’esperienza, non gli permetto-no di accettare condizioni troppo restrittive, nella co-struzione del suo mondo concettuale».Alla luce delle considerazioni precedenti, quali sonole doti umane di cui un fisico ideale dovrebbe essereprovvisto? Egli costituisce un’insolita miscela di au-dacia e prudenza, rivoluzione e conservazione, fidu-cia e diffidenza, in bilico tra ortodossia ed eresia. Daun lato, deve possedere curiosità intellettuale, deside-rio di nuove scoperte, spirito di innovazione, capacitàdi vedere oltre l’apparenza delle cose. Dall’altro, nondeve lasciarsi trasportare da eccessiva passione perciò che lui stesso o altri hanno scoperto, mantenendoun certo distacco e esercitando un profondo spiritocritico nei confronti di ogni nuovo risultato. Alla fine,sussiste tra i fisici un principio di reciproca sfiducia,che si può sintetizzare così: «Non credo che tu abbiadavvero fatto una cosa fino a quando non l’ho fattaanch’io».Ecco da cosa deriva il difficile equilibrio che il fisicodeve sforzarsi di mantenere: mancare di audacia nel-le ipotesi può renderlo cieco dinanzi a un fatto nuo-vo, a una scoperta ma averne troppa può significaregiocarsi la reputazione, e veder quindi sminuita lapropria credibilità di fronte alla comunità scientifica.

Enrico Fermi: la creatività in essere

Enrico Fermi è stato un buon esempio di questo at-teggiamento intrinsecamente conflittuale del fisico:intento a tenere ben imbrigliata l’intuizione scientifi-ca per paura che essa lo portasse a conclusioni av-ventate, anche se vere, tuttavia, di fronte a fatti speri-mentali nuovi e inoppugnabili, era un fulmine di ma-tematica nel percorrere la nuova via aperta dall’espe-rimento per giungere fino alle estreme conseguenze.Di fatto, egli rimane un esempio unico (e probabil-mente inimitabile) di fisico moderno che sia riuscitoa dare contributi di altissimo livello sia nel campodella fisica sperimentale che in quello della fisicateorica. La sua attività ha spaziato nei più disparaticampi della fisica. Dalla relatività generale (trasportodi Fermi-Walker) alla meccanica statistica (statisticadi Fermi-Dirac, da cui il nome di fermioni dato alleparticelle a spin semintero); dalla fisica nucleare (percui ottenne il Nobel nel 1938) alla fisica delle parti-celle (con la teoria del decadimento beta). E fu il pri-mo a realizzare a Chicago, nel 1942, la prima reazio-ne nucleare controllata (la pila atomica). Così ArthurCompton, dell’Università di Chicago, comunicò tele-

fonicamente la notizia a J. B. Conant a Harvard: «Ilnavigatore italiano è sbarcato nel Nuovo Mondo»«Come si sono comportati gli indigeni?» «Moltoamichevolmente». Sette anni dopo, il 16 marzo 1946,sempre a Chicago, venne conferita allo scienziatoitaliano la medaglia al merito del Congresso degliStati Uniti, con la seguente motivazione: «Al dott.Enrico Fermi per la condotta eccezionalmente meri-toria nell’assolvimento di importanti servigi al Di-partimento della Guerra, in attività che richiedevanogrande responsabilità e valore scientifico in relazioneallo sviluppo della maggior arma militare di ognitempo, la bomba atomica. (…) Grande fisico speri-mentale, il suo sicuro discernimento scientifico, lasua iniziativa, le sue risorse, e il fermo attaccamentoal dovere hanno apportato un contributo vitale al suc-cesso del progetto della bomba atomica».Lewis L. Strass, Presidente della Commissionedell’Energia Atomica americana, nel celebrare la me-moria di Fermi nel 1955 un anno dopo la sua morte,ebbe a dire: «Quest’uomo, vissuto per 15 anni tra noicon profonda modestia, è stato il vero architettodell’era atomica. Il Navigatore italiano Fermi, comeColombo, ha scoperto un nuovo continente, più an-cora un Nuovo Mondo. A noi non resta che porre lemani su questa terra da lui scoperta a beneficio del-l’umanità».

Gli esperimenti di via Panisperna

Negli anni Trenta il Regio istituto fisico dell’Universitàdi Roma era ospitato in un palazzo ottocentesco in viaPanisperna (ora sede del Centro di ricerche e museoEnrico Fermi). Direttore dell’Istituto era Orso MarioCorbino, cui va riconosciuto l’indiscusso merito diaver compreso il valore del giovane Fermi (per il qualefece istituire la prima cattedra di fisica teorica in Italia),e di consentire la creazione di un gruppo di ricerca diassoluta levatura, i “ragazzi di via Panisperna”: oltreFermi, il maestro, Franco Rasetti, Emilio Segré, Edoar-do Amaldi e, ultimi, Ettore Majorana e Bruno Ponte-corvo. Del gruppo faceva inoltre parte il chimico OscarD’Agostino.Gli studi del gruppo si indirizzarono sul problema dellaradioattività indotta dai neutroni. Il materiale radioatti-vo era fornito da Giulio Cesare Trabacchi, direttore delLaboratorio di fisica dell’Istituto superiore di sanità.

Negli anni Trenta presso il Regio istituto

fisico dell’Università di Roma, ospitato in

un palazzo ottocentesco in via Panisperna,

si costituì sotto la direzione di Orso Mario

Corbino, un gruppo di ricerca di assoluta

levatura: i “ragazzi di via Panisperna”:

Enrico Fermi, Franco Rasetti, Emilio

Segré, Edoardo Amaldi e, ultimi, Ettore

Majorana, Bruno Pontecorvo e il chimico

Oscar D’Agostino

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Enrico Fermi in laboratorio, Università di Chicago, 1942

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Gli esperimenti venivano condotti in modo sistemati-co, a partire dagli elementi più leggeri. Le cose all’ini-zio filarono abbastanza lisce. Ma quando si arrivò al-l’argento, si verificarono fatti inspiegabili. Venne sceltala radioattività dell’argento come punto di riferimento,e fu affidato ad Amaldi e a Pontecorvo il compito dieseguire le misure sperimentali per determinare unascala di radioattività. Ma essi si trovarono presto difronte a difficoltà incomprensibili. Non riuscivano a ot-tenere risultati riproducibili a parità di condizioni: ognivolta era una sorpresa e un risultato diverso, come sel’argento si comportasse a suo piacimento. La radioat-tività variava da giorno a giorno, e dipendeva persinodal tavolo su cui si effettuava l’esperimento.

I secchi della sora Cesarina

Fermi grazie al suo sorprendente intuito fisico avanzòl’ipotesi che l’effetto fosse dovuto al rallentamentodei neutroni da parte di oggetti presenti nel laborato-rio di Rasetti, dove gli esperimenti venivano effettua-ti. Fece quindi sgomberare il laboratorio da tutti glioggetti superflui, ma il comportamento anomalo con-tinuava. Ugherio Marani era il portiere del Regio Isti-tuto Fisico e sua moglie, la signora («sora», in dialet-to romanesco) Cesarina, aveva il compito di pulire ilocali dell’Istituto. Un giorno di quell’ottobre del1934 il Marani raccontò ai tecnici che sua moglie erastata aspramente rimproverata dal Cavalier Zanchi(economo e custode dell’Istituto) per aver violato unsuo preciso ordine e aver bagnato un corridoio. Erastato fatto tassativo divieto alla Cesarina di riempirealle fontane dei piani i secchi d’acqua per pulire i pa-vimenti. Ella doveva a tale scopo servirsi esclusiva-mente del lavandino del pianterreno, e portare poi isecchi pieni d’acqua su per le scale, senza usufruire(per evitare di bagnarlo) dell’ascensore, che venivausato dal senatore Corbino per recarsi all’ultimo pia-no, dove abitava. La sora Cesarina, avanti negli annie non più in forze, escogitò lo stratagemma di riempi-re i secchi in uno dei laboratori, quello di Rasetti, e din a s c o n d e r l isotto un tavolodotato di ten-dine azzurreche ne copri-vano le gambee quindi occul-tavano i sec-chi. Il tavoloera quello usa-to da Pontecor-vo per le suemisure. Qual-cuno si accor-se un giornodei secchi conl’acqua, forselo stesso Fer-mi. Amaldi eRasetti chiese-ro quindi alla

sora Cesarina a che ora fosse solita lasciar lì quei sec-chi. A questo punto, per decisione di Fermi, vi fu l’e-sperimento nella vasca dei pesci rossi. In una tiepidagiornata di sole, i tecnici portarono i rivelatori di ra-diazione giù dal primo piano e assistettero alle variefasi dell’esperimento. Erano stati quindi i secchi dellasora Cesarina a suggerire l’esperimento della vasca, eil conseguente rallentamento dei neutroni da partedell’acqua!Esiste un ulteriore, importante elemento: la sora Ce-sarina aveva lasciato nel laboratorio, oltre ai secchicon l’acqua, anche la paraffina, con la quale all’epo-ca si lustravano i pavimenti. Negli anni Trenta, la pa-raffina usata a tale scopo era confezionata in bloc-chetti, che venivano strusciati sui pavimenti per luci-darli dopo averli lavati. A questo punto, sotto il tavo-lo del laboratorio si trovavano due possibili indiziati:l’acqua e la paraffina. Fu naturale prendere in consi-derazione l’acqua, giacché vi si trovava in maggiorequantità. Ma restava aperto un interrogativo: poichél’acqua è composta d’idrogeno e ossigeno, dagli urticon quale di questi due elementi venivano rallentati ineutroni? È certo che questo problema non sfuggì al-la mente inquisitrice di Fermi. La paraffina è compo-sta d’idrogeno e carbonio; l’unico elemento chimicoin comune con l’acqua è l’idrogeno; quindi, se la pa-raffina avesse dato il medesimo risultato dell’acqua,la risposta non poteva che essere una sola: erano gliurti con l’idrogeno a rallentare i neutroni. Ecco spie-gato il perché della ripetizione dell’esperimento conla paraffina.I ragazzi di via Panisperna non si resero conto di ave-re ottenuto, per la prima volta nella storia, la fissionenucleare, cioè di avere spezzato il nucleo dell’atomo(come disse Segrè «Dio per i suoi imperscrutabili di-segni ci rese tutti ciechi di fronte al fenomeno dellafissione nucleare»). Fermi più tardi rimediò a questasua momentanea cecità, con la realizzazione della pi-la atomica, e con il suo fondamentale contributo allacostruzione della bomba atomica. Majorana scompar-

ve, Pontecorvosi trasferì inRussia. Rasetti,passato in Ca-nada, quando sirese conto diquello che ave-vano fatto, rin-negò la fisica, esi dedicò a duesue vecchiepassioni, la pa-leontologia e labotanica, e di-venne uno spe-cialista indi-scusso in en-trambe le disci-pline. Ma que-sta è un’altrastoria. 19

“I ragazzi di via Panisperna”. Da sinistra: Oscar D’Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi,Franco Rasetti ed Enrico Fermi, in uno scatto del 1934

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Sempre più persone sipreoccupano oggi perle sorti dell’umanità edell’ecosistema e au-spicano una società piùgiusta e pacifica, un’e-conomia più etica, unosviluppo ecosostenibi-le, una democrazia piùpartecipata. Molte diesse si impegnano inprima persona, o se-guendo la via dell’atti-vismo politico, o assu-mendo stili di vita coe-

renti con i valori della pace, dei diritti umani, del ri-spetto dell’ambiente, della qualità della vita, dellerelazioni costruttive, della consapevolezza e cresci-ta personale. Sono i creativi culturali, cioè i “crea-tori attivi di una nuova cultura”. Coniata negli anni Novanta dal sociologo america-no Paul Ray, questa etichetta descrive tutti coloroche manifestano un deciso atteggiamento critico neiconfronti della cultura dominante – contrassegnatada materialismo, tecnocrazia, sviluppo economicoillimitato, sfruttamento indiscriminato della natura,logica del profitto ad ogni costo etc. – e che ricerca-no e promuovono nuovi valori e nuove visioni delmondo volti a orientare in direzioni più sane, pacifi-che ed ecosostenibili i rapporti con se stessi, con glialtri e con il pianeta. Ma quanti sono, in Italia e nel mondo, i creativi cul-turali? Si tratta di esigue minoranze o di parti rile-vanti della popolazione?

Le prime due ricerche nazionali svolte da Ray nellaseconda metà degli anni Novanta indicavano che icreativi culturali erano tra il 23% e il 26% degliamericani adulti, contraddicendo l’opinione diffusatra i politici e gli studiosi che si trattasse solo digruppuscoli minoritari. Tali dati riguardavano peròsolo gli USA, e così, su iniziativa del Club of Buda-pest e con il coordinamento scientifico di chi scrive,

sono state condotte, tra il 2005 e il 2008, analoghericerche anche in Italia, Francia, Germania, Unghe-ria e Giappone ed è stata altresì effettuata una terzaricerca negli USA. Grazie a ciò è emerso che questofenomeno non è confinato alla realtà statunitense,ma si estende anche ad altri paesi, almeno quelli delcosiddetto “primo mondo”, rivelando uno scenarioincoraggiante per tutti coloro che hanno a cuore l’e-voluzione del genere umano e le sorti del pianeta.Illustrate in anteprima mondiale nel libro di EnricoCheli e Nitamo Montecucco I Creativi Culturali.

Persone nuove e nuove idee per un mondo migliore(Xenia edizioni, 2009), tali ricerche rivelano che gliindividui sensibili ai suddetti valori oscillano tra il60% e l’85% dell’intera popolazione adulta. Inoltreuna parte consistente di essi mostra particolare coe-renza e impegno, cercando di applicare tali valorinella propria vita quotidiana. Sono questi ultimi ap-punto che vengono definiti creativi culturali, la cuiincidenza sulla intera popolazione adulta oscilla daun minimo del 30% (Giappone) fino a un massimodel 38% (Francia), con Italia e USA inaspettata-mente allo stesso livello (35%).

Pur essendo costituita da individui e gruppi socialidiversificati, questa avanguardia culturale presentaalcuni aspetti comuni quali: sensibilità ecologica;attenzione alla pace e alla qualità delle relazioni in-terpersonali; interesse verso la crescita personalee/o spirituale; disinteresse per l’esibizione della po-sizione sociale; parità di diritti tra maschi e femmi-ne; fiducia nella possibilità di una evoluzione posi-tiva dell’individuo e della collettività. Inoltre, icreativi culturali hanno la tendenza a prendere le di-stanze dall’edonismo, dal materialismo, dal cinismomentre danno molto peso ai valori della autenticitàe della integrità. Per questa ragione, molti disdegna-no la cultura del business, i media, il consumismo.

Enrico Cheli

Creativi culturali per un mondo miglioreI sorprendenti risultati di ricerche sociologiche internazionalisulla cultura olistica emergente

di Enrico Cheli

Creativi culturali: un’etichetta coniata

negli anni Novanta dal sociologo

americano Paul Ray per descrivere tutti

coloro che manifestano un deciso

atteggiamento critico nei confronti della

cultura dominante

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Questa avanguardia culturale presenta

alcuni aspetti comuni quali: sensibilità

ecologica, attenzione alla pace e alla

qualità delle relazioni interpersonali,

interesse verso la crescita personale e/o

spirituale, disinteresse per l’esibizione

della posizione sociale, parità di diritti

tra maschi e femmine, fiducia nella

possibilità di una evoluzione positiva

dell’individuo e della collettività

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Essi sono inoltre disincantati dall’idea di “averepiù cose”, mentre mettono una grande enfasi nel-l’avere “nuove ed uniche esperienze” e rappresen-tano il mercato centrale per le terapie e medicinealternative, i cibi naturali, la psicoterapia, i corsi eseminari di crescita personale, le nuove forme dispiritualità. Prediligono il consumo critico e siorientano all’acquisto e fruizione di prodotti cultu-rali più che materiali, producendo in molti casi lorostessi cultura.Il merito forse più originale e importante delle in-dagini sui creativi culturali è di aver preso in esa-me in un unico progetto di ricerca valori e stili divita finora studiati separatamente, considerandoliinvece come aspetti diversi di un unico paradigma

culturale emergente. Negli ultimi decenni vari ri-cercatori di diverse nazionalità hanno effettuato in-dagini su singoli settori e aspetti del mutamentoculturale in atto – dal post-modernismo alla culturadella pace, dall’ambientalismo al consumo critico,dalle medicine e terapie alternative ai percorsi dicrescita personale – ma nessuno di loro, che si sap-pia, ha mai studiato tutti questi settori contempora-neamente, come aspetti interconnessi di un unicomacrofenomeno. I creativi culturali si definisconotali proprio in quanto mostrano atteggiamenti co-muni nei confronti di molti dei valori suddetti. Leloro visioni del mondo inoltre si caratterizzano peruna comune matrice olistica (dal greco olos: «iltutto», «l’intero»). È ad esempio olistica la visionedegli ecologisti e dei pacifisti secondo cui ciò che

avviene nelle diverse zone del pianeta – dalla defo-restazione dell’Amazzonia allo scioglimento deighiacci polari, dalle guerre in Medio Oriente aiconflitti in Afghanistan – non è separato e isolatodal resto del pianeta ma può avere gravi ripercus-sioni anche in luoghi fisicamente lontani e su livel-li anche molto diversi da quello di partenza. Analo-gamente, è olistico il concetto di «qualità della vi-ta» in quanto considera la felicità non come meroprodotto dell’avere economico ma come risultantedell’equilibrio globale tra i diversi bisogni dell’es-sere umano. È altresì olistica la visione delle medi-cine alternative, che considerano l’essere umanocome sistema interdipendente, in cui la salute cor-porea non è separata – né separabile – da quellamentale, emozionale, esistenziale e coscienziale (o,secondo alcuni, spirituale). Per i motivi suddetti icreativi culturali sono considerabili una forza po-tenzialmente unificante a livello politico e sociale;una forza che non solo rappresenta una quota im-portante della popolazione occidentale, ma che èanche in rapida crescita. Confrontando infatti i datidelle 3 ricerche condotte da Ray negli USA si notache i creativi culturali sono passati dal 23.6% diamericani adulti nel 1995, al 35% del 2008, conuna percentuale annua media di crescita di circa il3%. Nelle elezioni del 2008, il loro numero è statosufficiente a fare la differenza per la vittoria delpresidente Obama, che ha basato il suo programmaelettorale su valori e questioni particolarmente vi-cine ai creativi culturali.

21Da sinistra: Ervin Laszlo, Paul Ray, Enrico Cheli, Nitamo Montecucco

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Se l’obbiettivo comu-ne dei creativi cultura-li è “cambiare la cultu-ra per cambiare ilmondo”, va detto chenon tutti lo perseguo-no nello stesso modo:alcuni sono più orien-tati verso l’attivismopolitico e i movimentiorganizzati, come gliecologisti e i pacifisti,mentre altri preferi-scono un cammino ditrasformazione inte-riore e/o spirituale, ri-tenendo che il cambia-mento debba avvenirein primo luogo a livel-lo individuale. Le ri-cerche svolte suggeri-scono che le suddetteposizioni non vanno considerate antagonistiche masemmai complementari: per cambiare il mondo oc-corre sia un lavoro su piani collettivi, socioculturalie politici, sia un lavoro su piani più individuali, in-teriori e interpersonali.

Un altro punto che emerge dalle ricerche è che icreativi culturali si sottostimano ampiamente, cre-dendo di essere una esigua minoranza. Ciò dipendesoprattutto dal fatto che i media parlano assai di ra-

do dei temi, valori eproposte innovative incui essi si riconosco-no, preferendo trattarenotizie in accordo conla cultura dominante ela politica tradiziona-le. In tal modo gli in-novatori si convinconodi essere pochi e mar-ginali mentre invecenon è affatto così. For-tunatamente, grazie al-le ricerche qui presen-tate, è possibile oggidisporre di un quadropiù veritiero della si-tuazione, ribaltandomolti luoghi comuni edando una forte caricadi speranza a tutti co-loro che auspicano un

mondo migliore. Leggere il libro più sopra citatoha aiutato molti creativi culturali che non sapevano

di esserlo, o che credevano di essere soli, a prende-re coscienza della propria identità e numerositàcomprendendo meglio il ruolo che possono svolge-re per contribuire positivamente al mutamento epo-cale in corso.

Pace, ambiente, qualità della vita, crescita personale e spirituale interessano sempre più per-sone, ma quante esattamente? Quante sono preoccupate per il mutamento climatico, l’inqui-namento, i conflitti, l’ingiustizia sociale e auspicano un'economia più etica, un modello disviluppo ecosostenibile, uno stile di vita più sano e naturale, un cambiamento evolutivodell’individuo e del pianeta?L’opinione finora prevalente era che si trattasse di gruppuscoli minoritari, ma recenti ricerchesociologiche svolte in Italia, America, Francia, Giappone, che questo libro presenta in antepri-ma mondiale con un linguaggio comprensibile a tutti, rivelano sorprendentemente che tra il60% e l’85% della popolazione è sensibile ai suddetti valori e oltre il 35% lo è in modo parti-colarmente coerente: sono i Creativi Culturali, cioè i “creatori attivi di una nuova cultura”.Essi prendono le distanze da materialismo, consumismo, ostentazione della posizione socia-le, cultura del business e dei media e danno invece molto peso ad etica, autenticità, rispettoper gli altri e per la natura. Prediligono il consumo critico e sono interessati a medicine alter-native e terapie olistiche, alimenti biologici, cosmetici e farmaci naturali, psicoterapia e co-unseling, corsi e seminari di crescita personale, nuove forme di spiritualità. I creativi cultura-li sono dunque l’avanguardia di un possibile cambiamento epocale e questo libro ne illustradimensioni, protagonisti, caratteristiche e prospettive. (da www.enricocheli.com)

Enrico Cheli, Nitamo Montecucco, I creativi culturali. Persone nuove e nuove idee per un

mondo nuovo, Milano, Xenia Edizioni, 2009

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Negli Stati Uniti i creativi culturali sono

passati dal 23.6% di americani adulti

nel 1995, al 35% del 2008, con una

percentuale annua media di crescita di

circa il 3%. Nelle elezioni del 2008, il

loro numero è stato sufficiente a fare la

differenza per la vittoria del presidente

Obama

I creativi culturali si sottostimano

ampiamente, credendo di essere una

esigua minoranza. Ciò dipende dal fatto

che i media parlano di rado di temi,

valori e proposte in cui essi si

riconoscono

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Dal 28 al 30 novembre2011, al Teatro Palla-dium dell’UniversitàRoma Tre si è tenuto ilXVII convegno interna-zionale di studi cinema-tografici dedicato al te-ma “Cinema & Diversi-tà Culturale”. Direttoscientificamente daGiorgio De Vincenti eMarco Maria Gazzano,è stato organizzato dal

Dipartimento Comunicazione e spettacolo di RomaTre. Come quello del 2008 (“Cinema & Politica: me-dia, democrazia e territorio nell’era della globalizza-zione”) e del 2009 (“Cinema italiano & Culture euro-pee”) ha avuto l’adesione del Capo dello Stato e l’o-norificenza di una medaglia attribuita all’iniziativadal Presidente della Repubblica. L’iniziativa del2011 ha idealmente concluso una “trilogia” che hainteso dare il suo contributo a un dibattito il quale –insieme con quello sulle fonti d’energia, sul cambioclimatico e sullo sviluppo sostenibile – sarà nel pros-simo futuro sempre più al centro delle dinamiche po-litiche e sociali del pianeta.La storia stessa del concetto di “diversità culturale”mostra la sua pregnanza umana e sociale. Nata come“eccezione” relativa alle produzioni artistiche nazio-

nali nel mercato internazionale, la “diversità” cultu-rale ha vissuto un iter di trasformazioni significative,che ha portato dapprima ad ampliare il concetto dicultura facendone un sinonimo del concetto di identi-

tà (a salvaguardia delle culture particolari dei nuovistati indipendenti che si venivano a costituire negli

anni della guerra fredda e come resistenza all’effettouniformatore delle tecnologie), quindi a coniugare ilconcetto di cultura con quello di sviluppo (che pone-va la questione delle economie più deboli), e infine astabilire un forte legame tra i concetti di cultura, de-

mocrazia e tolleranza (anche all’interno di ciascunsingolo Paese), con uno sguardo attento ai problemidella coesistenza, resi oggi più vivi e complessi dalla

Marco Maria Gazzano

Cinema e diversità culturaleIl XVII convegno internazionale di studi cinematografici promosso dal Di.Co.Spe.

di Marco Maria Gazzano

Negli ultimi dieci anni l'Unesco si è

proposta di sollecitare politiche culturali

volte a rafforzare la coesione sociale

all'interno di società che sono per

tradizione o sono diventate

multiculturali e multietniche, e a

proteggere le eredità culturali e la

diversità di proprietà intellettuali e

artistiche

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Page 24: Roma Tre News 1/2012

cultura della glo-balizzazione (lega-me volto a focaliz-zare e risolvere lep r o b l e m a t i c h econnesse con i te-mi dell’accoglien-za e della coesi-stenza).Negli ultimi diecianni l’Unesco si èproposta di solleci-tare politiche cultu-rali volte a raffor-zare la coesionesociale all’internodi società che sonoper tradizione, o sono diventate, multiculturali e mul-tietniche, e a proteggere le eredità culturali e la diver-sità di proprietà intellettuali e artistiche (copyright).Nel 2001 (l’anno delle Twin Towers) gli stati membrihanno adottato la Dichiarazione universale della di-versità culturale, in cui per la prima volta la diversitàculturale è considerata “patrimonio comune dell’u-manità”. L’art. 1 della Dichiarazione recita infatti tral’altro: «Come fonte di scambio, innovazione e crea-tività, la diversità culturale è necessaria per l’umanitàquanto la biodiversità per la natura. In questo senso,è il patrimonio comune dell’umanità e dovrebbe es-sere riconosciuta e affermata per il bene delle gene-razioni presenti e future».È iniziato così un percorso, la cui prima fase si èconclusa nel 2005, con la realizzazione delle singoleCostituzioni nazionali della diversità culturale, e cheprosegue oggi con la messa a punto di programmiadeguati al tema, in cui sono impegnati circa cento-cinquanta Paesi, tra i quali il nostro.

Il convegno, attraverso relazioni, tavole rotonde, per-formance artistiche, proiezioni di film, video e altrimateriali audiovisivi, ha messo a fuoco la dimensionenazionale e quella planetaria del tema della diversitàculturale, senza tralasciare l’apporto che il nostro Pae-se, attraverso l’opera capillare degli enti locali e quel-la del governo e degli organismi nazionali sta dandoalla crescita di una consapevolezza forte rispetto al te-ma e alle sue diverse, problematiche, declinazioni.

Anche in conside-razione del fattoche proprio l’Italia,attraverso la suaCoalizione per ladiversità culturale,che riunisce diver-se importanti isti-tuzioni, ha propo-sto all’ONU di ag-giungere un 9°Millennium Goal,relativo proprio al-la vitalità della cul-tura, agli altri ottogià decisi dall’or-ganismo mondiale

e relativi ai temi della fame, della liberazione da cer-te malattie endemiche, delle pari opportunità. Nellaconsapevolezza che diversi degli altri otto obiettiviONU del millennio trovano il terreno della propriarealizzazione proprio nel quadro del riconoscimentodel ruolo che in ciascuno Stato svolgono le tradizioniculturali, le identità e il dialogo tra queste tradizionie identità a livello planetario.Cofinanziato dalla Regione Lazio e dal Ministero deiBeni e delle attività culturali il convegno “Cinema &Diversità Culturale”, oltre che di alto profilo scienti-fico, è stato un evento internazionale – e anche spet-tacolare – di incontro tra studiosi e artisti provenientida quattro continenti (America, Europa, Africa eAsia).Un film presentato all’ultima Mostra internazionaledel cinema di Venezia non distribuito in Italia (Holly-

wood Talkies, alla presenza degli autori Oskar Pereze Mia de Ribot), due spettacoli teatrali (Numa. Ovve-

ro Roma non fu fatta in un giorno, sulle origini mul-ticulturali di Roma fin dall’antichità, di e con SistaBramini/O Thiasos Teatro Natura; Sueňa Quijano

Universitalitas. Work in progress con vista su Roma

Tre, di e con Carlo Quartucci e Carla Tatò, sulla ne-cessità di una ininterrotta ricerca espressiva), due let-ture di poesia, un incontro con altrettanti poeti norda-mericani (John Giorno e Lance Henson, esponentidel mosaico culturale che è alle origini degli StatiUniti), una rassegna internazionale di videoarte allaquale hanno partecipato i maggiori artisti che nelpassaggio etico e tecnologico contemporaneo si sonoefficacemente confrontati con i nuovi linguaggi delcinema e della narrazione. Più che un convegno accademico, un autentico “pa-linsesto” nel quale “navigare”: un incontro interdisci-plinare tra le arti e la comunicazione (cinema, teatro,videoarte, musica, nuovi media) che ha tracciato –dal cinema di Hong Kong a quello dell’Africa, daquello dell’America Latina a quello europeo alla cul-tura dei nativi americani – molti possibili “ponti” trale culture e le genti.In nome di un concetto di “diversità” – culturale e nonsolo – e di “differenza”, capace di farsi consapevolez-za della democrazia e della conoscenza reciproca:

«Come fonte di scambio, innovazione e

creatività, la diversità culturale è

necessaria per l'umanità quanto la

biodiversità per la natura. In questo

senso, è il patrimonio comune

dell'umanità e dovrebbe essere

riconosciuta e affermata per il bene delle

generazioni presenti e future». Così recita

l’articolo 1 della Dichiarazione universale

della diversità culturale

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contro tutte le tentazioni di pensiero, ed economia,unici. Un valore aggiunto per una cultura contempo-ranea.Tra le personalità che hanno partecipato: il giuristaStefano Rodotà, il compositore Luigi Cinque, il filo-sofo Giacomo Marramao, il presidente di EutelsatItalia Giuliano Berretta, il dirigente di Slow FoodPiero Sardo, il segretario generale di EurovisioniGiacomo Mazzone, il direttore di Rai News 24 Cor-radino Mineo, il regista Ugo Gregoretti, l’architettoRenato Nicolini, l’economista Lucio Argano del Fe-

stival Internazionale del Cinema di Roma, gli specia-listi in cinema e nuovi media latinoamericani FelipeCesar Londono, Carlos Adolfo Escobar (Universidadde Caldas, Manizales, Colombia) e José Blanco(Universidad Santo Tomas, Santiago del Cile), i criti-ci Alberto Pezzotta (Corriere della Sera), AntonellaGaeta (La Repubblica), Raffaele Barberio (direttoredi Key4Biz), il giurista Carlo Alberto Graziani, l’av-vocato Andrea Piqué, l’urbanista Massimo Sargolini,il segretario generale della Coalizione italiana per ladiversità culturale Silvana Buzzo, il compositore

Nicola Sani, il fotografo Roberto Villa, il regista An-tonello Faretta, le ricercatrici Alessandra Campoli,Elisa Giomi oltre, naturalmente, ai Colleghi e ai ri-cercatori, assegnisti e dottorandi del Di.Co.Spe.; gliartisti Mario Sasso, Theo Eshetu, Adriana Amodei,Robert Cahen, Olga Lucia Hurtado, Steven Partrid-ge, Martino Nicoletti, Silvia Stucky, Francisco Ca-banzo, Rosario Galli, Lino Strangis, Giacomo Ver-de, tra gli altri.Seguito da più di seicento persone dalle nove delmattino a mezzanotte e trasmesso in diretta video-streaming sul web, il convegno è stato un indubbiosuccesso anche di critica nonché di riconoscimentiistituzionali, proponendo – ovviamente in una “nar-razione aperta” – evocazioni e assonanze, contiguitàsceniche e critiche tra cinema, televisione, rete, tea-tro, videoarte e musica precipitate di volta in voltadalle sessioni del convegno alle performance e aglispettacoli o alle videoinstallazioni e ritorno. Su untema complesso quanto poco conosciuto in Italiaquale quello della “diversità culturale” e delle suemolteplici linee di tensione. Una formula “convegnistica” sperimentata dalDi.Co.Spe. diretto da Giorgio De Vincenti fin dal2002: un modello che conferma la sua efficacia aun tempo di laboratorio di ricerca scientifica e dispettacolarità visionaria, capace di porsi in una rela-zione forte anche con il territorio, la città, la regio-ne, e non solo.Un percorso di ricerca e di confronto interdisciplina-re, esaltato dall’apporto delle nuove tecnologie dellacomunicazione che troverà, alla fine del 2012, unaulteriore tappa nel XVIII convegno internazionale distudi cinematografici “Cinema & Rete”.

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Più che un convegno accademico, un

autentico “palinsesto” nel quale

“navigare”: un incontro interdisciplinare

tra le arti e la comunicazione (cinema,

teatro, videoarte, musica, nuovi media)

che ha tracciato molti possibili “ponti”

tra le culture e le genti

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Nel gennaio 2011 ricor-reva un inosservato an-niversario, quello dellamorte di Leonardo Sini-sgalli: il poeta, l’inge-gnere, l’art director, ilpubblicitario, il diretto-re di Civiltà delle mac-

chine. Al trentennaledella sua morte non so-no stati dedicati spazigiornalistici né iniziati-ve di alcun genere, seb-bene la presenza di Si-

nisgalli nel Novecento italiano fosse stata quella diuna figura davvero unica. Partito da Montemurro inprovincia di Potenza e giunto a Roma nel 1925 perstudi di matematica e fisica, avrebbe potuto far partedel gruppo dei ragazzi di via Panisperna se non aves-se conosciuto la poesia: eppure non si può dire che ilgiovane Leonardo avesse abbandonato del tutto unastrada per seguirne un’altra. Questa doppia anima,questa stella scientifico-letteraria (la «stella forcuta»che appare nei cieli di tante sue liriche) continuò abrillare nel corso dell’intera sua carriera, tanto chequalcuno in anni più recenti ha ipotizzato persino chedietro al dimenticatoio (per usare il titolo di una suaraccolta poetica del 1978) in cui a un tratto cadde ilsuo nome, vi fosse proprio quel non essersi mai deci-so a favore dell’uno o dell’altro settore, quella suaversatilità al serviziodell’arte come dellascienza, quella diffi-coltà nel tentativo dicatalogare le sue ope-re, di attaccargli – co-me sempre e conchiunque si cerca difare – una comoda eti-chetta.Una serie di circostan-ze portarono un Sini-sgalli già poeta (e poe-ta affermato che pote-va vantare come suoprimo critico addirittu-ra Giuseppe Ungaretti)a lavorare per impor-tanti aziende italiane(Olivetti, Alitalia, Pi-relli, Bassetti, Eni, trale altre); nella suacreatività venivano al-

lora a incontrarsi competenze da ingegnere laureato epassioni artistiche di vario genere (letterarie intanto,ma anche cinematografiche, pittoriche, architettoni-che e grafiche in senso lato), e nascevano campagnepubblicitarie, nomi di prodotti, slogan e loghi, cheavrebbero fatto la storia di quelle stesse aziende eche rendevano Sinisgalli una sorta di genio del mar-keting ante litteram. Parlando con sua moglie, Giorgia de Cousandier,Sinisgalli trovò il nome adatto per un’autovetturaprodotta dall’Alfa Romeo (come poteva non essereGiulietta?); disegnò il celebre cane a sei zampe

dell’Eni (a indicare che le gambe dell’uomo, som-mate alle gomme della macchina, creavano un nuo-vo “mostro” della modernità); per pubblicizzareuna macchina da scrivere della Olivetti, la Studio44, pensò all’immagine di una rosa inserita in uncalamaio (come a dire che ormai penna e inchio-stro sarebbero servite a ben poco, e semmai a farda vaso a una rosa...). E ancora: sui cartelloni ditutta Italia, da nord a sud, alla fine degli anni Qua-ranta si poteva trovare un manifesto raffigurante

una semplice suola discarpa accompagnatadall’altrettanto sem-plice, ma funzionaleslogan sinisgalliano:Camminate Pirelli. Come dimostra Civil-

tà delle macchine, unarivista rimasta – poi-ché inimitabile – dav-vero unica nella storiadel giornalismo italia-no e con la quale sivoleva «spiegare lemacchine agli inge-gneri e ai poeti», Sini-sgalli cercò sempre diquantificare, misura-re, calcolare i l nonquantificabile, il noncatalogabile (comequando nel 1972, aRecanati, a un conve-

La doppia stella di Leonardo SinisgalliL’uomo che voleva «spiegare le macchine agli ingegneri e ai poeti»

di Michela Monferrini

Una doppia anima, una stella scientifico-

letteraria (la «stella forcuta» che appare

nei cieli di tante sue liriche) continuò a

brillare nel corso dell'intera sua carriera

Michela Monferrini

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Leonardo Sinisgalli

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gno su Giacomo Leopardi presentò una serie dimappe numeriche leopardiane – mappe di settenari,di endecasillabi, di rime – lasciando, più che per-plesso, sbigottito l’uditorio dei critici accademici),e viceversa di estrarre la poesia da numeri veri, daifenomeni fisici, persino dalle formule chimiche.Vanno in questa doppia direzione una serie di ini-ziative che oggi appaiono forse anacronistiche eche pure mantengono inalterato il loro fascino.Proprio da direttore di Civiltà delle macchine Sini-sgalli “spedì”, come inviati speciali, poeti e intel-lettuali a visitare le fabbriche: nacquero così i re-

portage di Salvatore Quasimodo dalle OfficineSant’Eustachio di Brescia, di Giorgio Caproni daiCantieri navali dell’Ansaldo di Genova, di MichelePrisco dalla Fabbrica Metalmeccanica Italiana diNapoli, di Mario Mafai dagli stabilimenti siderur-gici di Pozzuoli, di Carlo Emilio Gadda e Ungarettidalla Centrale termoelettrica di Comigliano. I testi

che ne vennero fuori sono oggi pubblicati nel volu-me L’anima meccanica. Le visite in fabbrica in

“Civiltà delle macchine”, pubblicato da Avagliano.Allo stesso modo, da consulente di Alitalia, che glifece visitare il mondo intero, nel 1962 Sinisgalliideò la campagna «Bambini e Jet»: accompagnògruppi di bambini in età scolare a visitare gli aero-porti intercontinentali e alcuni disegni di questi pic-coli viaggiatori, riprodotti fotograficamente da ungrafico e corredati da testi dello stesso Sinisgalli,

vennero scelti per manifesti, poster e cartellonipubblicitari dell’Alitalia in varie zone del mondo.L’originale iniziativa ottenne un successo straordi-nario, tanto che alcune immagini furono inseritenell’Annuario internazionale della grafica 1962-63.Il “creativo” delle grandi aziende di oggi – vienedunque da domandarsi – è forse maggiormente vin-colato a numeri di vendita, tabelle, precise strategiedi marketing, o è semplicemente un “creativo menocreativo”? Nell’uno e nell’altro caso andrebbero for-se riscoperte le figure di quanti hanno fatto, in unadata disciplina, la storia del nostro paese: a trent’annidalla morte possono ancora parlare con noi.

Da direttore di Civiltà delle macchine,

Sinisgalli “spedì”, come inviati speciali,

poeti e intellettuali a visitare le

fabbriche: nacquero così i reportage di

Salvatore Quasimodo dalle Officine

Sant'Eustachio di Brescia, di Giorgio

Caproni dai Cantieri navali dell'Ansaldo

di Genova, di Mario Mafai dagli

stabilimenti siderurgici di Pozzuoli, di

Carlo Emilio Gadda e Ungaretti dalla

Centrale termoelettrica di Comigliano

Il rapporto tra scienza e letteratura in Leonardo Sinisgalli è indagato nel saggio Icircoli di Archimede, pubblicato nel volume Poetiche della creatività. Letteratu-

ra e scienze della mente di Alberto Casadei (Mondadori, 2011). Nel volume, sitratta lo stesso tema anche in relazione all’opera di Amelia Rosselli, AntonellaAnedda, Emilio Tadini, e si traccia un percorso inedito nella poesia del Nove-cento, volto a far emergere la stessa letteratura come forma di conoscenza dellarealtà.

Alberto Casadei insegna Letteratura italiana all’Università di Pisa. Ha pubblica-to, tra l’altro, Romanzi di Finisterre. Narrazioni della guerra e problemi del

realismo (Carocci, 2000), Stile e tradizione nel romanzo italiano contempora-

neo (Il Mulino, 2007), Poesia e ispirazione (L. Sossella, 2009)

Copertina del periodico Civiltà delle Macchine, X (1962), 6, di-segnata da Pablo Picasso. La rivista culturale, edita per contodelle aziende del Gruppo IRI, nacque a Roma nel 1953 e fu di-retta da Leonardo Sinisgalli. Si avvalse dei contributi di autore-voli e insigni studiosi nel campo della cultura artistica, umanisti-ca, scientifica e tecnica

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«Imparare è un’affasci-nante attività creativa:bisogna metterci delproprio, e finché non siprova ad insegnare nonci si rende conto diquello che è stato real-mente appreso. I datiche si ottengono da teste collaudi – funzionibase dell’apprendimen-to – non possono esserené giusti né sbagliati, eci offrono l’opportunità

di evolverci in modo ottimale, per agire, comportarcie conseguire prestazioni in modi nuovi o semplice-mente dimenticati. Capire come usiamo i nostri piedinelle attività quotidiane – tra queste camminare ecorrere (ma non solo) – è autenticamente fondamen-tale e di primaria importanza nella realizzazione dicalzature e suole di eccellente qualità».Da quando ho iniziato a sperimentare la corsa a piedinudi, il concetto di creatività si è approfondito, dive-nendo, se così si può dire, più intenso. Qualsiasi atletasa che durante un’intensa attività sportiva si liberano leendorfine, ma quelle che si generano correndo a piedinudi forse sono particolari: oltre all’euforia che derivadalla gioia di muoversi, si attivano moltissime idee.Dopo trenta anni di passione podistica mi sono libe-rato di tutte quelle variabili numeriche che abbiamoereditato: tempo, velocità, distanza, classifica, po-dio... È stato un gesto semplice, è bastato recuperareuno schema motorio di base: come muoversi per laprima volta, velocemente, agilmente, improvvisandoe immediatamente mi sono reso conto di quanta crea-tività possiamo godere, praticando questa disciplina. I nostri piedi sono un po’ come degli strumenti musi-cali: in fondo anche una gara dei 100 metri piani vi-sta dall’alto può sembrare un pentagramma musicalecon delle note mobili ed estremamente veloci. E allo-ra mi sono chiesto, che suono fa l’orchestra dei velo-cisti, quando corre i 100 metri piani? Per me è il suo-no della libertà. Ma nel concreto cosa si prova a cor-rere a piedi scalzi?Le prime impressioni incidono non poco. A meno chela temperatura non sia intollerabile per eccesso o di-fetto, la sensazione più bella è sentire il piede che re-spira a partire dal momento in cui togliamo i calzini.Si divaricano le dita che iniziano a muoversi per libe-rarsi dalle pellicine morte e il tessuto connettivodell’aponeuresi plantare rinasce. Si divaricano i meta-tarsi e ben presto il peso corporeo viene percepito sulpiede medialmente e lateralmente, in punta come sul

tallone. La pianta torna ad essere tonica, sensibile, vi-va, e smette di fare da tendiscarpa nelle forme piùsvariate. I muscoli dei piedi, deboli e atrofizzati, rina-scono e progressivamente si possono recuperare unaparte delle originarie qualità. Anche questo fa partedel godimento, ovvero, intuire le proprie potenzialità.

E a questo punto, proprio come quando intorno aldodicesimo mese, facciamo i nostri primi passi versol’abbraccio amorevole di un padre o una madre, pos-siamo tentare qualche passo sensibile a tutto quelloche ci sta sotto mentre il corpo intero cerca il suoequilibrio.Paura? Chi ha i piedi allenati, Barefooters vintage orinati che siano, può beneficiare da subito di questoritrovato godimento sensoriale degli arti inferiori.Danzatori, ginnasti, artisti marziali o i tanti indigenidi tutto il pianeta sono abituati a stare a piedi scalzi,a muoversi, a camminare, a correre senza scarpe.Sentono i piedi funzionali, li apprezzano, si fidano.Sanno che la loro mobilità dipende da loro. Cioèhanno completamente interiorizzato il valore dellafamiliarizzazione e educazione dei loro piedi. Si po-trebbe dire dell’intelligenza dei piedi.Ma non siamo tutti in queste condizioni. Con l’usoeccessivo che si fa di calzature protettive o alla mo-da, per ragioni culturali o per necessità (basti pensareagli scarpini rigidi di un calciatore o ai tacchi a spil-lo), i nostri piedi si sono indeboliti e sono diventatipoco funzionali. Ciò non toglie che nelle città mo-derne così come in situazioni particolari è facileabradersi la pelle, scivolare, sbattere contro oggetti osporgenze contundenti, nonché sporcarsi i piedi inmodi non opportuni. Una buona parte della popola-zione mondiale non sa più usare i piedi in modo fun-zionale. Li ha viziati e diseducati. Con questo perònon voglio dire che tutti devono camminare scalzi:come ogni forma di liberà, bisogna innanzitutto ave-re il coraggio di prendersela.Mi rendo conto che non è semplice perché dopo cen-tinaia di anni di condizionamenti, abbiamo sviluppato

Qualsiasi atleta sa che durante

un’intensa attività sportiva si liberano le

endorfine, ma quelle che si generano

correndo a piedi nudi forse sono

particolari: oltre all’euforia che deriva

dalla gioia di muoversi, si attivano

moltissime idee

Corrado Giambalvo

Libertà scalzaLa forza creativa della corsa a piedi nudi

di Corrado Giambalvo

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un complesso rapporto con i nostri piedi. Ma anchein caso di fuga, il bello è sapere che eventualmentesaranno i nostri stessi piedi a dirci “basta” tra adatta-mento e recupero. Tra godimento e creative satura-zioni sensoriali.Anche per coloro che non volessero fare a meno del-le scarpe, oggi è disponibile una gamma di calzatureche tengono in considerazione i nostri piedi, la loroforma, le loro esigenze. Personalmente da qualcheanno mi dedico alla progettazione e al collaudo delleVibram Fivefingers: suole nate dalla grande tradizio-ne della azienda fondata da Vitale Bramani – guidaalpina e uomo d’avventura – e che dal “carrarmato”del 1935 è arrivata alle “cinquedita” odierne, dal pre-miato design tecnologico e innovativo che consentedi stare a piedi nudi ma un po’più protetti e “vestiti”. Nella corsa amatoriale e in tanti altri sport, l’uso spe-cifico dei piedi è stato praticamente ignorato a favoredella più attraente perdita di peso, dei muscoli scol-piti, delle tabelle di allenamento, dell’agonismo finea se stesso. Tuttavia la domanda più frequente è: «manon ci si fa del male a camminare o a correre scalzi oquasi scalzi, senza nessuna ammortizzazione?»La verità è che ci sono atleti di ogni genere che si so-no procurati qualsiasi tipo di infortunio, a prescinde-re dalle calzature e/o attrezzature che usano o disci-plina che praticano: da microfratture da stress finoall’anoressia. È sufficiente un semplice esercizio dipiegamento sulle gambe per farsi male, se non si è ingrado di farlo bene, ovvero nel rispetto del corpo.D’altronde anche gli stili di vita che siamo spesso tenu-ti a mantenere non facilitano l’ascolto del corpo: siamopigri e spesso pensiamo che questa pigrizia sia frutto

del successo professionale e sociale raggiunto. E que-sto non è di per se sbagliato. Ma se a farne le spese è lanostra capacità creativa, che al contrario genera enormispese di energia, forse è un segnale che stiamo andan-do oltre, un po’ come nella visionaria animazione Wall-

E in cui si ipotizzava Ipad e divano-mobile come pro-tesi irrinunciabili e permanenti della razza umana. In ogni caso gli esseri umani nascono a piedi scalzi,imparano a muovere i primi passi a piedi nudi, a ca-ricare i piedi per stare in equilibrio, correre, saltare,arrampicare... In tre parole: schemi motori di base, ilcodice necessario per riprodurre qualsiasi movimen-to nella vita adulta.

Voglio infine ricordare che quando ci alleniamo fa-cendo un qualsiasi esercizio sportivo, concorrono al-meno quattro caratteristiche principali dello stimoloallenante: l’intensità, la frequenza, la durata e la spe-cificità. Misurare scientificamente i vantaggi o glisvantaggi condizionali di utilizzo di un prodotto du-rante l’allenamento è molto difficile perché potrebbe

Chi ha i piedi allenati, Barefooters vintage

o rinati che siano, può beneficiare da

subito di questo ritrovato godimento

sensoriale degli arti inferiori. Danzatori,

ginnasti, artisti marziali o i tanti indigeni

di tutto il pianeta sono abituati a stare a

piedi scalzi, a muoversi, a camminare, a

correre senza scarpe

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dipendere dalla minima alterazione di una di questecaratteristiche. Dunque, sarebbe fuorviante (nonchéin contraddizione con la voglia di istinto creativo)raccontare che deambulare a piedi scalzi da subitorassoda i glutei o tonifica le cosce.

Tuttavia oggi siamo consapevoli di quanta ginna-stica propriocettiva e posturale viene fatta a piediscalzi. Cosi come avviene per la danza moderna ele arti marziali, lo Yoga e il Pilates; questa partico-lare attenzione al rispetto funzionale del corpo tro-va riscontro anche in numerosi strumenti che sonoentrati a far parte del mondo del Fitness: dal fit ballal bosu, dal sistema della Tecnogym Kinesis ai ta-pis roulant a trazione umana con pendenze variabilie superfici irregolari. Questa attenzione, frutto si-curamente di una maggiore consapevolezza deldialogo che c’è tra mente e corpo ci aiuta a stimo-lare a partire dai piedi le funzioni di equilibrio, agi-lità, mobilità articolare, forza, non solo da un puntodi vista meccanico ma soprattutto da un punto divista biodinamico, cioè che concerne il rapporto di-namico esistente tra l’ambiente naturale e gli orga-nismi che vi vivono. Tra questi, l’uomo.E per concludere, mi sembra giusto citare i versi diErri De Luca, filosofo e alpinista, che questo rap-porto l’ha colto in tutta la sua completezza e vastitànel suo Elogio Dei Piedi.

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Gli esseri umani nascono a piedi scalzi,

imparano a muovere i primi passi a piedi

nudi, a caricare i piedi per stare in

equilibrio, correre, saltare, arrampicare...

In tre parole: schemi motori di base, il

codice necessario per riprodurre qualsiasi

movimento nella vita adulta

Perché reggono l’intero peso.

Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.

Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo

sanno fare.

Perché portano via.

Perché sono la parte più prigioniera di un corpo

incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare

di nuovo a camminare in linea retta.

Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto

nello scheletro non ci sono ali.

Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli

e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.

Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.

Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.

Perché quelli di donna facevano friggere i versi di

Pushkin.

Perché gli antichi li amavano e per prima cura di

ospitalità li lavavano al viandante.

Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o

ripiegati indietro da un inginocchiatoio.

Perché mai capirò come fanno a correre contando su un

appoggio solo.

Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango,

il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.

Perché non sanno accusare e non impugnano armi.

Perché sono stati crocefissi.

Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di

qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti

l’appoggio.

Perché, come le capre, amano il sale.

Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando

arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo

contro la morte.

Erri De Luca, Elogio dei piedi

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«Un danno per la so-cietà»: con queste pa-role, lo scrittore ameri-cano Jonathan Franzenha recentemente defini-to l’e-book, accenden-do immediatamente undibattito su scala mon-diale. Negli Stati Unitinegli ultimi tempi sisarebbe moltiplicata inmaniera esponenzialela vendita di supportidi lettura digitali, fa-

cendo presagire a qualcuno addirittura la scomparsadell’oggetto-libro. È vero che in Europa, e soprat-tutto in Italia, nei vagoni della metropolitana, nellesale d’aspetto, nei bar, è ancora raro incontrare dei“lettori digitali”, e però gli italiani, popolo di poeti,popolo di scrittori, si stanno forse accorgendo dellepossibilità che il self-publishing – solo grazie allepiattaforme digitali – può offrire loro. Intanto, c’èchi comincia a riciclare il caro vecchio libro, nonsoltanto facendo di e-bay un’immensa bibliotecaonline, ma ideando addirittura nuovi, artistici livellidi fruizione.

Del libro non si scarta nulla, sembrano dirci forme arti-stiche come la poesia dorsale, il painting on books, ilpapercutting: ognuna di queste forme, predilige unaparte del libro e la utilizza come supporto materiale delproprio lavoro. Chi crea opere di poesia dorsale, utiliz-za la costa dei volumi per fare nuova letteratura: impi-lando in orizzontale, un libro sopra l’altro, si cerca coni titoli di dar vita a testi poetici di senso compiuto, do-ve ogni verso è rappresentato da uno stesso, o più, titolidi libri. Un esempio: «Come io vedo il mondo: / ilfreddo, grottesco, tradimento / del sentimento tragico /della vita», dove gli “autori” delle parole che compon-gono i versi sono Albert Einstein, Thomas Bernhard,Patrick McGrath, Adam Zagajewski, Miguel de Una-muno, ma gli autori della poesia dorsale sono invece il

RitagliSe il futuro del libro è l'opera d'arte

di Michela Monferrini

Michela Monferrini

Del libro non si scarta nulla, sembrano

dirci forme artistiche come la poesia

dorsale, il painting on books, il

papercutting: ognuna di queste forme,

predilige una parte del libro e la

utilizza come supporto materiale del

proprio lavoro

31Mike Stilkey nel suo studio

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graphic designer e fotografo Silvano Belloni e la gior-nalista Antonella Ottolina, gli ideatori della poesia dor-sale in Italia.

L’artista californiano Mike Stilkey, assembla diversecopertine di libri per farne la propria tela da pittore:ne nascono immagini compiute, ma realizzate a tes-sere esattamente come in un mosaico, dove ogni tes-sera è però costituita da un volume. Dietro ogni ope-ra c’è un mondo sommerso eppure presente: le co-pertine non vengono separate, strappate dal resto dellibro; il volume c’è, con ogni sua pagina, sta dietro osotto, talvolta fa sì che l’opera “stia in piedi”. Ciò dicui abbiamo immediata percezione, tuttavia, è sol-tanto l’immagine, e sono donne, uomini, animali, in-terpretati con uno stile espressionista moderno, conun tratto che ricorda Egon Schiele, tratti funerei allaTim Burton, e quella solitudine malinconica, forsepersino tragica, di certe situazioni raffigurate daChagall: sono drammi esistenziali, fiabe nere nutritedi letteratura perché la letteratura è il loro supportomateriale. Sembra quasi esattamente il contrario diciò che succede con il papercutting: dove Mike Stil-key aggiunge alla carta e sulla carta (utilizzando di-

versi strumenti, dalla matita alla vernice, dagli in-chiostri alle lacche), l’antichissima arte del ritaglio èun gioco di sottrazione ed equilibrio estetico. La no-vità di questa forma artistica è rappresentata dal fat-to che negli ultimi anni si è passati dal ritaglio delfoglio singolo a quello del volume intero, che vienedavvero scavato, scolpito, ricavando figure in modoimprevedibile, come fa lo “scultore di libri” ClaudioPerri con i suoi Liberintro. Se Michelangelo affer-mava di estrarre qualcosa che era già imprigionatonel blocco di marmo, Perri suggerisce l’esistenza diun universo tridimensionale, invisibile nell’oggetto-libro, e di quell’universo va a caccia, sottraendo dipagina in pagina.Fatto di sottrazione è anche il lavoro di Rob Ryan, il-lustratore e scrittore inglese specializzato appunto nelpapercutting, e proprietario di Ryantown, una sorta di“bottega delle meraviglie” della sua produzione artisti-ca (126 Columbia Road, Londra). “Intagliando” i fo-gli, Ryan compone libri – mai tradotti in italiano – cheanche in questo caso sono vere e proprie opere d’arte,e che però mantengono la loro funzione originaria: sisfogliano, si leggono, raccontano storie. This is for

you, il suo primo libro, narra la solitudine dell’uomo ela ricerca dell’anima gemella, il disperare delle propriepossibilità e infine la speranza, l’avverarsi di ciò in cuisi è creduto; A sky full of kindness è la storia di due uc-cellini che attendono con trepidazione e timore loschiudersi dell’uovo che li renderà genitori per la pri-ma volta; The gift (tradotto in francese e tedesco), fir-mato assieme alla Poetessa Laureata di Scozia, CarolAnn Duffy, cerca di narrare, con grazia e delicatezza,lo scorrere del tempo e la “preparazione” della propriamorte attraverso la storia di una giovane donna checrescendo, e poi invecchiando, continua a curare ilgiardino nel quale un giorno sarà seppellita. Sono pic-cole storie incantevoli, il cui testo si integra perfetta-mente con la tecnica di realizzazione: storie di pieni edi vuoti che solo la carta, nell’incontro con la luce,nell’incontro con le mani, può ancora rendere.

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Rob Ryan, This is for you, 2007

Rob Ryan, Other planets nest, 2009

L'artista californiano Mike Stilkey,

assembla diverse copertine di libri per

farne la propria tela da pittore: ne

nascono immagini compiute, ma

realizzate a tessere esattamente come

in un mosaico, dove ogni tessera è però

costituita da un volume

Page 33: Roma Tre News 1/2012

Regola è il nome delsettimo rione di Romae ospita le sue più im-portanti vie storichecome via dei Giubbo-nari, così chiamata per-ché nell’era repubbli-cana era piena di botte-ghe di fabbricanti dicorpetti e giubbe, o an-che come via dei Cap-pellari , che nel Me-dioevo era piena di ar-tigiani che produceva-

no cappelli. Già perché una volta si diceva “andarea bottega”, che stava a significare che si andava adimparare un mestiere. Purtroppo oggi questo termi-ne è in disuso e ha perso di significato indicando,magari, la semplice azione dell’andare alla bottega.Ma anche questo ormai spesso non ha più sensoperché oggi molte di queste botteghe non ci sonopiù ed è sempre più difficile trovarne nel centro diRoma. Molte sono state costrette a chiudere o aspostarsi in periferia, per un affitto da pagare trop-po alto o perché il prodotto artigianale ha persosempre più importanza facendosi sostituire da unacultura che punta sull’omologazione e la produzio-ne in serie, quindi sul prodotto industriale.In un momento culturale come questo è sempre piùdifficile puntare sulla creatività. Ed è proprio perquesto che camminando per via Torre Argentina mifermo al civico 72, dove sono colpita dalla scrittasulla porta di un negozio. Si chiama Le

Artigiane.it. Possiamo considerarlo un sostantivoanticonformista, ossia non conforme al sistema so-c io -economicocontemporaneo,non solo perchéci richiama allamente i l lavoromanuale ma so-prattutto perché èal femminile, co-sa ancora piùinusuale se vo-gliamo. Entro evedo tutto ciòche un amantedella creatività edell’ingegnositàdesidererebbe ve-dere. Tutto fattom a n u a l m e n t e :

abiti, cappelli, borse, sciarpe, gioielli, oggetti invetro soffiato.

Così chiedo a Bruna Pietropaoli che di Le Arti-

giane.it è cofondatrice, insieme a Livia Carchel-

la, cosa l’ha spinta ad avere questa idea. «Que-sta avventura è nata nel 1999 come attività e-com-merce, volevamo dare uno spazio per la creativitàe l’originalità a tutte coloro che avevano bisognodi un luogo dove esprimere il proprio talento e,per così dire, “riciclarsi” e dare spazio alle propriecreazioni. Nel giro di qualche mese il nostro spa-zio espositivo virtuale è arrivato a comprendere7000 artigiane. In seguito, dopo riconoscimentiimportanti come il Premio E-Business Award IBMnel 2000 e il Premio Arte e Lavoro, promossodall’Assessorato della Regione Lazio nel 2004, dal1° Ottobre 2010 abbiamo deciso di aprire uno spa-zio espositivo permanente, non più solamente vir-tuale, nel centro di Roma dove molte artigiane, eanche qualche artigiano provenienti da tutta Italia,possono mettere in mostra le proprie creazioni ar-tistiche».Se poi le chiediamo qual è la differenza tra un

prodotto artigianale e uno industriale ci rispon-

derà prendendo

a modello uno

dei lavori arti-

gianali più anti-

chi . «Prendi adesempio i l me-stiere dell’orefice,riesce a fare dellecreazioni artisti-che attraverso lalavorazione deimetall i che unamacchina non sa-rebbe mai in gra-do di effettuare,essendo ogni pez-zo differente dal-l’altro».

Una bottega a regola d’arteLa differenza fra prodotto industriale e creazione artigianale

di Arianna Scarozza

Arianna Scarozza

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«Questa avventura è nata nel 1999 come

attività e-commerce, volevamo dare uno

spazio per la creatività e l’originalità a

tutte coloro che avevano bisogno di un

luogo dove esprimere il proprio talento»

Le fondatrici di LeArtigiane.it

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Ma nella società post-industriale in cui viviamo,

qual è quindi la prospettiva dell’artigianato?

«Bisognerebbe cominciare a dare vita ad un luogoper esprimere la creatività, a partire dalle scuole. Sipotrebbero realizzare laboratori che permettano eaiutino ad esprimere le capacità e le abilità deibambini. Perché è indubbio che bisogna essere por-tati a diventare dei futuri artisti ma bisogna essereaiutati a capirlo. Noi qui abbiamo anche laboratoridove chiunque voglia può partecipare. L’unico re-quisito richiesto è avere la passione. I corsi vannoda quelli più tradizionali, come il corso di acqua-rello o di ceramica, ad alcuni più particolari, comeil corso di intrecci di carta tenuto da Ana RomanaGiorgini che consiste nell’opportunità di impararea costruire borse o cappelli intrecciando della cartariciclata, un modo anche per rispettare l’ambientesempre più danneggiato.

A riguardo abbiamo ospitato fra l’altro (dal 23 feb-braio al 4 marzo) la settima edizione di Scarti d’Au-

tore - l’Arte del Riciclo, dove artigiane provenientida tutta Italia attraverso ciò che noi chiameremmoscarti hanno dato vita a creazioni artistiche di varianatura». Da questo punto di vista, la teoria “più lavo-ro artigianale, meno inquinamento” è inconfutabile.Il prodotto artigianale è costretto per un certo verso arimanere indietro, a pagare costi che per quelli indu-striali sono addirittura dei benefici. Il famoso costoopportunità del tempo. Ciò che l’artigiano fa in

un’ora la macchina lo fa in trenta secondi. Pro-

prio per questo si pensa che oramai il prodotto ar-

tigianale sia solo per una elité, perché troppo co-

stoso ma in questo caso è Livia Carchella a inter-

venire: «Questa è un’opinione diffusa ma sbagliata.Le Artigiane.it è frequentato da persone di qualsiasiceto. Ciò che bisogna avere è la cultura dell’origina-lità. Certo è il sistema socioeconomico che spessonon lo permette, che rende sempre più difficile capi-re il valore di una produzione artigianale. Infatti piùun prodotto è standardizzato, più è accettato. L’unici-tà del pezzo ha perso valore, mentre bisognerebbepuntare più alla qualità del prodotto che alla quantità:un qualsiasi oggetto lavorato manualmente non saràmai uguale ad un altro, perché in quell’oggetto vi sa-rà il frutto di una laboriosità sia mentale che manua-le, mentre nel prodotto industriale la creatività si fer-ma al progetto».

Bisognerebbe partire dalle scuole. Si

potrebbero realizzare laboratori che

permettano e aiutino ad esprimere le

capacità e le abilità dei bambini. Perché

è indubbio che bisogna essere portati a

diventare dei futuri artisti ma bisogna

essere aiutati a capirlo

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Oggetti fatti con la carta di giornale, realizzati artigianalmente da Ana Romana Giorgini con intrecci tradizionali e tecniche innovative.L'artista promuove la cultura del riciclo anche attraverso l'attività didattica. Infatti tiene corsi sulla carta fatta a mano e l'intreccio nellospazio espositivo LeArtigiane.it

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Esistono personeche riescono a faredella propria vita uncapolavoro. Colgo-no l’essenza piùprofonda del pro-prio cammino suquesta terra e deci-dono di intrapren-derlo senza porsitroppe domande,consapevoli che sial’unica strada per-corribile. Sono ca-

paci di cambiare non solo il corso della propria esi-stenza, ma anche quella di coloro che incontranodurante il loro viaggio.Irena Sendler, nella sua lunga, travagliata e meravi-gliosa vita, è stata protagonista di questo “miraco-lo”: infermiera e assistente sociale polacca nata aVarsavia nel 1910, iniziò a collaborare nel 1942 conil movimento clandestino non comunista la Żegota.Il suo incarico fu quello di riuscire a mettere in sal-vo i bambini ebrei del Ghetto di Varsavia dalla de-portazione nazista. La donna riuscì ad entrare nel Ghetto grazie ad unpermesso speciale come operatrice ufficiale del Di-partimento contro le malattie contagiose. «Dopoaver detto alle famiglie del ghetto che avevo la pos-sibilità di salvare i loro bambini, dovevo purtroppoassistere alle scene strazianti del distacco dei figlidai genitori», ricordò in seguito l’ex infermiera.Irena riuscì ad organizzare la fuga di migliaia dibambini, che nascose all’interno di ambulanze. Inaltre occasioni, si spacciò per un tecnico di condut-ture idrauliche, i neonati nascosti nel fondo dellasua cassa per attrezzi, altri bambini più grandi chiu-si in un sacco di juta. Una volta fuori dal Ghetto, la donna fornì ai piccolidei documenti falsi con nomi cristiani e li affidò afamiglie cristiane o a preti cattolici. Nel frattempo,conservò delle liste dei nomi veri e di quelli nuovidei bambini salvati con la speranza di poterli riunireun giorno alle loro famiglie. Per proteggere questeliste, le nascose all’interno di vasetti vuoti di mar-mellata e le sotterrò sotto un albero di mele in ungiardino di conoscenti a Varsavia.Il 20 ottobre 1943 Irena Sendler fu arrestata e tortu-rata dai nazisti ma ebbe la forza di non rivelare i no-mi dei suoi collaboratori né il nascondiglio delle li-ste dei nomi dei bambini. Venne condannata a mor-te ma l’organizzazione Żegota riuscì a corrompere

l’ufficiale incaricato di ucciderla. Irena riuscì così afuggire, continuando a vivere fino alla fine dellaguerra in clandestinità.Al termine del conflitto, la donna utilizzò le listenascoste nei vasetti di marmellata, per riunire ibambini ai genitori sopravvissuti all’Olocausto. La sua lista è oggi custodita allo Yad Vashem, ilmemoriale dell’Olocausto in Israele. Nel 1965 levenne conferito il titolo onorifico di Giusto tra lenazioni, ma le autorità comuniste polacche l’auto-rizzarono a recarsi in Israele per ritirare la medagliasolo nel 1983.«Ho fatto quello che bisognava fare e non ho avutopaura» disse Irena riguardo alla sua impresa «I verieroi furono i genitori che dovettero separarsi dai fi-gli in modo così crudele».Per lungo tempo la vita di Irena, l’angelo custodedi 2500 bambiniebrei, è stata dimenti-cata dall’opinionepubblica e solo nel1999 riscoperta da ungruppo di studenti diun college del Kan-sas che hanno lancia-to un progetto per farconoscere la sua vitae il suo operato a li-vello internazionale.Gli studenti hannocreato così uno spettacolo dal titolo Life in a Jar(La vita in un barattolo) in cui hanno rappresenta-to la storia di Irena. Ad ogni rappresentazione, glistudenti portano con sé un barattolo in cui racco-gliere denaro per sostenere coloro che hanno mes-so a repentaglio la propria stessa vita nel tentativodi salvare gli ebrei dal dramma della Shoah.Irena Sendler si è spenta all’età di 98 anni nel2008. Nominata dal suo Paese eroe nazionale nel2007 ma ormai cagionevole di salute, mandò unasua dichiarazione per mezzo di Elżbieta Ficow-ska, allontanata dal ghetto e dalla sua famiglia asoli 5 mesi nel luglio del 1942. «Ogni bambinosalvato con il mio aiuto è la giustificazione dellamia esistenza su questa terra, e non un titolo digloria», scrisse la Sendler nella lettera indirizzataal Parlamento polacco.Nel buio più oscuro della seconda guerra mondiale,un’umile infermiera ha avuto l’intuizione di abbrac-ciare la luce e di creare una speranza nelle vite di2500 bambini. Quando la creatività di un individuoabbatte le barriere del destino.

Gaia Bottino

Irena Sendler, l’angelo del Ghetto di Varsavia

di Gaia Bottino

Irena Sendler, nel 1942

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Recitare: professione o scelta di vita?Il punto di vista dell’attore Maximilina Dirr, tra aspirazioni e difficoltà

di Francesca Gisotti

Quando si parla del me-stiere dell’attore, c’èsempre un interrogativoda cui non si può pre-scindere: «attori si na-sce o si diventa?». Ladomanda, che di per séappare abbastanza ba-nale, risulta esserequanto mai attuale se sipensa al proliferare discuole ed accademieche si attribuiscono lacapacità di “insegnare”

a recitare. Eppure, dei molti aspiranti attori che affol-lano questi istituti, sono ben pochi quelli che poi rie-scono ad emergere dal “calderone” delle giovani pro-messe e, ancor meno, coloro che vedono trasformatala propria “passione” in una reale professione. Studioe disciplina sono sicuramente fondamentali per ac-quisire la capacità di far “indossare” al proprio corpo“vestiti” altrui, ma forse poco si insiste sul fatto cheal di là delle lezioni, degli esercizi, della volontà edella dedizione, l’attore è soprattutto un creativo, un“inventore”, una persona (inteso anche nell’accezio-ne latina di “maschera”) alle prese con la costantereinvenzione di sé e nello stesso momento del pro-prio personaggio. Ecco allora che tutto appare sottoun’altra ottica, e l’attore non è più semplicementeuno strumento ben accordato per far risuonare parolescritte da altri, non è più soltanto un corpo nelle manidi qualcuno che lo dirige, bensì egli diventa il mezzoattraverso cui possa compiersi un rituale che moltoha a che fare con la “magia”, la magia di essere allostesso tempo io e l’altro. Antonin Artaud, uno deigrandi maestri del Teatro del Novecento, parlavadell’attore come di un «atleta del cuore», il cui corpo“plasmato” dallo sforzo e dalla fatica muscolare “tra-ducesse” all’esterno una viscerale tensione interiore.Nei suoi scritti, si leggono affermazioni dure, ta-glienti, in cui la questione della “verità” dell’attoreemerge come un nodo fondamentale da sciogliere,non solo sul palcoscenico, ma nella vita. Artaud par-lava infatti di un «Teatro della crudeltà» che «ta-gliando nel vivo», esercitasse sullo spettatore le pro-prie «devastazioni», la distruzione finale di tuttequelle convinzioni rassicuranti che impediscono ilcontatto con la nostra parte più intima. Recitare assu-meva qui la fisionomia di una dolorosa discesa den-tro se stessi, per cercare di colmare quella separazio-ne fra spirito e materia che rende gesti, frasi, edespressioni falsi tentativi di mascherarci dietro im-magini artificiali.

Viene quindi da chiedersi: quanto di questo insegna-mento risuona ancora nelle attuali scuole di recita-zione? Forse il reale compito di chi insegna dovrebbeconsistere proprio nel fornire la “mappa” di questopercorso. Lo sforzo nell’intraprendere un camminotanto duro apparirebbe allora funzionale ad un obiet-tivo ben preciso, il raggiungimento dello spettatore eil suo coinvolgimento in un processo di abbandonovolontario. Rispetto agli anni in cui Artaud scuotevail panorama culturale parigino con il proprio pensie-ro rivoluzionario, cercare di diventare “attori” appareoggi sempre più spesso legato ad un desiderio di vi-sibilità piuttosto che alla scelta di un preciso percor-so esistenziale. Abbiamo deciso di parlarne con il giovane attoreMaximilian Dirr, impegnato sul set di Un matrimo-

nio, la fiction girata da Pupi Avati per la Rai. Maximilian, di lontane origini italiane, ma nato e vis-suto a Monaco di Baviera fino all’età di diciannoveanni, ha svolto il suo apprendistato da attore qui aRoma, nonostante le tante difficoltà legate all’ap-prendimento di una lingua semisconosciuta e alla ne-cessità di dover provvedere al proprio sostentamentoeconomico.

Quando hai capito di voler diventare un attore, e

quali sono state le prime difficoltà nel seguire

questa strada?

Ho iniziato quasi per gioco, attraverso la frequenta-zione di seminari e corsi di recitazione amatoriali.Dopo due anni di vita universitaria, durante i qualiho cercato di bilanciare le due cose, ho capito che inrealtà la mia vera passione era la recitazione. Recita-re significa per me essere parte di un “evento magi-co” e irripetibile, e la mia determinazione nel volerperseguire questa strada è stata tale da lasciare glistudi per inseguire il mio vero sogno. La prima diffi-

Francesca Gisotti

Studio e disciplina sono sicuramente

fondamentali per acquisire la capacità di

far “indossare” al proprio corpo

“vestiti” altrui, ma al di là delle lezioni,

degli esercizi, della volontà e della

dedizione, l’attore è soprattutto un

creativo, un “inventore”, una persona

(inteso anche nell’accezione latina di

“maschera”) alle prese con la costante

reinvenzione di sé e nello stesso

momento del proprio personaggio

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coltà è stata convincere mio padre della mia scelta.Per me lui aveva sempre desiderato una professione“più sicura” e almeno il conseguimento della laureatriennale. Tuttavia, una volta compreso che la mianon era soltanto un’aspirazione passeggera, mi haappoggiato completamente, aiutandomi anche a so-stenere le spese necessarie per il mio sostentamento.Dopo varie esperienze di formazione, la svolta nellamia vita è arrivata quando sono stato ammesso allascuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova.

Perché hai visto l’Italia come luogo più idoneo per

la tua realizzazione professionale?

In realtà è stata una coincidenza. Sono venuto in Ita-lia con tutt’altre prospettive, soprattutto per intra-prendere un’avventura alla ricerca di me stesso. Perme era comunque un paese molto familiare, dato cheho lontane origini italiane e tutte le estati fin da pic-colo venivo in vacanza qui. Attualmente mi muovosu due fronti, fra Roma e Berlino, e dato che sono bi-lingue mi considero molto fortunato nel poter lavora-re in entrambi i contesti. Ti è capitato di seguire corsi di recitazione che poi

sono risultati essere completamente inutili al fine

della tua crescita artistica? Quali pensi siano le ca-

ratteristiche che un’accademia/scuola dovrebbe

avere per garantire un’ade-

guata formazione?

L’unica scuola che realmen-te mi ha fornito una adegua-ta preparazione è stata ilTeatro Stabile di Genova, acui sono stato ammesso tra-mite varie fasi di selezione.Secondo me una buonascuola dovrebbe riuscire adevidenziare le reali poten-zialità individuali, fornendoa ciascun allievo gli stru-menti per far emergere lapropria personalità. Ovvia-mente si tratta della “base”su cui poi il singolo dovràcontinuare a lavorare pertutta la sua carriera. Insom-ma per me si tratta di un“percorso infinito”. Nonconsidero utili seminari dibreve durata e che poi spes-so hanno anche costi moltoelevati.

Quanto incide, secondo te, il talento naturale e

quanto la formazione accademica nel definire la

qualità artistica di un attore?

Secondo me non si può generalizzare. Per alcuni “ta-lenti naturali” penso che l’impostazione accademicapossa essere addirittura “distruttiva”. Per altri, comenel mio caso, è fondamentale per far emergere quali-tà di cui non si ha neanche consapevolezza. A pre-scindere dalle doti innate comunque, questo mestiererichiede disciplina e un forte carattere. Capitano in-fatti lunghi periodi in cui non si lavora e per soste-nerli, non solo economicamente ma anche a livelloemotivo, è necessaria una grande forza. È molto im-portante “muoversi” su più fronti, “sperimentandosi”artisticamente e possibilmente prendendo iniziativeautonome nella realizzazione di spettacoli personali.

Tu hai avuto modo di lavorare sia in teatro che al

cinema e in televisione, quali sono le differenze so-

stanziali dei diversi metodi di lavorazione?

Si tratta di linguaggi molto diversi. Per me, venendodal teatro, è stato molto difficile “trasformare” il miostile di recitazione. Al cinema e in tv tutto deve esse-re molto “più piccolo”, minimale. Del cinema e dellatv apprezzo la precisione nei dettagli e la cura deiparticolari. Del teatro invece, amo il lavoro continua-tivo alla ricerca del personaggio e il contatto diretto

con il pubblico. Nella miavita sono entrambi impor-tantissimi.Secondo te si diventa at-

tori oggi più per un’ur-

genza di raccontarsi at-

traverso i propri perso-

naggi o per una ricerca di

notorietà?

Non mi sento di generalizza-re, alcuni sono attratti dallavita da “divo” senza rendersiconto del percorso che c’èdietro. Credo che, al di làdelle aspirazioni individuali,solo per chi è spinto da realepassione valga la pena intra-prendere questa professione.Viviamo in un momentomolto difficile per il mondodella cultura e dell’arte e semanca anche la spinta inte-riore c’è il rischio di rincor-rere un’illusione che non siconcretizzerà mai.Maximilian Dirr, foto di Azzurra Primavera © 39

Antonin Artaud, uno dei grandi maestri

del Teatro del Novecento, parlava

dell’attore come di un «atleta del cuore»,

il cui corpo “plasmato” dallo sforzo e

dalla fatica muscolare “traducesse”

all’esterno una viscerale tensione

interiore

«Del cinema e della tv apprezzo la

precisione nei dettagli e la cura dei

particolari. Del teatro invece, amo il

lavoro continuativo alla ricerca del

personaggio e il contatto diretto con il

pubblico»

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Domani

Canto il silenziodelle mie buie giornatedi niente riempiteAccudisco i sogni salatidel mio ardente spiritoAscolto la veritàdel mio futurodavanti allo specchio

***

Dolce sarà sentire

Dolce sarà sentirela voce della mia animaquando le gioiedi una vita normalediletteranno il mioparanoico malato cuore

***

Amore silenzioso

Le due vette innevatedolci istantanee di unamore silenziosoper il bollente mondo di oggifolle di odio e di violenza

***

Serenità

Tu illumini le tue felici acquedella luce pura del mattinofonte di delizia per tutti i sensiSi imprimono nella memoriaquesti suoni e queste immaginiche mi sospingono auna serenità ritrovataRomantico fiumeessere a bordo della tua rivaè rinviare il triste ritornoalla realtà solitaria e silenziosa

Cosa sarò?

Cosa sarò?Sarò faro di notteper uomini e donnepersi nella follia dellasolitudine

***

Dolci mie bianche montagne

Dolci mie bianche montagneche siete nel mio cuorefendendo con lo sguardo le vetteho dominato la mia esondanteumile pauradi soprassedere al futuro

***

Dopo la notte

Sillabavo le mie promessedi mille avventureSincere silenti sillabeavevano un fastidiosointerminabileduro tonodi paurafinché si levasopra di meal mio grido di vitauna parolasperanza

***

Oggi

Oggi io non mi muovonon muovo un passoVinco il buio domani

Adriana Mattorre frequenta la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università RomaTre. La situazione di disabilità in cui vive sin dalla nascita l’ha costretta, per anni,nel silenzio e in un mondo di solitudine che, grazie all’uso del computer e ad unanuova tecnica riabilitativa, è riuscita ad infrangere per conquistare la comunicazio-ne con il mondo in tutta la sua freschezza e il suo dolore. Non ha l’uso della linguané del linguaggio gestuale, ma le sue parole, i suoi versi sono la testimonianza dellameravigliosa avventura esistenziale di una giovane che, dotata di particolare sensi-bilità, ha operato il “miracolo” di capovolgere l’impietosa diagnosi dei medici chele avevano negato la possibilità di un futuro nella società civile. Nel 2006 ha pub-blicato la sua prima raccolta di poesie (Adriana Mattorre, Sassi disagiati, Vibo Va-lentia, Qualecultura, 2006). Collabora inoltre con la nostra rivista.Vi proponiamo qui una scelta di sue poesie ancora inedite.

Avvolta nel mio respirodi Adriana Mattorre

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Ero triste

Gioco con i rimpiantitolgo scuri ricordiavreioltre le dureimmediate risposteun desiderioavere nel mio cuorela speranza

***

Fiori del popolo

Trema la terra per timidi sorrisiper rombi disumaniper i cuori spezzatitrema la terra per umiltà negateper poche anime perseper la Giustizia violatadi niente trema il vostro coraggiopochi nomi rimarrannodolorosamente universaliTrema lontano un mondosuddito della violenzatrema il Potere rimasto solotrema il mio cuore liberodalle immagini di cinici rimorsigioisco a vedere i giovani chevincono il regime mafiosonomi giganti della Giustizianomi di luce meritata

(anniversario della mortedei giudici Falcone e Borsellino)

***

Fuga

Gioie festose vivono in mecanto la mia fuga surrealeFresche illusioni permettonoal nuovo di avanzareAspetto la risposta ai miei sognidimentico la fatica di viveresono fedele al mio cuore

***

Voglia di vivere

Foglie vaneche si disperano per meche colorano i voli di sinceri desideridolci dolci sussuriCovando i liberi sognirubo la vita

Gioie vere

Umili gioie io vorreinon effimerimistificanti dirittiFare nuovi incontrifuori dalle abitualibuie situazionifendere le dolcirinnegatedidascalie d’amorediventare una donnaassetata di giustiziaHo gioie vere da esprimeresono dubbiosase accetterannodi cimentarsiper me

***

Leggero il segno

Leggero il segnosimbolo di tanto pensaresi fissa sulla cartaper fermare il mondo internodi una donna

***

Polvere di stelle

Io cavalco le mielontane speranzemi gracidano le moltegioiePiù notti nere governanola mia vitapiù le piccole gioieilluminanol’immancabile nottedella mia anima

***

Sulle onde del mare

Io godevo del sole ammalianteportando con me i labili sogniancora storditi dal ventoma baciati dall’acqua del mareHa un dono l’amore per gli altriandare veleggiando con dolci pensieriuniti per il puro piaceredi stare insieme

Page 42: Roma Tre News 1/2012

Noi lettori siamo abituati a pensare al libro gene-

ralmente come all’espressione del pensiero del

singolo – a parte alcune note eccezioni – al contra-

rio, il vostro lavoro nasce fin dal principio come

collettivo. Ci raccontate come è nata questa idea e

come vi siete incontrati?

Alcuni di noi si sono incontrati al liceo, altri all’Uni-versità di Bologna. Per cinque anni, dal 1995 al

1999, abbiamo partecipato al progetto Luther Blis-sett, un nome collettivo, una firma che centinaia dipersone hanno utilizzato nel mondo per rivendicaretesti, opere d’arte, performance teatrali, programmiradiofonici, bufale rifilate ai giornali. Da quella col-laborazione è nata l’idea di scrivere un romanzo a ot-to mani, per sperimentare il lavoro di gruppo in un

campo terribilmente individualista come quello dellaletteratura. L’esperimento è riuscito e ne è nato un la-boratorio di scrittura collettiva stabile, ovvero WuMing, che ormai ci accompagna da una dozzinad’anni.

Da un punto di vista pratico come sviluppate il

progetto? Ci sono ruoli o compiti specifici all’in-

terno del collettivo?

Non ci dividiamo il lavoro, tutti fanno tutto, dalle ri-cerche storiche alla stesura dei singoli capitoli. I nostriprogetti nascono da una prima fase di improvvisazio-ne, dove cerchiamo di sintonizzarci su un tema, unastoria e un primo nucleo di personaggi. Fatto questo,cerchiamo di scalettare la trama e di individuare i sin-goli capitoli che la sviluppano. Quindi entriamo neldettaglio di quel che succederà nei capitoli 1, 2, 3 e 4,così possiamo distribuirceli come “compito per casa”.

«Trasparenti verso i lettori,opachi verso i media»Intervista al collettivo Wu Mingdi Alessandra Ciarletti

Wu Ming è un collettivo di scrittori provenientidalla sezione bolognese del Luther Blissett Pro-ject (1994-1999). In cinese mandarino “wu-ming” significa “senza nome” oppure “cinquenomi”, a seconda di come viene pronunciata laprima sillaba. A differenza dello pseudonimoaperto “Luther Blissett”, “Wu Ming” indica unpreciso nucleo di persone: dal 2000 alla prima-vera del 2008, la formazione ha compreso: Ro-berto Bui (Wu Ming 1), Giovanni Cattabriga(Wu Ming 2), Luca Di Meo (Wu Ming 3, che èuscito dal collettivo nel 2008), Federico Gu-

glielmi (Wu Ming 4), Riccardo Pedrini (Wu Ming 5). Ciascuno di loro ha un nome d’arte individuale e unaproduzione “solista”. I Wu Ming appaiono spesso in pubblico in occasione di presentazioni e incontri con ilettori (oltre seicento iniziative nel periodo 2000-2010), ma si rifiutano di mettersi in posa per servizi foto-grafici. La loro politica è quella di apparire soltanto di persona, in carne e ossa. Il gruppo ha riassunto que-sta impostazione in un motto: “Trasparenti verso i lettori, opachi verso i media”. A questa scelta si lega an-che la particolare posizione degli autori in ordine al diritto d’autore: tutte le opere dei Wu Ming sono infattipubblicate sotto licenza Creative Commons e dal sito ufficiale del gruppo è possibile scaricare i testi inte-grali. Fra le opere del collettivo Wu Ming ricordiamo: Q (1999, con il nome Luther Blissett); 54 (2002);Manituana (2007); Previsioni del tempo (2008); Altai (2009); Anatra all’arancia meccanica. Racconti

2000-2010 (2011).

42in

cont

ri

Da quella collaborazione è nata l'idea di

scrivere un romanzo a otto mani.

L'esperimento è riuscito e ne è nato un

laboratorio di scrittura collettiva stabile,

ovvero Wu Ming, che ormai ci

accompagna da una dozzina d'anni

Per cinque anni, dal 1995 al 1999,

abbiamo partecipato al progetto Luther

Blissett, un nome collettivo, una firma

che centinaia di persone hanno utilizzato

nel mondo per rivendicare testi, opere

d'arte, performance teatrali,

programmi radiofonici, bufale rifilate ai

giornali

Page 43: Roma Tre News 1/2012

Ognuno di noi proverà a scrivere uncapitolo, interagendo con gli altri inchat o per e-mail tutte le volte che sitrova davanti a problemi imprevisti.Quando i capitoli sono pronti, ce lispediamo a vicenda e poi ci incon-triamo faccia a faccia per leggerli adalta voce ed esprimere dubbi, propo-ste di modifica, aggiustamenti, ri-scritture. A volte il capitolo esce daquesta fase rattoppato ma sufficien-temente definito per poterlo mettereda parte, in vista di una successivarilettura. Altre volte invece bisognabuttare tutto e riprovare. Ripetendoil processo per i capitoli successivi,con riletture parziali di tutto quantoscritto, arriviamo a definire una pri-ma stesura del romanzo, sulla qualepoi lavoriamo con lima, pialla, sgor-bio e bulino, per ottenere – dopo almeno quattro ocinque riletture – la versione definitiva pronta per lastampa.

Che cos’è per voi la creatività e come si declina al-

l’interno di un gruppo?

Crediamo che la creatività sia sempre figlia di un pro-cesso collettivo, anche quando l’idea “nuova” sembrauscire dalla testa di un singolo individuo. Essere crea-tivi significatradire le a-s p e t t a t i v e ,produrre unoscarto rispettoa una direzio-ne attesa, edunque lavo-rare con strut-ture e mecca-nismi che de-finiscono ciòche è prevedi-bile e ciò chenon lo è, ov-vero disposi-tivi sociali,elaborati daun’intera co-munità. Per

noi è soprattutto una “mediazione alrialzo” tra molte suggestioni diverse.Intendo dire che spesso ci capita diavere idee contrapposte su come svi-luppare un personaggio o una trama.Se per trovare un accordo ci limitassi-mo a cercare il minimo comune deno-minatore tra le diverse proposte, il ri-sultato sarebbe ben poco creativo, ciritroveremmo con una soluzione ap-piattita, smussata, che non entusiasmanessuno. Da qui il luogo comune se-condo il quale un lavoro di grupposchiaccerebbe le singole deviazioni, edi conseguenza il genio individuale ela libertà espressiva. Creatività, inve-ce, significa mettere da parte le diver-se proposte e cercarne una ancora di-versa, che però contenga gli spuntiproposti e li rielabori in una direzione

più radicale, più innovativa, più divertente da scrivere.Un massimo comune multiplo che metta davvero tuttid’accordo.

In internet non si trova alcuna foto vostra, eccetto

gli scatti “rubati” durante gli incontri letterari; a

questa non esposizione mediatica, avete contrap-

posto l’autorizzazione alla riproduzione parziale

o totale delle vostre opere. Ci parlate della vostra

poetica?

Urca, questa è una domanda complicata... La non-esposizione mediatica deriva dall’idea che l’opera èpiù importante dell’autore, o quantomeno della suafaccia e della sua biografia. Ci piace incontrare i let-

tori in situazio-ni conviviali,non attraversola schermo diuna tivù. Sequalcuno ci ri-conosce, perstrada, è perchéci ha incontratodavvero, in unalibreria o in unabiblioteca, enon perché ciha visto di sfug-gita in una fotodove posiamo“da scrittori”.Poi siamo con-vinti che le ope-re sono prodotti 43

Siamo convinti che le opere sono

prodotti collettivi, nascono da una

comunità e a quella comunità devono

tornare, senza costi aggiuntivi. Pertanto,

il contenuto dei nostri libri è gratuito,

mentre l'oggetto-libro ha un prezzo di

copertina e bisogna comprarlo o rubarlo

o prenderlo in prestito

Crediamo che la creatività sia sempre

figlia di un processo collettivo, anche

quando l'idea “nuova” sembra uscire

dalla testa di un singolo individuo

Page 44: Roma Tre News 1/2012

collettivi, nascono da una comunità e a quella comuni-tà devono tornare, senza costi aggiuntivi. Pertanto, ilcontenuto dei nostri libri è gratuito, mentre l’oggetto-libro ha un prezzo di copertina e bisogna comprarlo orubarlo o prenderlo in prestito.

In molti vostri lavori mescolate documenti di ar-

chivio e avvincenti tessuti narrativi. Con voi sono

rivissute le speranze disattese delle Sei nazioni

irochesi, il fermento ideologico/religioso che in-

cendiò l’Europa del ‘500, gli intrighi pseudo-in-

ternazionali oltrecortina. Da cosa nasce questa

necessità storica?

Nasce dalla nostra ignoranza, perché nessuno di noi èuno storico professionista. Ci interessiamo a un perio-do storico proprio quando sentiamo di non conoscerloabbastanza, di averne un’immagine stereotipata o mo-numentale. Allora ci mettiamo alla ricerca di crepe epunti di rottura, per far crollare il monumento e provare

a rimontarlo da una prospettiva diversa. Questo perchésiamo convinti che il passato non è fatto di carta o dimarmo, ma di vita, e in quanto vita ci accompagnasempre, determina quel che ci succede oggi, il nostromodo di percepire il mondo e di raccontarlo.Due scelte mediatiche forti: Giap e Nasser. Due

uomini dell’esercito che con la loro lotta hanno

fatto guadagnare l’indipendenza ai loro rispettivi

paesi. Perché proprio loro? Per quale indipenden-

za vi battete?

Giap è il simbolo della guerriglia anti-coloniale, Nas-ser è tra i fondatori del Movimento dei paesi non-al-lineati, cioè di quegli stati che cercavano di star fuoridalla Guerra Fredda e dalla divisione del mondo inblocchi contrapposti. Concepiamo il nostro lavoro inmodo non dissimile, come un guerriglia per non alli-nearsi, per far emergere storie indipendenti, per mol-tiplicare le alternative al pensiero unico, per ricorda-re e raccontare altrimenti.Un’anticipazione sul vostro prossimo lavoro?

Ci occuperemo della Rivoluzione francese, e inparticolare dei periodi noti come Terrore, Termido-ro e Direttorio. Racconteremo una storia a tratti co-mica, a tratti grottesca, mettendo in scena gang distrada, supereroi mascherati, eresie scientifiche,donne in armi e cospirazioni. Concepiamo questoromanzo come il secondo volume del trittico ini-ziato con Manituana e dedicato all’età delle rivolu-zioni, quella americana e quella francese, da unaparte all’altra dell’Atlantico.

Creatività significa mettere da parte le

diverse proposte e cercarne una ancora

diversa, che però contenga gli spunti

proposti e li rielabori in una direzione

più radicale, più innovativa, più

divertente da scrivere. Un massimo

comune multiplo che metta davvero

tutti d'accordo

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Page 45: Roma Tre News 1/2012

Il 29 novembre scorso è uscito il suo ultimo al-

bum, una doppia raccolta con 33 brani scelti dal-

la sua quarantennale carriera ma anche due pez-

zi inediti, I colori del buio, che poi dà il titolo al

lavoro, e Un lungo addio. Qual è il filo condutto-

re che va da Luci a San Siro a Samarcanda?

Il filo conduttore è dato dal titolo, I colori del buio:sono 33 episodi che hanno determinato la mia vita.Sono spunti di colore che sono stati essenziali per mee che, nel bene e nel male, nel dolore o nella gioia,hanno segnato quegli scatti fondamentali che poi nonti dimentichi.

La sua creatività si muove infatti intorno a temi

quali il sogno, la notte, l’amore, temi che a mio

avviso hanno molto a che fare con le capacità

dell’anima. Sono questi forse i “colori del buio”…

Sì. E poi le stelle, la speranza, il passato, il ricordo…Questi sono temi fondamentali per me. Soprattutto lasperanza, che è un tema fortemente consolatorio. Perme la forza della speranza è l’ottanta per cento dellasopravvivenza. E mi pare bello qui citare il mito diPandora: quando tutti i mali escono dal vaso, la spe-

ranza resta. Anche i greci sapevano questa cosa: chela speranza è fondamentale contro tutti i mali. E poi le persone. Più dei concetti, più delle idee dilibertà, di speranza, di gioia, d’amore, quello checonta sono le persone che conosci, le persone cheami, che hai amato, gli amici, le persone con cui haicondiviso qualcosa, una lotta, o anche gente che haiincrociato un giorno e che ti ha dato però molto.Perché il segreto è quello: aumentare la capacità, lapossibilità interna di dare un senso alla vita. Una vi-ta senza incontri o una vita che rimanda agli incon-tri di sempre e che non ne provochi di nuovi è inuti-le. Ci vogliono sempre nuovi incontri, nuove paro-le, anche nuovi litigi. Anche a sessant’anni o a set-tanta si scoprono sempre persone che ti fanno tor-nare giovane.

I colori del buioIntervista a Roberto Vecchioni

di Alessandra Ciarletti

Roberto Vecchioni, cantautore, scrittore, insegnante. È stato per trent’anni pro-fessore di greco, latino, italiano e storia in vari licei classici di Milano e di Bre-scia. La sua attività nel mondo musicale inizia negli anni Sessanta, quando co-mincia a scrivere canzoni per artisti affermati. Nel 1971 incide il suo primo al-bum, Parabola, che contiene la celeberrima Luci a San Siro. Nel 1977 con l’al-bum Samarcanda raggiunge il primo grande successo di pubblico, cui farannoseguito più di venti album e altrettante raccolte per una vendita totale che superagli otto milioni di copie. Nel 2011 ha vinto il Festival di Sanremo con la canzoneChiamami ancora amore, tratta dall’omonimo album. Nel novembre scorso èuscito il doppio albumI colori del buio, sua prima antologia ufficiale, capace dirappresentare le sue diverse anime, quella popolare, quella più classica fino adarrivare al jazz. È inoltre autore di libri e saggi. Fra le sue opere letterarie ricor-

diamo la raccolta di racconti Viaggi del tempo immobile (1996); i romanzi Le parole non le portano le cico-

gne (2000), Il libraio di Selinunte (2004) e Scacco a Dio (2009) e la raccolta di fiabe Diario di un gatto con

gli stivali (2006). Continua la sua attività d’insegnante presso svariate università italiane e straniere. Ha te-nuto il corso di Forme di poesia in musica, presso le università di Torino (dal 2001 al 2003), di Teramo(2004-2005) e di Pavia dal 2006 ad oggi.

Il segreto è quello: aumentare la

capacità, la possibilità interna di dare un

senso alla vita. Una vita senza incontri o

una vita che rimanda agli incontri di

sempre e che non ne provochi di nuovi è

inutile. Ci vogliono sempre nuovi

incontri, nuove parole, anche nuovi litigi

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Venendo alla creatività, che è poi il tema di questo

numero, ci può raccontare cosa è per lei?

Credo che molti direbbero che è qualcosa di inspie-gabile. Ma non credo che sia così in realtà. Credoche sia spiegabile, anche chimicamente, anche se io aquesto non ci arrivo. Io credo che esistano diverseforme di porsi di fronte alle cose, a quello che succe-de. C’è chi la butta più sul razionale, sulla logica,sull’intelligenza; chi riceve input dall’esterno congrande flessibilità e li fa propri ma non riesce poi atrasmetterli e poi c’è chi riceve dall’esterno sensazio-ni fortissime, o che sente fortissime, e ha la capacitàdi poterle ritrasmettere: questa è la creatività. Lacreatività non nasce mai dal nulla (se no parliamo diDio che crea!), noi abbiamo sempre bisogno di sti-moli. E io mi sono accorto nella mia vita che a volteda uno stimolo impensabile, a volte da una scioc-chezza, può venir fuori un romanzo o un disco inte-ro. È come una reazione a catena: basta partire dauna cosa che ti dà una gran voglia di comunicare.Lei è un grande cantautore ma non per questo ha

smesso di insegnare. Il binomio artista/insegnante

è forse quanto di meglio uno studente possa rice-

vere. Nel suo approccio formativo che spazio ha la

creatività?

Io penso che la creati-vità a scuola, comeall’università, servatantissimo perché leinformazioni, le no-zioni, anche se datebene ai ragazzi, non liesaltano, non li coin-volgono, non gli dan-no passione. Invecequando hanno a che

fare con una persona che le cose di cui parla le ha vis-sute o le ha amate – come succedeva a me per la let-teratura greca o latina o come oggi mi succede all’u-niversità per la letteratura in canzone – quando sento-no che una persona si emoziona a raccontare le coseche ha letto, quando sentono che dentro quelle cosec’è l’umanità, ecco allora tutto arriva molto prima.«E ti ho sparato sulla bocca invece di baciarti per-

ché non fosse troppo lungo il tempo di lasciarti».

Questa frase mi ha sempre molto colpita: e anche

oggi rende bene il clima di un tempo eroso dalla

violenza e bisognoso di poesia. Stranamore parla

di vita, violenza ideologica, ma parla soprattutto

di amore. Cosa significa per un padre, se si può

spiegare, sollevare il proprio figlio?

Questa immagine del padre che solleva la figlia fa par-te di un’immagine più grande, che poi a ben vedere, èun’immagine che ritorna anche nella canzone I colori

del buio, quando io dico a Dio che non sono tagliatoper fare il pescatore di anime. In Stranamore è la stessacosa, solo che lì parlo con gli uomini: io non sono ta-gliato per partire su una nave per combattere contro ilmale perché non sono un coraggioso, non ho quellecorde, né quella ispirazione però sono tagliato per ama-re tutto quello che ho intorno e soprattutto i figli e per

far vedere ai miei figli quelli che per il mondo vanno asalvare il mondo stesso. Non ci vado io ma gli mostrocol dito le persone che devono imitare.

L’anno scorsa ha vinto Sanremo con una canzone

carica di denuncia. Cosa è per lei scrivere?

La scrittura ha due cose meravigliose. La bellezza in-trinseca quando la rileggi: ci sono cose che formal-mente sono belle già per i fatti loro. E poi la denuncia,quando la denuncia che fai non è qualunquista ma ècosì originale che arriva, è così precisa per i tempi chearriva perfettamente alle persone e fa bene.Nel suo ultimo romanzo, Scacco a Dio, un Dio che

non riconosce più le sue creature si fa raccontare

gli uomini dal suo primo consigliere. In altre sue

opere (Il diario del gatto con gli stivali) ci mette di

fronte a realtà mutate, disvelate, tradite. Come

racconta l’uomo ai suoi giovani studenti?

Lo racconto nelle sue incongruenze, nelle sue sceltesbagliate, nei suoi dubbi, nelle sue insicurezze…Tutto il Novecento è maestro di questo, fondamental-mente Borges e Kafka, che sono due maestri insupe-rabili, e poi Calvino e tanti altri. Io non sono uno scienziato: le cose esatte non mi in-teressano, anche perché secondo me non esistono lecose esatte. E allora mi piace, mi diverte anche, ri-baltare completamente le situazioni, vederle dall’al-tro lato, dall’altra parte. In ogni caso la misura di tut-to ciò è l’uomo che, tanto in una situazione canonica,quanto in una completamente rivoltata, sa muoversi esa come rispondere.Ci ha lasciato in questi giorni Lucio Dalla. Qual è

il messaggio che ci lascia con la sua vita e con la

sua opera?

È un messaggio universale. Molti cantautori cantanoper sé, qualcuno per far soldi anche, tanti per far vede-re quanto sono bravi. Lucio invece ha cantato sempreper gli altri. Con un piglio e un’altezza letteraria note-voli, ma, nonostante questo, riuscendo ad arrivare atutti. E d’altronde la sua opera è stata molto simile allavita, perché anche nella vita era con tutti: per strada,nei locali, in vacanza, a lavoro. Era l’amico di tutti.Era proprio un uomo fra gli uomini. E per questo tuttilo considerano anche un proprio patrimonio. Io non ri-cordo di aver mai visto un funerale così affollato: per-ché quando si vuol bene bisogna manifestarlo.

Io credo che esistano diverse forme di

porsi di fronte alle cose, a quello che

succede. C’è chi la butta più sul razionale,

sulla logica, sull’intelligenza; chi riceve

input dall’esterno con grande flessibilità e

li fa propri ma non riesce poi a

trasmetterli e poi c’è chi riceve

dall’esterno sensazioni fortissime, o che

sente fortissime, e ha la capacità di poterle

ritrasmettere: questa è la creatività

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Cos’è per te la creatività?

Sto imparando sempre meglio a capire cos’è la crea-tività lavorando a stretto contatto con i bambini. Pri-ma di tutto come madre mi sono resa conto dell’im-portanza del gioco libero: i bimbi sono tutti degli ar-tisti! Qualsiasi uomo nasce con la propria unicità:stando al loro fianco questa unicità può spaventare,

perché è una libertà che porta a delle forme diespressione non riconoscibili in un primo momento.Ma il punto cruciale, nella crescita di un bambino, èproprio questo: non aver paura di bloccare il gioco li-bero, lasciando che ciascuno si esprima con le pro-prie modalità. Anche un ricercatore al proprio micro-scopio ha bisogno di una formazione libera e di colti-vare questa capacità non scontata di saper apprende-re dal passato senza perdere il proprio punto di vista. Che tipo di lavoro fai con i bambini?

Ho aperto una parte della mia casa, che ho progettatoadattandola e ripensandola per i bambini, con cui lavo-ro in piccoli gruppi. Ho preparato i muri con la calce eun pigmento ocra che ricorda la sabbia del mare; hosgombrato lo spazio, levando gli oggetti che si eranoaccumulati. Ho posizionato al centro un tavolo antico,riportandolo completamente a legno; ho messo moltimateriali dentro una sorta di scatola del tesoro, sce-gliendo le stoffe migliori che avevo, di lino e di varietinte, inserendo anche tante mollette con cui si posso-no costruire le case o avvolgere le bambole. Ho messoa loro disposizione gli attrezzi della cucina, come pen-toline o utensili di vario tipo, invitanti e molto belli,perché la bellezza attira i bambini. Loro sanno chequando mi avvicino alla scatola e tiro fuori il filo d’o-ro, è il momento in cui comincia a volare la fantasia:prendiamo un pezzetto di legno, che potrebbe essereun uccellino e, con l’uncinetto, gli prepariamo un ni-do:così nasce una storia. Quando i bambini non hannoun gioco preconfezionato e si dà loro qualche ingre-diente, si arriva al centro della creatività. È un soffio:quando si prende la direzione giusta, si dà il via all’im-maginazione e alla fine si arriva a giocare anche con

«Wabi sabi: il bello che invecchia»La strada della creatività, secondo Silvia Makita

di Valentina Cavalletti

Silvia Makita, architetto e artista. Di famiglia giapponese-romena, la sua forma-zione, oltre la laurea in architettura spazia a 360°: musica, danza, scultura inpietra, arte dei giardini, calligrafia, insomma arte e integrazione tra le arti. Ulti-ma, ma non meno importante, la ricerca sulla pedagogia, sviluppata dalla lungafrequentazione della scuola Montessori nell’infanzia e Steineriana nella maturi-tà. Da quindici anni ha fatto la scelta di rimanere al centro di una sana vita do-mestica e si impegna affinché da essa e non da studi professionali si reimpostinoquestioni artistico-architettoniche, nonché urbanistico-sociali. Studia il modo disublimare il lavoro della famiglia e delle madri, dal punto di vista dell’arte edella pedagogia. Nel 1997 partecipa a diversi simposi tra rinomati artisti delpaesaggio in Norvegia, a Larvik, in favore di un’arte libera dal mercato, realiz-zando “Ein Tag: Dialog zwischen Licht und Stein”, da allora si convince del va-

lore intrinseco delle opere, rifuggendo la sempre più intensa commercializzazione di esse. Lavora come ar-chitetto e artista per la famiglia e solo come “iniziatore di concezioni spaziali” per i clienti esterni. Nel 2003partecipa alla biennale di Venezia con il lavoro “1000 gru”, opera artistico-famigliare, da allora si impegnain azioni di urbanistica sociale con i progetti Darsena Pioniera, Le Madri, Un Albero Un cortile, Narimaki,

Yurtha Urbana. Crea il fondo Y.U. per le madri che vivificano il loro stare a casa con manufatti in magliarealizzati “Fianco Al Figlio”.

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l’aria. Quando li osservo, penso che un giocattolocomprato non sarebbe stato altrettanto divertente. Ilmercato ci ruba tutto, anche i desideri. Crea nuovi bi-sogni e nuove esigenze, che spesso non ci apparten-gono. A volte si protegge il bambino dalle cadute odalle malattie, invece esistono a mio avviso pericolipiù subdoli da cui è necessario proteggerlo. La ten-denza generale è quella di riempire di impegni la lo-ro giornata e di delegare i momenti di relax alla tele-visione o al computer. A me sembra più salutare la-sciare a loro disposizione il tempo della creazione,un tempo vuoto, in cui ci si può anche annoiare, dicui non bisogna avere paura.

Nei tuoi lavori c’è una certa attenzione alla casa,

come luogo che possa permettere di conciliare

tempi di lavoro e tempi di vita. Come può l’archi-

tettura aiutare a vivere meglio?

L’architettura svolge un compito diverso a secondache si occupi di progettare gli spazi pubblici dellacollettività (teatri, scuole, ospedali) o che si occupi diprogettare la casa, che è l’involucro più intimo diciascuno di noi. Nella vita attuale c’è un abbandonodi questo involucro, a causa del lavoro e dei ritmi divita che conduciamo. Tuttavia la casa non è un nego-zio, né un ospedale. Alcuni architetti la progettanosenza pensare al fine dell’abitare e pertanto molte ca-se sono invivibili e in qualche modo ti respingono.La casa è il luogo più intimo e privato, che meglio cideve rappresentare. Deve essere un luogo protetto, incui noi scegliamo cosa può filtrare dall’esterno, fa-cendo entrare solo ciò che abbia un’autentica corri-spondenza con noi stessi. Parlando della tua storia personale si può dire che

hai molte patrie. Tuo padre era giapponese e tua

madre rumena. Ti sei ritrovata a nascere in Italia,

vivi tra Milano e Lucca, hai studiato in Germania e

in Norvegia. Questa mescolanza di storie di paesi

lontani e diversi come influenzano il tuo modo di

lavorare? Qual è la cultura che domina di più den-

tro di te e che di conseguenza ti ha più formato?

La cultura giapponese mi ha influenzato molto, inparticolar modo riguardo alla mia idea di casa. InGiappone assistiamo alla sublimazione dell’arte do-mestica. Qui l’arte migliore puoi avvicinarla quandovarchi la porta di una casa, che si apre sempre versol’esterno, con un giardino: la vita domestica è presamolto seriamente e ogni oggetto della casa, ogni pian-ta può diventare un’opera d’arte. Non si deve andarein un museo per conoscere l’arte di questo popolo,l’arte è vicina all’uomo, è interna alla vita stessa.

In Occidente, nelle gallerie d’arte, mettiamo in mo-stra sempre ciò che è invivibile o malato, e molto ra-ramente mostriamo un’arte addomesticata. Quelloche può affiancare l’uomo va preso invece con gran-de serietà. Se in una famiglia di 5 persone ognuno hala propria tazza, il gesto quotidiano di sorseggiare untè o di fare colazione viene sublimato con un oggettospeciale. Questo permette di non rimandare la bellez-za altrove, al di fuori di noi stessi e della nostra quo-tidianità.Cos’è la bellezza? La bellezza ha a che fare con la

felicità?

La bellezza ha completamente a che fare con la feli-cità. Per me la bellezza è un processo, è tutta la vitadedicata a cercarla. Quando osservi un tornitore allavoro, quando si cucina un piatto molto buono, ci sirende conto che chiunque è nel fare ha una sua bel-lezza intrinseca, proprio per il fatto che è pienamentededicato e coinvolto in quell’azione: è una questionedi spirito. A volte noto una paralisi nelle persone, chehanno in mente una bellezza statica, rigida, glaciale:«Non muovere questo, non muovere quello!» si sentegridare ai bambini. Ma la vita non si può fermare,così si va di nuovo verso un negozio, verso la galle-ria. In Giappone c’è un termine bellissimo che è wa-

bi sabi: il bello che invecchia. Nella nostra parte dimondo non siamo d’accordo con questo concetto,sembra che debba essere tutto sempre nuovo e pre-stante per essere bello. Ma in realtà una stoffa invec-chiata e logora in un punto, o i muri vecchi, comequelli che possiamo vedere passeggiando a Venezia,con i pigmenti che si staccano per la pioggia e l’umi-dità, sono meravigliosi. La bellezza è il processo del-la vita, è la dinamica che porta ad avere una tensioneverso l’armonia.

La casa è il luogo più intimo e privato,

che meglio ci deve rappresentare. Deve

essere un luogo protetto, in cui noi

scegliamo cosa può filtrare

dall’esterno, facendo entrare solo ciò

che abbia un’autentica corrispondenza

con noi stessi

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Senza retorica possiamo dire che lei è il padre del-

la cucina italiana contemporanea: ci racconta co-

sa è per lei questa arte deliziosa?

La cucina sono anche e soprattutto i cuochi, Inquesto senso condivido quanto mi diceva ErnestoIlly che li definiva dei “chimici dell’intuizione”.Fare una cucina corretta, conoscere a fondo il cosa,il come e il quando o restare dei brusapadei, deibrucia padelle.

Cucinare è anche un mistero: le ricette si traman-

dano mantenendo sempre qualche legittima omis-

sione che lascia spazio alla personalità che di volta

in volta le realizza. Eppure negli ultimi tempi assi-

stiamo a una crescente spettacolarizzazione di que-

sta arte, che al tempo stesso è cultura ed elabora-

zione culturale, riducendola spesso alla capacità di

tenere il tempo e di dosare meccanicamente gli in-

gredienti. Cosa pensa di questi talent show?

L’alchimia dell’intuizioneIntervista a Gualtiero Marchesi

di Alessandra Ciarletti

Gualtiero Marchesi è nato a Milano da una famiglia di ristoratori pavesi, graziealla quale ha mosso i primi passi in ambito gastronomico. La svolta arriva neldopoguerra, a partire dagli anni di apprendistato al Kulm di Saint Moritz e allaScuola alberghiera di Lucerna (1948-1950). Rientrato in Italia, rimane per alcu-ni anni nel ristorante-albergo familiare, per proseguire poi il suo perfezionamen-to a Parigi. Nel 1977 fonda il suo primo ristorante, a Milano, conquistando laprima stella Michelin, seguita, l’anno successivo, da una seconda. Nel 1985 ri-ceve, primo ristorante in Italia, il riconoscimento delle tre stelle della guida fran-cese. Nel 2008, sarà anche il primo, ma questa volta al mondo, a riconsegnarletutte, convinto che, ormai, si tratti di un gioco al rialzo, dove si sale e si scendeper tenere alto il buon umore e le fortune dei critici.Nel 2008 apre il Ristorante Teatro Alla Scala “Il marchesino”.

È rettore dell'ALMA, Scuola Internazionale di Cucina Italiana con sede a Colorno in Provincia di Parma enel giugno 2006 ha fondato la Italian Culinary Academy a New York.In occasione dei suoi ottant'anni nasce il 19 marzo 2010 la Fondazione Gualtiero Marchesi che ha comemissione quella di custodire e valorizzare il suo “sapere” e che sarà attiva nella diffusione “del bello e delbuono” approfondendo le ispirazioni artistiche fondamentali per la cucina creativa.

49Raviolo aperto Dripping di pesce, foto di M. Borchi ©

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Già la bruttezza del neologismo: spettacolarizza-re, dice tutto. Difficile che si possa fare qualcosadi veramente intelligente, armonico, giusto. Soloa forza di cucinare, di studiare e ripetere, può ca-pitare che si diventi cuoco. Arrivare, poi, a com-porre, come nel caso della musica, è tutta un’altrastoria.Per quello che mi riguarda, l’ho ripetuto altre vol-te, io sono moderno per quanto mi concede la miastoria o se preferisce sono un conservatore checammina verso il futuro.

Lei è anche un grande appassionato dell’arte nel

senso più ampio. D’altronde l’arte culinaria è lei

stessa indagata in tanti campi artistici, dalla pit-

tura alla letteratura. Perché secondo lei intorno

alla cucina si sviluppa così tanta poesia? Cosa ri-

vela di noi e cosa saggiamente nasconde?

La cucina sembra facile, perché abbiamo fameogni giorno; è di tutti, ma non per tutti. Infatti, midica, secondo lei, quante persone si commuovonoveramente di fronte alla Pietà Rondanini, ad untramonto o alla luna? La buona cucina ci rivela labellezza del creato, la voglia di stare al mondo, lasaggezza di rendere le cose semplici e fatte bene.

Perché l’eccellenza italiana deve essere sotto-

posta a parametri valutativi francesi?

Questo è un grande Paese, ha grandi prodotti ebuoni interpreti. Dovrebbe crederci di più. Se non erro il suo piatto preferito è Riso oro e

zafferano. Perché? E, se c’è, qual è il piatto che

non cucinerebbe mai?

Mica solo quello! Non mi metto a cucinare se nonho gli ingredienti giusti.Negli ultimi anni ha preso piede la cucina mo-

lecolare. Cosa ne pensa?

Preferisco non pensarci. Vede, la cucina è di persé scienza.Recentemente ha firmato i nuovi panini di

McDonald’s. Apparentemente sembrerebbe

una contraddizione…

Ho studiato e messo a punto delle ricette per duepanini e un dolce. Se non lo fa un grande cuoco,chi deve farlo?

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La cucina sono anche e soprattutto i

cuochi. In questo senso condivido quanto

mi diceva Ernesto Illy che li definiva dei

“chimici dell’intuizione”

La cucina sembra facile, perché

abbiamo fame ogni giorno; è di tutti,

ma non per tutti

Gualtiero Marchesi all’inaugurazione del Ristorante Teatro allaScala “Il Marchesino”

Page 51: Roma Tre News 1/2012

«L’emozione dell’incontro è questo: lo sconvolgi-mento, lo stupore, la sorpresa derivanti dall’appari-zione dell’altro» L. Boella

Milano, 6 aprile Aquamama performance urbanadella compagnia cinzia delorenzi.Avevo deciso che, per parlare del tema dell’acqua edella città, avrei amplificato il suono dell’acqua diuna fontanella urbana con un idromicrofono e chepoi ci sarei entrata dentro sedendomi sul fondo;l’acqua sarebbe scivolata sulla mia testa e miavrebbe lentamente bagnato il viso ed i vestiti.Quindi avrei tappato il foro di uscita dell’acquaprovocando lo zampillo dal foro superiore, quelloda dove molti bevono per non bagnarsi troppo, epoi avrei cantato.

Era la prima rappresentazione e avevo appena rice-vuto da Lucia, la costumista, la calotta color bluelettrico di tessuto luccicante ed elastico che pensa-vo avrei utilizzato per la scena successiva, quelladavanti alla saracinesca di piazza Fontana, dove ilpoeta Ivan aveva scritto la sua poesia sulla strage.Sempre in quei giorni di prova mi immaginavo que-sto pesce blu, davanti a quelle parole azzurre scrittesul fondo bianco, muoversi e dimenarsi, imprendi-bile e scivoloso con sottofondo la canzone di LucioDalla, Com’è profondo il mare. Mi ero accanitamolto nel cercare i movimenti in relazione ai carat-teri della scritta e nel sentire lo spazio che mi avvi-

cinava e mi allontanava dalla saracinesca. Sarei en-trata in quello spazio lasciando una scia d’acquaversata dagli altri performer sull’asfalto. Sembravanon mancasse nulla per dare vita a quell’immagineche volevo sperimentare insieme al pubblico.Invece successe qualcosa di imprevisto che mi sor-prese emozionandomi ed emozionando gli spettato-ri. Sì, perché la calotta che mi copriva completa-mente il viso, come la maschera dell’Uomo Ragno,mi piaceva molto e guardandomi nel vetro di unautobus fermo al capolinea decisi di infilarla subitoe indossarla già sotto la fontanella pubblica. Appe-na l’acqua scese sul mio viso sentii il tessuto incol-larsi alla mia pelle, l’acqua entrare nelle narici, edavvertendo un senso di soffocamento non sapevocome recuperare l’aria. Il desiderio di respirare mifece emettere uno sbuffo d’aria dai miei polmoniche allontanarono di un poco il tessuto dalla miapelle provocando un effetto mantice, come se dav-vero fosse la pelle di un pesce che si sollevasse rit-micamente al ritmo delle sue branchie. Il mio visoappariva e scompariva sotto il respiro di questapelle blu e bagnata ed io respiravo per la primavolta il senso della mia performance.Cito questo episodio perché mi risulta difficile of-frire un punto di vista sulla creatività senza parlaredi esperienza viva. Posso parlare di creatività attra-verso l’esperienza della creazione artistica che, ap-parentemente più ricca di competenze, necessita in-vece di una grande dose di creatività. La creativitàintesa come accoglienza, relazione e adattamento acondizioni esterne che possono sembrare limitanti.Il fatto di essere costretti ad adattarsi a limiti ester-ni fa scattare dentro di sé la necessità di creare unanuova forma. Questa nuova forma, frutto della re-lazione, ha in sé qualcosa di misterioso, non vienesolo da dentro ma da qualcosa fuori di me, dall’es-sermi sbilanciata per incontrare l’altro, l’essereumano o il mondo in quanto natura ed oggetti ma-teriali. Posso quindi affermare che la creatività sor-ge da dentro, ma altrettanto arriva verso di me,quando dentro di me appare un’immagine nuovadestata dall’incontro con l’altro. Uno stato irrazio-nale e cosciente nello stesso tempo.È grazie alla Danza Sensibile® che ho esplorato lacreatività dal punto di vista del movimento. Glielementi di osteopatia che la Danza Sensibile®porta in sé introducono al concetto di vita del mo-vimento e di movimento della vita. In questo casoil movimento ha un senso e risponde ad una inten-zione profonda. L’obiettivo è di costruire la coe-renza tra il corpo fisico, l’azione e chi lo abita. Chesenso, che direzione c’è all’interno? Nella misura

«Creare è resistere e resistere è creare»Creatività come movimento e adattamento

di Cinzia Delorenzi

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rtag

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“Successe qualcosa di imprevisto che

mi sorprese emozionandomi ed

emozionando gli spettatori. La calotta

che mi copriva completamente il viso

mi piaceva molto e guardandomi nel

vetro di un autobus fermo al capolinea

decisi di infilarla subito. Appena

l’acqua scese sul mio viso sentii il

tessuto incollarsi alla mia pelle, l’acqua

entrare nelle narici. Il desiderio di

respirare mi fece emettere uno sbuffo

d’aria che allontanò il tessuto dalla

mia pelle provocando un effetto

mantice, come se davvero fosse la pelle

di un pesce a sollevarsi ritmicamente al

ritmo delle sue branchie”

Page 52: Roma Tre News 1/2012

in cui uno accetta che il movimento sia specchiodella vita, in quanto la vita è movimento, in tutte lesue forme.

Spesso desideriamo o abbiamo bisogno di qualco-sa, ma il corpo ‘parla’ e va in altra direzione. Que-sta condizione per me, invisibile per anni, ora mi èmolto più chiara. Se mi fermo un’istante semplice-mente ascoltando il mio corpo capisco se è real-mente orientato verso il gesto che vorrei compiereoppure è ‘girato’ verso un’altra direzione. Se vo-glio concedermi la creatività non solo il pensiero,ma tutto il corpo, deve essere organizzato versoquel progetto.

La Danza Sensibile® mi ha permesso negli anni diaffinare il mio ascolto ogni qualvolta mi approccioalla creazione artistica e cioè mi sento in grado diascoltare attraverso il corpo, di riconoscere i mes-saggi del corpo, messo in risonanza con un temaspecifico. Il corpo allenato in questa direzione di-venta uno strumento particolarmente sensibile ingrado di darmi dei feedback molto diretti e di nutri-re l’immaginario e l’inconscio nella direzione deltema scelto per una specifica creazione. Il corpo,che ha attraversato la pratica della Danza Sensibi-le®, si trasforma in uno strumento così fine da es-sere pronto ad entrare anche in un’esperienza diascolto dell’istanza del vuoto ed accogliere gli sti-moli, le ispirazioni e i messaggi che arrivano dal-l’esterno a nutrire la creazione. Il compito che siimpara in questo percorso è proprio quello di saperfrequentare quel vuoto da cui ascoltare la manife-stazione dell’intenzione creativa depositando lapropria presenza sulla terra e, al contempo, di sape-re riconoscere i messaggi che il corpo manda quan-do si concede di fare un’esperienza nel senso pro-fondo del termine, nella verità di ciò che nasce.Ma come scrive Stéphan Hessel, «Creare è resiste-re e resistere è creare». Questa frase tratta dal suo

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Posso quindi affermare che la

creatività sorge da dentro, ma

altrettanto arriva verso di me, quando

dentro di me appare un'immagine

nuova destata dall’incontro con l’altro.

Uno stato irrazionale e cosciente nello

stesso tempo

Compagnia Cinzia Delorenzi, Aquamama – azione coreografica fantastico-ancestrale in 3 parti e 9 quadri, rappresentata il 6 aprile scor-so in piazza Cesare Beccaria a Milano, nell’ambito della XIV edizione del Danae Festival

Page 53: Roma Tre News 1/2012

famoso libro Indignatevi!, mi riporta all’esperienzadel percepire le proprie radici, questa pratica dellaDanza Sensibile®, che conduce davvero a sentiredi essere collegato più profondamente alla terra diquanto si possa pensare. Ed è un’esperienza di resi-stenza.

Sì, perché come l’albero con radici profonde nonsi sposta nonostante le sollecitazioni che proven-gono dall’esterno, allo stesso modo noi esseriumani possiamo pescare la forza dalle nostre radi-ci per dare una risposta al mondo che ci sprona,

senza però farci spostare dal nostro progetto di vi-ta. Tutto questo è ancora più vero quando si entrain uno stato di creatività, il cui significato profon-do ha a che fare con la capacità di mantenere lapropria direzione, ossia mantenere il patto presocon se stessi e con il mondo nel momento in cuiscelgo di seguire il mio desiderio di creare per da-re forma al nuovo necessario. E anche se nel per-corso creativo ogni avvenimento contribuisce aspostarci dall’obiettivo che ci siamo dati, la capa-cità di ascolto delle proprie radici, affinata graziealla Danza Sensibile®, permette innanzitutto diaccogliere e in seconda battuta di dare una rispo-sta a tali stimoli, nella coerenza però del proprioprogetto creativo. La risposta, in questo caso è in-fatti di “resistenza nell’accoglienza”: quando in-fatti si è fortemente radicati nelle proprie radici,ci si può permettere di accogliere quegli elementiesterni – quelle forze e materie messe in campo,visibili ed invisibili, che continuamente ci stimo-lano all’interno del percorso creativo – per met-terli in risonanza con il nostro progetto finale, cheliberamente ci si è dati, perché divengano nutri-mento per la nostra creatività, e non più soltantoelemento destabilizzatore.

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Come l’albero con radici profonde non

si sposta nonostante le sollecitazioni

che provengono dall'esterno, allo stesso

modo noi esseri umani possiamo

pescare la forza dalle nostre radici per

dare una risposta al mondo che ci

sprona, senza però farci spostare dal

nostro progetto di vita

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Nebbia del Riachuelo,canta un vecchio tangoporteño. Il Riachuelo, iltorrente, il fiumiciatto-lo, è un corso d’acquamaleodorante, sinuoso epoco profondo che at-traversa i popolari edensi agglomerati urba-ni che circondano Bue-nos Aires e vi si con-fondono – tra questi:Avellaneda, Lanús, LaMatanza, Lomas de Za-

mora – e, arrivando a Caminito, sfocia nel Río de LaPlata. Non offre panorami naturali degni di nota e laflora e la fauna, una volta rigogliose, hanno lasciatoil posto a costruzioni umane niente affatto memora-bili sul piano artistico. Le sue acque sono le più in-quinate dell’Argentina e tra le più contaminate dalpianeta, frutto dell’operosità dell’homo oeconomicus,sedotto dalle aspirazioni del progresso.

Questo fiumiciattolo nella storia del suo rapporto conl’uomo è stato ribelle e mai domo, nell’estremo ten-tativo di non passare inosservato, annientato dall’im-pressionante quantità di residui contaminanti, metallipesanti e acque reflue, normalizzato nella magmaticametropoli sudamericana.

E dobbiamo riconoscere che, con i suoi soli 65 chi-lometri di lunghezza, nulla per un corso d’acqua che

Arte con todosLezioni di creatività dalla periferia della Gran Buenos Aires

di Gianni Tarquini

Gianni Tarquini

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Il Riachuelo è stato il rifugio accogliente

prima delle popolazioni indigene

Querandies e poi di tanti immigrati in

fuga da fame e persecuzioni, provenienti

da tutti gli angoli del pianeta. Sgraziato e

minuscolo ma redento e redentore grazie

alla sua personalità, alle sue creazioni. Su

tutte il Tango, che non esisterebbe senza

il porto di La Boca

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pretende un riconosci-mento dai boriosi umani,c’è riuscito. Tante volte haaffermato che era lì e con-tava, con i suoi straripa-menti eccezionali, suppor-tato dalla trascinante forzadel vento che viene del-l’oceano.Il Riachuelo è stato il rifu-gio accogliente, prima del-le popolazioni indigeneQuerandies e poi di tantiimmigrati in fuga da famee persecuzioni, provenien-ti da tutti gli angoli del pianeta, dall’Europa in parti-colare. Sgraziato e minuscolo ma redento e redentoregrazie alla sua personalità, alla magnanimità, alle suecreazioni. Su tutte il Tango, la musica della passionee della ribellione, che non esisterebbe senza il portodi La Boca – creato da marinai genovesi nel puntod’incontro tra il fiumiciattolo e il vigoroso Río de LaPlata – e senza i suoi miserabili artisti. Una terra fer-tile e ospitale, le illusioni di progresso e le particolariforme d’arte che ha fatto nascere, la ricerca della bel-lezza e dell’insondabilità dell’animo umano insiemealla volontà di riscatto e di dignità: senza tutto questoforse nemmeno Buenos Aires esisterebbe. La tenaciae la grazia di Carlos Gardel si nutrono in quei parag-gi, così come l’estro, l’arte involontaria e lo spirito

ribelle di Diego ArmandoMaradona e del suo stadiogiallo e azzurro, “La Bom-bonera”, del club sportivoLa Boca, fondato da cin-que giovani sognatori emi-grati dall’Italia. I suoi figliripartiti alla conquista delmondo. E poi i tanti altri giovani,meno fortunati, coraggiosie idealisti che volevano unmondo più giusto e chesono “spariti nel nulla”,desaparecidos: alcuni di

loro, gettati in un volo mostruoso e mortale proprioin quelle acque, un po’ più in là, hanno lasciato unesempio incancellabile di senso di giustizia, dignità evitalità contro gli abusi della forza cieca e brutaledella dittatura.Il Riachuelo rivoltoso è lì, al suo lato, tra i milioni diquella Gran Buenos Aires sterminata, tanti uomini edonne che si ribellano all’anonimato e non voglionoessere solo un numero o un piccolo pezzo di un enor-me ingranaggio.Ed è forse lo stesso spirito utopico, baldanzoso espericolato che muove alcuni giovani di Lanús abuttarsi a capofitto nell’arte e a volerla diffonderee renderla partecipe nella periferia popolare, tra iresti e l’attualità di grandi fabbriche di macella-

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zione bovina, i gas discar ico di autoveicol isbuffanti, caracollanti einstancabili, i sogni diprogresso nazionale ecollettivo del secolo pas-sato. Residui industriali,scorie inquinate e c iòche ne è scaturi to: unconsumismo globale di-lagante e omologante.Sono i giovani di Arte

con Todos, arte con tuttoe con tutti: con i bambi-ni, perché sognino, e so-gnerebbero comunque;con le mamme stancheper le loro giornate a ser-vizio degli altri e con glianziani che rischierebbero di spegnersi davanti aun programma televisivo; con i giovani perchétengano acceso il loro “fuoco”.

Arte nelle strade, sfidandoil traffico e la noia, e nellacasa aperta, l’Espacio Dis-

parate che, per passareinosservata, offre alcunidei suoi spettacoli nella viaadiacente e che è stata ridi-pinta con fantasia dopo unincendio.Senza esclusioni da ‘impe-gnati intellettuali’ ma allaricerca della creatività cheè in ognuno, spaziando daltango al repertorio classi-co, dal rock energico odark, passando per il fol-klore nazionale, la chaca-

rera, il teatro infantile, gliautori “mostri sacri”, fino

alla metafora storica o alla satira socio-politica.Ed ecco allora dar vita a concerti di murga argentina,con le sue musiche, i tamburi e i salti d’origine africa-na che si intrecciano con la cultura carnevalesca e i te-sti da picari impudenti ed altre esibizioni di tanghi conbandoneòn ispirati o milongas strappalacrime. Arriva-no poi, con l’opera teatrale El Gigante Amapola, i ge-nerali di Juan Bautista Alberdi che, impersonando ilpotere, chiusi nel loro triste e gretto egoismo, ne sma-scherano la meschinità; saranno le donne del popolo aribellarsi all’oppressione e all’abuso di autorità. I sognie la malinconia degli immigrati italiani, che tanto han-no dato a Buenos Aires e all’Argentina, con la loro – lanostra – lingua in omaggio ai 150 anni dell’Italia, inGringo Golondro. E il progetto Arbolemos, pensato in-sieme all’associazione Terre Madri, per cercare di tra-sformare anche il paesaggio, spesso desolato e violen-tato in questa periferia così densa. Di trasformarlo par-

A Lanús i giovani di Arte con Todos si

sono buttati a capofitto nell’arte, per

diffonderla e renderla partecipe nella

periferia popolare della Gran Buenos

Aires, tra i resti e l’attualità di grandi

fabbriche di macellazione bovina, i gas di

scarico di autoveicoli sbuffanti,

caracollanti e instancabili, i sogni di

progresso nazionale e collettivo del secolo

passato

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tendo dai bambini e dai loro luoghidi aggregazione, le scuole, e dallospettacolo che vede protagonisti duebuffoni e un albero, che cresce, inter-loquisce e diventa protagonista delrapporto vita/finzione teatrale. Tantoprotagonista che alla fine un alberovero rimane nella scuola (ne è statopiantato uno in ognuno dei cento epiù istituti educativi in cui è statorappresentato lo spettacolo), lasciatoalla cura dei bambini che ne potran-no fare il loro “amico immaginario”,fragile ma poderoso allo stesso tem-po, il loro confidente e ispiratore perdare all’ambiente una chance di ri-scatto e all’educazione un volto dapagliaccio e un albero come libro.I giovani di Arte con Todos sono in-stancabili organizzatori di feste popolari di quartie-re e di festival di teatro indipendente, dove il me-

glio delle nuove forme espressive,del linguaggio e del corpo, vienemesso alla prova con rappresenta-zioni di qualità e con un pubblicoall’altezza. E poi il passo successi-vo, il coinvolgimento diretto, con itanti corsi che realizzano, per por-tare la gratificazione dell’espres-sione artistica a tutti. Per ogni etàe per ogni sogno, chiuso in chissàquale cassetto.E allora: grazie Mariana, grazieLola, grazie Pedro, grazie GringoGolondro, gigante Amapola, amicoAlbero, grazie a tutti. Non lasciateche vengano dimenticati i vostripadri senza corpi che volevanocambiare il mondo, non lasciateche i bambini, i giovani e i ribelli

della vostra grande periferia si trasformino in pas-seggiatori di centri commerciali, in guidatori quoti-diani e assuefatti al traffico metropolitano, stanchi espenti davanti a uno schermo, illusi come spettato-ri/consumatori di concerti e balli da discoteca, op-pure tristi e insignificanti mentre umiliano la pro-pria creatività con l’alcool e le droghe. Trasforma-teli, almeno per una volta nella loro vita, senzapiaggerie e scopiazzature, facendo loro trovare l’e-stro espresso nei momenti migliori da Gardel e Ma-radona e che tutti loro hanno dentro.Grazie maleodorante e ribelle Riachuelo, per tenerein vita questo spirito, per sostenere le passioni diquesti giovani artisti e per continuare a tenere accesitanti sogni.

Arte con Todos è un’associazione senza fini di lucro nata aLanús nel 2005 per iniziativa di alcuni giovani artisti conl’obiettivo di promuovere e migliorare la qualità della vitanella provincia di Buenos Aires attraverso lo sviluppo diprogetti e attività artistiche, educative e di protezione del-l’ambiente. Realizza corsi di musica, danza e teatro perbambine, bambini e adulti. Produce spettacoli teatrali, orga-nizza festival di cinema, teatro, musica e mostre fotografi-che. Lavora nei quartieri popolari e in stretto contatto con lescuole del territorio, convinta che l’arte possa stimolare lanaturale creatività, di bambini e giovani in particolare, permigliorare le relazioni tra le persone e tra queste e l’ambien-te che abitano.Tra le attività realizzate ricordiamo: El sueño de Raquelita,ispirato alla novella Peter Pan, che ha vinto i premi comemiglior spettacolo, regia e attore rivelazione al festival diteatro per bambini di Necochea 2005/06; le tre edizioni delfestival di Teatro Indipendente del Sud del Conurbano Boa-nerense, portando in scena decine di opere prime; il proget-to Arbolemos per l’educazione ambientale con i bambini di

oltre cento scuole del distretto di Lanús (http://arbolemos.blogspot.it/), realizzato con la ONG italiana TerreMadri (www.terremadri.it).L’associazione ha sede in Montevideo 1265 Lanús – Argentina, presso la casa delle arti Espacio Disparate(http://espaciodisparate.blogspot.it/, [email protected]).

Senza esclusioni da ‘impegnati

intellettuali’ ma alla ricerca della creatività

che è in ognuno, spaziando dal tango al

repertorio classico, dal rock energico o

dark, passando per il folklore nazionale, la

chacarera, il teatro infantile, gli autori

“mostri sacri”, fino alla metafora storica o

alla satira socio-politica

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Nel suo ultimo libro Re-

tromania. Musica, cul-

tura pop e la nostra os-

sessione per il passato,Simon Reynolds, pro-babilmente il più famo-so ed influente criticomusicale di questo de-cennio, affronta uno deitemi più delicati nelmondo della cultura at-tuale. In uno scenarioormai dominato da in-ternet, social network e

da sempre più nuovi e numerosi strumenti di riprodu-zione musicale digitale, pare sempre più evidente ildeclino dell’originalità e della creatività artistica afavore del predominio della nostalgia, che sfocia inun continuo riciclo di temi, suoni e immagini da unpassato neanche troppo lontano, ma già assurto aruolo di nuovo canone estetico.Del resto basta dare un ascolto neanche troppo atten-to alla miriade di trend, generi e sottogeneri che negliultimi anni si sono succeduti all’attenzione degliascoltatori, per scorgere un infinito gioco di richiamie rimandi ai suoni, alle costruzioni e anche all’imma-gine di artisti dei decenni precedenti, fino a coinvol-gere anche quelli più oscuri e sconosciuti. Questo pernon parlare di altri campi del mondo dello spettaco-lo, come il cinema e la stessa televisione, dove l’ulti-mo decennio è stato dominato da ogni possibile e im-maginabile remake di film o serie tv degli anni Set-tanta e Ottanta.È questa, secondo Reynolds, l’epoca in cui la nostal-gia diventa la principale protagonista dello scenarioculturale, laddove la moltiplicazione incontrollabiledei supporti di riproduzione e degli strumenti e deiluoghi della loro condivisione permette di compierequell’ideale viaggio a ritroso nel tempo che era statofino a poco tempo fa l’ostacolo principale (e vienequasi da dire, opportuno) al ricongiungimento con unpassato idealizzato, elaborato e manipolato fino afarlo diventare un’età dell’oro. Non sorprende che ilcampo di realizzazione di questa rivoluzione al con-trario sia il mondo della cultura popolare, dato che,come ci ricorda lo stesso Reynolds, la musica popo-lare nasce con l’invenzione delle registrazioni fono-grafiche, che permettevano per la prima volta allamusica di circolare direttamente attraverso una suasingola ed individuale esecuzione, cristallizzata neltempo, per essere fruita da una massa nello stessomedesimo arco di tempo, e non più attraverso unospartito. Una rivoluzione, quindi, legata strettamente

ad un’evoluzione tecnologica prima, e commercialedopo, che ha fatto sì che la musica, ma anche il cine-ma e la televisione diventassero il punto di riferimen-to di un mondo che andava sviluppandosi in modosempre più veloce, aumentando ancor di più quelsenso di spaesamento che accompagna ogni passag-gio da un’epoca a un’altra.Nel suo saggio Reynolds mette da parte ogni possibi-le timidezza e prende decisamente posizione controquesta tendenza del passato a dominare la scena dellacultura popolare. E in una serie di capitoli identificaquelli che sono stati secondo lui i principali attori diquesto fenomeno. Come già detto, l’autore individuauna radice tecnologica del fenomeno, dovuta allapossibilità, per la prima volta nella storia, grazie allarete e agli strumenti di condivisione online, di acce-dere in un lasso di tempo brevissimo e a costo prati-camente zero a qualsiasi prodotto culturale del passa-to. Questa libertà pressoché infinita di conoscenza edocumentazione però porta con se il rischio di un so-vraccarico di informazioni per l’ascoltatore, senzache ciò sia accompagnato da un incremento corri-spettivo della capacità della nostra memoria di gesti-re questa immensa mole di dati. Il simbolo di questopassaggio culturale è, per Reynolds, Youtube, dove,nel giro di pochi anni, è stato riversato praticamentequasi tutto lo scibile culturale, senza però nessunaforma di criterio di catalogazione, in ossequio allalogica della spinta dal basso dei media moderni, econ una tendenza pronunciata ed evidente alla fram-mentazione di forme di narrazione lunghecome il ci-nema e la musica, frammentazione che finisce per ri-prodursi anche nelle capacità di attenzione e concen-trazione dell’utente. Quello che ne risulta è quindi unappiattimento dei gusti dovuto alla scarsa disponibi-lità a subire una proposta culturale, piuttosto che rita-gliarsela direttamen-te dalle fonti a dis-posizione sulla rete.L’appiattimento deigusti, a sua volta, siripercuote sulla pro-posta creativa, comeè facile testimoniaree come abbiamo giàdetto in precedenza,visto che difficil-mente è esistito unperiodo così domi-nato dal riutilizzodel passato. In so-stanza Reynolds ag-giunge un corollario

Popscene«(Don’t) Look Back In Anger»: l’ossessione per il passato e la nostalgiadel futuro nell’ultimo saggio di Simon Reynolds

di Ugo Attisani

Ugo Attisani

rubr

iche

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interessante alla cosiddetta “teoria della coda lunga”ipotizzata dallo scrittore e giornalista Chris Andersonnell’omonimo saggio, e cioè che il sorprendente ri-sultato di un mercato diviso in nicchie sempre piùpiccole e sempre più specifiche è il trionfo del passa-to sul presente e sul futuro. Parallelamente parescomparso il concetto di possesso del prodotto cultu-rale dato che la sua digitalizzazione ha eliminato isupporti materiali che eravamo stati abituati a cono-scere fino ad ora; al suo posto si fa strada il concettodi accesso diretto ai dati attraverso la rete. Reynoldsindividua poi due fenomeni che sono secondo lui ipiù indicativi di questo mutamento culturale: la sha-

rity e la franticity.Con il primo termine, un neologismo coniato dallostesso Reynolds in cui si mischiano i termini inglesiper condivisione, carità e rarità, si vuole cogliere lacaratteristica principale del modo di circolare dellamusica ai nostri giorni: gli appassionati di tutto ilmondo si rincorrono in una sfida continua nel mette-re in circolazione opere sconosciute di un passato piùo meno remoto attraverso blog musicali o i canali delpeer to peer nel tentativo di riaffermare la propria au-torità di esperti. Questa proliferazione di fonti e dimateriale musicale porta però direttamente al secon-do fenomeno, la cosiddetta franticity, ovvero una ve-ra e propria frenesia compulsiva all’accumulo dimusica per la quale non si disporrà mai del temponecessario ad ascoltarla; una situazione, per l’autore,del tutto affine a una tossicodipendenza, con ulterio-re macabro corollario, dal momento che se è veroche ogni forma di collezionismo è, alla radice, unmodo di governare la cronica mancanza di tempo do-vuta alla mortalità, allora nessuna forma di collezio-nismo come quella digitale mette in risalto l’assolutainadeguatezza della durata della vita umana. Questofenomeno trova la sua manifestazionepiù evidentenell’Ipod, il più famoso tra i lettori mp3. Per Rey-

nolds l’Ipod rappresenta il vero protagonista dellamusica degli ultimi dieci anni, ben più di qualsiasiartista che abbia dominato le scene musicali recenti,e questo nella misura in cui Apple ha saputo crearenon tanto un prodotto nuovo, originale o di qualitàsuperiore alla concorrenza, ma quello più adatto avenire incontro alla cosiddetta Me Generation, la Ge-nerazione Io, formata da consumatori che reclamanoil loro diritto ad intervenire in prima persona nellacreazione artistica, modificandola a proprio piaci-mento con le infinite possibilità di fast forward, ripe-tizione e riproduzione casuale fornitegli dalla tecno-logia. Il quadro finale che ne emerge è, agli occhidell’autore, ovviamente poco confortante, laddove lamusica perde qualsiasi forma di valore rivelatore persottomettersi alla dittatura del flusso del tempo e incui si è ormai prodotta una mutazione globale che ciha reso tutti curatori e archivisti. La visione del pre-sente e le previsioni sul futuro della cultura popolaredi Reynolds sono quindi chiaramente pessimistiche,ma pur non potendo negare l’accuratezza e la preci-sione dell’analisi contenuta in questo saggio, nonchél’originale e convincente chiave interpretativa propo-sta dall’autore, non si può, almeno a mio parere, con-dividere in pieno le sue conclusioni. Difficile pensareinfatti che la creatività possa scomparire dallo scena-rio culturale solo ed esclusivamente a causa dell’evo-luzione dei mezzi di riproduzione e dei supporti adessi collegati, materiali o meno che siano. Più facilee credibile pensare invece che si sia al centro di unodei tanti passaggi epocali nell’evoluzione della cultu-ra e dell’arte, in cui la creatività e l’originalità nonsono di certo scomparse o venute meno, ma piuttostostiano cercando in modo sotterraneo nuove vie diespressione adeguate a questi nuovi tempi e che, co-me sempre è stato nella storia, necessiteranno di nuo-vi interpreti e nuovi critici in grado di poterle com-prendere appieno. 59

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Di prossima pubblica-zione, la Carta dei Servi-zi si configura come unasorta di “patto scritto”con lo studente. La Car-ta dei Servizi nasce,quindi, a garanzia delleaspettative e delle esi-genze degli studenti, il-lustra le caratteristiche ele modalità di accessoalle prestazioni, ai servi-zi e agli interventi ero-gati da Laziodisu e dalle

Adisu territoriali, tra cui quella di Roma Tre, definen-done gli standard di qualità e le relative procedure direclamo e indennizzo rispetto a eventuali inadempien-ze attuative.Laziodisu, anche attraverso le Adisu, assicura, nel ri-spetto degli articoli 3, 34 e 117 della Costituzione, del-la normativa statale e regionale vigente, un sistema in-tegrato di interventi, servizi e prestazioni per il dirittoagli studi universitari, fornendo borse di studio in de-naro, posti alloggio in residenze universitarie, contri-buti per la locazione di immobili per studenti fuori se-de, contributi per esperienze formative all’estero, sus-sidi per studenti diversamente abili.Laziodisu si impegna ad assicurare trasparenza in ter-mini di informativa e reclami; tempestività nell’eroga-zione delle prestazioni; accessibilità alle informazioni;

adeguatezza alleesigenze degli stu-denti e alle norme eregolamenti; affida-bilità nel rispettodei principi e degliimpegni assunti.La Carta, inoltre,mette in atto un’a-zione di costantemonitoraggio dei li-velli di erogazionedella prestazione edel processo di pro-duzione del servi-zio attraverso inda-gini periodiche, pervalutare il livello di soddisfazione dell’utenza, e la ge-stione dei reclami. A questo proposito, la Carta preve-de anche un modulo da compilare da parte dello stu-dente in casi che meritano una traccia scritta. Normal-mente, infatti, ogni problema viene risolto con contattidiretti con il personale degli uffici di via della VascaNavale 79. In questa ottica, gli standard di qualità so-no aggiornati con cadenza almeno biennale, previaconsultazione dei rappresentanti degli studenti. Graziealla Carta dei Servizi lo studente potrà più facilmenteorientarsi e utilizzare correttamente i diversi servizi,esercitando il potere di controllo sulla qualità deglistessi attraverso la garanzia del rispetto dei suoi diritti.

Il Sistema Bibliotecario di Ateneo, in occasione dellagiornata mondiale del libro e del diritto d’autore, haospitato il 20 e 21 aprile scorsi il Meet Up Nazionale2012 (MUNZ 2012) organizzato dalla comunità italia-na dei bookcrosser, presentando Mi libero nel libro.

Racconti di persone per cui il libro è espressione, ne-

cessità, evasione, possibilità, impegno, libertà...Già nei giorni precedenti e poi nel corso del MUNZ2012 è stato possibile rilasciare un libro e trovarne unaltro per avere e dare l’opportunità di nuove scoperte.Sono intervenuti scrittori, saggisti, studiosi e docentidi Roma Tre per “liberare” un libro e raccontarci lapropria esperienza.L’evento si è svolto presso la Biblioteca delle Arti,sezione “Lino Miccichè”, via Ostiense 139, 00154Roma.

Bookcrossing - Meet Up Internazionale 2012

Gianpiero Gamaleri

60 Ultim’ora da LaziodisuCarta dei servizi Laziodisu

di Gianpiero Gamaleri

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La cappellania universitaria di Roma Tre

di don Pino FanelliCirca vent’anni fàGiovanni Paolo II, dasensibi le animatoredei giovani qual era,affidò alla diocesi diRoma un compito im-portante con la nascitadell’Ufficio di pasto-rale universitaria. Nel-le sue esperienze gio-vanili egli aveva speri-mentato di persona lanecessità della chiesadi essere presente in

questo delicatissimo campo, strategico per la for-mazione delle nuove generazioni. Oggi la presenza degli animatori di pastorale uni-versitaria si è ramificata in quasi tutte le Facoltàdelle università romane e conta sul lavoro di circaquaranta cappellani universitari.Anche l’Università di Roma Tre, attualmente inespansione, ha in ogni Facoltà la presenza di unsacerdote che fa da animatore spirituale e cultura-le della comunità accademica.Compito del cappellano universitario è innanzitut-to favorire l’incontro e il dialogo tra le varie real-tà presenti all’interno di ogni singola università(docenti, studenti e personale amministrativo)creando sinergie al fine di far sentire e vivere l’u-niversità come una vera comunità che cammina,cerca e progetta insieme.L’università infatti non può limitarsi a essere unluogo anonimo, un insieme di funzioni e di matri-cole ma deve aspirare a diventare una famiglia al-largata dove ognuno si senta accolto per quelloche è e viva la dimensione umana di questo perio-do di tempo della vita caratterizzato da un fortedesiderio di conoscenza e di impegno nello studioe nella ricerca.

È anche importante che il cappellano universitariofavorisca il dialogo tra fede e cultura. Solo unacultura animata dalla fede può arrivare alla cono-scenza integrale della verità, così come solo unafede che accoglie e valorizza l’impegno culturalee della ricerca scientifica sa dare risposte vere eincarnate nell’oggi. Tra fede e cultura si deve sta-bilire un rapporto di osmosi, di continuo dialogo einterscambio facendo sì che l’una sia di stimoloall’altra. L’università oggi è chiamata a non limitarsi a for-mare esclusivamente dei professionisti competen-ti ed efficaci che possano soddisfare la domandadel mercato in ogni momento preciso (visioneutilitaristica), ma anche a trovare un riferimentosuperiore che vada oltre il semplice calcolo diutilità. Si tratta di orientare il cammino educativodei giovani verso una crescita integrale della per-sona.Dallo scorso settembre ho potuto sperimentaretutto questo muovendo i primi passi come assi-stente spirituale nella Facoltà di Economia di Ro-ma Tre. Importanti sono stati gli incontri con al-cuni docenti e parte del personale amministrati-vo. Sono arrivato con la consapevolezza di nondover fare alcun programma se non quello di co-noscere e ascoltare tutti. Coltivare le relazioni, irapporti personali è stato per me il primo passofatto prima di programmare iniziative di anima-zione spirituale o culturale. Un momento moltoforte è stata la celebrazione della messa in un’au-la della Facoltà di Economia in ricordo di Mat-teo, un ragazzo di 20 anni deceduto in un inci-dente con la moto. In un clima di commozione econ la presenza del preside, di alcuni docenti eparte del personale amministrativo abbiamo vis-suto un momento di forte intensità umana e spiri-tuale, in cui abbiamo sperimentato davvero di es-sere una “comunità”. In cantiere ora ci sono altreiniziative che abbiamo programmato insieme co-me Cappellania universitaria e come Facoltà diEconomia.

Non tutti sanno che...

Biglietteria teatrale AGIS di Roma Tre

Da martedì 3 aprile labiglietteria universita-ria AGIS di Roma Tre,presso l’edificio di viaOstiense 169, ha cam-biato il proprio orario.Sarà aperta al pubbliconei seguent i orar i :martedì e giovedì12.00 - 14.30. 61

don Pino Fanelli

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Facoltiadi 2012

Sono in corso dall’11 aprile e fino al 16 maggioprossimo, presso lo Stadio Alfredo Berra le Facoltia-di dell’Università Roma Tre, quest’anno alla secondaedizione.Nell’ambito della manifestazione sportiva si con-fronteranno le otto Facoltà dell’Ateneo.Le squadre che prendono parte a questo evento, uni-co nel panorama universitario capitolino e organizza-to dall’Ufficio iniziative sportive, sono anche que-st’anno dieci (una per ciascuna Facoltà dell’Ateneo,una in rappresentanza del personale e una degli stu-denti Erasmus).Visto il successo della passata edizione, che ha vistoconfrontarsi oltre 200 studenti, ma anche i presidistessi, impegnati a portare punti preziosi alla propriaFacoltà, le discipline sportive da quindici sono di-ventate venti.La manifestazione coinvolge anche strutture sportivedei Municipi XI e XII.Trionfa anche quest’anno lo sport a Roma Tre, peruna festa che esce dai confini universitari, abbrac-ciando concretamente il territorio e ponendo la com-petizione agonistica al centro di un progetto comunea tutta la cittadinanza.

Roma Fringe Festival®

Un’area verde dedicata al teatro. Un grande “parcoa tema” con novespettacoli al giornoper venti tré giorni(dal 23 giugno al 15luglio) di teatro, conmusica, incontri ,workshop, presenta-zioni. Un grande vil-laggio in cui addetti ailavori e un pubblicoincuriosito passano da

uno spettacolo all’altro, per scoprire nuove dram-maturgie, nuovi registi, nuove iniziative nel cuoreverde della capitale. Questo è il Roma Fringe Fe-stival®: un vero e proprio Parco del Teatro, lagrande vetrina del Teatro Off.Villa Mercede è la sede scelta per la prima edizio-ne del Roma Fringe Festival, per quello che sipreannuncia il più grande evento dedicato allospettacolo dal vivo in uno spazio verde e unico.Un grande evento con tre aree palco, il Roma Frin-ge Festival porta nella capitale in un’area verdecircoscritta, il festival nato nel 1947 a Edimburgoe che dagli anni Settanta ha conquistato le piùgrandi capitali europee. Ospiti del Roma FringeFestival saranno cinquantaquattro compagnie diTeatro Off e tre big.Il Roma Fringe Festival è un’iniziativa di FRINGEITALIA e Ass. Nero Artifex, in collaborazione conComune di Roma - Municipio Roma III. Il RomaFringe Festival è gemellato con il New York Frin-ge Festival, St. Louis Fringe Festival, VentnorFringe Festival.

Ice… Love… Lies! Una screwball comedy in sce-

na al teatro Euclide

Dal 8 al 13 maggio 2012 al teatro Euclide di Ro-ma la compagnia teatrale Punto&Virgola porta inscena la screwball comedy Ice… Love… Lies! Sitratta di un genere di commedia quasi del tuttosconosciuto alle nuove generazioni. Letteralmentetraducibile come “commedia svitata”, la screwballcomedy debutta sugli schermi cinematograficiamericani negli anni Trenta e Quaranta; equilibra-ta via di mezzo tra la commedia sofisticata e lafarsa, è caratterizzata da ambientazioni aristocrati-che, ritmi incalzanti ed umorismo raffinato e sotti-le, incentrando le sue imprevedibili trame sull’in-contro/scontro di personaggi eccentrici e lieve-mente fol l i , incurant i dei costumi social i .(www.puntoevirgola.eu)

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È una vera gioia per gliocchi. Un’applicazionepensata per iPad arrivaa conquistare un premioOscar: The fantastic

flying books of Mr Mor-

ris Lessmore di WilliamJoyce e Brandon Olden-burg. Quanto di più tec-nologicamente avanzatopossiamo immaginare silega tuttavia a un sog-getto che a molti sem-brerà nostalgico. Il

buon vecchio libro di carta, di cui da tempo si predi-ce la scomparsa, diventa in questi quindici minuti dimagia narrativa l’assoluto protagonista. Combinandotecniche di animazione bidimensionale e tridimen-sionale, i due registi hanno immaginato un uraganoviolentissimo, simile a quello che ha distrutto NewOrleans. Mr Lessmore sta lavorando a un suo librosulla terrazza di casa, la furia del vento spazza viatutto, compreso il suo esile corpo, e lo catapulta al-trove. Il mondo ha perso i colori, i sopravvissuti siaggirano malconci e malinconici. Che fine hanno fat-to i libri? Mr Lessmore si aggira sconsolato nellapolvere, tossisce parole e si mette in attesa di un pic-colo miracolo. È ritrovando i libri che ritrova sé stes-so; è regalandoli che ritrova allegria – e le persone acui li affida riacquistano il colore. I libri, nello spaziomagico di un’ampia biblioteca domestica, manifesta-no i propri stati d’animo, chiedono attenzione, balla-no. I libri si ammalano – e Mr Lessmore si impegnaa curarli, ma non basta un po’ di nastro adesivo per lepagine scollate e un po’ d’ossigeno. Per guarire un li-bro bisogna leggerlo, riga per riga, parola per parola,scopre il buffo Mr Lessmore così simile a BusterKeaton. The fantastic flying books è un film muto a colori,carico di tenerezza e di mistero. E di una passionesmodata per i libri, i libri di carta, con la loro mate-rialità così attraente e fragile. Non hanno pregiudizi;restano alla mano anche quando sono complicati. Liabbiamo letti sotto le coperte, li abbiamo spiegazzatie unti di crema solare, macchiati di caffè. Li abbiamocoperti di sbadigli e starnuti, dimenticati sugli auto-bus, fatti scivolare nelle pozzanghere. Ce ne siamoserviti per bloccare le porte nei giorni di vento e as-sestare tavoli zoppi, per segnare al volo numeri digente che non abbiamo richiamato più. Non hannoprotestato, i libri, quando li abbiamo letti in mutandee perfino senza. Un infinito numero di volte si sonoaccontentati di essere lasciati a metà, o molto prima.

Nell’era del tascabile, non conoscono rancori e pudo-ri, ammettono qualunque distrazione, affronto. Re-stano sempre disinvolti e disponibili: alle nostre gior-natacce, alle curiosità sbagliate. Alla polvere.Il momento più triste è quando Mr Lessmore, invec-chiando, sente che un giorno dovrà abbandonare lapropria biblioteca. Uno accumula libri per una vita, lisente come compagni di viaggio, come amici, provariconoscenza per come hanno arricchito testa e cuo-re, per come hanno riempito pomeriggi e notti di so-litudine – e poi, un giorno, è costretto a lasciarli. MrLessmore guarda con tristezza la folla di volumi acui deve dire addio. E anche i volumi lo salutano congrande malinconia. Ma The fantastic flying book of

Mr Lessmore non si chiude su note cupe: c’è il segnodi un riscatto imminente, la possibilità di una soprav-vivenza che è condivisione. È curioso e affascinante questo cortocircuito fra lacreatività ipertecnologica e una materia così vintagecome l’amore per i libri di carta. Ma non è un casoisolato, se si considera che un vento nostalgico sof-fia in alcune delle opere cinematografiche più ac-clamate degli ultimi mesi: dall’esperimento di Mi-chel Hazanavicius con il cinema muto, The Artist,allo scintillante Hugo Cabret di Martin Scorsese, aMidnight in Paris di Woody Allen, dove lo scrittorein crisi protagonista si ritrova per miracolo nellaParigi anni Trenta. C’è qualcosa, nel cuore del pas-sato, che ci attrae irrimediabilmente, con la forza diun magnete. Non è un caso che James Cameron siatornato al suo colossale Titanic del 1997 e abbia de-ciso di dargli una nuova veste 3D. Il futuro ha uncuore antico? Forse. Senz’altro si può sostenere chela nostalgia può essere creativa: non è detto che cirenda languidi e con la testa voltata indietro. Comemostrano i libri volanti di Mr Lessmore, le scopertedel piccolo Hugo Cabret nell’universo del pionieredel cinema Méliès, o i lavori di carta di Rob Ryan(di cui si parla in questo numero a p. XX), il passa-to può funzionare come un terreno fertile su cuipiantare e far fiorire la nostra immaginazione perdarle, e dare a noi stessi, un futuro.

Il futuro ha un cuore antico?Il vintage high tech dei libri volanti di Mr Lessmore

di Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo

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«David McCandless,possiede oltre l’85%del le informazionimondiali ed è indiret-tamente responsabiledi un settimo delle vi-sualizzazioni mondialisul web. Vive in un at-t ico a Chelsea dalquale, attraverso unenorme moni tor diquattro metri, dirigeun esercito in conti-nua crescita di suoi

accoliti». Digitando in Google il nome di DavidMcCandless ci si può imbattere in simili afferma-zioni che, aldilà della visione pittoresca, bastanoper capire l’aura che si è creata intorno a questogiornalista e grafico, che si definisce un informa-

tion designer, e al suo lavoro.Infographics, data visualizing, sono diversi i no-mi associati al modello di informazione sviluppa-to e messo a punto da McCandless, che minimiz-za il testo scritto per valorizzare la percezione

immediata dei fenomeni attraverso le immagini.Quello che un normale giornalista ci raccontereb-be in un articolo, lui ce lo spiega con un diagram-ma di flusso, un grafico ad albero, un ideogram-ma. E ci riesce benissimo, tanto che nel 2009 hapubblicato la prima edizione di Information is

beautiful, tradotto in italiano nel 2011. Il sottoti-tolo dell’edizione italiana recita proprio Capire il

mondo al primo sguardo.Per chi non è mai venuto in contatto con un ap-proccio del genere all’informazione, che potrem-mo in un certo senso definire radicale, sfogliare illibro può essere un’esperienza. A prima vista siha quasi la sensazione di avere tra le mani un li-bro per bambini, un gioco, dove una figura seguel’altra e dall’inizio alla fine le pagine sono dei si-stemi di forme e colori senza l’ombra di un’impa-ginazione testuale, potrebbe sembrare una bellatrovata ma priva di una veridicità e autorevolezzadi fondo. Gli argomenti sono i più disparati, dallamappa delle specie animali in via di estinzione, aquella delle pagine e dei domini internet oscuratedel governo cinese e si susseguono senza soluzio-ne di continuità. Solo cominciando a osservare

Information is beautifulLa creatività dei dati, ovvero la percezione è comprensione

di Francesco Martellini

Francesco Martellini

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66 con più attenzione, facendo casoalle fonti dei dati e riflettendo sulmodo in cui sono organizzati, sicapisce di avere effettivamente ache fare con un grande lavoro diricerca e di comunicazione. E so-prattutto emerge la sostanzialeinconfutabilità dei dati in alcunmodo accompagnati da opinioni,come nel grafico che ci mostra lepiù diffuse cause di morte nelXX secolo, e in parallelo il fattoche r ispet to ad argomenti suiquali non esistono dati, gli uomi-ni ancora oggi elaborano teoriegiustificative proprio come face-vano i primitivi di fronte ai feno-meni sconosciuti, è il caso dellapagina dedicata a «Che cos’è lacoscienza».McCandless ci consegna una sor-ta di piccola enciclopedia di fattie informazioni, sui massimi si-stemi come sulla nostra quotidia-nità, e ci mette in condizione co-me di osservare direttamente ifenomeni anziché leggerne inmaniera decisamente più distaccata. Una cosa èscorrere tra le righe di una colonna che la guerrain Iraq è costata finora circa sei volte i guadagnidel mercato farmaceutico globale, o sei voltequanto costerebbe convertire l’intero pianeta allerisorse energetiche rinnovabili, altra cosa è vede-re un enorme rettangolo viola che riempie più dimezza pagina vicino ad altri ventisette rettangoliminuscoli che occupano l’altra pagina e mezza esui quali trovi scritte voci di questa importanza.Tra le righe poi, o meglio fra le immagini, pos-siamo trovare anche degli spunti secondari, sem-plicemente, come detto, dalla semplice letturadelle fonti. Osservando ad esempio il graficodelle buone occasioni per chiudere una relazionesentimentale, che ci mostra i periodi dell’anno

con più separazioni, vediamo chela fonte è Facebook Lexicon, os-sia un sistema, ora chiuso da Fa-cebook e sostituito con altro, cheanalizzava i post in bacheca e gliaggiornamenti della voce “situa-zione sentimentale” degli utentiper ricavare ad esempio questotipo di statistiche, con tutte leconseguenze e gli usi che se nepossono ricavare. Informazioneindiretta.E si capisce anche perché l’autoresi auto definisce information de-

signer, un creativo, quindi. Alcu-ni definiscono questo metodo unmodello di giornalismo, altri me-no, di sicuro è un modello di in-formazione a tutti gli effetti. Sep-pur poco utilizzata, la traduzioneitaliana della parola designer esi-ste, ed è progettista. Quello chetroviamo dentro Information is

beautiful è, in effetti, progettazio-ne dell’informazione, ossia nonpura e semplice creatività graficaa cui vengono appiccicati i risul-

tati di questo o quel sondaggio, ma, come in tuttele forme del design, creatività modellata dalla di-sciplina e dalla tecnica, dove si può scorgere die-tro a ogni scelta grafica, a ogni forma utilizzata epreferita rispetto alle altre, una consapevolezza euno studio rivolto tutto a massimizzare il valoreintrinseco che i dati portano con se, sfruttando almassimo la nostra percezione visiva. Il concettodi base è che la percezione è comprensione.Information is beautiful è anche un blog, infor-mationisbeautiful.net, costantemente aggiornato,dove si trovano alcuni dei contenuti del libro e al-tri ovviamente inediti, che proseguono la ricercain infographics di McCandless e dei suoi collabo-ratori, materiale decisamente interessante, su cuiogni tanto vale la pena passare a riflettere.

Quante tonnellate di anidride carbonica produciamo ogni anno? Qual èla frase più gettonata per lasciarsi? Come si prepara un Margarita? Qualisono stati gli allarmismi più infondati della storia? Le attività dell’uomostanno realmente incidendo sull’innalzamento del riscaldamento globa-le? Navighiamo a vista in un mondo in cui ogni giorno siamo bombar-dati da un flusso ininterrotto di notizie, e molte volte gli organi di stam-pa non ci aiutano a mettere chiarezza, creando confusione e contraddi-zioni. David McCandless, sfruttando appieno gli strumenti di visualiz-zazione delle informazioni, ci propone un modo migliore per osservaree per comprendere il mondo al primo sguardo, una mappa moderna cheillustra le relazioni tra i fatti, il loro contesto e la rielaborazione mediati-ca a cui vengono sottoposti, dimostrando come l’informazione analogi-ca possa comprendere, ordinare e rendere più efficace quella digitale.

David McCandless, Information is beautiful, Milano, Rizzoli, 2011

Timelines. I viaggi nel tempo nei film enelle serie TV

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Roma Fringe FestivalArriva in Italia la più grande rassegna di teatro off

di Francesca Gisotti

Dopo il grande succes-so ottenuto sui princi-pali palcoscenici delmondo, il Fringe Festi-val approderà final-mente anche a Roma.Per chi non lo cono-scesse ancora, si trattadi un’importante rasse-gna teatrale nata nellontano 1947 per ini-ziativa di otto compa-gnie scartate dal FEI, ilFestival Internazionale

di Edimburgo. Piuttosto che darsi per vinte, le“escluse” decisero infatti di dare avvio a una nuovatradizione, destinata a consolidarsi e a distinguersiper la propria originalità: un festival teatrale total-mente indipendente e conseguentemente non sog-getto a vincoli pubblicitari, culturali, politici o reli-giosi. Nel 1958, il fenomeno era già talmente diffu-so da determinare la nascita della Festival FringeSociety, un’organizzazioneinternazionale nata per oc-cuparsi delle attività logi-stiche ed organizzative deivari festival. Sono gli anniSettanta però, sotto la spin-ta di un profondo rinnova-mento culturale e desideriodi sperimentazione artisti-ca, a determinare il suoconsolidamento nelle piùimportanti città del mondo. Da allora i vari Fringe Fe-stival internazionali non hanno mai smesso di im-porsi all’attenzione per la qualità degli spettacoliproposti dalle compagnie partecipanti. Proprio laloro natura “indipendente” ha nel tempo fatto sìche performance di ogni tipo e categoria abbianopotuto trovare spazi di rappresentazione impensa-bili in altri contesti. Nessun artista viene invitatodirettamente, nessuno spettacolo viene “prodotto”dal festival, non ci sono veti a nessuna partecipa-zione: tutto viene realizzato autonomamente dallesingole compagnie e nel rispetto della indipenden-za artistica di ciascuna di esse. A Roma il FringeFestival partirà a giugno e si svolgerà all’interno diVilla Mercede, dove saranno allestiti tre palchi.Promotrice del festival, nonché sua organizzatricee produttrice, è l’associazione NeroArtifex che, perquesto evento, opera con la collaborazione e sottoil patrocinio del Comune di Roma, III Municipio.

A giocarsela a suon di battute (e non solo) sarannoben cinquantaquattro compagnie off e tre big, scel-te tra tutte quelle che avranno presentato il mate-riale necessario per la selezione entro i terminiprevisti dal regolamento. I criteri di valutazionesaranno, in ordine di importanza: il testo originale,il progetto di messa in scena e l’interesse culturaledelle opere sotto esame. Ogni settimana il pubblicopotrà assistere a diciotto spettacoli diversi, con trerepliche a disposizione per ciascuno. Gli spettatoridecreteranno con il proprio voto, ogni settimana, lecompagnie semifinaliste che potranno nuovamenteesibirsi il sabato sera. Tra queste emergeranno poile tre finaliste che saranno giudicate, questa voltada una giuria di qualità, nella grande serata conclu-siva. In linea con lo spirito dei Fringe di tutto ilmondo, ad ogni compagnia verrà inoltre richiestodi avere parte attiva nella comunicazione dei pro-pri eventi, sia attraverso la propria pagina all’inter-no del sito ufficiale, sia attraverso iniziative perso-nali di coinvolgimento del pubblico. Nessuna me-raviglia quindi se, in concomitanza con le giornate

del Fringe Festival, qual-che attore/attrice ci ferme-rà per le strade della cittàper convincerci ad assiste-re al proprio spettacolo.Oltre al desiderio di far ar-r ivare la propria arte aquante più persone possibi-li, c’è anche il bell’incenti-vo di vedersi corrispostoper intero l’incasso dellospettacolo. E il premio perla prima classificata? La

partecipazione al New York City Fringe Festivaldel 2013 e un budget di 2500 euro elargito da Ne-roArtifex per finanziare la produzione. Previsteinoltre targhe di riconoscimento per la miglior re-gia, miglior drammaturgia, miglior musica, migliorattore e miglior attrice, giudicati tra i sei spettacoliin semifinale. In un panorama culturale che rende la visibilitàdegli attori sempre più legata a fattori esterni al-l’arte, il Fringe Festival romano sembra portarefinalmente una ventata di novità. La speranza èche iniziative di questo genere non rimangano ca-si isolati bensì siano il motore in grado di inne-scare un processo di profonda riorganizzazionedegli spazi messi a disposizione degli artisti. Solocosì, forse, sarà per loro possibile uscire dai soliticircuiti ufficiali per recitare, finalmente, il ruolodi protagonisti.

Francesca Gisotti

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«Grazie di avermi invi-tato, sono molto felicedi essere con voi, midispiace di non esserepresente ma in questoperiodo sono un pochi-no depresso perché imiei attori quando han-no saputo che c’eraquesto spettacolo, han-no voluto ammutinare ilset del mio nuovo film,per venire in Italia, poiso che si sono persi nelvolo, ma auguro a tutti

tanta fortuna e felicità» Woody Allen. Questo è il vi-deo messaggio con cui inizia lo spettacolo Dio c’è…

e va in macchina. Ovviamente è tutto frutto della fantasia del regista. Maquesto incipit già lascia capire qual è la natura dellospettacolo a cui si sta per assistere. Già perché, il 7giugno 2011, al teatro olimpico di Roma è andata inscena, in un atto unico, una esila-rante commedia, realizzata intera-mente da allievi attori, cantanti,danzatori, musicisti, truccatori escenografi dell’accademia “Artenel cuore Onlus”, sotto la regia diJacopo Bezzi, liberamente ispirataal componimento teatrale, propriodi Woody Allen, Dio. La commedia è ambientata adAtene, culla del teatro greco, in-torno al 500 a.c. L’attore Katino elo scrittore Agatone da Rodi sonoimpegnati alla ricerca di un finalead effetto che riesca a far vincereloro il primo premio al festival deldramma di Atene, dove è consue-tudine che a trionfare sia ogni an-no l’esordiente Euripide. Entram-bi saranno aiutati da Thana, im-pacciata e geniale direttrice discena. Ma proprio nel momentoin cui il pubblico è certo di averintuito il finale, ecco che viene ra-pito da imprevisti e colpi di scenache lo sorprenderanno.L’evento, che ha registrato il tut-to esaurito, è stato presentato daMassimo Caputi, con Camilla Fi-lippi come madrina e ha visto lapartecipazione di personaggi co-

me Massimo Dapporto, Kledi Kladiu, Carlo Romeoe la senatrice rumena Sorina Placinta, presente ancheper annunciare l’apertura in Romania di una succur-sale di “Arte nel Cuore Onlus”. Era presente ancheOrnella Muti che ha consegnato una targa del Presi-dente della Repubblica all’Accademia.I protagonisti della rappresentazione teatrale Dio c’è

… e va in macchina sono attori, cantanti, ballerini,normodotati e diversamente abili, di diverse età, che,con una serie di sketch, balli e canzoni cantate dal vi-vo, con esibizioni di alto livello, danno vita a unospettacolo divertente ed emozionante. L’accademia “Arte nel Cuore Onlus”, nata a Roma nel2007 dall’idea della presidente e fondatrice, DanielaAlleruzzo, è il primo progetto mondiale di formazioneartistica rivolto ai diversamente abili e normodotati eha come scopo il superamento di barriere culturali ementali che sono presenti nella società in cui viviamodove si tende ad escludere il diverso perché ritenutonon adeguato al modello di perfezione che l’ambienteche ci sta intorno ci ha imposto. È una possibilità perragazzi disabili e normodotati di poter esprimere insie-

me le proprie qualità artistiche inun percorso formativo che li aiuticoncretamente nello sviluppo del-le proprie potenzialità, per poi ungiorno essere aiutati anche a tro-vare un lavoro nel campo dellamusica, della recitazione o delladanza. Forse, un giorno, anche lo-ro potranno realizzare il propriosogno. Si perché di sogni si parla.Se si pensa infatti quanto sia spes-so difficile realizzarsi per i giova-ni normodotati, si può immagina-re quanto possa esserlo per un ra-gazzo con un handicap soprattuttoin un paese come il nostro, spessocarente anche delle più basilaristrutture per disabili. Sicuramente Daniela Alleruzzoè riuscita nell’impresa non ba-nale di formare un’accademiadove a rubare la scena sono pro-prio i disabili, ed è riuscita asvegliare i cuori di molte perso-ne proprio grazie all’arte, che èin ognuno di noi. Roma Tre col-labora con “Arte nel Cuore On-lus”, per lo svolgimento del ti-rocinio da parte degli studentidel Corso di Laurea in Scienzedell’Educazione.

Arianna Scarozza

Dio c’è… e va in macchinaL’Accademia Arte nel cuore in scena al Teatro Olimpico

di Arianna Scarozza

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Il sipario si apre con alcentro della scena unattore del cinema mutoall’apice del suo suc-cesso. La gran famaconseguita gli concededi sentirsi un uomo in-fallibile e desideratoda molte giovani aspi-ranti attrici, fra questesolo una, grazie allasua grinta, determina-zione e talento innatonel ballo, riuscirà, pro-

prio al suo fianco, a farsi strada nel mondo del ci-nema. I tempi cambiano: si assiste all’ascesa delcinema sonoro e così cambiano anche le sorti e lafama di questi due artisti che però resteranno ine-stricabilmente intrecciate in nome dell’amore che liunisce, nella vita e nella professione: l’arte e lacreatività.La proposta di un film muto e in bianco e nero co-me The Artist risulta essere indubbiamente un co-raggioso e provocatorio stimolo per tempi, come inostri, in cui la tecnologia ad alta definizione ci haabituati a vedere, anche sul grande schermo, unmondo a colori e sempre più dettagliato e in cuisiamo costantemente esposti a stimoli sonori aiquali è pressoché impossibile sottrarsi. Dunque un“ritorno al passato” nell’era della modernità e dellatecnologia che ha indubbiamente la forza e il pote-re di sovvertire la nostra realtà e il nostro modo dirapportarci ad essa. Il passato torna al presente co-me una novità che sorprende.Non si può, a mio avviso, evitare di prestare orec-chio a questo silenzio che parla. Questa è la sfidache lancia il film e che rappresenta allo stesso tem-po, il dramma del protagonista, che si mostra ostilee refrattario all’idea di accettare i cambiamenti e lenovità che si impongono di volta in volta sulla sce-na temporale e quindi del cinema. Egli è profonda-mente convinto che questo cambiamento arrivi aprivarlo definitivamente dell’opportunità di espri-mere la sua arte ma arriverà, attraverso un lungo esofferto processo di lotta interiore, a prendere co-scienza della necessità di dare a sé stesso, comeuomo e come artista, nuove opportunità.The Artist è dunque una sfida nella sfida, il giustocompromesso tra arte e modernità che si raggiungesolo per mezzo della creatività e la dimostrazionedi come sia possibile realizzare, seppur in assenzadi dialoghi e di effetti speciali, una singolare e pro-fonda sintonia, a livello psicologico ed emozionale,

tra il protagonista di un film muto e il pubblico. Ilvero effetto speciale di questo film è l’intenso si-gnificato simbolico di cui si riveste ogni gesto, og-getto o situazione presente nelle varie scene e cherimanda alla sfera emotiva ed emozionale dei per-sonaggi del film. Ecco quindi che nessun particola-re viene lasciato al caso ma tutto rappresenta unavoce nel silenzio e, per ben intenderla, lo spettatorenon dovrà far uso del proprio udito, ma piuttostoentrare in profonda empatia con il personaggio, ri-trovandosi spontaneamente assorto nei suoi pensie-ri ed emozioni. Interessante è poi l’espediente dibrevi dialoghi scritti che è di tanto in tanto presentenel film, con la funzione di mettere in evidenza imomenti salienti e i concetti chiave della trama.L’intera azione del film si svolge in modo perfetta-mente cronologico, con un solo episodio di flash-back che in quanto unico, assume profonda enfasi ecentralità nella trama.Il film è stato girato in Francia e presentato al Fe-stival del cinema di Cannes e si è aggiudicato, direcente, cinque fra le principali statuette ai premiOscar. The Artist ha dunque superato il test deitempi che cambiano.

Il silenzio fa rumoreThe Artist e il ritorno del film muto

di Michela Scoccia

Michela Scoccia

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Jorge Luis Borges - Opportunity (Mars Exploration Rover-B, MER-B, MER-1) che, insieme alla sua sonda ge-mella Spirit, ha raggiunto Marte nel gennaio del 2004 alle 05:05 UTC (13:15 circa ora di Marte). Sta ancoraesplorando il suolo del pianeta rosso - Charlie Chaplin negli ingranaggi di una macchina in Modern Times (1936)- Albert Einstein - particolare di una scultura raffigurante un drago nel Parco dei mostri di Bomarzo. Il parco fuideato nel 1552 dal principe Pier Francesco Orsini in omaggio alla moglie e realizzato dall’architetto Pirro Logo-rio - Alan Mathison Turing, matematico britannico, è considerato uno dei padri dell’informatica. È stato ancheuno dei più brillanti decrittatori di messaggi in codice che operavano in Inghilterra durante la seconda guerramondiale. Morì suicida mangiando una mela avvelenata con il cianuro in seguito alla persecuzione omofobicacondotta nei suoi confronti da parte del governo britannico. Il logo della Apple sarebbe ispirato a questo episo-dio; la compagnia non ha mai confermato - poster dell’esposizione del 1923 della Bauhaus a Weimer, disegnatoda Joost Schmidt - Walt Disney (con Micky Mouse) - Charles Darwin - the Beatles - Frida Kahlo - MohandasKaramchand Gandhi - Guglielmo Marconi con l’ufficiale marconista della nave Elettra Adelmo Landini - JamesWatson, Francis Crick e il modello a doppia elica del DNA - E.T. nell’omonimo film di Steven Spielberg (1982)- Galileo Galilei - Pina Bausch - Leonardo da Vinci, studio di macchina volante ad ala battente - Irena Sendler,che salvò 2500 bambini dal ghetto di Varsavia nascondendo i loro nomi nei barattoli della marmellata. Alla suamemoria è dedicata la scheda di p.35 e questo numero della rivista - il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exu-péry - i Monty Python - dettaglio del belvedere del Parque Güell di Antoni Gaudí, Barcellona - Bruno Munari -pitture rupestri nella Cueva de Las Manos, Argentina - il fazzoletto bianco delle Madres de Plaza de Mayo ovve-ro la carica rivoluzionaria della maternità - un graffito di Banksy, Los Angeles - la stampa a caratteri mobili -Pablo Picasso, Guernica (1937) - la rotta di Cristoforo Colombo - fotogramma da Voyage dans la Lune di Geor-ge Méliès (1902), liberamente tratto dal romanzo di Jules Verne, Dalla terra alla luna, è il primo film di fanta-scienza - un esempio di low cost design - due modelli delle sorelle Fontana - Gianni Rodari

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