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ARACNE Per così dire La fonetica e la fonologia nella didattica dell’italiano per stranieri Roberto Buscetta

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ARACNE

Per così direLa fonetica e la fonologia

nella didattica dell’italiano per stranieri

Roberto Buscetta

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I edizione: giugno 2008

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Prefazione.......................................................................................................................11

Introduzione ...................................................................................................................15

1. L’importanza della fonetica nell’apprendimento di una L2................................17 1.1 Dal caos sonoro alla distinzione grafia-oralità .............................................18 1.2 Dai suoni singoli a quelli articolati................................................................19 1.3 La Fonetica e Fonologia come insegnamento a sé .......................................19

2. Fonetica e fonematica della lingua italiana..........................................................21 2.1 Definizioni ......................................................................................................21 2.2 Convenzionalità dei codici di trascrizione ....................................................23 2.3 L’apparato fonatorio umano ..........................................................................28

3. Foni e fonemi dell’Italiano....................................................................................29 3.1 Le vocali italiane.............................................................................................30

3.1.1 dittonghi e gli iati ...................................................................................34 3.1.2 Gli accenti grafici e tonici .....................................................................36 3.1.3 Considerazioni conclusive sulle vocali italiane ...................................39

3.2 Le consonanti ..................................................................................................41 3.2.1 Le consonanti occlusive .........................................................................43 3.2.2 Le consonanti fricative ...........................................................................45 3.2.3 Le consonanti affricate...........................................................................48 3.2.4 Le consonanti nasali...............................................................................49 3.2.5 Le consonanti liquide .............................................................................51

3.3 La geminazione consonantica ........................................................................53 3.3.1 Come geminano le consonanti...............................................................55 3.3.2 La geminazione fono-sintattica..............................................................59 3.3.3 Le geminazioni incondizionate ..............................................................64

4. L’intonazione .........................................................................................................67 4.1 Affermative, interrogative ed esclamative ....................................................69 4.2 Conclusioni sull’intonazione .........................................................................72

5. Le difficoltà della lingua italiana per gli stranieri ...............................................73 5.1 Il retaggio degli anglofoni..............................................................................73

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5.2 Il retaggio dei francofoni ...............................................................................78 5.3 Il retaggio degli ispanofoni ............................................................................80 5.4 Il retaggio dei germanofoni............................................................................84 5.5 Le lingue orientali e l’italiano........................................................................86

Conclusioni ....................................................................................................................89

Appendice ......................................................................................................................91

Riferimenti Bibliografici ...............................................................................................97

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L’importanza della fonetica nell’apprendimento di una L2

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1. L’importanza della fonetica nell’apprendimento di una L2

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L’insegnamento della fonetica e della fonologia nell’ambito della didattica delle lingue straniere assume un ruolo di primaria importan-za, e ciò per un insieme di ragioni che andremo immediatamente ad analizzare.

L’apprendimento di una lingua straniera, nel luogo dove essa è par-lata come lingua madre, avviene grazie alla convergenza di diverse strategie di apprendimento. Se, per esempio, da una parte l’apprendente è sollecitato ad una serie di riflessioni metalinguistiche miranti all’acquisizione analitica e sistematica di nozioni linguistiche e funzioni comunicative della lingua studiata, dall’altra parte egli è immerso, più o meno volontariamente e consapevolmente, nel caos degli input della lingua dei parlanti locali, quella con cui dover fare i conti per comunicare e per soddisfare i propri bisogni, fossero pur solo primariamente aggregativi o sostentativi. Quanto più l’intervento me-talinguistico si renderà utile in funzione dell’apprendimento spontaneo della L2, tanto più l’apprendente potrà elaborare un’interlingua5 dina-mica, e sempre più efficace e completa, per la sua comunicazione. E quanto più i docenti saranno consapevoli degli stadi di interlingua, delle peculiarità della lingua materna e del retaggio che essa comporta nella produzione dei cosiddetti “errori” linguistici degli apprendenti, tanto più tali stadi intermedi rappresenteranno graduali ed efficaci tappe del percorso di apprendimento e di raggiungimento della L2.

4 La differenza che generalmente si fa tra LS (Lingua Straniera) ed L2 (Lingua Seconda), ove per LS s’intende un

qualsivoglia idioma straniero imparato nel proprio Paese, o comunque fuori del Paese ove esso costituisce la Lingua Madre, e per L2 la Lingua Straniera appresa nel Paese in cui essa è Lingua Madre, specie in contesto migratorio, non trova, in quest’analisi, fondata applicazione. Pertanto, chiameremo L2 la lingua straniera, nel caso specifico l’Italiano per Stranieri, inteso in entrambe le accezioni sopra riferite.

5 L’interlingua è la varietà di lingua di arrivo (L2) parlata da un apprendente in un dato momento del suo percorso di apprendimento; si tratta di un vero e proprio sistema linguistico, caratterizzato da regole che in parte combaciano con quelle della L2, in parte sono riconducibili alla L1 e in parte sono indipendenti da entrambe. A questo proposito si veda G. FAVARO (a cura di), Imparare l’italiano imparare in italiano, Guerini e Associati, Milano 1999.

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L’importanza della fonetica nell’apprendimento di una L2

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1.1 Dal caos sonoro alla distinzione grafia-oralità Premesso ciò, se vogliamo prendere in considerazione, come un

sempre crescente numero di approcci glottodidattici fa già, l’apprendimento spontaneo della lingua da parte dell’apprendente, os-sia quel processo imitativo e generativo6 che egli elabora al di fuori del setting glottodidattico, allora non possiamo sottovalutare il fatto che chi apprende una lingua a partire da un caos di input linguistici, è raggiunto innanzitutto da un insieme quasi indistinto di suoni e rumo-ri, i quali non sono altro che i foni e i fonemi pronunciati dai parlanti, che l’apprendente non sa ancora decodificare, oppure sa farlo in modo non ancora sufficiente .

Lo studio e la classificazione dei foni e dei fonemi della lingua da apprendere, l’analisi della qualità e della quantità dei suoni consonan-tici e vocalici, permettono da subito di affrontare per lo meno la prima delle arbitrarietà dell’idioma straniero, ovverosia quella concernente il rapporto oralità-scrittura; ma, soprattutto, permettono velocemente e con maggiore precisione di mettere in atto il più immediato dei com-portamenti autodidattici dell’apprendente, che è abitualmente l’imitazione.

Pertanto, un corso di Lingua per Stranieri dovrebbe immancabil-mente riconoscere un’importanza centrale alla fonetica ed alla fonolo-gia, al fine di poter indirizzare immediatamente gli apprendenti verso una comprensione e una pronuncia corrette e consapevoli dei suoni, delle parole e dei periodi, in L2.

6 Secondo N. CHOMSKY, le analogie strutturali che si riscontrano in tutte le lingue fanno ritenere che ci sia una

grammatica universale innata, fatta di regole che permettono di collegare il numero limitato di fonemi che gli organi vocali della specie umana sono in grado di produrre. Sulla base di questa sintassi-grammatica universale si sviluppereb-bero, poi, per processi secondari di differenziazione, le grammatiche delle singole lingue particolari (La Grammatica trasformazionale, Bollati Boringhieri, Torino 1977).

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1.2 Dai suoni singoli a quelli articolati Gli interventi didattici di fonetica e fonologia dovrebbero com-

prendere, innegabilmente, lo studio sistematico dei suoni vocalici e di quelli consonantici, con una chiara discriminazione di quelli fonema-tici dalle semplici varianti fonetiche; ma non dovrebbero esaurirsi in ciò: per raggiungere l’efficacia desiderata, dovrebbe essere effettuata un’attenta analisi dei morfemi lunghi e la contestualizzazione dei fo-nemi già studiati e classificati. Inoltre, andrebbero isolate ed analizza-te, da frasi o morfemi lunghi del parlato, le possibili imperfezioni fo-netiche presenti in tutti i parlanti: le assimilazioni, le geminazioni, i rotacismi, le economie vocaliche e i salti sillabici operati a livello in-dividuale7; così come sarebbe efficacissimo, ancora, uno studio di ta-lune varianti fonetiche dovute alle differenze di pronuncia al variare degli italiani regionali, oppure, cosa che è spesso coincidente, dell’influsso del substrato dialettale nella lingua nazionale.

Un’attenzione particolare merita la geminazione consonantica, so-prattutto perché si tratta di un fenomeno scritto e orale estraneo alla quasi totalità degli stranieri, e perciò stesso quasi incomprensibile o impercettibile all’inizio, tanto nell’ascolto quanto nella produzione. Una volta chiarito bene il fenomeno, si potrebbe così passare alla pre-sentazione ed allo studio delle geminazioni fono-sintattiche.

Nei livelli avanzati può essere introdotta anche una serie di unità didattiche che trattino in modo generico o più specifico gli aspetti prosodici della nostra lingua.

1.3 La Fonetica e Fonologia come insegnamento a sé Per fare tutto ciò, ed anche molto più di tanto, la fonetica e la fone-

matica non possono presentarsi solamente come una mera elencazione

7 Per la definizione di detti fenomeni linguistici si veda, di seguito, la trattazione dei singoli suoni vocalici e conso-

nantici.

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dei suoni italiani a partire dall’alfabeto, magari all’interno della lezio-ne di conversazione o di grammatica: è necessaria la programmazione di una disciplina curriculare che si occupi di quest’insegnamento, se-parata dalle fondamentali lezioni di riflessione linguistica (grammatica e sintassi) e/o di conversazione, sebbene in stretto rapporto con en-trambe.

La principale ragione che ci conduce a questa convinzione è il fat-to, imprescindibile a nostro avviso, che i docenti che intendono tratta-re di fonetica e fonologia posseggano dei requisiti basilari, che vanno, com’è ovvio, dalla padronanza dei principi teorici fondamentali della fonetica e della fonologia, alla conoscenza dei principali alfabeti di trascrizione, ma anche alla interiorizzazione delle più importanti teorie linguistiche, almeno da F. de Saussure in poi, e con particolare riferi-mento a R. Jakobson e al Circolo Linguistico di Praga, alla consape-volezza dell’esito linguistico orale della propria e delle altrui parlate, nonché alla conoscenza di sistemi linguistici e fonologici anche stra-nieri, per poter trascrivere foneticamente altre lingue oltre alla propria e poter così operare delle analisi contrastive fonetiche e fonematiche.

Se organizzato bene, un corso di fonetica e fonologia può risultare molto gratificante e motivante per gli apprendenti stranieri, i quali ve-dono gradualmente, ma abbastanza rapidamente, risolvere i dubbi che da subito si erano presentati al momento del primo impatto con la L2; per di più, si permette loro una buona decodificazione e una dignitosa e rapida pronuncia imitativa della lingua con cui si comincia presto a comunicare, indirizzando i suoni verso un’organizzazione linguistica globale priva, o povera, degli antipatici segni di riconoscimento dati dalle pesanti inflessioni derivanti dal retaggio della L1, spesso di im-possibile o di difficile risoluzione senza un approfondimento fonetico e fonologico.

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Fonetica e fonematica della lingua italiana

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2. Fonetica e fonematica della lingua italiana Cercheremo adesso di tracciare un percorso tematico in grado di

fornire una panoramica generale, sebbene abbastanza esaustiva, dei contenuti fonetici e fonologici da introdurre in un corso di Lingua Ita-liana per Stranieri.

Nella trattazione di tali argomenti, saranno date per assunte quelle nozioni basilari di linguistica cui in precedenza si accennava, ma sa-ranno ripresi i contenuti e le definizioni principali concernenti la Fo-netica e la Fonologia, con stretto riguardo alla metodologia ed alle scelte che sono state effettuate per la conduzione di un modulo fono-logico espressamente pensato per studenti stranieri. Partiamo dunque dalle definizioni.

2.1 Definizioni Com’è a parecchi già noto, la Fonetica è la scienza che studia i

suoni di una lingua, dal punto di vista articolatorio, acustico e fisico. I suoni sono detti linguisticamente foni (dal gr. phōné, suono) e la Fone-tica articolatoria ha il ruolo di classificarli in base al loro modo ed al loro punto di articolazione. Per modo deve intendersi la variabilità della pronuncia dei suoni secondo la modalità articolatoria: una chiu-sura totale, una costrizione o un semplice accostamento degli organi fonatori; mentre per punto si intende il luogo esatto, o quello più si-gnificativo, in cui gli organi di fonazione si articolano per produrre il suono.

Visto che i foni sono una caratteristica umana, e che sono prodotti – a scopo generalmente comunicativo – per mezzo di un apparato fona-torio che può variare da individuo a individuo e di gente in gente, essi non sono mai perfettamente uguali al variare delle persone che li pro-ducono. Per fare un esempio, a causa di abitudini linguistiche ed arti-colatorie diverse, un bolognese pronuncia generalmente la s, per e-

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sempio nella parola siepe, in modo più palatalizzato8 rispetto a un par-lante di Milano o di Palermo: [‘∫jεpe] in luogo di [‘sjεpe]. Ma, sicco-me le due s, o meglio i due diversi suoni emessi dai parlanti in luogo di /s/, al loro variare non producono una variazione di significato co-me avviene nella coppia minima cane ≠ pane, dove al variare di un fono, e persino, come in questo esempio, del segno che lo rappresenta, varia il significato della parola, si dirà che quelle varianti di s sono fo-netiche ma non fonematiche, cioè che le due s in realtà occupano il medesimo posto nel sistema fonematico dell’italiano, e quindi sono solo due varianti non distintive nell’ambito del sistema linguistico en-tro cui sono utilizzate.

Per chiarire ulteriormente, potremmo anticipare che nell’italiano standard la s sonora /z/ e la s sorda /s/, pur essendo graficamente rap-presentate dallo stesso grafema s, possono, invece, essere due fonemi, vale a dire che i due foni possono essere responsabili di variazione di significato all’interno di una coppia minima: presento /pre’sento/ ≠ /pre’zento/, dove, concentrandoci sulla s, la prima forma verbale è la prima persona singolare del presente indicativo di presentire, mentre l’altra è la prima persona singolare del presente indicativo di presenta-re. Ciò per introdurre la definizione di fonema (dal gr.phōnéō, produr-re un suono), la minima unità fonica distintiva che, sebbene non signi-ficativa di per sé, ha la proprietà, se commutata, di far variare il signi-ficato nel contesto in cui è inserita. Le coppie di parole che cambiano il significato al solo variare di un fonema si chiamano coppie minime. Una serie di esempi di coppie minime darà ulteriori chiarimenti sul valore del fonema:

nano ≠ mano; coro ≠ toro; muro ≠ mulo, eccetera.

Ed ecco alcuni fonemi vocalici che danno luogo a coppie minime:

ora ≠ ira; mira ≠ mura; cosa ≠ casa; ed anche pésca ≠ pèsca; vènti ≠ vénti.

8 Per la definizione di palatale e di suono palatalizzato, si vedano di seguito, i paragrafi riguardanti l’analisi detta-

gliata dei suoni italiani.

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Una volta data la definizione di fonema, ripeteremo allora, per chia-rire, che la fonetica studia, dal punto di vista articolatorio, acustico e fisico, i foni prodotti dall’uomo, senza occuparsi della valenza distin-tiva dei singoli suoni, né del loro posto all’interno del sistema lingui-stico o fonologico di una data lingua.

È la fonematica, o fonologia, ad occuparsi invece dei fonemi in quanto unità distintive ed oppositive di un sistema linguistico. Se, quindi, per uno studio fonetico, sarà importante trascrivere una varian-te della consonante r pronunciata da un francese, o anche da un italia-no con articolazione della r in modalità cosiddetta moscia, in una tra-scrizione fonematica non sarà rilevante indicare la qualità acustica o articolatoria della consonante, ma basterà riconoscere il suo valore fo-nematico, ossia di suono distintivo all’interno del sistema fonematico di una lingua. In questo caso, è d’uso una lettera maiuscola per indica-re, in trascrizione, l’arcifonema, ovvero l’insieme delle variabili non significative di un fonema:

la trascrizione di foulard [fu’laR], tiene conto tanto della pronuncia

all’italiana quanto delle possibili altre produzioni della r, inclusa ov-viamente quella francese. Come si nota, al possibile variare della pro-nuncia di r non varia il significato della parola.

2.2 Convenzionalità dei codici di trascrizione In questo testo si è già, precedentemente, fatto uso di codici foneti-

ci di trascrizione, ma resta da precisare che, presentandosi l’esigenza di rappresentare graficamente dei suoni, bisognerà inevitabilmente de-cidere il modo più conveniente per tradurre in simboli grafici ciò che ha natura acustica.

A questo punto, in special modo se siamo in presenza di appren-denti stranieri, urge sgomberare il campo da possibili equivoci, e ciò a costo di affermare concetti che ai più sembreranno banali: una cosa è l’alfabeto, quello grafico standard, ovvero l’insieme delle lettere uti-lizzate in modo diffuso all’interno di una lingua per scrivere e per leg-

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gere, ciascuna con un proprio nome per lo più ricalcante l’esito fone-tico della pronuncia (per es. la A, la Bi, la Effe, la Ci ecc.); altra cosa è l’alfabeto fonetico, cioè il sistema convenzionale di segni, ciascuno dei quali corrisponde ad ognuno dei suoni oppositivi di una lingua (fonemi) e delle sue possibili varianti (foni). In altri termini, l’alfabeto standard è quello con cui comunemente si scrive e si legge una lingua, quello che s’insegna ai bambini per iniziare l’alfabetizzazione; l’alfabeto fonetico è invece la trasposizione simbolica di tutti i suoni di una lingua. In quest’ultimo caso, trattandosi di suoni, è fondamenta-le, specie in ambito contrastivo, che ad ogni suono corrisponda uno ed un solo simbolo, cosa che non succede con l’alfabeto grafico, il quale è valido solo all’interno di un sistema linguistico ed utilizza spesso dei digrammi o trigrammi per rappresentare un solo suono. Per fornire un esempio di quanto appena esposto, la parola italiana sciame, come può vedersi, è trascritta graficamente con sei lettere dell’alfabeto grafico dell’italiano: la s, la c, la i, la a, la m e la e. La scrittura di questa paro-la è leggibile, così come la leggiamo noi, solo da parlanti italiani, o da italianofoni: per produrre lo stesso primo suono consonantico [∫∫], in-fatti, le altre lingue usano altri segni grafici: sh l’inglese, sch il tede-sco, ch il francese, š o ś le lingue dell’est europeo, eccetera. Solo l’italiano usa la s seguita da una c, e anche da una i prima delle vocali a o u, per trascrivere il suono palatale in questione.

In una classe di stranieri non riteniamo pertanto fondamentale pre-sentare l’alfabeto grafico come sequenza di lettere con il “nome”, ov-vero con la nominalizzazione graficizzata o sonora, che noi italiani abbiamo loro attribuito: a, bi, ci, di, acca, ecc., poiché questa opera-zione, che rappresenta un inessenziale passaggio in più nel percorso di apprendimento della rispondenza tra la grafia e l’oralità della nostra lingua, potrebbe addirittura condurre gli studenti stranieri verso un ac-costamento improprio e fuorviante di un suono al simbolo grafico che spesso ha esiti fonetici anche totalmente differenti da quello della pro-nuncia che lo designa (per es. c = [t∫i]9 in cane [‘kane]). È certamente più utile, e meno equivocabile, proporre un sistematico ricorso alla

9 Per una maggiore comprensione di questi simboli fonetici si veda successivamente, la trattazione delle consonanti

affricate.

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grafia contestualizzata per mostrare le corrispondenze grafemi-fonemi nella convenzionalità delle pronunce dell’italiano.

D’altronde, la cosiddetta alfabetizzazione non deve per forza segui-re il percorso che abitualmente viene effettuato con i bambini italiani delle scuole elementari, ovverosia assegnando priorità all’aspetto gra-fico, quindi scritto, della lingua, e conseguentemente trattando il lin-guaggio come un insieme di lettere: la lingua parlata, cioè l’oralità, ovvero i suoni, precedono sempre la consapevolezza grafica dell’idioma appreso spontaneamente, e anche in un apprendimento da adulti di una lingua straniera, dove certamente vi è un maggior ricorso e una maggior richiesta dell’aspetto normativo della lingua oggetto di studio oltre che una più rilevante esigenza cognitiva rispetto a un con-testo di bambini alla prima alfabetizzazione, è comunque più produtti-vo anteporre lo studio dei suoni e la loro natura articolatoria alla loro corrispondenza grafica, lasciando anche fuori dall’apprendimento l’obbligo di nominalizzare i segni dell’alfabeto grafico.

Nasce da qui l’esigenza di utilizzare, per trascrivere dei suoni che

siano leggibili da qualunque apprendente, quale che sia la propria lin-gua madre, un alfabeto fonetico internazionale. Esistono numerosi co-dici di trascrizione fonetica, che vanno dal semplice uso di segni dia-critici10 sulle lettere dell’alfabeto standard, consuetudine largamente diffusa nella lemmatizzazione dei dizionari, agli alfabeti utilizzati dal-le carte dialettali o dagli atlanti linguistici, sempre su base ortografica ma con un sovrabbondante utilizzo di segni diacritici, all’alfabeto fo-netico internazionale (I.P.A. o A.P.I, a seconda che la sigla si riferisca alla lingua inglese, International Phonetic Alphabet, o a quella france-se, Alphabet Phonétique International).

È proprio a quest’ultimo alfabeto che faremo riferimento, ritenen-dolo, oltre che abbastanza semplice nell’uso, anche particolarmente indicato per un utilizzo comparativo tra differenti sistemi linguistici, giacché la corrispondenza tra suono e segno è resa mediante le lettere dell’alfabeto latino o tramite taluni segni di quello greco o, comunque,

10 Il diacritico, dal greco diakriticós= che serve a distinguere, è un segno posto sopra la lettera per distinguere il suo

suono da quello di altre lettere che sono omografe (cioè scritte ugualmente) ma corrispondono a un suono differente: n ≠ ñ, è ≠ é, ecc.

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impiegando altri simboli unici, semplici ed univoci, senza il ricorso, o con un minimo ricorso, ad antipatici e fuorvianti diacritici.

Nell’A.P.I. si distinguono le trascrizioni fonetiche da quelle fone-matiche. Le prime, inserite dentro una parentesi quadra, registrano i suoni dal punto di vista qualitativo e quantitativo a prescindere dal lo-ro ruolo o dal loro posto occupato all’interno del sistema linguistico o fonematico di appartenenza. Qualcuno, scherzando, sostiene che den-tro le parentesi quadre potrebbero essere persino trascritti uno starnuto o uno sbadiglio. Vediamo qualche esempio di trascrizione fonetica:

[‘fa∫∫a], [‘gjatt∫o], [(ʔ)11ommante,nuto la pro’messa] (fascia ghiaccio ho mantenuto la promessa).

Le trascrizioni fonematiche, invece, sono contrassegnate da paren-

tesi oblique, e comprendono tutti i suoni che denotano una valenza fo-nematica (i fonemi), non prendendo in considerazione le varianti con-testuali, personali, sociali, locali o regionali, eccetera (i foni):

/’kane/, /’posto/, /’maλλa/, ecc.

(cane, posto, maglia)

In entrambe le trascrizioni, l’accento sillabico, anziché sulla vocale interessata, è segnato all’inizio della sillaba tonica, mediante un apo-strofo:

[’simbolo], [tu’rista], /’makkina/ ecc.

Solitamente i suoni vengono trascritti mediante lettere minuscole

dell’alfabeto; ma, come già anticipato nel paragrafo delle definizioni, per denunciare la possibilità che il suono fonematico abbia diversi esi-ti di pronuncia, cioè differenti varianti a seconda della persona, della nazionalità, della regione di provenienza del parlante, eccetera, la fo-nologia raggruppa sotto un unico segno, espresso con lettera maiusco-

11 La laringale inserita tra parentesi [ʔ] è l’apertura della glottide, spesso -ma non sempre- prodotta per pronunciare

vocali ad inizio di parola, ma soprattutto ad inizio di frase o di emissione fonica. Essendo una trascrizione fonetica, se il suono è presente, esso va registrato, pur essendo una produzione spontanea, contestuale, non fonologica, e per lo più inconsapevole e non percepita da parte dei parlanti.

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la, tutte le possibili varianti non rilevanti (dal punto di vista fonemati-co, s’intende). Questo segno unitario si chiama arcifonema. Vediamo qualche esempio:

/’Rana/ significa che la consonante r può essere pronunciata in mo-

do differente: plurivibrante, monovibrante, velare, palatale, rotacizza-ta, cacuminale, uvulare, geminata, eccetera, senza perdere la sua va-lenza di unicità distintiva, fonematica. Così come, in ambito vocalico, la trascrizione /’pOsto/ ci dice che la parola posto, sebbene abbia una sola pronuncia ortoepicamente corretta, possiede una articolazione della o tonica, ossia quella su cui cade l’accento di parola, variabile (aperta o chiusa) da regione a regione, senza che ciò comporti varia-zioni di significato, come invece accade alla coppia minima pòrci ≠ pórci, in cui la prima parola è il plurale del sostantivo porco, la secon-da è l’infinito pronominale del verbo porre.

Detto in altri termini, nell’italiano parlato esistono coppie di e od o aperte o chiuse che, pur variando da una apertura a una chiusura, non comportano una variabilità fonematica, essendo la variabilità di tipo regionale o personale, quindi solo fonica, cioè senza che i parlanti si rendano nemmeno conto della possibilità di ottenere un diverso esito della stessa vocale, per cui in fonologia non è rilevante contrassegnar-la se non mediante i segni maiuscoli dell’arcifonema, che comprendo-no tutte le possibili varianti. Ciò è valido anche in ambito consonanti-co, per le variabilità non fonematiche: geminazioni regionali, fonosin-tattiche, personali, eccetera.

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2.3 L’apparato fonatorio umano Gli esseri umani articolano il loro sistema comunicativo verbale

grazie a un complesso insieme di organi che prende il nome di appa-rato fonatorio (v. Fig. 1). Esso comprende in particolare: le due labbra (0,1), i denti incisivi superiori (2), gli alveoli (3), il palato duro (4, 5), il palato molle o velo (6), il velopendulo (7), l’ugola (8), la lingua in diversi punti (apice, dorso, lamina, 9, 10, 11), la glottide, la laringe con le corde vocali12 (12), le cavità nasali (13). Ma, a parte questi or-gani direttamente interessati, tutta la parte cava della testa e dell’intero tronco, comprendente la cassa toracica, i polmoni, la faringe e la tra-chea, è coinvolta nella attività linguistico-comunicativa dell’uomo, coinvolgendo anche l’insieme della funzione respiratoria e compor-tandosi come un vero e proprio sistema.

Riguardo alla classificazioni dei foni e fonemi della lingua italiana, il punto di articolazione, ossia la parte dell’apparato fonatorio princi-palmente implicata per la produzione dei suoni studiati, rappresenterà, insieme al modo di articolazione, una discriminante fondamentale.

Figura 1. Apparato fonatorio.

12 Sebbene le corde vocali siano diffusamente chiamate così, tanto in ambito medico quanto in campo fonetico, mo-

tivo per il quale in queste pagine continueranno ad esser chiamate corde, non si tratterebbe di organi filiformi o tali da poter essere definiti con questo nome così affermato persino in ambito medico, ma di pieghe contenute nella glottide; pertanto, esse dovrebbero più propriamente esser chiamate pliche vocali. Si veda P. MATURI, I suoni delle lingue, i suoni dell’italiano, Il Mulino, Bologna 2006.