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Nº 4 – 2013 ANNO XXXIV BIMESTRALE Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB-NO/TORINO luglio-agosto Testimoni della Gioia pag. 4 Vacanze per annoiarsi? con i giovani stima e ascolto pag. 38 Don Bosco santo o furbacchione? Uno stile per nulla mieloso pag. 52 Papa Francesco La “buona sorpresa” continua

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luglio-agosto 2013

Nº 4 – 2013ANNO XXXIVBIMESTRALE

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Testimoni della

Gioia

pag. 4 Vacanze per annoiarsi? con i giovani stima e ascolto

pag. 38 Don Bosco santo o furbacchione? Uno stile per nulla mieloso

pag. 52 Papa Francesco La “buona sorpresa” continua

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Ho scritto qualche anno fa un commento ai van-geli per l’estate e li ho chiamati “vangeli sotto l’om-brellone”. In copertina c’era una bella sdraio e un bell’ombrellone. Ho fatto fortuna. È stato il libro più venduto dall’editrice in quella stagione. Per-ché? Un ombrellone è una cosa che ti richiama la serenità, lo stare in apnea, dimenticare l’agenda e forse anche il cellulare: hai amici, hai tempo, hai pensieri che ti danno adrenalina (i vangeli sono proprio così), ti rilassi (questo lo farebbe anche un cagnolino), ma soprattutto ti ritrovi in mano la vita e non le idiozie di tutte le radio commerciali

che imperversano in spiaggia. Noi adulti forse crediamo che i giovani non vogliano cose

impegnative o troppo serie nel tempo libero, invece è assolutamente vero il contrario.Noi adulti nella vita abbiamo avuto le risposte senza farci le domande. C’era già definito che cosa dovevamo fare

ed entro quali spazi di autonomia. Le giovani generazioni invece

hanno molte domande e non

c’è un cane che tenti delle risposte o meglio delle scommesse. Sono del parere che con tutti, ma so-prattutto con i giovani, non si devono innescare processi semplificati di domande e risposte, buche dell’anima e saccenterie, tombini e botole per chiu-dere il problema e passarci sopra. Ogni doman-da è veramente una voragine da allargare sempre di più e ogni risposta non può essere vista come un coperchio che sigilla, o un diversivo, ma una scommessa.È come quando un ragazzo viene all’oratorio a chiederti un pallone. Se sei un adulto, che ama i ragazzi, non gli dici che il suo bene sarebbe una bella ora di adorazione, ma gli dai il pallone. Però il modo con cui glielo dai, gli amici che gli metti accanto, l’ambiente in cui gioca, lo stile del gioco sono tutte cose che non si immaginerebbe mai di trovare quando ha chiesto solo un pallone e ne sarà entusiasta quando te lo riporta. La sua ri-chiesta era già più larga di quello che si pensa e la scommessa deve fare il resto. L’estate e le vacanze non sono il tempo dei tombini e delle botole, ma della comunicazione ampia, bella, coinvolgente.

Vacanze per annoiarsi oper stare proprio bene?

A tutto cAmpo

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Il nostRo dIAlogo coI gIovAnIAvendo più tempo a disposizione ci assumiamo due atteggiamenti di fondo: la stima e l’ascolto.La stima: Occorre un atteggiamento che sa ve-dere nei giovani il valore che essi sono, che li sti-ma per la vita che esprimono, per il loro mondo in evoluzione che cerca, che non si accontenta di quello che incontrano perché non spegne la sete di felicità, di gioia, di vita, di bontà, di libertà e di realizzazione di sé che si portano dentro.Questo significa anche riflettere sul significato che ha l’età della giovinezza nell’arco della vita di una persona, pensare alla giovinezza come ad una sin-golare ricchezza, che l’uomo sperimenta proprio in tale periodo della sua vita. È il tempo di una scoperta particolarmente intensa dell’”io” umano e delle proprietà e capacità ad esso unite. Davan-ti alla vista interiore della personalità in sviluppo di un giovane o di una giovane, gradualmente e successivamente si scopre quella specifica e, in un certo senso, unica e irripetibile potenzialità di una concreta umanità, nella quale è come inscritto l’in-tero progetto della vita futura.Giovinezza è: “la ricchezza di scoprire ed insieme di programmare, di scegliere, di prevedere e di as-sumere le prime decisioni in proprio, che avranno importanza per il futuro nella dimensione stretta-mente personale dell’esistenza umana. Nello stesso tempo, tali decisioni hanno non poca importanza sociale” (Giovanni Paolo II).L’esperienza comune è che la Chiesa è percepita come una costrizione, un soffocamento della li-bertà della propria vita, come un rimprovero, un deprezzamento delle tensioni interiori. Si possono inventare percorsi di ricerca, spazi espressivi che lasciano al giovane la responsabilità di dirsi e di ricercare, di esprimersi e di confrontarsi, di speri-mentare e di rischiare?In questa ricerca occorre vedere nel giovane la sen-tinella dell’umanità che cerca, che non si acconten-ta di divertirsi, di vivere in fuga, di ridurre la sua umanità. Ha dentro spazi di pensiero, domande di assoluto, desideri di capire il senso di questa uma-nità. Non deve essere messo davanti a scelte fatte, precostituite o a continue banalità che abbassano

il livello al solo divertimento, alla sola distrazione o all’assolvimento di alcune formalità sociologiche sia pure religiose.Sono cittadini del mondo, hanno sogni di spaziare su tutta la gamma delle possibilità umane, dei de-stini dell’umanità, della sua storia e del suo futuro. Il pensiero dell’uomo è importante per ogni giova-ne, se non glielo riduciamo a storia della filosofia, ma a percorsi di ricerca della verità che ciascuno è per se stesso, di dove si è giunti nella ricerca per-sonale. Hanno una grande voglia di esprimersi, di dire e rappresentare quello che pensano e pro-vano. Ne hanno capacità, ma non sono messi in grado di esprimersi.L’altro atteggiamento è di conseguenza l’ascolto vero, non per conquistare e quindi dare la nostra ricetta, ma per accogliere e accompagnarsi nella ricerca, correndo il rischio di non orientare secon-do le nostre vedute e quindi l’avventura di capire mondi nuovi e nuove strategie di costruzione del-la propria vita. L’ascolto porta a conoscere ferite e gioie, risorse e decisioni, principi e prospettive.Mi immagino una Chiesa che accoglie le loro pro-poste, che mette a disposizione i suoi spazi per dare loro la possibilità di esprimere le potenzialità e le domande, piegare i nostri spazi all’ascolto e

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non al controllo. Una Chiesa che ha il coraggio di lavorare con i giovani per aiutare ciascuno a rag-giungere una piena umanità.L’esperienza di gran lunga la più progettuale è l’e-sperienza dell’amore. È la più delicata e la più coin-volgente, la più snaturata e la più svenduta, ma la meno ascoltata e riportata alla luce della sua prima origine.

e Il lAvoRo?Avrei un altro obiettivo da proporre a tutti i ragaz-zi e i giovani. Fatta salva la sicurezza sia fisica che morale, è possibile aiutarli a lavorare, a non but-tare tutto il tempo a sparare idiozie o a fare danni,

ma a costruire qualcosa di bello, di utile, di soli-dale? Qui occorre fantasia e saper osare. Il lavoro è scuola della vita e un giovane non può arrivare a trentacinque anni per andare a questa scuola di vita. È questione di non monetizzare tutto, ma di scandagliare i valori veri della vita. E i giovani in questo sono generosissimi. Mancherà loro sem-pre qualcosa di importante: imparare a convivere e ad essere solidali con tutti attraverso il lavoro, collaborare con il Creatore a rendere ancora più abitabile e bello questo mondo. È desiderare con-cretamente pienezza di umanità.

Mons. Domenico [email protected]

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festa di maria Ausiliatrice 24 maggio 2013Foto di Mario Notario, Renzo Bussio, Aurora Cicero, Dario Prodan, Edoz, Giuseppe Verde,

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Nel racconto della nascita di Gesù, Luca riporta il gesto delicato di Maria: «Diede alla luce il suo fi-glio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). È un gesto semplice che esprime tutto l’affetto materno, tenero e ri-spettoso di Maria verso questo bambino che è fi-glio di Dio e figlio suo. Secondo gli usi del tempo, le fasce strette proteggono la spina dorsale del bambino dai possibili danni e l’aiutano a crescere diritto. Quando poi l’angelo annuncia la buona notizia della nascita del bambino ai pastori, darà loro questo come segno: «Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,13). Venti secoli sono passati e ancor oggi nelle nostre scene natalizie il bambino si presenta con questo segno dell’amore e della madre.A Betlemme, Maria insieme a Giuseppe si trova coinvolta in questo mistero nascosto da secoli nel-

la mente di Dio e che è diventato realtà davanti ai loro occhi: «Il Verbo si fece carne e venne ad abi-tare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Maria e Giuseppe sono i primi testimoni di questa nascita, avvenuta in condizioni umili e poveri, primo passo di quel-l’«annientamento» (cf Fil 2,5-8), che il Figlio di Dio liberamente sceglie per la salvezza di tutta l’uma-nità. E questo bambino è affidato alla loro cura. Quando la vita del bambino è minacciato da Ero-de, Maria e Giuseppe intrapresero con coraggio la fuga in Egitto, sfidando i pericoli e la fatica, i disaggi della migrazione e dell’esilio, affrontando l’ignoto e l’incerto.

un chIARo legAme con Il mIsteRo pAsquAleL’amore tenero, la cura delicata, la protezione pre-murosa della madre espresse nel momento della

cercare gesù con ansia

Dal gesto materno di avvolgerlo in fasceall’angoscia per averlo smarrito a Gerusalemme,

dal non comprendere le sue paroleal capire che non è soltanto figlio suo.

In cAmmIno con mARIA

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nascita accompagnerà il figlio in ogni fase della vita. Il lungo periodo della vita “nascosta” a Nazaret, durante il quale Gesù si prepara alla sua missione messianica, è riassunto da Luca in poche parole. Egli racconta un solo episodio della vita di Gesù adolescente: quello della Pasqua a Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni. La narrazione è incorniciata da due versetti che sottolineano l’idea della crescita di Gesù: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,40). «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Per la cultura ebraica, l’età di dodici anni rappre-senta l’inizio dell’età matura di ogni essere umano. Si tratta di una svolta nella crescita di Gesù. Il suo viaggio alla città santa in occasione della pasqua segna una tappa della sua vita, è l’anticipazione di un altro viaggio a Gerusalemme che culminerà nella sua Pasqua.L’episodio segna anche la crescita della madre. Per tre giorni Maria e Giuseppe lo credevano perduto e lo cercavano «con ansia». Lo trovarono a Gerusa-lemme, nel tempio, in mezzo ai dottori della legge, con i quali dovrà poi più volte dibattere rivelando il vero volto di Dio che è amore e misericordia. Tutto l’episodio mostra un chiaro legame con il mistero pasquale. In maniera analoga, tre gior-ni dopo la morte di Gesù, ai discepoli addolorati e smarriti sarà annunciato che è inutile cercare il maestro tra i morti: egli è vivo, risorto, innalzato alla gloria del Padre.

Anche mARIA hA un “deve” nelle cose del pAdReRitrovato Gesù nel tempio, Maria gli fa una do-manda scaturita con naturalezza dal suo cuore di madre: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Nel «perché» di Maria è il riassunto di tanti perché dell’umanità intorno al mistero della croce e l’an-goscia di tante persone che cercano faticosamente Dio. Alla domanda della madre, Gesù dà per ri-sposta due altre domande: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Egli ha un «deve» nel disegno del Padre, con la crescita in età e in sa-pienza egli cresce soprattutto nella coscienza della sua missione. C’è poi un versetto che colpisce i lettori del rac-conto lucano: «Ma essi (Maria e Giuseppe) non compresero le sue parole». Il piano di Dio trascen-de ogni comprensione umana. «Persino colei, alla quale era stato rivelato più a fondo il mistero della filiazione divina, la madre, viveva nell’intimità con questo mistero solo mediante la fede!», commenta Giovanni Paolo II (Redemptoris mater 17). Stando a fianco del figlio e vivendo in intima unione con lui, insieme alla dolcezza e la gioia singolare Maria sperimenta anche l’oscurità della mente e la fatica del cuore, avanza gradualmente nella “peregrina-zione della fede”. Giorno dopo giorno Maria cresce nell’accoglien-za dell’identità di Gesù - questo figlio che ella ha avvolto in fasce alla nascita non è soltanto figlio suo - e cresce nella consapevolezza d’essere anche lei depositaria del mistero di Dio; lo sapeva sin dal momento dell’annuncio dell’angelo, ora tutto ap-pare più vivo e reale, e allo stesso tempo più duro e più incomprensibile. Accanto al suo Figlio, anche Maria ha un «deve» nelle cose del Padre.

Maria Ko Ha [email protected]

giorno dopo giorno Maria cresce nell’accoglienza di quel bimbo che ha avvolto in fasce alla nascita: non è soltanto figlio suo, ma è dono del Padre all’umanità. Dono e mistero da cercare, custodire, far conoscere a tutti gli uomini

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un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». gesù gli disse: «che cosa sta scritto nella legge? come leggi?». costui rispose: «amerai il signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». gli disse: «hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».Ma quello, volendo giustificarsi, disse a gesù: «E chi è mio prossimo?». gesù riprese: «un uomo scendeva da gerusalemme a gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». quello rispose: «chi ha avuto compassione di lui». gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

(lc 10, 25-37)

Senza scomodare i Comandamenti divini, non si può non osservare che la società funziona soltanto se ci mettiamo del nostro, se ci impegniamo in prima persona.

lA pARolA quI e oRA

Nel linguaggio di oggi il termine “Samarita-no” è tornato in voga. C’è una legge del buon Samaritano che incoraggia a non sprecare i cibi avanzati, destinandoli immediatamente, senza troppa burocrazia, a chi ne ha bisogno. In bioetica si sta discutendo delle “donazioni samaritane” di organi: quelle compiute da un estraneo e non da un consanguineo. Certo, non sprecare il cibo è un’ottima cosa; certo, la donazione di un organo può essere utilis-sima e magari salvare la vita. Ma è soltanto questo il significato del “buon Samaritano”?I modi in cui si usa il linguaggio, come san-no bene i filosofi e i tiranni, sono decisivi per determinare la realtà. Se ci viene detto che libertà è la possibilità di cambiare continua-mente telefono, o scegliere fra tanti canali tv, tutti dello stesso padrone, faticheremo di più a ricordare che libertà significa propriamente essere responsabili della realtà, e partecipare alle decisioni della storia. Così, se il Samari-tano diventa un benefattore, come fosse un membro dei Rotary o dei Lions (in assoluto rispettabilissime organizzazioni), forse si per-

il buon samaritano: compassione, non beneficenza

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de di vista il senso principale delle parole di Gesù. Perché ciò che c’è di indispensabile, di essenziale nella parabola, è la misericordia, la “compassione” - non la beneficenza. La parabola delle “esclusioni incrociate” ci conduce a constatare che, per seguire il Si-gnore, della misericordia non possiamo fare a meno. Altrimenti siamo come il levita e il sacerdote, ben inseriti nella rispettabilità so-ciale e che dunque escludono un intervento cui non sono obbligati; come i briganti, per definizione esclusi dai benefici e dalle garan-zie del mondo ordinato; come l’oste, neutrale più degli Svizzeri. Invece, anche senza sco-modare la trascendenza e i comandamenti divini, non si può non osservare che la so-cietà funziona soltanto se ci mettiamo del nostro, se ci impegniamo in prima perso-na. Altrimenti noi stessi finiremo per essere esclusi: magari non dalla rispettabilità, ma certo dal “senso” del vivere.

Marco [email protected]

Goso DiegoQuattro chiacchiere con Dio. Lo sapevate che Dio si fuma dei sigari grossi così?San Paolo Edizioni 2013, 118 pagine, Euro 10,00

Agasso Domenico jr.; Agasso DomenicoDopo Cristo. Venti secoli di storia della ChiesaSan Paolo Edizioni 2013, 256 pagine,Euro 19,00

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Essere malati e curarsi è un diritto, a cui la medicina cerca di rispondere con strumenti sempre più sofisticati, come le terapie fondate sull’uso delle cellule staminali. Quali sono le loro potenzialità? E quali i rischi?

espeRIenze

Fino a pochi anni fa erano cono-sciute soprattutto nell’ambiente della ricerca. Oggi, anche a segui-to della risonanza di alcuni fatti di cronaca, si è aperto un profondo dibattito, a tutti i livelli: al centro, sta il loro utilizzo come rimedio per malattie che non hanno a di-sposizione farmaci efficaci o per i danni a tessuti in organi specifici. Quali sono le reali potenzialità delle “staminali”? Quali, i loro li-miti? Per fare chiarezza, ci siamo rivolti al dottor Domenico Co-viello, direttore del laboratorio di Genetica Umana all’EO Ospedali Galliera di Genova.

stAmInAlI, queste sconoscIuteCosa sono le cellule staminali e da dove originano?

«Sono cellule non ancora spe-cializzate. Sono, cioè, allo stadio primitivo, dotate della capacità di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule del corpo, fino a diven-tare specifici organi, attraverso un processo denominato “diffe-renziamento cellulare”. Le cellule staminali per eccellenza derivano dalla prima cellula (zigote) da cui si sviluppa un nuovo individuo,

con l’inizio del differenziamento cellulare, per dare origine a orga-ni e tessuti. Queste prime cellule sono definite “totipotenti” o “cel-lule staminali embrionali”, perché sono le uniche in grado di dare origine ad un individuo completo. Per utilizzarle, in particolare per la ricerca, l’embrione che si sta svi-luppando viene sacrificato, cioè viene disgregato in singole cellu-le che sono utilizzate per esperi-menti di laboratorio».

Ci sono altre “staminali”?«Sì, le “cellule staminali adulte”, ma sono differenti. Queste, infat-ti, non sono più “totipotenti” ma in una fase di differenziamento leggermente più avanzato. Sono definite “pluripotenti”, perché, pur potendosi trasformare, non pos-sono più dare origine a un indi-viduo completo. Queste cellule sono presenti in tutti i tessuti del nostro corpo: servono per gene-rare e, quando serve, riparare i nostri organi e tessuti, che non sono tutti accessibili allo stes-so modo: per esempio, il tessu-to nervoso è il meno accessibile, mentre il più accessibile è il san-gue, e il midollo osseo in cui viene formato. Sono proprio le “cellu-

cellule staminali:frontiere e limiti

le staminali adulte” la maggiore risorsa per le sperimentazioni di “terapia cellulare” nelle malattie prive di farmaci in grado di cu-rarle».

le nuove fRontIeReQuali sono le nuove frontiere di questo tipo di medicina?«La possibilità di individuare cel-lule staminali in tutti i tessuti adul-ti ha costituito una nuova fron-tiera che ha aperto moltissimi filoni di ricerca. Si sono ottenuti risultati eccellenti nella riparazio-ne di organi quali gli occhi, con la rigenerazione delle cornee; le corde vocali, ricostruite dopo le-

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na”. Qual è il rapporto con le cure compassionevoli?

«Le cure compassionevoli sono definite come terapie in fase avan-zata di sperimentazione, dove si è già stabilita la non pericolosità del trattamento su basi scientifi-che e comprovate, ma che non ha ancora terminato completamente l’iter di approvazione ufficiale da parte dell’autorità competente.Differente è il caso “Stamina”, in cui il trattamento non è stato reso accessibile alla verifica presso strutture autorizzare a tale sco-po. In tutte le sue attività, l’uomo deve confrontarsi con la realtà, che spesso non coincide con de-

sideri e previsioni. Anche nella ri-cerca, la realtà ci pone dei limiti e se l’uomo non li riconosce spes-so ne possono derivare grandi danni».

In pratica, a cosa ci riferiamo?«Per quanto riguarda le “cellule staminali embrionali”, per quan-to possano essere affascinati da studiare, poiché contengono tut-ti i fattori che permettono lo svi-luppo di un nuovo individuo, il limite dev’essere di non utilizzarle per ricerca. Tale limite deriva dal riconoscimento del valore del-la vita umana dalla prima cellula concepita.Per quanto riguarda le “cellule staminali adulte”, il limite non è tanto per la ricerca di laboratorio in vitro, ma per il loro utilizzo te-rapeutico in vivo. Tale utilizzo, se non verificato attentamente, può recare più danno che beneficio, come purtroppo spesso osser-vato nell’ultimo ventennio, dove, nei casi peggiori, si sono svilup-pati tumori o in altri l’utilizzo non ha avuto nessuna efficacia».

Quali sono le regole della ri-cerca?«Nel settore della terapia in me-dicina, le scoperte vengono do-cumentate con protocolli resi pubblici (tramite le riviste scienti-fiche) e i risultati possono essere verificati. Anche l’utilizzo di cellule per la terapia deve seguire quindi regole egualmente severe e con-trollate».

Luca [email protected]

sioni irreversibili. E, naturalmente, nelle malattie ematologiche, dove l’isolamento delle cellule staminali dal midollo osseo è abbastanza “semplice”.Più complesso, è riparare danni del tessuto nervoso. Sono mol-ti i gruppi di ricerca impegnati in questa sfida, che richiede grande esperienza e grande prudenza. È proprio in questa area che si col-loca l’intervento di “Stamina”, che ha suscitato tanta discussione e perplessità».

confRontARsI con lA ReAltàA proposito del caso “Stami-

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Il giovane prete piemontese che con tenacia ed in-telligenza riesce a dar vita all’oratorio di Valdocco, superando difficoltà e contrattempi di ogni gene-re, che tipo di persona è: un santo fin dal seno di sua madre?; un furbacchione che riesce a catturare l’attenzione su di sé?; è un prete un po’ matto ed originale?; è veramente un uomo solo di Dio? A leggere, attentamente e criticamente, i suoi scrit-ti giovanili, si ha la vaga impressione che la sua

“santità”, indiscutibile, sia ancora un po’ acerba e venata da alcune scorie di “umanità”.

un sAnto fIeRo dellA suA umIltàDalle Memorie dell’Oratorio balza agli occhi una certa sua predisposizione alla autoreferenzialità. Pone la sua persona al centro di tutto. Non parla dei suoi tanti e validi collaboratori che pure hanno avuto un ruolo importante ed insostituibile nella

Don bosco santo o furbacchione?La santità di don Bosco è il risultato di un grande lavorio esercitato su un carattere non facile e su una personalità complessa. Non ha nulla della mielosità con cui è stata avvolta per un periodo fin troppo lungo.

don bosco oggI

© Nino Musio

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fondazione di Valdocco. I fari della luce della ribal-ta sono fissi su di lui. Tutti gli altri sono relegati al ruolo di comprimari avvolti dalla penombra e dal silenzio, nonostante che si siano spesi, con gene-rosità e fatica, nell’assecondarlo nelle sue prime esperienze educative. Un’altra sua caratteristica è quella di sopravvalutare i risultati oggettivamente realizzati. Dalle sue parole si ricava l’impressione che gran parte dei giovani della Torino di allora si raduni nei suoi oratori. Le statistiche demografi-che, invece, ci dicono che fra gli anni 1846-1856 la frequenza oscilla fra i 600-1200 giovani. Questi numeri rimangono costanti anche negli anni 1880-1890 nonostante che la popolazione della capita-le sabauda passi dai 136.000 ai 230.000 abitanti. In termini percentuali solo l’1,3% della gioventù frequenta gli ambienti salesiani. In Torino ci sono molte altre agenzie che si occupano dell’educazio-ne giovanile, ma non vengono mai menzionate.

un sAnto genIAle nel fARsI conosceRe e nel fARsI AIutARe economIcAmenteDalla lettura delle Letture Cattoliche e da Il Bolletti-no Salesiano, pubblicato a partire dall’agosto 1877, si colgono gli aspetti più originali e moderni della sua santità. Don Bosco si dimostra un autentico genio nell’ambito della comunicazione e della pub-blicità. Il dissolvimento dello Stato Pontificio crea in tutta Europa un diffuso e radicato senso di soli-darietà nei riguardi del Papa sfrattato dal Quirinale e relegato, quasi in prigionia, in Vaticano. Questa profonda empatia si traduce in una concreta so-lidarietà che alimenta un vasto flusso di denaro con destinazione Roma papalina. Il giovane prete piemontese capta questa insperata predisposizio-ne alla liberalità verso le strutture ecclesiastiche e riesce ad attirare su di sé l’attenzione di numerosi e munifici benefattori. Nello stesso periodo l’Ope-ra della Propagazione della Fede, con sedi princi-pali a Lione e Parigi, genera un vasto movimento di sensibilizzazione nei riguardi delle missioni. Il battesimo dei cinesini, la scoperta dell’Africa sel-

vaggia ed in gran parte sconosciuta da parte di audaci evangelizzatori, la costruzione di ospedali e strutture educative a favore di popolazioni lon-tane riaccendono sopiti sentimenti di carità soli-dale. Don Bosco coglie la palla la balzo e dà vita alle spedizioni missionarie che aprono alla giovane congregazione gli sconfinati orizzonti della Pata-gonia e dell’America del sud. Il Bollettino Salesiano si trasforma in un gratuito strumento di propagan-da che mette a disposizione di don Bosco, tramite molti cooperatori e benefattori, le ingenti somme di denaro richieste dalle nuove fondazioni mis-sionarie. Altro aspetto molto curato è quello dello scrivere, personalmente, un gran numero di lettere autografe. Questo gli permette di tessere una vasta rete di persone sensibili ai bisogni materiali che la nascente congregazione deve affrontare. Si tratta di un lavoro snervante, faticoso, intriso di furbizia e di saggezza che mette a dura prova il suo orga-nismo spremendolo oltre ogni regola di prudenza. Tutto questo solo sotto lo stimolo insopprimibile del da mihi animas. Sotto questo aspetto la santità di don Bosco brilla trasparente ed indiscutibile. A duecento anni dalla sua nascita è con questa san-tità che dobbiamo noi tutti misurarci non solo a livello di buone parole e di mielose intenzioni, ma di condotta e comportamenti concreti e verificabili nella vita reale di tutti i giorni.

Ermete [email protected]

Don bosco scriveva personalmente un gran numero di lettere era anche questo un modo per creare intorno a sè e alla sua opera una fitta rete di persone sensibili ai bisogni materiali che la congregazione doveva affrontare.

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sfIde educAtIve

Gli oratori devono essere rilan-ciati come «ponti tra la Chiesa e la strada», diceva Giovanni Paolo II. La sfida è farli diventare sem-pre più spazi di accoglienza e dialogo, ponti tra l’istituzionale e l’informale, tra la ricerca emotiva di Dio e l’incontro con Lui, tra la realtà locale e le sfide planetarie, tra il tempo della spensieratezza e quello della responsabilità. Uno scopo alto che l’episcopato fissa a Il laboratorio dei talenti con la nota pastorale su Valore e missio-ne degli oratori nel contesto dell’e-ducazione alla vita buona del Van-gelo, frutto del lavoro congiunto delle Commissioni CEI (Conferen-za Episcopale Italiana) per la Fa-miglia e la vita e per la Cultura e le comunicazioni sociali.Gli oratori stanno molto a cuo-re ai vescovi. Tuttavia è singola-

re che, nonostante un’esperienza di quasi mezzo millennio, questo sia il primo organico documen-to dedicato all’oratorio in cin-quant’anni di storia ufficiale (dal 1964) della CEI. Già negli Orien-tamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buo-na del Vangelo si affermava: «La necessità di rispondere alle esi-genze dei giovani porta a supera-re i confini parrocchiali e ad allac-ciare alleanze con le altre agenzie

educative. L’oratorio accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni ed esprime il volto e la passione educativa della comunità». Il tutto attraverso l’ag-gregazione e lo sport, la musica e il teatro, il gioco e lo studio.

tRe gRAndI fIlonIStoricamente il termine indica un luogo adibito alla preghiera, un genere musicale, uno stile educa-tivo. Nell’ultimo significato, l’ora-

La loro importanza «nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo» ribadita in

una recente nota delle Commissioni CEI per la Famiglia e la vita e per la Cultura e le

comunicazioni sociali.

degli oratorivalore e missione

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luglio-agosto 2013

torio deriva da un intreccio di in-tuizioni, esperienze, attività e ope-re, frutto dello Spirito Santo, del genio creativo di non pochi santi e delle scelte pastorali. Senza pre-tesa di completezza il documento individua tre grandi filoni: la tra-dizione filippina con san Filippo Neri (1515-1595); la tradizione ambrosiana-lombarda dei grandi arcivescovi di Milano, da san Car-lo Borromeo (1538-1584) a Gio-vanni Battista Montini, poi papa Paolo VI (1897-1978); la tradizio-ne piemontese con san Giovan-ni Bosco (1815-1888), santa Ma-ria Domenica Mazzarello (1837-1881) e san Leonardo Murialdo (1828-1900) e tanti altri educa-tori piemontesi. Nelle diocesi del Triveneto l’oratorio è conosciuto anche come patronato. Nel Cen-tro-Sud numerose Congregazioni religiose, educatori ed educatri-ci, consacrati e laici fanno varie esperienze. Prezioso il contributo dell’Azione Cattolica, con un forte radicamento in tutta Italia.Elementi comuni a queste espe-rienze sono l’autorevolezza dell’e-ducatore, la centralità della rela-zione personale, l’educazione come atto di amore, una visio-ne di fede che dà fondamento e orizzonte alla ricerca di senso, la

formazione integrale della perso-na, la costruzione del bene comu-ne. Gli oratori - osserva la nota - «non nascono come progetti “a tavolino” ma dalla capacità di la-sciarsi mettere in discussione dal-le urgenze e dai bisogni».

un RIfeRImento ecclesIAle e socIAleUn ampio capitolo è dedicato all’emarginazione dei giovani. Gli oratori non si sono limitati al recupero, all’istruzione, all’as-sistenza: hanno promosso mu-sica, teatro, letteratura, gioco, sport, festa, prevenzione sociale, accompagnamento familiare, av-viamento al lavoro; hanno punta-to sulla formazione complessiva, umana, culturale, spirituale; han-no inquadrato necessità e povertà dei giovani. «In modo particolare don Bosco, con la sua sensibilità per l’abbandono in cui versava-no masse di ragazzi, si fece carico della loro formazione e istruzio-ne, non solo religiosa: la nasci-ta di scuole e collegi manifestò come il Vangelo non potesse li-mitarsi al catechismo. Oggi mol-ti oratori faticano a perseverare per la complessità delle sfide. In altre realtà l’oratorio resta l’unico punto di riferimento ecclesiale e

sociale, capace di denuncia delle ingiustizie e del degrado. Gli ora-tori non sono nati per il contra-sto al disagio sociale ma possono fare molto per la prevenzione e il sostegno. Per questo gli oratori sappiano “stare sulla strada” per cercare e accogliere i soggetti più feriti e bisognosi».Quest’opera si sviluppa da soli-de radici. Concludono i vescovi: «Nella cultura filippina l’oratorio indicava proprio l’incontro nel quale si alternavano letture spiri-tuali, sermoni o “ragionamenti sul libro” in un clima festoso e allieta-to da musica e canto. Strettamen-te legati alle scuole della Dottrina cristiana, nate su iniziativa di Ca-stellino da Castello (1480-1566) per un’istruzione e una cateche-si di massa, gli oratori milanesi e lombardi si strutturarono come vere e proprie scuole parrocchia-li. Don Bosco l’8 dicembre 1841 propose al giovane immigrato analfabeta Bartolomeo Garelli un “catechismo a parte”. Oggi l’impe-gno educativo nella nuova cultura mediatica dovrà costituire un am-bito privilegiato per la missione della Chiesa».

Pier Giuseppe [email protected]

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