Rivista_Marzo_2015

download Rivista_Marzo_2015

of 14

Transcript of Rivista_Marzo_2015

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    1/32

    d o n n e e u o m

    i n i i n r

    i c e r c a e c o n f r o n

    t o c o m u n

    i t a r

    i o

    e m p i d i

    f r a t e r n i

    t

    Spedizione in abbonamento postale art. 1, comma2, D.L. 24/12/2003 n.353conv. in L. 27/2/2004 n. 46L'Editore si impegna a corrispondere il diritto di resaISSN 1126-2710

    3numero

    annoquarantaquattresimo

    marzo2015

    Monsignor Óscar RomeroSan Romero de America

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    2/32

    empi di fraternità

    2 Marzo 2015

    EDITORIALE

    G. Monaca- San Romero de America ................................... pag. 3CULTURE E RELIGIONI

    E. Vavassori- Vangelo secondo Matteo (31) ....................... pag. 10

    T. Chiarioni- Storia di Qayin e Hevel ..................................... pag. 26DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

    D. Pelanda- Efficacia ed incisività di Bergoglio sulla Chiesa .. pag. 5 Appello per la difesa della liber tà religiosa in Italia.............. pag. 9IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI ........... pag. 16COSE DALL’ALTRO MONDO

    D. Pantaloni- E la chiamano “democrazia”... in Messico ...... pag. 19M. Pavoni Gay- Commissione brasiliana per la Verità .......... pag. 21PAGINE APERTE

    R. Orizzonti- Il carcere triste dei ragazzini ........................... pag. 14C. Bianchin- I miei primi, incerti passi verso l’Ecoteologia.. pag. 23L. Tussi- Una storia di amore e resistenza .......................... pag. 28D. Dal Bon- ... e la speranza continua ... ............................. pag. 30ELOGIO DELLA FOLLIA ................................................... pag. 32

    IN QUESTO NUMERO

    Il periodico Tempi di Fraternità è in regime di copyleft: ciò significa che gli scritti (solotesto) possono essere liberamente riprodotti a condizione di non apportare tagli o modifiche,di citare l’autore, di indicare il nome della testata e di inviarne copia alla redazione.

    Questo periodico è aperto a quanti desiderino collaborarvi ai sensi dell’art. 21 della Costituzionedella Repubblica italiana. La pubblicazione degli scritti è subordinata all’insindacabile giudizio

    della Redazione; in ogni caso, non costituisce alcun rapporto di collaborazione con la testata e,quindi, deve intendersi prestata a titolo gratuito.Il materiale inviato alla redazione, anche se non pubblicato, non verrà restituito.

    tempi di fraterni tà donne e uomini inricerca e confrontocomunitario

    Fondato nel 1971 da fra Elio Taretto

    tempi di f raterni tà donne e uomini inricerca e confrontocomunitario

    Fondato nel 1971 da fra Elio Taretto

    Siamo anche su Facebook, all’indirizzo:http://www.facebook.com/tempidifraternita.tempidifraternita

    L’immagine di copertina è tratta da: https://reader009.{domain}/reader009/html5/0729/5b5d5cf7cda86/5b5d5cfb6b418.jpg

    Coll ettivo redazionale: Mario Arnoldi, Giorgio Bianchi, Andreina Cafasso, Riccardo Cedolin, Daniele Dal Bon, Luciano Jolly, Danilo Minisini,Gianfranco Monaca, Davide Pelanda, GiovanniSarubbi.H anno collaborato al numero: Carlo Bianchin,

    Emanuel e Bruzzone, Tulli a Chiarioni , Eli sa Lupano, Ristretti Orizzonti, Daniela Pantaloni, Manfredo Pavoni Gay, Laura Tussi, ErnestoVavassori.Di rettri ce responsabil e: Angela Lano.Pr opr ietà: Editrice Tempi di Fraternità soc. coop.Ammin istratore uni co: Danilo Minisini.Segreteria e contabi li tà: Giorgio Saglietti.Diffusione: Giorgio Bianchi, Andreina Cafasso,

    Daniele Dal Bon, Pier Camillo Pizzamiglio.Composizione: Danilo Minisini.Corr ezione bozze : Carlo Berruti.I mpaginazione e grafica: Riccardo Cedolin.Fotografie: Daniele Dal Bon.Web master: Rosario Citriniti.Stampa e spedizione: Comunecazione S.n.c.

    strada San Michele, 83 - 12042 Bra (CN)Sede: via Garibaldi,13 - 10122 Torino

    presso Centro Studi Sereno Regis.Telefoni: 3474341767 - 011957 3272Fax: 02700519846 Sito: http://www.tempidifraternita.it/ e-mail: [email protected]

    Una copia € 3,00 - Abbonamenti: normale € 30,00 - estero € 50,00sostenitore € 50,00 (con abbonamento regalo) via e-mail € 20,00 (formato PDF) Gli abbonamenti scadono a dicembr e di ognianno: chi sottoscrive un nuovo abbonamento durante l’anno versi la quota in proporzionealla rimanente durata dell’annoAbbonamenti cumul ativi solo per l’ I talia con: Adista € 89,00 - Confronti € 69,00Esodo € 51,00 - Mosaico di pace € 54,00Il Gallo € 54,00Pagamento: conto corr ente postale n°29 466 109 Coordinate bonif ico bancario: I T60D0760101000000029466109intestato a:Editr ice Tempi di Fr aterni tà presso Centr o Studi Sereno Regis via Garibaldi , 13-10122 Tori no Dall’ estero: BI C BPPI IT RRXXX Carte di credito accettate trami te il nostro sito Autorizzazionedel Tribunale di Torino n. 2448dell’11/11/1974 - Autorizzazionea giornale muraleordinanza del Tribunale di Torino 19/7/1978Iscrizione ROC numero 4369Spedizione in abbonamento postaleart. 1, comma 2, D.L. 24/12/2003 n.353conv. in L. 27/2/2004 n . 46 - TorinoCodice fiscale e Parti ta IVA 01810900017 La raccolta dei dati personali è operata esclusivamente per scopi connessi o strumentali all’attività editoriale,nel rispetto della legge 675/1996.L’Editrice, titolare del trattamento, garantisce agli interessati che potranno avvalersi in ogni momento deidiritti di cui all’art. 13 della suddetta legge.

    QUANDO SI FA I L GIORNALE chiusura aprile 2015 4-03 ore 21:00chiusura maggio 2015 1-04 ore 21:00I l numero, stampato in 537 copie, èstato chiuso in

    tipografi a il 16.02.2015 e consegnato all e

    Poste di Tori no i l 23.02.2015.Questa rivista èassociata al la UNIONE ST UNIONE ST UNIONE ST UNIONE ST UNIONE STAMP AMP AMP AMP AMPA PERIODICA IT A PERIODICA IT A PERIODICA IT A PERIODICA IT A PERIODICA ITALIAN ALIAN ALIAN ALIAN ALIANA AAAA

    ASSEMBLEA ORDINARIASabato 11 aprile, alle ore 15.00

    si terrà l’assemblea annuale della nostra Cooperativa

    L’ordine del giorno, che verrà comunicato ai Soci e alle Socie, prevedel’assolvimento degli obblighi di legge (approvazione del bilancio 2014, preventivo 2015, iniziative promozionali, ingresso e recesso dei soci, ecc.).

    L’occasione dell’assemblea sarà anche un momento per ritrovarci e fare il punto sulle nostre attività e sulle iniziative future. A questo proposito l’invitoè esteso anche a Collaboratori vecchi e nuovi, Lettori e Lettrici che volessero partecipare.

    Nell’impossibilità di una partecipazione diretta, ma volendo esprimereun’opinione, un suggerimento o proposta, una critica, inviate una comuni-cazione scritta o una e-mail: in assemblea saranno lette e discusse.

    Ultima cosa ma non meno importantela sede dell’assemblea: ripetendo

    le belle esperienze degli ultimi incontri, proponiamo di ritrovarci a casa diun collaboratore “storico”, Daniele; seguiranno ulteriori istruzioni ai Soci/ee a chi telefonerà per conoscere l’indirizzo dell’incontro.

    Per informazioni: Danilo 011-957 3272

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    3/32

    empi di fraternità

    Marzo 2015 3

    EDITORIALE

    di GianfrancoMonaca

    “La decisione di papa Francesco di sbloccarela procedura di beatificazione di Mons. Ro-mero ci rende felici. Aspettavamo da troppotempo questo momento. Il papa prende attofinalmente che il Popolo di Dio, da tanti anni,ha ritenuto Romero santo delle Americhe e,come tale, lo ha pregato. Si supera così unafrattura che da tempo separava il cuore del popolo cristiano dalla curia vaticana”.

    Così“Noi siamo Chiesa” , appena si è sapu-to che Óscar Romero verrà proclamato santo.

    Per i giovanissimi (citando Wikipedia), dicia-mo che Óscar Arnulfo Romero nacque in Sal-

    vador nel 1917, se-condo di otto fratelli,da una famiglia diumili origini. Ordina-to prete (1942), svol-se il suo ministero di parroco per pochianni. Segretario del-la Conferenza episco- pale di El Salvador,nel 1974 venne nomi-nato vescovo di San-

    tiago de María, nellostesso Stato di El Sal-vador, uno dei territo-ri più poveri della na-zione, poi arcivesco-vo di San Salvador (1977). Il contattocon la vita reale della popolazione, strema-ta dalla povertà e op- pressa dalla feroce re- pressione militare che

    voleva mantenere laclasse più povera

    soggetta allo sfruttamento dei latifondisti loca-li, provocò in lui una profonda conversione; pie-namente schierato dalla parte dei poveri, e inaperto contrasto con le stesse famiglie che losostenevano e che auspicavano in lui un difen-sore dello status quo politico ed economico, Ro-mero rifiutò l’offerta della costruzione di un palazzo vescovile, scegliendo una piccola stan-za nella sagrestia della cappella dell’Ospedaledella Divina Provvidenza, dove erano ricove-rati i malati terminali di cancro.

    La morte di padre Rutilio Grande, gesuita, suoamico e collaboratore, assassinato assieme a duecatecumeni appena un mese dopo il suo ingres-so in diocesi, divenne l’evento che aprì la suaazione di denuncia profetica, che portò la chie-sa salvadoregna a pagare un pesante tributo disangue (l’altra sua collaboratrice, MarianellaGarcía Villas, avvocato al servizio dei poveri,fu assassinata nel 1983). L’esercito, guidato dal partito al potere, arrivò a profanare e occuparele chiese, come ad Aguilares, dove vennero ster-minati più di 200 fedeli.

    “Vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Di o: cessi la repressione! ”, gridò all’esercito e

    alla polizia. Come risposta a questa richiestagli organi di stampa fedeli al regime pubblica-rono una immagine di papa Giovanni Paolo IIaccompagnata da una frase del pontefice daintendere come monito: “Guai ai sacerdoti che fanno poli tica nella chiesa, perchéla Ch iesa èdi tutti ”.

    Le sue catechesi, le sue omelie, trasmessedalla radio diocesana, vennero ascoltate ancheall’estero, diffondendo la conoscenza della si-tuazione di degrado che la guerra civile stavacompiendo nel Paese. La sua popolarità cre-

    scente, in El Salvador e in tutta l’America lati-na, e la vicinanza del suo popolo, furono in

    San Romero de America

    M onsignor Óscar Arnul fo Romero

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    4/32

    empi di fraternità

    4 Marzo 2015

    EDITORIALE

    contrasto con l’opposizione di parte dell’epi-scopato, e soprattutto con la diffidenza di papaPaolo VI. Il 24 giugno 1978, in udienza daquest’ultimo, denunciò:

    «Lamento, Santo Padr e, che nell e osserva-

    zioni presentatemi qui in Roma sul la mia con- dotta pastorale prevale un ’ in terpretazione negativa che coincide esattamente con le po- tenti ssime for ze che là, nell a mia arcidi ocesi,cercano di frenare e screditare il mio sfor zo apostolico» . (Nota lasciata a Paolo VI da Ro-mero durante l’udienza concessagli il 24 giu-gno 1978).

    Romero, per le sue posizioni teologiche fa-vorevoli alla teologia della liberazione, ebbesempre un cattivo rapporto con Paolo VI e nonriuscì a ottenere l’appoggio del nuovo papaGiovanni Paolo II, che tenne conto delle suenotevoli capacità pastorali e della sua fedeltàal vangelo, ma fu molto cauto per il timore cheuna sua eventuale compromissione con ideo-logie politiche creasse ostacoli tra l’AmericaLatina e la Santa Sede.

    Il 2 febbraio 1980, a Lovanio, in Belgio, ri-cevette la laureahonoris causa per il suo im- pegno in favore della liberazione dei poveri.

    Il 24 marzo 1980, mentre stava celebrandola messa nella cappella dell’ospedale della Di-vina Provvidenza, fu ucciso da un sicario sumandato di Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore ARENA( Alianza Republicana Nacionalista ). Nel-l’omelia festiva aveva ribadito la sua denun-cia contro il governo di El Salvador, che ag-giornava quotidianamente le mappe dei cam- pi minati mandando avanti bambini che re-stavano squarciati dalle esplosioni. L’assas-sino sparò un solo colpo, che recise la venagiugulare mentre Romero elevava l’ostia nellaconsacrazione.

    Papa Wojtyla non partecipò ai funerali delvescovo Romero, ma è stato proclamato “santosùbito”, anche se da molti cattolici è stato piut-tosto un santo “subìto”, proprio per il suo at-teggiamento pastorale talmente condizionato, per la sua storia personale, da un anticomuni-smo viscerale da renderlo incapace di distin-guere il “socialismo reale” dell’impero sovie-tico dalla lotta dei poveri condivisa dalla chie-sa di base dell’America Latina e non solo; al punto di non saper collegare la lotta dei popo-li oppressi nell’Est Europa con la universale

    “fame e sete di giustizia” annunciata dal mes-saggio evangelico in tutti i continenti.

    Papa Bergoglio vuole essere anche lui fede-le alla propria storia, una storia diversa perchéviene “da un altro mondo”, e finora ha trovatole parole giuste per collegare la fede evangeli-ca alla fame e alla sete evangelica di giustizia.

    Non è di poco conto il fatto che abbia deciso disbloccare la “pratica Romero” dichiarando cheil suo assassinio è avvenuto “in odio alla fede”,confermando così che “la fede non è una deco-razione sulla torta” (come aveva detto ai turi-sti di Castel Gandolfo quando a Ferragostoaveva reso visita al papa emerito BenedettoXVI), ma ha un senso soltanto se è sostanziatadalla scelta evangelica del capitolo 25 di Mat-teo, che è azione a favore di chi ha fame, sete,è immigrato, senza casa, carcerato e così via.

    La stampa vaticana aveva accuratamenteomesso di riportare il discorso fatto a braccioda Benedetto XVI nel viaggio verso il Brasile,che aveva descritto Óscar Romero come “de-gno della beatificazione” essendo un “grandetestimone della fede” che aveva avuto una mor-te “veramente incredibile”. Questo testimoniail vaticanista Andrea Tornielli su La Stampadel 5 febbraio, e cita quanto scriveva Romeronell’ottobre 1977:“Per molti anni nella Chie-

    sa siamo stati responsabili del fatto che molte persone vedessero nella Chiesa un’alleata dei potenti in campo economico e politico, con-tribuendo così a formare questa società d’in-

    giustizie in cui viviamo”.Certo, una beatificazione può essere - e mol-

    te lo sono state - una manifestazione di mon-danità ecclesiatica gradita alla mondanità diquei potenti che ne cercano costantemente laconnivenza. Questa volta cercheranno di in-ghiottire il rospo e i loro manutengoli di sa-crestia si affretteranno a inquinare la limpidamemoria di Óscar Romero in soffocanti corti-ne d’incenso. Lo hanno fatto spesso, lo hanno

    fatto con Francesco d’Assisi e con papa Ron-calli, con quel cinico uso politico del sacroche rimpoverarono a coloro che credono fer-mamente che il Vangelo è anche un progetto politico, ma sul versante opposto a quello daessi sperato.

    In questo brodo di coltura sono cresciute neisecoli le mafie e le loro processioni, gli “ordi-ni equestri” e le indulgenze a pagamento, leguerre “missionarie” e le leghe sante, le ele-mosine e i balli di beneficenza, i cantieri inter-minabili e le relative mazzette a fin di bene.

    L’applauso è sempre un’uscita di sicurezza per evitare la conversione e il confiteor.

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    5/32

    empi di fraternità

    Marzo 2015 5

    DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

    Giancarla, c’è stata una lunga serie di ti-toli di libri sul Papa “venuto dalla fine delmondo”, come ha detto lui stesso nel mo-mento dell’insediamento. Sembra che lecase editrici cattoliche abbiano vendutomolti libri sulla sua figura al salone dellibro di Torino dello scorso anno.

    Abbiamo scritto qualche tempo fa sullanostra rivista che «Il papa è un testimo-nial eccezionale ma, nel deserto che stia-mo attraversando, tutti rischiamo di ab-bandonarci alla tentazione del leaderismoesasperato, dalla quale il Vangelo ci mettein guardia in modo molto severo. La pa-polatria è sempre in agguato, e applaudi-re il papa è molto più facile che accoglier-ne il messaggio esigente».

    Ti chiedo: da come si muove è un Papaattento all’immagine? Non si rischia un

    po’ la cosiddetta “pa-polatria”? Non ti sem-bra che sia un perso-

    naggio mediaticamen-te molto sovraespo-sto? Perché piace allefolle? Puoi commen-tare?«Dura la lotta contro leimmagini: noi cattolici,a partire dai più spiri-tuali e perfino dai mi-stici, non possiamo to-glierci dalla mente letante teste di vecchi si-

    gnori con barba bianca,triangolo e colomba sul

    Efficacia ed incisività di Bergoglio sulla Ch

    capo che per secoli la pittura ha antropomorfi-camente rappresentato come il volto del Crea-tore. Gli iconoclasti sarebbero abbastanza sim- patici, non fosse che anche le religioni che nonraffigurano le divinità, come l’ebraismo el’islam, non hanno evitato l’ignoranza di Dio.Certo, non c’è confronto fra le dita di Adamoe di Yhwh della Cappella Sistina e le benedi-zioni papali sul TG, anche se i media non stan-no aiutando le religioni.

    Escludendo l’Islam, che nelle presentazioniappare come se noi fossimo solo le crociate el’Inquisizione (e purtroppo per molti musul-mani è questa la memoria), la spettacolarità nonfavorisce la comprensione di che cosa si deb- ba intendere per Cristianesimo e Cattolicesi-mo. La gente sperimenta nel corso della vita più di un pontificato e ogni pontefice ha carat-tere e scuola di pensiero diversi: piazza sanPietro comunque compare sugli schermi sem- pre osannante a qualunque nuvoletta bianca sisprigioni a fine conclave, sempre ignara di chi

    mai sia l’eletto applaudito.Certamente i fedeli non si entusiasmano per-ché credono nello Spirito Santo, ma perchél’antica suggestione del potere persiste e fa presa per convenzione clericale: è “il Papa”. Iltradizionalista Benedetto XVI è venuto dopol’autoreferenziale Giovanni Paolo II senza ap- parenti scosse; ma ha rappresentato la novità acui il papato non può più sfuggire: dando ledimissioni ha rotto la convenzione clericale enemmeno il Belli una cosa così se la sarebbesognata. Francesco sembra fare sul serio nel

    rinnovare anche in questo campo: sono due-cento gli anni di ritardo che il cardinal MartiniGiancarla Codrignani

    di DavidePelanda

    «C’è stata una vignetta carina, che raffigurava due che parlavanodel nuovo papa: “Pensa, è un gesuita e par la come un francescano!”

    “Appunto; è un gesuita”. Per dire che non sono sicurissima cheFrancesco abbia un quadro preciso della strategia del Papa».

    Intervista a Giancarla Codrignani

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    6/32

    empi di fraternità

    6 Marzo 2015

    DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

    denunciava ed è necessario intervenire tempestivamente perché i cani da guardia sia della conservazione teolo-gica, sia degli interessi vaticani stanno uggiolando eincominciano a mostrare i denti.

    Francesco si è coraggiosamente spogliato delle scar-

    pe di Prada, ma semplifica anche i riti che hanno fin quispettacolarizzato il culto. Presentarsi la prima volta conla croce non più d’oro e gemme è stato un grande gestomediatico, subito raccolto e compreso; ma se la gentenon pretende che nelle diocesi, preti e parrocchiani ze-lanti insieme, si spoglino di tutti gli orpelli e diventinodavvero cristiani convertiti, ci potrebbe essere qualcherimpianto... papolatrico, se si può dire. E c’è chi nonaspetta altro. Credo che il suo stile diretto e i contenutidelle cose che dice siano efficaci e costruttivi; vorreiche convertissero i troppi che giudicano qualunque per-sonaggio solo se “gli piace”. La sobrietà non è accatti-vante».

    Papa Francesco I sembrerebbe voler cambiare laChiesa. L’abbiamo visto nelle sue aperture nel Si-nodo della famiglia. Ma nei nodi dogmatici e teo-logici principali qualcuno dice che non si è mossodi un centimetro. È così? Secondo te ci sono vesco-vi e cardinali curiali che lo vogliono bloccare eschiacciare? Qualcuno teme che, per le sue aper-ture, corra dei rischi...

    «Non ho firmato l’appello delle tante associazioni - dialcune delle quali faccio parte - perché non è (ancora)il momento di scendere in campo a difesa di Papa Fran-cesco. Siccome il motivo della mobilitazione è stato unarticolo di Messori (uno a cui non va bene nemmeno ilRisorgimento perché anticlericale) che l’autore dichia-rava “richiesto”, era bene chiedere al direttore delCor-riere della Sera (il quotidiano su cui scrive AlbertoMelloni) di far conoscere chi mai fossero i richiedenti.Tuttavia, vivendo a Bologna, non ho difficoltà a direche il cardinal Caffarra è, dal punto di vista ecclesiasti-co, un capofila dell’opposizione a Bergoglio, anche se,intervistato, ha respinto le accuse dicendo testualmente

    “preferirei che si dicesse che ho l’amante (sic!) perchésono nato papista, ho vissuto da papista e voglio morire papista”. A Bologna c’è anche una sparuta minoranzache, per contestare la festa di Halloween, organizza unasorta di processione notturna contro i satanisti che va dauna porta civica al cimitero, dove di satanisti ci sonosolamente loro. Le chiese bolognesi sono tenute a darela particola in bocca e, purtroppo, molti si adeguano,anche se l’atto di coraggio per non essere imboccati come bambini nel momento liturgicamente più serio sarebbemodesto (e i preti in genere non fanno difficoltà).

    Non ci riusciranno a “farlo fuori”, ma la difesa della

    linea Bergoglio si fa più ardua perché per cinquant’anniabbiamo lasciato che gli stessi oppositori oscurassero il

    Vaticano II. Noi laici credenti, a cui il Concilio dava au-torità, non ce la siamo presa per la totale ignoranza deicontenuti della fede a cui diciamo di credere. Come hodetto, molti potranno sentire deludenti certi smantella-menti dagli apparati spettacolari e dell’approccio che dà

    riconoscimento di valore anche ai non cattolici (l’ecu-menismo è parola difficile, la libertà religiosa non meno).La crisi ci rende più vulnerabili e la chiesa “povera”

    diventa scomoda. Infatti, a mio avviso, Papa Francescoè tutt’altro che lassista: vuole mantenere il suo gregge,ma non permette che passi per cristiano chi cristianonon è. In parole povere non dice che gli squilibri socia-li sono causati dalla secolarizzazione e, anche se sem- bra indulgente con le coppie che hanno fallito, non hamai detto di voler cancellare l’indissolubilità del matri-monio. Anche fuori dall’Occidente possono essere fon-te di sconcerto le dichiarazioni (“chi sono io per giudi-care?”) contrarie al rifiuto dell’omosessuale in paesi del-l’Africa che lo condannano.

    A mio avviso chi intende difendere Francesco lo fac-cia con un impegno coerente sulle singole tematiche,contribuisca a produrre un’alfabetizzazione culturaleche riscatti i duecento anni di ritardo deplorati da Mar-tini».

    Sempre Bergoglio ha fatto un discorso contro leguerre al Sacrario di Redipuglia dove dice che “leguerre sono una follia” e che assistiamo ad unasorta di Terza Guerra mondiale.Cosa che non ha fatto il Presidente della Repub-blica Napolitano il 4 novembre. Che ne pensi diquesto Papa “pacifista”?

    «Dunque, personalmente sono conosciuta come perso-na che si è sempre “battuta” per la pace. La contraddi-zione del “combattere” per la “pace” mi ha sempre im- pedito il puro e semplice irenismo. Infatti, sempre nellamia interpretazione, il mondo non ha mai conosciuto“la pace”, perché nessuno ha mai potuto vivere bene seanche un solo paese era in guerra. Tanto meno oggi:l’Europa vive settant’anni di pace interna, ma è respon-

    sabile, con tutto l’Occidente, della mancata condivisio-ne delle risorse con i paesi in cui sono in atto conflitti dicui è responsabile l’antico colonialismo e la modernaglobalizzazione economica. Di qui il mio richiamo -sono stata Presidente della Lega degli Obiettori di Co-scienza - a “prevenire” le guerre: quando i conflitti esplo-dono e intervengono le armi, ci sono le armi, c’è la guerrae non vale invocare la pace. Da Caino ai giorni nostric’è stato un grande progresso e la guerra oggi, anche sela si fa, non è più un valore conclamato (la prima guerramondiale viene organizzata da ministeri ovunque chia-mati “della Guerra”). Tutti ammettiamo la legittima di-

    fesa e, siccome la razionalità umana è carente, nessunodovrebbe aggredire nessuno; siccome avviene il con-

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    7/32

    empi di fraternità

    Marzo 2015 7

    trario, ammettiamo l’esistenza degli apparati difensivi.Ma non si fa prevenzione e la diplomazia fatica a sosti-tuire l’esercito.

    Vediamo i conflitti degenerare, ma li alimentiamo: ba-sta citare il conflitto Israele/Palestina presente alla no-

    stra attenzione dal 1947. Dico questo perché la primacosa che ha detto il Papa è che siamo già dentro unaterza guerra mondiale frammentata, ma non è stato que-sto il richiamo che ha lasciato traccia nell’opinione pub- blica, bensì la generica e ovvia definizione - che un papacristiano non avrebbe mai dovuto stancarsi di predicare- di “follia”. Anche di Benedetto XV - che divenne Papaa guerra dichiarata (e con larga adesione del clero e mon-do cattolico) - si ricorda la tardiva (agosto 1917) “inuti-le strage” e non gli appelli ai governanti mai accolti,dall’enciclica del novembre 1914 alla Pacem dei mu-nus pulcherrimum del 1920, che rivela il suo timore chealla pace mancasse la riconciliazione e restassero i “ger-mi di antichi rancori”. Anche lui aveva contro la Chiesareazionaria: il padre domenicano Antonin-Dalmace Ser-tillanges, noto predicatore della chiesa della Madeleinea Parigi, aveva contestato: “Santo Padre, noi non vo-gliamo la vostra pace”... Chi vuole seguire il Papa e,insieme, lavorare per la pace, deve cercare di capire comesta andando il mondo, occuparsi di politica internazio-nale e di commercio delle armi e non confondere Fran-cesco con un governante. Perché, se, per stare dalla par-te delle vittime, prendiamo posizione a fianco di unodei contendenti, stiamo già dentro la logica amico/ne-mico. Meglio la diplomazia e aiutare la prevenzione».

    Sempre sulle colonne della nostra rivista la scrit-trice Michela Murgia ci ha detto che, secondo lei,«La Chiesa è in un momento storico in cui, per laprima volta, non sta innovando, come molte volteha fatto in passato precedendo governi e filosofie,ma sembra muoversi a traino e non tenere più ilpasso. Eppure mai come in quest’ora storica di au-tosufficienza e di potenza tecnologica il mondo haavuto bisogno del messaggio liberante e umaniz-

    zante di Cristo Gesù; confidare nell’ignoranza dellemasse per indurle al fideismo attraverso le parali-turgie e le devozioni tradizionali significa abdica-re al primo dovere ecclesiale, quello dell’annuncioe della sua testimonianza».Che ne pensi? Rispecchia quello che vuole PapaFrancesco per la sua Chiesa?

    «C’è stata una vignetta carina, che raffigurava due che parlavano del nuovo papa: “Pensa, è un gesuita e parlacome un francescano!”, “Appunto; è un gesuita”. Per dire che non sono sicurissima che Francesco abbia unquadro preciso della strategia del papa. Cito ad esem-

    pio il Sinodo sulla famiglia: questionario, partecipazio-ne filtrata dalle diocesi, presenza inadeguata dei laici,

    tematica esclusiva (comunione ai divorziati e accoglien-za dei gay): ok. Spero che Francesco abbia previsto leconclusioni (e, soprattutto, tenga d’occhio l’evoluzio-ne di questi mesi), perché la famiglia tradizionale, quelladella gente comune, è in crisi grave e la sua evoluzione

    è ancora lontana dal ritenersi compiuta, mentre sui prin-cipali problemi cattolici - indissolubilità, contraccezio-ne, LGBT e sessualità - non sarà facilissimo cavarselacon i farisei che tengono a parole alla “dottrina”. Dal punto di vista laico non ci sono grandi problemi: anchei cattolici tradizionalisti seguono gli insegnamenti mo-rali della Chiesa solo a parole e non c’è conservatorelefebvriano che non abbia figli o fratelli conviventi odivorziati. Certamente Francesco sta incidendo seria-mente sulla struttura: basta vedere i venti nuovi cardi-nali e costatare che nessuno è statunitense. Bisogna te-ner conto che Giovanni Paolo II era riuscito, nel suolungo pontificato, a nominare un gran numero di vescovia propria immagine e somiglianza; si era anche assicura-to il controllo gerarchico secondo lo stile dei monarchi,con il risultato che il potere lo gestiva il Vaticano.

    Che Bergoglio abbia deciso di sopprimere lo IOR per tutti gli scandali verificatisi, è di esemplare chiarezza,ma deve anche curare i conti del Vaticano da solo con-tro molti. In questo caso il Papa sa che la partita saràlunga e decisiva per il futuro della Chiesa. Infatti al fon-do di tutti i problemi sta la continuità: una Chiesa con-servatrice potrà anche costruire una cittadella difensivain cui deplorare l’assedio della modernità, ma se non cisi aprirà a riforme che, come diceva Giovanni XXIII,non cambiano il Vangelo ma ce lo fanno leggere me-glio, diventerà sempre meno credibile.

    Sono molti i libri usciti in questi anni sulla possibilefine del Cristianesimo e anche le altre religioni sono incrisi: la conflittualità che si è istaurata all’interno del-l’Islam, in particolare dopo la rivendicazione estremi-sta di alcuni criminali, manifesta la necessità di ripen-sare che cosa mai rappresenti oggi il Corano. A tutti itradizionalisti piacerebbe tornare alle belle crociate eal martirio. Ma, come dici tu, sarebbe davvero la fine,

    perché i messaggi delle religioni o sono liberanti o de-cadono, mentre è necessario che le chiese tornino al-l’annuncio e alla testimonianza non solo per coerenza,ma perché la gente ha bisogni umani più alti che deb- bono trovare alimento nella fede».

    Cosa rimane da fare ancora nella Chiesa cattolicaper trasformarla radicalmente? Quali opere devesvolgere Papa Francesco per essere vicino e/o si-mile al Santo di Assisi?

    «Dunque: dopo Francesco il Papato non sarà mai piùquello di prima (anche ad opera di Benedetto XVI e

    delle sue straordinarie dimissioni). La religione potràfinalmente cedere il passo alla fede, anche se a prezzo

    DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    8/32

    empi di fraternità

    8 Marzo 2015

    di un salutare dimagrimento: per aver silenziato per cin-quant’anni il Concilio la Chiesa sta pagando il prezzorilevante di non essere più attraente.

    Qui ci inchiodiamo anche noi laici, a cui il VaticanoII ha dato autonomia e responsabilità e noi non ce la

    siamo presa. Se la gerarchia e la curia hanno mantenutoil potere sostenendo che il Concilio era stato irrilevante perché “pastorale” e non dogmatico, è stato perché trop- po pochi sono stati i movimenti di base capaci di inter- pellare i propri vescovi.

    Evidentemente secoli di obbedienza imposta e calatadall’alto come dovere del buon cristiano hanno deter-minato la passività che Gesù non ha mai ritenuto vir-tuosa. Il Santo di Assisi non è un’icona e non credo chemai, nemmeno oggi, accetterebbe di fare il Papa (e nonsarebbe mai stato un gesuita). Francesco (il Santo) haavuto più contestazioni che accoglienza dai Papi suoicontemporanei: Innocenzo III sostanzialmente lo respin-se, Onorio III approvò la Regola francescana (e anchequella domenicana), ma il suo impegno erano le cro-ciate, sia per conquistare il sepolcro di Cristo sia controgli albigesi e le eresie, mentre Gregorio IX si occupòdella popolarità del Santo, ne condizionò l’Ordine e lamemoria e lo ridusse nel fasto della chiesa dedicando-gli il progetto di una basilica che dall’alto dei cieli Fran-cesco doveva sentire parte della chiesa ricca poco testi-mone della povertà evangelica che credeva di aver te-stimoniato. Adesso la storia ci sorprende con una rivo-luzione: anticlericale è il Papa. È perfino entusiasman-te. Solo che non so se sapremo accettare il rovescia-mento dei ruoli, perché non possiamo diventare noi, po- polo di Dio, i clericali. Quindi quello che c’è ancora dafare dobbiamo proporlo da buoni seguaci del santo sov-versivo. Oppure aspettiamo che alle altre cose da fareci pensi il Papa? I tanti problemi della famiglia? La finedel celibato? La posizione delle donne nella Chiesa e iministeri femminili? La nostra povertà, da chiamare piuttosto solidarietà, condizionati come siamo dallamercificazione e dal consumismo di sistema? La pre-venzione dei conflitti?».

    Quali sono i compiti di testimonianza più urgentiper i piccoli gruppi ecclesiali?

    «Ho appena finito di dire che dobbiamo farci france-scani, cosa che probabilmente conosciamo poco, per-ché Francesco e Chiara avevano idee ben precise dacui non sono state tratte ancora le debite conseguenze.Pensate oggi un Francesco che inventava il presepio,che diceva che non c’è bisogno di andare in Palestina afare le crociate perché qualunque coppia che ha avutoun figlio è Betlemme; oppure, sempre per dimostrare lastoltezza della passione di Papa Onorio per le crociate,

    la dimostrazione concreta che dal Sultano ci si può an-dare disarmati senza lo spreco di denaro che il Vaticano

    cercava da tutte le parti per armare i cristiani contro gliinfedeli. I gruppi ecclesiali non sono mai “piccoli”, an-che se sono poco numerosi: hanno miglior possibilitàdi approfondire la propria consapevolezza di credenti.A parte che siamo ignoranti proprio nelle cose che rite-

    niamo fondamentali, viviamo in un’epoca di transizio-ne: il mondo cambia e ci sentiamo pieni di incertezze edi dubbi.

    Credo che molte idee che pure sentiamo di avere in-tuitivamente, le argomentiamo poco; ed è anche per que-sto che difficilmente chiediamo udienza al vescovo per rompergli le scatole.

    Ho detto che vivo a Bologna, dove è vescovo il car-dinal Caffarra, conservatore e oppositore di Bergoglio:non mi risulta che mai nessuno sia andato a rompergliun po’ di scatole invece di continuare a deprecarlo neidiscorsi comuni. Forse per avere più sicurezza di argo-mentazione, dobbiamo approfondire di più i problemi eforse - so che il verbo è urtante, studiare...».

    Quale è il volto di Dio che dobbiamo rendere pre-sente nella storia che stiamo attraversando?

    «Come puoi dire di amare Dio che non vedi, se non amiil fratello che hai vicino: senza citare Giovanni, biso-gnerà pure partire dall’amore. Dio è parola impegnati-va, perché nemmeno Abramo o Mosè ne hanno avutoesperienza se non simbolica. Dante ci si è sprofondatosenza più capire. Per molti è un tappabuchi, tanto per spiegare l’esistenza propria e del mondo.Davvero - lo dico in giorni pesanti per il massacro deigiornalisti francesi e, ancor più, per il rafforzarsi in luo-ghi dell’Iraq o della Nigeria, di una follia sanguinariaattribuita alla religione - se non partiamo dalla solida-rietà fra tutti gli umani, continueremo a nominare inva-no il suo nome. Possiamo essere migliori di quello chesiamo, a partire dalla mia amica che lo cerca per noi inclausura (e io non capisco del tutto), per finire a Sa-mantha Cristoforetti che vola nello spazio sulle nostreteste e dimostra che la scienza va avanti più della no-stra conoscenza dei massimi problemi.

    Ma, qualunque cosa si faccia, bisogna non essere egoi-sti e chiusi. Altrimenti l’amore non lo troviamo: né per Dio né per gli altri.

    Voglio aggiungere un argomento per me essenziale.Tutti, ma in primo luogo il Papa, dovrebbero farsi aiu-tare dalla cultura delle donne: che si parli del prossimoo di Dio, della pace o della politica, della vita o dellamorte, anche per Francesco (e gli altri) sarebbe ora diincominciare a sentire di avere bisogno di entrare nelfuturo meglio attrezzato.

    La Chiesa, che è testimone di un umano in cerca di bene, ma ancora diviso, se vuole essere “comunione”

    non può continuare senza di noi. Anche su questa infe-deltà al vangelo Francesco può aiutarla».

    DOVE VA LA CHIESA CATTOLICA ?

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    9/32

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    10/32

    empi di fraternità

    10 Marzo 2015

    SERVIZIO BIBLICO

    di Ernesto Vavassori

    a cura di Germana Pene

    Kata Matthaion Euangelion ( 31 )Vangelo secondo Matteo

    M t 8, 1-4 (pri ma parte)

    Con il capitolo 7 di Matteo si chiude il primo dei grandi discorsi di Gesù, com- preso tra il capitolo 5 e il 7, conosciuto

    appunto come il “discorso della montagna”, econ il capitolo 8 vedremo ancora una volta ilmodo tipico dell’evangelista di presentareGesù ai suoi cristiani che, come abbiamo giàdetto, erano una comunità giudeo-cristiana, per cui la problematica che sta dietro a questo van-gelo è quella di spiegare il valore della tradi-zione ebraica rispetto al messaggio cristiano,ossia il rapporto di Mosè rispetto a Gesù. Fudavvero un salto non indifferente per questiebrei aderire e seguire Gesù, questo ebreo, lorofratello ma molto diverso, molto strano, anchese Gesù, lo sappiamo, si è radicato moltissimoalla sua tradizione, soprattutto a quella profetica, però è diverso, si stacca, ed è stato

    proprio questo suo staccarsene a renderlo “osti-le” a chiunque e imprendibile rispetto a chivolesse mettergli sopra le mani.

    Il Vangelo di Matteo è un invito a traghetta-re la sua comunità dal Dio della religione ebrai-ca all’esperienza di fede nel Padre di Gesù.

    È ciò che dovremmo fare anche noi. OgniChiesa dovrebbe fare questo: far passare la propria comunità dalla religione, che è una di-namica naturale dell’essere umano: infatti l’es-sere religioso è un aspetto che l’homo sapienssi porta neldna , alla fede. Il passaggio dalla

    religiosità alla fede è la caratteristica di que-sto ebreo di Nazareth, di nome Gesù.

    Quando Gesù fu sceso dal monte, molte folle lo seguivano. Ed ecco venire unlebbroso e prostrarsi a lui dicendo: «Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi». E Gesùstese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii sanato». E subito la sua lebbrascomparve. Poi Gesù gli disse: «Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va’ a mostrartial sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianzaper loro».

    Lo scopo di Matteo, quindi, con il discorsodella montagna, è stato il voler dare un’imma-gine nuova del volto di Dio, incarnata in Gesù.

    Dopo aver detto chi è Dio, un Padre che nelsuo amore si rivolge verso tutti, che riversa ilsuo amore su tutti, indipendentemente dallaloro condotta e dal loro comportamento mora-le, adesso vedremo come si comporta questoDio-Padre “che fa sorgere il suo sole sopra imalvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra igiusti e sopra gli ingiusti”1.

    Credo che meglio di così non si possa direDio. Dopo aver detto chi è Dio, Matteo ora cifa capire come si comporta Dio. In questa se-zione (capitoli 8-9) Matteo raccoglie dieci mi-racoli, dieci segni, e propone un’interpretazio-ne originale dei “segni” che annunziano la ve-nuta del regno, perché cita, in merito, un testo

    di Isaia sul “servitore di Dio” (8,17) che pren-de su di sé il male del mondo.Inoltre, nel racconto più conosciuto, in cui il

    Battista manda alcuni discepoli a chiedere aGesù se egli è davvero “colui che deve venire”,anche Gesù cita alcuni testi del libro di Isaia per spiegare il significato della sua missione.

    I miracoli di Gesù, specialmente le guarigio-ni, sono spesso interpretati come prove dellasua divinità oppure come segno della sua mi-sericordia nei riguardi dell’umanità sofferen-te. È così che, del resto, venivano insegnati ai

    preti in seminario, fino a prima del ConcilioVaticano II, per cui purtroppo è ancora questa

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    11/32

    empi di fraternità

    Marzo 2015 11

    SERVIZIO BIBLICO

    la predicazione che abbiamo nelle orecchie eche solletica il nostro bisogno di magia...

    Certamente i miracoli di Gesù sono anche se-gni della sua misericordia e compassione, ma ilVangelo presenta le cose in modo leggermente

    diverso poiché considera questi segni e prodigianzitutto come vittorie di Gesù sulle forze delmale e della morte, segni che il nuovo “eone”,come lo chiama Luca, il mondo secondo il so-gno di Dio è già cominciato, rispetto al nostro“eone”, lo si vede dal rifiorire della vita.

    I miracoli sono quindi le prove che Gesù èdavvero il Salvatore atteso, non solo il veroMosè che ha dato le dieci parole sul Sinai, mail “vero Giosuè” che farà entrare il popolo nellasua “terra”, cioè “nel regno dei cieli”, e tra-ghetta l’umanità verso la terra della libertà, fuo-ri da ogni schiavitù di ogni faraone; quella ter-ra che non era una terra ma una promessa, sem- pre da raggiungere.

    “Quando Gesù fu sceso dal monte, moltefolle lo seguivano...”

    Qui Matteo chiude ciò che aveva introdottoalla fine del capitolo 4 e all’inizio del 5 e quan-do scende dal monte molte folle continuano aseguirlo. Questo scendere dal monte di Gesùrichiama ancora una volta la discesa dal mon-te di Mosè dopo che ha ricevuto la legge sulSinai e anche lui si ritrova un popolo che stafacendo festa attorno a un vitello e inizia per questo un massacro, il primo dei grandi mas-sacri che verranno perpetrati in nome di Dio.Questo dimostra come questa mentalità siasempre stata presente nelle religioni, soprat-tutto nel fanatismo religioso.

    “Quando si fu avvicinato all’ accampamento,vide il vitello e le danze. All ora si accese l’ ir a

    di M osè: egli scagliò dall e mani le tavole e le spezzò ai pi edi dell a montagna. Poi aff errò il vitello che quelli avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ri durlo in polvere,ne sparse la polvere nell ’ acqua e la fece tran- gugiare agli I sraeli ti.

    M osèdisse ad Ar onne: «Che ti ha fatto que- sto popolo, perchétu l ’ abbia gravato di un peccato così grande?». Aronne rispose: «Non si accenda l’ ir a del mio signore; tu stesso sai che questo popolo èincli nato al male. Mi dis- sero: Facci un dio, che cammini alla nostra

    testa, perchéa quel M osè, l’ uomo che ci ha fatti uscir e dal paese d’ Egit to, non sappiamo

    che cosa sia capitato. Al lor a io dissi: Chi ha dell ’ oro? Essi se lo sono tolto, me lo hanno dato; io l’ ho gettato nel f uoco e ne èuscito questo vitello». M osèvide che il popolo non aveva più freno, perchéAr onne gli aveva tol-

    to ogni f reno, così da farne il ludibrio dei loro avversari.

    Il popolo si era lamentato con Aronne, perchéMosè non scendeva più dal monte, da cui lorovedevano fulmini e lampi, ma nessuna tracciadi lui.

    I miti sono straordinari perché contengonotutta la problematica che si è conservata tale equale ai nostri giorni: dov’è Dio? Perché il si-lenzio di Dio? Perché Dio si fa attendere?

    Nei miti c’è dentro tutto questo e c’è den-

    tro anche l’atteggiamento tipico dell’essereumano, quello di preferire al vero Dio un vi-tello d’oro, così come il bisogno di imporrele cose, che agita anche le nostre chiese, la paura nel lasciare libere le persone, che seeducate a decidere liberamente potrebbero perdere qualsiasi freno...

    M osèsi pose alla porta dell’ accampamento e disse: «Chi sta con i l Signore, venga da me!». Gli si r accolsero intor no tutti i f igl i di L evi. Gr idò loro: «Di ce i l Signore, il Di o d’ I sraele: Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’ accampamen- to da una porta all ’ altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il pr oprio amico,ognuno i l proprio parente». I fi gli di L evi agi- rono secondo il comando di M osèe in quel giorno peri rono cir ca tremila uomini del po- polo. Allora Mosèdisse: «Ricevete oggi l ’ in- vesti tur a dal Signor e; ciascuno di voi èstato contro suo figl io e contro suo fr atell o, perché oggi Egli vi accordasse una benedizione» 2.

    Ecco come nasce ogni fondamentalismo. Quel-la di Mosè è stata una vera e propria jihad...Un vero e proprio manuale di un kamikazeebreo, piuttosto che islamico o crociato. Non possiamo rimproverare nulla a nessuno perchéil manualetto della guerra santa ce l’abbiamoanche noi...

    Il Dio presentato da Mosè è un dio violentoche benedice, per la salvaguardia della fede,chi uccide anche un proprio familiare; Gesù,quando scende dal monte, incomincia invece

    a beneficare quanti erano considerati i male-detti da Dio.

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    12/32

    empi di fraternità

    12 Marzo 2015

    SERVIZIO BIBLICO

    Anche qui nulla di nuovo, dalle crociate, ai roghi, dalleinquisizioni medievali a quelle moderne, fino agli ulti-mi papi che bacchettano i teologi e li fanno tacere, so-spendendoli a divinis... o riducendoli allo stato laicale...tutto per la “salvaguardia della fede”.

    C’è, nel fare questo, un’intenzione che sembra retta, profonda, di un sincero desiderio di difendere la fede,ma se Mosè sceso dal monte fa una strage, Gesù, diceMatteo, sceso dal monte, incontra un lebbroso, un ma-ledetto, un impuro, e lui lo sana, lo guarisce...

    È un salto enorme. Gesù scende dal monte e comin-cia subito a beneficare coloro che erano considerati imaledetti da Dio, oltre che dagli uomini.

    Attenzione però a giudicare subito, credendo che ilDio dell’Antico Testamento sia un Dio crudele. È an-che questo, ma Dio è al di là del bene e del male, nonrientra nelle nostre categorie, anche se poi noi, per par-larne, dobbiamo piegarlo un po’ ai nostri schemi.

    Quello però che dobbiamo ricordarci è di tenere conenorme rispetto questo libro che è la Bibbia, tutto in-sieme, Antico e Nuovo Testamento, perché è tutto l’in-sieme che ci permetterà di parlare in modo corretto delDio di Gesù, perché Gesù era profondamente ebreo equindi aveva nel sangue la Bibbia ebraica, la Torah. Nonci devono quindi spaventare alcune immagini di un Diovendicativo, e non ha senso la polemica stupida di al-cuni teologi che vorrebbero lasciar perdere il Dio del-l’Antico Testamento, perché significherebbe che un pezzo di storia dell’uomo non ci interessa più. Se noisiamo arrivati a quello che siamo oggi è perché abbia-mo le radici là e la Bibbia è proprio questo cammino progressivo di conoscenza del vero volto di Dio cheinizia già nell’Antico Testamento.

    C’è un episodio straordinario, quello cosiddetto delsacrificio di Isacco. Ma sappiamo che ogni forma reli-giosa ha sempre richiesto il sacrificio dell’essere uma-no o di ciò che l’uomo ha di più caro, perché questo ciillude di assicurarci la benevolenza della divinità e l’es-sere umano, di qualsiasi cultura e tempo, ha inventato per questo il sacrificio di esseri umani, dei primogeniti

    o delle vergini.Poi, dopo i sacrifici di umani, sono rimasti altri tipidi sacrifici, di animali o comunque di qualcosa che ècaro all’uomo, a cui questi deve rinunciare per ceder-lo a Dio, in modo che poi Dio guardi con benevolenzaall’uomo.

    Il Dio che chiede ad Abramo il sacrificio del figlioIsacco è chiamato EL, espressione ebraica che sta per Dio ed è il nome di ogni divinità religiosa, perché nel-l’ambito religioso si usava sacrificare i propri figli alladivinità.

    Quando Abramo sta per ammazzare Isacco colui che

    interviene per impedirlo non è EL, il dio della religio-ne, ma Jhwh, il dio di Israele (purtroppo nella traduzio-

    ne italiana EL viene tradotto con Dio e Jhwh con Si-gnore e sembrano espressioni che si riferiscono alla stes-sa realtà, e uno non capisce perché prima chiede unacosa e poi un’altra: in realtà è la traccia di un progressonella conoscenza di Dio). Dio non è cambiato ma è cam-

    biata la consapevolezza che se un Dio c’è non può vo-lere queste cose. Jhwh ferma il sacrificio, è il Dio chegli ebrei impareranno a conoscere, che li libererà dal-l’Egitto e così via.

    La fonte jahvista raccoglie tutti quei testi che raccon-tano questo Dio liberatore, diverso da El. E anche neidue racconti della creazione, che sono molto diversi,c’è una fonte eloista o sacerdotale, e una jahvista, quel-la dove Dio prende il fango per fare l’uomo, mentre ilracconto eloista è più teologico.

    Questo per dire che nella Bibbia ci sono dei testi per cui non si può dire: questo è un Dio che non ci riguar-da, no, la Bibbia siamo noi, la Bibbia è il percorso del-l’umanità; e attenzione che non è un percorso storico (èanche storia) ma soprattutto la Bibbia è un percorso an-tropologico, cioè il percorso della dinamica evolutivadell’essere umano. Chiunque nasce deve fare il percor-so, passare da El e scoprire che c’è un Jhwh e arrivare poi a Gesù. Questo è il dramma dell’umanità: chi vienedopo di noi non può vivere di rendita, ognuno deve co-minciare da capo.

    Matteo si inserisce in questo filone jahvista e, mentreMosè viene ricordato nella Bibbia per il terrore grandeche ha seminato imponendo la legge di Dio mediante laviolenza e la morte, dove era necessario, Gesù comeviene ricordato? Nel Libro degli Atti, nel discorso che segna in cam-

    biamento di mentalità di Pietro, Gesù è definito come“colui che passò beneficando e sanando tutti coloro chestavano sotto il potere del male”3.

    Adesso l’evangelista, tenendo presente le azioni diMosè, presenta quelle di Gesù, dieci azioni di benesse-re e di restituzione di vitalità in contrapposizione alledieci azioni di Mosè, le dieci piaghe d’Egitto (anche seil termine piaga è soltanto per l’ultimo gesto, lo stermi-

    nio dei primogeniti).Mentre Mosè e Dio, alleati, usano fenomeni violen-ti della natura per sterminare i nemici, Gesù viene pre-sentato come Colui che userà la propria capacità e il proprio amore per dominare fenomeni della natura. Inuna di queste azioni di Gesù c’è la guarigione dellafiglia del capo della sinagoga, che Marco e Luca chia-mano per nome, Giairo, mentre Matteo elimina il nome proprio per contrapporlo al faraone che piange la mortedel suo primogenito. Mentre Dio e Mosè, alleati, eli-minano il figlio del nemico, Gesù, che è Dio, restitui-sce la vita alla figlia del nemico, il capo della sinago-

    ga, quella sinagoga che già aveva decretato la mortedi Gesù.

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    13/32

    empi di fraternità

    Marzo 2015 13

    SERVIZIO BIBLICO

    Matteo vuol farci comprendere che il Dio che simanifesta in Gesù non è il Dio che castiga i nemici, cheadopera la violenza, ma un Dio che anche ai nemici e ai peccatori dà la sua capacità d’amore.

    E il primo personaggio che incontriamo è emblema-

    tico, perché è il personaggio più difficile, quello cheriassumeva in sé tutte le maledizioni.

    “Ed ecco, un lebbroso”.

    È anonimo, cioè aldilà del valore storico, è un perso-naggio rappresentativo, nel quale ogni lettore che viveo sta sperimentando la stessa situazione vi si può iden-tificare. Non è a caso che il primo personaggio incon-trato da Gesù appena sceso dal monte sia un lebbroso,in quanto non era considerato un ammalato ma un pec-catore maledetto da Dio (la lebbra era considerata un

    castigo inflitta da Dio ai peccatori per il quale non c’erasperanza di guarigione, e in tutto l’AT, con la marea dilebbrosi dell’epoca vi si trovano solo due guarigioni, unacompiuta da Dio per la sorella di Mosè e una compiutadal profeta Eliseo per uno straniero). Essendo maledettoda Dio per i suoi peccati è, per questo, anche emarginatodalla società. Nella figura del lebbroso Matteo descrivela situazione di tutti coloro che dalla religione, a causadella loro vita, vengono considerati peccatori e maledet-ti, e per questo emarginati dalla vita sociale.

    Erano considerati come dei cadaveri ambulanti, e illibro dei Numeri dice che il lebbroso è uno nato mortoe la cui carne è già mezza consumata; la guarigione eraconsiderata un avvenimento eccezionale ed irripetibilee soprattutto, per capire la disperazione in cui veniva atrovarsi, il lebbroso è un incubo: è nell’impurità totale,colpevolmente è un peccatore e Dio lo ha maledetto ecastigato.

    L’unico che potrebbe togliergli quest’impurità è Dio,ma Dio, il Santo per eccellenza, riceve e ascolta soltan-to le persone che sono pure. Quindi la sua situazione èsenza via d’uscita, veramente disperata.

    Qui Matteo rappresenta tutti coloro che vivono in una

    situazione morale e religiosa senza via di scampo, sen-za via di salvezza, sono così e non hanno la possibilitàdi uscirne; l’unico che potrebbe farli uscire è Dio, main quanto peccatori non possono contattarlo e raggiun-gerlo.

    La prima persona che Gesù incontra scendendo dalmonte è una persona che non può, secondo la religione,salire il monte (il monte del discorso della montagna èsenza nome, emblema del Sinai, monte dell’alleanza,ma anche emblema del monte del tempio di Gerusa-lemme, dove c’era la presenza di Dio). Matteo gli faincontrare Gesù che scende dal monte, Gesù che Matteo

    ha chiamato l’Emmanuele, Dio con noi che lascia lasua divinità, scende dal monte e viene ad abitare la no-

    stra condizione umana, e al punto più basso in cui noi potremmo stare.

    Quindi con Gesù tutto è cambiato: non più i peccatoridevono salire il monte di Dio (al lebbroso era impeditol’ingresso nel tempio, pena 39 frustate), ma è il Dio del

    monte e del tempio che scende dai suoi cieli e si fa loroincontro.

    “Gli si avvicinò”.

    Ecco la prima trasgressione. I lebbrosi dovevano sta-re lontani dai centri abitati e se incontravano delle per-sone dovevano gridare: immondo, immondo, e fuggire.Questo invece si avvicina, perché gli è arrivato l’ecodel discorso della montagna, dove Gesù ha presentatoun Dio diverso, che non condanna, non castiga, e quin-di si accende una speranza anche per lui.

    “Gli si prostrò dicendo: Signore”.

    L’adorazione di Gesù è principio e fine del Vangelodi Matteo, che inizia con l’adorazione dei magi (cioèriconoscono la carne umana degna di adorazione, e que-sto messaggio potente è finito nel nostro romanticismonatalizio), e termina con quella dei discepoli (28,17).Adorare significa “portare alla bocca, baciare”: si ado-ra l’oggetto del desiderio, e il desiderio fondamentaledell’uomo è Dio, pienezza di vita; Gesù è il Signoreche può, infatti, dare la vita.

    “Se vuoi, tu puoi purificarmi”.

    Qui è in ballo la volontà di Dio.Solo in lui volere è potere; l’uomo vuole tante cose e

    non può, e altre può e non vuole. E il volere di Dio èdare la vita.

    Il lebbroso non chiede di essere guarito, perché sache soltanto Dio poteva guarire dalla lebbra, ma chiedea Gesù, nel quale vede un rappresentante di Dio, di es-sere purificato, per poter poi rivolgersi a Dio. L’impor-tanza di questa purificazione è tale che per ben tre volteil termine è ripetuto.

    Se Gesù fosse stato una persona pia, sarebbe inorri-dito di fronte a questa richiesta. Il profeta Eliseo, cheera una persona pia, quando l’ufficiale pagano gli vie-ne a chiedere di guarirlo dalla lebbra, non lo volle ne-anche vedere, gli mandò un messaggero, invitandoload andare a lavarsi sette volte nel Giordano, perché nonera possibile il contatto col lebbroso4.

    1 Mt 5,45.2 Es 32,19-29.3 At 10,38.4 2Re 5,7.

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    14/32

    empi di fraternità

    14 Marzo 2015

    NELLE RISTRETTEZZE DELLE GALERE

    a cura dellaredazionedi RistrettiOrizzonti

    Rubrica a cura di Ristretti Orizzonti Direttore: Ornella Favero Redazione: Centro Studi di Ristretti Orizzonti Via Citolo d a Perugia n . 35 - 35138 - Pado va e-mail: redazione @ristretti.it

    Finire in carcere all’età in cui, con-clusa l’adolescenza, si dovrebbecominciare a godere del piaceredella libertà è una delle cose piùtristi che possa accadere. Non sap-

    piamo molto di quel ragazzo di 19 anni che siè tolto la vita nel carcere di Venezia, ma glidedichiamo un pensiero e due testimonianzedi ragazzi altrettanto giovani, che, proprio per dare un senso alla loro carcerazione, hannochiesto di far parte della nostra redazione e diaffrontare con noi il progetto di confronto conle scuole, che fa entrare in carcere ogni setti-mana centinaia di studenti. Anche perché ilmodo migliore per non buttare via la propriaesperienza negativa è riuscire a farla diventa-

    re stimolo per tanti ragazzi, per una riflessio-ne profonda sui comportamenti a rischio, sul-la voglia esagerata di trasgredire le regole, sullento scivolamento oltre i limiti della legalità.

    Vorrei tanto dimostrare alla miafamiglia che sto cambiando

    Mi chiamo Hu Chao Lin, sono entrato in car-cere cinque anni fa, a 19 anni, per una condan-na per concorso in omicidio. Ora mi restanoda scontare nove anni.

    Fin da piccolo i miei genitori mi dicevano

    che l’Italia era un bel paese per vivere, cosìquando avevo 11 anni ci siamo trasferiti qui.

    Il carcere tristedei ragazzini

    Ho frequentato la scuola media per tre anni,non ero un bravo studente, anzi odiavo pro- prio andare a scuola; mi hanno buttato fuori prima ancora che riuscissi a prendere il di- ploma di terza media.

    Da quel momento ho iniziato a percorrereuna brutta strada, frequentavo un gruppo dimiei connazionali, stavamo sempre in giro,spesso non tornavo a casa nemmeno a dormi-re e trovavo tante scuse con i miei genitori.

    Frequentavamo molto le discoteche e usa-vamo droga, prima leggera, ma poi, piano pia-no, ci ho preso gusto e ci andavo giù in modosempre più pesante. Ogni volta tornavo a casacon la paura che la mia famiglia si accorges-se che usavo la droga, quindi restavo con loro

    massimo un paio di giorni e poi scappavo viacon la scusa di andare a cercare un lavoro.Ho continuato questa vita per un paio di

    anni. Un giorno un mio amico mi ha telefo-nato per invitarmi ad una festa in discoteca,organizzata da altri ragazzi cinesi. A quellafesta abbiamo bevuto tanto, abbiamo usatomolta droga e senza nemmeno che me ne ren-dessi conto è iniziata una rissa crudele. Sia-mo scappati prima che arrivasse la polizia.Solo il giorno dopo abbiamo letto sul giorna-le che un ragazzo dell’altro gruppo era mor-

    to. Sapevo cosa rischiavo se fossi rimasto inItalia, quindi ho chiamato la mia famiglia e

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    15/32

    empi di fraternità

    Marzo 2015 15

    NELLE RISTRETTEZZE DELLE GALERE

    ho detto di preparare tutti i documenti neces-sari per scappare via. Loro avevano capito alvolo che si trattava di qualcosa di grave, sonovenuti a prendermi e hanno voluto sapere cosafosse successo esattamente.

    Sono riuscito a scappare in Cina e sono an-dato ad abitare da mio nonno, ma continuavoa comportarmi nello stesso modo, nonostan-te quello che era successo. Mio nonno ha rac-contato tutto alla mia famiglia e hanno deci-so di riportarmi in Italia, perché avevano pa-ura che potessi fare qualcosa di grave anchein Cina, dove c’è la pena di morte.

    In Italia avevo iniziato a comportarmi benee a lavorare, ma mentre ero in vacanza da unamia zia, i carabinieri hanno intercettato il miocellulare e mi hanno arrestato.

    In questi anni credo di essere migliorato, perché per la prima volta inizio a pensare allamia famiglia. Oggi mi rendo conto di quantostanno soffrendo per causa mia. Per loro nonè facile accettare che il loro unico figlio, chetanto amano, abbia fatto un gesto del genere.Ancora oggi mio padre non ha accettato que-sta realtà.

    Ora vorrei cambiare un po’ in meglio la miavita, ma non solo per me, soprattutto per lamia famiglia. Vorrei tanto dimostrare loro chesto cambiando, giorno dopo giorno. Ma so an-che che da solo non ce la farei mai, per que-sto ho deciso di partecipare alla redazione diRistretti Orizzonti, dove credo che chi ha vo-glia di cambiare possa trovare una possibili-tà. Mi auguro che questa mia scelta per unavolta sia giusta.

    Hu Chao Lin

    A 14 anni ho fatto la miaprima carcerazione

    Mi chiamo Bojan, vengo dalla Croazia.

    Sono arrivato in Italia con tutta la mia fami-glia, siamo qui da 20 anni, in pratica io avevotre anni e mia sorella era appena nata. A queitempi c’era la guerra al mio Paese, la mia fa-miglia non era ricca come non lo è ora, ed iosoffrivo nel vedere i miei genitori alzarsi lamattina prestissimo e tornare di sera, loro la-voravano sodo per migliorare la nostra condi-zione di vita. Io, all’età di 13 anni, con un grup- po di ragazzini, cominciai a fumare la primasigaretta, anche per fare il figo davanti alle ra-gazze, era questa l’età in cui iniziai a trasgre-

    dire le regole. I miei famigliari non sapevanoniente, tornavo a casa un’oretta prima che loro

    arrivassero dal lavoro, così ero un buon figlio per i miei genitori, che non immaginavano cheio dopo la sigaretta con gli amici avevo co-minciato a bere e anche a usare droghe. Fa-cendo queste cose ci sentivamo persone adul-

    te, in poche parole volevamo imitare i grandi.Senza neanche rendermene conto a 14 anniho fatto la mia prima carcerazione, dovuta ai piccoli reati commessi per mantenere i miei piccoli vizi.

    Il primo giorno di galera nel carcere minori-le di Treviso stavo male soprattutto per il do-lore che avevo creato alla mia famiglia. Quan-do sono uscito, dopo due mesi, fuori ad aspet-tarmi c’erano mia madre e la mia sorellina,invece il papà era a casa. Appena sono entratoin casa mio papà mi ha abbracciato piangendoe nello stesso istante mi ha dato uno schiaffoche non scorderò mai.

    Poco tempo dopo sono scappato di casa, an-che perché avevo dimenticato in fretta la ga-lera da dove ero appena uscito; in poche paro-le di fare una vita normale non ne volevo pro- prio sapere. E infatti, poco dopo, mi sono mes-so a spacciare per potermi divertire, drogarmie soddisfare i miei vizi costosi, e ho comincia-to a pensare che con i soldi facili potevo faredi tutto.

    All’età di 19 anni sono rientrato in galera per furto e spaccio e mi hanno condannato a diecianni di pena, di cui cinque li ho scontati traTrieste e qui a Padova. In questi anni ho presoun sacco di rapporti disciplinari e l’ultimo hacomportato cinque giorni di isolamento. È suc-cesso allora che uno dei ragazzi della sezionemi ha dato un paio di numeri di Ristretti Oriz-zonti, il giornale fatto dai detenuti del carcereDue Palazzi, e non avendo niente da fare li holetti tutti. Mi ha colpito molto il progetto diincontro con i ragazzi delle scuole e ho pensa-

    to spesso che la mia infanzia, così brutta, po-teva essere d’aiuto a qualcuno di loro.Scrivo questa lettera perché ho capito che

    tutto ciò che ho fatto era sbagliato e i consigliche mi davano i miei io non li ascoltavo, e fa-cendo di testa mia mi sembrava di saperne piùdi loro, anzi di tutti. Chiedo che mi aiutiate adessere inserito nella redazione e nel gruppodove io possa essere utile, soprattutto a me stes-so, ma anche per tutti quegli studenti che en-trano in carcere per partecipare agli incontricon i detenuti della redazione. Con loro sono

    disponibile a raccontare tutto di me.Bojan B.

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    16/32

    empi di fraternità

    16 Marzo 2015

    IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

    “ Prof, non posso venire in Marocco, perchémi sono fatta regalare, per il mio complean-no, da mio papà un cellulare da 600 €, e luinon può darmi anche la quota per il viaggioin Marocco. Mi sarebbe piaciuto venire, mami dispiace... ”.

    Resto un momento zitta, non per lo stupore,ma perché non voglio dire niente di cinico,niente di offensivo, non voglio dire “ sei una

    stupida ”, voglio trovare qualcosa che una prof

    possa dire in questi casi.Ma non mi viene in mente quasi niente, tran-ne a denti stretti, un “eh, certo, il viaggio co-

    sta, ma ci tenevi proprio tanto a quel cellula-re? Lo sapevi che in quarta c’è questa possi-bilità… ”.

    Viaggio in Marocco, fiore all’occhiello delnostro Istituto, risultato di immense fatiche direti cercate e consolidate, finanziamenti richie-sti e sempre più scarsi, risparmi dell’anno pre-cedente, ricerche di voli sempre più low-cost.

    Viaggio in Marocco, possibilità di entrare in

    una scuola di un paese diverso, e lì fare gli“animatori”, far giocare i bambini, affezionar-

    si. Portare a casa foto e ricordi, piangere almomento di andare via, e voglia di tornarciquando si racconta ai compagni quello che siè vissuto.

    Viaggio in Marocco, credere di fare gli ani-matori, e invece imparare la passione dellamaestra Miriam, l’amore e la creatività chemette nella sua piccola scuola, dove le matitesi usano fin che si possono tenere in mano, inun paese con gli scoli dei lavandini che danno

    sulla strada, dove i bagni non hanno lo sciac-quone, dove le donne mangiano in cucina e gliuomini nella sala davanti alla televisione. Im- parare che si può credere nel lavoro educati-vo, in una scuola dove avviene l’unica rivolu-zione possibile. E vera.

    Perché, perché nonostante ne avessi parlatogià da tempo, e fossi convinta che questa sa-rebbe stata un’esperienza fantastica per N.,questa si fa comprare un cellulare da 600 €?

    Perché, quando un adolescente deve sceglie-re, preferisce un oggetto, piuttosto che un’espe-

    rienza? Sceglie una cosa che arriva subito, piut-tosto che aspettare, mettersi in lista, vedere se

    Con gli occhi dei giovani

    In quale modo i giovani guardano il mondo caotico dei nostri tempi? Le nuove gene-razioni sono le principali vittime del sistema. Sparito (o quasi) il lavoro, si sarebbe portati a pensare che lo vedano come un luogo ostile che induce al pessimismo. Invece,

    se permettiamo che si esprimano, abbiamo la sorpresa di trovarli propositivi, fiduciosi,disposti al cambiamento. Un vero antidoto alla malinconia di tanti adulti.

    Da questo numero parte una nuova rubrica scritta proprio da giovani che si alternerannocon quella di una “voce” più matura, quella di Elisa Lupano, counselor, che guarderà il

    loro mondo con occhi diversi, in una sorta di dialogo “a distanza” tra due generazioni sutematiche sociali e di vita vissuta... Lei sta a Torino, mentre i giovani che abbiamointerpellato stanno a Cuneo, all’Istituto Magistrale Statale “Edmondo De Amicis”, maanche in altri luoghi d’Italia - e chissà che, tra qualche tempo, non ne nasca una sintoniaed una amicizia!

    di ElisaLupano

    Consumo, dunque sono?Marocco contro cellulare 0-1

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    17/32

    empi di fraternità

    Marzo 2015 17

    IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

    si può partire tutti, o se c’è da fare una selezio-ne, poi prepararsi e finalmente partire e torna-re. Perché?

    Credo sia necessario ogni tanto fermare il passo e ascoltare. Per non farsi prendere dallo

    sconforto, capire, non lasciarsi travolgere dal-la voglia di abbandonare tutto. Capire le pro- blematiche di cui sono portatori i nostri stu-denti, sia per la fragilità specifica dell’adole-scenza, sia perché portatori di disagio legatoal contesto familiare e sociale sempre più ca-ratterizzato dalla precarietà dei rapporti e dal-la mancanza di punti di riferimento. In questoterreno “sabbioso” i nostri ragazzi ci lancianocontinuamente messaggi che spesso lasciamocadere, per stanchezza o perché presi dalle ur-genze di tutti i giorni.

    Quello che succede durante il viaggio, ecome si torna

    Quando tornano (e già ne parlano quandosono là) vedono le cose che hanno sempre dato per scontate in modo diverso. Le case pulite,illuminate, acqua a volontà nei bagni. L’anda-re a scuola, fare shopping. Hanno incontratoragazzi che a quattordici anni lavorano già,nelle botteghe dove si fanno i vasi di terracot-ta, stando tutto il giorno ad azionare il tornio eimpastare, e sono contenti del loro lavoro, siritengono fortunati perché lavorano. E alla seraescono dalle baracche che sono color dei vasi.Hanno visto nei paesi i bambini che giocanonella strada, con qualche capra vicino, hanno imaglioni con i buchi, ma lasciati essere bam- bini. E bambini che nelle città chiedono undhiram ai turisti, e non sono lasciati essere bambini.

    Hanno superato la diffidenza: hanno assag-giato cibi nuovi, molti li hanno apprezzati, mahanno anche visto gente che lavora, che pren-

    de i mezzi pubblici, che vive in pace, comenoi. Anche se ha religione e usanze diverse.Scoprono anche le contraddizioni di un mon-

    do che sta cambiando in fretta, e non sempreadotta nuove abitudini mediandole con le pro- prie tradizioni, credenze, consuetudini. Maquesto serve anche a scoprire meglio le no-stre, di contraddizioni.

    Perché fa tanta paura partire? La dimen-sione del presente

    Qui e ora, poi... si vedrà. La dimensione del

    presente, della risposta possibilmente imme-diata al soddisfacimento di un bisogno, ha ap-

    piattito la dimensione del sogno, del coltivare,tollerare. Coltivare e tollerare per nutrire il de-siderio e la soddisfazione del sogno, soprat-tutto di quello condiviso con altri, che richie-de tempo e attesa. Il futuro non è pensato, non

    tanto perché è percepito come minaccia, comeci illustra Benasayag1, ma perché è lontano,troppo lontano da essere preso in considera-zione.

    L’invito che lanciamo ai ragazzi a farsi coin-volgere e partecipare alle numerose iniziativeextra scuola che proponiamo, con la motiva-zione che possono essere utili per l’inserimentonel mondo lavorativo, o per gli studi futuri, oanche solo per sé, viene raccolto da pochi.L’unica motivazione a partecipare è l’ascoltodelle esperienze già fatte da altri. Allora c’èmeno paura, perché “ se ci è andato un miocompagno ed è tornato dicendo che si è diver-tito, che è rimasto contento, posso farcela an-ch’io” . Affrontare un’esperienza nuova chie-de di mettersi in gioco, comprare un cellulareno. Rincorrere la superficialità e il divertimentonasconde la difficoltà a sperimentarsi. Ma lagioia che ci comunicano quando si buttano ece la fanno, ci dice che sono cresciuti, che han-no affrontato la paura, ma ce l’hanno fatta, èandata bene.

    La dimensione del gruppo dei pari Nel nostro Istituto non c’è una corsa al cel-

    lulare più bello, pochi possono permettersi imodelli più cari, e per qualcuno c’è anche un po’ di senso di superiorità rispetto a questo.C’è chi ha anche il gusto di avere il cellulare più vecchio. Forse fuori? Non lo so, ma a giu-dicare dalla vita di relazione al di fuori dellascuola penso non sia molto influente.

    Poi col cellulare non si fa molto di più diquello che si fa con il computer a casa. Si chat-

    ta, si mandano messaggi, foto, musiche. Leabilità tecnologiche personali dei nostri ado-lescenti non permettono che di utilizzare unaminima parte delle potenzialità di un cellularedi quella portata. Non c’è altro di bello nellavita di N. tale da spendere energia per convin-cere un genitore ad aiutarla a realizzarlo?

    Forse non c’è altro. Allora si ha paura dellasolitudine, e essere sempre connessi ci fa star meglio. Le possibilità relazionali di molti ado-lescenti sono molto scarse. Se non apparten-gono ad associazioni o frequentano l’oratorio,

    e questo vuol dire avere alle spalle una fami-glia che ci ha pensato , gli unici amici sono

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    18/32

    empi di fraternità

    18 Marzo 2015

    IL MONDO VISTO DAGLI OCCHI DEI GIOVANI

    quelli di scuola, che spesso abitano lontani. Quelli del-le medie pian piano si perdono, perché frequentano al-tre scuole, spesso i licei, e frequentare un professionalenon aiuta.

    La dimensione dell’illusione“Proprio quel cellulare mi rende felice. Non so per-ché lo desidero, ma so che se avrò quel modello sarò

    felice” . La felicità non è una dimensione dell’animoumano che è costruita attraverso l’impegno, la determi-nazione, la soddisfazione per i risultati raggiunti. È le-gata ad un oggetto, ma proprio questa caratteristica, diessere legata ad un oggetto, diventa effimera, che duratanto quanto la novità dell’oggetto, tanto quanto il de-siderio di ottenerlo.

    La dimensione della prova e dell’impegnoQuesta potrebbe essere la dimensione della mancan-

    za: di prove e di impegno, appunto. Il cellulare non mettealla prova, il cellulare non espone a dei rischi. “ Perchéla prova è una vera minaccia, mi espone ad un giudi-

    zio, degli altri, ma soprattutto del mio. Perché so rico-noscere se non sono stato all’altezza, se non sono statocapace ”. E non c’è niente di peggio del giudizio criticodegli adolescenti su se stessi: nella loro radicalità, o ètutto buono o è tutto da buttare. Non ci sono vie di mez-zo, e sentirsi “da buttare” è terribile.

    E i genitori?Un genitore, non ha nulla da proporre ad una figlia se

    non un regalo che ha un corrispettivo in denaro? L’uni-co motivo per procrastinare l’acquisto è solo “non ho i

    soldi ”? Non posso credere a questo, penso piuttosto chespesso manchi la forza per sostenere dei no, anche se cisarebbero gli argomenti.

    Mi chiedo quanta solitudine ci sia tra questi genitorida non accorgersi nemmeno che possono trovare nellascuola un aiuto, un alleato. Un aiuto che vuole accom- pagnare i loro figli a diventare delle persone responsa- bili e attente a quello che succede loro intorno, e attra-

    verso esperienze che sviluppano una progressiva presadi responsabilità e autonomia, incoraggia e rinforza l’au-tostima. E fa loro conoscere ambienti sani, adulti atten-ti, persone che fanno con passione il loro lavoro.

    La scuola vuole le stesse cose dei genitori, ma non sitrova mai lo spazio per dirselo, perché al di là del mo-mento degli incontri di restituzione ai genitori dellevalutazioni periodiche, è impossibile, pur facendo ognianno dei tentativi, incontrarsi in spazi dedicati al con-fronto educativo.

    E la scuola?

    Tutto questo per capire, che vuol dire anche acco-gliere, non giudicare, ma è indispensabile farsi anche

    qualche domanda. Noi, adulti, genitori, educatori, in-segnanti, insomma in qualche modo punti di riferimen-to, cosa possiamo fare? Cosa facciamo?

    È vero che il caso di cui ho parlato è uno, mentremolti miei studenti sono diversi. Ma molte volte in am-

    bito educativo si sente dire che si lavora per uno, per quello che ha più bisogno, per quello più abbandonato. Non sempre è così, si lavora anche per quelli bravi, per quelli che danno soddisfazione, e anche per quelli cosìcosì, che non danno soddisfazione ma non sono pro- prio abbandonati.

    Ma per starci, per continuare a guardare con occhi pu-liti gli adolescenti, per prenderli per mano e fare insiemeil passo della lunghezza che ognuno di loro può fare, civuole speranza.

    Speranza che quello che si fa ha un senso.Speranza: non è una parola vuota, anche se usata ec-

    cessivamente in questo ultimo periodo.È fatta di quotidiano, e in particolare di due cose con-

    crete: la relazione e la responsabilità2.La relazione è non perdere di vista l’altro, non stabi-

    lire barriere. Noi, Loro. Relazione è camminarci insie-me, un po’ con lo stesso passo e un po’ un pochino piùavanti, per permettere di vedere che non è impossibilesuperare un ostacolo. Relazione è ascoltare, perché quel-lo che dicono è importante, e permette a noi di cresce-re. Sono loro che insegnano a noi a diventare bravi ge-nitori, insegnanti, educatori.

    La responsabilità è agire avendo una visione del mon-do, del futuro, della vita. Ma si nutre nel vivere quoti-diano. La responsabilità sta nei piccoli gesti, nel racco-gliere una cosa che è caduta fuori dal cestino dei rifiuti, perché la classe sporca e in disordine ci fa vivere maletutti. Sta in piccole e “grandi” scelte che permettono divedere oltre il proprio presente. Nella raccolta diffe-renziata di lattine e bottiglie di plastica, nel ricordarsidi portare un frutto da casa piuttosto di mangiare sem- pre le merendine delle macchinette. Sta nelle cose sem- plici, e poi può stare nelle cose importanti, nelle sfide,nel prendere posizione.

    La responsabilità si impara. Da adulti che fanno quelloche dicono, che dicono quello che pensano. Da adultiche si parlano, e scoprono di volere le stesse cose per i propri ragazzi: un futuro sereno, la capacità di cammi-nare da soli.

    1 M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tri- sti, Feltrinelli 2004.2 Roberto Mancini, Prof. di Filosofia Teoretica all’Un.di Macerata, Torino, 13/09/2012, in occasione di unincontro al Salone Valdese, di commemorazione per il

    ventennale della morte di Don Ernesto Balducci e Pa-dre David Maria Turoldo.

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    19/32

    empi di fraternità

    Marzo 2015 19

    COSE DALL’ALTRO MONDO

    Tulum, sito Maya letteralmente a pic-co sul mare, è davvero bello per luci, colori, rovine ancora ben con-servate, poca gente, sullo sfondola barriera corallina che increspa il

    turchino dell’acqua, tantissime iguana che sistiracchiano al sole, incuranti dei turisti e del-le foto. Però lungo il percorso, sia prima chedopo, si attraversano parchi dei divertimentiche riproducono i siti Maya come se si fossea Disneyland, tutto di cartapesta e plastica,finto e commerciale… tra la delusione e labestemmia! Verso sud si trova un’immensabaia al confine con il Belize, passando per unalaguna ancora salva, miracolosamente, ed uncenote “Azul” (azzurro) bellissimo per il colo-re e la tranquillità, finchè non arriva un grup-pone di turisti americani a guastare tutto.

    Il sito archeologico più famoso e importantedei Maya è Palenque, che merita senz’altro lasua fama per l’estensione e la bellezza degliedifici ancora visibili, anche se le guide assi-curano che solo poco più del 5% è stato ripor-tato alla luce, essendo la maggior parte degliedifici ancora sotto strati di terra e vegetazio-ne; un po’ come il meraviglioso sito archeolo-gico di Angkor Wat, in Cambogia.

    Il Chiapas è un’esperienza esistenziale pro-fonda soprattutto per la popolazione che loabita; a San Cristobal de Las Casas giri per lestrade orlate da magnifici edifici in stile spa-gnolo, incontrando moltissimi indios che an-cora parlano lingue antiche e sconosciute (per noi), dove i turisti, pur numerosi, sono lì per curiosità e voglia di capire, non per stravolge-re il luogo, che infatti conserva il suo fascinoin ogni ora del giorno e della notte, piuttostofredda data l’altitudine (2250 m. s.l.m.). Appe-

    na giunti, vediamo un lunghissimo corteo diindios sfilare per la città, lo seguiamo, cerchia-mo di capire le loro motivazioni (“consignas”,le chiamano) che sostanzialmente sono: Stopalla costruzione dell’autostrada Palenque-SanCristobal, che si tradurrebbe in un’enormesottrazione di terre coltivabili e di autonomiadei municipi; Stop alle coltivazioni OGM (ov-viamente); Stop all’ipersfruttamento della ter-ra e alla sua vendita alle multinazionali daparte del Governo; RESTITUZIONE IN VITADEI 43 NORMALISTI DI AYOTZINAPA…

    Nella piazza del Comune depositano nume-rose bare per evocare gli ultimi massacri dicui i vari governi messicani si sono resi re-sponsabili, pur cercando di scaricare le colpesui “narcotrafficanti” con cui in realtà agisco-no in combutta… Alla fine quasi tutti entranonella grande cattedrale per assistere ad unamessa il cui officiante sembra, alle nostre orec-chie abituate a ben altra chiesa, un “estremi-sta di sinistra, quasi anarchico”! Invita tutti acontinuare a marciare, ad invadere terre, stra-de, municipi per ottenere libertà, giustizia,sopravvivenza e soprattutto dignità…

    Anche a Oaxaca non passa giorno senzache ci sia un movimento di protesta e di riven-dicazione di diritti calpestati: moltitudini di per-sone, arrivando alla spicciolata e con grandedeterminazione, bloccano parcheggi e ingres-si dei più grandi centri commerciali, dove sonopresenti le maggiori multinazionali del mondo:pare stiano meditando di andarsene via, visti idanni che subiscono a causa dei blocchi...

    È in preparazione una “marcia motorizzata”verso Città del Messico per fare una grandis-sima manifestazione in difesa dei diritti degliinsegnanti e degli studenti, sotto attacco qui

    E la chiamano “democrazia”... in Mess

    di DanielaPantaloni

    «Lo Yucatan ti prende subito come un pugno nello stomaco:dall’aereo, sorvolando Cancun prima dell’atterraggio, ti chiedi

    come sia stato possibile devastare quella che doveva essere unastupenda laguna riempiendola di grattacieli da ogni parte...»

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    20/32

    empi di fraternità

    20 Marzo 2015

    come dappertutto nel mondo a causa dellepolitiche neoliberiste imposte ai governi dallastessa casta economica mondiale che da noi,come in Grecia, Spagna, Portogallo (… i PIGS,ricordate?), ha ridotto in briciole lo stato so-

    ciale. Partono su molti pullman, dove dormi-ranno la notte, incuranti dei disagi pur di lotta-re ed esprimere la loro indignazione per la “de-saparicion” dei 43 studenti… In ogni cittào paese dove siamo stati, sono visibili le trac-ce di questa protesta, sui muri, sui manifesti,nelle foto delle vittime, appese ovunque, nel-le candeline poste davanti alle chiese o nellepiazze, circondate di fiori, spesso disposte aforma di “43”.

    A Città del Messico, la città-mostro con piùdi 20 milioni di abitanti, la situazione si ripete:ogni giorno manifestazioni, iniziative, sempli-ci speakeraggi o volantinaggi, tutto quello chela creatività popolare riesce ad inventare per pungolare e chiedere a gran voce giustizia erispetto per la vita di tutti. Il palazzo del Go-verno è transennato in modo esagerato, per un vasto perimetro percorso da soldati e poli-ziotti, impedendo tra l’altro di visitare i mura-les di Diego Rivera, ma soprattutto dando lasensazione di un assedio, di qualcuno, lì den-tro, che ha paura: fuori gridano per lo Zòcalola loro rabbia contro il presidente Pena Netochiedendo le sue dimissioni e la restituzionedei 43, che significa ritenerlo responsabiledella loro sorte.

    A volte capita che i tornelli della metropoli-tana vengano disattivati e giovani studentichiedano alla gente di non pagare il biglietto,versando il corrispondente per sostenere lefamiglie dei “normalistas” (i colleghi dei ragazziscomparsi) in sciopero ormai da tre mesi. Al-tre volte, nella piazza più frequentata dallapopolazione e dai turisti, si improvvisano sit-in e iniziative di protesta e informazione, conmanifesti, foto, racconti, sia in spagnolo, siain inglese, per non lasciare che l’oblio cadasu questo ennesimo orrore.

    Per la verità, ci dicono che è solo l’ultimo diuna raccapricciante serie di massacri perpe-trati in Messico negli ultimi dieci anni, senzache il mondo abbia avuto niente da dire, vistoche questo paese è una “democrazia” eletta,mica come l’Argentina o il Cile dove i militarihanno effettuato dei “golpe”... Fa pensare,questo uso della parola, così distante dallarealtà che osserviamo, così alieno dalla prati-ca del femminicidio che là ha assunto un an-damento massiccio; è vero, le manifestazionidi piazza ci sono, come se si fosse liberi di

    agirle, ma si percepisce una sensazione stra-na, come se per il momento il governo prefe-risse tenere un basso profilo, aspettando esperando che passi la tempesta, visto che sta-volta le reazioni mondiali ci sono state, ecco-

    me: su fb si moltiplicano le foto e le testimo-nianze di iniziative di protesta estese dapper-tutto, un po’ come per gli zapatisti: la loro lottasi offrì al pubblico televisivo mondiale quan-do, il 1° gennaio 1994, un interminabile eser-cito di omini e donnine mascherati con pas-samontagna neri, armati di fucili improbabili espesso di legno, invasero le piazze e i luoghidel potere di Città del Messico in occasionedel vertice internazionale per la firma del trat-tato di libero commercio tra Stati Uniti, Cana-da e Messico.

    Tutte le televisioni erano lì e non poteronoevitare di riprendere, di far vedere al mondointero, un popolo di indios in lotta per la lorostessa sopravvivenza. Da allora l’esercito za-patista di liberazione nazionale è diventato ilsimbolo dei popoli in lotta per l’emancipazionee la libertà dallo sfruttamento, la sigla comparedi prepotenza sulle magliette di tutti i ragazzidel mondo, come un marchio di moda, e l’eser-cito messicano inizia a provare imbarazzo nel-l’intervenire pesantemente contro le comunitàzapatiste: ci sarebbe una levata di scudi gran-de e forte come il mondo, se andassero oltrequella pressione e guerra a bassa intensità cheogni giorno esercitano contro i caracoles, imunicipi autonomi zapatisti del Chiapas.

    E questi municipi continuano a resistere,anzi cercano di allargarsi occupando semprenuove terre e cercando di continuare a viveresecondo le loro tradizioni culturali ed econo-miche, coltivando la terra nel rispetto della na-tura e di tutti i viventi. Ne abbiamo visitato uno,sia pur per poco tempo, ed abbiamo sperimen-tato dal vivo cosa vuol dire: c’è un cancellocon una guardia in passamontagna nero chechiede le generalità per trasmetterle alla“Giunta del buon governo” affinchè decida seaccogliere o meno il visitatore; poi si visita ilvillaggio, con i murales, la “escuelita” per i bim-bi, il presidio sanitario (quello di Oventic, danoi visitato, è dotato anche di due ambulanze,donate dal Comitato Piazza Carlo Giuliani piùdi dieci anni fa), la bottega per la vendita del-l’artigianato locale, il bar ecc… come in qua-lunque altro villaggio, solo che loro non ricono-scono alcuna autorità alle istituzioni centrali,statali o federali che siano, ma si gestisconoautonomamente per tutte le loro necessità.Un altro mondo è possibile, dunque!

    COSE DALL’ALTRO MONDO

  • 8/19/2019 Rivista_Marzo_2015

    21/32

    empi di fraternità

    Marzo 2015 21

    COSE DALL’ALTRO MONDO

    Commissione Nazionale brasilianaper la Verità presenta il rapporto finale

    di Manfredo

    Pavoni Gay

    Salvador di Bahia, gennaio. Dopo tre anni dilavoro, il 10 dicembre, giornata internazionale per i DDHH (Diritti Umani), è stato presentatoil rapporto finale della Commissione naziona-le brasiliana per la Verità e la Giustizia.

    La commissione era stata creata dal governodi Dilma Roussef nel 2010 con lo scopo di in-dagare sulle migliaia di casi di torture, ucci-sioni extragiudiziali, sparizioni forzate e altreviolazioni dei diritti umani commesse durantela dittatura militare che governò il Brasile dal1964 al 1985.

    Al contrario di Cile, Argentina, Uruguay e in

    parte il Paraguay, il Brasile è l’unico Paese delCono Sud che non ha compiuto un vero e pro- prio processo di chiarificazione storica e in-dennizzo per le vittime della dittatura.

    La Commissione, dopo tre anni di indagini,di raccolta di testimonianze in tutto il Brasile,ha potuto accertare una parte dei crimini com-messi, identificare le vittime e quantificare ilvolume e l’ampiezza dell’apparato repressivocreato e gestito dallo stato brasiliano sotto ilcomando della giunta militare.

    Purtroppo la Commissione non è stata in gra-

    do di identificare i luoghi in cui sono stati se- polti i corpi di centinaia didesaparecidos e solo30 cadaveri di persone uccise o scomparse du-rante quegli anni sono stati identificati attra-verso l’esame del Dna.

    Jair Krischke, brasiliano attivista per i DDHHe vittima della dittatura insieme a familiari, hacriticato in parte l’“Informe final” per non aver sufficientemente approfondito alcune temati-che relative, per esempio, al coinvolgimentodel Brasile nella famigerataOperacion Con-dor , un’alleanza trasversale per il sequestro, la

    repressione e lo scambio di prigionieri tra levarie dittature del Cono Sud.

    Nel caso dell’Operacion Condor , la Commis-sione ha dichiarato di non poter provare la par-tecipazione del Brasile a questo dispositivorepressivo, creato nel 1975 nel Cile di Pino-chet di cui facevano parte, oltre al Cile, l’Ar-gentina, l’Uruguay, la Bolivia e il Paraguay, paese che ospitava uno dei più significativi ar-chivi dell’Operacion Condor , l’Archivio delterror, scoperto dal premio nobel alternativo paraguayano Martin Almada.

    Molti documenti rinvenuti in questo archi-vio provano la partecipazione diretta del Bra-sile nell’Operacion Condor, come dimostrano

    i sequestri di rif