Rivista scientifica di Diritto Processuale Civile Editrice · dell’atto amministrativo ove questo...

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Rivista scientifica di Diritto Processuale Civile ISSN 2281-8693 Pubblicazione del 16.02.2016 La Nuova Procedura Civile, 1, 2016 Editrice Comitato scientifico: Elisabetta BERTACCHINI (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) - Giuseppe BUFFONE (Magistrato) – Costanzo Mario CEA (Magistrato, Presidente di sezione) - Paolo CENDON (Professore ordinario di diritto privato) - Gianmarco CESARI (Avvocato cassazionista dell’associazione Familiari e Vittime della strada, titolare dello Studio legale Cesari in Roma) - Caterina CHIARAVALLOTI (Presidente di Tribunale) - Bona CIACCIA (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Leonardo CIRCELLI (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Vittorio CORASANITI (Magistrato, ufficio studi del C.S.M.) – Lorenzo DELLI PRISCOLI (Magistrato, Ufficio Massimario presso la Suprema Corte di Cassazione, Ufficio Studi presso la Corte Costituzionale) - Francesco ELEFANTE (Magistrato T.A.R.) - Annamaria FASANO (Magistrato, Ufficio massimario presso la Suprema Corte di Cassazione) - Cosimo FERRI (Magistrato, Sottosegretario di Stato alla Giustizia) – Francesco FIMMANO’ (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) - Eugenio FORGILLO (Presidente di Tribunale) – Mariacarla GIORGETTI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Giusi IANNI (Magistrato) - Francesco LUPIA (Magistrato) - Giuseppe MARSEGLIA (Magistrato) – Francesca PROIETTI (Magistrato) – Serafino RUSCICA (Consigliere parlamentare, Senato della Repubblica) - Piero SANDULLI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Stefano SCHIRO’ (Presidente di Corte di Appello) - Bruno SPAGNA MUSSO (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Paolo SPAZIANI (Magistrato, Vice Capo dell’Ufficio legislativo finanze del Ministro dell’economia e delle finanze) – Antonella STILO (Consigliere Corte di Appello) - Antonio VALITUTTI (Consigliere della Suprema Corte di Cassazione) - Alessio ZACCARIA (Professore ordinario di diritto privato, componente laico C.S.M.). LA GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI UNITE DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SULLA GIURISDIZIONE IN MATERIA DI APPALTI PUBBLICI ARTICOLO DI PAOLO SPAZIANI (Magistrato dell'Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione) SOMMARIO: 1. Le categorie di controversie e le “fasi” del contratto di appalto pubblico rilevanti ai fini della giurisdizione. – 2. La giurisdizione nella fase anteriore alla stipulazione del contratto con riguardo alle controversie scaturenti da domande con le quali si fanno valere vizi degli atti amministrativi di evidenza pubblica. – 3. La giurisdizione nella fase quanto meno contestuale ed eventualmente successiva alla stipulazione del contratto con riguardo alle controversie scaturenti da domande con le quali si fanno valere vizi genetici del contratto. Le domande di caducazione del contratto per vizi derivati e per vizi propri. – 4. Annullamento in via di autotutela degli atti di evidenza pubblica e giurisdizione sul contratto di appalto. – 5. La giurisdizione nella fase necessariamente successiva alla stipulazione del contratto con riguardo alle controversie scaturenti da domande con cui si fanno valere irregolarità e patologie sopravvenute attinenti all’esecuzione del contratto. – 6. Le domande risarcitorie.

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Rivista scientifica di Diritto Processuale Civile

ISSN 2281-8693 Pubblicazione del 16.02.2016

La Nuova Procedura Civile, 1, 2016

Editrice

Comitato scientifico:

Elisabetta BERTACCHINI (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) - Giuseppe

BUFFONE (Magistrato) – Costanzo Mario CEA (Magistrato, Presidente di sezione) - Paolo CENDON (Professore

ordinario di diritto privato) - Gianmarco CESARI (Avvocato cassazionista dell’associazione Familiari e Vittime della

strada, titolare dello Studio legale Cesari in Roma) - Caterina CHIARAVALLOTI (Presidente di Tribunale) - Bona

CIACCIA (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Leonardo CIRCELLI (Magistrato, assistente di studio alla

Corte Costituzionale) - Vittorio CORASANITI (Magistrato, ufficio studi del C.S.M.) – Lorenzo DELLI PRISCOLI

(Magistrato, Ufficio Massimario presso la Suprema Corte di Cassazione, Ufficio Studi presso la Corte Costituzionale) -

Francesco ELEFANTE (Magistrato T.A.R.) - Annamaria FASANO (Magistrato, Ufficio massimario presso la Suprema

Corte di Cassazione) - Cosimo FERRI (Magistrato, Sottosegretario di Stato alla Giustizia) – Francesco FIMMANO’

(Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) - Eugenio FORGILLO (Presidente di

Tribunale) – Mariacarla GIORGETTI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Giusi IANNI (Magistrato) -

Francesco LUPIA (Magistrato) - Giuseppe MARSEGLIA (Magistrato) – Francesca PROIETTI (Magistrato) – Serafino

RUSCICA (Consigliere parlamentare, Senato della Repubblica) - Piero SANDULLI (Professore ordinario di diritto

processuale civile) - Stefano SCHIRO’ (Presidente di Corte di Appello) - Bruno SPAGNA MUSSO (Magistrato,

assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Paolo SPAZIANI (Magistrato, Vice Capo dell’Ufficio legislativo finanze

del Ministro dell’economia e delle finanze) – Antonella STILO (Consigliere Corte di Appello) - Antonio VALITUTTI

(Consigliere della Suprema Corte di Cassazione) - Alessio ZACCARIA (Professore ordinario di diritto privato,

componente laico C.S.M.).

LA GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI UNITE DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SULLA GIURISDIZIONE IN MATERIA DI APPALTI PUBBLICI

ARTICOLO DI PAOLO SPAZIANI

(Magistrato dell'Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione)

SOMMARIO: 1. Le categorie di controversie e le “fasi” del contratto di appalto pubblico

rilevanti ai fini della giurisdizione. – 2. La giurisdizione nella fase anteriore alla stipulazione del

contratto con riguardo alle controversie scaturenti da domande con le quali si fanno valere vizi

degli atti amministrativi di evidenza pubblica. – 3. La giurisdizione nella fase quanto meno

contestuale ed eventualmente successiva alla stipulazione del contratto con riguardo alle

controversie scaturenti da domande con le quali si fanno valere vizi genetici del contratto. Le

domande di caducazione del contratto per vizi derivati e per vizi propri. – 4. Annullamento in

via di autotutela degli atti di evidenza pubblica e giurisdizione sul contratto di appalto. – 5. La

giurisdizione nella fase necessariamente successiva alla stipulazione del contratto con riguardo

alle controversie scaturenti da domande con cui si fanno valere irregolarità e patologie

sopravvenute attinenti all’esecuzione del contratto. – 6. Le domande risarcitorie.

1. Le categorie di controversie e le “fasi” del contratto di appalto pubblico

rilevanti ai fini della giurisdizione.

Ai fini della giurisdizione le controversie relative agli appalti pubblici

possono essere distinte nelle seguenti tre categorie.

A) Le controversie scaturenti da domande con le quali si fanno valere

unicamente vizi degli atti amministrativi di evidenza pubblica che precedono la

stipulazione del contratto, il quale non è stato ancora concluso. Tali

controversie si collocano necessariamente in una fase antecedente alla

stipulazione del contratto.

B) Le controversie scaturenti da domande con cui si fanno valere vizi

genetici del contratto invocandosene la declaratoria di inefficacia o di nullità o

l’annullamento.

1) I vizi genetici del contratto (che si riconducono a quello che in teoria

generale viene definito “difetto genetico della causa”: SANTORO-PASSARELLI)

possono essere causati per via derivata da vizi degli atti amministrativi che ne

precedono la stipulazione: in tal caso la domanda di caducazione del contratto

è connessa da vincolo di pregiudizialità con la domanda di caducazione

dell’atto amministrativo ove questo non sia già stato oggetto di precedente

annullamento.

2) Ma l’invalidità o l’inefficacia del contratto può anche dipendere da vizi

propri dello stesso (ad es. perché privo della forma prescritta ad substantiam o

perché stipulato da rappresentante senza poteri) a fronte di una fase

pubblicistica precontrattuale caratterizzata da atti legittimi: in tal caso la

domanda di caducazione del contratto è perfettamente autonoma non

essendovi domande connesse di annullamento degli atti amministrativi

precedenti.

Tali controversie si collocano nella fase quanto meno contestuale alla

stipulazione del contratto e possono eventualmente collocarsi nella

fase successiva.

C) Le controversie scaturenti da domande con cui si fanno valere

patologie od irregolarità sopravvenute alla stipulazione del contratto, il quale è

valido ed efficace e dunque privo di vizi genetici. Tali controversie (in cui viene

dedotto quello che in teoria generale è definito “difetto funzionale della

causa”: SANTORO-PASSARELLI) si collocano necessariamente nella fase

successiva alla stipulazione del contratto in quanto attengono a

problematiche (attinenti per lo più all’adempimento od inadempimento di una

delle parti) che si pongono durante la sua esecuzione.

2. La giurisdizione nella fase anteriore alla stipulazione del contratto con

riguardo alle controversie scaturenti da domande con le quali si fanno valere

vizi degli atti amministrativi di evidenza pubblica.

La sequenza di atti e provvedimenti amministrativi che precede la

stipulazione del contratto costituisce la c.d. fase dell’evidenza pubblica, la

quale è preordinata alla scelta del contraente privato e trova fondamento

nell’esigenza di tutela di due interessi, entrambi di rilevanza pubblicistica:

quello specifico della pubblica amministrazione ad affidare i lavori, i servizi o le

forniture al prezzo più vantaggioso e quello generico alla protezione della

concorrenza tra le imprese che operano nel mercato delle commesse

pubbliche.

● Già nel periodo antecedente al primo intervento del legislatore con cui

sono state dettate regole specifiche sul riparto di giurisdizione in tema di

appalti pubblici, l’orientamento pacifico e consolidato delle Sezioni Unite della

Suprema Corte di Cassazione è stato nel senso di affermare la giurisdizione

del giudice amministrativo in ordine alle controversie scaturenti dalle

domande con cui, prima e indipendentemente dalla stipulazione del contratto,

si facciano valere vizi degli atti di evidenza pubblica, invocandosene la

caducazione.

Premessa concettuale di tale orientamento era l’indiscussa

qualificazione degli atti di evidenza pubblica quali atti amministrativi.

Tale qualificazione, che risaliva all’elaborazione giurisprudenziale degli

inizi del secolo scorso, trovava fondamento, non tanto nella considerazione del

carattere pubblicistico dell’interesse che la fase dell’evidenza pubblica era

preordinata a soddisfare, quanto piuttosto, da un lato, nel dogma indiscusso

secondo cui gli enti pubblici avessero una limitata capacità di diritto privato

(talché, al di fuori del contratto, non avrebbero potuto agire se non in forme

autoritative e discrezionali) e, dall’altro lato, nel rilievo empirico per cui

l’eventuale diversa qualificazione degli atti di evidenza pubblica quali atti di

diritto privato avrebbe privato l’impresa di qualsiasi tutela, non essendo

prevista, nel codice civile del 1865, una responsabilità precontrattuale per

lesione della libertà negoziale.

La qualificazione degli atti della fase di evidenza pubblica quali atti

amministrativi comportava invece necessariamente l’implicazione per cui essi

dovevano reputarsi impugnabili dinanzi al giudice amministrativo

(artt.103 e 113 Cost.), consentendosi al privato di ottenere quella tutela

giurisdizionale che altrimenti gli sarebbe stata preclusa.

La posizione soggettiva dell’imprenditore privato nei confronti della

pubblica amministrazione veniva quindi ricostruita agevolmente in termini di

interesse legittimo (interesse alla regolarità del procedimento di affidamento

dei lavori) ed in termini necessariamente consequenziali venivano risolte le

questioni di giurisdizione.

L’elaborazione giurisprudenziale dell’inizio del secolo scorso ha

influenzato quella successiva all’entrata in vigore del nuovo codice civile, nella

quale si è mantenuta la qualificazione degli atti precedenti alla conclusione del

contratto quali atti amministrativi non ostante la nuova disciplina codicistica

della culpa in contraendo (artt.1337 e 1338 c.c.) e non ostante l’affermata

estensione della stessa alla pubblica amministrazione1.

È stato così affermato che “in materia di contratti ad evidenza pubblica,

è necessario distinguere, ai fini della qualificazione della posizione soggettiva

del privato, tra i procedimenti amministrativi rivolti a disporre in ordine alla

stipula del contratto, a determinare la scelta del contraente e, dopo la

stipulazione, ad assoggettare il contratto ai necessari controlli e l’attività

privatistica vera e propria dell’amministrazione, attinente al perfezionamento

ed all’operatività del contratto medesimo. Ed infatti, nel mentre, con

riferimento alla sfera pubblicistica, il privato è titolare di un mero interesse

legittimo, tutelabile dinanzi al giudice amministrativo, per quanto concerne,

invece, l’ambito privatistico dell’attività della p.a. e, più precisamente, il

dovere della medesima di comportarsi in buona fede e secondo i principi della

lealtà e della correttezza, nella fase delle trattative contrattuali, al privato

compete un vero e proprio diritto soggettivo, la cui lesione importa un obbligo

di risarcimento a carico dell’amministrazione stessa a titolo di responsabilità

precontrattuale”2.

● L’orientamento delle Sezioni Unite ha trovato conferma nei successivi

interventi del legislatore, i quali hanno espressamente previsto la giurisdizione

del giudice amministrativo sulle domande di annullamento degli atti della

procedura ad evidenza pubblica.

1 Sez. U, Sentenza n. 2691 del 21/08/1972 (Rv. 360322), Presidente: Gionfrida. Estensore:

Sposato. 2 Sez. U, Sentenza n. 2972 del 21/10/1974 (Rv. 371415), Presidente: Pece. Estensore: Bile.

Un esplicito intervento in tal senso si rinviene già nell’art.13, comma 2, l.

19 febbraio 1992, n.142, che, nel recepire la Direttiva del 1989, prevedeva la

giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di risarcimento del danno

cagionato da atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di

appalti pubblici di lavori o di forniture e delle relative norme interne di

recepimento, aggiungendo che tale domanda era però proponibile solo dopo

avere ottenuto “l’annullamento dell’atto lesivo con sentenza del giudice

amministrativo”.

Successivamente, l’art.33, comma 2, lett. e), d.lgs. 31 marzo 1998, n.80

ha previsto la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo, tra le altre, delle controversie “aventi ad oggetto le procedure

di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da

soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della

normativa nazionale o regionale”.

Questa formula è stata perfezionata dall’art.6, comma 1, legge 21 luglio

2000, n. 205 (il quale ha eliminato lo specifico riferimento al contratto di

appalto) e dall’art. 244, comma 1, d.lgs. n.163/2006 (codice degli appalti)

nella sua formulazione originaria (il quale vi ha incluso le controversie

risarcitorie), prevedendo, più generalmente, che la devoluzione alla

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo riguardi “tutte le

controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento

di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta

del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero

al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa

statale o regionale”.

In base a questa formula – che è rimasta nella sostanza inalterata pure

a seguito delle modifiche apportate al citato art.244 dal d.lgs. n.53/2010,

attuativo della Direttiva 2007/66/CE, e del loro recepimento nell’art.133,

comma 1, lett. e), n.1, d.lgs. n.104/2010 (sulle quali v. infra) – l’attribuzione

della giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo trova fondamento, non

già nella natura pubblica del soggetto che affida l’appalto, ma nella circostanza

che tale soggetto – pubblico o privato che sia – risulti vincolato, nella scelta

del contraente, al rispetto della procedura di evidenza pubblica prescritta dal

diritto interno o all’osservanza della normativa comunitaria.

Il giudice amministrativo, in altre parole, potrebbe conoscere anche delle

controversie relative a procedure di affidamento di appalti banditi da soggetti

privati ove vincolati al rispetto della procedura di evidenza pubblica, non

essendo necessario che l’ente appaltante abbia natura di pubblica

amministrazione.

La regola, dunque, potrebbe essere ritenuta in contrasto con gli artt. 103

e 113 Cost., i quali, nel prevedere, rispettivamente, che gli organi di giustizia

amministrativa hanno giurisdizione per la tutela degli interessi legittimi (e, in

taluni casi, anche dei diritti soggettivi) nei confronti della pubblica

amministrazione e che la tutela giurisdizionale dinanzi ai medesimi organi è

ammessa contro gli atti della pubblica amministrazione, sembrerebbero porre

ineludibilmente il principio che impone la derivazione soggettiva da una

pubblica amministrazione degli atti conoscibili dal giudice

amministrativo.

Il problema si è ripetutamente posto dinanzi alle Sezioni Unite, già in

epoca ormai non più recente, con riguardo agli appalti banditi da

concessionari privati.

In tali occasioni, peraltro, le Sezioni Unite non hanno ritenuto necessario

affrontare la questione dell’eventuale contrasto della norma sulla giurisdizione

con i principi costituzionali, attribuendo al concessionario la qualificazione di

organo indiretto della pubblica amministrazione.

In una pronuncia più risalente, emessa prima dell’entrata in vigore

dell’art. 13 legge n. 142/1992, le Sezioni Unite – dopo aver premesso che

“qualora l’imprenditore privato, aspirante al conferimento in appalto dei lavori

di costruzione di un’opera pubblica, impugni il bando con cui l’amministrazione

abbia indetto la gara, denunciando l’inadeguatezza dei termini accordati per la

partecipazione alla gara medesima, in relazione alle prescrizioni degli artt. 7

della legge 2 febbraio 1973 n. 14 e 10 della legge 8 agosto 1977 n. 584, la

relativa domanda spetta alla giurisdizione di legittimità del giudice

amministrativo, tenendo conto che le citate norme sono rivolte a tutelare in

via preminente esigenze pubblicistiche, e solo in via mediata quelle degli

aspiranti all’appalto, e che, pertanto, le posizioni di questi ultimi, rispetto

all’osservanza delle norme stesse, hanno natura e consistenza di interessi

legittimi (non diritti soggettivi, né interessi di mero fatto)” – hanno aggiunto

che “tale principio va affermato anche quando la gara sia bandita dalla società

concessionaria della pubblica amministrazione, pure se limitatamente alla

realizzazione dell’indicata opera, atteso che gli atti di detta concessionaria,

quando siano rivolti all’esercizio delle pubbliche funzioni trasferite dalla

concedente, hanno carattere di atti amministrativi, ancorché provenienti da un

organo indiretto, e sono quindi soggetti ai rimedi giurisdizionali apprestati

per questi atti”3.

In una pronuncia più recente, con riguardo alla domanda di

annullamento, proposta dinanzi al giudice amministrativo dal concorrente non

aggiudicatario, del provvedimento di aggiudicazione ad altro concorrente

emesso dal consiglio di amministrazione dell’azienda concessionaria del

Comune che aveva indetto la gara per l’affidamento del servizio di trasporto

scolastico, pronunciando in sede di regolamento di giurisdizione proposto

dall’azienda medesima, le Sezioni Unite hanno affermato che “spetta alla

giurisdizione del giudice amministrativo e non a quella del giudice ordinario la

cognizione della controversia relativa all’aggiudicazione di un appalto di opera

pubblica o di un pubblico servizio, allorché il procedimento di individuazione

del contraente sia condotto da una società privata non nell’interesse proprio

ma quale concessionaria di un’amministrazione pubblica”, sul rilievo che “gli

atti posti in essere da un concessionario soggetto privato o ad esso equiparato

(nella fattispecie una ex azienda municipalizzata) in funzione della concessione

e che egli non avrebbe potuto compiere senza la concessione non

costituiscono attività di diritto privato”4.

L’applicazione della teoria dell’immedesimazione organica, sia pure

indiretta, ha consentito, dunque, di imputare l’atto direttamente alla pubblica

amministrazione senza intaccare, almeno formalmente, il principio che impone

la derivazione soggettiva da una pubblica amministrazione degli atti conoscibili

dal giudice amministrativo.

Il problema della compatibilità della norma sul riparto di giurisdizione

con i principi costituzionali si è peraltro riproposto anche con riguardo ad un

appalto bandito da un soggetto che non aveva alcun rapporto con la pubblica

amministrazione e rispetto al quale non era dunque percorribile la strada volta

a qualificarlo come organo indiretto della stessa.

Nella fattispecie si trattava di un appalto bandito da una Arcidiocesi

(ente ecclesiastico) per l’affidamento di lavori di restauro di una cattedrale e il

concorrente non aggiudicatario aveva impugnato, dinanzi al giudice

amministrativo, i provvedimenti di ammissione alla gara nonché di

aggiudicazione dell’appalto a favore dell’impresa aggiudicataria, sul

presupposto che quest’ultima avrebbe dovuto essere esclusa per non aver

corredato la propria offerta con tutti i certificati richiesti dal bando.

3 Sez. U, Sentenza n. 12221 del 29/12/1990 (Rv. 470331) , Presidente: Zucconi Galli Fonseca

F. Estensore: Vercellone. 4 Sez. U, Sentenza n. 12200 del 02/12/1998 (Rv. 521316) , Presidente: Vessia A.

Estensore: Carbone V.

L’Arcidiocesi aveva proposto regolamento preventivo di giurisdizione,

contestando quella dell’adìto giudice amministrativo e sostenendo che,

essendo un ente ecclesiastico, non rientrava nel novero degli enti pubblici

istituzionali, dai quali soltanto possono provenire atti amministrativi

autoritativi suscettibili di determinare lesione di interessi legittimi.

Le Sezioni Unite, facendo applicazione dell’art.33, comma 2, lett. e),

d.lgs. n.80/1998 – ed affermando il principio per cui “sussiste la giurisdizione

del giudice amministrativo in relazione ad ogni controversia attinente alla

procedura di affidamento di appalti di lavori pubblici, quando il soggetto

appaltante (nella specie un ente ecclesiastico), pur non avendo natura

pubblica, sia tenuto all’osservanza della disciplina pubblicistica degli appalti,

restando irrilevante la qualificazione giuridica, pubblica o privata, di tale

soggetto” – hanno tra l’altro chiarito che non si pone il paventato contrasto tra

la norma di legge sul riparto di giurisdizione e l’art. 103 Cost., in quanto il

legislatore “appare mosso non dall’intenzione di definire meglio i confini della

giurisdizione amministrativa in corrispondenza con l’ampliamento della nozione

di soggetto-organismo pubblico dettato dalle norme comunitarie, bensì di

attribuire ad un unico giudice la cognizione di tutte le controversie insorte in

una determinata materia, indipendentemente dalla natura pubblica o privata

del soggetto coinvolto, purché tenuto all’osservanza della normativa

comunitaria”, sicché, “ai fini del riparto di giurisdizione, il criterio discriminante

si trasferisce dal soggetto all’oggetto, intendendo con quest’ultimo termine la

materia controversa e la disciplina applicabile”5.

3. La giurisdizione nella fase quanto meno contestuale ed eventualmente

successiva alla stipulazione del contratto con riguardo alle controversie

scaturenti da domande con le quali si fanno valere vizi genetici del contratto.

Le domande di caducazione del contratto per vizi derivati e per vizi propri.

Con riferimento alle domande aventi ad oggetto la declaratoria di

inefficacia o di nullità o l’annullamento del contratto occorre distinguere, ai fini

del riparto di giurisdizione, l’ipotesi in cui il vizio genetico del contratto sia

causato, per via derivata, da vizi degli atti amministrativi di evidenza pubblica

di cui si chieda contestualmente (o si sia già ottenuto precedentemente)

5 Sez. U, Sentenza n. 40 del 24/02/2000 (Rv. 534331), Presidente: Grossi M. Estensore:

Varrone M.

l’annullamento dall’ipotesi in cui si facciano valere vizi genetici propri del

contratto medesimo.

● La prima ipotesi ripropone, sul versante della giurisdizione, la classica

questione concernente le conseguenze, sul contratto, dell’annullamento

dell’atto di aggiudicazione.

Al riguardo, come è noto, l’orientamento tradizionale della Corte di

Cassazione era nel senso di ritenere che l’annullamento dell’atto di

aggiudicazione ad opera del giudice amministrativo (sia che fosse dovuto a vizi

propri di tale atto sia che fosse dovuto ad invalidità derivata da vizi di atti

precedenti della sequela procedimentale ad evidenza pubblica) determinasse

l’annullabilità del contratto di appalto successivamente stipulato, per

sopravvenuto difetto di legittimazione a concluderlo in capo al

contraente privato.

Si riteneva inoltre che legittimata ad esperire l’azione di annullamento,

ai sensi dell’art.1441 c.c., fosse esclusivamente la pubblica amministrazione,

quale parte che vi aveva interesse.

Sul punto, appare particolarmente pregnante una pronuncia della

Seconda Sezione civile, la quale aveva affermato il principio secondo cui “in

tema di vizi concernenti l’attività negoziale degli enti pubblici, sia che si

riferiscano al processo di formazione della volontà dell’ente, sia che si

riferiscano alla fase preparatoria ad essa precedente, il negozio comunque

stipulato è annullabile ad iniziativa esclusiva dell’ente pubblico, salvo che non

sia ravvisabile un vizio di straripamento di potere, nel qual caso il contratto è

nullo”6.

Sotto il profilo della giurisdizione, era poi pacifico che la domanda di

annullamento del contratto conseguente alla caducazione del provvedimento di

aggiudicazione dovesse proporsi dinanzi al giudice ordinario, in quanto la

giurisdizione del giudice amministrativo era confinata all’impugnativa dell’atto

lesivo di evidenza pubblica – conformemente, del resto, a quanto statuito

dall’art.13, comma 2, l. n.142/1992 – e non si estendeva alla cognizione della

sorte del contratto.

Erano peraltro evidenti i limiti di un simile indirizzo giurisprudenziale che

privava sostanzialmente di tutela il soggetto (concorrente non aggiudicatario)

che aveva ottenuto l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, il

6 Sez. 2, Sentenza n. 4269 del 08/05/1996 (Rv. 497465), Presidente: Favara F. Estensore:

Cristarella Orestano F.

quale non poteva in alcun modo intervenire sul contratto concluso tra la

pubblica amministrazione soccombente e il terzo aggiudicatario.

● La possibilità di sottoporre a revisione l’orientamento in esame si pose

con l’entrata in vigore del d.lgs. n.80/1998 e, successivamente, della legge

n.205/2000, i quali non solo attribuirono alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo le controversie relative alle procedure di affidamento di lavori,

servizi e forniture svolte da soggetti tenuti al rispetto della normativa

comunitaria o dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalle norme

interne (rispettivamente, artt. 33 e 6) ma previdero che in tali controversie

(come in tutte le altre devolute alla sua giurisdizione esclusiva) il giudice

amministrativo potesse disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma

specifica, il risarcimento del danno ingiusto (rispettivamente, artt.35 e 7).

Da tale mutamento normativo prese le mosse la giurisprudenza

amministrativa per estendere la propria giurisdizione anche in ordine alla

cognizione della sorte del contratto, affermandone – con soluzioni

maggiormente conformi alle istanze di tutela del privato che aveva ottenuto

l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione – di volta in volta la

nullità ex art.1418, primo comma, c.c. (per violazione delle norme

imperative che regolano il procedimento di evidenza pubblica) oppure ex

art.1418, secondo comma, c.c. (per mancanza del requisito dell’accordo) o,

ancora, l’inefficacia (sul rilievo che il valido provvedimento di aggiudicazione

costituisse una condizione sospensiva o che la sua caducazione integrasse una

condizione risolutiva dell’efficacia del contratto).

● Le istanze innovative della giurisprudenza amministrativa non

convinsero in un primo momento la Corte di Cassazione, la quale, all’esito

dell’entrata in vigore dell’art.244 d.lgs. n.163/2006, trovò proprio nella

formulazione originaria di questa norma gli argomenti per riaffermare la tesi

tradizionale, secondo la quale, ferma la giurisdizione del giudice

amministrativo sulla domanda di caducazione del provvedimento di

aggiudicazione, le conseguenze prodotte sul contratto dall’annullamento di

questo atto – siano esse inquadrabili nello schema della nullità,

dell’annullabilità o dell’inefficacia – devono essere conosciute dal giudice

ordinario.

Le Sezioni Unite, in particolare, con una pronuncia del 2007, statuirono

che “l’art. 244 d.lgs. n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici),

nell’attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le

controversie relative alle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture

e, quelle tassativamente indicate, relative alla successiva fase contrattuale,

conferma che, in linea di principio, rientra nella giurisdizione ordinaria lo

scrutinio dei riflessi sul contratto di appalto delle irregolarità-illegittimità della

procedura amministrativa a monte; in particolare, non solo le fattispecie di

radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne

affliggono singoli atti), ma anche la successiva mancanza legale provocata

dall’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, perché il criterio di

riparto della giurisdizione non è fondato sul grado ed i profili di connessione

tra dette disfunzioni ed il sistema delle invalidità-inefficacia del contratto, e

neppure sulla tipologia delle sanzioni civilistiche che dottrina e giurisprudenza

di volta in volta gli riservano (nullità, annullabilità invocabile

dall’amministrazione committente, automatica ed immediata caducazione con

efficacia ex tunc, inefficacia sopravvenuta del contratto), ma unicamente sulla

separazione imposta dall’art. 103, primo comma, Cost. tra il piano del diritto

pubblico (e del procedimento amministrativo) ed il piano negoziale,

interamente retto dal diritto privato”7.

●Le stesse Sezioni Unite, tuttavia, anticipando di solo qualche giorno il

legislatore, mutarono orientamento con una sentenza degli inizi del 2010.

La pronuncia, pubblicata il 10 febbraio 2010, valorizzò, sotto il profilo

interpretativo, la Direttiva 2007/66/CE, che sarebbe stata attuata dal

legislatore poco più di un mese dopo con il d.lgs. 20 marzo 2010, n.53, in

vigore dal 27 aprile 2010.

In questa pronuncia le Sezioni Unite presero le mosse dalla

considerazione che la Direttiva poneva a carico degli Stati membri un duplice

obbligo in tema di aggiudicazione degli appalti pubblici: l’uno di carattere

sostanziale, consistente nella necessità di assicurare che un contratto nascente

da un’aggiudicazione illegittima fosse “considerato privo di effetti da un organo

di ricorso indipendente dall’amministrazione aggiudicatrice”; l’altro di carattere

processuale, consistente nella necessità di assicurare “l’attuazione di principi

corrispondenti a quelli di concentrazione, effettività e ragionevole durata del

giusto processo disegnato negli artt. 24 e 111 Cost.”.

Il primo obbligo non appariva compatibile con l’orientamento che

qualificava in termini di mera annullabilità azionabile dalla sola pubblica

amministrazione il vizio del contratto risultante da un’aggiudicazione

7 Sez. U, Sentenza n. 27169 del 28/12/2007 (Rv. 601050), Presidente: Carbone V. Estensore:

Salvago S.

illegittima, in quanto tale qualificazione imponeva di riconoscere che il

contratto seguitava a produrre effetti finché non fosse stato annullato e in

quanto l’annullamento era solo eventuale e rimesso alla determinazione

dell’amministrazione soccombente nel giudizio amministrativo.

Il secondo obbligo non appariva compatibile con l’indirizzo tradizionale in

tema di giurisdizione, in quanto la tesi che imponeva di tenere distinta la

domanda di annullamento del provvedimento di aggiudicazione (sulla quale

era pacifica la giurisdizione del giudice amministrativo) dalla domanda di

caducazione del contratto (sulla quale si continuava ad affermare la

giurisdizione del giudice ordinario) non si conciliava con le esigenze di

concentrazione e ragionevole durata del processo imposte non solo dalla

Costituzione (art.111 Cost.) ma anche dalla Convenzione Europea dei Diritti

Umani (art.6 CEDU).

Sulla base di tali premesse, le Sezioni Unite affermarono dunque che la

Direttiva 2007/66/CE “consente un’interpretazione costituzionalmente e,

quindi, comunitariamente (ex art. 117 Cost.) orientata delle norme sulla

giurisdizione, in virtù della quale, nelle controversie relative a procedure di

aggiudicazione degli appalti pubblici, va riconosciuto rilievo alla connessione

tra le domande di annullamento dell’aggiudicazione e di caducazione del

contratto di appalto concluso a seguito dell’illegittima aggiudicazione, con la

conseguente attribuzione di entrambe alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo, ai sensi dell’art. 244 del d.lgs. 12 aprile 2006, n.163”8.

Già prima della modifica dell’art.244 d.lgs. n.163/2006, si affermò,

pertanto, sulla base di una interpretazione costituzionalmente e

comunitariamente orientata della disposizione originaria in esso contenuta, il

nuovo orientamento volto ad estendere la giurisdizione del giudice

amministrativo sino alla sorte del contratto, nell’ipotesi in cui fossero dedotti

vizi dello stesso causati, per via derivata, da vizi degli atti amministrativi

collocantisi nella precedente fase dell’evidenza pubblica.

La pronuncia in esame, in realtà, valorizzando il vincolo di connessione

(per pregiudizialità) esistente tra la domanda con cui si chiede l’annullamento

del provvedimento amministrativo finale (a sua volta, eventualmente viziato

da vizi propri o derivati dagli atti precedenti della sequela procedimentale) e la

domanda con cui si invoca la caducazione del contratto concluso a seguito

dell’illegittima aggiudicazione, aveva considerato unicamente la fattispecie in

8 Sez. U, Ordinanza n. 2906 del 10/02/2010 (Rv. 611497), Presidente: Vittoria P. Estensore:

Forte F.

In senso conforme, successivamente, Sez. U, Ordinanza n. 5291 del 05/03/2010 (Rv.

611794), Presidente: Vittoria P. Estensore: Fioretti FM.;

cui le due domande fossero proposte contestualmente, ma sotto il profilo della

giurisdizione la soluzione si attagliava anche alla analoga fattispecie in cui la

domanda di caducazione del contratto fosse proposta successivamente

all’ottenimento dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione dinanzi

al giudice amministrativo.

● Il nuovo orientamento affermato dalle Sezioni Unite del 2010 è stato,

di lì a poco, consacrato dal legislatore.

Con il d.lgs. 20 marzo 2010, n.53 è stata infatti attuata la citata

Direttiva 2007/66/CE e con l’art. 7 di tale decreto legislativo è stato aggiunto

al comma 1 dell’art.244 d.lgs. n. 163/2006 (secondo cui “sono devolute alla

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi

incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi,

forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del

socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei

procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale”)

un secondo periodo, ai sensi del quale “la giurisdizione esclusiva si estende

alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento

dell’aggiudicazione e alle sanzioni alternative”.

Tale ampliamento è stato recepito e mantenuto dal codice del processo

amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n.104), il cui art. 133, comma 1, lett. e),

n. 1, stabilisce che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo le controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici

lavori, servizi, forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del

contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al

rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale

o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della

giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a

seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni

alternative”.

Gli artt. 121 e 122 dello stesso d.lgs. n.104/2010, poi, nel porre la

regola secondo la quale l’inefficacia del contratto a seguito dell’annullamento

dell’aggiudicazione non è automatica ma consegue soltanto alle violazioni più

gravi, attribuisce il potere di conoscerne allo stesso giudice (amministrativo)

che annulla l’aggiudicazione, il quale, nei casi, espressamente tipizzati, di

grave violazione del procedimento di evidenza pubblica (aggiudicazione senza

previa pubblicazione del bando o dell’avviso; aggiudicazione con procedura

negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dai casi consentiti,

ecc.) dichiara l’inefficacia del contratto, precisando, in ragione delle deduzioni

delle parti e della gravità della condotta della stazione appaltante e della

situazione di fatto, se la declaratoria di inefficacia è limitata alle prestazioni

future o opera in via retroattiva (art. 121), mentre, negli altri casi, stabilisce

se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto,

in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità per il

ricorrente di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello

stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare in esso, nei

casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la

gara e la domanda di subentrare sia stata proposta (art.122).

● La possibilità, per il giudice amministrativo, nei casi previsti, di

dichiarare l’inefficacia del contratto con efficacia retroattiva pone il problema

della giurisdizione in ordine ad un terzo ordine di domande, diverse da quelle

di annullamento del provvedimento amministrativo e di caducazione del

successivo contratto, consistenti nelle domande restitutorie.

Il problema è stato affrontato dalle Sezioni Unite con riguardo

all’annullamento in autotutela degli atti amministrativi precedenti la

stipulazione del contratto9, mentre non è stato affrontato con riguardo

all’ipotesi in cui tali atti (ed in particolare l’atto di aggiudicazione) siano stati

annullati in seguito ad impugnativa giurisdizionale.

La ragione di ciò risiede evidentemente nella circostanza che, mentre

nella prima ipotesi la pubblica amministrazione, dopo avere annullato in

autotutela l’atto amministrativo, propone la domanda di caducazione del

contratto e le consequenziali domande di ripetizione dell’indebito o di

ingiustificato arricchimento, nella seconda ipotesi l’impugnazione del

provvedimento e la declaratoria di inefficacia del contratto derivante

dall’illegittima aggiudicazione sono di regola proposte da un terzo (il

concorrente non aggiudicatario), il quale, essendo estraneo al contratto

medesimo, non ha ovviamente intesse alla restituzione di prestazioni mai

eseguite.

In ogni caso, per l’ipotesi in cui, contestualmente o successivamente alla

domanda di caducazione del contratto proposta dal terzo non aggiudicatario, la

pubblica amministrazione rivolga la connessa domanda di restituzione nei

confronti dell’aggiudicatario, deve ritenersi che anche tale domanda ricada

nella giurisdizione del giudice amministrativo, avuto riguardo, oltre che alla

9 Sez. U, Ordinanza n. 14260 del 08/08/2012 (Rv. 623298), Presidente: Preden R. Estensore:

Vivaldi R. (su tale pronuncia v. infra, il par. successivo).

lettera della norma attuale in tema di riparto di giurisdizione, all’esigenza,

imposta tanto dal diritto interno quanto dal diritto comunitario, di trattazione

unitaria delle domande di annullamento dell’atto di evidenza pubblica, di quelle

caducazione del contratto concluso in seguito ad illegittima aggiudicazione e di

quelle di restituzione connesse alla declaratoria di inefficacia del contratto

stesso, conformemente alla soluzione formulata dalle Sezioni Unite con

riguardo alla diversa, ma analoga, fattispecie dell’annullamento in autotutela.

● Sinora sono state considerate le controversie scaturenti da domande

con cui si fanno valere vizi genetici del contratto causati per via derivata da

vizi degli atti amministrativi che ne precedono la stipulazione: in tal caso, alla

luce di quanto si è veduto, la giurisdizione del giudice amministrativo si

estende alla cognizione della sorte del contratto, stante la connessione tra la

domanda con cui si invoca la declaratoria di inefficacia del contratto e quella

con cui si chiede l’annullamento del provvedimento amministrativo.

Ma l’inefficacia (o l’invalidità) o del contratto può anche dipendere da

vizi propri dello stesso (ad es. perché privo della forma prescritta ad

substantiam o perché stipulato da rappresentante senza poteri) a fronte di una

fase pubblicistica precontrattuale caratterizzata da atti legittimi: in tal caso la

domanda di caducazione del contratto è perfettamente autonoma non

essendovi domande connesse di annullamento degli atti amministrativi

precedenti. Non vi è dubbio allora che tale domanda appartenga alla

giurisdizione del giudice ordinario analogamente a quelle con le quali si

facciano valere patologie ed irregolarità proprie della fase esecutiva, anche se,

diversamente da queste ultime, attiene pur sempre alla allegazione di vizi

genetici del contratto e non alla allegazione di vizi sopravvenuti connessi con

la condotta inadempiente di una delle parti.

4. Annullamento in via di autotutela degli atti di evidenza pubblica e

giurisdizione sul contratto di appalto.

Nel prevedere che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si

estende alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento

dell’aggiudicazione, la norma sulla giurisdizione (art. 133, comma 1, lett. e),

n.1, d.lgs. n.104/2010) considera evidentemente l’annullamento in sede

giurisdizionale dell’atto amministrativo conclusivo del procedimento ad

evidenza pubblica, chiarendo, sotto il profilo del merito, che tale annullamento

determina l’inefficacia (peraltro non automatica, come si è veduto: artt.121 e

122 stesso decreto legislativo) del contratto di appalto successivamente

stipulato e, sotto il profilo della giurisdizione, che la domanda avente ad

oggetto al declaratoria di questa inefficacia – connessa per pregiudizialità con

la domanda di caducazione del provvedimento di evidenza pubblica – è

attratta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, consentendo di

concludere, più in generale, che la giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo si estende a tutte le domande con cui si fanno valere vizi

genetici del contratto causati, per via derivata, da vizi degli atti amministrativi

che ne hanno preceduto la conclusione, residuando, quella del giudice

ordinario, in ordine alle domande con cui si fanno valere vizi genetici propri del

contratto.

La norma invece, non considera l’annullamento, in sede di autotutela,

dell’atto amministrativo di evidenza pubblica, posto in essere dopo la

stipulazione del contratto di appalto.

Si pongono dunque rilevanti problemi che concernono non solo la

giurisdizione, ma, prima ancora, gli stessi limiti entro i quali può ritenersi

consentito alla pubblica amministrazione di esercitare i poteri di autotutela per

liberarsi dal vincolo contrattuale, nonché le conseguenze, sul contratto,

dell’annullamento in autotutela.

● Con riguardo ai limiti dell’esperibilità dell’autotutela, deve evidenziarsi

che il disposto dell’art.1372 c.c. (secondo cui il contratto ha forza di legge tra

le parti e non può essere sciolto se non per mutuo consenso) sembrerebbe

ostare all’operatività dell’istituto della revoca (art. 21-quinquies legge n.

241/1990), quale provvedimento di ritiro con efficacia non retroattiva di atti

inficiati da vizi di merito, in base ad una nuova valutazione degli interessi.

Un certo spazio di operatività potrebbe invece concedersi all’istituto

dell’annullamento d’ufficio (art. 21-nonies legge n. 241/1991), trattandosi di

provvedimento con cui viene ritirato, con efficacia retroattiva, un atto

amministrativo illegittimo, per la presenza di vizi di legittimità originari.

In effetti la possibilità di utilizzare tale istituto, anche quando

l’annullamento dell’atto amministrativo ha ripercussioni sul rapporto

contrattuale che ne è seguito, era stata espressamente prevista dall’art. 1,

comma 136, legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), il

quale aveva stabilito che “al fine di conseguire risparmi o minori oneri

finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto

l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se

l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso” e che l’annullamento di ufficio “di

provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati

deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale

derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione

di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.

Questa norma, dalla quale la giurisprudenza amministrativa aveva tratto

argomento per affermare l’ammissibilità dell’annullamento d’ufficio del

provvedimento di aggiudicazione (sia che presentasse vizi propri sia che

presentasse vizi derivati da atti precedenti della sequela procedimentale), è

stata peraltro abrogata dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, di talché deve

ritenersi che il problema resta aperto.

●Aperto è anche il problema delle conseguenze, sul contratto,

dell’annullamento in autotutela del procedimento amministrativo di evidenza

pubblica, dovendosi chiarire se tale annullamento determini l’inefficacia del

contratto (analogamente a quanto espressamente previsto per l’annullamento

dell’aggiudicazione in sede giurisdizionale) oppure se ne determini l’invalidità

in via derivata. Entrambe le soluzioni sono state offerte dalla giurisprudenza

amministrativa.

● Sembra invece aver trovato una soluzione che si va progressivamente

consolidando nella giurisprudenza delle Sezioni Unite il diverso problema della

giurisdizione sulle domande con le quali si invoca la declaratoria di inefficacia

o di invalidità del contratto di appalto in conseguenza dell’esercizio del potere

di autotutela da parte della pubblica amministrazione.

Tale soluzione ripropone, con riguardo all’ipotesi di annullamento in sede

di autotutela, lo stesso schema di riparto che concerne le domande di

caducazione del contratto per inefficacia conseguente all’annullamento del

procedimento amministrativo in sede giurisdizionale, sulla base, non solo (e

non tanto) di una interpretazione analogica od estensiva dell’art.133, comma

1, lett. e), n. 1 d.lgs. n.104/2010, quanto piuttosto del principio generale,

desumibile sia dal diritto comunitario che dal diritto interno, che impone, in

funzione delle esigenze di concentrazione, nonché di effettività della tutela e di

ragionevole durata del processo, la trattazione unitaria delle domande che

concernono l’impugnativa degli atti amministrativi prodromici alla conclusione

del contratto, di quelle che concernono l’inefficacia o l’invalidità del contratto

per vizi derivati dall’illegittimità del procedimento amministrativo presupposto

e, infine, di quelle aventi ad oggetto la restituzione delle prestazioni eseguite

in esecuzione del contratto invalido od inefficace.

Al riguardo, appare paradigmatica la già citata pronuncia del 2012, nella

quale le Sezioni Unite hanno enunciato il principio secondo il quale “in tema di

controversie relative a procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, va

affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine alle

domande di dichiarazione di inefficacia o di nullità del contratto di fornitura alla

P.A., nonché di ripetizione di indebito e di arricchimento senza causa,

conseguenti all’annullamento in autotutela, confermato in sede giurisdizionale,

delle deliberazioni di affidamento diretto, senza indizione di gara, attuato in

violazione delle norme comunitarie e nazionali, imponendo tanto il medesimo

diritto comunitario quanto il vigente sistema interno la trattazione unitaria

delle domande di affidamento dell’appalto e di caducazione del contratto

concluso per effetto dell’illegittima aggiudicazione, come anche delle domande

restitutorie direttamente connesse alla declaratoria di inefficacia o di nullità del

contratto stesso”10.

Nella fattispecie, una azienda ospedaliera dopo avere illegittimamente

affidato una fornitura senza far luogo alla previa gara, al di fuori dei casi

consentiti, aveva annullato in autotutela le sue precedenti determinazioni.

L’impresa affidataria aveva quindi impugnato il provvedimento di

annullamento d’ufficio ma il giudice amministrativo aveva rigettato il ricorso in

quanto il potere di autotutela era stato correttamente esercitato per rimuovere

atti illegittimi.

In seguito all’annullamento degli atti prodromici alla stipulazione del

contratto, l’azienda ospedaliera aveva quindi proposto, sempre dinanzi al

giudice amministrativo, domanda per la declaratoria di inefficacia o di nullità

del contratto posto a valle del procedimento amministrativo viziato, nonché

domanda di restituzione della somma versata all’impresa in esecuzione di

esso.

Pronunciando sul regolamento preventivo di giurisdizione proposto dalla

stessa azienda ospedaliera a seguito dell’eccezione sollevata dall’imprenditore

convenuto (il quale aveva sostenuto che entrambe le domande avrebbero

dovuto essere formulate dinanzi al giudice ordinario), le Sezioni Unite hanno

dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo, sul rilievo che

sussisterebbe una eadem ratio tra la fattispecie espressamente considerata

dalla norma sulla giurisdizione (inefficacia del contratto conseguente

10 Sez. U, Ordinanza n. 14260 del 08/08/2012 (Rv. 623298), Presidente: Preden R. Estensore:

Vivaldi R., cit.

all’annullamento dell’aggiudicazione) e quella oggetto di esame (inefficacia od

invalidità del contratto conseguente ad annullamento in autotutela dell’atto

amministrativo a monte), e che, inoltre, la frammentazione delle domande

connesse tra più giurisdizioni contraddirebbe i principi comunitari affermati

dalla Direttiva 2007/66/CE (in tema di concentrazione, effettività della tutela e

ragionevole durata del processo), avendo l’effetto di moltiplicare i

procedimenti e di porre le condizioni per un possibile conflitto di pronunce.

Naturalmente l’eadem ratio tra la fattispecie contemplata dalla norma

sulla giurisdizione e la fattispecie dell’annullamento in autotutela si pone

soltanto nell’ipotesi in cui il potere di autotutela sia utilizzato, attraverso

l’istituto dell’annullamento d’ufficio, per rimuovere un atto amministrativo

illegittimo che effettivamente si pone a monte del contratto.

Soltanto in tale ipotesi, infatti, il contratto si presenta geneticamente

viziato per derivazione, in quanto la sua inefficacia o la sua invalidità

costituisce il riflesso dell’illegittimità del procedimento amministrativo che lo

precede, analogamente all’ipotesi contemplata dalla norma sulla giurisdizione,

nella quale l’inefficacia del contratto – alla cui dichiarazione si estende la

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – costituisce il riflesso

dell’illegittimità (a sua volta propria o derivata) del provvedimento di

aggiudicazione, annullato in sede giurisdizionale.

Diversa è invece l’ipotesi in cui il potere di autotutela sia indebitamente

utilizzato per far valere, dietro lo schermo dell’annullamento di atti prodromici

in realtà inesistenti, i vizi propri del contratto.

In questo caso, infatti, l’inefficacia o l’invalidità del contratto non

deriverebbe dai vizi del procedimento amministrativo a monte ma sarebbe

dovuta a vizi afferenti al contratto medesimo: di conseguenza non vi sarebbe

motivo per ritenere che la giurisdizione del giudice amministrativo si estenda

alla cognizione della sorte del contratto, non essendovi alcuna connessione tra

la caducazione di quest’ultimo e l’annullamento dell’atto amministrativo.

Poiché, invece, dietro la finzione di un atto amministrativo inesistente,

l’amministrazione interviene in realtà direttamente sul contratto facendo

valere vizi ad esso relativi, la cognizione sulla sorte del contratto medesimo

spetta al giudice ordinario analogamente all’ipotesi (sulla quale v., supra, il

par. precedente) in cui se ne deduca l’inefficacia o l’invalidità per vizi propri

dello stesso (ad es. perché privo della forma prescritta ad substantiam o

perché stipulato da rappresentante senza poteri) a fronte di una fase

pubblicistica precontrattuale perfettamente legittima.

In tema, le Sezioni Unite si sono ripetutamente pronunciate.

In una prima decisione – riguardante l’ipotesi in cui un Comune, dopo

aver stipulato contratti di investimento in strumenti finanziari con due banche,

aveva inteso annullare in autotutela atti qualificati come prodromici alla

stipulazione, invocando la declaratoria di nullità dei contratti medesimi – le

Sezioni Unite hanno rilevato che nella fattispecie non era possibile identificare

dei veri e propri atti amministrativi prodromici, trattandosi di contratti (aventi

ad oggetto servizi finanziari e dunque non regolati dal Codice dei contratti

pubblici ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. d), d.lgs. n.163/2006)

legittimamente stipulati a trattativa privata, e che le ragioni di invalidità

addotte dal Comune per esercitare il potere di autotutela, afferivano piuttosto

al contratto in quanto tale, essendo ravvisate “nell’assunzione di oneri

economici occulti e rischi non consentiti, in contrasto con le finalità di

contenimento del costo prescritte dalla legge n. 448 del 2001”.

Ciò premesso , le Sezioni Unite, lasciandosi andare a considerazioni di

merito, hanno evidenziato che “ipotizzare che essa (la pubblica

amministrazione) abbia la possibilità di far valere unilateralmente eventuali

vizi del contratto, semplicemente imputando quei medesimi vizi agli atti

prodromici da essa posti in essere in vista dell’assunzione del predetto vincolo

negoziale, equivarrebbe a consentire una sorta di revoca del consenso

contrattuale (sia pure motivata con l’esercizio del potere di autotutela) che la

pariteticità delle parti negoziali esclude per il contraente pubblico non meno

che per il contraente privato” per concludere, in tema di giurisdizione, che

“non può dunque ammettersi che, pretendendo di adoperare il proprio potere

discrezionale di autotutela per eliminare vizi in realtà afferenti (non già alle

determinazioni prodromiche in sé sole considerate, ed alle modalità

procedimentali ad esse solo proprie, bensì) al contratto ormai stipulato,

l’amministrazione possa spostare l’asse della giurisdizione riconducendo

nell’alveo di quella amministrativa una controversia sulla validità di un

contratto di diritto privato, come tale rientrante nell’alveo della giurisdizione

ordinaria”11.

In una seconda decisione – riguardante l’ipotesi in cui una

amministrazione regionale aveva annullato in autotutela l’intera procedura

prodromica alla conclusione di un accordo con la società affidataria del servizio

di smaltimento dei rifiuti, per l’indizio di infiltrazioni della criminalità

organizzata – le Sezioni Unite, nell’affermare la giurisdizione del giudice

amministrativo in ordine al giudizio avente ad oggetto la legittimità

11 Sez. U, Ordinanza n. 22554 del 23/10/2014 (Rv. 633155), Presidente: Rovelli LA.

Estensore: Rordorf R.

dell’esercizio del potere di autotutela (in quanto dinanzi al giudice “vengono in

discussione vizi genetici attinenti ad un momento antecedente la stipulazione

dell’accordo negoziale con la controparte privata: vizi che affetterebbero gli

atti amministrativi prodromici alla stipulazione di quell’accordo ed in ordine ai

quali l’amministrazione si è avvalsa del potere di annullamento che le

compete”), hanno chiarito che, “trattandosi di controversia relativa ad una

procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, la giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo si estende alle domande di dichiarazione di inefficacia o

di nullità del contratto stipulato con la pubblica amministrazione, che sia

eventualmente conseguente all’annullamento in autotutela” degli atti

amministrativi presupposti, mentre “la conclusione su quest’ultimo punto

sarebbe diversa se, dietro lo schermo dell’esercizio dei propri poteri di

annullamento in autotutela, l’amministrazione avesse inteso intervenire

direttamente sul contratto per far valere in realtà vizi ad esso relativi”12.

5. La giurisdizione nella fase necessariamente successiva alla stipulazione del

contratto con riguardo alle controversie scaturenti da domande con cui si

fanno valere irregolarità e patologie sopravvenute attinenti all’esecuzione del

contratto.

La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 133,

comma 1, lett. e), n. 1, d.lgs. n.104/2010, così come non si estende alle

domande con cui si fa valere il difetto genetico della causa dell’appalto

derivante da vizi propri del contratto, allo stesso modo non si estende alle

domande con cui si fa valere il difetto funzionale della causa, derivante da

patologie od irregolarità sopravvenute alla stipulazione del contratto, il quale è

valido ed efficace e dunque privo di vizi genetici.

Le controversie scaturenti da tali domande si collocano

necessariamente nella fase successiva alla conclusione del contratto in

quanto attengono a problematiche che si pongono nel momento esecutivo e

concernono, di norma, l’adempimento o l’inadempimento di una delle parti.

In realtà, a seguito dell’introduzione della giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo in materia di appalti pubblici (art.33 d.lgs. n.80/1998),

si è posto il problema se in base al nuovo criterio di riparto dovesse ritenersi

12 Sez. U, Ordinanza n. 9861 del 14/05/2015 (Rv. 635279), Presidente: Rovelli LA. Estensore:

Rordorf R.

sottratta al giudice ordinario anche la cognizione della fase dell’esecuzione del

contratto.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono state peraltro ferme nel

risolvere tale problema in senso negativo sul rilievo che tale fase non sarebbe

contemplata dalla norma sulla giurisdizione (la quale farebbe riferimento alle

precedenti fasi della formazione e della stipulazione del contratto) e che

pertanto debbano applicarsi le regole generali sul riparto.

In base a tali regole, dunque – poiché in sede di esecuzione di un

contratto, da un lato, la pubblica amministrazione svolge attività paritetica,

priva di connotati autoritativi e giurisdizionali, mentre, dall’altro lato, il privato

è titolare di specifici diritti soggettivi che trovano la loro fonte in un rapporto

giuridico assolutamente paritario e vincolante per entrambe le parti –, è stata

reiteratamente affermata la giurisdizione del giudice ordinario.

La prima rilevante pronuncia, al riguardo, risale all’anno 2000 (poco

dopo l’introduzione della norma sulla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo).

Nella fattispecie, un Comune aveva proposto, dinanzi al giudice

amministrativo, domanda di risoluzione per inadempimento dell’appalto

avente ad oggetto la preparazione e consegna di pasti per le scuole materne,

nonché di risarcimento del danno cagionato dall’impresa inadempiente.

Quest’ultima aveva peraltro proposto regolamento preventivo di

giurisdizione, sostenendo che le questioni attinenti alla fase di esecuzione (e

non di aggiudicazione) di appalti pubblici fossero riservate al giudice ordinario

venendo in considerazione aspetti di natura privatistica che trovano

fondamento del rapporto sinallagmatico instauratosi iure privatorum.

Le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso sul rilievo che l’interpretazione

cd. “pubblicistica” della norma sulla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo (volta ad estendere la cognizione di quel giudice anche alla

fase esecutiva del contratto) sarebbe in contrasto con gli artt. 103 e 3 della

Costituzione.

Il contrasto con l’art.103 Cost. risulterebbe da ciò che “detta norma, nel

costituzionalizzare la giurisdizione speciale del G.A., ne ha contestualmente

anche circoscritto l’ambito a controversie comunque correlate all’interesse

generale in quanto volte alla tutela di (collegate) posizioni di interesse

legittimo o, in casi particolari, anche di diritti soggettivi”, senza possibilità di

indiscriminata estensione a controversie di carattere e contenuto

esclusivamente patrimoniale, non direttamente ed effettivamente connesse

ad interessi generali.

Il contrasto con l’art.3 Cost. risulterebbe “sia sotto il profilo della

(dubbia) ragionevolezza di una scelta distributiva tra due diversi plessi

giurisdizionali di controversie identicamente attinenti a vicende di

inadempimento di obbligazioni di diritto comune; sia per il profilo della

eguaglianza, cui si riconduce l’esigenza della uniforme interpretazione della

legge che (stante la non ricorribilità delle sentenze dei giudici amministrativi

per violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c.) non avrebbe viceversa

strumento alcuno per attuarsi a fronte di differenti orientamenti (e di un

diverso diritto vivente, quindi) che dovesse (e lo potrebbe) formarsi in ordine

a medesime disposizioni codicistiche nelle non comunicanti giurisprudenze dei

giudici ordinari e amministrativi”.

Le Sezioni Unite hanno dunque affermato il principio secondo cui “alla

luce di una lettura costituzionale della relativa disciplina, deve escludersi che

rientrino nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di

pubblici servizi introdotta dall’art. 33 d.lgs. n. 80 del 1998 le controversie

attinenti al momento esecutivo di contratti di appalto di fornitura stipulati dal

gestore del servizio pubblico per l’acquisizione di beni e/o prestazioni

strumentali al servizio stesso”, concludendo che “appartiene pertanto alla

giurisdizione del giudice ordinario la controversia instaurata da un Comune al

fine di ottenere la risoluzione, per grave inadempimento della società

appaltatrice, del contratto di appalto avente ad oggetto la preparazione e

consegna di pasti per le scuole materne, elementari e medie inferiori site nel

suddetto Comune”13.

Il principio si è consolidato nella giurisprudenza successiva.

In una più recente pronuncia è stato affermato che “spetta alla

giurisdizione del giudice ordinario l’azione risarcitoria proposta da un

appaltatore di opera pubblica nei confronti della P.A. committente, relativa

all’inadempimento degli obblighi di collaborazione nascenti dal contratto

d’appalto, come pure quella proposta contro il progettista e il direttore dei

lavori, nonché contro altri enti pubblici, chiamati in causa per l’inottemperanza

ai doveri di buona fede e correttezza, che abbiano determinato, con le loro

condotte inerti od omissive, un ingiusto prolungamento dei lavori, causa dei

danni di cui si chiede la reintegrazione, trattandosi di domande fondate non su

provvedimenti illegittimi dell’amministrazione, ma su comportamenti illeciti

della stessa”14.

13 Sez. U, Sentenza n. 72 del 30/03/2000 (Rv. 535185), Presidente: Vessia A. Estensore:

Morelli MR. 14 Sez. U, Ordinanza n. 10301 del 03/05/2013 (Rv. 626352), Presidente: Preden R. Estensore:

Forte F.

Dalla premessa che la domanda risarcitoria proposta dal privato nei

confronti della pubblica amministrazione per inadempimento degli obblighi di

collaborazione sorti da un contratto di appalto tra loro stipulato –“ovvero dei

doveri di buona fede e correttezza nell’esecuzione dei lavori per conto

dell’amministrazione pubblica, prolungati a causa della condotta inerte o

omissiva di quest’ultima” – rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, le

Sezioni Unite hanno poi tratto l’implicazione che tale giurisdizione si estende

anche alle cause connesse per garanzia (art. 32 c.c.) su chiamata della

pubblica amministrazione convenuta, affermando l’ulteriore principio secondo

il quale “appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la causa avente ad

oggetto la chiamata di terzi in manleva, effettuata dalla P.A. convenuta con

azione di risarcimento dei danni dall’appaltatore di un’opera pubblica per

inadempimento degli obblighi nascenti dal contratto d’appalto, ove la pretesa

dell’amministrazione committente di essere garantita dai terzi evocati (nella

specie, soggetti pubblici coinvolti nell’esecuzione dei lavori) sia fondata sulla

condotta inerte od omissiva degli stessi, la quale deve essere valutata dallo

stesso giudice avente giurisdizione sulla domanda risarcitoria cui la chiamata

in causa inerisce”15.

Nella fattispecie la società appaltatrice dei lavori di viabilità accessoria ad

un aeroporto aveva citato in giudizio dinanzi al giudice ordinario il Comune

committente, chiedendo il risarcimento del danno asseritamente derivante dai

ritardi cagionati dalle inerzie ed omissioni del Comune in ordine ai doveri di

collaborazione nell’esecuzione dei lavori, nonché dalle numerose varianti da

esso apportate al progetto originario. Il Comune aveva chiamato in manleva

diversi enti pubblici che avevano partecipato al predetto progetto, imputando i

ritardi alla condotta inerte ed omissiva di questi ultimi. Dopoché il giudice

aveva separato la causa principale da quella di garanzia procedendo

separatamente per ognuna (e dopo che i chiamati avevano sollevato

l’eccezione di difetto di giurisdizione dell’adìto giudice ordinario in favore di

quella del giudice amministrativo), lo stesso Comune aveva proposto, in

entrambe le cause, regolamento preventivo di giurisdizione.

In un’ulteriore decisione, infine, regolando la giurisdizione in una

fattispecie in cui l’impresa appaltatrice aveva domandato la risoluzione per

inadempimento e il risarcimento del danno a seguito dell’illegittimo

recesso dall’appalto da parte della pubblica amministrazione, le Sezioni Unite

hanno statuito, dando ulteriore continuità all’orientamento in esame, che “in

15 Sez. U, Ordinanza n. 10300 del 03/05/2013 (Rv. 625968), Presidente: Preden R. Estensore:

Forte F.

tema di appalti di opere pubbliche, ove l’appaltatore agisca per la risoluzione

del contratto ed il risarcimento dei danni, sul presupposto dell’illiceità del

recesso operato dall’amministrazione in conseguenza delle verifiche disposte

dal Prefetto ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, deducendo

l’avvenuto rilascio dell’informazione antimafia a sé favorevole, la controversia

appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario poiché - avuto riguardo al

criterio del petitum sostanziale - attiene all’esecuzione di un contratto di diritto

privato, senza che venga in questione l’illegittimo esercizio di un potere

amministrativo”16.

Va tuttavia evidenziato che taluni specifici aspetti del momento

esecutivo sono stati espressamente attratti dal legislatore alla giurisdizione

esclusiva del giudice amministrativo.

Tra questi, particolarmente rilevante è quello previsto dall’art. 133,

comma 1, lett. e), n. 2, d.lgs. n.104/2010, secondo cui sono devolute alla

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie “relative alla

clausola di revisione del prezzo e al provvedimento applicativo nei

contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui

all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle

relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi

dell’art. 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto”.

A norma dell’art. 115 d.lgs. n.163/2006, tutti i contratti ad esecuzione

periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una

clausola di revisione periodica del prezzo, che viene operata sulla base di

un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e

servizi.

A norma dell’art. 133 stesso decreto legislativo, inoltre, il corrispettivo

dei lavori pubblici affidati dalle stazioni appaltanti – per i quali non può

procedersi a revisione dei prezzi né si può fare applicazione del primo comma

dell’art. 1664 c.c. – è aumentato di una percentuale (fissata annualmente

con decreto del Ministero delle infrastrutture) da applicarsi, nel caso in cui la

differenza tra il tasso di inflazione reale e quello programmato sia superiore al

2 per cento, all’importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero

previsto per l’ultimazione dei lavori stessi.

Se il prezzo di singoli materiali subisca variazioni superiori al 10 per

cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti

16 Sez. U, Ordinanza n. 1530 del 27/01/2014 (Rv. 629387), Presidente: Rovelli LA. Estensore:

D'Alessandro P.

nell’anno di presentazione dell’offerta, si fa luogo a compensazioni per la

metà della percentuale eccedente il dieci per cento, nel limite delle risorse

accantonate.

La regola sulla giurisdizione dispone dunque che le controversie in cui si

discute del provvedimento applicativo della clausola periodica di revisione

del prezzo nei contratti ad esecuzione continuata o dell’adeguamento

dei prezzi nei contratti di affidamento di lavori pubblici mediante

applicazione della percentuale per lo scostamento tra il tasso di inflazione

reale e quello programmato o delle compensazioni per le variazioni del costo

dei materiali, sebbene attengano alla fase esecutiva del contratto, devono

essere conosciute dal giudice amministrativo.

Le Sezioni Unite, in una recente pronuncia, hanno peraltro assunto,

anche su tale specifico tema, un orientamento volto ad estendere la

giurisdizione del giudice ordinario a tutti i casi in cui non vengano in

considerazione atti autoritativi e discrezionali della pubblica amministrazione,

ma piuttosto l’inerzia della stessa in ordine all’osservanza di una clausola di

revisione del prezzo in cui risultino stabiliti con precisione, sia sotto il profilo

dell’an che sotto il profilo del quantum, i presupposti della sua operatività.

Nella fattispecie un imprenditore individuale, premesso di avere stipulato

con un Comune un appalto avente ad oggetto il servizio di raccolta, trasporto

e conferimento in discarica dei rifiuti solidi urbani, aveva domandato al giudice

di condannare l’amministrazione committente al pagamento, in suo favore, del

prezzo dell’appalto rivisto sulla base di una specifica disposizione del contratto

e del relativo capitolato, la quale prevedeva che se l’ubicazione della discarica,

per cause indipendenti dalla volontà dell’amministrazione, fosse variata e fosse

conseguentemente aumentata la sua distanza dai confini territoriali del

Comune sino a superare i 75 Km, il corrispettivo dell’appalto avrebbe dovuto

essere rivisto nella parte dei maggiori oneri derivanti dai maggiori costi

sostenuti dall’appaltatore, purché debitamente documentati.

Il tribunale adìto, facendo applicazione dell’art. 244, comma 3, d.lgs.

n.163/2006, contenente la disposizione poi rifluita nell’art. 133, comma 1, lett.

e), n. 2, d.lgs. n.104/2010, aveva declinato la propria giurisdizione in favore di

quella del giudice amministrativo.

Riassunto dall’attore il giudizio dinanzi al TAR, quest’ultimo aveva

peraltro sollevato d’ufficio il conflitto di giurisdizione, chiedendo alle Sezioni

Unite che fosse dichiarata quella del giudice ordinario.

Le Sezioni Unite hanno rilevato che “nella presente causa è in

contestazione esclusivamente l’espletamento di una prestazione già

puntualmente prevista nel contratto e disciplinata in ordine all’an e al quantum

del corrispettivo” e che “nessun potere discrezionale o autoritativo deve essere

esercitato dal Comune poiché la maggior somma da corrispondere

all’appaltatore è da determinarsi sulla base del calcolo dei maggiori costi del

trasporto dei rifiuti in ragione della maggior distanza della discarica”.

“La controversia – si aggiunge nella motivazione della sentenza – concerne,

all’evidenza, l’espletamento da parte dell’appaltatore di una prestazione già

puntualmente convenuta e disciplinata (anche in ordine al quantum) con il

contratto” di talché la domanda, da qualificarsi come domanda di

adempimento, “rinviene in conclusione la sua ragione nel contratto, in

relazione al quale la PA si trova in una situazione paritetica, per cui la

controversia concerne un diritto soggettivo”.

Sulla base di queste premesse le Sezioni Unite hanno dunque statuito

che “in tema di appalti pubblici, la pretesa dell’appaltatore espressamente

ricondotta ad una specifica clausola del contratto, che si sostanzi

nell’affermazione per cui tale clausola obbligherebbe la P.A. appaltante alla

revisione del prezzo, si traduce in una mera pretesa di adempimento

contrattuale, che comporta l’accertamento di un diritto soggettivo e ricade

nell’ambito della giurisdizione ordinaria”17.

La pronuncia in esame si pone peraltro in linea di continuità con

l’orientamento già affermatosi nel vigore della disciplina precedente, allorché

le Sezioni Unite avevano statuito che “in tema di appalto di opere pubbliche,

spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi

dell'art. 6, comma 19, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come sostituito

dall’art. 44 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 - ratione temporis vigente -

sia le controversie relative alla clausola di revisione del prezzo prevista dal

comma 6 dell’art. 6 cit. (riprodotto dal comma 4 dell’art. 44), sia quelle

attinenti al provvedimento applicativo della revisione, considerato che, in virtù

di una lettura costituzionalmente orientata di tali norme, come risultante dalla

sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, le giurisdizione del giudice

amministrativo sussiste con riferimento ad ipotesi in cui le posizioni di diritto

soggettivo fatte valere si collochino in un’area di rapporti in cui la P.A.

agisce esercitando il suo potere autoritativo, come nel caso della detta

revisione. Tale conclusione è avvalorata dal fatto che l’attribuzione al giudice

amministrativo della giurisdizione esclusiva sulla revisione prezzi nei contratti

17 Sez. U, Ordinanza n. 14559 del 13/07/2015 (Rv. 635779), Presidente: Rovelli LA.

Estensore: Ragonesi V.

ad esecuzione continuata o periodica è stata poi anche prevista dagli art. 115

e 244, terzo comma, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163”18.

6. Le domande risarcitorie.

Ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, d.lgs. n. 104/2010, la

giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative a procedure

di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, svolte dai soggetti tenuti al

rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica, include le controversie

risarcitorie.

Anche sotto tale profilo occorre tuttavia fare delle distinzioni alla luce

della giurisprudenza delle Sezioni Unite.

Anzitutto è evidente che tra le domande risarcitorie demandate al

giudice amministrativo non figurano quelle che attengono al risarcimento del

danno da inadempimento delle obbligazioni che nascono dal contratto di

appalto, e cioè quelle tendenti a far valere la responsabilità contrattuale

(art. 1218 c.c.) di una delle parti.

Queste domande, che possono essere formulate sia dalla

amministrazione committente (che deduca l’inadempimento dell’appaltatore)

sia da quest’ultimo (che deduca l’inadempimento della prima) attengono infatti

alla fase esecutiva del rapporto contrattuale e pertanto – sia nell’ipotesi in cui

siano proposte da sole sia nell’ipotesi in cui siano proposte unitamente alla

domanda di risoluzione del contratto, sia, infine, nell’ipotesi in cui siano

proposte in alternativa all’azione di adempimento – sono devolute, come si è

appena veduto, alla giurisdizione del giudice ordinario.

Le domande risarcitorie demandate al giudice amministrativo sono

dunque quelle in cui si deduce un pregiudizio che deriva, non

dall’inadempimento, ma da un illecito extracontrattuale che necessariamente

attiene al momento antecedente la stipulazione del contratto sulla quale può

tuttavia incidere determinando l’inefficacia o l’invalidità del contratto stesso. Si

tratta cioè di domande con le quali si fa valere la responsabilità

extracontrattuale, sub specie di responsabilità precontrattuale, della

pubblica amministrazione.

18 Sez. U, Ordinanza n. 9152 del 17/04/2009 (Rv. 607892) , Presidente: Carbone V.

Estensore: Fioretti FM.

Anche con riguardo a tale ordine di domande va però compiuta una

distinzione, dovendosi mantenere separata la responsabilità da attività di

diritto privato dalla responsabilità da attività amministrativa.

Infatti, se l’illecito precontrattuale non è collegato ad un atto autoritativo

della pubblica amministrazione ma soltanto ad un comportamento (ad es.

recesso ingiustificato da una trattativa privata; rifiuto ingiustificato di stipulare

il contratto in seguito ad aggiudicazione; colpevole ritardo nella stipulazione

ecc.) si integra la fattispecie tradizionale di responsabilità precontrattuale della

pubblica amministrazione per violazione della buona fede durante le trattative

o recesso ingiustificato dalle stesse (art.1337 c.c.), in ordine alla quale, in

assenza di provvedimenti lesivi autoritativi, sembra difficile contestare la

giurisdizione del giudice ordinario.

Peraltro, mentre in talune pronunce si è statuito che questa

responsabilità può integrarsi solo nel momento successivo alla scelta del

contraente (esaurendosi, sostanzialmente, nelle ipotesi di ritardo o rifiuto

di concludere il contratto successivamente all’aggiudicazione), in altre

si è chiarito che la pubblica amministrazione è tenuta al rispetto dei canoni di

correttezza e buone fede già nel corso del procedimento amministrativo

precedente l’aggiudicazione, sicché, in ipotesi di violazione di tali canoni,

anche in questa prima fase è configurabile una responsabilità precontrattuale

connessa a meri comportamenti.

Nel primo senso si è pronunciata la Seconda sezione civile, enunciando il

principio secondo cui“la responsabilità precontrattuale della P.A. è

configurabile in tutti i casi in cui l’ente pubblico, nelle trattative con i terzi,

abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della

correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza anch’esso è

tenuto, nell’ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 cod.

civ.; in particolare, se non è ipotizzabile una responsabilità precontrattuale,

per violazione del dovere di correttezza di cui all’art. 1337 cod. civ. rispetto al

procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente, essa è

ammissibile con riguardo alla fase successiva alla scelta, in cui il recesso dalle

trattative dell’ente è sindacabile sotto il profilo della violazione del dovere del

neminem laedere, ove lo stesso sia venuto meno ai doveri di buona fede,

correttezza, lealtà e diligenza, in rapporto anche all'affidamento ingenerato nel

privato circa il perfezionamento del contratto”.

La Corte ha quindi aggiunto che “spetta al giudice di merito accertare se

il comportamento della P.A. abbia ingenerato nei terzi, anche per mera colpa,

un ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del contratto” e, in

applicazione dell’enunciato principio, “ha cassato la sentenza di merito, la

quale, pur avendo ritenuto che le trattative intercorse tra le parti, in relazione

ad un pubblico avviso di ricerca di un immobile da destinare a sede di uffici

regionali, fossero state in grado di ingenerare, nell’unico soggetto che aveva

risposto a quell’avviso, un ragionevole affidamento circa la conclusione

dell’accordo, aveva poi affermato che il recesso della P.A. risultasse sorretto

da un giustificato motivo, costituito dalla presentazione di una successiva

proposta tardiva da parte di un terzo, tale da indurre l’acquirente ad un

repentino generale ripensamento sull’idoneità dell'immobile offerto per primo,

sulla base di elementi, peraltro, non sopravvenuti, ma già intrinseci alla stessa

richiesta formulata con l’avviso pubblico)”19.

Nel secondo senso si è pronunciata la Prima sezione civile, la quale ha

statuito che “la responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti

i casi in cui l’ente pubblico, nelle trattative con i terzi, compia azioni o incorra

in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla

cui puntuale osservanza è tenuto già nel procedimento amministrativo

strumentale alla scelta del contraente, ossia nel momento in cui entra in

contatto con una pluralità di offerenti, instaurando con ciascuno di essi

trattative (multiple o parallele) idonee a determinare la costituzione di rapporti

giuridici, nel cui ambito è tenuto al rispetto di principi generali di

comportamento posti dalla legge a tutela indifferenziata degli interessi delle

parti”.

Da queste premesse la Corte ha tratto la conseguenza che

“l’inosservanza di tale precetto, anche prima della conclusione della gara,

determina l’insorgere della responsabilità della P.A. per violazione del dovere

di correttezza previsto dall’art.1337 cod. civ., a prescindere dalla prova

dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante”20.

Residua, dunque, la responsabilità precontrattuale da attività

amministrativa.

Anche sotto tale ulteriore aspetto occorre tuttavia compiere una

distinzione.

Da un lato vi è la responsabilità da attività amministrativa tradizionale,

collegata ad un interesse legittimo oppositivo, che sorge a seguito

19 Sez. 2, Sentenza n. 477 del 10/01/2013 (Rv. 624592), Presidente: Triola RM. Estensore:

Petitti S. 20 Sez. 1, Sentenza n. 15260 del 03/07/2014 (Rv. 631507), Presidente: Vitrone U. Estensore:

Cristiano M.

all’accertamento dell’illegittimità di un atto o provvedimento sfavorevole che si

colloca nella sequela procedimentale di evidenza pubblica.

In tal caso, alla tutela costitutiva resa mediante l’annullamento dell’atto

lesivo si accompagna la tutela risarcitoria volta a riparare il pregiudizio subìto

dal privato.

La fattispecie era già disciplinata dall’art.13 l. n.142/1992, il cui comma

1 prevedeva, come si è veduto, che “i soggetti che hanno subìto una lesione a

causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti

pubblici di lavori o di forniture e delle relative norme interne di recepimento

possono chiedere all’amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del danno”.

Il comma 2 della medesima disposizione distingueva poi, ai fini della

giurisdizione, la tutela costitutiva impugnatoria da quella successiva

risarcitoria, statuendo che “la domanda di risarcimento è proponibile dinanzi al

giudice ordinario da chi ha ottenuto l’annullamento dell’atto lesivo con

sentenza del giudice amministrativo”.

Con l’avvento della giurisdizione esclusiva e con l’estensione di tale

giurisdizione alle controversie risarcitorie (artt. 33 e 35 d.lgs. n.80/1998;

artt.6 e 7 l. n.205/2000; art. 244 d.lgs. n.163/2006; art.133 d.lgs.

n.104/2010) la cognizione del giudice amministrativo è stata estesa alle

domande risarcitorie sicché il giudice adìto per l’annullamento dell’atto

provvede anche al risarcimento del danno.

La domanda risarcitoria, inoltre, può essere proposta autonomamente da

quella di annullamento non trovando in essa alcuna pregiudiziale, talché

l’illegittimità dell’atto amministrativo può essere conosciuta in via incidentale.

In proposito, appare rilevante una pronuncia delle Sezioni Unite del

2009, con cui è stato affermato il principio secondo il quale “la domanda di

risarcimento dei danni proposta da una ditta appaltatrice del servizio di

raccolta rifiuti solidi urbani nei confronti del Comune, per averle quest’ultimo

imposto, con ordinanze contingibili ed urgenti, di proseguire la raccolta dei

rifiuti ad un prezzo non remunerativo, nonostante l’avvenuta cessazione del

rapporto, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,

considerato che l’illegittimità delle suddette ordinanze – che se posta a base

della domanda di annullamento delle stesse avrebbe comportato la predetta

giurisdizione, ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come

modificato dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, nel testo risultante

dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004 – comporta la

devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche

laddove non sia stato preventivamente domandato l’annullamento delle

ordinanze contingibili ed urgenti”21.

Discorso diverso deve invece farsi con riguardo alla responsabilità da

attività amministrativa collegata ad un interesse legittimo pretensivo del

privato coinvolto nel procedimento di evidenza pubblica.

In questa ipotesi non viene in rilievo un provvedimento sfavorevole di

cui è accertata, eventualmente anche solo in via incidentale, l’illegittimità, ma

viene in considerazione un provvedimento favorevole che sia stato

successivamente ritirato, sulla cui legittimità il privato aveva fatto

affidamento.

Si pensi, ad es., al ritiro (mediante revoca o annullamento d’ufficio,

secondo che venga in considerazione una nuova valutazione di opportunità o

l’accertamento di una vera e propria causa di illegittimità) della precedente

aggiudicazione: ove l’atto di ritiro sia legittimo non viene non considerazione

l’interesse (oppositivo) dell’aggiudicatario all’annullamento di un

provvedimento sfavorevole, ma piuttosto l’interesse (pretensivo) al

mantenimento in vita dell’originario provvedimento favorevole di

aggiudicazione, sulla cui legittimità aveva fatto incolpevole affidamento; se,

dunque, l’incolpevole affidamento del privato sia stato generato dal

comportamento scorretto della pubblica amministrazione si è in presenza di

una violazione della buona fede oggettiva che determina responsabilità

precontrattuale.

L’estensione della giurisdizione esclusiva alle domande risarcitorie

dovrebbe indurre a ritenere che anche le domande con cui si fa valere la

responsabilità precontrattuale da attività amministrativa collegata ad un

interesse pretensivo siano devolute alla cognizione del giudice amministrativo.

Le Sezioni Unite sono tuttavia ferme nel ritenere che sussista, invece, la

giurisdizione del giudice ordinario.

Già nel 2011 si è statuito che “la controversia avente ad oggetto la

domanda autonoma di risarcimento danni proposta da colui che, avendo

ottenuto l’aggiudicazione in una gara per l’affidamento di un pubblico servizio,

successivamente annullata dal Tar perché illegittima su ricorso di un altro

concorrente, deduca la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento

di aggiudicazione apparentemente legittimo, rientra nella giurisdizione del

giudice ordinario, non essendo chiesto in giudizio l’accertamento della

illegittimità dell'aggiudicazione (che, semmai, la parte aveva interesse a

21 Sez. U, Ordinanza n. 9152 del 17/04/2009 (Rv. 607893), Presidente: Carbone V. Estensore:

Fioretti FM.

contrastare nel giudizio amministrativo promosso dal concorrente) e, quindi,

non rimproverandosi alla P.A. l’esercizio illegittimo di un potere consumato nei

suoi confronti, ma la colpa consistita nell’averlo indotto a sostenere spese nel

ragionevole convincimento della prosecuzione del rapporto fino alla scadenza

del termine previsto dal contratto stipulato a seguito della gara”22.

L’orientamento, consolidatosi negli anni successivi, è stato da ultimo

ribadito con una pronuncia del 2015, con la quale si è affermato che “la

domanda risarcitoria proposta nei confronti della P.A. per i danni subiti dal

privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento

ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria, non trattandosi di

una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato (interesse

soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma di una lesione della sua integrità

patrimoniale ex art. 2043 c.c., rispetto alla quale l’esercizio del potere

amministrativo non rileva in sé, ma per l’efficacia causale del danno-evento da

affidamento incolpevole”23.

La giustificazione dogmatica di tale soluzione viene dunque fondata sul

rilievo che il pregiudizio riguarderebbe non un interesse legittimo (pretensivo)

ma l’integrità patrimoniale del privato, la cui lesione integra danno ingiusto ai

sensi dell’art.2043 c.c..

Al riguardo può osservarsi, per un verso, che il ritiro o l’annullamento

dell’atto illegittimo se non incide sull’interesse pretensivo all’emanazione

dell’atto (già soddisfatto ancorché in modo illegittimo) incide tuttavia

sull’interesse al suo mantenimento in vita e, per altro verso, che la diversa

qualificazione della posizione soggettiva lesa non dovrebbe rilevare sul riparto

di giurisdizione, rientrando le controversie risarcitorie in quella esclusiva del

giudice amministrativo.

Le varie fattispecie di responsabilità precontrattuale (sia quella collegata

ai meri comportamenti della pubblica amministrazione, sia quella collegata ad

atti amministrativi, a loro volta connessi ad interessi oppositivi o pretensivi)

sono pur sempre unificate dalla circostanza che viene lamentata la lesione

della libertà negoziale del privato coinvolto in una trattativa con l’ente

pubblico, talché i diversi ordini di domande, pur diverse tra loro, dovrebbero

restare soggetti ad un trattamento unitario sotto il profilo della giurisdizione.

22 Sez. U, Ordinanza n. 6596 del 23/03/2011 (Rv. 616521) , Presidente: Vittoria P. Estensore:

Tirelli F. 23 Sez. U, Ordinanza n. 17586 del 04/09/2015 (Rv. 636105), Presidente: Rovelli LA.

Estensore: Frasca R. Relatore: Frasca R.