Rivista di Psicologia Analitica 1973 (Psicologia e Religione)

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Appunti per una ricerca sul problema religioso nel pensiero di C. G. Jung Edmondo d'Alfonso, Milano Sommario PARTE PRIMA Jung e la religione, nel giudizio clella critica - Fondamenti della ricerca. PARTE SECONDA L'individualità, chiave di volta del pensiero junghiano - La vo- cazione all'individualità - L'essenza dell'individualità - Indivi- dualità, archetipo del Sé, immagini archetipiche - Pluralità delle immagini archetipiche, unicità dell'archetipo - L'inconscio col- lettivo - Individualità e individuazione - II processo di individua- zione - Individualità, individuazione, sìntesi degli opposti - Indi- vidualità e malattia dell'anima - Individualità e mondo sensibile. PARTE TERZA Le religioni, allegorie dell'individualità - II significato dell'inter- pretazione allegorica delle religioni - Psicologia e Religione - L'umanesimo junghiano, religione romantica - Verità della reli- gione junghiana - La diffusione della fede junghiana.

Transcript of Rivista di Psicologia Analitica 1973 (Psicologia e Religione)

  • Appunti per unaricerca sul problemareligioso nel pensierodi C. G. JungEdmondo d'Alfonso, Milano

    Sommario

    PARTE PRIMA

    Jung e la religione, nel giudizio clella critica - Fondamenti dellaricerca.

    PARTE SECONDA

    L'individualit, chiave di volta del pensiero junghiano - La vo-cazione all'individualit - L'essenza dell'individualit - Indivi-dualit, archetipo del S, immagini archetipiche - Pluralit delleimmagini archetipiche, unicit dell'archetipo - L'inconscio col-lettivo - Individualit e individuazione - II processo di individua-zione - Individualit, individuazione, sntesi degli opposti - Indi-vidualit e malattia dell'anima - Individualit e mondo sensibile.

    PARTE TERZA

    Le religioni, allegorie dell'individualit - II significato dell'inter-pretazione allegorica delle religioni - Psicologia e Religione -L'umanesimo junghiano, religione romantica - Verit della reli-gione junghiana - La diffusione della fede junghiana.

  • PARTE PRIMA

    Jung e la religione nel giudizio della critica.

    Il compito che ci siamo assunti nell'intraprenderequesta ricerca di esaminare l'opera di Cari GustavJung per appurare se sia possibile ritrovare inessa i lineamenti di una dottrina che possa dirsi abuon diritto appartenente al dominio della religione.La posizione di Jung a riguardo della religione cisembra non sia mai stata chiaramente definita, an-corch da pi parti e con accenti diversi sisia voluto giudicare del rapporto di Jung con la re-ligione.Nessuna luce su tale rapporto hanno recato coloroche si sono limitati ad accusare genericamente Jungdi essere un mistico e di fare opera di religione, an-zich di psicologia, per il solo fatto di essersi occu-pato di religioni e del rapporto dell'uomo con lareligione.Critiche del genere sono da considerarsi affatto su-perficiali e prive di ogni fondamento. Onde potere abuon diritto chiamare religiosa una dottrina, occorreprima avere definito cosa debba intendersi per reli-gione, cio quale ne sia l'oggetto e quali caratteri epropriet esso debba possedere perch possa vale-re come divino; e poi verificare che la dottrina inesame verta intorno a un oggetto che abbia tali ca-ratteri e tali propriet.Presso gli autori, invece, che hanno formulato giu-dizi tanto sommari nei confronti di Jung, sembra re-gnare la pi desolante confusione circa il concettostesso di religione.L'opinione pi diffusa che di opinione si tratta, nondi dottrina in alcun modo fondata che la reli-gione consista nell'illusoria credenza in entit ex-tramondane, alle quali si paga un tributo di preghieree di riti, in cambio della loro benevolenza. Tale illu-soria credenza sarebbe nata nell'uomo dal bisognodi ricevere protezione e soccorso nei pericoli dell'esi-

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  • stenza e dal desiderio di perpetuare la condizione didipendenza che propria dell'infanzia. La religionesarebbe dunque un insieme di idee o credenzeracchiuse nella mente dell'uomo, cui non corrispondenulla di oggettivo; oppure, concedono alcuni, lascienza non ha alcuna possibilit di provare l'obiettivarealt delle potenze divine, dei o demoni che siano,di cui si occupa la religione. Tale posizione dipensiero pretende, insomma, di restringere lareligione nell'ambito della psicologia e di ridurre icontenuti dell'esperienza religiosa a contenutipsichici. , dunque, per principio incapace didistinguere fra religione e psicologia e non si vedecome possa, nonch intraprendere, anche solo pro-porsi il compito di discernere eventuali contenuti re-ligiosi all'interno di una dottrina, quale quella diJung, che si esprime nei termini della psicologia edella psicopatologia.Solo apparentemente meno superficiale la posizio-ne di coloro che hanno creduto di identificare inquesto o quell'aspetto del pensiero di Jung un con-tenuto religioso.Fra questi, alcuni considerano Jung un cristianoeterodosso specialmente per la sua risposta al pro-blema del male e per la sua concezione di un Dioche non solo il buon Dio . Altri lo ritengono unconvinto sostenitore delle Chiese, poich annette de-cisiva importanza all' atteggiamento religioso nellaterapia delle malattie psichiche; altri, infine, sostan-zialmente un ateo , poich concede alla religioneuna funzione terapeutica e alle potenze divine unarealt solamente psichica.La posizione pi singolare forse quella dei disce-poli e sostenitori di Jung.Coloro che si sono nutriti del suo pensiero, avendoil privilegio di vivergli accanto, e molti di coloro chehanno meditato le sue opere, sono pronti ad affer-mare ch'Egli fu un grande maestro di vita, il testi-mone esemplare di uno stile di esistenza inconfon-dibile. Eppure gli stessi sarebbero riluttanti ad ammet-tere che in tanto egli fu tale, in quanto un preciso

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  • spirito religioso lo animava. Posti di fronte alla ri-chiesta di indicare quale fede specifica sostenesseil Maestro lecito supporre che le risposte sareb-bero imbarazzate o evasive.Certo, varie ragioni si potrebbero addurre per ne-gare l'appartenenza di Jung a una specifica fede re-ligiosa.La prima che Jung stesso si rifiutato di dirsi as-sertore di una determinata religione, ovvero di unaWeltanschauung, com'egli preferiva dire, perch ama-va piuttosto considerarsi lo psicopompo che aiutava,chi si rivolgeva alle sue cure, a ritrovare una suapropria fede personale.La seconda che Jung appare soprattutto il polemistapronto a denunciare la decadenza delle fedi dellatradizione, del protestantesimo in particolare, e im-pegnato a indicare la via per intendere in modo nuovoe vivificante i grandi temi del Cristianesimo: l'imita-zione di Cristo, l'Eucarista, l'Assunzione della Ver-gine in cielo, il peccato originale, il demonio. Rifor-matore dunque, se si vuole, ma mai fondatore di unanuova fede. In questo senso lo hanno inteso ancheuomini di chiesa, che hanno ravvisato nel suo pen-siero una fonte a cui attingere nei tentativi di rista-bilire le sorti di un Cristianesimo esangue. Sipotrebbe aggiungere, come terza ragione, la pivolte riaffermata neutralit di Jung nei confrontidi tutte le fedi, che lo portava a riconoscere l'impor-tanza dell'atteggiamento religioso per l'equilibrio psi-chico dell'uomo, ma mai a privilegiare una religionein particolare.Si potrebbe infine rammentare che se una fede fusostenuta da Jung, questa da ravvisarsi nella scien-za e nei dati dell'esperienza empirica; e che soloopera di scienza egli intese fare nelle opere raccoltea formare i suoi Collected Works . Eppurel'Autobiografia, dettata ad Aniela Jaff e non inclusa per espresso desiderio di Jung nelle OpereComplete, ci offre un quadro tutt'affatto diverso; cioffre una chiave di lettura dell'intera opera di lui che essenzialmente religiosa. Aniela Jaff non

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  • esita infatti a dire che questo libro contiene la pro-fessione di fede di Jung. Ma di quale fede propria-mente si tratti resta ancora da scoprire.La ragione principale della difficolt a definire laposizione religiosa di Jung ci sembra risieda nel fattoche viene oggi considerata religione soltanto lacredenza in potenze divine extramondane, che pro-pria delle religioni dell'antichit; e non viene ricono-sciuta la caratteristica di religioni alle fedi umani-stiche moderne che ripongono, in una determinata idea dell'uomo , il fine dell'esistere, il Sommo Be-ne; ci per cui l'uomo veramente uomo e la vita degna di essere vissuta.Non ci si avvede che le medesime caratteristiche di sommo bene e di fine sono, nelle religioni tra-dizionali, attribuite all'Altissimo, e che dunque quellaparticolare idea dell'uomo potenza divina e valeper l'Altissimo; e l'intera concezione che fa dell'uo-mo l'essere supremo, fine ultimo e centro attorno acui si muove l'intera natura, una religione. A titolod'esempio rammentiamo che tale ideale umano,tale essenza dell'uomo , stata riposta nellacontemplazione e nell'attivit del pensiero; ovvero nellavoro e nell'accumulo delle ricchezze; o anchenell'uguaglianza fra gli uomini; e parimenti in unaesistenza unica e singolare. Cosa poi in concretosignifichi il vivere secondo intelligenza, o la produzio-ne, o la singolarit deve divenire materia di indagine,perch tali concezioni ricevano contenuti precisi enon rimangano vuote formule. In ogni caso, ci pre-me sottolineare che quell'aspetto umano che viene di-vinizzato e assunto a fondamento di una religioneumanistica, sempre una idea, e va tenuto distintodall'uomo in carne ed ossa e da ogni altra entit ma-teriale. Anche il lavoro o le ricchezze, assunti a idealidi vita, sono entit ideali: non hanno nulla di sensi-bile (non van confuse con l'oro e gli opifici), ma sonoidee che nelle concrete ricchezze e nelle fabbrichehanno la loro incarnazione.Altrettanto dicasi del rapporto di uomo e di ideadell'uomo . L'ideale, che rappresenta il contenuto

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  • della religione umanistica, deve stare in relazione conl'uomo, poich questi possa trovare in esso la suaragion d'essere. Anzi, se questo rapporto manca, l'uo-mo non pi uomo, alienato dalla sua essenza, altro da s. Ma la relazione di uomo e idea del-l'uomo pur sempre relazione di una entit sensi-bile con un puro intelligibile: cio relazione fra duerealt radicalmente distinte.Tornando a Jung, nei confronti di coloro che lo hannodefinito un cristiano eterodosso , oppure un a-teo , vanno fatti valere due principi. Il primo vuoleche non si dia una versione ortodossa e altrepossibili versioni eterodosse di una medesimareligione. Ogni religione una, immutabile eimmodificabile. Ogni sua parte in relazione neces-saria con le altre e con l'intero. Mutare un particolaresignifica mutare l'intero. Non esistono, dunque, ete-rodossie, cio versioni di una religione che differi-scano dall'originale in alcuni particolari. Ogni presuntaeterodossia da ritenersi una nuova religione. Ilsecondo principio vuole che non si dia ateismo ,poich la religione una dimensione del reale, una regione dell'essere, e dunque non dato di usci-re dalla religione, come non dato di evadere dallarealt. Coloro che fin dall'antichit vennero reputati atei , in tanto erano negatori degli dei tradizionalie li consideravano rifugio della superstizione e del-l'ignoranza, in quanto opponevano ad essi l'ideale del vivere secondo intelligenza , cio una fede uma-nistica, una diversa religione. Atea, dunque, pu dirsiqualunque religione, ove la si giudichi da un puntodi vista che non il suo, ossia la si misuri con ilprincipio di una diversa religione. Questo l'unicosignificato possibile dell'ateismo. Jung dunque nonpu essere a rigore considerato n un eretico n unateo, quale che sia la sua concezione del divino.Ma non pu essere considerato neppure religioso semplicemente perch ha considerato la religione unfattore terapeutico. Religioso colui che unito aDio, comunque Dio lo si concepisca, ideale umano o

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  • potenza divina trascendente l'uomo; e religione ciche in Dio ha il suo principio e il suo fine. Ogni altrafinalit estranea alla religione, compresa quella diessere garanzia di equilibrio psichico e medicina del-l'anima.Jung religioso, e profondamente religioso a nostrogiudizio, ma per tutt'altro motivo: per essersi fatto as-sertore di una religione che ripone nell'individualit laragione suprema dell'esistere, e rientra quindi nelnovero delle moderne religioni umanistiche. Cosa inconcreto sia individualit , quali contenuti la defi-niscano e la determinino, ci che costituisce og-getto della successiva ricerca.

    Fondamenti della ricerca.

    Prima di rivolgerci allo studio dell'opera di Jung perverificare se possa in essa ravvisarsi il nucleo di unpensiero religioso, dobbiamo preliminarmente porrein chiaro su quali principi fonderemo la nostra in-dagine.Innanzi tutto, che cosa debba intendersi per religione.Il comune modo di vedere intende il vero quando rav-visa la religione ovunque si avverta la presenza diun contenuto che vale come il pi degno, di un beneche quello supremo: un contenuto che pu essereun ente sopramondano, ovvero una realt immanenteall'uomo.Nell'un caso e nell'altro trattasi peraltro di un con-tenuto che non ha nulla di sensibile, una pura en-tit intelligibile, e ci importa una prima essenzialedistinzione: di contenuti sensibili, spazio-temporali,quali gli oggetti della natura, uomo compreso, inquanto corpo e psiche; e di contenuti intelligibili, qua-li gli enti della matematica, le potenze divine, gliideali.Tale contenuto intelligibile peraltro unito in un rap-porto irresolubile con la totalit della natura, e intanto riconosciuto come divino, in quanto fonda-mento della natura, la condizione del suo esistere.In questo senso il divino il Signore della natura, ilCreatore.

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  • Ma come la natura non pu pensarsi se non nel rap-porto col suo Principio, parimenti il Signore dellanatura non pu pensarsi se non nell'unione con lanatura. In questo senso il Signore della natura in-carnato nella natura, ed essa la sua manifestazione,divina epifania.Tutta la natura incarnazione del divino, anche seesso risplende in una parte pi o meno altrove .Cos alcuni enti della natura, piante, animali, uomini,montagne, fiumi, astri, potranno incarnare eminente-mente il divino, a preferenza di altri. Nell'unione colloro Signore, l'uomo e l'intera natura trovano lasalvezza, la redenzione. Vivono nel tempo, mapartecipano dell'eterno; sono esseri sacri, incar-nazioni del divino: ego dixi, dii estis . Il divino, ilsacro, una regione dell'essere, una di-mensione delreale, irriducibile a qualunque altra di-mensione dellarealt: la morale, il diritto, l'arte, la scienza dellanatura.Uno il Divino nel suo concetto, ma plurime possonoessere le potenze divine in cui si attua. In realtplurime sono le religioni e l'una non riconducibileall'altra. Individualit assolute, in s chiuse e perfette,senza possibilit di accesso l'una all'altra, le religionisono tutte vere, cio tutte reali: e nell'affermare ciil pensiero non si involge in contraddizione alcuna, inquanto esse sono diverse, non contrarie. Ognipotenza divina una religione, senza riguardo al fattoche si tratti di un ideale umano , come nelle fediumanistiche, o di una potenza extramondana, comenelle religioni della tradizione. Anche nelle fediumanistiche la essenza umana , che vale come ilDivino, si manifesta, si unisce alla natura e assicurala sua redenzione.La sfera del sacro realt assoluta e ogni tentativodi ridurla ad altro, a prodotto psicologico, sociologico,economico, politico, e simile, da respingersi.In particolare da respingere la posizione che pre-tende di ridurre le potenze divine a idee racchiusenella mente dell'uomo, prodotte dal bisogno o dalla

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  • 1) Ci riferiamo all'operamonumentale che allacase di questa ricerca:3. Minozzi, Introduzionea'; o studio della religio-"e, Firenze, Vallecchi,'970; e, in particolare, al-a Sezione Prima di essa.Der il superamento deldualismo di essere e co-noscere si veda anche,dello stesso Autore: Sag-g o di una teoria dell'es-sere come presenza pura,Bologna, II Mulino, 1960.

    paura: posizione che riscuote credito negli ambientidella psicanalisi e della psichiatria. Tale posizionemena vanto di essere scevra da pregiudizi metafisici e in realt si fonda su un presupposto metafisico,quello della vecchia metafisica dualistica, cheafferma: il conoscere altro dall'essere, le ideesono altro dalle cose reali; il conoscere non attingemai la realt quale in se stessa, ma solo l'immaginedel reale quale racchiusa nella mente dell'uomo.L'uomo deve appagarsi del fenomeno: la cosa ins gli preclusa. Conclusione scettica chenecessariamente discende dalla premessa dualisticadell'alterit di essere e conoscere.Corollario di tale posizione che soggetto del cono-scere sia l'uomo, chiuso nella cerchia della sua sog-gettivit o coscienza, oltre il quale sta il mondo inco-noscibile della realt. Racchiuse nella sua mente sonole idee del divino; con lui nascono e con lui muoiono.Se siano il riflesso di una realt divina oggettiva non dato sapere; miglior partito, per una scienza consa-pevole dei suoi limiti, ignorare ci che va oltre ilmero dato soggettivo.Respingere argomentatamente tale posizione, cherende impossibile ogni scienza e riduce il sapere asapere di apparenze, va oltre i limiti di questo lavoro.C' per chi lo ha fatto in maniera esemplare, ea quelle opere rinviamo il lettore (1). Noi ci limiteremoad enunciare i punti fermi che discendono dalsuperamento della metafisica dualistica erestituiscono agli oggetti della religione realt as-soluta.Soggetto del conoscere non la coscienza psicologica,che ha soli contenuti sensibili ed l'insieme deisentimenti, dei ricordi, delle sensazioni, degli impulsi,dei desideri, che sono propri dell'io individuale. Sog-getto del conoscere la coscienza assoluta, che l'orizzonte infinito che abbraccia la totalit del reale,gli oggetti intelligibili e quelli sensibili, include lecoscienze individuali, ed puro vedere: non pos-siede immagini soggettive del reale, ma intenziona

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  • direttamente la realt. La realt presente alla co-scienza cosf intesa nella sua totalit e nella sua as-soluta verit. Nulla esterno alla coscienza: nonesiste dualit di enti conosciuti ed enti reali, ma co-noscere identico e coestensivo ad essere. Nonesiste una sensibilit , come facolt dell'uomo diconoscere le cose. Sensibilit la cosa percepitastessa, quella sfera di contenuti dell'esperienza chesi distinguono per la propriet di essere spazio-temporali, e di mutare. Tali sono gli oggetti dellanatura. Sensibilit coincide dunque con la totalitdella natura, o mondo sensibile. Non esiste un intelletto , che sia un modo soggettivo, e quindifittizio, arbitrario, di apprendere gli intelligibili, leidee. Intelletto la sfera degli oggetti intelligibili, coincide con l'insieme dei contenutidell'esperienza che non sono spazio-temporali, nonmutano (si pensi agli enti della geometria) e la cuicaratteristica l'immutabilit. La loro totalit il mon-do intelligibile, o spirito.L'intelligenza, riguardata come attributo dell'uomo, nozione psicologica, e i suoi contenuti, a dispetto delnome, sono tutti sensibili, non intelligibili. Tuttol'uomo, non solo in quanto corporeit, ma in quantopsichicit, realt sensibile, appartiene alla natura,ed quindi oggetto, non soggetto del conoscere.Mondo sensibile e mondo intelligibile, natura e spiri-to, stanno in una relazione irresolubile di mutua im-plicazione: non si da esperienza sensibile che nonsia al tempo stesso esperienza dell'intelligibile; e nonsi da esperienza di un intelligibile cui non corrispon-da l'esperienza di un contenuto sensibile. Ci valeaffermare che gli oggetti intelligibili sono sempre in-carnati nella realt sensibile, e ogni dato sensibile intanto conosciuto in quanto connesso con un intel-ligibile. E poich conoscere vale essere, si dovr di-re che il mondo sensibile in tanto , in quanto hanei mondo intelligibile il suo fondamento, o il suo prin-cipio, il suo significato, che lo stesso. Nonesistono, dunque, fatti bruti , che non siano

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  • (2) Perch, infatti, siapossibile l'esperienza deltempo, e gli oggetti pos-sano stare tra loro in rap-porti temporali, essereprima o dopo o nellostesso tempo di altri, necessario che vi sia, afondamento, nella co-scienza qualcosa di in-temporale, che non dura,non si estende temporal-mente e che con la sua'presenza determina la di-stinzione ed il rapportodei momenti del tempoe, proprio in quanto nonprende posto nella suc-cessione, la rende speri-mentabile . Lo stesso va-le per il movimento, ilquale pu altrettanto po-co esistere ed essere per-cepito per se stesso, chenon se ne avrebbe alcu-na apprensione, se nonvi fosse a fondamento laesperienza di un essereimmobile e immutabile.Cfr. B. Minozzi, Introdu-zione allo studio della re-ligione, op. cit., pp. 208-209 e p. 219. Per una di-mostrazione della identitdi natura e spazio-tempo-ralit, che qui data perpresupposta, cfr. ibidem,pp. 110-11.

    (3) J. Jacobi, The way ofIndividuation (1965), Lon-don, Hodder & Stough-ton, 1967, pp. 61 e 1t7.

    anche idee: ogni contenuto dell'esperienza sempreper un lato un dato sensibile e per l'altro un datointelligibile.In particolare, non esisterebbe esperienza della spa-zio-temporalit, e quindi non esisterebbe una natu-ra , se ci che trascorre non venisse appreso in re-lazione a ci che non trascorre e ci che muta nonrisultasse tale a confronto con una realt immobile eimmutabile (2): un unico atto, indivisibile,apprende la natura e il suo principio intelligibile.Dire natura , dunque, dire al tempo stesso Principiodella natura, condizione del suo esistere. Nei ter-mini cari alla tradizione, dire natura dire al tempostesso il Signore della natura, il Creatore; l'esperienzadell'una inseparabile dall'esperienza dell'altro.Siamo cosi venuti a riallacciarci a quanto avevamopreso a dire all'inizio, a proposito di ci che debbaintendersi per religione . Intendevamo fissare uncriterio per individuare ci che appartiene alla reli-gione e distinguerlo da ci che appartiene ad altre regioni della realt. Possiamo ora concludere af-fermando che altro criterio non esiste se non l'ana-lisi dei contenuti: e ove si presenti un contenuto chevaie come il supremo, comunque lo si chiami, prin-cipio dell'esistere o fine della vita, senso dell'esisten-za o salvezza dell'uomo, esso appartiene alla reli-gione, potenza divina, trascendente o immanenteche sia. Ad esso va riconosciuta assoluta realt everit.

    PARTE SECONDA

    L'individualit, chiave di volta del pensiero jun-ghiano.

    Supremo scopo della vita per l'uomo diventarela sua vera essenza (3). Cosi Jolande Jacobi sin-tetizza ci che Ella considera e a ragione la chiave di volta del pensiero del Maestro, il nu-cleo centrale del suo insegnamento, l' idea-guida di tutta la sua opera. Egli stesso, del resto, confes-

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  • sava nel testamento spirituale dettato ad Aniela Jaf-f: Tutte le mie opere sono in relazione a questounico tema (4).Si spesso affermato che l'opera di Carl Gustav Jungmanca di unit e di sistematicit, a differenza di quel-la di Sigmund Freud. In realt si confuso la formaletteraria dell'opera (un fatto del tutto inessenziale,estrinseco), con la sua struttura concettuale, la suaessenza. vero che Jung non ci ha lasciato un'opera in cui laforma della trattazione renda evidente l'intrinsecaunit e sistematicit del suo pensiero. Ma ci nonsignifica che la sua dottrina, diffusa in una grandevariet d scritti, estesi e brevi, manchi di unit e dicoerenza.Ove si legga l'opera di Jung badando non all'estrin-seco ma all'essenza, si scoprir che tutto l'argomen-tare si diparte e si articola da un solo nucleo centralee questo verte appunto intorno al tema dell'essenzadell'uomo.Il Cristianesimo era per Jung una verit incapace ora-mai di accendere gli animi. Fin dalla prima fanciullez-za aveva sperimentato la inanit di una catechesiche gli suscitava soltanto una noia mortale , men-tre si sentiva portatore di una verit che i sogni pro-fetici dell'infanzia gli avevano fatto intravedere. Glianni dal 1912 al 1916 lo metteranno a diretto con-fronto col Dio vivente e saranno esperienze ter-ribili. Le opere che seguiranno avranno tutte le lororadici in quel quinquennio e saranno intese a un me-desimo fine: 1) insegnare agli uomini a reggere alconfronto col Dio vivente, senza rimanerne distrutti: esar l'aspetto psicoterapeutico della sua opera;2) farsi assertore della nuova verit che lo hafolgorato come Saulo sulla via di Damasco; e sarl'aspetto religioso, nella veste di un umanesimo cheripone nella individualit , come pienezza dell'umano, lo scopo supremo dell'esistere: il postodella divinit sembra occupato dalla totalit dell'uomo (5).L'uno aspetto interferisce con l'altro, nel senso chela psicopatologia riesce a dire sano e malato

    (4) C. G. Jung, Memories,Dreams, Reflections, Lon-don & New York, 1961, p.206; trad. ital.: Ricordi, so-gni, riflessioni, Milano, IISaggiatore, 1965, p. 235.

    (5) C. G. Jung, Psycholo-gy and Religion (1937),Coli. Works, voi. XI, p.82; trad. ital.: Psicologia

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  • e Religione, Milano, Ediz.di Comunit, 1962 (2. ed.),p. 124).

    (6) C. C. Jung, Psycho-analysis and neurosis(1913), CW. IV, p. 249.

    solo in riferimento a quel principio religioso ed etico;n si vede come potrebbe essere altrimenti. Finch siresta nel campo puramente descrittivo dellapsicologia, non necessario uscire dal campo dellascienza naturale per descrivere fenomeni nella loroconcatenazione e reciproca subordinazione. Maquando si entra nel campo della psicopatologia, ovebisogna agire e per agire occorre valutare, cio sa-pere cosa sano e cosa malato, ci si accorge cheper dire sano e malato bisogna necessariamen-te fare ricorso ad un principio che non appartienealla scienza naturale, ma principio che afferma ciche nell'azione va negato come male affinch il benesi affermi.Ora, ci che nella sfera dell'azione principio delladistinzione di bene e di male, in se stesso l'Asso-luto, l'Altissimo delle religioni tradizionali o l'essenzadell'uomo nelle moderne fedi umanistiche. Andando,dunque, a ricercare, nell'opera di Jung, la ragione percui gli uomini si ammalano, diventano neu-rotici opsicotici, ci imbatteremo necessariamente in unprincipio etico-religioso che ad un tempo fonda la suapsicopatologia e la sua religione. Risale al 1913 laprima lucidissima introduzione di questo principio, nelsaggio Psicoanalisi e nevrosi . La predisposizionenevrotica vi si legge anteriore ad ognipsicologia. Non esiste una etiologia psichica dellanevrosi. I disturbi nevrotici sono fenomeniconcomitanti, non sono la causa della nevrosi. Talecausa appartiene all'ordine ideale, non a quello psi-chico, e consiste nell'essere destinati nonall'adattamento al mondo (al collettivo ), maa compiti e scopi di natura altamente individuale(6). Questa assoluta individualit, non meglioprecisata al momento, costituisce dunque sia lavocazione suprema dell'uomo, sia la cagione dellamalattia mentale.Abbiamo altrove analizzato in esteso come la vo-cazione all'individualit sia alla base della psicopa-tologia junghiana. Intendiamo perci in questa sede

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  • restringerci ad approfondire il significato dell'indi-vidualit, come scopo della vita , bene supremo.

    La vocazione all'individualit.

    La vocazione all'individualit si manifesta assai pre-cocemente in coloro che ne sono gli eletti. Il signumelectionis si manifesta in una particolare predispo-sizione del carattere, anteriore ad ogni sviluppo dellapersonalit, che rende difficile l'adattamento alle co-muni funzioni dello sviluppo. Persino la funzione nu-tritiva pu esserne disturbata, e l'infante nato sotto ilsegno dell'individualit pu trovare difficolt a fruiredel seno materno.Una accentuata sensibilit psicologica rende dif-ficile l'adattamento sociale e l'accettazione dei com-piti della esistenza ordinaria a chi chiamato ad as-solvere compiti altamente individuali . Ma se da unlato l'individualit chiama ad una esistenza singolaree diversa, dall'altra la famiglia, la societ, l'ambienteimpongono la propria legge, che legge comune aipi, legge collettiva, alla quale anche gli uomini-individui debbono inizialmente piegarsi.Il conflitto fra esistenza di tipo collettivo e esistenzaindividuale resta latente per tutta la prima met dellavita. il periodo in cui l'individuo accetta le regole delvivere comune ed acquista un suo spazio nella so-ciet: riceve l'educazione comune, forma una fami-glia, inizia un lavoro, intraprende una carriera. Per lopi accade che l'uomo a tal misura si arrenda allalogica della societ in cui vive, ai cosiddetti valoricollettivi , da divenire totalmente immemore del suodestino individuale.Ormai pensa con la mente di tutti, agisce secondo ilcostume corrente, gli stessi modelli di riferimento cul-turale, che muovono la societ, guidano a sua insapu-ta anche le sue azioni.Ci che meglio caratterizza questa sua resa alla con-dizione umana ordinaria, in questa epoca, la perditadi ogni contatto col mondo dell'istinto, che iltratto distintivo della societ illuministico-borghese.

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  • (7) C. G. Jung, The undi-scovered Self (Presentand Future), (1956), CW.X, p. 291; tr. it: Presentee futuro; in: Realt del -l 'anima, Torino, Borin -ghieri, 1963, pp. 245 -46.

    A mano a mano che l'uomo dell'illuminismo, progeni-tore dell'uomo contemporaneo, prendeva possessodella natura, si ubriacava di ammirazione per lapropria scienza e per il proprio potere, e semprepi profondo si faceva in lui il disprezzo per ci che puramente naturale e casuale, ossia per il dato ir-razionale - ivi inclusa la psiche oggettiva, che tutto ciche non consapevolezza (7). Il trionfo dellaRagione ha per portato a una dissociazionenell'uomo: il divorzio fra intelletto e natura, fraconoscenza e fede, che equivale ad una unilateralesopravalutazione dell'intelletto e ad una negazionedella sfera naturale , che tutt'uno con la psicheoggettiva, intesa come la sede degli impulsi profondi,l'istinto creativo artistico e l'istinto religioso.Chiuso in una fede nei poteri della ragione, l'uomoha cosi perso il radicamento profondo alla natura,che racchiude il segreto di ogni destino individuale,e non ha altra alternativa che lasciarsi guidare dalcostume e dagli orientamenti collettivi.Tutto ci non avviene per impunemente. La naturanegata prende la sua rivincita, e non avendo accessoall'umano attraverso la via della consapevolezza, ir-rompe entro l'umano e ne prende possesso, generan-do disturbi che a livello individuale hanno gradi di-versi di intensit, che vanno dalla nevrosi alla psicosi,e a livello sociale possono ingenerare disordini, chevanno dai conflitti fra i gruppi, ai rivolgimenti istitu-zionali, ai conflitti fra le nazioni. Il momento dellaresa dei conti sopraggiunge per l'uomo individualein quel delicato momento in cui il raggiungimentodei fini sociali compiuto e l'arco della vita volgeverso i fini culturali : la conquista del senso dellavita e la preparazione alla morte.Per lui, l'insorgenza dei disturbi causati dal divorziocon la natura , che la psiche oggettiva, ha ilsignificato di una chiamata , l'ultimo appello allasua originaria vocazione . A questo punto la rinun-cia alla hybris dell'intelletto, per cedere all'invitoche gli giunge dal profondo, dal demone interiore,

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  • dal regno delle madri , si impone come sceltamorale .Lo attende un cammino che periglioso e difficile,pieno di incognite e di rischi mortali, perch il segretodel suo destino individuale bens inscritto nellanatura, ma difficile da decifrare; un tesoro diffi-cile da raggiungere perch vigilato da divinit di-voratrici, che rendono incerto l'esito della vicenda.C' chi in questo cammino si perde e resta vittimadella psicosi. Ma rinunciarvi significa rimanere unamera accidentalit, cui l'immortalit negata: chiun-que prende la strada sicura come se fosse mor-to (8).L'individualit dunque quel bene supremo che di-stingue l'uomo dal non uomo; ci per cui l'uomopu veramente dirsi immortale e la vita degna di es-sere vissuta. Al di fuori di essa la pura esistenzaanimale.

    L'essenza dell'individualit.

    Non completo n intero l'uomo quale si sviluppa nel-la prima met della sua vita, cio nella fase del suosviluppo sociale. La societ lo costringe a sacrificareuna parte di s, del suo organismo psichico, e a farvalere soltanto quella parte che utile agli scopisociali. In questa societ occidentale utile sviluppa-re, delle quattro funzioni di cui la psiche capace(intelligenza, sentimento, intuizione, sensazione), sol-tanto l'intelligenza. Le altre rimarranno rudimentali earcaiche, nel senso che sar reso precario all'indivi-duo l'accesso alla realt dei sentimenti, delle intui-zioni, delle sensazioni e la realt per lui fruibile sarestremamente diminuita e impoverita. Questa stessasociet privilegia, dei due tipi di atteggiamentopossibili, l'estrovertito e l'introvertito, quelloestrovertito, che giova ai rapporti competitivi su cui sibasa la dinamica sociale e la lotta per il potere.L'introversione, che propensione per gli oggetti in-terni, autoriflessione e distacco dall'esteriorit, vienescoraggiata e punita, quindi sacrificata.

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    (8) C. G. Jung, Ricordi,sogni, riflessioni, tr. it.cit., p. 332.

  • (8b) C. G. Jung, Ricordi,sogni, riflessioni, tr. it.cit., p. 310.

    Uguale sorte riceve la funzione di rapporto con ipropri contenuti profondi, l' anima , che nell'uomol'aspetto femminile della sua personalit e che do-vrebbe aiutare l'Io a entrare in relazione con il mon-do della natura la psiche oggettiva e me-diarne i messaggi, renderglieli accessibili. Il sacri-ficio dell'anima taglia i ponti con la natura e disan-cora l'uomo dai suoi ancoraggi profondi, dal suo ra-dicamento alla natura: recide i legami fra lo e istintoe lascia i due poli della relazione irrelati e nemici. Lasociet, questa societ, mentre costringe l'uomo alsacrificio dell'anima, lo incoraggia a sopravalutare,e a sviluppare oltre il segno, la sua funzione dirapporto con l'esteriorit, col sociale, la sua facciatasociale, la persona . Al punto che l'uomo finisceper credere di essere ci che appare, di essere nien-t'altro che il suo ruolo sociale. In realt soltanto undimidiatus vir, in cui l'esteriorit padrona, e il costu-me, la moda, il si dice , le attese collettive hannola meglio sulie esigenze della sua vera essenza.L'istintivit bandita e con essa il complesso di at-teggiamenti, impulsi, desideri, inclinazioni, sentimentiche pur fanno parte dell'uomo, ma che questa so-ciet ha farisaicamente disconosciuto e bandito. Cosil'uomo costretto a rinnegare tutta questa parte dis, a fingere di non possederla e a respingerla ognivolta che gli si ripropone. Ma questa resta come suadannazione che sempre di nuovo alle soglie dellacoscienza e urge per venire alla luce. la suaombra, nel duplice senso che inseparabile dalui, ed il suo lato tenebroso.Ma un uomo che non passato attraverso l'infernodelle passioni, non le ha mai superate: esse continua-no a dimorare nella casa vicina, e in qualsiasi mo-mento pu guizzare una fiamma che pu dar fuocoalla casa stessa. Se rinunciamo a troppe cose, se cele lasciamo indietro, e quasi le dimentichiamo, c'il pericolo che ci cui abbiamo rinunciato o ci siamolasciati dietro le spalle, ritorni con raddoppiata vio-lenza (8 b). L'uomo dimezzato dunque colui cheper essersi

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  • fatto schiavo del mondo , ha rinunciato alla com-pletezza, ed un uomo che ha sviluppato l'intelligen-za, ma estraneo al mondo dei sentimenti; proiet-tato al di fuori di s, ma non riesce a raccogliersi perriflettere su se stesso; ha un ruolo sociale, una fac-ciata, forse estremamente rispettabili, ma privo diprofondit, non ha contatti con la propria interiorit; educato e civile , ma si porta addosso unacarica di istintivit, potenzialmente esplosiva, tantopi pericolosa quanto pi disconosciuta e abbandona-ta a se stessa.L'uomo intero o totale colui che vive nel mondo manon si arreso al mondo; non ha rinunciato alla suaindividualit e perci persegue la sua completez-za : sviluppa tutte le funzioni psichiche, non soltantol'intelligenza, ma il sentimento, la sensazione, l'intui-zione; tempera la estroversione verso il mondo ester-no, con l'introversione verso i propri contenuti infe-riori; ha un ruolo sociale, ma affida alla propria animafemminile il compito di guidarlo entro i segreti delmondo inferiore. Conosce il proprio fondo oscuroed empio, le richieste istintive della propria natura, esa che la liberazione dalle ambizioni e passioni che cilegano al mondo sensibile passa attraverso l'adem-pimento sensibile delle richieste istintive piuttosto cheattraverso la prematura rimozione di esse gover-nata dalla paura (9). E in tanto capace di questoequilibrio, in quanto ha fede nella superiore razio-nalit della natura che gli si rivela attraverso il lin-guaggio cifrato del simbolismo onirico; accoglie que-sto come manifestazione della volont divina, e per-ci lo riguarda religiosamente, pone ogni cura nel de-cifrarlo, e ne trae indicazioni per l'orientamento dellapropria vita. L'uomo intero colui che ha dimesso la hybris dell'intelletto e si affida al divino volereche in lui. A lui riservata la divina prerogativa ,l' indescrivibile esperienza di essere come un fan-ciullo, abbandonato ed esposto a tutto, eppure di-vinamente potente (10).

    (9) C. G. Jung, Commen-tary on The secret ofth Golden F lower (1929), CW. XIII, p. 8.

    (10) C. G. Jung, The Psy-chology of th Child Ar-chetype (1940), CW. IX/1,p. 179.

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  • (11) C. G. Jung, Psycho-logy of th transference(1946), CW. XVI, p. 321;tr. it.: La psicologia deltransfert, Milano, II Sag -giatore, 1961, pag. 174.

    A livello biologico e psicologico ogni uomo si svilup-pa secondo un piano che ad un tempo universal-mente umano e inconfondibilmente individuale. Cosi a livello di destino. Ogni esistenza pu incarnareuna versione, che sia unica e irrepetibile, del desti-no universale dell'uomo. Prendere coscienza del pro-prio destino particolare, rifiutare i modelli di esi-stenza proposti dalla collettivit, trovare in se stessile linee guida della propria esistenza: in ci con-siste l'individualit per ci che unicit. Lacondizione perch ci si realizzi che la guidadell'esistenza sia affidata al divino volere che si rivelanel profondo, attraverso il linguaggio delle immaginipsichiche. Solo facendosi natura, docile come lanatura al divino volere, anche l'uomo pu parteciparedella infinita variet del reale, e godere quindi di undestino irrepetibile e unico.Al di fuori della divina invenzione creatrice, all'uomcnon resta che modellare la sua vita sugli schemi delcomportamento sociale, che riducono all'identico ciche poteva essere diverso, rendono statisticamenteprevedibile ci che dovrebbe essere imprevedibilee costringono alla monotonia della vita del greggequella che dovrebbe essere la divina avventura del-l'esistere. Tale la sorte dell'uomo-massa, che nonsa pi cosa sia l'umano e ha perso la propria ani-ma (11).

    Individualit, archetipo del S, immagini arche-tipiche.

    L'individualit, come principio e scopo dell'esistere,non ha nulla di sensibile, pura norma ideale. Jungla chiama il S, l'uomo totale, l'Anthropos, l'uomo in-teriore, l'uomo eterno, che modello di vita per l'uo-mo terreno. Per questo non aver nulla di sensibile, ilS detto anche archetipo . Ma se uno il S,molteplici sono le raffigurazioni psichiche, e quindisensibili, del S, che Jung chiama immaginiprimordiali o immagini archetipiche . Esse sonociascuna una raffigurazione sensibile di un aspettodel S. Per questo carattere di rappresen-

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  • tare il S, ma mai compiutamente, per l'impossibilitdel sensibile di esprimere compiutamente l'intelligi-bile, le immagini archetipiche sono anche dette sim-boli del S . Simbolo , dunque, per Jung diverso da meta-fora , e sta per raffigurazione, figura, sche-ma del Divino.Talvolta, peraltro, Jung usa simbolo anche per de-notare particolari enti della sensibilit con cui il Di-vino si unisce. Non raffigurazioni, dunque, ma incar-nazioni della potenza divina: cosi il serpente, la vac-ca, i sacri lingham, statue e oggetti sacri, e cosi via.

    Pluralit delle immagini archetipiche, unicit del-l'archetipo.

    Uno l'archetipo, molteplici le sue figure. Que-sto vale per ogni potenza divina. Ogni archetipo di-vino, in s uno e puro intelligibile, si dirompe, alcontatto con la psiche, in una pluralit di rappresen-tazioni sensibili, ciascuna delle quali ne illustra unaspetto, una propriet. Non si pu quindi ricondurre come parrebbe essere in Jung ciascuna imma-gine archetpica ad un distinto archetipo, bens sus-sumere sotto il medesimo archetipo la molteplicitdelle immagini che vi fanno riferimento. Si dovrdunque dire che per ogni religione una la potenzadivina, ovvero uno l'archetipo, e molteplici le suefigure.In Jung, solo il S l'archetipo, e tutte le immaginisono sue figure. Parlare dell'archetipo dell'anima, del-l'archetipo dell'ombra, dell'archetipo del puer, dell'ar-chetipo del Saggio, solo un modo improprio di farriferimento a particolari aspetti dell'unico archetipo,che l'archetipo del S.

    L'inconscio collettivo.

    Potenze divine, puri intelligibili, sono da ritenersi gliarchetipi, e non prodotti di una comune psiche in-conscia che Jung com' noto chiama inconsciocollettivo. Tutto ci che psichico, cio sensibile,non pu produrre l'intelligibile: la relazione dsensi-

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  • (12) A tale dottrina abbia-mo fatto riferimento pisopra quando abbiamoaffermato che il divino,che non ha nulla di psi-chico, cio di sensibile,nella sua essenza, vieneperaltro raffigurato nellapsiche in immagini e fi-gure, che ne colgono a-spetti e propriet parzialie che rappresentano l'uni-co mezzo che l'anima hadi possedere a suo modouna parvenza del divino.

    bile e intelligibile, di natura e spirito, quella cheabbiamo tentato di delineare all'inizio di questo la-voro, ed implica l'irriducibilit di uno dei due terminiall'altro.Riconoscere, peraltro, la natura intelligibile dell'ar-chetipo avrebbe significato rendere privo di conte-nuto e quindi inesistente l'inconscio collettivo, cheinvece nozione per quanto insostenibile sulpiano speculativo che svolge una funzione impor-tante nell'economia del pensiero junghiano. PerciJung, quando si trovato a dover distinguere tra ar-chetipo e immagine archetipica , che la distin-zione stessa di ente intelligibile ed ente sensibile, hapreferito rifugiarsi dietro le parole e lasciare irrisoltoil problema della natura dell'archetipo. Chiamandolo,infatti, psicoide (quasi-psichico), ha creduto dipoterlo relegare in una sorta di limbo n sensibile,n intelligibile, che in realt non esiste. L'ipotesi diuna comune psiche inconscia, se non pensabilecome fondamento degli archetipi, non neppurnecessaria a spiegare la ricorrenza delle medesimeimmagini archetipiche nella psiche di individuidiversi, in tempi e luoghi diversi, (sempre che cieffettivamente avvenga e non si scambi l'analogo perl'identico). A fornire una corretta spiegazione delfenomeno sufficiente la dottrina della figurazionepsichica del divino (12).Resta dunque da sapere quale funzione svolga lanozione di inconscio collettivo, quale valore essaabbia.La tesi che noi avanziamo che si tratta di unanozione che non appartiene al dominio della psico-logia e della scienza naturale, ma trova la sua realte verit in una diversa sfera del reale. In verit, iltentativo di far passare la nozione di inconsciocollettivo per una realt scientificamente fondata stato fatto. Solo ammettendo si detto unastruttura psichica comune all'umanit tutta possibilespiegare la produzione costante, in tutti i tempi epresso i popoli pi diversi, di motivi mitici analoghi oaddirittura identici. Senonch. come mo-

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  • streremo pi avanti, nessuna validit scientifica dariconoscere a quel metodo che intende istituire ana-logie e parallelismi fra i materiali delle fedi dei di-versi popoli. Perci infondate risultano le dottrine,compresa quella di inconscio collettivo, che riponga-no il loro fondamento sulla validit di tale metodo. Laverit della dottrina dell'inconscio collettivo dunqueda ricercarsi in un campo diverso dalla psicologia edalle altre scienze della natura. La funzione che atale dottrina va riconosciuta quella di concorrere aricondurre la pluralit delle religioni all'unica religio-ne del'individualit.Se, infatti, una la psiche, e se la religione unafunzione della psiche, una dev'essere anche la reli-gione. A garantire, poi, che quest'unica religione siala religione dell'individualit provvedere la particolareinterpretazione che Jung fornir delle rimanenti re-ligioni (come vedremo pi avanti).Perci ci sembra di poter affermare che se la dottrinadell'inconscio collettivo non appartiene alla scienzapsicologica, appartiene di diritto al dominio della re-ligione, in quanto svolge una funzione religiosa. Me-diante tale dottrina, infatti, la religione dell'individua-lit si apre la possibilit di risolvere in s tutte lealtre religioni, vanificando la loro distinta essenza eannullando la loro irriducibile e assoluta individualit.Riconoscendole tale funzione, possibile dare alladottrina dell'inconscio collettivo la sua esatta collo-cazione e il suo vero fondamento.

    Individualit e individuazione.

    Individualit ci che fa uomo l'uomo; scopo su-premo dell'esistere, oltre il quale non resta che lospettro di una esistenza sub umana; l'essenza del-l'umano, che si unisce all'uomo, lo salva dalla puraanimalit, lo fa rinascere nello spirito. Maindividualit tesoro difficile da raggiungere, privilegio di pochi. Questo, dell'essere riserbata apochi, un aspetto costitutivo dell'individualit. Ma altres fonte di equivoci per gli esegeti.

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  • Fuorviati forse dalle immagini, cui Jung fa spesso ri-ferimento, dell'individualit come tesoro nascosto ecustodito dal drago, che l'eroe riesce a conquistareal termine di una perigliosa vicenda, si indotti acredere che il possesso dell'individualit, che l'in-dividuazione, sia uno stato che l'uomo raggiunge se mai lo raggiunge al termine di una vicenda, ovia, o processo, o come lo si voglia chiamare, lungoe pericoloso, che si conclude con la vita stessa. Enon ci si avvede che tutto quel processo, o cammino, la vita stessa come manifestazione dell'individualit, individualit in atto; e in tanto l'uomo riesce apercorrerlo in quanto il divino in lui, e l'individualit,nonch un premio che lo attende alla fine, graziache gi lo sorregge: il Regno di Dio in mezzo avoi . L'errore che si commette di trasporre neltempo i caratteri costitutivi dell'individualit cheappartengono all'eterno.La propriet d'essere via, peregrinatio, cammino, be-ne da ricercare, beatitudine da raggiungere, appartie-ne alla essenza dell'individualit, interna al suoconcetto. L'eroe che scende agl'inferi, muore e rina-sce, parabola di questo aspetto dell'individualit;non ha che vedere con l'uomo in carne ed ossa. Perquest'ultimo, l'individualit non qualcosa che stiaal di l o al di fuori della vita, ma un bene che coin-cide con la vita stessa: poich ricerca, via, peregri-natio la vita umana tutta intera, qualora la si ri-guardi come individualit in atto, manifestazione delladivina essenza dell'uomo.Si potr dire che l'individuazione comporta gradi, nelsenso che la divina essenza dell'individualit s'in-carna in misura diversa negl'individui, pi in alcuni,meno in altri, e in misura diversa nei vari momentidella vita. Ma non si da un'epoca della vita in cuil'unione col divino non esiste ed da realizzare: leconversioni, le metanoie, sono trapassi da un'altra re-ligione in quella dal cui punto di vista si giudica;mai un trapasso da uno stato religiosamente neu-tro ad uno stato religioso. Un secondo equivoco,prossimo al precedente,

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  • che l'individuazione sia il risultato di un processo,una sorta di procedimento alchemico al termine delquale l'individuazione si produce, come un preci-pitato chimico in provetta.In verit, nessun processo pu produrre l'indivi-duazione, poich individuazione unione dell'uomocol divino, e questa unione in atto da sempre, opera divina e l'uomo non avrebbe neppure inco-minciato a proporsi l'individualit, a cercare il di-vino, se questo non lo avesse per primo chiamatoe attratto a s.Si pu soltanto affermare che sotto il nome d pro-cesso di individuazione va considerato un processopsicoterapeutico che verte intorno agli effetti deldivino sulla psiche ed volto a trasformare tali ef-fetti da pericolosi per l'Io, in salutari, mutando larelazione che con essi intrattiene l'Io. Tale processoterapeutico non pu produrre l'individuazione comegeneralmente si crede perch la individuazione compito di Dio, dell'individualit, non dell'uomo enemmeno della psichiatria. Pu soltanto curare lemalattie dell'anima, donare salute psichica, che tutt'altra cosa dalla salvezza che l'individuazio-ne porta all'uomo. Salute psichica e salvezza nonvanno insieme, come noto da sempre, e pu bendarsi di trovare individui psichicamente malati cheincarnano l'individualit, e individui psichicamentesani in cui non si mai neppure accesa la divinascintilla dell'individualit (13).

    Il processo di individuazione.

    Nonch produrre l'individuazione, il processo di in-dividuazione la presuppone e i contenuti psichiciche lo caratterizzano, cio le immagini archetipi-che, sono i prodotti della psiche sotto l'impressio-ne del divino.L'interpretazione che intendiamo proporre del pro-cesso psichico cui Jung ha dato il nome di proces-so di individuazione , di una attivit che mira asalvaguardare l'Io dai pericoli cui incorre nell'unione

    (13) Questa posizione sostenuta da A. Guggen-bhl-Craig; Nevroticigravi possono essere ' in-dividuati ', andar vicino alsenso della vita; esseripsichicamente sani, spes-so, non hanno alcun rap-porto con la scintilla di-vina che in noi , in:Rivista di Psicologia Ana-litica, voi. Ili, n. 1, 1972,p. 106.

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  • col divino, attraverso l'impiego di una tecnica in-tesa a liberare l'Io dal soverchiante dominio del Se a ristabilirlo in una posizione di relativa autonomianei confronti del suo Principio. Per questo aspetto ilprocesso di individuazione una tecnica psico-terapeutica e come tale appartiene alla psichiatria.Per altro verso si potr ancora parlare di processodi individuazione, ma sarebbe pi appropriato par-lare di Individualit in atto, a proposito della vitastessa dell'individuo governata dal principio dell'in-dividualit: ed allora il processo attraverso il qualeil principio divino atteggia la vita dell'individuo,modella la sua psiche, libera i comportamenti, gl'im-pulsi, i desideri, i sentimenti idonei ad incarnarlo, ebandisce gli altri; si pone come criterio di bene edi male, che soppianta ogni altro criterio. A questavita di unione dell'uomo e del suo Principio,attraverso cui la vita dell'individuo si trasforma e siuniforma sempre pi al divino ideale, meglio convieneil termine di mysterium coniunctionis, introdotto daJung nelle opere della piena maturit.

    Individualit, individuazione, sintesi degli opposti.

    Siamo ora in grado di porre in chiaro cosa debbaintendersi per sintesi degli opposti , un tema con-tinuamente ricorrente in Jung, cui sembra corrispon-dere l'essenza stessa dell'individualit. Noi abbiamodistinto individualit, che il concetto stesso deldivino, da individuazione, che l'unione del divino edell'umano, il vivere secondo l'individualit.Abbiamo visto che individualit significa pienezzadell'umano, realizzazione non solo del lato luminosoe positivo dell'uomo, ma di quello oscuro ed em-pio; non solo dei suoi caratteri maschili, maaltresf di quelli femminili . Per questo suo carat-tere l'individualit detta sintesi di opposti . Op-posti, s'intende, in senso del tutto empirico: che quanto dire diversi, contrastanti. Abbiamo altresf vistoche individuazione la relazio-

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  • ne irresolubile di individualit e di uomo, di divinoe di umano, dunque di spirito e natura. Sintesi degliopposti , in questo caso, da intendersi l'unionedelle due determinazioni non opposte, ma diverse,della realt, il sacro e la natura, che nell'in-dividuazione si realizza. Sintesi degli opposti ha dunque un duplice si-gnificato: per un lato designa una propriet dell'in-dividualit, quella di unificare contenuti di espe-rienza che nel comune modo di parlare vengonoindicati come opposti; dall'altro sta a significarel'unione del divino e dell'umano, della essenza uma-na che l'individualit e dell'uomo, nellaunit dell'individuazione.

    Individualit e malattia dell'anima.

    La religione dell'individualit interferisce con la psi-chiatria di Jung nel senso che il principio dell'in -dividualit fornisce il criterio per valutare ci che psicologicamente sano da ci che non lo .Malattia dell'anima infatti sia la caduta dal S,che rende la vita priva di significato; sia l'incontrocol S, che pu travolgere l'Io, o mediante senti-menti d timore e terrore, che si esprimono attra-verso immagini terrificanti (le divinit divoratrici),o facendo agire inconsapevolmente determinatiaspetti del S: la fanciullezza (il puer), la fem-minilit (essere posseduto dell'anima), la persona-lit potente (il delirio di grandezza, l'inflazione).Compito della psicoterapia d liberare l'Io da que-sti stati di possessione, interpretando l'invasionedel nume come la sollecitazione a prendere consa-pevolezza dei propri personali aspetti di fanciullo,di anima, di ombra, di potenza. Nell'attivit e nelfervore con cui l'uomo tende a rendere a smanifesti e ad assumere consapevolmente questiaspetti della propria personalit, nello spirito di unareligiosa sottomissione al S, si manifesta il mysterium coniunctionis , l'unione col divino.

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  • I risultati di questa attivit interessano la salute psi-chica, e quindi la psichiatria (qui usata nello stessosenso che psicoterapia); non interessano la religione,per la quale l'uomo si salva, anche se infermo, perla sola fede.

    Individualit e mondo sensibile.

    Come ogni potenza divina, anche l'individualit siunisce alla natura e si rende manifesta negli indi-vidui. In virt di tale unione certi uomini possonoapparire simili agli dei . In questo senso si spiegaquel fenomeno di religiosa sottomissione alle figureparentali o ai maestri, che Jung interpreta come proiezione su di essi dell'archetipo del S.Proiezione fenomeno psichico e concerne il tra-sferimento su altri di certi contenuti psichici, checi appartengono ma sono inconsci. Ora, l'archetipodel S non contenuto psichico, ma puro intel-ligibile, non ha nulla di sensibile: perci non puvenire proiettato. peraltro unito all'umanit, per la necessit stessadell'incarnazione: nel qual caso la sua presenza reale, e l'avvertirla non sinonimo di errore (comesempre nei casi in cui si percepisce un contenutoche stato inconsciamente proiettato), ma assolutaverit.

    PA RT E T E R ZA

    Le religioni, allegorie dell'individualit.

    Ci volgeremo ora a considerare quell'aspetto del-l'opera di Jung inteso ad isolare alcuni fattori chesi ritrovano in tutte o quasi tutte le credenze e aistituire mediante l'uso del metodo comparativo analogie e parallelismi tra i materiali delle fedi deidiversi popoli e la dottrina della individualit. La tesiche sottende tutto quest'aspetto dell'opera di Jung che tutte le religioni sono, sotto veli allegorici,preannunci della vera fede, poich in tutte siritrovano simboli di totalit, quali i mandala ,

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  • il quadrato, il cerchio, la croce, il numero quattro;ovvero motivi che alludono alla via da percorrere,all'opera da compiere, alla conquista del tesoro na-scosto, alla discesa agl'inferi, alla morte e alla ri-nascita.Per quanto concerne i miti pre-cristiani del vicinoOriente, il compito della loro interpretazione allego-rica fu reso facile a Jung dall'opera di studiosi ro-mantici, come il Frobenius, che gi avevano prov-veduto a interpretarli , atteggiando le azioni diquelle potenze divine a imprese dell'eroe, romanti-camente concepito.Ci che in quelle azioni vi di specifico e di irridu-cbile, viene trascurato, e ci che viene ritenuto il generico schema di un viaggio notturno, cio in-fero, abissale, nel quale l'eroe soffre tormenti, af-fronta pericoli e cimenti mortali, ma raggiunge lameta e conquista il tesoro, poco importa cosa inconcreto esso sia. Il suo ritorno alla luce una ri-nascita, poich nell'impresa egli ha conquistato laimmortalit.Del Cristianesimo, nulla di ci che gli peculiare consaputo da Jung: invano vi si cercherebbe lavicenda del Dio di amore, che a tal punto ama l'uomoda morire per lui, e morire di croce . L'incarnazio-ne viene per cosi dire messa in parentesi, e il Dioincarnato diventa una pura allegoria dell'uomo to-tale, del S. Anzi, diventa tale solo a patto che losi assuma nell'unit con l'Anticristo, poich il Cristostorico pecca di una imperdonabile unilateralit: solo luce e perfezione morale, mentre il S sin-tesi di luce e di tenebre, d spirito e carne, Dio eSatana insieme. Il S non perfezione, ma comple-tezza.Delle religioni del lontano oriente ci che soprat-tutto interessa Jung la forma geometrica dei lorosimboli religiosi, i mandala . Il loro aspetto circo-lare o quadrato, o comunque simmetrico rispettoagli assi passanti per il centro, rivelerebbe, senzaombra di dubbio, che quelle fedi sono antiche pre-corrtrici della fede nel S. Il mandala un simbolo

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  • - Cfr. B. Minozzi, In-rduzione allo studio dei-

    di totalit, dunque una raffigurazione del S. Jungnon ha dubbi.Con uguale certezza egli vede nel Dio prigionierodella materia, che l'alchimista si studia di liberareattraverso le complicate fasi dell' opus alchemi-cum , ancora una allegoria dell'uomo intero, del-l'Anthropos, del S.In questo modo, le altre religioni, anzich esserecondannate come false, vengono atteggiate a figura,anticipazione, presentimento della propria. Senonchuna simile conclusione riposa su di un procedimentoaffatto arbitrario, il cosiddetto metodo comparativo,che pretende di istituire analogie e parallelismi fraelementi di fedi diverse, presi isolatamente estaccati dall'unit organica in cui sono immessi.Gli elementi particolari di ogni religione hanno illoro significato solo in relazione agli altri tutti cheformano l'insieme cui appartengono e merc il po-sto che vi occupano, e presi separatamente nonhanno pi senso alcuno, il senso essendo dato dallarelazione, cio dalla totalit. Ogni religione in sestessa un sistema, in cui ciascun elemento occupauna posizione determinata, che non pu esserediversa da quella che , rispetto ai rimanenti, enessuno dei quali esiste anche fuori di lei. L'errore di considerare una particolare idea separatamentedalle altre e di perdere di vista l'intero. Uno o pielementi, separati dalla totalit di cui fanno parte,possono riscontrarsi apparentemente identici nellepi lontane religioni, ma tutti i raffronti compiuti suquesta base sono illusori perch, riguardatinell'organismo cui appartengono, quegli elementistanno in un ordine che non si ritrova innessun'altra fede. Essendo ognuno di essi infunzione degli altri, ed essendo la loro realt e il lorosignificato completamente determinati dalle relazioniin cui sono immessi, basta che due religioni mostrinoanche un solo elemento diverso perch siano deltutto differenti (14). Se le religioni si potesserorisolvere nei loro ele-

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  • menti costitutivi senza annullarle e senza mutarel'organismo vivente in un cadavere, si osserverebbeche questi elementi compaiono dovunque tutti, eche le religioni sono perfettamente uguali. Ma nellereligioni cosi come esistono, e non come si dissol-vono con l'astrazione, le varie cose sono differen-temente disposte di fronte a Dio e perci sono di-verse nel loro valore e nel loro significato. In ognireligione c' posto per quanto per l'universo s squa-derna, ma in ognuna in una particolarissima relazio-ne con l'Altissimo, che non si ritrova in nessun'al-tra (15).La verit che intendiamo far valere contro il metodocomparativo che impossibile istituire paragoni oconfronti fra le religioni, poich le religioni sonoindividualit assolute, cio realt a s stanti, senzaalcuna relazione fra loro. Pertanto, anche la nozione diinconscio collettivo, la cui validit riposa sullapossibilit di istituire confronti e di ritrovare analoge,che poi vengono tacitamente accolte come identit,fra i motivi delle diverse fedi, si rivela priva di ognifondamento, come gi si era detto, ove la si vogliafar valere come nozione scientifica.

    Il significato dell'interpretazione allegorica delle re-ligioni.

    Se dunque l'assoluta alterit delle religioni dev'es-sere tenuta per ferma e la loro diversit riconosciutairriducibile, in che modo pu essere ancora ritenutaconcepibile o giustificabile la posizione di Jung cheatteggia le religioni del passato ad anticipazioni del-la propria, e i loro dei ad allegorie del S? Ebbene,la considerazione con cui abbiamo cercato dimostrare come sia insostenibile sul piano speculativoogni tentativo di porre le religioni in una qualunquerelazione fra loro, ha il solo scopo di renderemanifesto ci che tali tentativi non sono. Essi nonsono dottrine speculative, teorie intorno alla reli-gione, perch come tali sono insostenibili.

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    la religione, op. ct., pp.495-96.

    (15) Cfr. B. Minozzi, ibi-dem, pp. 505-6.

  • (16) Cfr. B. Minozzi, ibi-dem, pp. 852-53.

    (17) Cfr. B. Minozzi, ibi-dem, p. S31.

    Se invece, poich un senso devono pur averlo, li siriguarda come manifestazioni religiose, vita religiosa inatto; non riflessioni sulla religione, ma opera direligione, allora li si accoglie nella loro genuinafisionomia, e come tali essi sono pienamente con-cepibili e giustificabili.Interpretare allegoricamente le altre religioni signifi-ca: in primo luogo privarle di realt e verit, col di-chiarare che i loro contenuti non erano quali veni-vano consaputi in esse; in secondo luogo atteggiarlecome preannunci della vera fede, sotto veli, anzicome elementi propri di questa, che universale,l'unica religione esistente, in cui tutte le rimanentientrano in quanto sono davvero religioni (16). Ora,questa negazione religiosa delle altre fedi propriadi ogni religione: ogni religione, per affermare sestessa, deve negare tutte le restanti; e questanegazione essa la compie atteggiando i loro oggetticome simbolici, cio come irreali (17).Che di negazione religiosa si tratti, e non di altro,non di una operazione ' scientificamente ' fondata,come si soliti credere, appare chiaro sol che sirifletta che il contrasto non pu aver luogo altro chetra termini omogenei, e se la religione in questocaso oggetto di negazione, religioso deve essereanche il punto di vista da cui la negazione vieneoperata.E, si badi bene, la negazione compiuta mediantel'allegorismo, totale, proprio nella misura in cui lealtre fedi vengono accolte come parzialmente vere.A ben guardare, infatti, la verit compiuta e per-fetta solo nella religione dell'individualit: le altresono solo parzialmente vere, e ci che hanno dispecifico e di irriducibile alla dottrina dell'individua-lit, proprio perch diverso da quell'unica verit,non pu che esser falso.Pertanto ogni diversa religione, per ci che vera,non altra ma identica alla fede junghiana; per ciche diversa, falsa, soluzione collettiva alproblema religioso (vedi il caso delle fedi eccle-siastiche ) Un radicale rifiuto di tutte le altre fedi

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  • dunque perentorio in Jung, sotto la superficie diun atteggiamento accattivante. La ragione di taleatteggiamento non difficile da intendere, ove sirifletta che ogni nuova religione, per facilitarsi ilcompito della penetrazione degli animi, ha semprepreferito presentarsi come continuazione ecompimento delle precedenti, anzich comesovvertimento di ogni precedente credenza.Analogamente non deve stupire che le pi appas-sionate professioni di fede scientifica, di empirismo,siano pronunciate da Jung proprio l dove il suodiscorso ha pi trasparenti implicazioni religiose.Baster ricordare che la pi diffusa delle fedi mo-derne, l'illuminismo borghese, ha fatto della scien-za la propria arma ideologica, e di essa si serveper debellare ogni altra fede che non si presentisotto una veste che possa dirsi scientifica.

    Che il rifiuto delle altre fedi sia totale, al di l diogni superficiale apparenza, diventa palese quandosi passi a considerare il rapporto in cui l'umanesimojunghiano si pone con le fedi umanistiche moderne.Una medesima condanna accomuna l'umanesimoborghese e quello marxista. Entrambi esaltano lospirito scientifico e razionalista, con la sua tendenzaal livellamento statistico; entrambi propongono al-l'uomo scopi collettivi e materialistici; entrambi di-fettano dell'unica cosa che conti di una idea cheponga il singolo essere umano al centro del mondo,come misura di tutte le cose . Tutte le fedi mo-derne hanno l'imperdonabile torto di proporre uto-pistici paradisi all'uomo-massa, e di ignorare che lasalvezza del mondo consiste nella salvezza dellasingola anima, e che il pi urgente problema, pro-prio in vista dei fenomeni di massa di oggigiorno, la metamorfosi dell'uomo interiore (18). Le fediumanistiche vengono cosi rappresentate come lanegazione dell'individualit, e dunque negate nell'attostesso in cui questa viene affermata. Nulla di ciche effettivamente appartiene a quelle fedi

    (18) Cfr. C. G. Jung, Theundiscovered Self (Pre -sent and Future) (1957),CW. X, pp. 245-305, pas-sim; tr. it. Presente eFuturo, in: Realt del -

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  • l 'anima, op. cit, pp. 194-262.

    19) Cfr. B. Minozzi, op.cit., p. 523.

    viene consaputo o esaminato: ci che viene respin-to, e si dice appartenga ad esse, in realt soltantoci che la individualit non , il suo opposto ne-gativo.La negazione delle altre fedi , dunque, in realt unaffermare ci che l'individualit non : un definirlanella sua opposizione col non essere. Non un atto,dunque, che ha luogo tra termini tutti reali, tra va-rie credenze, ma un atto interno a quella singolacredenza, tra ci che essa e ci che esclude diessere e che non ha realt fuori di questa esclu-sione.Sia che respinga in toto, sia che in apparenza ac-colga parti di altre religioni, una religione non escemai di se stessa e ci che afferma ha realt soloall'interno di se medesima: qualsiasi cosa nell'am-bito di una particolare religione si pensi delle altre, un elemento di quella religione; di qualunque cosauna religione parli, essa parla sempre soltanto di sestessa (19).Ci porta a concludere che tutta l'immensa mole dilavoro che Jung sembra offrire come riflessione sul-le religioni, in realt opera di religione, pensieroreligioso in atto. In esso non si trover nulla di de-terminato che riguardi quelle religioni e ne carat-terizzi i'essenza, ma solo i modi in cui l'umanesimojunghiano, dal proprio punto di vista e per proprioconto, ha atteggiato tutte le altre fedi e si raffigu-rato le credenze diverse da se medesimo: senzache peraltro ci abbia alcun contatto con i loro realicontenuti. Ogni religione, come sappiamo, una in-dividualit assoluta, cui possibile avvicinarsi solocome suoi fedeli; da un'altra religione non conces-so ad alcuno neppure di scorgerla; qualunque cosavenga detto di ogni religione, da un punto di vistadiverso dal suo, neppure la tocca.

    Psicologia e religione.

    Prenderemo ora in considerazione le argomentazio-ni che Jung dedica all'essenza della religione, muo-vendo dai rapporti di religione e psicologia.

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  • lo non mi occupo, egli afferma, delle potenze divi-ne; in quanto scienziato che si occupa di dati em-pirici, io non sono in grado di affermare n che esseesistono, n che non esistono. Affermazioni di que-sto genere esorbitano la sfera di quella scienza em-pirica che la psicologia, lo mi limito a ci che direligioso contenuto nella psiche. A questo mi at-tengo e non pretendo di occuparmi d'altro. Ora,nella psiche, nella psiche inconscia, sono contenuticerti fattori dinamici che, proiettati nell'esterio-rit, vengono riconosciuti come 'potenza': spiriti,dei, demoni, ideali, e perci tenuti in conside-razione e osservanza scrupolosa , ovvero devota-mente adorati ed amati . Tale atteggiamento, pe-culiare della mente umana, ci che chiamiamo religione . Del resto religio , nell'uso latino ori-ginario, significa appunto osservanza accurata escrupolosa (20).Va innanzi tutto osservato che la posizione, inizial-mente agnostica, circa l'esistenza oggettiva dellepotenze divine, poi di fatto superata dall'affer-mazione che dei e demoni traggono la loro originedalle profondit della psiche inconscia e che la loroesistenza extra-psichica soltanto il prodotto delmeccanismo psichico della proiezione . Dunque, illusoria. Per una realt oggettiva, non psichica,della divinit, non c' spazio. L'affermazione diJung: Una dottrina degli dei che non sia psico-logica impossibile da sostenere (21), toglie in-fine ogni dubbio circa le sue effettive convinzionia riguardo della natura delle potenze divine.Ammesso, dunque, che le potenze divine siano con-tenuti della psiche, ci si domanda perch alcuni diquesti contenuti siano fatti oggetto di adorazione,a differenza di tutti gli altri, e quale sia il principiodella distinzione degli uni dagli altri.La risposta, che i contenuti religiosi si distin-guono per il loro carattere numinoso non risolvela questione, perch il numinoso come af-ferma Jung essenza o energia dinamica , eci non vale a distinguere un contenuto psichico

    (20) C. G. Jung, Psycho-logy and Religion (1937),CW. XI, pp. 5-8; tr. it. Psi-cologia e Religione, Mila-no, 1962, (2a ed.) pp. 7-11.

    (21) Cfr. ibidem, CW. XI,p. 85; tr. it. p. 128.

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  • da un altro. Tutti i contenuti psichici sono infatti de-terminazioni della energia dinamica, essendo ener-gia dinamica una pura variante verbale di ener-gia psichica . Se poi si vuole intendere che il con-tenuto numinoso ha una particolare intensit ener-getica, si deve rispondere che la differenza che quiimporta non di grado ma di essenza, non quan-titativa ma qualitativa, e perci una semplice diffe-renza di intensit non risolve il problema. Se,dunque, le potenze divine sono fattori psichici, per principio impossibile dare ragione del perchalcuni siano riguardati come il bene supremo e laragione del vivere, cio divini, a differenza di tutti glialtri, dato che nessuna differenza essenziale di-stingue i contenuti psichici fra loro. Ci importaconcludere che la dottrina junghiana dell'originepsicologica degli dei, se riguardata come una dottrinasulla essenza della religione, insussistente,perch, non essendo in grado di definire, ma solodi presupporre, il proprio oggetto, affatto priva dicontenuto.Con ci intendiamo semplicemente affermare ciche tale dottrina non , onde poter procedere a con-siderare il suo vero significato, ci che essa positi-vamente .Noi sosteniamo che essa la negazione che Jung,in quanto sostenitore di una religione che ha il suocentro nell'uomo, compie delle religioni della tra-scendenza; e la negazione consiste proprio nel ri-durre quest'ultime a proiezioni della psiche, cio arealt seconde, prive di una loro distinta e origi-naria realt.Non dottrina speculativa sulla religione, dunque, manegazione religiosa, e perci opera di religione, ladottrina della natura psicologica delle religioni.Una volta ricondotta alla sfera della religione, cuiappartiene, tale dottrina si rivela nonch legittima,necessaria, com' necessario che ogni religiones'affermi come l'unica verit esistente e neghi tuttele altre. Dobbiamo infine riconoscere che Jung hachiara-

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  • mente espresso anche il punto di vista del pensieroriflettente sulla religione, l dove ha affermato larigorosa distinzione di religione e psicologia: Lapsicologia pu considerare solo il fenomenoemozionale e simbolico di una religione, il che nonha niente a che fare con l'essenza della religionestessa, essenza che impossibile cogliere per viapsicologica. Se ci fosse possibile, la religione po-trebbe essere considerata una sezione della psico-logia (22).

    L'umanesimo junghiano, religione romantica.

    La tesi che proponiamo che l'umanesimo junghia-no appartiene alla cerchia delle fedi romantiche, dicui Nietzsche fu il massimo profeta. delRomanticismo il riporre nell'individualit enell'assoluta originalit la mta suprema dell'uomo; del Romanticismo, nelle sue varie versioni, il con-cepire l'uomo lo si chiami super-uomo, genio oeroe come colui che sprezza i vincoli socialiconvenzionali, rifiuta nell'amore i nodi legali, fragilischermi umani all'impeto divino che lo agita; nonha altra misura che i suoi bisogni e la sua potenzadi appagarli; un ribelle contro gli dei tradizionali,per l'ansia stessa di compendiare in s tutto il di-vino; opera come la natura, senza estrinseci mo-delli, traendo i suoi prodotti da un fondo oscuro,inesplorato e inesplorabile, con nessun altro scopoche un incoercibile bisogno di manifestare ci che nascosto.Romantico l'impegno etico a diventare ci che s, secondo la formula di Schleiermacher: diven-tare sempre pi ci che sono, ecco il mio unicovolere (23).Romantica la stessa concezione di conscio e in-conscio, che si oppongono e si uniscono, l'uno cheesprime la oscura produttivit della natura, l'altrola forza limitatrice della riflessione, e nella loro unio-ne danno vita a un processo. Romantica laconcezione che il divenire naturale abbia il suoepilogo nell'uomo, e che questi a sua

    (22) C. G. Jung, On threlation of Analytical Psy-chology to Poetry (1922),CW. XV, p. 65.

    (23) Cfr. Monologen, in:Werke, IV, p. 449.

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  • (24) Cfr. J. W. Ritter, DiePhysik als Kunste (1806),in: Deutsche Literatur,Reihe Romantik, voi. Vp. 10.(25) Cfr. C. G. Carus, Psy-che (1846) citato in: Lei-brand, Medicina Romantica, trad. ital. 1939, p. 76.

    (26) Cfr. G. H. Schubert,Symbolik des Traumes(1814), in Romantische Na-turphilosophie, ed. Rssle.192.6.(27) Cfr. Gr. Treviranus,Die Zweickmassigkeit desorganischen Lebens, in:Romantische Naturphloso-phie, op. cit., pp. 286segg.

    volta sia un divenire, da forme pi oscure ed invo-lute, verso una pi ampia consapevolezza di s. NelRitter si trova l'idea di un corso triadico della storiaumana, dall'incosciente armonia con la natura, alladisarmonia, all'armonia cosciente, con larappresentazione novalisiana dell'uomo come mes-sia della natura e della divinizzazione dell'uno edell'altra nel comune incontro: Quando il mortaletende a ritornare alla natura che una volta ha la-sciato, un dio che gli viene incontro e che lo ac-coglie in s (24). del Carus l'affermazione che la chiave per cono-scere l'essenza della vita cosciente sta nella regionedello incosciente (25); dello Schubert la distinzionefra sogni comuni e sogni superiori, i quali ultimihanno un proprio linguaggio simbolico, la cui inter-pretazione ci schiude i penetrali della natura e dellavita (26); del Treviranus l'attribuzione di una azioneteleologia all'istinto, e la concezione di una logicadell'inconscio, caratterizzata da una infallibilit chemanca alla logica del pensiero riflesso (27). Ma soprattutto nella concezione del male e della polaritimmanente all'uomo, che si rivela inequivocabilmentel'appartenenza dell'umanesimo junghia-no allacerchia delle fedi romantiche. In Jung, e neiRomantici in genere, lo spirito del male,Mefistofele, non pi soltanto il Beffardo, il Maligno,il Cinico, il Seduttore; l'emissario dello spiritodella Terra , nei cui regni l'uomo ha la sua naturalesfera d'esistenza; il compagno (der Ge-fhrte) chel'uomo si ritrova sempre accanto e di cui non pufare a meno , perch ha in lui una inalienabile partedi se stesso; l'altra faccia di Dio. Ci nondimeno,posto fra i due mondi quello della natura, tuttogioia dei sensi e possesso del presente, e quellodello spirito, tutto proteso verso l'eterno l'uomoromantico rimasto sempre, come Faust nelcolloquio con Wagner durante la passeggiata delgiorno di Pasqua, l'uomo dalle due anime , chesono eternamente legate l'una all'altra edeternamente divergono.

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  • Jung, per parte sua, ha talmente sofferto questa po-larit dell'anima romantica, come confessa nell'auto-biografia (28), che nella religiosa sottomissione alS ha soprattutto ricercato la possibilit di com-porre quella opposizione in una sintesi. Ma nono-stante ribadisca continuamente che nell'individua-zione si realizza la sintesi degli opposti , perchtutte le istanze naturali e istintive vengono legitti-mate come sante e il dissidio di spirito e natura composto, Jung continua a raffigurarsi la vita se-condo l'individualit come un vivere crocifissi, ciosospesi fra gli opposti (29).

    Verit della religione junghiana.

    Il principio dell'individualit in assoluto inconfu-tabile, in quanto quel concetto non entra in con-traddizione con nulia. Ogni critica per principioimpossibile e una volta riconosciuta la sua appar-tenenza al dominio della religione, cade ogni possi-bilit di giudicarlo, essendo esso il criterio unicodel giudizio, incomparabile con ogni altro. Se uncerto contenuto viene assunto come divino manca,per principio, ogni elemento su cui far forza peroppugnarlo, poich in esso racchiusa ogni per-fezione, e fuori di esso non c' nulla che gli si possacontrapporre (30).In particolare, non potr essere la scienza della na-tura a fornire il principio in base al quale muovereobiezione all'umanesimo junghiano, poich tra fisicae religione non v' interferenza ma l'una governauna sfera di oggetti indipendente dall'altra. Npotr essere la filosofia ad avanzare critica aduna religione, in quanto compito del pensiero ri -flettente riconoscere la verit di ogni posizione eintendere cosi la positivit di tutto il reale.Neppure le rimanenti regioni della consapevolezza,l'arte, il diritto, presentano alcun lato per cui pos-sano essere polemiche verso la religione. Occorreperci concludere che qualunque obiezione vengamossa all'umanesimo junghiano, questa

    (28) Cfr. C. G. Jung, Ri-cordi, sogni, riflessioni, trit. cit, pp. 265-66.

    (29) Cfr. C. G. Jung, Aion(1951), CW. IX/2, p. 69.

    (30) Cfr. B. Minozzi, op.cit., p. 522.

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  • non potr venire che da un'altra religione, ed es-sere quindi espressione di un conflitto religioso, nelqual caso perfettamente legittima ( il tuo Dio non il mio ), anche se neppure sfiora la verit dellareligione che pretende di attaccare.

    La diffusione della fede junghiana.

    A Zurigo, a Londra, a Roma, a New York, la diffu-sione dell'umanesimo junghiano avvenuta in unacon la diffusione della psicoterapia analitica. Anzi, pi esatto dire che il pensiero religioso junghianosi diffuso ad opera di comunit che si dicono in-teressate agli aspetti clinici del pensiero del Mae-stro. Senonch, l'interferenza di pensiero religiosoe psichiatria si riflette in una dualit d'intenti inseno a quelle comunit, che perdurante motivo diconflitti e scissioni. Le ragioni della conflittualitvengono ricercate nella psicologia degli individui,nelle difficolt di carattere, nella diversa fedelt alpensiero del Maestro: ma tali spiegazioni fallisconoil segno, che dell'attenta e commistione di psichia-tria e religione si tratta, e non d'altro, ed tale al-terit, nascosta nella commistione e mai esplicitata,la ragione della diversit di intenti. Infatti alcunisono soprattutto attratti dall'umanesimo junghiano esu quella linea si danno ad approfondire gli studidi carattere religioso, le mitologie pi varie, e sesvolgono lavoro terapeutico vi portano pi uno zelosacerdotale che una consapevolezza clinica; gli al-tri, invece, sono soprattutto interessati alla psicopa-tologia e alla psicoterapia, e a Jung chiedono sol-tanto lumi clinici, insoddisfatti della metodica freu-diana e della sua concezione dogmatica della ses-sualit.Ci che finora non mai venuto alla luce, che afondamento della psichiatria junghiana, come d'ognipsichiatria che voglia presentarsi come scienza ,vi un principio etico-religioso, su cui si fonda ladistinzione di sanit e malattia, e che di esso nonsi pu fare getto, con la pretesa di fare una psichia-

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  • tria neutrale , magari aperta ad ibridi connubicon altre psichiatrie.Fintanto che non si sar compiuta un'opera erme-neutica che ponga in chiaro i principi di carattereetico e religioso su cui riposano al pari dellapsicologia analitica la psicoanalisi e tutte le altrepsichiatrie, sar impossibile anche solo intrapren-dere il tentativo di verificare quali aspetti di una me-todica cllnica possano essere comuni e quali ne-cessariamente divergere. Prima di tale chiarimentopreliminare aperto solo il campo a confusi eclet-tismi o a dilanianti polemiche che apparentementevertono sulla clinica, in realt sono conflitti ideolo-gici, guerre di religione, e come tali destinati a nonavere possibilit di soluzione alcuna, e a non farfare alcun passo in avanti alla psichiatria comescienza.

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  • Scienza e religionenellapsicologia analiticadi Carl Gustav JungJohn A. Sanford, San Diego

    Dalla sua comparsa al volgere del secolo, la psico-logia del profondo ha cercato di improntarsi ad unadistaccata oggettivit, analoga a quella delle scien-ze fisiche, ma, a dispetto di ci, il sorgere del nuovomovimento stato contraddistinto piuttosto da unaserie di manifestazioni che avevano un carattere religioso . Lo zelo, ad esempio, che SigmundFreud ispirava nei suoi seguaci, l'entusiasmo mis-sionaristico con cui si diffuse la psicoanalisi, il rap-porto maestro-discepolo che Freud intrattenne condiversi dei suoi seguaci, e l'istituzione di una or-todossia: tutto questo fa pi pensare ad un movi-mento religioso che ad uno scientifico. Anche nellapsicologia analitica sono presenti questi aspettireligiosi. Le Associazioni di Psicologia Analitica, adesempio, rassomigliano pi a delle associazionireligiose, che a dei gruppi scientifici. Si richiedeanche una specie di battesimo l'analisi come condizione per appartenervi, ed i membri sonodivisi in profani ed iniziati , dove gli analistiufficialmente riconosciuti costituiscono una

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  • sorta di classe sacerdotale. A volte gli appartenential movimento della psicologia analitica si sentonodegli eletti , e danno spesso l'impressione di ri-tenersi in possesso di una dottrina della salvazione.C' poi l'atteggiamento nei confronti dello stessoJung, che appare riverito come profeta, oltre checome scienziato.Sarebbe facile, sulla base di questi elementi, criti-care la psicologia analitica, accusarla di essere unculto gnostico, mettere in luce, con finalit deri-sorie, il suo carattere non-scientifico. Questo atteg-giamento critico non per giustificato, in quantoil carattere religioso, che presente nella psico-logia analitica, a fianco a quello scientifico deltutto legittimo. Ci sono alcuni fenomeni associatialla psicologia analitica che vengono abitualmenteconsiderati religiosi, e questo perch la psicologiaanalitica religione oltre che scienza, in quantotratta un particolare campo della conoscenza. Que-sto particolare campo della conoscenza comprendela conoscenza della psiche, ed affine alla cono-scenza rivelata, in quanto aperto solo a coloroche hanno fatto diretta esperienza della psiche. Perquesto motivo comprensibile, ed anche giustifica-bile che il movimento della psicologia analitica ab-bia il potere di evocare una specie di risposta reli-giosa nei suoi aderenti.Lo scopo del presente lavoro quello di dare unarisposta al seguente quesito: La psicologia anali-tica una scienza o una religione? La nostra inda-gine si rivolger quindi ad esaminare l'epistemolo-gia della psicologia analitica. In che modo la psico-logia analitica procede ad acquisire le sue cono-scenze? Che rapporto intercorre tra la sua meto-dica, ed il rigoroso modello scientifico? Le rispostea questi quesiti ci aiuteranno a comprendere dovefinisce l'aspetto scientifico della psicologia anali-tica, e dove inizia ii suo aspetto religioso.Il modello scientifico rigoroso del processo cono-scitivo caratterizzato dall'oggettivit, l'osservazio-ne, e la ragione. Idealmente, lo scienziato osserva

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  • la natura e registra i fenomeni. Egli si sforza di ri-manere il pi possibile oggettivo, e di escludere ipropri processi soggettivi. Le emozioni non hannoposto nel lavoro dello scienziato. In una fase suc-cessiva, egli elabora delle ipotesi che tengano contodi tutti i dati conosciuti, e cerca di convalidare que-ste ipotesi con dei dati che le confermino. Ilmodello religioso della conoscenza caratterizzatodalla cosddetta rivelazione . L'idea centrale che la conoscenza viene rivelata, trasmessa, ma-nifestata ad una persona in grado di riceverla. Lun-gi dall'essere un processo intellettuale, la conoscen-za rivelata si accompagna a manifestazioni emotivedi vario genere, e comporta abitualmente un'espe-rienza numinosa. Nel modello scientifico l'osser-vatore che da inizio al processo conoscitivo: eglidecide di scoprire qualche aspetto della natura,le sue osservazioni mettono in luce dei fatti, ed ilsuo processo intellettuale culmina nella formulazio-ne di determinate ipotesi. Nel modello religioso, in-vece, l'iniziativa presa da qualche essere divino,o da una realt spirituale autonoma che invia laconoscenza, come una sorta di dono rivelato.

    Tesi di questo lavoro che il processo conoscitivoseguito dalla psicologia analitica comprenda alcuniaspetti derivati dal modello scientifico, ed altri de-rivati dal modello religioso. In molti aspetti la psico-logia analitica segue la metodologia delle scienze.Ma in altri importanti aspetti il processo conoscitivoche ha come oggetto la psiche presenta delle carat-teristiche tipicamente religiose. Pi esattamentequesto avviene a livello dell'interazione, dell'inizia-tiva e del processo. Questo significa che: 1) coluiche osserva la psiche viene coinvolto emotivamentedall'oggetto del suo studio; il processo conoscitivoviene avviato non solo dalla mente conscia dell'os-servatore, ma anche dalla psiche stessa; 3) oltre aiprocessi intellettuali, esistono, nella coscienza del-l'osservatore, altri tipi di processi conoscitivi ugual-mente essenziali per la conoscenza della psiche.

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  • Inizieremo la nostra indagine con un breve riesamedell'epistemologia di C. G. Jung, quale si desumedai suoi lavori scientifici, e vedremo cos quello che l'aspetto scientifico della psicologia analitica. Sot-toporremo, poi, ad una critica questa epistemologiae cercheremo di dimostrare l'esistenza, in essa, diquelle componenti tipicamente religiose che abbia-mo indicato precedentemente. Infine prenderemo inesame l'epistemologia non ufficiale di Jung, evedremo come in effetti Jung stesso capisse l'ina-deguatezza del modello scientifico puro, applicatoalla conoscenza della psiche.

    Jung ha elaborato con cura la sua teoria della co-noscenza, e l'ha esposta esplicitamente in diverseoccasioni. Essendo, oltre che psicologo, un eccel-lente filosofo, ha anche sottoposto i suoi metodi adun attento esame critico. Jung ha ripetutamente af-fermato di seguire una metodologia strettamentescientifica, e di basare le sue conclusioni su espe-rienze di carattere empirico. Sono un empirista dichiara recisamente (1), e questa sua affermazio-ne suffragata dai fatti che egli espone nei suoi li-bri a conferma delle sue tesi. Da questo punto divista sembrerebbe che l'epistemologia e la metodo-logia della psicologia analitica siano uguali a quelledi tutte le altre scienze; in esse ritroviamo infattil'osservazione dei fatti, la formulazione di ipotesivolte a spiegarli, e la verifica delle ipotesi in basealla loro capacit a spiegare esperienze ulteriori.Nella metodologia della psicologia analitica as-sente solo il lavoro di laboratorio, ma questo si spie-ga con il carattere elusivo dei fatti che vengono os-servati: si tratta, infatti, di fatti psichici, ed diffi-cile, se non addirittura impossibile, riprodurli in la-boratorio.Il carattere empirico della psicologia analitica confe-risce alle affermazioni di Jung l'impronta di una vo-luta cautela. Jung afferma spesso che nel campo del-la psicologia non esistono conclusioni definitive uffi-ciali. Tutte le nostre conoscenze, egli ammonisce, so-no solo delle ipotesi, e noi dobbiamo essere pronti

    (1) C. G. Jung, Good andEvil in Analytical Psycho-logy, par. 874. C. W. Voi.10. Princeton, N. J. Prin-ceton University Press.

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  • (2) C. G. Jung, Su coseche si vedono in cielo.Bompiani, Milano 1960oag. 86.

    Edward C. Whitmont"The Symbolic Quest.N.

    C. G. Jung Founda-:n. 1969, pag. 32-33.

    a modificarle, qualora insorgano dei fatti nuovi che lorichiedono. Jung dice che non dobbiamo considerareil linguaggio della psicologia analitica come un corpodi conoscenze definitive, vincolanti e conclusive, macome un linguaggio che si compone di tanti comese . Dobbiamo parlare della psiche come se fossecos, ed evitare affermazioni assolutistiche: Disicuro non c' che la nostra profonda ignoranza chenon sa neppure se si sia accostata alla soluzione deigrandi enigmi, oppure no. Soltanto il salto mortale della fede che dobbiamo lasciare a chi ne abbia ildono o la Grazia conduce oltre il ci pare come se. Ogni progresso apparente o reale dipendedall'apprendimento di fatti, ed il constatare fatti no-toriamente uno dei compiti pi difficili che lo spiritoumano possa porsi (2).Edward C. Whitmont esprime lo stesso concetto, quan-do dice che la psicologia analitica da una descrizionedella psiche basata su una serie di modelli mentali. Questi modelli mentali sono, secondo lui, analoghia quelli adoperati dai fisici. La psiche, infatti, al paridell'atomo, non pu essere sottoposta ad un'os-servazione diretta. Tutto quello che possiamo fare costruirci nella nostra mente un modello mentale edapplicarlo ai fatti che sono prodotti dall'attivit dellapsiche (o dell'atomo), e vedere se il modello mentalesi adatta ai fatti. Se questi modelli mentali si rivela-no utili, possiamo applicarli, ma non possiamo mai di-re che sono veri , tutt'al pi che sono adeguati .Infatti, non possiamo mai sapere con certezza ciche al di fuori della nostra coscienza, sia nelmondo fisico, che nel mondo interiore della psiche,ma per motivi pratici ed operativi, possiamo compor-tarci come se le nostre affermazioni sulla psichefossero vere (3).Queste affermazioni sui limiti della conoscenza uma-na sono convalidate dall'atteggiamento, tipicamentefenomenologico, di Jung. Ci che l'uomo conosce di-rettamente, dice Jung, sono gli eventi o i dati presentinella sua cosci