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RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI DIRETTIVE ANTICIPATE DI TRATTAMENTO: 2009 /1 Anno XIV n° 1, gennaio-aprile 2009 Quadrimestrale - reg. Tribunale Roma n. 496 del 9.10.1995 www.aiaf-avvocati.it DIRITTI E IDEOLOGIE

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RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI

DIRETTIVE ANTICIPATE

DI TRATTAMENTO:

2009/1

Anno XIV n° 1, gennaio-aprile 2009Quadrimestrale - reg. Tribunale Roma n. 496 del 9.10.1995

www.aiaf-avvocati.it

DIRITTIE IDEOLOGIE

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Editoriale2 Direttive anticipate di trattamento: diritti e ideologie

Milena Pini

4 Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento.Proposta di legge C 2350 (testo approvato dal Senato il 26 marzo 09)

8 Dal caso Englaro al problema delle direttive anticipate. Il documento sottoscritto da 42 Professori di Diritto civile

Focus11 Alcune considerazioni sui disegni di legge in discussione al Senato della Repubblica e sulle direttive anticipate sui

trattamenti medici e assistenzialiAmedeo Santosuosso

20 Le ideologie del giudice nelle scelte di fine vitaLorenzo D’Avack

30 Consenso informato, direttive anticipate e incapacità della personaFranca Alessio

33 Risvolti penali nelle scelte di fine vitaPaola Parise

39 Amministrazione di sostegno e dichiarazioni anticipate di volontàMaria Grazia Scacchetti

57 L’amministratore di sostegno può essere chiesto anche in via anticipata in previsione di una futura incapacitàGiuseppe Coscioni

61 Opinioni a confronto sulle regole del fine vita. Intervista al prof. Luciano Eusebi e al prof. Lorenzo PicottiGabriella de Strobel

Contributi e approfondimenti67 I minori stranieri nel sistema penale minorile italiano

Serenella Pesarin

76 I provvedimenti “urgenti ed indifferibili” adottati dal genitore co-esercente la potestà sui figli minori. Il V commadell’art. 316 c.c. e il nuovo testo dell’art. 155 c.c.Renato Culmone

81 Il principio di parità uomo-donna in materia di lavoro: obiettivo o miraggio?Luca Grossi

85 Occupazione femminile e “flexisecurity”Francesca Bagni Cipriani

Europa89 Dobbiamo vivere insieme? Una rassegna della legislazione relativa a coppie non sposate e conviventi

comproprietarie della loro abitazione in Inghilterra e in GallesSuzanne Todd, Michael Wells-Greco

95 Risoluzione del Parlamento europeo del 3 settembre 2008 sulla parità tra le donne e gli uomini - 2008(P6_TA(2008)0399)

102 Risoluzione del Parlamento europeo del 3 febbraio 2009 sulla non discriminazione in base al sesso e la solidarietàtra le generazioni (P6_TA(2009)0039)

SOMMARIO

AIAFRIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI

Anno XIV n° 1, gennaio-aprile 2009 - nuova serie quadrimestrale

Direttore responsabile Milena Pini

Redazione Galleria Buenos Aires 1, 20124 Milano - tel. e fax 02 29535945

[email protected] www.aiaf-avvocati.it

Stampa O.GRA.RO srl - vicolo dei Tabacchi 1, 00153 Roma

AIAF 2009/1

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Dedichiamo questo numero della Rivista al dibat-tito in corso su dichiarazioni anticipate di tratta-mento e consenso informato, inviolabilità della li-bertà personale e diritto della persona all’autode-terminazione, rapporto tra diritti della persona eideologie, tra laicità propria di uno Stato demo-cratico e princìpi cui si ispirano le religioni.

Avevamo già affrontato questo tema nella Rivistadell’AIAF n. 3/2002, approfondendo la legge12/2001 – approvata nel corso della XIII Legisla-tura, ministro della Sanità Umberto Veronesi –con la quale sono state introdotte nel nostro Pae-se le norme sulla liberalizzazione della terapiadel dolore, che consentono ai malati terminali diottenere più facilmente dal medico curante anti-dolorifici a base di morfina.Nell’editoriale di quel numero Nicoletta Moran-di, mettendo in luce che quella legge costituivaun significativo riconoscimento del diritto delmalato a sottrarsi al dolore e alla sofferenza, evi-denziava anche le difficoltà e le lacerazioni chenel nostro Paese comporta il dibattito sull’inter-pretazione del concetto di “vita”, intesa da alcu-ni solo come “biologica” e da altri soprattutto, osolo, “relazionale”, “tra una visione biologica e

sacrale della vita, da un lato, ed un’istanza di

umanizzazione della morte e di attenzione alla

qualità della vita, dall’altro, che investe la natura

della stessa funzione medica”.

Le riflessioni che abbiamo riportato in quel nu-mero della Rivista AIAF del 2002 (dove per la pri-ma volta parlavamo anche del caso di EluanaEnglaro) sono ancora oggi attuali e, a distanzadi sette anni, è ancora lacerante nel nostro Pae-se il dibattito sulla portata e sulla rilevanza deiprincìpi di autonomia e autodeterminazionedella persona rispetto alla propria vita, anchecon riferimento ai princìpi che sovraintendonola professione medica.

Un dibattito che oggi sembra però impregnato diuna maggiore invadenza partitica e religiosa,piuttosto che della reale espressione di pensierodella società civile, considerate le posizioni piùgarantiste, rispetto al testo legislativo in discus-sione, sul pieno diritto della persona di esprime-re le proprie direttive anticipate di cura in rela-zione ad un futuro stato di incapacità, fatti sal-vi i limiti sanciti dal codice penale, che sonoemerse da parti consistenti della cittadinanza,da ambienti professionali (avvocati, docenti uni-versitari, medici e notai) e culturali.

Il testo approvato dal Senato il 26 marzo 2009con il titolo “Disposizioni in materia di alleanza

terapeutica, di consenso informato e di dichiara-

zioni anticipate di trattamento” e trasmesso allaCamera dei deputati il 1 aprile, attualmente as-segnato alla 12ª Commissione permanente (Af-fari sociali) in sede referente, ha suscitato moltecritiche, in particolare riferite alla norma chevieta l’interruzione di idratazione e alimenta-zione della persona, alla forma che deve assu-mere la dichiarazione di manifestazione di vo-lontà della persona, alla reale efficacia della di-chiarazione anticipata di trattamento, poichél’art. 6 del disegno di legge approvato dal Senatotrasforma la vincolatività della dichiarazioneespressa dalla persona malata in libero riferi-mento per il medico.

Le questioni in discussione sotto il profilo giuridi-co – costituzionale, civile e penale – sono molte-plici, e la pubblicazione di interventi e docu-menti di Autorevoli Giuristi su questo numerodella Rivista AIAF vuole essere un contributo al-la riflessione su temi che spesso ci vedono impe-gnati professionalmente in prima persona, nellosvolgimento dell’incarico giudiziario di tutore eamministratore di sostegno.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

DIRETTIVE ANTICIPATE DI TRATTAMENTO: DIRITTI E IDEOLOGIE

Milena PiniAvvocato, Foro di Milano

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XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2350

PROPOSTA DI LEGGEAPPROVATA, IN UN TESTO UNIFICATO,

DAL SENATO DELLA REPUBBLICAil 26 marzo 2009

(v. stampati Senato nn. 10-51-136-281-285-483-800-972-994-1095-1188-1323-1363-1368)

d’iniziativa dei senatori

IGNAZIO ROBERTO MARINO, FINOCCHIARO, ZANDA, LATORRE, ASTORE, BASSOLI, CHIAROMONTE, COSENTINO,LEOPOLDO DI GIROLAMO, LEVI MONTALCINI, PORETTI, ADAMO, AGOSTINI, AMATI, ANDRIA, ANTEZZA, BARBOLINI,BASTICO, BERTUZZI, BIANCO, BIONDELLI, BLAZINA, BONINO, CABRAS, CAFORIO, CARLINO, CARLONI, CAROFIGLIO,

CASSON, CECCANTI, CHITI, CRISAFULLI, D’AMBROSIO, DE CASTRO, DE SENA, DELLA MONICA, DELLA SETA, DI GIOVANPAOLO, DI NARDO, DONAGGIO, MARCO FILIPPI, FOLLINI, FONTANA,VITTORIA FRANCO, GARRAFFA, GASBARRI, GHEDINI,GIAMBRONE, GRANAIOLA, ICHINO, INCOSTANTE, LEDDI, LEGNINI, LI GOTTI, LIVI BACCI, LUMIA, MAGISTRELLI, MALAN,

MARCENARO, MARCUCCI, MARINARO, MAURO MARIA MARINO, MARITATI, MASCITELLI, MERCATALI, MICHELONI,MOLINARI, MONGIELLO, MORANDO, MORRI, MUSI, NEGRI, NEROZZI, PARAVIA, PARDI, PASSONI, PEGORER, PERDUCA,

PIGNEDOLI, PINOTTI, PROCACCI, RANDAZZO, RANUCCI, ROILO, NICOLA ROSSI, RUSSO, SANGALLI, SARO, SBARBATI,SERRA, SIRCANA, SOLIANI, STRADIOTTO,TOMASELLI,TONINI,VERONESI,VIMERCATI,VITA,VITALI, ZAVOLI; TOMASSINI,

MALAN, DE LILLO; PORETTI, PERDUCA; CARLONI, CHIAROMONTE; BAIO, ADRAGNA, PAPANIA, BOSONE; MASSIDDA;MUSI, SBARBATI, BIANCO, MICHELONI, LANNUTTI; VERONESI; BAIO, BOSONE, ADRAGNA, ANDRIA, ARMATO, BIONDELLI,

BRUNO, CECCANTI, CERUTI, CHIURAZZI, DE LUCA, DEL VECCHIO, DI GIOVAN PAOLO, D’UBALDO, FIORONI, FOLLINI,GALPERTI, MARIAPIA GARAVAGLIA, GIARETTA, GUSTAVINO, LUSI, MAZZUCONI, MOLINARI, PAPANIA, PERTOLDI,

PETERLINI, PROCACCI, RAMPONI, RANDAZZO, PAOLO ROSSI, RUSCONI, SANNA, SCANU, STRADIOTTO,THALERAUSSERHOFER,TONINI,VILLARI; RIZZI; BIANCONI, D’ALIA, FOSSON, RIZZI, POSSA, CURSI, DE LILLO,TOFANI, GALIOTO,VALDITARA, LICASTRO SCARDINO, SALTAMARTINI, LATRONICO, BETTAMIO, PALMIZIO,VICECONTE, SPADONI URBANI,VICARI, BOSCETTO, CUFFARO, COMPAGNA, ZANETTA, BALBONI, CARRARA, ASCIUTTI, COSTA, DE FEO, BEVILACQUA, DI

STEFANO, BOLDI, BONFRISCO, CASTRO, SANTINI, SCOTTI, GIANCARLO SERAFINI, NICOLA DI GIROLAMO; D’ALIA, FOSSON;CASELLI, DE GREGORIO, NICOLA DI GIROLAMO, GIORDANO, GALIOTO, DE LILLO, DI GIACOMO,TOTARO, CURSI, SARRO, DE

ANGELIS, PISCITELLI, FLUTTERO, SALTAMARTINI, LATRONICO, SCARABOSIO, BALDINI; D’ALIA, FOSSON

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DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ALLEANZA TERAPEUTICA, DI CONSENSO INFORMATO E DI DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO

Trasmessa dal Presidente del Senato della Repubblicail 31 marzo 2009

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

(Tutela della vita e della salute)

1. La presente legge, tenendo conto dei princìpi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione:

a) riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nel-

la fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intende-

re e di volere, fino alla morte accertata nei modi di legge;

b) riconosce e garantisce la dignità di ogni persona in via prioritaria rispetto all’interesse della so-

cietà e alle applicazioni della tecnologia e della scienza;

c) vieta ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di eutanasia e ogni for-

ma di assistenza o di aiuto al suicidio, considerando l’attività medica nonché di assistenza alle

persone esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute nonché all’alleviamento

della sofferenza;

d) impone l’obbligo al medico di informare il paziente sui trattamenti sanitari più appropriati, fat-

to salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 4, riconoscendo come prioritaria l’alleanza tera-

peutica tra il medico e il paziente, che acquista peculiare valore proprio nella fase di fine vita;

e) riconosce che nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dall’espressione

del consenso informato nei termini di cui all’articolo 2, fermo il principio per cui la salute de-

ve essere tutelata come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e nes-

suno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di

legge e con i limiti imposti dal rispetto della persona umana;

f) garantisce che in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come

imminente, il medico debba astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non effica-

ci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di

cura.

2. La presente legge garantisce politiche sociali ed economiche volte alla presa in carico del pazien-

te, in particolare dei soggetti incapaci di intendere e di volere e della loro famiglia.

Art. 2.

(Consenso informato)

1. Salvo i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato

esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole.

2. L’espressione del consenso informato è preceduta da corrette informazioni rese dal medico cu-

rante al paziente in maniera comprensibile circa diagnosi, prognosi, scopo e natura del trattamen-

to sanitario proposto, benefici e rischi prospettabili, eventuali effetti collaterali nonché circa le

possibili alternative e le conseguenze del rifiuto del trattamento.

3. L’alleanza terapeutica costituitasi all’interno della relazione fra medico e paziente ai sensi del com-

ma 2 si esplicita in un documento di consenso informato, firmato dal paziente, che diventa par-

te integrante della cartella clinica.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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4. È fatto salvo il diritto del paziente di rifiutare in tutto o in parte le informazioni che gli competo-

no. Il rifiuto può intervenire in qualunque momento e deve essere esplicitato in un documento

sottoscritto dal soggetto interessato.

5. Il consenso informato al trattamento sanitario può essere sempre revocato, anche parzialmente.

6. In caso di interdetto, il consenso informato è prestato dal tutore che sottoscrive il documento. In

caso di inabilitato o di minore emancipato, il consenso informato è prestato congiuntamente dal

soggetto interessato e dal curatore. Qualora sia stato nominato un amministratore di sostegno e

il decreto di nomina preveda l’assistenza o la rappresentanza in ordine alle situazioni di caratte-

re sanitario, il consenso informato è prestato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo

dall’amministratore. La decisione di tali soggetti riguarda anche quanto consentito dall’articolo 3

ed è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute dell’incapace.

7. Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la

potestà parentale o la tutela dopo avere attentamente ascoltato i desideri e le richieste del mino-

re. La decisione di tali soggetti riguarda quanto consentito anche dall’articolo 3 ed è adottata aven-

do come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psico-fisica del minore.

8. Qualora il soggetto sia minore o legalmente incapace o incapace di intendere e di volere e l’ur-

genza della situazione non consenta di acquisire il consenso informato così come indicato nei

commi precedenti, il medico agisce in scienza e coscienza, conformemente ai princìpi della de-

ontologia medica nonché della presente legge.

9. Il consenso informato al trattamento sanitario non è richiesto quando la vita della persona inca-

pace di intendere o di volere sia in pericolo per il verificarsi di un evento acuto.

Art. 3.

(Contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento)

1. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante esprime il proprio orientamento in me-

rito ai trattamenti sanitari in perdita della propria capacità di intendere e di volere. Nel caso in

cui il paziente abbia sottoscritto una dichiarazione anticipata di trattamento, è esclusa la possibi-

lità per qualsiasi persona terza, ad esclusione dell’eventuale fiduciario, di provvedere alle funzio-

ni di cui all’articolo 6.

2. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto, in stato di piena capacità di intendere e

di volere e in situazione di compiuta informazione medico-clinica, dichiara il proprio orientamen-

to circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari, purché in conformità a quanto pre-

scritto dalla legge e dal codice di deontologia medica.

3. Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia da parte del sog-

getto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere spropor-

zionato o sperimentale.

4. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto non può inserire indicazioni che integri-

no le fattispecie di cui agli articoli 575, 579 e 580 del codice penale.

5. Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità,

fatta a New York il 13 dicembre 2006, l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui

la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologica-

mente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare og-

getto di dichiarazione anticipata di trattamento.

6. La dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui è accertato che il

soggetto in stato vegetativo non è più in grado di comprendere le informazioni circa il trattamen-

to sanitario e le sue conseguenze e per questo motivo non può assumere decisioni che lo riguar-

dano. La valutazione dello stato clinico è formulata da un collegio medico formato da un medi-

co legale, un anestesista-rianimatore ed un neurologo, sentiti il medico curante e il medico spe-

cialista della patologia. Tali medici, ad eccezione del medico curante, sono designati dalla dire-

zione sanitaria della struttura di ricovero o della azienda sanitaria locale di competenza.

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EDITORIALE

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Art. 4.

(Forma e durata della dichiarazione anticipata di trattamento)

1. Le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono obbligatorie, sono redatte in forma scritta con

atto avente data certa e firma del soggetto interessato maggiorenne, in piena capacità di intende-

re e di volere dopo una compiuta e puntuale informazione medico-clinica, e sono raccolte esclu-

sivamente dal medico di medicina generale che contestualmente le sottoscrive.

2. Le dichiarazioni anticipate di trattamento, manoscritte o dattiloscritte, devono essere adottate in

piena libertà e consapevolezza, nonché sottoscritte con firma autografa.

3. Salvo che il soggetto sia divenuto incapace, la dichiarazione anticipata di trattamento ha validità

per cinque anni, che decorrono dalla redazione dell’atto ai sensi del comma 1, termine oltre il

quale perde ogni efficacia. La dichiarazione anticipata di trattamento può essere rinnovata più vol-

te, con la forma e le modalità prescritte dai commi 1 e 2.

4. La dichiarazione anticipata di trattamento può essere revocata o modificata in ogni momento dal

soggetto interessato. La revoca, anche parziale, della dichiarazione deve essere sottoscritta dal

soggetto interessato.

5. La dichiarazione anticipata di trattamento deve essere inserita nella cartella clinica dal momento

in cui assume rilievo dal punto di vista clinico.

6. In condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazio-

ne anticipata di trattamento non si applica.

Art. 5.

(Assistenza ai soggetti in stato vegetativo)

1. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza per-

manente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,

adotta le linee guida cui le regioni si conformano nell’assicurare l’assistenza domiciliare per i sog-

getti in stato vegetativo permanente.

Art. 6.

(Fiduciario)

1. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante può nominare un fiduciario maggioren-

ne, capace di intendere e di volere, il quale accetta la nomina sottoscrivendo la dichiarazione.

2. Il fiduciario, se nominato, è l’unico soggetto legalmente autorizzato ad interagire con il medico e

si impegna ad agire nell’esclusivo e migliore interesse del paziente, operando sempre e solo se-

condo le intenzioni legittimamente esplicitate dal soggetto nella dichiarazione anticipata.

3. Il fiduciario, se nominato, si impegna a vigilare perché al paziente vengano somministrate le mi-

gliori terapie palliative disponibili, evitando che si creino situazioni sia di accanimento terapeuti-

co, sia di abbandono terapeutico.

4. Il fiduciario, se nominato, si impegna a verificare attentamente che non si determinino a carico

del paziente situazioni che integrino fattispecie di cui agli articoli 575, 579 e 580 del codice pe-

nale.

5. Il fiduciario può rinunciare per iscritto all’incarico, comunicandolo al dichiarante o, ove quest’ul-

timo sia incapace di intendere e di volere, al medico responsabile del trattamento sanitario.

Art. 7.

(Ruolo del medico)

1. Le volontà espresse dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono prese in

considerazione dal medico curante che, sentito il fiduciario, annota nella cartella clinica le moti-

vazioni per le quali ritiene di seguirle o meno.

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2. Il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del pa-

ziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica. Le indicazioni

sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del princi-

pio dell’inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo i princìpi di precauzio-

ne, proporzionalità e prudenza.

3. Nel caso di controversia tra il fiduciario ed il medico curante, la questione è sottoposta alla valu-

tazione di un collegio di medici composto da un medico legale, un anestesista-rianimatore ed un

neurologo, sentiti il medico curante e il medico specialista della patologia. Tali medici, ad ecce-

zione del medico curante, sono designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero o del-

la azienda sanitaria locale di competenza. Il parere espresso dal collegio non è vincolante per il

medico curante, il quale non è tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzio-

ni di carattere scientifico e deontologico.

Art. 8.

(Autorizzazione giudiziaria)

1. In assenza del fiduciario, in caso di contrasto tra soggetti parimenti legittimati ad esprimere il con-

senso al trattamento sanitario, la decisione è autorizzata dal giudice tutelare, su parere del colle-

gio medico di cui all’articolo 7, o, in caso di urgenza, sentito il medico curante.

2. L’autorizzazione giudiziaria è necessaria anche in caso di inadempimento o di inerzia da parte dei

soggetti legittimati ad esprimere il consenso al trattamento sanitario.

3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, il medico è tenuto a dare immediata segnalazione al pubblico mi-

nistero.

Art. 9.

(Disposizioni finali)

1. È istituito il Registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento nell’ambito di un archivio unico

nazionale informatico. Il titolare del trattamento dei dati contenuti nel predetto archivio è il Mi-

nistero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.

2. Con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.

400, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del la-

voro, della salute e delle politiche sociali, sentito il Garante per la protezione dei dati personali,

stabilisce le regole tecniche e le modalità di accesso, di tenuta e di consultazione del Registro di

cui al comma 1. Il decreto stabilisce altresì i termini e le forme entro i quali i soggetti che lo vor-

ranno potranno compilare le dichiarazioni anticipate di trattamento presso il medico di medicina

generale e registrarle in uffici dedicati presso le aziende sanitarie locali, le modalità di conserva-

zione delle dichiarazioni anticipate di trattamento presso le aziende sanitarie locali e le modalità

di trasmissione telematica al Registro di cui al comma 1.

3. La dichiarazione anticipata di trattamento, le copie della stessa, le formalità, le certificazioni e

qualsiasi altro documento sia cartaceo sia elettronico ad esse connesso e da esse dipendente non

sono soggetti all’obbligo di registrazione e sono esenti dall’imposta di bollo e da qualunque al-

tro tributo.

4. Dal presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubbli-

ca. All’attuazione del medesimo si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finan-

ziarie già previste a legislazione vigente.

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DAL CASO ENGLARO AL PROBLEMA DELLE DIRETTIVE ANTICIPATE

Il documento sottoscritto da 42 Professori di Diritto Civile

1. Nelle ultime concitate settimane si sono verificate attorno al caso Englaro forzature istituziona-

li molto preoccupanti in sé e per sé, ma assolutamente inaccettabili quando si controverte di

valori fondamentali della persona come il significato del diritto alla vita, la dignità dell’uomo,

l’habeas corpus, il diritto all’autodeterminazione: temi che per rispetto delle radici stesse della

convivenza civile in una società pluralistica richiedono di essere affrontati, in sede normativa,

sulla base di approfondite e documentate conoscenze, di mediazione ed ascolto delle diverse

posizioni etiche, e con procedure adatte a consentire la discussione, il confronto, la ricerca di

un attento bilanciamento.

2. Ora il Parlamento sta per approvare in tempi stretti una legge in materia di direttive anticipate

(c.d. testamento biologico). A quanto è dato di conoscere, la maggioranza pare intenzionata ad

una discussione rapida di un testo fortemente limitativo del fondamentale diritto all’intangibilità

del corpo. Verso questo obiettivo si procede a passi spediti, senza tener conto dei principi costi-

tuzionali di diritto interno e sovranazionale ed ignorando l’esigenza di rispetto di posizioni mo-

rali diverse.

3. Sembra quindi necessario richiamare alcuni capisaldi giuridici in materia:

a) La Convenzione di Oviedo, che l’Italia ha sottoscritto e di cui è stata approvata la legge di ra-

tifica, dispone all’art 5, che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato senon dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona ri-ceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sullesue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamenteritirare il proprio consenso”. La previsione non riguarda solo le terapie in senso stretto, ma ogni

“intervento nel campo della salute”, espressione più ampia che può corrispondere a quella di

“atto medico”, vale a dire qualsiasi atto che, anche a fine non terapeutico, determini un’inva-

sione della sfera corporea.

All’art 9 si prevede che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medi-co da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la suavolontà saranno tenuti in considerazione”, ove se da un lato non si qualificano i “desideri” co-

me vincolanti, dall’altro è evidente che il rispetto va dato non soltanto alle “dichiarazioni di vo-

lontà” (men che meno alle sole dichiarazioni solenni come l’atto pubblico) ma ad ogni espres-

sione di preferenze comunque manifestata.

b) La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea protegge il diritto alla vita (art. 2) e il di-

ritto all’integrità della persona (art. 3) nel titolo dedicato alla Dignità, che è anche il primo, fon-

damentale diritto della persona (art. 1). All’integrità della persona, in ragione della dignità, è

consustanziale il principio di autodeterminazione stabilito nel secondo comma dell’art. 2, se-

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condo il quale “Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispet-tati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dallalegge, ecc.”. Ancora una volta il principio non è limitato ai trattamenti terapeutici, ma riguarda

la libera determinazione nel campo medico-biologico”.

c) La Costituzione italiana, che tutela l’autodeterminazione all’art. 13, configura all’art. 32 il prin-

cipio del consenso come elemento coessenziale al diritto alla salute, e prevede che anche nei

casi in cui il legislatore si avvalga del potere di imporre un trattamento sanitario, “in nessun

caso possa violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Tale dignità non può

essere intesa solo in un senso affidato a criteri oggettivi, ma implica il rispetto dell’identità sen-

za la quale cade la ragion d’essere della dignità dell’uomo.

d) Il principio che consente il rifiuto di atti medici anche benefici è un’acquisizione consolidata

della giurisprudenza europea, a valle di una evoluzione che risale alla fine dell’800; e più vol-

te si è confermato che anche di fronte allo stato di necessità il libero, consapevole, lucido dis-

senso dev’essere rispettato. Un tale diritto di rifiutare le terapie, anche di sostegno vitale, non

ha nulla a che fare con l’eutanasia, che consiste invece in una condotta direttamente intesa a

procurare la morte.

e) Egualmente estraneo all’eutanasia è il principio condiviso in bioetica e in biodiritto per cui l’in-

terruzione delle cure, anche senza volontà espressa del paziente divenuto incapace, debba es-

sere praticata non solo quando le cure sono sproporzionate (c.d. accanimento terapeutico) ma

anche quando esse siano inutili o abbiano il solo effetto del mantenimento in vita artificiale

(cfr. l’art. L 1110-5, 2° comma, del Code de la santé publique, modificato dalla L. n. 2005-370

del 22 aprile 2005 “Relativa ai diritti del malato ed alla fine della vita”, e l’art. R 4127-37 del

Code de la santé publique, modificato dal decreto n. 2006-120 del 6 febbraio 2006).

Confidiamo che il legislatore italiano saprà e vorrà tenere in conto questi principi e adeguare ad es-

si la disciplina delle direttive anticipate, evitando di espropriare la persona del diritto elementare di

accettare la morte che la malattia ha reso inevitabile, di combattere il male secondo le proprie mi-

sure e – se ritiene – praticando soltanto il lenimento della sofferenza, senza rimanere prigioniera,

per volontà di legge, di meccanismi artificiali di prolungamento della vita biologica.

Il documento è sottoscritto dai seguenti Professori di diritto civile(in ordine alfabetico):

Guido Alpa Università di Roma La Sapienza

Giuseppe Amadio Università di Padova

Tommaso Auletta Università di Catania

Angelo Barba Università di Siena

Massimo Basile Università di Messina

Alessandra Bellelli Università di Perugia

Andrea Belvedere Università di Pavia

Alberto Maria Benedetti Università di Genova

Umberto Breccia Università di Pisa

Paolo Cendon Università di Trieste

Donato Carusi Università di Genova

Maria Carla Cherubini Università di Pisa

Maria Vita De Giorgi Università di Ferrara

Valeria De Lorenzi Università di Torino

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EDITORIALE

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Raffaella De Matteis Università di Genova

Gilda Ferrando Università di Genova

Massimo Franzoni Università di Bologna

Paolo Gaggero Università di Milano Bicocca

Aurelio Gentili Università di Roma Tre

Francesca Giardina Università di Pisa

Biagio Grasso Università di Napoli Federico II

Gianni Iudica Università Bocconi Milano

Gregorio Gitti Università di Milano Statale

Leonardo Lenti Università di Torino

Francesco Macario Università di Roma Tre

Manuela Mantovani Università di Padova

Marisaria Maugeri Università di Catania

Cosimo Marco Mazzoni Università di Siena

Marisa Meli Università di Catania

Salvatore Monticelli Università di Foggia

Giovanni Passagnoli Università di Firenze

Salvatore Patti Università di Roma La Sapienza

Paolo Pollice Università di Napoli

Roberto Pucella Università di Bergamo

Enzo Roppo Università di Genova

Carlo Rossello Università di Genova

Liliana Rossi Carleo Università di Napoli

Giovanna Savorani Università di Genova

Claudio Scognamiglio Università di Roma “Tor Vergata”

Chiara Tenella Sillani Università di Milano Statale

Giuseppe Vettori Università di Firenze

Alessio Zaccaria Università di Verona

Mario Zana Università di Pisa

Paolo Zatti Università di Padova

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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Premessa terminologica

In queste brevi note svolgo alcune osservazioni sui principali aspetti dei disegni di legge in discus-

sione al Senato della Repubblica sulle direttive anticipate sui trattamenti medici e assistenziali.

Alcune precisazioni terminologiche sono inizialmente necessarie.

Ho scelto di parlare di “direttive anticipate” perché mi sembra l’espressione lessicale che meglio ri-

sponde alla materia regolata e all’impostazione che traspare dai pur diversi disegni di legge. Ho

escluso living will, in quanto inutile anglismo, testamento biologico, perché il riferimento alle dispo-

sizioni testamentarie è fonte di confusione giuridica (il testamento contiene disposizioni da valere

dopo la morte della persona, mentre qui si parla di decisioni su trattamenti su persona vivente) e

dichiarazioni anticipate, perché il saliente carattere innovativo della legge è proprio quello di tra-

sformare le “dichiarazioni” (già oggi possibili, se non altro come espressione del diritto costituzio-

nale alla libertà di manifestazione del pensiero) in una proiezione del consenso/rifiuto informato in

un momento in cui la persona non è più capace di decidere.

Tale proiezione è vincolante (ecco perché direttive) tanto quanto è vincolante il consenso/rifiuto

espresso dal paziente mentre è capace di intendere e di volere.

Ho scelto, infine, di riferirmi ai “trattamenti medici e assistenziali” per un motivo evidente: se il fon-

damento costituzionale della legittimità del rifiuto di trattamenti medici sta negli articoli 13 (libertà

personale) e 32 (diritto alla salute) della Costituzione italiana, lo stesso principio non può non va-

lere anche per i trattamenti di tipo assistenziale, perché in entrambi i casi il valore tutelato è quello

dell’inviolabilità della sfera personale, a meno che non vi sia una richiesta del diretto.

Nelle note che seguono ho diviso la materia in tre parti fondamentali, che rispecchiano l’imposta-

zione prevalente nei disegni di legge: (A.) Il consenso e il rifiuto informato del paziente cosciente

e capace; (B.) Le direttive anticipate; (C.) Il fiduciario: nomina, poteri e soluzione dei conflitti.

A. Il consenso e il rifiuto informato del paziente cosciente e capace

A.1. Significato e importanza di una legge in materia

Il significato di una esplicita previsione di legge, che riconosca la legittimità e vincolatività del con-

senso e del rifiuto informato del paziente cosciente e capace, è soprattutto quello di una ricognizio-

ne di quanto già affermato in più occasioni dalla giurisprudenza. Si tratta di un insieme di princìpi

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FOCUS

1 Testo dell’audizione del dott. A. Santosuosso alla Commissione Igiene e sanità del Senato della Repubblica, 24 ottobre 2006, e

base dell’intervento tenuto dallo stesso al Convegno “Testamento di vita e capacità della persona”, organizzato da AIAF Lombar-

dia, Milano, 22 gennaio 2009.

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUI DISEGNI DI LEGGE IN DISCUSSIONE AL SENATO DELLA REPUBBLICA E SULLE DIRETTIVE ANTICIPATE SUI TRATTAMENTI MEDICI E ASSISTENZIALI 1

Amedeo SantosuossoConsigliere presso la Corte d’Appello di Milano; Professore (a contratto) di Diritto e scienze della vita, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Pavia; Presidente del Centro di ricerca interdipartimentale European Centre for Life Sciences Health and the Courts, Università degli Studi di Pavia

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e di regole giuridiche, che sono basati sugli articoli 13 e 32 della Costituzione italiana e che sono

condivisi, al fondo, dai giuristi di tutti gli orientamenti etici e religiosi (basti richiamare l’insegnamen-

to di un eminente giurista cattolico come Federico Stella e il documento del Comitato nazionale per

la bioetica sul Consenso informato del 1992).

In sintesi, il vantaggio di una esplicita previsione di legge sta principalmente nel ridurre i margini di

oscillazione che pure le pronunce dei giudici continuano a registrare.

A.2. La volontà del paziente nella prospettiva costituzionale

Il percorso che ha portato al riconoscimento, anche in Italia, del diritto dei pazienti a rifiutare an-

che i trattamenti sanitari salvavita ha inizio negli anni Sessanta del secolo scorso, e può così sinteti-

camente ricostruirsi:

a) nel corso degli anni Sessanta del Novecento si afferma l’idea che i diritti costituzionali e “i prin-cipi fondamentali di libertà” debbono “essere immediatamente immessi nell’ordinamento giuri-dico con efficacia erga omnes”2. La Corte costituzionale italiana afferma il principio a proposito

dei rapporti tra privati nei luoghi di lavoro, ma è del tutto evidente che si apre una prospettiva

nella quale si collocano, a pieno titolo, il diritto alla salute (art. 32 Cost.) e anche la più tipica li-

bertà verso le pubbliche autorità (la “libertà dagli arresti”), la libertà personale di cui all’art. 13

della Costituzione.

b) La Corte costituzionale, con sentenza del 1985 (n. 161) conferma in pieno la legittimità della leg-

ge del 1982 che dà ai transessuali la possibilità di praticare un intervento chirurgico che porti al

mutamento del sesso da uomo a donna o (più raramente) da donna a uomo. Il punto interes-

sante è che la Corte giunge a tale conclusione definendo l’intervento chirurgico come atto tera-

peutico teso alla realizzazione del diritto alla salute del transessuale: questi, attraverso l’interven-

to medico, ricompone l’equilibrio tra gli aspetti fisici e psichici della sua sessualità3.

Risulta così legittimata, come terapeutica, la modificazione dell’apparenza sessuale di un corpo

che, in sé, non ha manifestazioni di tipo patologico, e risulta così affermata la prevalenza del-

l’art. 32 della Costituzione sull’art. 5 del codice civile (atti di disposizione del proprio corpo), vi-

sto che è difficile negare che l’intervento di mutamento di sesso costituisca un atto di disposizio-

ne del proprio corpo che va oltre i limiti della norma del codice civile (art. 5).

c) Il diritto alla salute (art. 32 Cost.), dopo un paio di decenni in cui trova applicazione nei campi

più disparati, fa finalmente ingresso nel rapporto (ordinario) tra medico e paziente con la ormai

storica serie di sentenze sul caso del “chirurgo di Firenze”, che ha portato alla condanna per omi-

cidio preterintenzionale di un sanitario che aveva operato senza il consenso (e che aveva così

provocato, con dolo, lesioni seguite dalla morte).

In un passo si legge:

“Nel diritto di ciascuno di disporre, lui e lui solo, della propria salute e integrità personale, purnei limiti previsti dall’ordinamento, non può che essere ricompreso il diritto di rifiutare le curemediche lasciando che la malattia segua il suo corso anche fino alle estreme conseguenze: ilche non può essere considerato il riconoscimento di un diritto positivo al suicidio, ma è invecela riaffermazione che la salute non è un bene che possa essere imposto coattivamente al sogget-to interessato dal volere o, peggio, dall’arbitrio altrui, ma deve fondarsi esclusivamente sulla vo-lontà dell’avente diritto, trattandosi di una scelta che [...] riguarda la qualità della vita e chepertanto lui e lui solo può legittimamente fare”.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

2 Corte Cost. n.45/65, 9 giugno 1965, in Rivista Giuridica del lavoro, 1965, II, 155; è il problema della Drittwirkung dei diritti co-

stituzionali, e cioè della loro efficacia verso i terzi, altri privati, e non solo verso lo Stato.

3 Corte Cost. 24 maggio 1985, sentenza n. 161, in Giurisprudenza Costituzionale, 1985, I, 1173 sulla legge 14 aprile 1982, n. 164.

Lo stesso ordine di idee viene ripreso poco dopo dalla Corte di Cassazione nel famoso caso del dott. Conciani, imputato di aver

sottoposto a vasectomia, con il loro consenso, numerosi uomini, cagionando loro la perdita irreversibile della capacità di procrea-

re: Corte Cass. 18 marzo 1987, in Cass. Pen., 1988, 609.

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In altro passo della sentenza di primo grado (confermata) si trova poi una delle affermazioni più

importanti:

“doveva essere lasciato alla libera scelta della [paziente] se trascorrere i non moltissimi giorni diuna vita ormai non lontana dalla fine in maniera fisicamente e psicologicamente dignitosa,ovvero subire il trauma di un intervento chirurgico cruento e devastante, con scarsissime pro-babilità di riuscita quoad vitam, con degenza ospedaliera lunghissima, dolorose medicazioni,sconvolgimento delle funzioni naturali, con applicazione di un ano artificiale, in una condi-zione fisicamente dolorosa e psicologicamente umiliante”4.

d) Il Comitato nazionale per la Bioetica, sotto la presidenza di un cattolico come Adriano Bompia-

ni e con una composizione non certo a prevalenza laica, approva nel 1992 un documento su “In-

formazione e consenso all’atto medico”, nel quale prende esplicitamente in considerazione il ca-

so del rifiuto dell’emotrasfusione da parte dei Testimoni di Geova e afferma che, nonostante la

sofferenza del sanitario che vede morire il proprio assistito senza poter espletare l’atto terapeu-

tico probabilmente risolutivo, egli deve ispirare il proprio comportamento all’art. 40 del codice

di Deontologia medica (1990) quando afferma che “il medico è tenuto alla desistenza da qual-siasi atto diagnostico e terapeutico non essendo consentito alcun trattamento sanitario contro lavolontà del paziente”. D’altra parte l’opinione secondo la quale la volontà del paziente cosciente e capace debba esse-

re rispettata, anche quando si ponga una questione di vita o di morte e nonostante il compren-

sibile turbamento morale e professionale del medico, era già stata espressa da alcuni autorevoli

giuristi cattolici.

e) La sentenza della Corte costituzionale n. 471 del 1994 definisce, per la prima volta, la libertà per

ognuno di disporre del proprio corpo come un postulato della “libertà personale inviolabile” di

cui parla la Costituzione all’art. 13. In questo modo la libertà di autodeterminarsi in ordine ad at-

ti che coinvolgono il proprio corpo va finalmente a radicarsi nel principio della libertà personale.

Una successiva sentenza della Corte costituzionale (9 luglio 1996, n. 238) ha escluso in modo pe-

rentorio che una persona possa essere costretta ad un intervento sanitario indesiderato, se man-

ca una norma che esplicitamente lo consenta (e ciò anche nel corso di un processo penale e an-

che a fronte della necessità di accertare un reato). La Corte fonda la sua decisione ancora una

volta sulla libertà personale, un diritto inviolabile rientrante tra i valori supremi, quale indefetti-

bile nucleo essenziale dell’individuo, non diversamente dal contiguo e connesso diritto alla vita

e all’integrità fisica, con il quale concorre a costituire la matrice prima di ogni altro diritto, costi-

tuzionalmente protetto, della persona5.

Dunque, la regola fondamentale è quella dell’intangibilità della sfera personale, “matrice prima diogni altro diritto” in tutti i campi.

In sintesi, sulla prospettiva costituzionale, si può dire che il quadro normativo che si è venuto a de-

lineare negli ultimi anni non lasci spazio ad equivoci: la volontà della persona cosciente e capace

di rifiutare trattamenti medici ha un solido fondamento costituzionale (artt. 13 e 32 Cost.) e deve es-

sere rispettata anche nel caso in cui dalla mancata esecuzione dei trattamenti derivi un danno alla

salute del paziente o finanche la morte. Più esattamente si può dire:

• il contenuto delle norme costituzionali, come è noto, è definito dal loro tenore letterale insieme

alle interpretazioni ad esse date dalla Corte costituzionale. Gli artt. 13 e 32 della Costituzione ita-

liana, per come interpretati dalla Corte costituzionale, regolano anche i rapporti tra privati che

hanno luogo in contesto medico e prevedono la libera determinazione della persona come re-

13

FOCUS

4 Corte d’Assise di Firenze n. 13/90 (18 ottobre-8 novembre 1990), in Il Foro Italiano, 1991, II, 236. La sentenza di condanna per

omicidio preterintenzionale è stata poi confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze (sentenza n.

5/91 del 26 giugno-10 agosto 1991) e dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 699 del 21 aprile 1992. Il medico è stato poi radia-

to dall’Albo con provvedimento pubblicato in Toscana Medica, 1993, 4, 10.

5 Corte Cost. 22 ottobre 1990, sentenza n. 471, in Il Foro Italiano, 1991, I, 14: la questione riguardava l’ammissibilità dell’accerta-

mento tecnico preventivo (art. 696, co. 1, c.p.c.) sulla persona in un caso in cui l’accertamento è da svolgere sul corpo stesso di

chi lo chiede.

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gola generale. Questa regola prevale su quella contenuta nell’art. 5 c.c. (atti di disposizione del

proprio corpo) e non può essere limitata dall’art. 54 c.p. (che contiene solo una scriminante, lo

stato di necessità, e non una norma prescrittiva di un comportamento contro la volontà del pa-

ziente). Essa non è in contrasto con il diritto alla vita, che, se è indisponibile nella sua titolarità,

non può non essere libero quanto agli atti attraverso i quali viene esercitato (altrimenti il diritto

alla vita si tramuterebbe in obbligo di vivere);

• il contenuto normativo degli artt. 13 e 32 Cost. è in linea con l’art. 5 della Convenzione su Di-

ritti Umani e Biomedicina, Oviedo, 4.IV.1997, (“Nessun intervento in campo sanitario può essereeffettuato se non dopo che la persona a cui esso è diretto vi abbia dato un consenso libero e in-formato [...] La persona a cui è diretto l’intervento può in ogni momento ritirare liberamente ilproprio consenso”) e con l’art. 3 della Charter of Fundamental Rights of the European Union(“Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina edella biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della personainteressata, secondo le modalità definite dalla legge”). Tali fonti sovranazionali non hanno anco-

ra (per motivi diversi una dall’altra) piena vigenza nel nostro ordinamento, ma costituiscono per

l’interprete una significativa conferma di scelte di fondo che la nostra Corte costituzionale ha già

effettuato.

A.3. I disegni di legge: un elemento innovativo di grande rilievo

L’elemento innovativo di maggiore rilievo che ho riscontrato in alcuni d.l. (d.l. n. 357, art.2, e, con

formulazione simile, d.l. n. 542, n. 665 e n. 818) è costituito dalla seguente previsione:

“L’eventuale rifiuto, espresso ai sensi del comma 1, valido anche per il tempo successivo ad unasopravvenuta perdita della capacità naturale, deve essere rispettato dai sanitari anche se dallamancata effettuazione dei trattamenti proposti derivi un pericolo per la salute o per la vita del pa-ziente, e rende gli stessi sanitari esenti da ogni responsabilità configurabile ai sensi delle disposi-zioni vigenti in materia”.

L’introduzione di una norma del genere è giuridicamente corretta e di grande utilità sul piano pra-

tico perché:

• tranquillizza i medici circa la possibilità di iniziative repressive di qualche magistrato poco infor-

mato in materia;

• esclude che il sanitario (e anche l’eventuale magistrato consultato, secondo una prassi impropria

ma perdurante) possa ritenere che, a fronte del rifiuto del paziente, ricorrano gli estremi dello

stato di necessità (art. 54 c. p.) o della cosiddetta posizione di garanzia (art. 40 c. p.).

In sintesi, l’ispirazione presente nei disegni di legge, per quanto riguarda le decisioni sulle cure nei

pazienti coscienti e capaci, è fondata giuridicamente, risponde ai principi costituzionali italiani ed

europei e riflette la seguente assunzione teorico-pratica: non è il paziente che deve giustificare le

sue libere scelte sulle cure (e di riflesso anche sulla sua salute e sulla sua vita), ma è l’opera del me-

dico che deve avere adeguata giustificazione giuridica, nel rispetto dei diritti del paziente alla liber-

tà personale (art. 13 cost.) e alla salute (art. 32 cost.), dal momento che la finalità terapeutica o di

cura non è, in sé, una giustificazione sufficiente.

B. Le direttive anticipate

B.1. Quando la volontà è piena, ma non attuale

Il quadro giuridico sin qui delineato vale indiscutibilmente per le situazioni nelle quali il conflitto

libertà-necessità è del tutto attuale.

Ma cosa ne è se il paziente, pur informato sulla sua condizione, sui trattamenti proposti e sui rischi,

rifiuti il trattamento salvavita, ma non è poi cosciente e capace al momento in cui deve essere po-

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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sto in essere il trattamento rifiutato? La situazione tipica è quella dell’intervento chirurgico da effet-

tuarsi sotto anestesia generale. È necessario non nascondersi dietro artifici: intendere il requisito del-

l’attualità della volontà come necessaria stretta contestualità significa rendere totalmente irrilevante

la volontà del paziente in tutti i casi in cui un intervento richieda l’anestesia.

Ragionando in questo modo sarebbe stata impossibile la stessa notissima decisione del caso del chi-

rurgo di Firenze (vedi sopra), in cui i sanitari avevano effettuato un tipo di intervento per il quale

la paziente non aveva dato il consenso e, anzi, aveva espresso un rifiuto, oppure sarebbe impossi-

bile anche un intervento di mutamento di sesso, in quanto dovrebbe prevalere il dubbio che la per-

sona non voglia continuare a richiedere un intervento che comporta una diminuzione permanente,

e così via.

In realtà, in tali situazioni non vi è discontinuità tra la manifestazione della volontà del paziente e

l’evento al quale si riferiscono i trattamenti rifiutati. Di conseguenza, a parità di contesto, la volon-

tà del paziente va rispettata e, eventualmente, il paziente va ulteriormente informato dello specifico

rischio che corre nel rifiutare un trattamento che, verosimilmente prevedibile, sarebbe molto proba-

bilmente salvavita.

A rigore, la questione non riguarda le direttive anticipate, ma rientra nella generale previsione di le-

gittimità e vincolatività del rifiuto informato6.

Va visto comunque con favore un intervento legislativo che sia chiarificatore sul punto (vedi, ad

esempio, il d.l. n. 818, art. 2).

B.2. Quando l’evento traumatico, che porta alla perdita di capacità, è improvviso

Vi sono, poi, casi in cui il paziente non ha avuto alcuna possibilità di essere informato sulla sua con-

dizione, sui trattamenti da effettuarsi e sui rischi, in quanto un evento traumatico improvviso (un in-

cidente stradale, sul lavoro o altro di simile) ha prodotto, contemporaneamente, la necessità tera-

peutica e la perdita di coscienza.

Su questo punto, obiettivamente molto delicato, non può non rilevarsi che la volontà espressa in

una condizione di benessere, e riferita a una condizione ipotetica, ha contenuto e consistenza di-

versi rispetto a quella espressa in una condizione in cui il paziente già vive la situazione alla quale

si riferiscono le cure. In altri termini, se è la sostanziale continuità della condizione personale, che

depone a favore del rispetto della volontà espressa prima della perdita di coscienza per anestesia o

per sviluppo della malattia, alla stessa stregua non si potrà non farsi carico della discontinuità che

vi è nel caso delle dichiarazioni ipotetiche che diventano attuali per effetto di un evento traumatico

improvviso.

Per impostare la soluzione di questo problema va ricordato (vedi sopra A.) che il medico non ha il

monopolio della decisione medica. Egli informa e propone, e il paziente decide sul da farsi. I sog-

getti della decisione in medicina diventano così due: il medico e il paziente.

Questo è l’essenziale mutamento culturale e giuridico collegato all’idea di autodeterminazione del

paziente.

Fino a un paio di decenni fa era sufficiente che il paziente avesse perso la capacità di decidere per-

ché medici, giuristi e medici legali (italiani) sancissero l’irrilevanza delle volontà espresse in prece-

denza e ristabilissero il monopolio medico della decisione. Oggi la sensibilità è cambiata e ci si de-

ve porre la seguente domanda: se, quando il paziente è cosciente, i soggetti della decisione sono

due, perché mai questa duplicità deve venire meno a causa della perdita di coscienza?

Le direttive anticipate rispondono a questa esigenza, e fanno sì che il diritto di decidere sulle cure

sul proprio corpo non sia vanificato per il solo fatto che la persona non sia cosciente e capace.

15

FOCUS

6 Ragionando diversamente si continuerebbe ad interpretare la Costituzione alla luce della legge ordinaria (codice penale), e non

viceversa, come fanno coloro i quali ritengono che il diritto alla salute debba essere riconosciuto nei limiti sanciti dall’art. 5 del co-

dice civile, che è come dire che la norma costituzionale dell’art. 32 debba essere interpretata alla luce della norma codicistica, e

non viceversa. Il fatto che sia stato a lungo riconosciuto all’art. 5 c.c. un contenuto sostanzialmente, anche se non formalmente, co-

stituzionale, nulla toglie alla necessità di una sua interpretazione alla luce delle norme anche formalmente costituzionali.

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A tale proposito vale la pena di considerare il seguente problema: quale legittimità ha l’intervento

medico su un paziente non cosciente, di cui però sia nota (attraverso le direttive anticipate) una vo-

lontà contraria, espressa in condizione di benessere o essendo informato dell’evoluzione di una ma-

lattia progressiva?

Sulla base dei principi costituzionali sopra richiamati la soluzione più corretta è quella che conside-

ra non giustificato quell’intervento, che è inibito al medico dalla volontà del diretto interessato.

Inoltre (ed è il punto decisivo) la volontà delle direttive anticipate, anche quando espressa in for-

ma ipotetica, costituisce l’unica disponibile che possa essere riferita al diretto interessato. Il che è

particolarmente rilevante nel caso di perdita irreversibile della capacità7. Tra i precedenti giudiziari

nei quali è stato dato rilievo alla volontà documentata nel cartellino trovato sulla persona del Testi-

mone di Geova, va segnalata la decisione del giudice per le indagini preliminari presso il Tribuna-

le di Messina del 19958.

B.3. Le formulazioni sulle direttive anticipate nei diversi disegni di legge

Le formulazioni sulle dichiarazioni o direttive anticipate sono simili nei diversi disegni di legge.

Si consideri, ad esempio, l’art. 3 dei d.l. n. 542 e 818:

“Ogni persona capace ha il diritto di esprimere il proprio consenso o rifiuto in relazione ai trat-tamenti sanitari che potranno in futuro essere prospettati. La dichiarazione di volontà può esse-re formulata e restare valida anche per il tempo successivo alla perdita della capacità naturale”.

Si può osservare che, da un punto di vista giuridico, sono sempre preferibili formulazioni sufficien-

temente ampie e generali, come quella appena riportata. Al contrario, l’esposizione casistica di det-

taglio (che alcuni d.l. adottano) apre sempre a infinite discussioni sul carattere esemplificativo o tas-

sativo delle situazioni citate. Per questo motivo l’art. 3 citato appare condivisibile come impianto e

richiede soltanto una modifica tecnica nella seconda parte, che può diventare: “La manifestazionedi volontà resta valida anche per il tempo successivo alla perdita della capacità naturale”. In tal mo-

do si eliminano le parole “può essere formulata”, in quanto ridondanti, e si statuisce che “resta va-lida” (che è l’unico senso della disposizione).

Quanto all’impianto generale va considerato che,

a) se al paziente capace è stato esplicitamente riconosciuto il diritto di rifiutare anche i trattamenti

salvavita,

b) e se il senso, nelle grandi linee comune a tutti i disegni di legge, è quello di dare rilievo, dopo

la perdita della capacità, alle volontà espresse prima della perdita della capacità stessa, non vi è

motivo per il quale l’ampiezza di b) (le dichiarazioni anticipate) debba essere minore di quella

di a).

Certo, vi è la differenza della non attualità delle volontà espresse in anticipo, ma non può sottova-

lutarsi che, in termini giuridici, si pone un netto problema di illegittimità costituzionale di una dif-

ferenziazione tra le due situazioni, soprattutto nei casi in cui la perdita irreversibile della capacità

rende impossibile una nuova attuale volontà (e sono i casi di maggiore rilievo).

Nel dilemma tra violare, in nome di una astratta e ipotetica diversa volontà, l’ultima volontà nota

del paziente e seguire, invece, l’ultima volontà nota, pur consapevoli della sua stretta non conte-

stualità, credo che il sacrificio minore sia nella seconda condotta, che si conforma alle volontà co-

nosciute.

Questi argomenti mi portano (pur consapevole del dibattito, soprattutto italiano, in materia) a rite-

nere non giustificata e, giuridicamente, inopportuna un’esplicita esclusione di alcuni trattamenti, co-

me l’idratazione e la nutrizione parenterale, tra quelli che possono costituire oggetto delle dichiara-

16

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

7 Vedi il documento su Idratazione e nutrizione nei pazienti in SVP, redatto dal Gruppo di lavoro istituito dal ministro della Sa-

nità (Prof. Umberto Veronesi) nell’ottobre 2000, in www.globius.org

8 Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Messina 26/7/95, in Diritto penale e processo, 1996, 2, 202-208, con no-

ta di Santosuosso; Pretura di Roma del 9 aprile 1997 e Pretura Treviso, 29 aprile 1999, in Bioetica, 1, 2000, 132, con nota di Fucci.

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zioni anticipate (vedi l’art. 3 del d.l. n. 773). Per una discussione più ampia, da un punto di vista sia

etico che giuridico, su idratazione e nutrizione nei pazienti in stato vegetativo permanente, sia con-

sentito il rinvio alla relazione (1/6/2001) del gruppo di lavoro sui trattamenti di nutrizione-idratazio-

ne artificiali delle persone in stato di perdita irreversibile della coscienza, istituito con Decreto del

ministro della Sanità, prof. Umberto Veronesi, del 20 ottobre 2000.

Sul punto va ulteriormente considerato come sia diverso ragionare su idratazione e nutrizione pa-

renterale di un paziente in coma irreversibile se non sono note le volontà oppure se sono note le

volontà.

Nel primo caso può avere un senso la discussione sulla natura di idratazione e nutrizione: se atto

medico, sospendibile quale accanimento terapeutico, o atto di cura, sempre moralmente dovuto e

quindi non sospendibile. Personalmente ritengo che la libertà di determinazione e la libertà perso-

nale del paziente abbiano, in termini costituzionali, una portata di 360 gradi. Da un punto di vista

giuridico, è del tutto incongruo considerare un atto di violazione della sfera personale un atto me-

dico e non tutti gli atti che vengono compiuti sulla persona, per scopi assistenziali diversi.

In ogni caso, quando si discute di direttive anticipate l’orizzonte cambia completamente. Come si è

visto sopra le direttive anticipate sono lo strumento giuridico che consente la proiezione della vo-

lontà del diretto interessato in un momento in cui egli non è in grado di decidere.

Di conseguenza, se la persona cosciente e capace può rifiutare, nell’immediato, i trattamenti salva-

vita e può rifiutare il cibo, comunque assunto, alla stessa persona va riconosciuto il diritto di rifiu-

tare l’idratazione e la nutrizione per quando, e se, sarà in stato vegetativo permanente, quale che

sia la natura (oggettiva?) dell’idratazione e della nutrizione.

Qui, infatti, l’orizzonte è diverso e non è in gioco una definizione obiettiva, ma il rispetto della vo-

lontà manifestata da una determinata persona.

Sempre nella stessa prospettiva va segnalata la grande importanza di una previsione esplicita di

esenzione di responsabilità per il sanitario che rispetti le volontà delle direttive anticipate, in modo

simile a quanto visto sopra sub A., e previsto dal d.l. n. 818 per i “trattamenti che stiano per essereeseguiti” (art. 2).

La formulazione può essere come la seguente o simile:

“I sanitari che rispettano le volontà espresse nelle direttive anticipate sono esenti da ogni respon-sabilità configurabile ai sensi delle disposizioni vigenti in materia”.

In tal modo si evita che atteggiamenti di medicina difensiva possano portare a violazioni delle vo-

lontà espresse.

C. Il fiduciario: nomina, poteri e soluzione dei conflitti

C.1. Rappresentanza e decisione sulle cure

Il tema della rappresentanza nelle decisioni che riguardano i trattamenti sanitari e le cure in gene-

rale è particolarmente delicato.

La questione si è posta in giurisprudenza per quanto riguarda il potere di cura della persona che la

legge conferisce al tutore (art. 357 c.c.) e, specificamente, ci si è chiesto se detto potere compren-

da un “generale potere di rappresentanza in capo al tutore con riferimento ai cc.dd. atti personalis-simi”9.

Quella dei poteri del tutore in relazione agli atti personalissimi è, non c’è dubbio, una grande que-

stione, che è strettamente connessa a una questione poco indagata e poco definita sia dalla giuri-

sprudenza sia dalla dottrina: il potere di cura.

17

FOCUS

9 A proposito dei poteri di rappresentanza e sostituzione nei pazienti in stato di irreversibile incapacità sia consentito il rinvio al-

l’articolo Santosuosso, Turri, La trincea dell’inammissibilità, dopo tredici anni di stato vegetativo permanente di Eluana Englaro, in

La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, maggio 2006, parte I, 477-485.

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La Corte di Cassazione, nel caso di Eluana Englaro, ha sostenuto “l’inesistenza, in capo al tutore, diuna rappresentanza generale degli interessi dell’interdetto con riguardo a siffatto genere di atti”. Al riguardo, com’è noto, di diverso avviso era stata la Corte d’Appello di Milano, che aveva ricono-

sciuto al padre-tutore il potere di esprimere il consenso o il rifiuto dei trattamenti medici, in quan-

to titolare del “potere di cura” della figlia interdetta10.

La Corte di Cassazione ha ragione nel dire che non si configura “un generale potere di rappresen-tanza in capo al tutore con riferimento ai cc.dd. atti personalissimi”, se si riferisce a quella parte del-

l’art. 357 c.c., che conferisce al tutore il potere di rappresentare il minore (ma il discorso vale paci-

ficamente anche per l’interdetto) in tutti gli atti civili. Ma ha assai meno ragioni per estendere gli ef-

fetti di tale corretta affermazione all’esercizio del potere di cura, previsto in altro punto dello stesso

articolo. Si può, e si deve ritenere, che il potere di cura operi al di fuori e a prescindere dal potere

di rappresentare: nessun dubbio che non sia ammessa rappresentanza nell’esercizio dei diritti perso-

nalissimi, ma se non si vuole che l’esercizio di tali diritti sia precluso, occorre, da un lato, che ne sia

consentito l’esercizio agli incapaci non appena conseguano sufficiente capacità di discernimento, e,

dall’altro, ove tale possibilità non sia data (ed è il caso del soggetto in SVP), occorre connetterlo al

potere di cura. Questo deve essere un punto fermo. Non si può ammettere l’esclusione dell’incapa-

ce dall’esercizio dei diritti personalissimi in ragione dei limiti del potere di rappresentanza, pena la

negazione sostanziale dei suoi diritti fondamentali e la violazione del principio di eguaglianza.

Il rapporto tra potere di rappresentanza e potere di cura apre ad un’alternativa radicale. O si segue

la prospettiva indicata sopra, che fa salvo il potere di cura dell’incapace, e allora il sistema ha una

sua coerenza nella quale ha posto sia la non rappresentanza in senso civilistico nei diritti persona-

lissimi sia la necessità che l’incapace, attraverso il potere di cura del tutore, possa vedere preserva-

ta e garantita la sua sfera giuridica verso chi (i medici) esercita un potere materiale sul suo corpo.

Oppure si segue la prospettiva secondo la quale “quando la persona non può esprimere alcuna vo-lontà non vi è alcun profilo di autodeterminazione e di libertà da dover tutelare”. Se si segue que-

sta seconda strada (che confonde titolarità ed esercizio dei diritti, capacità giuridica e capacità di agi-

re) si finisce con l’escludere l’incapace dall’esercizio dei diritti personalissimi in ragione dei limiti del

potere di rappresentanza, con l’effetto paradossale di usare l’esistenza di quei limiti, che sono posti

a maggior garanzia dei diritti personalissimi, per negare radicalmente proprio quei diritti.

Un simile risultato di inesistenza giuridica del soggetto incapace, che diventa quasi un “nessuno”

sulla cui terra sono lecite tutte le incursioni, è in radicale contrasto con il principio di eguaglianza,

sancito dalla nostra Carta costituzionale.

Alla fine di tutto, la questione è sempre quella affrontata dalla corte del New Jersey nel caso Quin-

lan negli anni Settanta: una persona in stato di stabile incapacità non perde, per ciò solo, i diritti che

ha chi è capace.

C.2. Il problema nei disegni di legge

I disegni di legge in discussione introducono la figura del fiduciario quale persona che consente la

cura della persona incapace, nel senso di far valere le sue volontà espresse e/o i suoi interessi.

Quanto detto sopra, circa la delicatezza della questione, conferma l’importanza che le norme sui po-

teri del fiduciario siano il più possibile chiare.

La formulazione del d.l. n. 542, art. 3, n. 2, è giuridicamente completa:

“Ogni persona capace può indicare una persona di fiducia la quale, nel caso in cui sopravven-ga uno stato di incapacità naturale valutato irreversibile allo stato delle conoscenze scientifiche,diviene titolare in sua vece dei diritti e della facoltà di cui agli articoli 1 e 2, e alla quale può even-tualmente dare indicazioni o disposizioni vincolanti in merito ai trattamenti sanitari ai quali po-trà essere sottoposta”.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

10 Corte d’Appello di Milano 26 novembre 1999-31 dicembre 1999, in Il Foro Italiano, I, 2000.

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Si può solo rilevare che la formula “diviene titolare in sua vece dei diritti e della facoltà” è in con-

trasto con il carattere personalissimo dei diritti in gioco e dovrebbe essere sostituita da un’espres-

sione come “esercita i diritti e le facoltà”.

Nel caso in cui “la persona di fiducia” non sia stata indicata dal diretto interessato, è importante che

sia previsto un meccanismo di nomina, che garantisca in ogni caso la duplicità dei soggetti del pro-

cesso decisionale anche quando il diretto interessato non è in grado di recuperare la coscienza e la

capacità.

È preferibile l’obbligo di segnalare la situazione al giudice tutelare perché provveda alla nomina (ve-

di d.l n. 818, art. 3, comma 4), piuttosto che una elencazione di sostituti previsti in modo automa-

tico dalla legge (come i familiari, che alcuni d.l – n. 433, art. 3, comma 2 – indicano secondo una

scala di priorità). È chiaro che i familiari sono una risorsa fondamentale, ma sarà bene che la valu-

tazione di chi, tra essi, sia la persona più adatta, sia rimessa al giudice tutelare, secondo le circo-

stanze e le caratteristiche del particolare nucleo familiare.

C.3. Divergenze tra medico e dichiarazione e/o fiduciario

L’eventuale divergenza tra le decisioni della persona di fiducia e le proposte del medico rappresen-

ta un conflitto che ha come sede naturale di risoluzione (vertendosi in materia di diritti anche per-

sonalissimi) quella giudiziaria nelle forme più agili consentite dall’ordinamento.

Appare quanto mai inopportuno che la risoluzione del conflitto o della divergenza sia rimessa

• ai Comitati etici, (vedi d.l. n. 687, art. 8), perché essi sono entità strutturalmente inidonee a de-

cidere su diritti;

• ai familiari in quanto tali, considerata la complessità delle dinamiche familiari;

• ai medici (vedi d.l. n. 773, art. 5, comma 3 e d.l. n. 687, art. 9), in quanto il fiduciario ha la fun-

zione di ricostituire la duplicità dei soggetti del processo decisionale e non può, di conseguen-

za, agire sotto il controllo dell’altro soggetto (il medico). Il controllo sul fiduciario, così come la

sua nomina (in caso di mancata indicazione da parte del diretto interessato nelle direttive anti-

cipate) e la risoluzione dei conflitti devono essere rimessi all’autorità giudiziaria.

È importante che, laddove esistano dichiarazioni anticipate, il giudice debba decidere conformemen-

te ad esse (ad esempio art. 4, d.l. 542). Per completezza, alla fine dell’art. 4 (prendendo come rife-

rimento il d.l. 542).

Nei casi in cui risultino le dichiarazioni di volontà di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, il giudice deci-

de conformemente ad esse. Andrebbe aggiunto il seguente testo

“e, ove risultino volontà altrimenti documentate o ricostruibili, ne tiene conto”. Tale aggiunta si giustifica con la possibilità che una persona abbia chiaramente manifestato una vo-

lontà in ordine alle cure, ma non lo abbia fatto nelle forme previste dalla legge. Si evita così una di-

sparità di trattamento per motivi esclusivamente formalistici e ci si colloca nell’ordine di idee della

Convenzione di Oviedo.

Il caso in cui il medico non condivida la volontà di cui alle direttive anticipate rappresenta un caso

di obiezione deontologica (più che un’obiezione di coscienza), che va risolta secondo le regole del

codice deontologico e attraverso il ricorso al giudice (vedi sopra). In ogni caso l’opinione o l’orien-

tamento etico del curante non è mai buon motivo per violare la volontà espressa dal diretto inte-

ressato.

19

FOCUS

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1. La medicina, le biotecnologie hanno messo a disposizione dell’uomo previsioni attendibili, stru-

menti affidabili sui modi e sulle opzioni con cui si realizzano e possono essere vissuti gli eventi di

inizio e fine vita e ciò porta a considerarli non più come momenti strettamente naturali sui quali non

è possibile intervenire, bensì aperti, come campo di scelta, di autodeterminazione, di diritti. Di que-

sta autodeterminazione l’aspetto centrale è dato dal “consenso informato e consapevole del malatoall’atto medico”, principio di libera determinazione della persona che può implicare il diritto di ri-

fiutare o di far cessare le cure mediche, lasciando che la malattia faccia il suo corso anche fino alle

estreme conseguenze.

Si è dunque determinata una profonda trasformazione nella dialettica tra autonomia della persona

e attività del medico con una necessaria prevalenza della prima sulla seconda. L’attività medico-chi-

rurgica deve ora svolgersi con il rispetto di alcune garanzie fondamentali della persona e, anzitutto,

con il “consenso del malato”, parte del più ampio principio della libertà personale, che si sostanzia

appunto nell’esclusività del proprio essere fisico e psichico, in virtù del quale la persona non può

essere sottoposta a coercizione nel corpo e nella mente.

La principale fonte normativa è data da una lettura personalista della Costituzione, in specie dell’art.

2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo; dell’art. 3, co. 2, che obbliga lo stato a ri-

muovere gli ostacoli di qualsiasi natura per assicurare il pieno sviluppo della persona umana; del-

l’art. 13, che sancisce l’inviolabilità della libertà personale il cui contenuto minimo e incontroverti-

bile è rappresentato dalla possibilità per il soggetto di disporre in via esclusiva del proprio essere

fisico, sia pure entro i limiti e gli obblighi posti dall’ordinamento e infine, e soprattutto, dell’art. 32,

comma 1, là dove dispone che “nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non perdisposizione di legge”1. Non mancano richiami anche alla normativa ordinaria2, al Codice di deonto-logia medica (Capo IV: Informazione e consenso), così come, a livello internazionale, alla Conven-zione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Convenzione di Oviedo, 1997, art. 5) e alla Carta deidiritti fondamentali dei cittadini dell’Unione europea (Nizza, 2000, art. 3).

Vanno, tuttavia, fin da subito fatte alcune precisazioni. Innanzitutto questa forte accentuazione po-

sta sul consenso informato al trattamento sanitario non ha aperto nel nostro ordinamento alcuna

strada verso l’eutanasia attiva, come può essere avvenuto in altri Paesi (Olanda, Belgio). L’indagi-

ne penale sulle scelte di fine vita traccia un quadro di estremo rigore nei confronti di una tale ipo-

tesi, ricomprendendo situazioni di tal genere fra i reati contro la persona, che sono oggetto del ti-

tolo XII del codice penale e, più specificatamente, tra quelli del capo I di questo titolo. Si tratta, in-

fatti, di una condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 575 c.p. (omicidio), dell’art. 579 c.p.

(omicidio del consenziente) e dell’art. 580 c.p. (istigazione o suicidio assistito).

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

1 Corte Cost. 16/1985 e Corte Cost. 561/1987.

2 L. 23 dicembre 1978, n. 833; d.l. 24 giugno 2003, n. 211; l. 19 febbraio 2004, n. 40; l. 21 ottobre 2005, n. 219.

LE IDEOLOGIE DEL GIUDICE NELLE SCELTE DI FINE VITA

Lorenzo D’AvackVicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica; Ordinario di Filosofia del Diritto, Università di Roma Tre

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In secondo luogo, non esiste nel nostro ordinamento una normativa specifica sulle scelte di fine vi-

ta e questo vuoto legislativo ha necessariamente rimesso alla magistratura il delicato compito di ri-

solvere le questioni all’occasione insorte a fronte di diverse casistiche. Fra queste hanno assunto par-

ticolare attenzione quelle caratterizzate da un consenso espresso, contestuale, consapevole del pa-

ziente. E, in questa ipotesi, la differenza fra chi si trova in situazione di “autonomia”, e che pertan-

to è in grado da solo di sottrarsi ad un intervento terapeutico, e chi, invece, trovasi in situazione di

“dipendenza” e debba richiedere l’aiuto di un terzo in specie del medico o dell’équipe medica.

Ancora, la possibilità che il consenso o il dissenso verso le terapie sia riscontrabile attraverso una

volontà anticipata del paziente non più competente. In questo caso ha un peso la presenza di di-chiarazioni anticipate di trattamento (testamento biologico o direttive di vita) con la figura del tu-

tore o fiduciario.

Queste situazioni si sono concretizzate nei casi di Welby, dell’Englaro, dei testimoni di Geova, del-

la paziente di Modena, tutti sottoposti all’attenzione dei nostri organi di giustizia. Casi che, sebbene

fra loro differenti, coinvolgono alcuni aspetti comuni del diritto alla salute, non più considerato

esclusivamente nei relativi aspetti di diritto pubblico, bensì in quella prospettiva per effetto della

quale gli individui assumono una posizione attiva in quanto titolari di un diritto soggettivo, prima-

rio ed assoluto, e nell’ambito della quale devono leggersi le norme dirette a tutelare la salute del-

l’individuo non solo nei confronti dei terzi, ma anche rispetto alle proprie determinazioni.

A questa casistica, in assenza di una normativa specifica, ha dovuto dare risposta il giudice ogni

qualvolta è stato chiamato a risolvere il “conflitto”. E nell’ambito di poco più di due anni abbiamo

letto sentenze penali, civili in materia di consenso informato o dissenso informato al trattamento me-

dico, le più variegate, difformi, contraddittorie, caratterizzate da poca ragione giuridica e da molta

ideologia. Ne è conseguita la costruzione di indirizzi giurisprudenziali sulla autodeterminazione in

materia di trattamento sanitario nel complesso poco soddisfacente per la certezza del diritto, oscil-

lando fra diverse letture della nostra Carta costituzionale e della normativa vigente.

2. Con margini di sufficiente chiarezza, ricavabili dall’ordinamento e soprattutto da una sistemazio-

ne e consolidazione di precedenti esiti ermeneutica, si può dire che nel nostro Paese nessuno met-

te in discussione la prevalenza del principio di autodeterminazione su qualsiasi altro principio so-

ciale e solidaristico ogni qualvolta si tratti del rifiuto di un paziente competente, che sia in grado da

solo, senza coinvolgimento di altri, di porlo in essere. Difficile negare l’idoneità della volontà del

malato a condizionare l’obbligo di intervento del medico, ad escludere l’assunzione di un farmaco

che gli è stato prescritto, al rifiuto di sottoporsi ad un intervento chirurgico o ad un trattamento te-

rapeutico, anche salvavita. Chi nega un diritto a morire in nome dell’indisponibilità o, per chi cre-

de in Dio, della sacralità della vita non può comunque ipotizzare un intervento coercitivo affinché

il malato si curi. Ne è conferma il recente caso verificatosi a Cagliari della donna deceduta pur di

non subire l’amputazione di parti del suo corpo3. Anche l’obbligo di cura che grava sul medico ai

sensi dell’art. 40, co. 2, c.p., oltre a trovarsi in contrasto con la posizione di privilegio e di premi-

nenza assunto dal paziente nei confronti del medico, sconta la difficoltà di individuare una fonte

normativa che sancisca il dovere di intervento del sanitario. L’obbligo giuridico del medico, di cui

all’articolo in questione, non è quello di impedire la morte, ma quello di impedire che il paziente

rimanga privo della corretta offerta dei trattamenti possibili e dell’esecuzione di quelli che accetta.

Esemplari in tal senso alcune pronunce dei tribunali di merito e della Cassazione che hanno esclu-

so la responsabilità del medico che, a fronte del rifiuto opposto dal paziente, aveva omesso la tera-

pia indispensabile per assicurarne la sopravvivenza4.

21

FOCUS

3 E così anche il caso della donna che ha rifiutato l’amputazione della gamba in stato di cancrena, preferendo la morte (Trib.

Campobasso 26 aprile 2004).

4 Cass. pen. 38852/2005; Cass. pen. 2646/2002; Trib. Modena 20 dicembre 2001; Pret. Treviso 29 aprile 1999; Pret. Roma 3 apri-

le 1997; Trib. Milano 10 aprile 1989.

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3. L’autodeterminazione sembra, di contro, sollevare aspetti più problematici ogni qualvolta il pa-

ziente si trovi in una condizione di “dipendenza” per la quale, come già detto, ai fini dell’attuazio-

ne del rifiuto o della rinuncia al trattamento gli sia necessario l’intervento di altri, soprattutto poi

quello del medico, o meglio, dell’équipe medica. Esemplare in tal senso la richiesta attuale e con-

sapevole di Pier Giorgio Welby di cessare una terapia medica di supporto vitale (ventilazione pol-

monare) già in precedenza attivata per garantire la sua sopravvivenza. Ancora più complessa, poi,

la situazione se il paziente, come nel caso di Eluana Englaro, non sia più in condizioni di intende-

re e di volere, di modo che sorgono ulteriori problemi giuridici ed etici sulla legittimità che il con-

senso sia espresso in sua vece dal tutore e sulle modalità con cui debba essere ricostruito “il miglio-

re interesse” del paziente. Situazioni che danno origine a complesse problematiche etiche e giuridi-

che, considerato che non si tratta di fatti meramente individuali, destinati ad esaurirsi nella sfera di

coloro che rifiutano. Tale richiesta coinvolge di necessità almeno un’altra persona e, pertanto, esce

dall’autonomia e rientra nella eteronomia, nel dominio dei rapporti intersoggettivi di cui primaria-

mente si occupa il diritto.

È facile, dunque, ipotizzare come queste scelte coinvolgano fortemente anche la responsabilità sia

civile che penale del medico, perché il problema si concretizza nell’accertare se, come non esiste

un dovere di questi di curare una persona contro la sua volontà, sia altrettanto possibile ritenere che

non esista una sua responsabilità nel momento in cui rimuove una terapia medica non più consa-

pevolmente accettata dal paziente.

O, più semplicemente, se l’intervento attivo od omissivo operato dal medico non per anticipare la

morte, ma perché la malattia possa fare il suo corso naturale, come richiesto dal paziente, debba

tradursi in eutanasia e di conseguenza in un reato. Tanto più che il destinatario del rifiuto, trattan-

dosi di un medico o di un’équipe medica, ricopre una posizione di garanzia connotata da doveri di

protezione verso l’altra (alleanza terapeutica). Aggiungasi che in queste vicende, caratterizzate dal-

l’interruzione della cura salvavita, al medico viene richiesta una condotta non “omissiva” bensì “at-

tiva”, data la necessaria, contestuale attivazione a favore del paziente di quella terapia generalmen-

te indicata come narco-sedazione.

Dal punto di vista etico, una differenza quella della condotta omissiva o commissiva che fortemen-

te si assottiglia nel controverso discrimine tra l’agire e l’omettere, dato che non vi è differenza mo-

ralmente significativa fra non avviare o interrompere misure di sostegno vitale. Entrambe, se si guar-

da al risultato finale, non presentano alcuna differenza: entrambe sono orientate verso la morte del

paziente. Sembrerebbe dunque corretto concludere nel senso di una identica valutazione delle due

possibili vicende che, volute consapevolmente dal paziente, si pongono all’attenzione del medico,

soprattutto all’interno di una struttura ospedaliera.

Tuttavia, è bene non dimenticare che la differenza fra uccidere e lasciar morire non è identica a

quella tra azione e omissione, e che possono esservi azioni che valgono come lasciar morire e azio-

ni omissive che valgono come uccidere. Indipendentemente dal giudizio che può esser dato in me-

rito a forme più o meno attive di eutanasia, in queste fattispecie poi non si tratterebbe, comunque,

di porre in essere un’attiva causazione della morte, bensì di restituire al malato le condizioni per un

processo del morire maggiormente consono alla sua dignità personale.

In altri termini, rispettare il rifiuto delle cure non implica da parte del medico o di un terzo una “ri-

cerca della morte” a favore del paziente, bensì la realizzazione del suo legittimo desiderio di rifiu-

tare la vita artificiale, riprendendo un percorso naturale verso la morte che potrà essere alleviato at-

traverso appropriate cure palliative. Non esiste, peraltro, necessaria corrispondenza tra suicidio e ri-

fiuto alle cure. Si consideri che il paziente non è tenuto giuridicamente a motivare le ragioni di ta-

le rifiuto né è detto che questo coincida necessariamente con una volontà suicida. Ne consegue che

appare ingiustificato qualificare aprioristicamente in chiave etica tale rifiuto e in quella giuridica as-

similare ad un aiuto al suicidio l’intervento di altri soggetti esclusivamente finalizzato ad attuare il ri-

fiuto delle cure desiderato dal paziente.

È poi consistente e motivata quella scuola di pensiero che insiste sulla necessità di conservare in

modo ben chiaro la distinzione tra “lasciar morire” e “provocare la morte”, rifiutandosi di ricompren-

dere sia l’una che l’altra nell’ambito dell’eutanasia e del suicidio assistito. Questa voluta e sentita dif-

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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ferenza spiega, altresì, perché diversi Paesi (Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Svizzera ed

altri), nell’ambito di una più ampia tutela dei diritti della personalità, ricomprendendo fra questi an-

che le autonome decisioni sulla propria salute, abbiano ritenuto opportuno, senza legittimare l’eu-

tanasia attiva, depenalizzare tutti quei comportamenti di medici o familiari che, richiesti dalla volon-

tà consapevole del paziente, possono tradursi, in via esemplificativa, nella rinuncia a mettere in at-

to i provvedimenti medici e assistenziali necessari al mantenimento in vita; nell’interruzione di tali

provvedimenti; nella somministrazione di sostanze palliative destinate a lenire il dolore, anche se ri-

duttive delle capacità vitali, eccetera. Normative che hanno altresì riconosciuto il diritto del medico

di potersi astenere da comportamenti che egli eticamente ritenga non compatibili con i suoi doveri

e con il suo più intimo convincimento.

4. Come già detto nel nostro Paese situazioni quali queste ipotizzate non hanno ricevuto una rispo-

sta univoca sia in dottrina che in giurisprudenza.

Nella premessa sul valore da attribuire alla libera disponibilità del bene salute da parte del diretto

interessato capace di intendere e di volere, le argomentazioni del Tribunale di Roma nel caso Wel-

by (Ordinanza, 16 dicembre 2006) e quelle della Corte di Cassazione nel caso Englaro (21748/2007)

partono da presupposti identici, riconoscendo che trattasi di diritti personalissimi costituzionalmen-

te tutelati, solo che il giudice di Roma nello svolgere le successive riflessioni da un lato non inten-

de ricavare da tale premessa le dovute e coerenti conseguenze. E di fatti, pur non facendo proprie

quelle linee speculative che, come si vedrà in seguito, si troveranno in altre sentenze e che pongo-

no dei limiti all’autodeterminazione qualora venga messo a repentaglio il “bene vita”, mescola im-

propriamente concetti quali consenso informato e accanimento terapeutico e ravvisa nel nostro or-

dinamento giuridico l’esistenza di diritti costituzionalmente riconosciuti, ma non tutelabili o al più

rimessi alla discrezionalità di un medico. La premessa dell’ordinanza risulta pertanto inefficacie per

dichiarare attuabile il diritto al rifiuto delle cure da parte di Welby. Soprattutto, poi, dall’assenza di

una disciplina prescrittiva del rapporto paziente-medico e di linee guida di natura tecnica ed empi-

rica di orientamento dei comportamenti dei medici, il diritto del paziente ad “esigere” e “pretende-

re” che sia cessata una determinata attività medica di mantenimento in vita non è suscettibile di es-

sere affermato “nemmeno utilizzando i criteri interpretativi che consentono il ricorso all’analogia le-

gis e all’analogia juris” e a quelle clausole generali intese anche come caratteri essenziali dell’ordi-

namento stesso. Resta, così, che “il principio di fondo ispiratore dell’ordinamento nel suo complessoè quello della indisponibilità del bene vita: v. art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del propriocorpo tali da determinare un danno permanente, e soprattutto gli artt. 575, 576, 577, 1 co. n. 3, 579e 580 c.p. che puniscono in particolare l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio. Rispetto albene vita, esiste, un preciso obbligo giuridico di garanzia del medico di curare e mantenere in vitail paziente” (Ord.).

Di contro, l’impostazione della sentenza della Cassazione nel caso Englaro appare più convincente

una volta che si indica il diritto del paziente come fondamentale e costituzionalmente riconosciuto

nel nostro ordinamento giuridico. Anche a fronte dell’assenza di una previsione normativa degli ele-

menti concreti, si ritiene che il valore primario ed assoluto dei diritti coinvolti esige una loro imme-

diata tutela, “di modo che al giudice si impone una delicata opera di ricostruzione della regola digiudizio nel quadro dei principi costituzionali” (21748/2007).

Per altro in caso contrario è come dire che il paziente ha sì il diritto di richiedere l’interruzione del-

la terapia, ma questo diritto non è tutelabile né eseguibile dato il vuoto normativo presente nel no-

stro ordinamento, che non individua in maniera compiuta l’ampiezza del principio di autodetermi-

nazione prendendo in esame i diritti dei malati in fin di vita. Sul piano della teoria generale una pre-

tesa non tutelata dall’ordinamento giuridico può essere una mera “prerogativa”, certo non un “dirit-

to soggettivo perfetto”, come quello riconosciuto dall’ordinanza in capo a Welby, dato che è pro-

prio la possibilità di azionare la prerogativa in un giudizio a trasformare la prima in un diritto sog-

gettivo. Nell’assenza di un interesse e della volontà del titolare del diritto, nell’assenza di protezio-

ne organizzata dal diritto positivo o in assenza dell’opponibilità del diritto ai terzi, il diritto sogget-

tivo non è che un “miraggio”.

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FOCUS

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In altri termini, come ha rilevato la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma reclaman-

do l’ordinanza, “Il diritto soggettivo o esiste o non esiste; se esiste, non potrà non essere tutelato, in-correndo altrimenti l’organo di giustizia in un inammissibile non liquet con l’effetto di lasciare sen-za risposta una pretesa giuridicamente riconosciuta alla stregua di fondamentali princìpi indicatidallo stesso giudice nel provvedimento impugnato”5.

Tanto più che quand’anche si sostenesse che in un determinato ramo dell’ordinamento il riconosci-

mento di un diritto soggettivo non escluda la presenza di limiti alla sua tutela, ciò in ogni caso, non

può accadere per i diritti e gli interessi dalla Costituzione dichiarati fondamentali.

La riconducibilità, dunque, delle pretese di Welby e dell’Englaro alla categoria del diritto soggettivo

tutelabile in giudizio, senza la necessaria disposizione attuativa di normazione secondaria, può es-

sere fatta risalire ad una ripetuta giurisprudenza costituzionale in tema di applicazione diretta dei di-

ritti costituzionali nei rapporti intersoggettivi la cui possibilità trova il proprio fondamento normati-

vo nel principio dell’art. 2 Cost. secondo cui “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviola-bili dell’uomo”6. Pertanto una decisione giudiziaria, anche su problematiche non sempre esplicita-

mente definite da parte dell’ordinamento giuridico, come direbbe l’ordinanza del giudice romano

“incerte ed evanescenti”, si potrebbe avere attraverso un’attività ermeneutica (analogia juris) im-

prontata ai cosiddetti princìpi generali dell’ordinamento, a quelle clausole generali intese anche co-

me caratteri essenziali dell’ordinamento stesso.

Tuttavia, va detto che un atteggiamento di rifiuto verso la legittimità di un’interpretazione integrati-

va già era stato preso nel caso Englaro dal Tribunale di Lecco (Decreto 20 luglio 2002) e dalla Cor-

te d’Appello di Milano (Decreto 17 ottobre 2003). Quest’ultima dichiarava la sua perplessità “in or-dine al possibile espletamento di attività sostanzialmente paranormativa, considerati i dilemmi giu-ridici, medici, filosofici, etici che si avvertono nei dibattiti della società civile e nelle relazioni dei co-mitati e delle commissioni investite della tematica”. Il Collegio poi auspicava che il legislatore ordi-

nario predisponesse gli strumenti adeguati per l’efficace protezione della persona e il rispetto del

suo diritto di autodeterminazione, di modo che “l’intervento legislativo potrebbe evitare strumenta-lizzazione e sofferenza e contribuire alla responsabilizzazione della collettività”.

D’altronde anche parte della dottrina è fortemente critica all’idea che a fronte di una carenza della

specifica disciplina, il valore primario e assoluto dei diritti coinvolti, come scrive la Cassazione, esi-

ga una loro immediata tutela e imponga al Giudice un’opera di ricostruzione della regola di giudi-

zio. Un’interpretazione questa, osserva Francesco Gazzoni nel commento critico alla più recente sen-

tenza della Suprema Corte (21748/2007), che porta a trasformare il giudice in legislatore, benché

spetti solo al legislatore dettare norme di attuazione, soprattutto “in presenza di un divieto penale,dovendosi precisare modi, tempi, condizioni per l’esercizio del (preteso) diritto a morire con dignitàe correlativo obbligo del medico di contribuire alla morte”7.

Si teme, dunque, per il principio primario per la vita democratica del Paese quale quello della divi-

sione dei poteri e si ricorda che l’analogia, i princìpi e le clausole generali hanno il compito di aiu-

tare il giudice nella decisione, “quando si tratta di vicende a carattere patrimoniale o patrimonial-mente valutabili, non dunque quando vengono in questione addirittura i fondamenti stessi dell’esi-stenza umana, quali sono quelli della vita e della morte, per gli stessi motivi per i quali, a tutela del-la persona, non è possibile, in uno Stato di diritto, configurare i crimini e quindi sanzioni penali aldi fuori della legge (art. 25 Cost.)”8.

E Giulio M. Salerno osserva che è senz’altro arduo ricercare un punto di equilibrio che salvaguardi

appieno l’autonomia individuale e il rispetto della persona umana verso scelte delicatissime che di

fatto vengono decise da soggetti terzi (il tutore, il medico, il giudice, eccetera); ed è “altrettanto evi-

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

5 Proc. Roma, Reclamo, 11 gennaio 2007.

6 Cfr. Corte Cost. 122/1970 e Corte Cost. 88/1979.

7 Gazzoni, Sancho Panza in Cassazione (come si riscrive la norma sull’eutanasia in spregio al principio della divisione dei pote-ri), in Il Diritto di Famiglia e delle Persone, 1, 2008, 107 ss.

8 Ivi.

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dente che se il legislatore non decide, al suo posto e in ordine sparso agiscono i giudici”. Una solu-

zione questa che non contribuisce però a dare al quadro giuridico un minimo di certezza che “è in-vece indispensabile per coloro i quali, per avventura o per dovere professionale, si trovano ad affron-tare situazioni così drammatiche”9.

5. Ma, allontanandosi dai principi che pochi mesi dopo verranno fatti propri dalla Cassazione con

la sentenza n. 21748/2007, sempre nell’ambito della vicenda Welby il 7 giugno 2007 con ordinanza

il Tribunale penale di Roma, Ufficio del giudice per le indagini preliminari, rigetta la richiesta di ar-

chiviazione, con contestuale imposizione dell’imputazione contro il dott. Mario Riccio per il reato di

omicidio del consenziente, avendo interrotto la pratica di ventilazione meccanica come richiesto da

Welby. Alla base di questa decisione è il principio dell’indisponibilità e inviolabilità del bene vita. Il

diritto alla vita dunque è il punto centrale della questione: una sorta di “superdiritto” che finisce con

attenuare perfino la distinzione tra la condizione del paziente cosciente e pertinente e quella del pa-

ziente incapace.

Il diritto alla vita per quanto non esplicitamente presente nella Costituzione italiana viene conside-

rato tra i diritti fondamentali a causa della intrinseca natura e per il fatto di ricevere tutela nel no-

stro ordinamento attraverso le norme penali, l’art. 5 c.c., nonché attraverso il diritto internazionale

convenzionale cui lo Stato italiano ha aderito (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomoe delle libertà fondamentali, art. 2, richiamato dalla Carta dei diritti fondamentali dei cittadini del-l’Unione europea che ribadisce all’art. 2: “ogni persona ha diritto alla vita”). Il Gip osserva che l’art.

32 Cost. debba trovare attuazione anche in assenza di una specifica normativa (in ciò discostando-

si dall’ordinanza del Tribunale di Roma), ma che trova un limite negli altri diritti costituzionalmen-

te garantiti. “Tra essi deve essere ovviamente compreso il diritto alla vita... nella sua sacralità, invio-labilità e indisponibilità” di modo che questo costituisce “un limite per tutti gli altri diritti, che, co-me quello affermato dall’art. 32, Cost., siano posti a tutela della dignità umana”.

Siamo in quella linea di pensiero, già riscontrabile in altre decisioni e, in specie, in parte della dot-

trina, che in circostanze quali queste in cui il paziente non è autonomo o cessa di esserlo o cessa

la sua capacità di auto determinarsi, quelle garanzie costituzionali riconosciute al consenso informa-

to e in precedenza menzionate si ritiene vengano meno.

La relazione medico-paziente riceve una lettura che difende e amplifica la portata del principio del-

l’indisponibilità (sacralità) della vita, desunto sia da principi religiosi, sia da istanze solidaristiche e

che richiama anch’essa gli artt. 2 e 32 Cost., l’art. 5 c.c. e gli artt. 579 e 580 c.p.

Si ribadiscono le consolidate disposizioni legali poste a tutela della vita e si sostiene l’illegittimità di

procedure, di scelte, di modalità di esercizio dell’autodeterminazione del soggetto in ordine alle cu-

re mediche che, in termini puramente oggettivi, possano risolversi in un pregiudizio o addirittura

nel sacrificio del diritto alla salute.

Non manca, infine, l’accento sulla dimensione collettivistica del diritto alla salute, di modo che, se

è vero che il nostro legislatore riconosce ex art. 2 Cost. i diritti inviolabili dell’uomo, e quindi anche

il diritto alla salute, è pur vero che nella stessa norma a tale garanzia corrisponde l’adempimento di

altri doveri inderogabili quali la solidarietà politica, economica e sociale. Pertanto, secondo questa

dottrina giuridica il valore dell’autonomia individuale è considerato subordinato ai beni della vita e

della salute, recepiti come interesse collettivo.

Si sottolinea soprattutto, facendo un raffronto con il suicidio, come quest’ultimo riguardi in manie-

ra intima e personalissima il singolo individuo, così da potersi considerare un atto “privato”, di con-

tro la richiesta al terzo di interruzione di trattamenti vitali di sostegno, definibile per alcuni come at-

to eutanasico, è atto eminentemente “sociale”. Ne consegue, dunque, l’impossibilità del malato ter-

minale di rifiutare le cure che lo tengono in vita, rifiuto che si ritiene tradursi in una richiesta di mor-

te manu alius non consentita dall’ordinamento così interpretato.

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FOCUS

9 Salerno, L’apertura al testamento biologico non cancella i problemi applicativi, in Guida al Diritto de Il Sole 24 Ore, 43, 2007, 45.

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6. Il Tribunale penale di Roma con sentenza del 17 ottobre 2007 non accoglie la richiesta del Gip e

ritiene valida anche per questa situazione, caratterizzata dalla “dipendenza”, l’interpretazione perso-

nalista dell’art. 32 Cost. in merito al consenso informato del paziente “pertinente e autonomo”.

La sentenza, di particolare interesse e ben argomentata, osserva che il medico ha posto in essere

“una condotta causativa della morte del paziente”, ma che è possibile ravvisare l’esimente del-

l’adempimento di un dovere ai sensi dell’art. 51 c.p., dato che a seguito del rapporto instauratosi tra

paziente e medico non può il secondo non tenere conto della volontà del primo che si avvale del-

l’art. 32, comma 2, Cost. che deve comunque prevalere nel possibile contrasto con l’art. 579 c.p. In

sostanza l’esercizio del diritto di cui all’art. 32, co. 2, Cost. da parte del titolare ha, per espressa e

insuperabile previsione costituzionale come suo unico limite quello specificatamente contemplato

da una norma di legge. “Pertanto, la norma costituzionale, ponendo una stretta riserva di legge al-l’individuazione dei limiti da apporre al libero dispiegarsi del diritto di autodeterminazione in ma-teria sanitaria, ha tracciato espressamente una unica strada entro la quale solo il legislatore ordina-rio potrà bilanciare i diritti e i diversi interessi in gioco, dettando le regole necessarie ed i confini allibero esercizio delle facoltà riconosciute alla persona...”. Tuttavia è da notare che per il Gup, la validità del consenso e del dissenso trova alcuni precisi limi-

ti. Qualora l’interruzione fosse causata dall’intervento di terzi non medici (familiari o altri soggetti) si

tornerebbe a ravvisare il reato di omicidio del consenziente, non avendo questi ultimi il dovere di

intervenire, poiché l’interruzione di una terapia, consentita dalla norma costituzionale (art. 32, co. 2),

è quella che si pone all’interno di un rapporto terapeutico o comunque in stretta relazione con un

trattamento sanitario, esercitabile esclusivamente dal medico in forza del principio di alleanza tera-

peutica con il paziente. Troviamo altresì detto, in piena contrapposizione con la sentenza della Cas-

sazione (v. ultra), che il rifiuto di una terapia o il rifiuto di continuarla non può che essere persona-

le, ovvero deve promanare dal titolare stesso del diritto alla vita “in quanto a nessuno è consentitodecidere della vita altrui senza incorrere nei divieti della legge penale”. Il rappresentante legale del-

l’incapace ha dunque titolo solo per effettuare interventi a favore e non in pregiudizio della vita del

rappresentato. Altro requisito per la validità delle scelte operate dal paziente è la sua attualità, non

essendo sufficiente che la persona abbia espresso precedentemente la sua volontà in tal senso.

L’inefficacia delle cosiddette dichiarazioni anticipate di trattamento è conseguenziale all’essenziali-

tà dei diritti sui quali sono destinati ad incidere e al collegamento di tali decisioni a condizioni per-

sonali, interiori e quindi mutevoli nel tempo e nel contesto di una malattia e del suo percorso.

7. Sebbene con dei distinguo importanti rispetto alla sentenza penale data la diversa fattispecie ca-

ratterizzata da un paziente in SVP, anche la Corte di Cassazione nel riesaminare il caso Englaro co-

me già in precedenza osservato, sottolinea innanzitutto l’importanza e la posizione di indiscutibile

preminenza del consenso informato nell’ambito dell’alleanza terapeutica. Il consenso è ritenuto le-

gittimazione e fondamento del trattamento sanitario: “Senza il consenso informato l’intervento delmedico è sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente; la pratica del consenso li-bero e informato rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il pro-seguimento dei suoi migliori interessi”. Nel sostenere questa posizione la Corte richiama norme co-

stituzionali, norme ordinarie, convenzioni europee e norme di deontologia medica e ritiene di non

fare propria quell’interpretazione che vuole, anche in base al dato costituzionale, un obbligo dell’in-

dividuo di attivarsi a vantaggio della propria salute o un divieto di rifiutare trattamenti salvavita.

Va tuttavia tenuto presente che per vicende, come quella della Englaro, in cui il paziente non sia più

in grado di intendere e di volere, il quadro compositivo dei valori in gioco, evidenzia un ulteriore

problema: se il potere di rappresentanza del tutore si estenda fino alla possibilità di consentire o ri-

fiutare un trattamento sanitario, anche salvavita. Un quesito che ha ricevuto risposte diverse e, tra il

passato e il presente, si riscontra un mutamento della giurisprudenza verso una risposta permissiva.

Le prime sentenze nel caso Englaro hanno ritenuto che il tutore, previsto dall’art. 78 c.p.c., non ab-

bia rappresentanza sostanziale dell’interdetto con riferimento a questo genere di domanda. La richie-

sta, si ricorda, coinvolge la sfera dei cosiddetti “diritti personalissimi” per i quali il nostro ordinamen-

to giuridico non ammette la rappresentanza, se non per ipotesi tassative previste dalla legge.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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Nel caso dell’incapace, poi, il conflitto tra il diritto di autodeterminazione (art. 13, Cost.) e il diritto

alla vita è solo ipotetico e deve risolversi a favore di quest’ultimo, in quanto, non potendo la per-

sona esprimere alcuna volontà, non vi è libertà da tutelare e, quindi, non vi è concreto conflitto tra

gli indicati valori costituzionali. Ne consegue che il tutore non è legittimato a prendere decisioni che

possano determinare la morte del rappresentato10.

Prima la Corte d’Appello (Decreto 16 dicembre 2006) e poi quella di Cassazione (21748/2007) mo-

dificano questo indirizzo. Ora il tutore è legittimato ad esprimere il consenso informato ai trattamen-

ti sanitari destinati all’incapace. In sintesi sul principio di parità di trattamento tra gli individui, a pre-

scindere dal loro stato di capacità, si ritiene che in ordine alle scelte terapeutiche il paziente, anche

attraverso il legale rappresentante, possa accettare o rifiutare i trattamenti prospettati. Per legittima-

re la posizione del tutore quale soggetto interlocutore dei medici la Cassazione richiama diversi ar-

ticoli del nostro ordinamento giuridico (artt. 357, 424, 404 e ss. c.c.); nonché il d.lgs. 24 giugno 2003,

n. 211 art. 4, relativo all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimenta-

zioni di medicinali per uso clinico; l’art. 13 della l. 22 maggio 1978, n. 194 sulla tutela sociale della

maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, infine l’art. 6 della Convenzione di Oviedo

ratificata con l. 28 marzo 2001, n. 145. Va detto che non tutti i richiami legislativi risultano essere

pertinenti per una vicenda quale quella della rappresentanza nei confronti delle scelte di fine vita

di un paziente incapace di intendere e di volere. Basti pensare che la normativa richiamata dalla Su-

prema Corte in merito alla sperimentazione clinica di medicinali nei confronti di un minore o di un

incapace prevede che detta sperimentazione sia, sempre e comunque, almeno in parte nell’interes-

se del paziente e che comunque quest’ultimo non corra rischi in merito alla propria salute. La deci-

sione, di contro, del rappresentante legale nei confronti di un rappresentato incapace e in SVP pre-

suppone anche la possibilità della morte di quest’ultimo. Di questa abissale differenza, forse, la Cas-

sazione ne è in parte consapevole tant’è che viene detto che il potere del tutore di esprimere il con-

senso informato ai trattamenti sanitari destinati all’incapace non si atteggia come ordinario potere di

sostituzione del rappresentato nel compimento di atti giuridici, dato che il “carattere personalissimodel diritto alla salute dell’incapace comporta che il riferimento all’istituto della rappresentanza lega-le non trasferisce sul tutore... un potere incondizionato di disporre della salute della persona in sta-to di totale e permanente incoscienza”. Pertanto, il potere rappresentativo viene sottoposto dalla Cas-

sazione a due limiti. Il primo, orientato alla tutela del diritto alla vita del rappresentato, prevede che

“una interruzione delle cure è consentita soltanto in casi estremi: quando la condizione di stato ve-getativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fonda-mento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci suppor-re che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero dellacoscienza e di ritorno ad una vita fatta anche di percezione del mondo esterno...”.È ora difficile ignorare che non esistono criteri precisi, parametri scientifici, protocolli di riferimen-

to che possano allo stato dell’arte medica e scientifica diagnosticare con certezza l’irreversibilità del-

lo stato vegetativo permanente.

Così la sentenza, che nelle prime valutazioni apparse sugli organi di stampa è sembrata voler am-

pliare la sfera del giuridicamente lecito in relazione alla possibilità di determinare il confine tra il di-

ritto inviolabile alla vita e la disponibilità della stessa, di fatto, forse senza che l’organo giudicante

ne sia stato pienamente consapevole, si traduce nella difficoltà di autorizzare il tutore ad ottenere

l’interruzione delle predette pratiche, mancando il requisito della certa irreversibilità della malattia

del paziente. La Corte d’Appello di Milano (Decreto, 2008) nell’emanare la sentenza divenuta poi

definitiva sul caso Englaro ha rivolto l’attenzione soltanto sul secondo presupposto (accertamento

della volontà della Englaro) evitando di riesaminare, sulla base di considerazioni di carattere tecni-

co-processuale, l’irreversibilità o meno. Ciò lascia perplessi perché, come è stato osservato, “si sa-rebbe dovuto considerare la predetta verifica come indispensabile non soltanto per fugare ogni pos-

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FOCUS

10 Trib. Lecco 2 febbraio 2006; App. Milano 17 ottobre 2003; Trib. Lecco 20 luglio 2002 e App. Milano 26 novembre 1999.

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sibile e residuo dubbio in proposito, ma soprattutto per assicurare piena e completa soddisfazione al-la prima condizione posta nel principio di diritto fissato dalla Cassazione...”11.

Il secondo limite per il rappresentante legale è che persegua il migliore interesse dell’incapace e nel-

la ricerca di questo si deve presupporre non una decisione “al posto” o “per” la persona interdetta,

bensì piuttosto “con” quest’ultima, cosa che avviene “ricostruendo la presunta volontà del pazienteincosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi primadella perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile divita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, cul-turali e filosofiche”.

8. È stata certamente questa ultima condizione richiesta nella sentenza, che il tutore dimostri che la

voce del paziente sia reale sulla base di svariati e generici elementi di prova, a determinare non po-

che polemiche. La critica prevalente è verso l’idea che possa valere, per determinare l’interruzione

di un trattamento, tanto più di fine vita, la volontà pregressa del paziente, ora incapace, espressa at-

traverso qualsiasi forma e quindi anche quella orale. Una volontà del paziente che potrà dunque es-

sere ricercata, in assenza di dichiarazioni scritte anticipate di trattamento, attraverso testimonianze

altrui sui suoi comportamenti passati, stili di vita, sulla sua personale concezione della vita umana

e della dignità della persona.

Certo, si tratta di concetti vaghi, suscettibili di plurime letture. È difficile, poi, sottovalutare che nel

2006 la Corte d’Appello di Milano riteneva quella prova testimoniale sulla pregressa volontà della

paziente “generica” e non in grado di attribuire alla ragazza “il valore di una personale, consapevo-le ed attuale determinazione volitiva, maturata con assoluta cognizione di causa...”. La Corte si era limitata a dire che il contenuto di tali testimonianze potevano al massimo far luce

sulla personalità di Eluana “caratterizzata da un forte senso di indipendenza, intollerante delle re-gole e degli schemi, amante della libertà e della vita dinamica, molto ferma nelle sue convinzioni...”.Dati caratteriali ora ripresi dalla Cassazione e indicati alla Corte di rinvio come più che sufficienti

per accertare la contrarietà della ragazza ai presidi medici a cui era sottoposta e per legittimare la

richiesta del tutore alla cessazione di questi, richiesta perfettamente condivisa anche dal curatore in

un giudizio privo di contraddittorio. Dunque: giovani liberi, tendenzialmente anticonformisti, un po-

co anarchici, dinamici, attivi, con qualche entusiasmo per lo sport diventano per i giudici i sogget-

ti ideali per un presunto dissenso, ora per allora, verso terapie di sostegno vitale, filtrato attraverso

la volontà del tutore.

Questo “abnorme” indirizzo giurisprudenziale, che pare costruito su misura per porre fine allo sta-

to dell’Englaro (per il nostro ordinamento viva, ma in quella zona grigia che la pone fuori dal mon-

do) è contrario ai criteri più elementari di validità pensati per le cosiddette dichiarazioni anticipa-te di trattamento, strumento fatto proprio da molti paesi in quanto la forma scritta è l’unica garan-

zia per una più riflessiva formulazione della volontà, come avviene per il testamento mortis causa12.

D’altronde, anche le disposizioni cosiddette atipiche (art. 587, co. 2, c.c.), quali ad esempio quelle

concernenti il riconoscimento del figlio naturale, scelta del tutore, disposizioni a favore dell’anima,

richiedono la forma scritta. Per non menzionare, poi, la legge sulla privacy che subordina il tratta-

mento dei dati personali al consenso espresso dell’interessato, manifestato liberamente, in maniera

specifica per iscritto. Si può allora osservare come emerga dalla sentenza della Corte una minore tu-

tela al bene vita di quella che l’ordinamento in genere riconosce ad altri interessi riferiti a valori pa-

trimoniali ed esistenziali della persona.

Ma, forse non tutti sanno che i criteri di accertamento della volontà imposti dalla Cassazione nel ca-

so Englaro non sono conformi, anzi contrari, alla coeva giurisprudenza della stessa Suprema Corte.

Emblematiche due sentenze (4211/2007 e 23676/2008), rispettivamente in date 23 febbraio 2007 e

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

11 Salerno, Solo una legge può delineare regole condivise per garantire uniformità di applicazione, in Guida al Diritto de Il Sole 24Ore, 8, 2008, 76.

12 D’Avack, Scelte di fine vita, in AA.VV., Testamento biologico. Riflessioni di dieci giuristi, Fondazione Umberto Veronesi - Il Sole

24 Ore, Milano 2006.

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22 maggio 2008, nell’ambito del diritto di non curarsi di pazienti, nella fattispecie testimoni di Geo-

va. Sentenze che riaffermano l’obbligo del medico di salvare la vita, anche contro la volontà del sog-

getto e le sue credenze religiose che impongono il divieto ad essere trasfusi. In queste decisioni si

legge che qualora il paziente si trovi in stato di incoscienza, la manifestazione del “non consenso”

a un determinato trattamento sanitario, ancorché salvifico, dovrà ritenersi vincolante per i medici sol-

tanto se contenuta in “una dichiarazione articolata, puntuale ed espressa, dalla quale inequivoca-bilmente emerga detta volontà”. Una prova che non si realizza sebbene il paziente abbia con sé un

cartellino recante la scritta “niente sangue”, sottoscritto anche da due testimoni, e sebbene la sua fe-

de religiosa sia la ragione primaria di tale rifiuto. Ne consegue, dunque, che nel mediare tra le istan-

ze del solidarismo e del consensualismo, in materia di trattamenti sanitari (art. 32, 1 e 2 comma,

Cost.), si presuppone la presenza di un quesito non scontato, risultando difficile determinare univo-

camente la prevalenza dell’uno o dell’altro principio in gioco, soprattutto quando il paziente sia in

stato di incoscienza e dunque incapace di intendere e di volere. E in queste vicende il dubbio in

merito alla posta in gioco è risolto dalla Cassazione a favore del principio “solidaristico”, di modo

che l’intervento terapeutico risulterebbe comunque doveroso in quanto espressione della presunzio-

ne di “voler vivere”, che il giudice ritiene basata su argomenti “logici... aderenti ad un diffuso sen-tire in questo tempo di così vivo ed ampio dibattito su problemi esistenziali della vita e della morte”(Cass. 4211/2007). La logica di questa conclusione sembra essere che nel dubbio la prevalenza tra

un valore soltanto individuale, come quello di rifiutare o rinunciare al trattamento sanitario, e un va-

lore che, se fosse proprio dell’individuo corrisponderebbe al contempo anche ad un’istanza obietti-

va dell’ordinamento (diritto alla salute), quest’ultimo debba assolutamente prevalere se non altro

perché l’opposta soluzione porterebbe in caso di erroneità della scelta ad un danno notevolmente

superiore (la morte del paziente). Si presuppone, dunque, che in materia di trattamenti sanitari nei

casi dei testimoni di Geova debba prevalere la direttiva in dubio pro vita contro quella fatta propria

nel caso Englaro in dubio pro morte. Una diversità di trattamento che soltanto un intervento della

Cassazione a SS.UU. potrebbe spiegare e risolvere.

9. Dunque, i giudici che hanno affrontato i problemi di vita o di morte tracciano princìpi e orienta-

menti difformi, lontani dal poter realizzare una qualche certezza del diritto. E non vedo come atten-

ti giuristi, forse solo perché sospinti dalle proprie ideologie, sostengano che le Corti abbiano avuto

il merito di tracciare una linea di legal polity, di modo che il processo normo-creativo possa usufruir-

ne. Forse non sono state lette con sufficiente attenzione le diverse decisioni riguardanti le scelte di

fine vita. Ma che un indirizzo giurisprudenziale uniforme non si abbia avuto nel nostro Paese non

deve stupire. Gli addetti ai lavori, coloro che vivono la prassi quotidiana delle Corti, sanno bene che

è frequente da parte dei giudici l’uso dell’incerta e curva corda della loro ragione, spesso esercitata

con criteri selettivi e discriminanti in base alle proprie ideologie politiche, sociali e religiose.

Preoccupa allora l’incertezza e la difficoltà di ricavare dal nostro ordinamento giuridico certezza sui

possibili significati del diritto di lasciarsi morire, quando vi sia un processo causale che naturalmen-

te conduce alla morte e quando i mezzi ancora in grado di opporsi a tale processo siano onerosi

per il paziente. Troppo incerto, attraverso il quadro normativo e giurisprudenziale, se il bene vita,

come valore in sé, debba cedere il passo alla volontà del malato. Un siffatto rischio, una tale incer-

tezza, e in ciò pare difficile dare torto all’ordinanza del giudice romano, non potrebbero che esse-

re sanati attraverso un intervento legislativo che chiarisca ciò che è lecito fare e ciò che invece è il-

lecito in queste fattispecie di disorientate e disorientanti letture. Anche in considerazione del fatto

che esistono certamente i diritti dei malati, ma che vi sono anche i diritti dei medici e loro diritto

primario è conoscere con sufficiente certezza se determinati comportamenti costituiscono reato.

Allora, pare necessario ed urgente non trascurare l’arte legislativa, in grado di attuare un’opera di

mediazione che tenga conto di una società caratterizzata da pluralismo etico, di modo che il legi-

slatore ragioni in termini giuridici, trovando equilibrio e capacità di mediazione e non obliterando

la laicità dello Stato in nome di “intenzioni spirituali”, di “principi metagiuridici” che il diritto non

può permettersi.

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FOCUS

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Mentre da più parti si auspica un intervento del legislatore, che introduca la possibilità di fare un

testamento di ultime volontà, nutro forti dubbi sulla qualità di un testo di legge prodotto dal Parla-

mento in un contesto dove la polemica, la chiacchiera, a volte farneticante, prevalgono sulla rifles-

sione razionale, attenta ai valori e rispettosa della dignità personale.

La sentenza della Cassazione sul caso Englaro ha definitivamente chiarito che il diritto all’autodeter-

minazione del paziente relativamente alle cure, anche quando la sua decisione conduce alla morte,

non ha nulla a che vedere con l’eutanasia.

L’istanza personalistica, alla base del principio del consenso informato, e il principio di parità di trat-

tamento tra gli individui, a prescindere dal loro stato di capacità, impongono di ricreare il dualismo

dei soggetti nel dialogo medico-paziente.

La Corte di Cassazione ha precisato che occorre che la decisione sia realmente espressiva, in base

ad elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato e che si versi

in uno stato vegetativo giudicato irreversibile.

Altrimenti, in mancanza di direttive anticipate, deve essere data incondizionata prevalenza al diritto

alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di vole-

re del soggetto interessato, dalla percezione che altri possa avere della qualità della vita stessa, non-

ché dalla mera logica utilitaristica dei costi e dei benefici.

Con buona pace di quanti sostengono che la sentenza minaccia direttamente la sopravvivenza di

tutte le persone che si trovano in stato vegetativo permanente!

Il diritto all’autodeterminazione in materia di trattamento sanitario non può essere inteso nel senso

di attribuire ad un individuo la facoltà di scegliere la morte, piuttosto che la vita, ma può esprimer-

si attraverso dichiarazioni di volontà anticipate con le quali venga specificatamente indicato quali te-

rapie egli avrebbe desiderato ricevere e quali invece avrebbe inteso rifiutare, nel caso in cui fosse

venuto a trovarsi in stato di incoscienza.

La sentenza afferma, senza ombra di dubbio, che l’idratazione e l’alimentazione artificiale costitui-

scono un trattamento sanitario, senza configurare una forma di accanimento terapeutico, già di per

sé vietato; trattasi piuttosto di un presidio rivolto al mantenimento del soffio vitale; d’altra parte la

terapia a cui una persona intende sottrarsi non necessariamente si deve sostanziare in una situazio-

ne estrema di accanimento terapeutico perché egli possa esercitare il diritto di farla cessare.

A questo punto si pone peraltro il problema, in assenza di una legge, se il tutore sia la persona le-

gittimata al dialogo medico-paziente, in caso di incapacità.

Il problema deriva dall’introduzione nel nostro ordinamento dell’amministrazione di sostegno, che

va sostituendosi agli altri istituti, pur ancora presenti, dell’interdizione e dell’inabilitazione.

Quindi ci si domanda quali siano i poteri dell’amministratore di sostegno in relazione alle scelte da

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

1 Intervento al Convegno “Testamento di vita e capacità della persona”, organizzato da AIAF Lombardia, Milano, 22 gennaio 2009.

2 Curatore speciale di Eluana Englaro.

CONSENSO INFORMATO, DIRETTIVE ANTICIPATE E INCAPACITÀ DELLA PERSONA 1

Franca AlessioAvvocato, Foro di Lecco 2

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effettuarsi in campo sanitario; il problema è evidentemente più grave quando la persona si trovas-

se in stato di totale incapacità, senza avere provveduto alla nomina dell’amministratore di sostegno.

Tanto più che, in questa logica garantistica dell’essere umano, e delle sue esigenze di vita, di salu-

te, rapporti familiari e sociali si iscrive e va letta la disposizione del secondo comma dell’art. 480 c.c.

come novellato dalla legge n. 6 del 2004: “L’amministratore di sostegno può essere designato dallostesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico oscrittura privata autenticata”.

A questo proposito è molto interessante la decisione del Tribunale di Modena del 5 novembre 2008,

che ha attribuito ad una persona capace ed autonoma di esprimere disposizioni anticipate di tratta-

mento, in previsione della propria eventuale futura incapacità e per l’ipotesi di determinate patolo-

gie, e di manifestare così il rifiuto di trattamenti terapeutici, salva la possibilità di una successiva re-

voca delle disposizioni, ma non di richiedere interventi che anticipino la fine della vita.

Per cui potrebbe essere l’amministratore di sostegno, senza necessità di un ulteriore ricorso al giu-

dice, a negare il consenso a trattamenti sanitari in nome e per conto del beneficiario, per l’ipotesi

in cui quest’ultimo versi nelle condizioni descritte in una scrittura privata autenticata anteriore al ri-

corso per la nomina dell’amministratore di sostegno.

Tale soluzione renderebbe possibile il rifiuto di trattamenti sanitari, senza attendere l’entrata in vi-

gore di una legge che consenta il cosiddetto testamento biologico.

Si ricorda una precedente decisione del Tribunale di Modena del 13 maggio 2008 con la quale si è

proceduto alla nomina di un amministratore di sostegno, designato dallo stesso interessato in vista

della propria futura incapacità, con il potere di rifiutare la tracheostomia e la ventilazione forzata e

di chiedere ai sanitari le cure palliative più efficaci al fine di annullare ogni sofferenza.

Del resto, nel contesto di una disciplina costituzionale improntata al principio personalista di piena

e integrale tutela della persona umana, la questione dell’autodeterminazione viene impostata non in

termini di poter disporre del corpo, ma come libertà di decidere, di autodeterminarsi in relazione a

scelte che coinvolgono la persona anche nella sua dimensione fisica.

La tutela integrale della persona umana implica la sua inviolabilità fisica e, ad un tempo, la sua li-

bertà nelle scelte personali.

Nel caso di Modena la paziente non ha chiesto l’interruzione di una terapia in atto, ma di non ini-

ziare la rianimazione e la ventilazione forzata; il problema giuridico nasce dal fatto che, nel momen-

to in cui il medico deve operare, la paziente non è in grado di esprimere in modo attuale il suo ri-

fiuto, dato che la crisi respiratoria determina anche la perdita della coscienza, che per altro non può

determinare anche la perdita dei diritti fondamentali.

Ci sono già gli strumenti per evitare quella che altrimenti sarebbe una inammissibile violazione del

principio di eguaglianza per far valere l’autodeterminazione oltre la soglia della perdita di coscienza.

Il paziente, ancora lucido e consapevole, può indicare una persona di fiducia che gli dia voce nel

momento in cui non potrà più farlo personalmente.

Dopo che la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 334 del 8 ottobre 2008, aveva dichiarato inam-

missibile il conflitto di attribuzioni sollevato dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubbli-

ca nei confronti della Corte di Cassazione e della Corte d’Appello di Milano, il 13 novembre 2008 la

Suprema Corte ha chiuso sul piano giudiziario il caso Englaro.

Le norme costituzionali, le fonti giuridiche soprannazionali, la giurisprudenza della Corte di Cassa-

zione in materia di consenso informato, consentono di essere certi che ogni persona capace di in-

tendere e di volere ha il diritto di rifiutare le cure mediche e di lasciarsi morire; ognuno di noi ha

la facoltà di rifiutare una terapia in tutte le fasi della sua vita, anche in quella terminale: si tratta del-

l’esercizio di un diritto fondamentale di libertà; il rifiuto di terapie esprime la libera scelta del mala-

to che la malattia segua il suo corso naturale. Un malato di tumore deve dare il suo consenso alla

chemioterapia, se non lo fa, nessuno può imporgli di sottoporsi ad essa. Spesso la mancata cura

chemioterapica può condurre a morte il paziente; ciononostante nessun medico potrebbe obbliga-

re un paziente a sottoporsi a tale tipo di cura.

Se questo significa che il consenso informato ha introdotto in Italia l’eutanasia, che lo dicano pure,

ma di ben altro si tratta: della necessità che il medico possa intervenire solo dopo aver acquisito il

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FOCUS

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consenso informato del paziente; in altre parole la vita del paziente resta adesso nelle sue mani e non

viene trasferita nella mani del medico, che perde quindi la sua onnipotenza di curare ad ogni costo

e deve accettare le decisioni del paziente che vadano in senso contrario al suo convincimento.

Se un paziente ottantenne rifiuta di subire un intervento chirurgico, forse non gli vengono solleva-

ti troppi problemi, ma se lo fa un paziente di quarant’anni, temo che il medico, per sua struttura

mentale o per via del paradigma ippocratico, faccia di tutto per convincerlo a sottoporsi all’interven-

to, che potrebbe salvargli la vita, ma le impostazioni mentali di ciascuno vanno salvaguardate; se io

pensassi che, essendo stata colpita da una certa malattia, è volontà di Dio che io muoia a causa di

tale malattia e che oppormi e lottare per salvarmi sia una manifestazione di opposizione alla volon-

tà di Dio, credo che nessuno possa obbligarmi a pensare diversamente; potranno espormi le loro

ragioni, ma alla fine sono le mie ragioni che devono prevalere.

Allo stesso modo, se uno considera insopportabile vivere senza un braccio o una gamba a causa

della sua concezione della vita, deve poter rifiutare l’asportazione chirurgica della gamba o del brac-

cio, anche se ciò lo condurrà a morte.

Mi rendo conto che tutto ciò sia macabro, ma necessario, perché questo tema è stato manipolato al

punto da diventare un tabù.

L’ordinamento vigente non ammette l’imposizione forzata di un trattamento autonomamente e co-

scientemente rifiutato, pur se necessario al mantenimento in vita della persona.

Non è possibile opporsi alla scelta di chi, esplicando la propria libertà personale, richieda non già

di essere aiutato a morire, ma semplicemente di non essere sottoposto o di non essere ulteriormen-

te sottoposto a cure indesiderate, accettando che la patologia da cui è affetto segua il suo corso na-

turale, anche se è quello di portarlo a morire.

L’obbligo giuridico per il personale sanitario di attivarsi allo scopo di preservare la vita e la salute

trova un limite nella cosciente libera ed informata opposizione dell’interessato.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 238/96 è stata esplicita sul punto.

Nessuno può essere obbligato a subire un intervento sanitario indesiderato in assenza di una nor-

ma che esplicitamente lo imponga.

Il diritto a non subire trattamenti medici non voluti è un diritto inviolabile, rientrando tra i valori su-

premi.

Giova dire a questo punto che i sanitari della casa di cura dove è ricoverata Eluana, perpetuando la

sua idratazione e alimentazione artificiale, in presenza di una opposizione del padre-tutore, compio-

no un’azione del tutto illegittima, violando un diritto inviolabile, non diverso dal contiguo e connes-

so diritto alla vita e alla integrità fisica, con il quale concorre a creare la matrice prima di ogni altro

diritto costituzionale protetto della persona.

Pur ritenendo inammissibile la possibilità di esercitare l’obiezione di coscienza, non essendo espli-

citamente prevista dalla legge, si può riconoscere al medico il diritto all’astensione da comportamen-

ti ritenuti contrari alle proprie concezioni etiche e professionali?

Ci poniamo persino questa domanda, ma quello che è chiaro è che in ogni caso il paziente ha dirittoad ottenere altrimenti la realizzazione della propria richiesta di interruzione delle cure.Essendo stato dai nostri costituenti ripudiato lo STATO ETICO, l’intervento sociale si colloca in funzio-ne della persona e della sua sfera autodeterminativa e non viceversa.La situazione considerata nel caso Englaro si colloca in senso esattamente opposto a pratiche di eu-

tanasia, in quanto si caratterizza per il rispetto del normale percorso biologico sotto il profilo di non

interferenza con il suo corso, ovvero di suo ripristino, se forzatamente rallentato: nulla a che vede-

re dunque con l’eutanasia, la cui essenza consiste nella indotta accelerazione del processo di morte.

Bando alle ipocrisie.

Persino il veterinario è più pietoso dei nostri medici: consenso o non del paziente, ma con il con-

senso del suo padrone, attua, qualora la malattia sia inguaribile e provochi gravi sofferenze, quelle

pratiche, alleviando la sofferenza, che conducono a morte naturale.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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La prima sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 21748 del 16 ottobre 2007, ha sta-

tuito alcuni princìpi sul tema delle scelte di fine vita che hanno rilevanti implicazioni in ordine alla

responsabilità penale dei soggetti, sanitari e non, che di esse si pongono quali esecutori materiali.

Il contributo che viene dalla sentenza Englaro concerne la problematica del rifiuto alla prosecuzio-

ne di trattamenti di sostegno vitale non già da parte di soggetto cosciente, problematica risolta dal-

la giurisprudenza di merito per il caso Welby1, ma la diversa ipotesi di persona non più in grado di

intendere e di volere e la possibilità da parte del giudice di ricostruire ex post la volontà del mede-

simo in ordine alle scelte di fine vita.

Punto di partenza del ragionamento appare il concetto di dignità personale delineato in sentenza.

La Suprema Corte ha sostenuto infatti che: “accanto a chi ritiene che sia nel proprio miglior interes-se essere tenuto in vita artificialmente il più a lungo possibile, anche privo di coscienza – c’è chi, le-gando indissolubilmente la propria dignità alla vita di esperienza e questa alla coscienza, ritiene chesia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in una condizio-ne di vita priva della percezione del mondo esterno”.

Tale lettura riveste particolare importanza in quanto salda indissolubilmente le scelte di fine vita al-

le diverse declinazioni del concetto di dignità personale di cui ciascuno, individualmente, è porta-

tore. Così il diritto al rifiuto di cure mediche, diretto portato dell’art. 32 co. 2 Cost., lungi da garan-

tire un diritto al suicidio, sancisce l’inesistenza di un obbligo a curarsi, o a proseguire la propria esi-

stenza in condizioni ritenute, soggettivamente, non dignitose per la propria concezione di dignità

personale. Sia la sentenza Welby che quella Englaro danno diretta attuazione alla norma fondamen-

tale di riferimento sul tema, l’art. 32 Cost. co. 2, che ha natura di “diritto soggettivo già perfetto nonnecessitante di alcuna disposizione attuativa di normazione secondaria”2.

Tale asserzione mostra in pieno quanto siano distanti le opzioni dogmatiche della giurisprudenza

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FOCUS

1 L’Ufficio Gip di Roma, infatti, archiviando il procedimento a carico dell’anestesista che interruppe le cure a Piergiorgio Welby ha

asserito che “Il rifiuto di una terapia, anche se già iniziata, ove venga esercitato nell’ambito di un rapporto instaurato tra il pazien-te e il suo medico (e che ha come contenuto delle prestazioni sanitarie), costituisce un diritto costituzionalmente garantito e già per-fetto, rispetto al quale sul medico incombe, in ragione della professione esercitata e dei diritti e doveri scaturenti dal rapporto terapeu-tico instauratosi con il paziente, il dovere giuridico di consentirne l’esercizio. Con la conseguenza che, se il medico in ottemperanzaa tale dovere, contribuisse a determinare la morte del paziente per l’interruzione di una terapia salvavita, egli non risponderebbe pe-nalmente del delitto di omicidio del consenziente, in quanto avrebbe operato alla presenza di una causa di esclusione del reato e se-gnatamente quella prevista dall’art. 51 c.p. La fonte del dovere per il medico, quindi, risiederebbe in prima istanza nella stessa nor-ma costituzionale, che è fonte di rango superiore rispetto alla legge penale, e l’operatività della scriminante nell’ipotesi sopra delinea-ta è giustificata dalla necessità di superare la contraddizione dell’ordinamento giuridico che, da una parte, non può attribuire undiritto e, dall’altra, incriminarne il suo esercizio”. Uff. Gip Roma, Sez. V, 17 ottobre 2007, n. 2049 in Cass. Pen., 2008, 5, 1791. Nel-

lo stesso senso anche un recente provvedimento di archiviazione del 23 gennaio 2008 in Dir. e Giust., 2008, della Procura della Re-

pubblica di Sassari secondo cui “Non integra il reato di omicidio del consenziente il comportamento del medico che lascia morire diinedia un paziente affetto da una grave patologia invalidante, senza imporgli quella nutrizione ed idratazione da questi consape-volmente rifiutate; tale rifiuto è giuridicamente efficace, perché rientrante nell’art. 32, comma 2, cost., per il quale nessuno può esse-re obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non nei casi previsti dalla legge. Pertanto, quando viene opposto un rifiutoad un trattamento sanitario, la relativa omissione del medico non è tipica e non è penalmente rilevante: viene infatti meno l’obbligogiuridico ex art. 40, comma 2, c.p., anzi scatta per il medico il precipuo dovere di rispettare la volontà del paziente”. 2 Ufficio Gip Roma cit.

RISVOLTI PENALI NELLE SCELTE DI FINE VITA

Paola PariseAvvocato, Foro di Roma

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anche costituzionale sul tema, dalle proposte oggi sul tavolo del dibattito politico, che fa della ne-

cessità di normazione in materia un punto di partenza scontato del ragionamento.

Occorre tuttavia ricordare che sussiste una lettura, minoritaria, dell’art. 32 Cost., che si pone in con-

trapposizione con le ricostruzione giurisprudenziali sopra riassunte, secondo cui l’art. 32 Cost. non

sancisce logiche di “assoluta autodeterminazione, ma esige e presuppone, quando siano in gioco lavita e l’integrità personale, l’esistenza di precisi limiti alla validità del consenso, onde evitare che sipossa comunque agire sulla sfera fisiopsichica di un individuo solo sulla base del consenso”3. Si trat-

ta a ben vedere di una visione “minima” del significato dell’art. 32 comma 2 secondo cui il diritto a

non essere sottoposti a trattamenti sanitari non voluti cederebbe, di fronte a quello alla vita, che

“nella sua sacralità, inviolabilità e indisponibilità, costituisce un limite per tutti gli altri diritti”4. Que-

sta lettura dà prevalenza a istanze di natura pubblicistica rispetto al bene vita che limitano il porta-

to dell’art. 32, ma appaiono non coerenti con la natura tutta “personalistica” nelle norme costituzio-

nali in questione. Questa lettura5, comunque minoritaria in giurisprudenza, viene disattesa sia nella

sentenza Englaro che nella sentenza Welby, secondo le quali non è più il diritto alla vita a porsi qua-

le limite al diritto all’autodeterminazione, ma, al contrario, il diritto alla vita che deve cedere di fron-

te ad una volontà libera e consapevole del titolare del bene protetto.

In particolare la sentenza Englaro afferma che “Il consenso afferisce alla libertà morale del soggettoed alla sua autodeterminazione, nonché alla sua sfera di libertà fisica intesa come diritto al rispet-to della propria integrità corporea, le quali sono tutte profili della libertà personale proclamata in-violabile dall’art. 13 della costituzione. Ne consegue che non è attribuibile al medico un generale di-ritto di curare a fronte del quale non avrebbe più alcun rilievo la volontà dell’ammalato che si tro-verebbe in posizione di soggezione su cui potrebbe ad libitum intervenire, con il solo limite della pro-pria coscienza; appare invece aderente ai princìpi dell’ordinamento riconoscere al medico la facol-tà o la potestà di curare, situazioni soggettive derivanti dall’abilitazione all’esercizio della professio-ne sanitaria, le quali tuttavia per potersi estrinsecare abbisognano, di regola, del consenso della per-sona che al trattamento sanitario deve sottoporsi”.Evidenziato il comune sostrato costituzionale delle pronunce che riceve importanti conferme siste-

matiche6, appare utile tratteggiare le fattispecie penalistiche di riferimento dei due casi7.

Ciò in quanto se è pressoché pacifico che la condotta del medico che ometta trattamenti vitali al pa-

ziente che li rifiuta coscientemente risulta scriminata dall’art. 51 c.p., problemi interpretativi residua-

no proprio in tema di validità del consenso di paziente non più in grado di intendere e volere.

Tale fenomeno è comunque di norma sussunto – a seconda o meno della presenza del consenso e

dell’attività passiva o attiva per mezzo della quale si estrinseca l’azione eutanasica – nelle figure del-

l’omicidio volontario (575 c.p.), dell’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.).

È il testo stesso dell’art. 579 c.p. che limita la propria operatività ai casi di consenso, facendo rivive-

re l’art. 575 se il fatto è commesso:

1) contro una persona minore degli anni diciotto;

2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per

un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti.

Fulcro della fattispecie appare quindi l’elemento della necessaria validità del consenso, che come

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

3 Eusebi, Il diritto penale di fronte alla malattia, in Fioravanti (a cura di), La tutela penale della persona, Milano, 2001, 133-134.

4 Cfr. Ordinanza Gip Roma del 7 giugno 2007, che rigettava la richiesta di archiviazione della Procura per l’anestesista che ave-

va interrotto la ventilazione automatica che teneva in vita Welby.

5 La diversa impostazione, pur riconoscendo il portato dell’art. 32 Cost., ritiene prevalente il principio di indisponibilità della vi-

ta che trova il suo riconoscimento proprio nelle fattispecie di cui agli att. 579 c.p., nel riconoscimento dell’antigiuridicità del suici-

dio, nonché nella norma di cui all’art. 5 c.c.

6 Riceve importanti conferme anche sul piano sistematico dalla l. 833/1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale, dalla Conven-

zione di Oviedo del 4 aprile 1997 (come criterio interpretativo in quanto inspiegabilmente non ancora ratificata), dalla Carta dei di-

ritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, dal codice di deontologia medica del 2006 oltre che dalle interpretazio-

ni offerte sin d’ora dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 45 del 1965, n. 161 del 1985, n. 471 del 1990 e n. 238 del 1996.

7 Anche la Procura della Repubblica di Udine, a seguito di numerosi esposti, ha iscritto Beppino Englaro nel registro degli inda-

gati per l’ipotesi di omicidio volontario in danno della figlia Eluana insieme ai membri dell’équipe medica che ne ha applicato i

protocolli di interruzione dell’idratazione/alimentazione.

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detto, parrebbe espressivo della scelta legislativa di dare rilievo differenziale rispetto alla condotta

di omicidio, solamente all’eutanasia consensuale, ma alle condizioni della sua necessaria validità,

che si ricavano dal secondo comma dell’art. 579 c.p. Il consenso cioè deve essere una libera e spon-

tanea manifestazione della vittima non incapace.

Si è affermato che sono prive di rilevanza giuridica le forme e le modalità di manifestazione del con-

senso8 purché lo stesso sia serio, esplicito, inequivoco e attuale (cioè perdurante al momento del

fatto9). Si è ritenuta in dottrina necessaria la volontà inequivocabilmente negativa manifestata dal pa-

ziente, ciò anche se vi sia il rischio di morte del paziente, poiché l’impronta personalistica della Co-

stituzione fa prevalere la scelta individuale, anche se configgente con l’interesse generale connesso

al valore sociale del bene vita10.

Tuttavia, la mancata previsione di forme peculiari per la manifestazione del consenso ha portato a

ritenere l’efficacia di un consenso tacito, che sia desumibile in modo non equivoco dal contegno

del soggetto.

Il problema della compatibilità tra consenso e capacità della vittima è stato oggetto di acceso dibat-

tito giurisprudenziale.

Come detto il numero 2 del III comma dell’art. 579 c.p. esclude l’operatività della norma, con con-

seguente applicazione di quella più grave dell’omicidio volontario, nel caso di infermità di mente o

deficienza psichica per un’altra infermità.

Il caso Englaro ricadrebbe quindi nella previsione di cui all’art. 575 in ragione del mancato valido

consenso dell’incapace.

Parte della dottrina11 sul punto ha affermato, contrariamente alla giurisprudenza, che quanto al con-

cetto di infermità di mente, non rileva il grado dell’accertata infermità (a differenza di quanto acca-

de ai fini dell’imputabilità attraverso il richiamo agli artt. 88 e 89 c.p.) sicché anche un’alterazione

lieve delle capacità mentali del soggetto passivo sarebbe sufficiente ad invalidarne il consenso e,

conseguentemente, a far ricadere la condotta dell’agente nell’ipotesi di omicidio volontario di cui al-

l’art. 575 c.p.

Secondo tale impostazione quindi l’eutanasia pietosa del non consenziente-incapace, configurereb-

be l’omicidio volontario che se, da un lato, sarà attenuato dalla circostanza di cui all’art. 62, n. 1 che

dà rilievo ai motivi di particolare valore morale e sociale, dall’altro risulterà con ogni probabilità ag-

gravato dalla premeditazione, costituita dal travaglio dell’agente che sicuramente sarà riconosciuto

tra il momento della scelta e quello dell’esecuzione. In tale caso il fatto risulterebbe punito con la

pena dell’ergastolo.

La giurisprudenza formatasi sul punto negli anni Ottanta, contrariamente alla dottrina, ha però rite-

nuto compatibili i concetti di consenso ed infermità ritenendo che, laddove si riuscisse a provare in

altro modo il consenso della vittima, l’eutanasia pietosa attiva dovesse essere punita dalla previsio-

ne meno afflittiva di cui all’art. 579 c.p.

La casistica riportata è naturalmente estranea alle diverse ipotesi di relazione medico-paziente12 in

cui il soggetto passivo versi in uno stato di sofferenza insopportabile e la condotta eutanasica sia

commissiva. Le imputazioni iniziali erano di omicidio volontario e l’istruttoria di merito ha derubri-

cato l’iniziale imputazione in omicidio del consenziente.

Tali pronunce hanno riconosciuto elementi idonei a dimostrare il consenso anche in ipotesi in cui

le vittime erano affette da infermità psichica.

35

FOCUS

8 Cass. Pen. 24 aprile 1953, Cimino.

9 Cass. Pen. 25 luglio 1991, Vornetti; Cass. Pen. 13 novembre 1970, Pasquini.

10 Cupelli, Il diritto del paziente di rifiutare e il dovere del medico di non perseverare, in Cass. Pen. 2008, 5, 1807 con l’ampia dot-

trina ivi citata.

11 Così Ramacci, Premesse alla revisione della disciplina penale dell’aiuto a morire, in Studi Senesi, 1988, 294.

12 È quindi al di fuori del campo di operatività della scriminante dell’adempimento di un dovere che si traduce nel dovere del me-

dico di rispettare le volontà del paziente espresse mediante consenso/rifiuto del trattamento. Ciò in quanto alla base del rapporto

tra medico e paziente non vi è ormai solamente il dovere deontologico del medico, ma soprattutto il principio del consenso infor-

mato, perno della cosidetta “alleanza terapeutica” vera legge guida della terapia.

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E così si è affermato che “l’uccisione del figlio adottivo handicappato grave in quanto affetto da idro-cefalo congenito, per motivi di pietà, con un colpo di arma da fuoco, integra gli estremi non già delreato di omicidio comune, bensì quelli del reato di omicidio del consenziente, ove risulti validamen-te manifestato il consenso della vittima alla propria uccisione (nella specie, si è affermato che nonessendo la insufficienza mentale di grado tale da escludere del tutto la capacità di intendere dellavittima, non ne è risultata compromessa la validità del consenso manifestato)”.Tali pronunce evidenziano come il giudice penale, in ossequio al principio del libero convincimen-

to, può ricostruire un consenso presunto senza alcuna limitazione probatoria. Si è sostenuto infatti

che “nonostante le risultanze di una perizia che, sulla base di indagini strettamente clinico-psichia-triche, abbia concluso che la vittima di un omicidio era affetta da insufficienza mentale di gradograve e tale da non potere esprimere il consenso alla propria uccisione, il giudice può, in base ad al-tri elementi ed in particolare ai pregressi rapporti di natura affettiva ed educativa fra la vittima el’autore del reato, ritenere sussistente un implicito consenso al fatto criminoso”13.

Appare quindi evidente come il giudice di merito, mediante un’analisi puntuale di tutti gli elemen-

ti fattuali idonei a ricostruire la volontà del soggetto passivo, può ricostruire ex post il consenso non

espressamente prestato dal malato, anche in ipotesi di infermità. Solo di recente, nel caso di un non-

no che ha cagionato la morte della nipote affetta da gravi problemi psichici, la soluzione è stata di-

versa in relazione tuttavia alle peculiari modalità del fatto14.

Anche su questo tema parte della dottrina penalistica, nell’analisi della fattispecie di cui all’art. 579

ha ritenuto che il consenso che esclude la fattispecie di omicidio volontario debba essere anche at-

tuale, e cioè perdurante al momento del fatto (con esclusione quindi della validità delle cosiddette

dat, ovvero direttive anticipate di trattamento), e non deve essere meramente presunto15.

Tuttavia, allo stato della giurisprudenza attuale, pur in assenza di una tipizzazione normativa delle

direttive anticipate di trattamento (dat), la giurisprudenza, non essendo vincolata dalla prescrizione

di specifiche forme di prestazione del consenso e quindi del dissenso a determinati trattamenti, le-

citamente ritiene la ricerca del consenso dell’infermo un accertamento di merito che il giudice valu-

ta caso per caso.

Sul punto, tuttavia, la sentenza Englaro rappresenta un indubbio avanzamento. Infatti, nel delinea-

re i poteri del tutore, ha affermato che “nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dallaprosecuzione dello stesso sulla persona incapace (...) deve decidere non al posto dell’incapace né perl’incapace, ma con l’incapace: quindi, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, giàadulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perditadella coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sueinclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filo-sofiche”.La volontà presunta dell’infermo, secondo la Cassazione civile, può e deve essere ricostruita nel-

l’esclusivo rispetto dell’identità complessiva del paziente e del suo modo di concepire, prima di ca-

dere nello stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona. Si tratta cioè di un accertamen-

to squisitamente in fatto che consente di ricostruire quella volontà, seppur non attuale ma inequi-

voca, che la stessa giurisprudenza penale ritiene idonea, seppur nelle ipotesi che si svolgono in for-

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

13 Corte d’Assise Roma, 10 dicembre 1983, Papini, in Foro it. 1985, II, 489. Nello stesso senso si è asserito che “non integra gliestremi del reato di omicidio comune aggravato, bensì del reato di omicidio del consenziente, l’uccisione della propria madre col-pita da affezione morbosa inguaribile, anche se non giunta allo stadio terminale, quando risulti accertato che l’infermità non hadeterminato nella vittima una deficienza psichica tale da renderne invalido il consenso” (Corte d’Assise Trieste, 2 maggio 1988,

Longo, in Foro it., 1989, II, 184).

14 La Cassazione ha, infatti, configurato l’omicidio volontario e non l’ipotesi di cui all’art. 579, “nel caso in cui la particolare pato-logia psichica da cui è affetto il soggetto passivo sia tale da incidere sulla piena e consapevole formazione del consenso alla propriaeliminazione fisica. Ne consegue che, in mancanza di elementi di prova univoci della effettiva e consapevole volontà della personadi morire, deve essere data la prevalenza al diritto alla vita indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità diintendere e volere del soggetto interessato e della percezione che altri possono avere della qualità della vita stessa”. (Cass. pen., sez.

I, 14 febbraio 2008, n. 13410, F. B., Riv. pen. 2008, 6, 625).

15 Seminara, Riflessioni in tema di suicidio e eutanasia, in Riv. It. Dir. e proc., 1995, 670.

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ma commissiva e al di fuori del rapporto medico-paziente, a ritenere raggiunta la prova del consen-

so e ad evitare l’incriminazione più grave dell’art. 575 c.p.

Se questo è lo scenario giurisprudenziale e normativo attuale in tema di consenso, secondo autore-

vole dottrina è evidente come i Giudici non abbiano creato diritto sostituendosi al legislatore16 ma

abbiano ragionato in base a princìpi e norme già presenti nel nostro ordinamento, che allo stato at-

tuale dà rilievo in punto di fatto alla volontà del singolo e ne valorizza la ricostruzione anche in as-

senza di disposizioni scritte.

Tale interpretazione si fonda evidentemente sul passaggio secondo cui l’art. 32 co. 2 costituirebbe

un diritto soggettivo perfetto non necessitante alcuna normativa di attuazione. Stando così le cose,

pur in assenza di normazione in punto di testamento biologico, le disposizioni dettate da ciascuno

sulle proprie scelte di fine vita ben potrebbero costituire un valido elemento di prova al fine di ri-

costruire il rifiuto a trattamenti indesiderati anche in capo ad un soggetto al momento incapace, e

scriminare quindi la condotta del medico che ad esse dia seguito.

Al momento in cui si scrive, è stato approvato al Senato un testo di legge (d.l. Senato 10/2009) che

a breve dovrebbe passare all’esame della Camera17. Da una prima lettura del testo, alcuni elementi

portanti appaiono chiaramente individuabili.

In primo luogo all’art. 1 d.d.l. si leggono alcune proposizioni di principio che appaiono in contrad-

dizione tra loro. Alla lettera a) si legge, infatti, che la legge “riconosce e tutela la vita umana, qua-le diritto inviolabile e indisponibile”, quasi a voler evidenziare la natura “pubblicistica” del diritto al-

la vita. Alla successiva lettera b) si legge che la legge “riconosce e garantisce la dignità di ogni per-sona in via prioritaria rispetto all’interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e dellascienza”, dando così voce alla lettura data dalla giurisprudenza costituzionale del portato “individua-

listico” dell’art. 32, comma 2 Cost. Alla lettera c), dopo aver ribadito che nessun trattamento sanita-

rio può essere attivato a prescindere dall’espressione del consenso informato nei termini di cui al-

l’art. 2, si tiene “fermo il principio per cui la salute deve essere tutelata come fondamentale diritto del-l’individuo e interesse della collettività”.

Dopo queste asserzioni, in parte pleonastiche e in parte come detto, contraddittorie, il legislatore sem-

brerebbe invece prendere una posizione netta alla lettera e) laddove, dopo aver ribadito i divieti del-

la fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 575, 579 e 580 c.p., definisce l’attività medica “esclusiva-mente finalizzata alla tutela della vita e della salute nonché all’alleviamento della sofferenza”. Tale de-

finizione dell’attività medica sembra porsi in contrasto con quanto costantemente affermato dalla giu-

risprudenza secondo cui “non è attribuibile al medico un generale diritto di curare, a fronte del qua-le non avrebbe alcun rilievo la volontà dell’ammalato che si troverebbe in una posizione di soggezionesu cui il medico potrebbe ad libitum intervenire con il solo limite della propria coscienza; appare inve-ce aderente ai princìpi dell’ordinamento riconoscere al medico la facoltà o la potestà di curare”18.

Questo articolo sembrerebbe dare spazio ad una visione maggiormente pubblicistica del diritto alla

salute a cui viene attribuita una rilevanza anche per la collettività, echeggiando la dottrina più mi-

noritaria19 sul punto.

Il fatto poi che venga espressamente ricondotta “ogni forma di assistenza o aiuto al suicidio” alle

fattispecie del codice penale di cui agli articoli 575, 579, 580 (art. 2), sembrerebbe attribuire rilevan-

za penale anche alle condotte di disattivazione di sostegno artificiale che, secondo la dottrina e la

giurisprudenza sul punto, sono da ricondurre a fattispecie omissive e quindi collocabili nell’adem-

pimento del dovere di omettere una cura non voluta. Sul punto si è correttamente asserito che “ilcomportamento di disattivazione del respiratore posto in essere dal medico, a seguito di consapevolerichiesta in tal senso da parte del malato, va inquadrato nel generale dovere di non eseguire tratta-

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FOCUS

16 Rodotà, Politica prepotente, in “La Repubblica” del 19 luglio 2008, che richiama nell’articolo il caso di Terry Schiavo, risolto con

l’interruzione dei trattamenti ordinata da un giudice.

17 Schema di testo unificato proposto dal relatore Calabrò dal titolo “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consensoinformato e di dichiarazione anticipata di trattamento”.

18 Da ultimo Cass. Sez. I, 11 luglio 2001, Firenzani, in Cass. Pen., 2002, 2041.

19 Vedi nota 3.

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menti non voluti, seppure si è di fronte in questo caso alla interruzione per revoca del consenso o, sesi vuole, per mancanza di attualità dello stesso poiché revocato”20.

Vengono di fatto notevolmente limitati (art. 2 n. 7) i poteri del tutore ex art. 414 c.c. che deve ave-

re come “scopo esclusivo la salvaguardia della vita dell’incapace”. In relazione agli esercenti la po-

testà del minore anche le loro decisioni devono avere il medesimo, esclusivo, scopo.

Complementare all’opzione prescelta dal legislatore appare poi la scelta più radicale, posta all’art. 3,

n. 6 secondo cui “l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnicapossono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviarele sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipatadi trattamento”.

Tale norma, impedendo che l’autodeterminazione del malato possa spingersi sino alla rinuncia an-

che a tale tipologia di trattamenti, sembra confliggere con la giurisprudenza (penale, civile e costi-

tuzionale) sull’art. 32 co. 2 Cost.

L’unico correttivo alla preponderanza dell’aspetto “coattivamente” curativo dell’impianto normativo

sembrerebbe rinvenirsi nell’art. 1 lettera f) laddove il legislatore “garantisce che in casi di pazientiin stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi datrattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto allecondizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura”. Tuttavia da tale valutazione di proporzio-

nalità sono sottratti ex lege alimentazione e idratazione artificiale.

L’aspetto normativo che sembra aver sollevato maggiori polemiche (e sul quale il passaggio alla Ca-

mera potrebbe risultare determinante ai fini di una modifica) riguarda un emendamento approvato,

che – modificando l’originario primo comma dell’articolo 4, che, per una modifica in commissione

voluta dalla maggioranza, stabiliva che le Dichiarazioni anticipate di trattamento “non sono obbliga-torie, ma sono vincolanti” – sopprime le parole “ma sono vincolanti”. La validità delle dat sembre-

rebbe essersi “stabilizzata”, dopo proposte di diminuzione a tre anni, a cinque anni.

Se questa è l’impostazione data dal Senato al disegno di legge, rimandando ad esami più approfon-

diti che seguiranno dopo l’approvazione del testo definitivo, si può osservare sin d’ora che, dal pun-

to di vista del rischio di incriminazione di condotte che si pongano in essere eseguendo le dat di

un soggetto non più in grado di intendere e di volere, appare decisamente limitata la possibilità di

scelta del malato nei contenuti e conseguentemente le scelte del fiduciario che di esse sia garante.

Tale ratio è esplicitata ancora una volta al comma 5 dell’art. 6 laddove al fiduciario viene attribuita

una sorta di posizione di garanzia, non già rispetto alla puntuale esecuzione delle volontà del ma-

lato, ma “che non si determinino a carico del paziente situazioni che integrino fattispecie di cui agliart. 575, 579 e 580 del codice penale”.Orbene, poiché l’area dell’incriminazione penale è determinata dalla fattispecie incriminatrice, ma

anche dalla presenza di cause di giustificazione, tra cui certamente l’adempimento di un dovere e

l’esercizio di un diritto, è l’art. 32 comma 2 Cost., che delimiterà l’area del consenso esprimibile dal

malato. Tale articolo nella sua interpretazione da parte della Corte Costituzionale si pone come chia-

ro argine al legislatore che dovesse tentare, con fonti normative subordinate di delimitarne l’ambi-

to. È con questo limite costituzionale che la nuova legge, nella versione definitiva, dovrà misurare

la sua validità.

Senza voler qui esaurire il commento all’articolato normativo, che contiene anche una precisa disci-

plina delle direttive anticipate di trattamento, la cui portata viene fortemente limitata, preme qui so-

lo evidenziare gli evidenti problemi di legittimità costituzionale della proposta di legge. Ci si atten-

de tuttavia che la mediazione parlamentare consegni un testo, che pur espressione della legittima

volontà politica di “normativizzare” le scelte di fine vita, sia rispettoso della lettura costituzionale e

proveniente dalle convenzioni internazionali sul punto, dei diritti inviolabili di libertà e dignità del-

la persona.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

20 Cupelli, Il diritto del paziente di rifiutare e il dovere del medico di non perseverare, cit.

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Con decreto 13 maggio 2008 il dott. Guido Stanzani, giudice tutelare del Tribunale di Modena, ha

affrontato e deciso la delicata questione della possibilità di nominare un amministratore di sostegno

(a.d.s.) conferendogli il compito di negare, in nome e per conto del beneficiario, divenuto incapa-

ce, quei trattamenti salvifici che l’interessato stesso, quando era ancora pienamente cosciente, ave-

va dichiarato di non voler subire.

La fattispecie sottoposta all’esame del giudice – e trattata dai media come caso “Santoro” – riguar-

dava una signora ammalata di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la quale, nella pienezza delle pro-

prie facoltà, aveva più volte manifestato la volontà di non essere sottoposta a tracheostomia. Stante

il certo rischio per l’interessata di addivenire ad una crisi respiratoria tale da indurla in uno stato

confusionale con perdita di capacità autodeterminativa e conseguente necessità di praticarle proprio

il trattamento sanitario di sopravvivenza da lei non voluto, la responsabile dell’Ufficio Tutele del-

l’USL di Modena ha proposto ricorso – ex art. 406 c.c. – al giudice tutelare chiedendogli di nomina-

re il marito quale amministratore di sostegno della signora in questione e di conferire al medesimo

il potere di negare ai sanitari coinvolti il consenso a praticare alla moglie la tracheostomia.

Nel proprio decreto il giudice tutelare di Modena ha chiarito, in via preliminare, che il rifiuto con-

sapevole della cura è espressione della libertà di autodeterminazione terapeutica sancita dagli artt.

2, 13 e 32 della Costituzione1.

Nel merito ha accolto il ricorso e, in linea con la più autorevole dottrina in materia2, ha ritenuto che

l’istituto dell’amministrazione di sostegno – introdotto nel nostro ordinamento con la legge n. 6 del

9 gennaio 2004 – sia lo strumento giuridico idoneo a conferire validità ed efficacia vincolante alla

volontà di sottoporsi o meno a trattamenti sanitari espressa anticipatamente dalla persona capace e

consapevolmente informata per l’ipotesi futura di propria incapacità.

La norma portante dell’a.d.s. che ha indotto il giudice tutelare a ritenere superfluo un intervento del

legislatore diretto ad introdurre nel nostro ordinamento il cosiddetto “testamento biologico”3 è l’art.

39

FOCUS

1 Così come interpretati dalla pluricommentata sentenza della Corte di Cassazione, n. 21748 del 4-16 ottobre 2007, in Giust. civ.Mass., 2007, 10; Giust. civ., 2007, 11, 2366; Guida al dir., 2007, 43, 29; in Foro it., 2007, 11, 3025 con osservazione di Casaburi; in

Fam. dir., 12, 2007, 1162 ss.; in Nuova giur. civ. comm., I, 2008, 83 ss.; in Dir. fam. pers., 2008, I, 77 ss. e riconfermati dalla mede-

sima Corte Suprema nella sentenza n. 37077 del 1 ottobre 2008 consultabile on line sul sito www.lex24.ilsole24ore.com, nonché

dalla sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione n. 27145 del 11-13 novembre 2008, in Guida al diritto, 11, 2008,

36 ss. e in Fam. e dir., 12, 2008, 1085 ss.

2 Bonilini in Bonilini-Chizzini, L’amministratore di sostegno, Padova, 2007, 91 ss.; Calò, Amministratore di sostegno, Legge 9 gen-naio 2004 n. 6, Milano, 2004, 106 ss.

3 Per testamento biologico, o living will, si intende, secondo la definizione data dal Comitato nazionale per la bioetica nel docu-

mento “Dichiarazioni anticipate di trattamento”, 18 dicembre 2003: “un documento con il quale una persona, dotata di piena ca-pacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposto nel caso in cui, nel decorso diuna malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato”.

L’art. 9 della Convenzione del Consiglio di Europa sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina fatta ad Oviedo, resa esecutiva in Italia

con legge di autorizzazione alla ratifica 28 marzo 2001 n. 145 ma non ancora ratificata, prevede all’art. 9 che “saranno tenuti inconsiderazione i desideri precedentemente espressi nei riguardi di un intervento medico dal paziente, che al momento dell’interven-to, non sia in grado di esprimere la sua volontà”.

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI VOLONTÀ

Maria Grazia ScacchettiProfessore Associato, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia;Avvocato, Foro di Modena

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408, 2° comma, c.c., laddove prevede il diritto della persona di designare, con un atto pubblico o

una scrittura privata autenticata, un amministratore di suo gradimento in previsione della propria

eventuale futura incapacità. Con tale norma, ha scritto il giudicante, il legislatore ha inteso dare va-

lenza giuridica alla volontà terapeutica del soggetto per il caso in cui, successivamente alla manife-

stazione della stessa, egli perda la capacità di autodeterminarsi e, per l’effetto, ha previsto che, al

terzo designato dall’interessato, potesse essere conferito il compito di attuare le cosiddette disposi-

zioni anticipate sui trattamenti sanitari4.

A distanza di pochi mesi il giudice tutelare, con decreto 5 novembre 2008, ha compiuto un ulterio-

re passo avanti nella direzione della tutela del diritto all’autodeterminazione terapeutica attraverso

l’amministrazione di sostegno.

Il caso da me sottoposto al giudice tutelare riguardava questa volta una persona perfettamente sa-

na che chiedeva la nomina preventiva di un a.d.s. al quale fosse conferito il compito di far valere,

in nome e per conto suo, le proprie disposizioni anticipate nell’ipotesi futura e meramente eventua-

le di sua incapacità.

Sin dall’inizio ho informato il mio cliente dell’inesistenza di precedenti specifici in argomento e del-

la differenza giuridica tra il “caso Santoro” e il suo. Nel caso della signora Santoro infatti il soprag-

giungere dell’incapacità di intendere e di volere era un evento certo nell’an ed incerto nel quando(= termine); nel caso del mio cliente – un cinquantenne in ottima salute – il sopraggiungere dell’in-

capacità era un evento del tutto futuro ed incerto (= condizione). L’analogia tra le fattispecie riguar-

dava soltanto il profilo dell’applicabilità dell’a.d.s. quale istituto volto, tra l’altro, a garantire alla per-

sona, anche dopo la perdita di coscienza, il rispetto delle sue dat.

Seguendo alla lettera l’iter dettato dagli artt. 404 ss. del codice civile, il mio assistito, nel pieno pos-

sesso delle proprie capacità, ha redatto una scrittura privata di designazione di un amministratore di

sostegno – poi autenticata da notaio ex art. 408 c.c. – nella quale ha indicato sia la persona che de-

siderava venisse nominata quale suo amministratore di sostegno per l’ipotesi di una sua eventuale

futura incapacità, sia le terapie salvifiche invasive alle quali non voleva essere sottoposto5.

A ciò sono seguiti la redazione e il deposito del ricorso ex art. 407 c.c. al giudice tutelare per la no-

mina dell’a.d.s., ricorso fondato sulle seguenti argomentazioni.

Stabilito che l’a.d.s. è l’istituto sostanziale e processuale di cui avvalersi per garantire alla persona,

anche dopo la perdita di coscienza, il rispetto del suo fondamentale diritto all’autodeterminazione

terapeutica, nella pratica può accadere che l’incapacità della persona – che pure con l’atto di cui al-

l’art. 408 c.c., ha già designato il proprio a.d.s. indicandogli le direttive da seguire in materia sanita-

ria – sopraggiunga non quale prevedibile esito di una malattia ma all’improvviso (ad esempio a se-

guito di un ictus, di un infarto, di un incidente stradale, eccetera) con la conseguenza certa che la

persona medesima, a causa dell’impossibilità di ottenere in tempo reale il decreto di nomina

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

4 Nel senso che l’interessato, nell’atto di designazione, possa anche indicare le linee-guida da seguire per il compimento di alcu-

ne scelte cruciali, si è espressa autorevole dottrina: Bonilini-Chizzini, L’amministratore di sostegno, cit., 120; Ferrando, Protezionedei soggetti deboli e misure di sostegno, in Patti (a cura di), La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, Milano, 2002, 131. Il

decreto 13 maggio 2008 è stato commentato adesivamente, tra gli altri, da Ferrando, Il diritto di rifiutare le cure e le direttive anti-cipate, in Bioetica, cit., 329 ss. e Calò, Caso Englaro: La decisione della Corte d’Appello di Milano, in Il corriere giuridico, 2008, 9,

1292 ss.; Scacchetti, Il testamento biologico è già previsto e tutelato dalle norme sull’amministrazione di sostegno: il leading-case deldecreto del Giudice Tutelare di Modena, ibidem, 227 ss.; Leo, Possibile negare il consenso al trattamento sanitario per conto del be-neficiario, in Fam. e min., 2008, 7, 71 ss.; Lombardi, Direttive anticipate, testamento biologico ed amministrazione di sostegno, in

Giur. merito, 2008, 10, 2518 ss.; Coscioni, L’amministrazione di sostegno rende superfluo il testamento biologico, in Questioni di di-ritto di famiglia, 18 luglio 2008, consultabile sul sito internet www.questionididirittodifamiglia.it.; Landini, Amministrazione di so-stegno ed autodeterminazione terapeutica, in Famiglia, Persone e Successioni, 2008, 11, 910 ss.

5 Nel caso di specie l’interessato, nella scrittura privata autenticata, aveva chiesto e disposto che: “in caso di: malattia allo statoterminale; malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante; malattia che mi costringa a trattamenti permanenticon macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione; (...) di non essere sottoposto ad alcun trattamen-to terapeutico, con particolare riguardo, a mero titolo esemplificativo, a rianimazione cardio-polmonare, dialisi, trasfusione di san-gue, terapia antibiotica, ventilazione, idratazione e alimentazione forzata e artificiale”. Il medesimo aveva inoltre chiesto che: “nelcaso fossi affetto da una delle situazioni sopra indicate, siano intrapresi tutti i provvedimenti atti ad alleviare le mie sofferenze, com-preso in particolare l’uso di medicinali oppiacei anche se essi dovessero anticipare la fine della mia vita”.

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dell’a.d.s., sia nelle more sottoposta proprio a quelle cure per le quali aveva preventivamente e va-

lidamente negato il proprio consenso.

L’esigenza della nomina di un a.d.s. in via preventiva nasce proprio dalla ragionevole probabilità

che, qualora la persona attendesse il sopraggiungere della propria incapacità per chiederla, il pro-

prio fondamentale diritto di autodeterminazione terapeutica verrebbe paradossalmente violato pro-

prio dai tempi e dagli adempimenti processuali richiesti e concessi dalle norme che disciplinano

l’istituto in questione.

Ho poi argomentato che, a mio parere, il legislatore del 2004 non ha affatto previsto l’attualità del-

lo stato di incapacità del beneficiando quale requisito per la presentazione del ricorso di cui all’art.

407 c.c.

Infatti:

a) l’art. 404 c.c. così recita: “la persona che (...) si trova nell’impossibilità (...) di provvedere ai pro-pri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutela-re (...)”. Dal tenore testuale della norma si evince che il legislatore ha inteso prevedere l’attuali-

tà dello stato di incapacità del beneficiario come presupposto per la produzione degli effetti del-

la misura di protezione in esame e non già come presupposto per la sua istituzione. È altresì ra-

gionevole ritenere che, nel caso contrario, il dettato normativo sarebbe stato così formulato: “ilgiudice tutelare può nominare un amministratore di sostegno alla persona che si trova nell’im-possibilità di provvedere ai propri interessi”;

b) l’opzione interpretativa sopra proposta è confermata dall’art. 406 c.c., il quale espressamente con-

sente che il ricorso per la nomina di amministratore di sostegno sia proposto “dallo stesso sog-getto beneficiario anche se minore, interdetto, inabilitato”. Con tale previsione il legislatore, spe-

cificando che anche le persone non capaci possono ricorrere al giudice, si è evidentemente “raf-figurato che, nella normalità dei casi, il ricorso sarà presentato da una persona pienamente ca-pace che ben può, in quel momento, lasciare disposizioni che dovranno essere osservate dall’am-ministratore di sostegno”;

c) l’opzione interpretativa in parola è già stata adottata dalla giurisprudenza di merito: il giudice tu-

telare del Tribunale di Parma, (con decreto n. 536 del 2 aprile 2004) ha nominato ad una perso-

na, pienamente capace di intendere e di volere, l’amministratore di sostegno dalla medesima de-

signato nel ricorso conferendogli il potere di rappresentanza concorrente per il compimento di

determinati atti giuridici nel periodo in cui la beneficiaria, in conseguenza di un intervento chi-

rurgico futuro, si sarebbe trovata nell’impossibilità temporanea di provvedere ai propri interessi6.

In senso analogo si è pronunciato il giudice tutelare del Tribunale di Siena che, con decreto 18

giugno 2007, ha accolto il ricorso proposto da una signora che stava per sottoporsi ad un inter-

vento medico-chirurgico, ed ha nominato, in via d’urgenza, la figlia quale amministratore di so-

stegno, col compito di esprimere “il consenso ad eventuali trattamenti sanitari o medico-chirur-gici ove l’interessata non sia in grado di prestarlo, secondo le indicazioni date dalla medesima inrelazione ad intervento di espianto e reimpianto di protesi al ginocchio, nel documento ‘direttive

anticipate relative alle cure mediche’ sottoscritto dall’interessata in data 30 maggio 2007” 7. Il giu-

dice tutelare del Tribunale di Bologna, sez. dist. Imola, dott. Betti, con decreto 4 giugno 20088,

ha affermato che: “per il combinato disposto dell’art. 404 c.c. e dell’art. 6 della Convenzione diOviedo, può provvedersi alla nomina di un amministratore di sostegno per un paziente che nonsia in grado di prestare consapevolmente il proprio consenso ai trattamenti sanitari. Allorché l’in-teressato chieda la nomina di un amministratore di sostegno, dal medesimo designato all’udien-za di comparizione avanti al g.t., al fine di dare attuazione alle direttive anticipate per cure me-

41

FOCUS

6 Il decreto è pubblicato in Giur. it., 2005, 1839 e in Giur. mer., 2005, 2087. Analogamente si era espresso il giudice tutelare del

Tribunale di Roma con decreto 19 marzo 2004, in Notariato, 2004, 250 ss., commentato adesivamente da Calò, L’amministrazionedi sostegno al debutto fra istanze nazionali e adeguamenti pratici.7 Il decreto è consultabile online al sito www.personaedanno.it

8 Il decreto è consultabile online al sito www.personaedanno.it

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diche precedentemente redatte e sottoscritte, l’incarico vicariale dovrà essere affidato alla perso-na designata dall’amministrando, sempreché risulti idonea all’incarico, con il compito specificodi compiere gli atti indicati nelle direttive mediche predisposte e confermate in udienza”9.

Sentiti il ricorrente e la persona dallo stesso designata nella scrittura privata autenticata, il giudi-

ce tutelare del Tribunale di Modena, con decreto 5 novembre 200810, ha accolto il ricorso nomi-

nando la moglie (e, per il caso di impossibilità di questa, la figlia) amministratore di sostegno

dell’interessato con le seguenti prescrizioni:

a) “L’incarico è a tempo determinato: compimento degli eventuali atti sub b). b) L’amministratore di sostegno è autorizzato a compiere, in nome e per conto del beneficiario e

per l’ipotesi che il medesimo versi nelle condizioni descritte nella scrittura in data 17 settem-bre 2007 senza aver revocato, con qualsivoglia modalità e rendendone edotto esso ammini-stratore, le disposizioni con la stessa dettate, i seguenti atti:• negazione di consenso ai sanitari coinvolti a praticare alla persona trattamento terapeuti-

co alcuno e, in specifico, rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusioni di sangue, te-rapie antibiotiche, ventilazione, idratazione e alimentazione forzata e artificiali;

• richiamo ai sanitari dell’obbligo di apprestare alla persona, con le maggiori tempestività,sollecitudine ed incidenza ai fini di lenimento delle sofferenze, le cure palliative più effi-caci compreso l’utilizzo di farmaci oppiacei.

c) Verificandosi le situazioni sub b) l’amministratore sarà tenuto a darne immediata comuni-cazione all’Ufficio del giudice tutelare relazionando, quindi, con tempestività e per iscritto,sull’evolversi della situazione, su ogni variazione delle condizioni di salute della persona checomportino l’esigenza di eventuali provvedimenti, sull’esito dell’espletamento del demandato-gli incarico di sostegno”.

42

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

9 A favore della possibilità di nomina di un amministratore di sostegno pur in mancanza dell’attualità della condizione di impos-

sibilità di provvedere ai propri interessi, si è pronunciato Bonilini, L’amministratore di sostegno, cit., 90 ss. il quale si sofferma pro-

prio sulla questione dell’utilizzabilità o meno dell’amministrazione di sostegno per colmare la lacuna, concernente il cosiddetto te-

stamento biologico. In senso contrario Pini, Amministrazione di sostegno e interdizione, in I manuali di Guida al Diritto de Il So-le 24 ore, 2007, 9, la quale ha sostenuto che: “le condizioni di infermità o menomazione, fisica o psichica, devono comportare, alfine della nomina dell’amministratore di sostegno, l’impossibilità per la persona di provvedere ai propri interessi. Ne consegue chequalora la persona fosse in grado di far fronte autonomamente alla cura di sé e alla gestione dei propri affari e interessi, nonostan-te una diminuita autonomia dovuta a uno stato di malattia, non si potrà procedere alla nomina di un amministratore di sostegno”.

Di parere contrario sembra essere anche Delle Monache, Prime note sulla figura dell’amministrazione di sostegno: profili di dirit-to sostanziale, in Nuova Giur. civ. comm., 2004, 34, il quale ha affermato che: “condizione necessaria ai fini dell’apertura dell’am-ministrazione di sostegno è la sussistenza di un’infermità o di una menomazione, fisica o psichica, per effetto della quale il sogget-to si trovi a versare nell’impossibilità, sia pure parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. Il giudice tutelare, una vol-ta accertato lo stato di infermità o di menomazione, è dunque tenuto a valutare se ed in qual modo esso si rifletta sull’attitudine delsoggetto a provvedere alla cura dei propri interessi, non potendosi far luogo alla nomina di un amministratore di sostegno che nel-l’ipotesi in cui detta attitudine, in ragione di quella infermità o menomazione, risulti pregiudicata in tutto o in parte”. Di contrario

avviso appare pure Milone, Il testamento biologico, in Vita Not., 2005, 106 ss.: “ad una nomina predeterminata può farsi riferimen-to solo nell’ipotesi in cui chi ha indicato l’amministratore di sostegno si trovi al momento della nomina da parte del giudice tutela-re, nell’assoluta incapacità di intendere e di volere. In ogni altro caso, il futuro beneficiario, sia nel momento della presentazionedel ricorso, che in quello successivo del colloquio con il giudice, può suggerire la persona più idonea allo svolgimento delle funzionidi amministratore”. 10 Commentato adesivamente da Cendon e Rossi, Individuato un neo-segmento operativo che l’istituto può sostenere a pieno tito-lo, in Guida al Diritto, 2009, 11, e in Cendon e Rossi, Amministrazione di sostegno. Motivi ispiratori e applicazioni pratiche, Tori-

no, 2009, 345 ss.; Coscioni, L’amministratore di sostegno può essere chiesto anche in via anticipata in previsione di una futura in-capacità, in corso di pubblicazione in Famiglia, Persone e Successioni; articolo redazione in Famiglia e Minori, 2008, 11, 76 ss.;

Manzella, L’amministratore di sostegno come garante, a futura memoria, delle volontà biologiche della persona, in Diritto e Giusti-zi@, 7.11.2008; Leo, Nutrizione e idratazione: trattamenti sanitari come quelli tradizionali, in Famiglia e Minori, 2008, 11, 81 e ss.;

Costanzo, L’osservatorio di merito - Amministrazione di sostegno, in Famiglia, Persone e Successioni, 2008, 12, 1038 ss.; Mommo,

Testamento biologico: applicabili le disposizioni sull’amministrazione di sostegno, articolo consultabile on-line sul sito

www.altalex.com; Fusco, La “via giudiziaria” al testamento biologico come rimedio all’inerzia del legislatore, in Diritto e Giustizi@,

15.11.2008; Casaburi, Autodeterminazione del paziente, terapie e trattamenti sanitari “salvavita”, in Foro italiano, 2009, I, 35; Fer-

rando, Amministrazione di sostegno e rifiuto di cure, in Famiglia e diritto, 2009, 3, 277 ss.

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Per la prima volta in Italia un provvedimento giudiziario ha garantito in via preventiva ad una per-

sona perfettamente sana il rispetto delle proprie dat per il caso di sua futura ed eventuale incapa-

cità.

Oltre a dare valenza giuridica alle dat il decreto ha affrontato analiticamente alcune questioni con-

nesse di particolare importanza ed attualità.

In primo luogo il giudice tutelare si è soffermato sulla possibilità di nominare un amministratore di

sostegno “ora per allora”, ossia in vista di una incapacità non ancora in atto né prevedibile al mo-

mento della presentazione dell’istanza.

Al proposito ha affermato che: “è la lettera stessa della prima norma (dell’art. 404 c.c.) a suggerireall’interprete che il legislatore ha individuato l’attualità dello stato di incapacità del beneficiario co-me presupposto per la produzione degli effetti dello strumento protettivo ma non anche come requi-sito per la sua istituzione. Deduzione che appare coerente, del resto, a quella natura volontaria del-la giurisdizione in cui si colloca la nuova figura ed al relativo oggetto di gestione di interessi dellapersona coinvolti che porta in primo piano l’esigenza della più appagante tutela degli stessi”.In secondo luogo il giudicante ha recepito le disposizioni dettate dall’istante nella scrittura privata

autenticata anche in merito ad alimentazione ed idratazione forzate.

Infatti, accogliendo la domanda del mio assistito, il giudice tutelare ha affermato che la richiesta del

ricorrente di negare il consenso ai sanitari coinvolti a sottoporlo ad idratazione o alimentazione for-

zata e artificiale “è una richiesta fondata che, sempre allo stato dell’ordinamento, non soffre di limi-tazione alcuna sul terreno della disciplina del contratto sociale vigente e delle disposizioni normati-ve per il cui tramite si esprime. In linea piena con le argomentazioni sul tema di Cass., n. 21748 cit.del 2007, va disconosciuta, infatti, agli specifici interventi la natura di cure meramente ordinarie”.Il giudice tutelare ha ritenuto che idratazione ed alimentazione forzate rientrino tra i trattamenti sa-

nitari in quanto le stesse: “(a) sottendono elaborati studi scientifici, tant’è che non a caso si tratta dimezzi messi a punto dalla tecnologia soltanto da alcuni lustri; (b) impongono l’intervento dei medi-ci che, all’origine, sono i soli abilitati ad applicarle; (c) hanno ad oggetto la somministrazione dicomposti allo stato liquido confezionati in laboratorio; (d) si connotano, infine, per il duplice effettodella forzatura (d1) delle regole più elementari dell’autodeterminazione, se preventivamente espres-sa una contraria volontà della persona, e (d2) delle leggi della natura nel loro effetto di prolungare,sotto il primo profilo, la sopravvivenza del corpo inerte contro le determinazioni dell’interessato e diimpedire, sotto il secondo, la fisiologica evoluzione di elementari percorsi biologici”.In uno dei più recenti provvedimenti emessi in una fattispecie analoga11, il giudice tutelare ha riba-

dito la caratterizzazione di trattamenti sanitari di idratazione ed alimentazione forzate anche alla lu-

ce della sentenza 21-26 gennaio 2009 n. 219 emessa dal Tar Lombardia12.

Infine, in linea con la richiesta del ricorrente, il giudice tutelare ha statuito anche in merito alla even-

tuale revoca delle dat prevedendo che i “poteri-doveri demandati in via sostitutiva [all’amministra-

tore di sostegno] andranno esercitati alla ferma condizione che il beneficiario non manifesti, qual-sivoglia ne siano le modalità espressive, una volontà opposta a quella formalizzata nella scrittura 17settembre 2008 quando ancora si trovi nel pieno possesso delle sue capacità cognitive. Ove revocanon vi sia, e dandosi le eventualità prefigurate nelle ricordate dichiarazioni scritte, dovranno essererispettati gli intenti espressi risultando giuridicamente inconsistente l’obiezione di un possibile e nonmanifestato ripensamento all’atto del passaggio nello stato di incoscienza atteso che costituisce prin-cipio consolidatosi ab immemorabile nell’ordinamento quello per cui una volontà negoziale, inquanto tale idonea a produrre effetti giuridici, resta ferma fino a sua revoca”.

Il decreto 5 novembre 2008 del giudice tutelare di Modena è divenuto un vero e proprio “leadingcase” in materia, seguito dalla giurisprudenza modenese13 e non solo. Con decreto 21 gennaio 2009

43

FOCUS

11 Decreto 18 marzo 2009 del giudice tutelare del Tribunale di Modena, dott. Guido Stanzani, inedito.

12 Pubblicata in Guida al diritto, 7, 14 febbraio 2009, 82 ss. Con tale sentenza il Tar ha nuovamente riconosciuto ad idratazione

ed alimentazione forzate la natura di trattamenti sanitari.

13 Almeno quindici decreti omologhi sono stati emessi dall’ufficio del giudice tutelare di Modena, uno dei quali pronunciato dal

dott. Roberto Masoni in data 19 dicembre 2008, visionabile on-line su www.personaedanno.it

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il giudice tutelare del Tribunale di Treviso, dott. Marco Biagetti, ha nominato un amministratore di

sostegno provvisorio ad una persona affetta da SLA, prescrivendogli il compito di dare il consenso

informato per eventuali cure salvifiche che il medesimo aveva dichiarato di non volere. La prassi in

parola è stata fatta propria anche dalla Corte d’Appello di Cagliari la quale ha affermato che: “è con-sentito al soggetto che dichiara di professare il credo religioso della confessione denominata Testimo-ni di Geova, ricoprendo il ruolo di ministro della stessa confessione religiosa, di esprimere anticipa-tamente un rifiuto per essere sottoposto a trasfusioni di sangue e di emoderivati, anche designandouna persona di propria fiducia come suo rappresentante ad acta per tale scopo, previa contestualenomina della stessa persona come amministratore di sostegno del beneficiario. La legge che ha isti-tuito l’amministratore di sostegno, essendo finalizzata a valorizzare la volontà del soggetto nel cuiinteresse l’amministratore di sostegno è nominato, consente di attribuire rilievo alla direttiva antici-pata formulata dal beneficiario, in forma scritta e alla presenza di testimoni, riguardante il non con-senso alle emotrasfusioni. L’amministratore di sostegno nominato per attuare la direttiva anticipatadel beneficiario che ha negato il consenso alle emotrasfusioni, deve assicurare il rispetto della diret-tiva conformemente alla volontà manifestata, sino a quando non sia revocata”14.

Mette infine conto evidenziare come l’applicazione dell’a.d.s. costituisca una garanzia straordinaria

dell’effettivo rispetto delle dat: il mancato adempimento delle volontà dell’amministrato integra in-

fatti il reato di mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice previsto e punito dall’art.

388 c.p.

Concludo questo intervento con una considerazione finale.

Il testo del d.d.l. approvato dal Senato, e ora in discussione alla Camera, se varato, introdurrà nel

nostro ordinamento non il cosiddetto testamento biologico ma norme chiaramente volte a dissua-

dere le persone dal redigere il proprio bio-testamento.

Chi, pertanto, condivide l’idea che l’autodeterminazione terapeutica sia un diritto di rango costitu-

zionale che, come tale, deve trovare piena tutela, non potrà che auspicare che detto testo finisca nel

dimenticatoio e che trovi applicazione diffusa ed univoca la prassi inaugurata dal giudice tutelare di

Modena.

Nella speranza di concorrere alla realizzazione dell’auspicio, ho redatto e diffuso una sorta di “va-

demecum” con le formule personalizzabili degli atti che ho redatto per il mio assistito.

* * *

Gli adempimenti da eseguire per conseguire la nomina di un amministratore di sostegno che garantisca il rispetto delle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari

Seguendo l’iter dettato dagli artt. 404 ss. del codice civile, la persona interessata deve:

1. redigere una scrittura privata di designazione di un amministratore di sostegno nella

quale indica sia la persona che vuole gli venga nominata quale suo amministratore di so-

stegno per l’ipotesi di una sua eventuale futura incapacità, sia le terapie salvifiche alle

quali non vuole essere sottoposto.

2. Il fac-simile che segue deve quindi essere adattato dall’interessato alle proprie personali

volontà.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

14 Decreto 16 gennaio 2009 in Guida al diritto - Il Sole 24 ore, “Famiglia e minori”, n. 4, aprile 2009, 55 ss.

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DESIGNAZIONE DI AMMINISTRATORE DI SOSTEGNOai sensi dell’art. 408 c.c.

Io sottoscritto

TIZIO, nato a .............. il ........., residente in .................., via .................., codice fiscale .................;

nel pieno possesso delle mie facoltà e in previsione della mia eventuale futura incapacità nomino,

ai sensi dell’art. 408 del Codice Civile, mio amministratore di sostegno CAIA e, per l’ipotesi in cui

ella non fosse in grado di esercitare la propria funzione, SEMPRONIA.

Dichiaro inoltre di voler esercitare, finché pienamente capace e cosciente delle mie scelte, il diritto

di decidere le cure mediche alle quali potrei in futuro essere sottoposto, cure mediche per le quali

il mio consenso e/o il mio dissenso sono pienamente informati.

In caso di una mia eventuale incapacità esprimo le seguenti disposizioni, che raccomando siano ri-

spettate:

In caso di:

• malattia allo stato terminale;

• malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante;

• malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impedi-

scano una normale vita di relazione;

chiedo e dispongo

di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico, con particolare riguardo, a mero titolo

esemplificativo, a rianimazione cardio-polmonare, dialisi, trasfusione di sangue, terapia antibiotica,

ventilazione, idratazione e alimentazione forzata e artificiale;

Chiedo inoltre formalmente che, nel caso fossi affetto da una delle situazioni sopra indicate, siano

intrapresi tutti i provvedimenti atti ad alleviare le mie sofferenze, compreso in particolare l’uso di

medicinali oppiacei anche se essi dovessero anticipare la fine della mia vita.

Detto infine le seguenti disposizioni:

• il mio corpo può essere donato per trapianti, ma non può essere usato per scopi scientifici e/o

didattici;

• voglio essere cremato;

• non voglio funerale o altra cerimonia funebre;

• voglio che le mie ceneri vengano disperse in natura.

Ai fini dell’attuazione delle volontà espresse nel presente documento nonché al fine di rendere edot-

ti i medici dell’esistenza di questo atto, nomino mio rappresentate fiduciario CAIA, nata a ................

il ........, residente in ............, via .............

Nel caso in cui ella sia nell’impossibilità di esercitare la sua funzione delego a sostituirlo SEMPRO-

NIA, nata a ....................... il ............, residente in ........, via ...........

..........., lì ............

F.to TIZIO

AUTENTICAZIONE DELLA SOTTOSCRIZIONE

Repertorio n. ...... Raccolta n. ......

Certifico io sottoscritto Dott. ....................., Notaio in ................, iscritto al Ruolo del Distretto Nota-

rile di..............., che il signor TIZIO, nato a ............ il ........., residente in ..............., via ........................,

della cui identità personale io Notaio sono certo, ha sottoscritto, in mia presenza, la scrittura che

precede, in ........................, nel mio studio in via ..................., oggi ........................., alle ore ...............,

facendomi richiesta di conservarla in originale nella raccolta dei miei atti.

F.to ...................

* * *

45

FOCUS

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3. Far autenticare da un notaio la scrittura privata di cui al punto 1.

4. Depositare nella Cancelleria del Giudice Tutelare presso il Tribunale del luogo in cui la

persona interessata ha la residenza o il domicilio il ricorso per la nomina di amministra-

tore di sostegno.

Anche il fac-simile del ricorso che segue deve quindi essere adattato dall’interessato alle

proprie personali volontà.

Tribunale di ..................All’Ill.mo Giudice Tutelare

RICORSO PER LA NOMINA DI AMMINISTRATORE DI SOSTEGNOai sensi della legge 9 gennaio 2004 n. 6

il sottoscritto TIZIO, nato a .......... il ............. e residente in ............., via ............., C.F. .............., elet-

tivamente domiciliato, ai fini della presente procedura, in .............., via ............. n. ..., con dichiara-

zione, ex l. n. 80/05 e successive modifiche, di voler ricevere comunicazioni e notifiche di biglietti

di cancelleria, atti e provvedimenti giudiziari tramite teletrasmissione al n. fax ...............,

PREMESSO CHE

IN FATTO

• Il ricorrente, pienamente capace di intendere e di volere, ed in previsione della propria eventua-

le futura incapacità, intende esercitare il proprio diritto di autodeterminazione terapeutica (san-

cito dagli artt. 2, 13 e 32 Cost.) decidendo sin d’ora le cure mediche alle quali essere o non es-

sere in futuro sottoposto.

• Il sig. ........., in data ......, nel pieno possesso delle proprie facoltà, e sempre in previsione della

propria eventuale futura incapacità, con scrittura privata autenticata nella firma dal Notaio dott.

......, rep. n. ...... racc. n. ......, ha designato, ai sensi dell’art. 408 c.c., come proprio amministra-

tore di sostegno, la sig.ra CAIA, e, per l’ipotesi in cui ella non fosse in grado di esercitare la pro-

pria funzione, la loro figlia maggiorenne sig.ra SEMPRONIA – le quali pure sottoscrivono il pre-

sente ricorso per presa visione, adesione e conferma –, con incarico di rispettare le disposizioni

terapeutiche dettate dall’interessato per il caso della propria eventuale futura incapacità nonché

le direttive da seguire in caso di decesso dell’interessato (doc. nn. 1 e 2).

• Il ricorrente ha una informazione completa sui possibili effetti positivi e negativi dei trattamenti

terapeutici ai quali non vuole essere sottoposto sicché il suo dissenso è pienamente consapevo-

le ed informato.

• Nell’atto di designazione l’odierno ricorrente ha chiesto e disposto, che in caso di malattia allo

stato terminale, malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante, malattia che lo

costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una nor-

male vita di relazione, di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico, con particola-

re riguardo a rianimazione cardio-polmonare, dialisi, trasfusione, terapia antibiotica, ventilazio-

ne, idratazione o alimentazione forzata e artificiale. Inoltre ha chiesto che, nel caso in cui fosse

affetto da una delle situazioni sopra indicate, siano intrapresi tutti i provvedimenti atti ad allevia-

re le sue sofferenze, compreso, in particolare, l’uso di oppiacei, anche se essi dovessero antici-

pare la fine della sua vita.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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• Il ricorrente ha infine precisato che le sue volontà potranno essere dal medesimo revocate e/o

modificate in qualsiasi momento con una successiva dichiarazione scritta.

IN DIRITTO

• L’art. 408 c.c. consente allo stesso interessato di designare il proprio amministratore di sostegno,

in previsione della propria eventuale futura incapacità.

• La dottrina riconosce la possibilità che l’atto di designazione di amministratore di sostegno con-

tenga anche le direttive che questi deve seguire nello svolgimento dell’ufficio, direttive tra le qua-

li ben possono ricomprendersi anche le indicazioni terapeutiche che attengano alla possibile ma-

lattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile ed invalidante del beneficiario (in tal senso cfr.,

ex pluribus, E. CALÒ, Amministrazione di sostegno, Milano 2004, 103; G. BONILINI, I presuppostidell’amministrazione di sostegno, in G. BONILINI-A. CHIZZINI, L’amministrazione di sostegno, Pa-

dova, 2007, 2° ed., 53 ss.; G. COSCIONI, L’amministrazione di sostegno rende superfluo il testa-mento biologico, in Questioni di diritto di famiglia, 18.7.2008, consultabile on line sul sito

www.questionididirittodifamiglia.it; G. FERRANDO, Protezione dei soggetti deboli e misure di soste-gno, in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, a cura di S. PATTI, Milano, 2002, 131, ed

in Il diritto di rifiutare le cure e le direttive anticipate, in Bioetica Rivista Interdisciplinare, 2,

2008, 338 ss.; M. SESTA, Quali strumenti per attuare le direttive anticipate, in Testamento biologi-co, riflessioni di dieci giuristi, Milano, 2006, 174 ss.).

• Codesto Giudice Tutelare, con decreto 13 maggio 2008 (commentato adesivamente, tra gli altri,

da G. FERRANDO, Il diritto di rifiutare le cure e le direttive anticipate, in Bioetica, cit., 329 ss. e E.

CALÒ, Caso Englaro: La decisione della Corte d’Appello di Milano, in Il corriere giuridico n.

9/2008, 1292 ss.; M. G. SCACCHETTI, Il testamento biologico è già previsto e tutelato dalle normesull’amministrazione di sostegno: il leading-case del decreto del Giudice Tutelare di Modena, ibi-dem, 227 ss.; M. LEO, Possibile negare il consenso al trattamento sanitario per conto del benefi-ciario, in Fam. e min., 2008, 7, 71 ss.; A. LOMBARDI, Direttive anticipate, testamento biologico edamministrazione di sostegno, in Giur. merito, 2008, 10, 2518 ss.; G. COSCIONI, L’amministrazio-ne di sostegno rende superfluo il testamento biologico, in Questioni di diritto di famiglia,

18.7.2008, consultabile sul sito internet www.questionididirittodifamiglia.it.; A. LANDINI, Ammini-strazione di sostegno ed autodeterminazione terapeutica, in Famiglia, Persone e Successioni,2008, 11, 910 ss. e seguito dal decreto 21.1.2009 del Giudice Tutelare del Tribunale di Treviso,

dott. Marco Biagetti, recante la nomina di un amministratore di sostegno provvisorio ad una per-

sona affetta da SLA, prescrivendogli il compito di dare il consenso informato per eventuali cu-

re) e, tra gli altri, con i recenti decreti 18.3.2009, si è già pronunciato dichiarando che l’ammini-

strazione di sostegno è “l’istituto processuale di cui avvalersi” per garantire alla persona, anche

dopo la perdita di coscienza, il rispetto del fondamentale diritto di autodeterminazione terapeu-

tica sancito dagli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione (così come interpretati dalla pluricommenta-

ta sentenza della Corte di Cassazione, n. 21748 del 4-16 ottobre 2007, in: Giust. civ. Mass., 2007,

10; Giust. civ., 2007, 11, 2366; Guida al dir., 2007, 43, 29; Foro it., 2007, 11, 3025 con osserva-

zione di G. CASABURI; Fam. dir., 12, 2007, 1162 ss.; Nuova giur. civ. comm., I, 2008, 83 ss.; Dir.fam. pers., 2008, I, 77 ss. e riconfermati dalla medesima Corte Suprema nella sentenza n. 37077

del 1.10.2008 consultabile on line sul sito www.lex24.ilsole24ore.com) e riconfermati dalla me-

desima Corte Suprema nella sentenza n. 37077 del 30.09.2008 consultabile on line sul sito

www.lex24.ilsole24ore.com, nonché dalla sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di Cas-

sazione n. 27145 del 11-13.11.2008 in Guida al diritto, 11, 2008, 36 ss. ed in Fam. e dir., 12, 2008,

1085 ss.; e da Tar Lombardia, n. 214 del 21-26.1.2009 in Guida al diritto, 7, 14.02.2009, 82 ss.

che ha nuovamente riconosciuto ad idratazione ed alimentazione forzate la natura di trattamen-

ti sanitari).

• Successivamente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23676 del 15 settembre 2008 (in Giust.civ. Mass., 2008, 9; in Diritto & Giustizia, 2008; in Guida al diritto, 2008, 39 52 con nota di ROS-

SI; in Corr. Giur., 2008, 12, 1671 con nota di FORTE; in Mass. Giur. It., 2008; in Danno e Resp.,

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2008, 12, 1282; in Resp. civ., 2008, 11, 947; on line sul sito www.personaedanno.it), in linea con

il principio già enunciato del giudice tutelare del Tribunale di Modena, ha ribadito il diritto del-

la persona, divenuta incosciente, di vedere rispettato il proprio dissenso ad essere sottoposta a

determinati trattamenti medici, anche salvifici, ed ha precisato che tale dissenso, per essere effi-

cace, deve risultare:

• da “una articolata, puntuale, espressa dichiarazione dalla quale inequivocamente emerga lavolontà di impedire” il trattamento “anche in ipotesi di pericolo di vita”,

oppure

• “da un diverso soggetto da lui stesso [il paziente] indicato quale rappresentante ad acta il qua-le, dimostrata l’esistenza del proprio potere rappresentativo, in parte qua, confermi tale dissen-so all’esito della ricevuta informazione da parte dei sanitari”.

Rilevato tuttavia che:

a) il Giudice di Legittimità, neppure con tale ultima pronuncia, ha specificato la forma [atto pubbli-

co, scrittura privata autenticata, manifestazione verbale di volontà videoregistrata e pubblicata su

internet come è accaduto nel caso “Ravasin” (v. sito www.radioradicale.it), etc.] che detta dichia-

razione deve rivestire per assumere piena efficacia vincolante;

b) il nostro ordinamento non conosce né disciplina la figura del “fiduciario per la salute”, legittima-

to ad esprimere il dissenso ai trattamenti medici in luogo dell’interessato divenuto incapace;

si deve ritenere che, allo stato, l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata di cui all’art. 408 c.c.

sia l’unico strumento già previsto dal nostro ordinamento ed idoneo a garantire, in teoria, piena va-

lidità e forza vincolante alle proprie direttive anticipate.

• Nella pratica potrebbe tuttavia accadere che l’incapacità della persona – che pure, con il docu-

mento di cui all’art. 408 c.c., abbia già designato il proprio amministratore di sostegno indican-

dogli le direttive da seguire in materia sanitaria – sopraggiunga non quale prevedibile esito di

una malattia ma all’improvviso (ad es. a seguito di un ictus, di un infarto, di un sinistro etc...)

con la conseguenza certa che la persona medesima, a causa dell’impossibilità di ottenere in tem-

po reale il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, sia sottoposta proprio a quelle cu-

re per le quali aveva preventivamente e validamente negato il proprio consenso.

• È perciò ragionevole prevedere che, qualora la persona attendesse il sopraggiungere della propriaincapacità per chiedere la nomina dell’amministratore di sostegno, il suo fondamentale diritto diautodeterminazione nelle scelte sanitarie verrebbe paradossalmente violato proprio dai tempi e da-gli adempimenti processuali richiesti e concessi dalle norme che disciplinano l’amministrazione disostegno.

Per contro le norme suddette non prevedono affatto che requisito per la presentazione del ricorso

di cui all’art. 407 c.c. sia l’attualità dello stato di incapacità del beneficiando.

Infatti:

a) l’art. 404 c.c. così recita: “la persona che (...) si trova nell’impossibilità (...) di provvedere ai pro-pri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutela-re (...)”. Dal tenore testuale della norma si evince che il Legislatore ha inteso prevedere l’attua-

lità dello stato di incapacità del beneficiario come presupposto per la produzione degli effetti

della misura di protezione in esame e non già come presupposto per la sua istituzione. È altre-

sì ragionevole ritenere che, nel caso contrario, il dettato normativo sarebbe stato così formulato:

“Il giudice tutelare può nominare un amministratore di sostegno alla persona che si trova nell’im-possibilità di provvedere ai propri interessi”;

b) l’opzione interpretativa sopra proposta è confermata dall’art. 406 c.c., il quale espressamente con-

sente che il ricorso per la nomina di amministratore di sostegno sia proposto “dallo stesso sog-getto beneficiario anche se minore, interdetto, inabilitato”. Con tale previsione il Legislatore, spe-

cificando che anche le persone non capaci possono ricorrere al Giudice, si è evidentemente “raf-figurato che, nella normalità dei casi, il ricorso sarà presentato da una persona pienamente ca-pace che ben può, in quel momento, lasciare disposizioni che dovranno essere osservate dall’am-ministratore di sostegno” (così G. COSCIONI, L’amministrazione di sostegno rende superfluo il te-stamento biologico, cit.);

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c) l’opzione interpretativa in parola è già stata adottata dalla giurisprudenza di merito: il Giudice

Tutelare del Tribunale di Parma, (con decreto n. 536 del 2.4.2004, in Notariato, 2004, 397 ss.) ha

nominato ad una persona pienamente capace di intendere e di volere l’amministratore di soste-

gno dalla medesima designato nel ricorso conferendogli il potere di rappresentanza concorren-

te per il compimento di determinati atti giuridici nel periodo in cui la beneficiaria, in conseguen-

za di un intervento chirurgico futuro, si sarebbe trovata nell’impossibilità temporanea di provve-

dere ai propri interessi;

d) il giudice tutelare del Tribunale di Modena, con decreto del 5.11.08 che si allega – doc. n. 5 –

[commentato adesivamente da P. CENDON e R. ROSSI, Individuato un neo-segmento operativo chel’istituto può sostenere a pieno titolo, in Guida al Diritto n. 11, 2009 ed in P. CENDON e R. ROSSI,

Amministrazione di sostegno. Motivi ispiratori e applicazioni pratiche, Utet, 2009, 345 ss.; G. CO-

SCIONI, L’amministratore di sostegno può essere chiesto anche in via anticipata in previsione diuna futura incapacità, in corso di pubblicazione in Famiglia, Persone e Successioni; articolo re-

dazione, in Famiglia e Minori, 2008, 11, 76 ss.; B. MANZELLA, L’amministratore di sostegno comegarante, a futura memoria, delle volontà biologiche della persona, in Diritto e Giustizi@,

7.11.2008; M. LEO, Nutrizione e idratazione: trattamenti sanitari come quelli tradizionali, in Fa-miglia e Minori, 2008, 11, 81 e ss.; A. COSTANZO, L’osservatorio di merito - Amministrazione di so-stegno, in Famiglia, Persone e Successioni, 2008, 12, 1038 ss.; G. MOMMO, Testamento biologico:applicabili le disposizioni sull’amministrazione di sostegno, articolo consultabile on line sul sito

www.altalex.com; M. FUSCO, La “via giudiziaria” al testamento biologico come rimedio all’iner-zia del legislatore, in Diritto e Giustizi@, 15.11.2008; G. CASABURI, Autodeterminazione del pazien-te, terapie e trattamenti sanitari “salvavita”, in Foro italiano, 2009, I, 35; G. FERRANDO, Ammini-strazione di sostegno e rifiuto di cure, in Famiglia e diritto, 2009, 3, 277 ss.] ha nominato ad una

persona pienamente capace di intendere e di volere e perfettamente sana l’amministratore di so-

stegno dalla stessa designato nel ricorso conferendogli le seguenti prescrizioni:

a) “L’incarico è a tempo determinato: compimento degli eventuali atti sub b). b) L’amministratore di sostegno è autorizzato a compiere, in nome e per conto del beneficiario e

per l’ipotesi che il medesimo versi nelle condizioni descritte nella scrittura in data 17 settem-bre 2007 senza aver revocato, con qualsivoglia modalità e rendendone edotto esso ammini-stratore, le disposizioni con la stessa dettate, i seguenti atti:• negazione di consenso ai sanitari coinvolti a praticare alla persona trattamento terapeuti-

co alcuno e, in specifico, rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusioni di sangue, te-rapie antibiotiche, ventilazione, idratazione e alimentazione forzata e artificiali;

• richiamo ai sanitari dell’obbligo di apprestare alla persona, con le maggiori tempestività,sollecitudine ed incidenza ai fini di lenimento delle sofferenze, le cure palliative più effi-caci compreso l’utilizzo di farmaci oppiacei.

c) Verificandosi le situazioni sub b) l’amministratore sarà tenuto a darne immediata comuni-cazione all’Ufficio del Giudice Tutelare relazionando, quindi, con tempestività e per iscritto,sull’evolversi della situazione, su ogni variazione delle condizioni di salute della persona checomportino l’esigenza di eventuali provvedimenti, sull’esito dell’espletamento del demandato-gli incarico di sostegno”.

e) Il decreto 5.11.2008 di Codesto Giudice Tutelare è divenuto un “leading case” in materia, segui-

to dalla giurisprudenza modenese (almeno nove decreti omologhi a quello sopra citato emessi

dall’ufficio del Giudice Tutelare di Modena, uno dei quali pronunciato dal dott. Roberto Masoni

in data 19.11.2008).

Tutto ciò premesso, ritenuto che sussistono i presupposti di fatto e di diritto per l’accoglimento del

presente ricorso, il sig. .........., come sopra rappresentato, domiciliato e difeso

CHIEDE CHE

l’Ill.mo Sig. Giudice Tutelare, letto il presente ricorso, verificata la propria competenza ai sensi de-

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FOCUS

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gli art.li 404 e 405 c.c., assunte le necessarie informazioni, acquisita l’opportuna documentazione,

sentito il Pubblico Ministero

VOGLIA

1) nominare amministratore di sostegno del sig. ......... la moglie, sig.ra CAIA, nata a ...... il.... e re-

sidente in .........., via .......... , C.F. .......... e, in subordine, per l’ipotesi in cui ella non fosse in gra-

do di esercitare la propria funzione, la loro figlia maggiorenne, sig.ra SEMPRONIA, nata a ...........

il ed ivi residente in via .........., C.F. ..........;

2) autorizzare l’amministratore di sostegno a compiere, in nome e per conto del beneficiario e per

il tempo in cui avrà perduto la capacità di autodeterminarsi senza aver medio tempore manife-

stato a Codesto Giudice Tutelare, nei modi e per gli effetti di cui all’art. 410 c.c., una diversa o

contraria volontà, le seguenti operazioni:

a) negare il consenso ai sanitari coinvolti a sottoporre il beneficiario a rianimazione cardio-pol-

monare, dialisi, trasfusione, terapia antibiotica, ventilazione, idratazione o alimentazione for-

zata e artificiale, all’atto in cui l’insorgere di una malattia allo stato terminale, di una malattia

o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante, di una malattia che lo costringesse

a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vi-

ta di relazione, imponesse di ricorrere alle terapie salvifiche sopra specificate;

b) richiedere ai sanitari di apprestare al beneficiario, con la maggiore tempestività ed anticipa-

zioni consentite, tutte le cure palliative atte ad alleviarne le sofferenze, compreso in partico-

lare l’uso di oppiacei, anche se essi rischiassero di anticipare la fine della vita del beneficia-

rio;

3) stabilire che l’amministratore di sostegno si tenga in contatto con l’Ufficio del Giudice Tutelare e

riferisca tempestivamente al medesimo ogni mutamento delle condizioni di salute del beneficia-

rio che comporti l’esigenza di eventuali provvedimenti.

Si produce:

1) scrittura privata autenticata nella firma dal Notaio dott. .......... datata;

2) certificato di residenza e contestuale stato di famiglia del sig. TIZIO;

3) certificato di residenza e contestuale stato di famiglia della sig.ra CAIA;

4) certificato di residenza e contestuale stato di famiglia della sig.ra SEMPRONIA;

5) decreto del Giudice Tutelare del Tribunale di Modena in data 5.11.08.

Ai sensi della legge 488/99 si dichiara che il presente procedimento speciale è, ai sensi della legge

6/2004, esente da contributo unificato.

Luogo e data

Sig. TIZIO

Per presa visione, adesione, conferma ed accettazione

Sig.ra CAIA

Sig.ra SEMPRONIA

Luogo e data

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TRIBUNALE DI MODENA

Il Dott. Guido Stanzani in funzione di Giudice Tutelare ha pronunciato il seguente

DECRETO

in fatto

1. Con ricorso, depositato in data 14 ottobre 2008, Caio, rappresentato e difeso come da delega in

calce all’atto introduttivo dall’Avv. Maria Grazia Scacchetti del Foro di Modena, ha chiesto la no-

mina di amministratore di sostegno per se stesso.

1.2 L’istante, dopo aver esposto di essere persona .... (età) .... laureata in .... (titolo di studio) ....; di

svolgere la professione di .... (attività di lavoro) ....; di essere coniugato con Tizia da cui avuta

l’unica figlia, Sempronia....... (età... maggiorenne); di essere in possesso di capacità piena di in-

tendere e volere; ha precisato che il 17 settembre 2008, con scrittura privata autenticata nella fir-

ma dal Notaio dott. ........ di Modena (atto, prodotto, rep. n. .... racc. n .... registrato a Modena il

....... al n. .....) ha designato, ai sensi dell’art. 408, comma 2°, c.c., come proprio amministratore

di sostegno la moglie (per il caso di sua “impossibilità di esercitare la sua funzione”, la figlia)

con l’incarico di pretendere il rispetto delle disposizioni terapeutiche dettate con la scrittura stes-

sa per l’ipotesi di propria eventuale, futura incapacità.

2. Il ricorso è stato sottoscritto, per presa visione, adesione e conferma, da Caia e Sempronia.

3. La scrittura in data 17 settembre 2008 è, per quanto qui interessa, del seguente, testuale tenore:

“In caso di malattia allo stato terminale, malattia o lesione traumatica cerebrale, irreversibile einvalidante, malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artifi-ciali che impediscano una normale vita di relazione, chiedo e dispongo di non essere sottopostoad alcun trattamento terapeutico, con particolare riguardo a rianimazione cardiopolmonare,dialisi, trasfusione, terapia antibiotica, ventilazione, idratazione o alimentazione forzata e arti-ficiale. Chiedo inoltre formalmente che, nel caso in cui fossi affetto da una delle situazioni so-praindicate, siano intrapresi tutti i provvedimenti atti ad alleviare le mie sofferenze, compreso, inparticolare, l’uso di farmaci oppiacei, anche se essi dovessero anticipare la fine della mia vita”.

4. Dopo aver argomentato in ordine alle ragioni giuridiche a sostegno delle istanze, il ricorrente

ha chiesto che all’amministratore di sostegno vengano attribuiti, in suo nome e per conto, per

il tempo di eventuale perdita della capacità autodeterminativa e sempre che, nel frattempo, non

sia intervenuta manifestazione di volontà contraria, i poteri-doveri di autorizzazione alla nega-

zione di prestare consenso ai sanitari a sottoporlo alle terapie individuate nella scrittura privata

anzidetta nonché di richiedere ai sanitari coinvolti di porre in essere, nell’occasione, le cure pal-

liative più efficaci.

5. All’udienza del 3 novembre 2008 sono stati interrogati il ricorrente, che ha ribadito le domande

proposte con l’atto introduttivo, nonché la moglie e la figlia del medesimo, che hanno confer-

mato la propria adesione piena alle richieste del rispettivo marito e padre, dichiarandosi dispo-

nibili all’assunzione del ruolo di amministratore di sostegno.

in diritto

A) È opportuno ripercorrere, in premessa, l’analisi già compiuta dal giudicante (Decreto Santoro in

data 13 maggio 2008) in ordine ai princìpi di diritto operanti, allo stato dell’ordinamento, con

specifico riferimento al ritenuto obbligo, ed alle relative modalità operative, di rispetto della vo-

lontà della persona incapace di intendere e di volere, che versi in uno stato vegetativo irrever-

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FOCUS

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sibile, di non vedersi praticate dai sanitari, in adempimento dei loro vincoli professionali e de-

ontologici aventi ad oggetto la salvaguardia della vita, terapie teoricamente salvifiche ma soltan-

to finalizzate, di fatto, a posporre la morte biologica.

B) Vanno prese le mosse da quelle norme della Costituzione che, consacrando, e dando tutela, a

diritti primari della persona, individuano i principi che l’ordinamento vigente ritiene insuscetti-

bili di negoziabilità.

Nella piena condivisione degli approfondimenti compiuti da Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748,

entrano in gioco, per tal via, gli artt. 2, 13 e 32 e l’ormai indefettibile regola per cui è precluso

al medico di eseguire trattamenti sanitari se non acquisisca quel consenso libero e informato del

paziente che è presupposto espressivo del suo diritto primario di accettazione, rifiuto e interru-

zione della terapia.

Si tratta di un “diritto (assoluto) di non curarsi, anche se tale condotta (lo) esponga al rischiostesso della vita” (così, di recente Cass., 15 settembre 2008, n. 23676) che, in quanto tale, è gio-

coforza che debba, e possa, esprimersi anche nella terza direzione (volontà interruttiva) perché

improntato alla sovrana esigenza di rispetto dell’individuo e dell’intimo nucleo della sua perso-

nalità quale formatosi nel corso di una vita in base all’insieme delle convinzioni etiche, religio-

se, culturali e filosofiche che ne improntano le determinazioni (cfr. Cass., n. 21748 cit. del 2007).

Una volta ricordato, del resto, che tutte le norme costituzionali a presidio di diritti primari (l’art.

32 è fra queste) sono imperative e di immediata operatività senza che occorra, a questi fini, in-

tervento alcuno del legislatore ordinario (sull’obbligo di rispetto del “generale vincolo del giu-

dice alla legge” e, perciò e in primis, della Carta Costituzionale, cfr. Corte Cost. 8 ottobre 2008,

n. 334), si impone la deduzione per cui rientrano nella sfera del diritto considerato rifiuto e vo-

lontà interruttiva di ipotetiche terapie salvifiche dal momento che il principio personalistico che

lo permea a livello costituzionale esclude la possibilità di disattenderlo nel nome di un suppo-

sto dovere pubblico di cura proprio di uno Stato etico, peraltro ripudiato dai costituenti; in que-

sto senso, e solo in questo, la corretta lettura del dettato costituzionale secondo cui “La Repub-blica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, dove

l’intervento sociale si colloca in funzione della persona e della sua sfera autodeterminativa e non

viceversa (ancora, Cass., n. 21748 cit. del 2007).

Né varrebbe eccepire che gli eventuali rifiuti ovvero le espressioni di volontà interruttiva di te-

rapie che conducano, in ipotesi, alla morte configurerebbero fenomeni eutanasici.

Rigore logico impone di convenire che tutti questi casi esulano dalla fattispecie dell’eutanasia in

senso proprio di cui si trova identificazione concettuale appagante, e regolamentazione, negli

ordinamenti olandese e belga che legittimano interventi accelerativi del naturale percorso bio-

logico di morte per la persona capace di intendere e di volere che, affetta da sofferenze insop-

portabili e senza prospettive di guarigione, chiede le venga praticato un farmaco mortale, se non

in grado di autosomministrarselo, ovvero, ed è il c.d. suicidio assistito, di fornirglielo così che

possa assumerlo.

In senso esattamente opposto, tutte le situazioni qui considerate si caratterizzano per il rispetto

del normale percorso biologico sotto il profilo di non interferenza con il suo corso ovvero di

suo ripristino, se forzatamente rallentato; nulla a che vedere, dunque, con l’eutanasia la cui es-

senza consiste nell’indotta accelerazione del processo di morte.

C) Fissati questi punti, si snoda la considerazione che rientrano nel diritto di autodeterminazione

della persona al rispetto del percorso biologico naturale, diritto che allo stato dell’ordinamento

è già compiutamente ed esaurientemente tutelato dagli artt. 2, 13 e 32 Cost., non soltanto i casi

della persona capace che rifiuti o chieda di interrompere un trattamento salvifico, ma – come ha

puntualmente chiarito Cass. n. 21748 cit. del 2007 – anche quello dell’incapace che, senza aver

lasciato disposizioni scritte, si trovi in una situazione vegetativa valutata clinicamente irreversibi-

le e rispetto al quale il Giudice si formi il convincimento, sulla base di elementi probatori con-

cordanti, che la complessiva personalità dell’individuo cosciente era orientata nel senso di rite-

nere lesiva della concezione stessa della sua dignità la permanenza e la protrazione di un stato

vegetativo senza speranze di guarigione e, comunque, di miglioramenti della qualità della vita.

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Residua un’ultima ipotesi: il caso dell’incapace che, trovandosi nello stato descritto, abbia lascia-

to specifiche disposizioni scritte di volontà volte ad escludere trattamenti salvifici artificiali che

lo mantengano vegetativamente in vita.

Non si colgono critiche convincenti alla conclusione per cui, anche nella fattispecie, possa e

debba valere – semmai a maggior ragione – il dovere dell’ordinamento al rispetto di una espres-

sione autodeterminativa che null’altro chiede se non che il processo biologico si evolva secon-

do il suo iter naturale con l’ablazione di forzature e violenze di interventi tecnologici a null’al-

tro finalizzati se non alla protrazione di una sopravvivenza inerte.

D) Con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004 il legislatore italiano ha radicalmente rivisto la materia del-

le limitazioni della capacità di agire delle persone e, in luogo della già privilegiata tutela del pa-

trimonio, della famiglia e dei creditori dei soggetti affetti da infermità di mente, ha stabilito, su

un piano di ben più vasta portata sociale, che colui che, privo in tutto o in parte di autonomia

per effetto di una infermità fisica o psichica, si trovi nella impossibilità, anche parziale o tempo-

ranea, di provvedere ai propri interessi, ha diritto di essere coadiuvato da un amministratore di

sostegno nominato dal Giudice Tutelare che, sulla base delle concrete esigenze dell’ausilio, di-

sporrà, per gli atti o per le categorie di atti per i quali si ravvisi l’opportunità del sostegno, la

sostituzione ovvero la mera assistenza della persona che non sia in grado di darvi autonoma

esecuzione.

Più che di una riforma, si è trattato di una vera e propria rivoluzione istituzionale come tale ri-

conosciuta, nella sostanza, dalle Corti superiori (Corte Cost., 9 dicembre 2005, n. 440; Cass., 12

giugno 2006, n. 13584; Cass., 9 dicembre 2005, n. 440), che ha confinato in uno spazio residua-

le gli ormai desueti istituti della interdizione e dell’inabilitazione; la prima ormai soltanto ope-

rante (art. 414 c.c.) se ritenuta (e dimostrata) necessaria per assicurare adeguata protezione al-

l’infermo di mente.

In questa generalizzata logica garantistica dell’essere umano e delle sue esigenze di vita, salute,

rapporti famigliari e sociali, si iscrive, e va letta, la disposizione del secondo comma dell’art. 408,

comma 2°, c.c. come novellato dalla legge n. 6 del 2004: “L’amministratore di sostegno può es-sere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità,mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata.”

La lettera della disposizione, la sua ratio, l’enunciazione, infine, nell’ambito di una disciplina tut-

ta incentrata sulla tutela della persona e delle sue esigenze esistenziali, autorizzano e legittima-

no la constatazione che l’amministrazione di sostegno è, nell’attualità, l’istituto appropriato per

esprimere quelle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari per l’ipotesi di incapacità che

vanno usualmente sotto il nome di testamento biologico.

E la riduzione a sistema si completa, e si conclude, rammentando che la premessa maggiore del-

l’istituto processuale si identifica nel diritto sostanziale di cui agli artt. 2, 13 e 32 della Costitu-

zione mentre gli strumenti per il cui tramite dare espressione alle proprie volontà sono l’atto

pubblico o la scrittura privata autenticata nominati, appunto, dall’art. 408, comma 2°, c.c.

E) Le riflessioni svolte fanno da supporto alle domande proposte dal ricorrente, supporto inteso

nel senso della conseguente legittimità della pretesa per cui, dandosi un suo stato di incoscien-

za per malattia terminale o lesione traumatica cerebrale irreversibile, l’individuato amministrato-

re di sostegno potrà, in suo nome e avvalendosi di una già ottenuta autorizzazione del Giudice

Tutelare, negare il consenso a praticargli terapie di “rianimazione cardiopolmonare, dialisi, tra-sfusione, terapia antibiotica, ventilazione, idratazione o alimentazione forzata e artificiale”.Una autorizzazione doverosa perché, se sarebbe improprio l’assunto che l’art. 32 della Costitu-

zione dia tutela al diritto alla morte, non lo è la constatazione che la norma garantisce il diritto

che il naturale evento si attui con modalità coerenti all’autocoscienza della dignità personale

quale costruita dall’individuo nel corso della vita attraverso le sue ricerche razionali e le sue

esperienze emozionali.

Quell’autocoscienza di personale dignità di cui il ricorrente, attraverso le disposizioni della più

volte ricordata scrittura privata del 17 settembre 2008, enuncia alla collettività le proprie intime

elaborazioni reclamandone il rispetto da parte delle Istituzioni; un rispetto il cui doveroso osse-

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FOCUS

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quio trae fondamento in quel nucleo di garanzie costituzionali dei diritti fondamentali della per-

sona (artt. 2, 3 e 13 Cost.) che inibiscono alle Istituzioni stesse di opporre, in ipotesi, regole com-

portamentali di componenti della società a condotte destinate a restare circoscritte nella sfera

personale dell’autore.

F) Dispone l’istante che non gli siano anche praticate, in ipotesi, alimentazione e idratazione for-

zate.

È una richiesta fondata che, sempre allo stato dell’ordinamento, non soffre di limitazione alcu-

na sul terreno della disciplina del contratto sociale vigente e delle disposizioni normative per il

cui tramite si esprime.

In linea piena con le argomentazioni sul tema di Cass., n. 21748 cit. del 2007, va disconosciuta,

infatti, agli specifici interventi la natura di cure meramente ordinarie.

Ne evidenziano, all’opposto, la caratterizzazione di trattamenti sanitari in senso proprio le con-

statazioni: (a) che le stesse sottendono elaborati studi scientifici, tant’è che non a caso si tratta

di mezzi messi a punto dalla tecnologia soltanto da alcuni lustri; (b) che impongono l’interven-

to dei medici che, all’origine, sono i soli abilitati ad applicarli; (c) che hanno ad oggetto la som-

ministrazione di composti allo stato liquido confezionati in laboratorio; (d) che si connotano, in-

fine, per il duplice effetto della forzatura (d1) delle regole più elementari dell’autodeterminazio-

ne, se preventivamente espressa una contraria volontà della persona, e (d2) delle leggi della na-

tura nel loro effetto di prolungare, sotto il primo profilo, la sopravvivenza del corpo inerte con-

tro le determinazioni dell’interessato e di impedire, sotto il secondo, la fisiologica evoluzione di

elementari percorsi biologici.

G) Passando, qui giunti, al terreno della vicenda, ritiene il giudicante che non sussistano ostacoli

per l’accoglimento del ricorso e per la nomina, nella fattispecie e come amministratore di soste-

gno del ricorrente, della moglie del medesimo conferendo, sin d’ora e in via subordinata, l’in-

carico alla figlia qualora la prima si trovasse nell’“impossibilità” di ricoprire l’incarico; ciò che si

giustifica essendo al presente non definibile il momento di concreta operatività del mandato.

La non attualità di questo momento non sembra possa essere elevato, del resto, a circostanza pre-

clusiva della misura protettiva se si riflette sulle peculiarità del diritto coinvolto, sui potenziali pre-

giudizi dello stesso nonché sul regime giuridico dell’istituto dell’amministrazione di sostegno.

Quanto al primo aspetto, vale sottolineare l’incidenza probabilistica di eventi, non preannuncia-

ti né prevedibili ma con conseguenze lesive immediate e tali da porre la persona in uno stato

vegetativo irreversibile: dall’ictus all’infarto del miocardio, dall’infortunio sul lavoro al sinistro

stradale.

In tutte queste situazioni la mera esistenza di una scrittura confezionata ai sensi del secondo

comma dell’art. 408 c.c. potrebbe essere inidonea, in concreto, a fornire effettiva tutela al dirit-

to, primario e assoluto, della persona che rischierebbe di trovarsi sottoposta, per impossibilità

del mandatario di ottenere in tempo reale il decreto di nomina dell’amministratore, alle terapie

non volute ma doverosamente praticate dai sanitari, in esecuzione dei propri obblighi profes-

sionali e deontologici, in presenza di una situazione di pericolo per la vita.

Per non dire, sul piano ermeneutico, che assumere, nelle fattispecie, l’essenzialità del requisito

dell’attualità, produrrebbe l’illogico cortocircuito di un’interpretazione abrogativa, nella più gran

parte delle situazioni reali, proprio di quella lettura appropriata della norma che trae sostegno

da tutte le considerazioni sin qui esposte.

E non varrebbe opporre che il lasso temporale, che non può escludersi anche notevole, fra il

momento delle disposizioni e quello della loro operatività, ne devitalizzerebbe il significato a

fronte di eventuali, intervenute evoluzioni della scienza e della tecnica.

L’obbiezione non avrebbe pregio perchè ciò che rileverebbe, allora, negli stessi termini in cui

rileva oggi, sarebbe la presenza del presupposto oggettivo (malattia irreversibile allo stato ter-

minale) enunciato dal disponente e la cui verificata esistenza renderebbe irrilevante qualsiasi

evoluzione di scienza e tecnica intervenuta nel frattempo nell’affinamento di terapie volte a pro-

lungare la sopravvivenza del corpo.

Quanto al secondo aspetto e, cioè, al regime giuridico introdotto dalla legge n. 6 del 2004, van-

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no condivise le riflessioni della difesa del ricorrente nel richiamo ai disposti dei novellati artico-

li 404 e 406 c.c.

È la lettera stessa della prima norma (“La persona che ... si trova nell’impossibilità ... di provve-dere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giu-dice tutelare...”) a suggerire all’interprete che il legislatore ha individuato l’attualità dello stato di

incapacità del beneficiario come presupposto per la produzione degli effetti dello strumento

protettivo ma non anche come requisito per la sua istituzione.

Deduzione che appare coerente, del resto, a quella natura volontaria della giurisdizione in cui

si colloca la nuova figura ed al relativo oggetto di gestione di interessi della persona coinvolta

che porta in primo piano l’esigenza della più appagante tutela degli stessi.

L’art. 406 c.c. nell’attribuire, per parte sua, legittimazione attiva “allo stesso beneficiario, anche seminore, interdetto o inabilitato”, fa intendere che, nella normalità dei casi (la congiunzione “an-che” è rivelatrice), il ricorso può essere presentato da un soggetto con piena capacità di agire

sicché, nel coordinamento col disposto dell’art. 408 c.c., costui può legittimamente lasciare di-

sposizioni relative ai trattamenti sanitari, da praticare sul suo corpo, per l’ipotesi di incapacità.

H) L’accoglimento del ricorso comporta attribuzione dell’incarico a Caia, moglie del ricorrente, da

reputarsi più che idonea per ricoprirlo; la peculiarità dei compiti demandati che, sotto il profilo

operativo sono incerti sia per l’an che per il quando, rende ragionevole nominare sin da ora,

con le stesse attribuzioni e sempre in linea con la volontà del beneficiario, la figlia Sempronia

che eserciterà le funzioni nel caso in cui, dandosi una situazione paterna quale descritta nella

scrittura privata 17 settembre 2008, Caia non fosse in grado di ottemperare ai relativi compiti.

L’oggetto dell’incarico consiste nell’attribuzione all’amministratore dei poteri-doveri di porre in

essere, in nome e per conto del beneficiario, gli atti specificati in dispositivo la cui natura com-

porta che l’incarico stesso debba essere conferito per il tempo, determinato, necessario alla re-

lativa realizzazione.

I poteri-doveri demandati in via sostitutiva andranno esercitati alla ferma condizione che il be-

neficiario non manifesti, qualsivoglia ne siano le modalità espressive, una volontà opposta a

quella formalizzata nella scrittura 17 settembre 2008 quando ancora si trovi nel pieno possesso

delle sue capacità cognitive.

E importa sottolineare l’indifferenza delle modalità formali della eventuale manifestazione futura

della volontà perché primarietà e assolutezza del diritto in gioco inducono ad escludere il richia-

mo di limitazioni per analogia con altri istituti, tanto meno per via di interpretazioni estensive.

Nella dinamica giuridica della fattispecie ed in applicazione del disposto dall’art. 410, comma 1°,

c.c. (“Nello svolgimento dei sui compiti l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisognie delle aspirazioni del beneficiario”), altri non potrà ragionevolmente essere se non l’ammini-

stratore in carica, per il ricoperto ruolo di depositario di un mandato di estrema pregnanza fi-

duciaria, il solo soggetto legittimato a portare alla cognizione del Giudice Tutelare le mutate vo-

lizioni dell’interessato fornendo puntuali elementi di riscontro della intervenuta revoca di quan-

to a suo tempo disposto.

Ove revoca non vi sia, e dandosi le eventualità prefigurate nelle ricordate dichiarazioni scritte,

dovranno essere rispettati gli intenti espressi risultando giuridicamente inconsistente l’obiezione

di un possibile e non manifestato ripensamento all’atto del passaggio nello stato di incoscienza

atteso che costituisce principio consolidatosi ab immemorabile nell’ordinamento quello per cui

una volontà negoziale, in quanto tale idonea a produrre effetti giuridici, resta ferma fino a sua

revoca.

I) Con le proprie disposizioni anticipate il ricorrente, oltre a disporre la donazione dei propri or-

gani per trapianti, la cremazione della propria salma con dispersione delle ceneri in natura e

l’esclusione di “funerale o altra cerimonia funebre”, prescrive, per quanto qui interessa, che nel-

le eventualità di sue malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili e invalidanti ovvero di

malattie che lo costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali impediti-

vi di una normale vita di relazione, la non adozione delle non volute tecnologie artificiali di so-

pravvivenza sia accompagnata da quella, positiva, di porre in essere “tutti i provvedimenti atti

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FOCUS

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ad alleviare le mie sofferenze, compreso in particolare l’uso di oppiacei, anche se essi dovesseroanticipare la fine della mia vita”.

Anche questa istanza è accoglibile, nella sua prima proposizione, perché in null’altro si traduce

se non nel richiamare ai sanitari, in ipotesi coinvolti, l’obbligo deontologico gravante su di loro

di apprestare alla persona in sofferenza le cure palliative più efficaci con la maggior tempesti-

vità ed incidenza consentite dallo stato della tecnica e dalla scienza.

Non lo è nella seconda proposizione, perché il suo accoglimento demanderebbe implicitamen-

te alla discrezionalità degli operatori l’illecito potere di forzare la naturale evoluzione del per-

corso biologico.

Il Pubblico Ministero, notiziato, non è intervenuto all’udienza.

P.Q.M.

Nomina la Sig.ra Caia, nata a ..... il .....e residente in Modena, ......... e, sin da ora e per il caso che

la medesima non sia in grado, per impossibilità fisica o psichica, di eseguire il mandato, la Signori-

na Sempronia, nata a ..... il ..... e residente in Modena, ............

amministratore di sostegno del Signor Tizio, nato a ..... il ..... e residente in Modena, ............

con le seguenti prescrizioni:

a) L’incarico è a tempo determinato: compimento degli eventuali atti sub b).

b) L’amministratore di sostegno è autorizzato a compiere, in nome e per conto del beneficiario e

per l’ipotesi che il medesimo versi nelle condizioni descritte nella scrittura in data 17 settembre

2007 senza aver revocato, con qualsivoglia modalità e rendendone edotto esso amministratore,

le disposizioni con la stessa dettate, i seguenti atti:

• negazione di consenso ai sanitari coinvolti a praticare alla persona trattamento terapeutico

alcuno e, in specifico, rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusioni di sangue, terapie

antibiotiche, ventilazione, idratazione e alimentazione forzata e artificiali;

• richiamo ai sanitari dell’obbligo di apprestare alla persona, con le maggiori tempestività, sol-

lecitudine ed incidenza ai fini di lenimento delle sofferenze, le cure palliative più efficaci

compreso l’utilizzo di farmaci oppiacei.

c) Verificandosi le situazioni sub b) l’amministratore sarà tenuto a darne immediata comunicazio-

ne all’ufficio del Giudice Tutelare relazionando, quindi, con tempestività e per iscritto, sull’evol-

versi della situazione, su ogni variazione delle condizioni di salute della persona che comporti-

no l’esigenza di eventuali provvedimenti, sull’esito dell’espletamento del demandatogli incarico

di sostegno.

Decreto esecutivo per legge.

Modena, 5 novembre 2008

IL GIUDICE TUTELARE

Dr. Guido Stanzani

4. Comparire – insieme alla persona indicata quale amministratore di sostegno – all’udien-

za che il giudice tutelare fisserà.

5. Chiedere due o più copie autentiche del decreto che il giudice tutelare emetterà, conser-

varne una per sé, consegnarne una all’amministratore di sostegno, ed eventualmente

anche ad altre persone di sua fiducia, affinché il decreto possa essere esibito, all’occor-

renza, ai sanitari coinvolti.

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Il Tribunale di Modena torna ad occuparsi dell’amministratore di sostegno e, più in particolare, si

concentra sulla figura del beneficiario, ponendo un quesito di non facile soluzione: può una perso-

na pienamente capace di intendere e di volere nominare un amministratore di sostegno in previsio-

ne di una futura incapacità?

Il tema si riallaccia ad altro già trattato, e cioè quello in cui, facendo applicazione degli artt. 2, 13 e

32 della Costituzione e dell’art. 408 c.c.1, lo stesso Tribunale aveva ritenuto possibile la nomina di

un amministratore di sostegno ad una signora affetta da sclerosi laterale amiotropica con grave in-

sufficienza respiratoria in ventilazione meccanica non invasiva, assegnando all’amministratore il pre-

ciso incarico di negare il consenso ai sanitari coinvolti a praticare ventilazione forzata e tracheoto-

mia all’atto in cui, senza che fosse stata manifestata contraria volontà della persona, l’evolversi del-

la malattia imponesse la specifica terapia salvifica2.

Tra i due decreti è intervenuta la sentenza della Cassazione del 15 settembre 2008 n. 23676, richia-

mata dal giudice di Modena, nella quale è stato riaffermato “il generale principio (di indubbia rile-vanza costituzionale, che emerge, tra l’altro, tanto dal codice di deontologia medica quanto dal do-cumento 20.6.1992 del comitato nazionale per la bioetica) in forza del quale va riconosciuto al pa-ziente un vero e proprio diritto di non curarsi, anche se tale condotta lo esponga al rischio stesso del-la vita”3.

Del resto, scopo del ricorrente pare proprio quello di evitare, in caso di malattia allo stato termina-

le o che lo costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una

normale vita di relazione, di essere sottoposto a trattamenti terapeutici quali potrebbero essere ria-

nimazione cardio-polmonare, dialisi, trasfusione, terapia antibiotica, ventilazione, idratazione o ali-

mentazione forzata e artificiale, oppure di essere sottoposto a tutti i provvedimenti atti ad alleviare

sofferenze, compreso, in particolare, l’uso di farmaci oppiacei, anche se essi dovessero anticipare la

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FOCUS

1 Art. 408 c.c.: “L’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato in previsione della propria eventuale fu-tura incapacità mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata”.

2 Vedi il decreto per esteso in www.questionididirittodifamiglia.it commentato adesivamente, tra gli altri, da Ferrando, Il diritto dirifiutare le cure e le direttive anticipate, in Bioetica Rivista Interdisciplinare, 2, 2008, 329 ss.; Calò, Caso Englaro: La decisione del-la Corte di Appello di Milano, in Il Corriere Giuridico, 9, 2008, 1292 ss.; Leo, Una decisione permeata dal rifiuto di cure impostecontro la volontà, in Famiglia e Minori, 7, 2008, 71 ss. che ha dichiarato che l’amministrazione di sostegno è “l’istituto processua-le di cui avvalersi” per garantire alla persona, anche dopo la perdita di coscienza, il rispetto del fondamentale diritto di autodeter-

minazione terapeutica sancito dagli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione (così come interpretati dalla pluricommentata sentenza della

Corte di Cassazione, n. 21748 del 4-16 ottobre 2007, di cui alla sucecsiva nota 4, e riconfermati dalla medesima Corte Suprema nel-

la sentenza n. 37077 del 1 ottobre 2008, inedita).

3 Cassazione civile, sez. III, 15 settembre 2008, n. 23676: “Deve essere riconosciuto al paziente un vero e proprio diritto di non cu-rarsi, anche se tale condotta lo esponga al rischio di morte; tuttavia, affinché i medici si astengano dal somministrare al pazienteincosciente le cure dalle quali quest’ultimo dissente è necessario che il ‘non consenso’ sia contenuto in una articolata, puntuale,espressa dichiarazione dalla quale inequivocabilmente emerga la volontà di non sottoporsi a determinate pratiche mediche (nellaspecie, la Corte ha rigettato la richiesta di risarcimento per danni morali avanzata da un testimone di Geova che, trasportato in sta-to di incoscienza ed in pericolo di vita presso una struttura ospedaliera, era stato sottoposto ad una serie di trasfusioni, nonostanteportasse con sé un cartellino recante la dicitura ‘niente sangue’)” in Guida al Diritto, 39, 4.10.2008, 52 ss.

L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO PUÒ ESSERE CHIESTO ANCHE IN VIA ANTICIPATAIN PREVISIONE DI UNA FUTURA INCAPACITÀ

Giuseppe CoscioniMagistrato, Tribunale di Parma

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fine della sua vita; il ricorrente quindi si propone di “facilitare”, in un certo senso, il compito del fu-

turo amministratore di sostegno, enunciando con estrema chiarezza, proprio in quanto pienamente

capace, la decisione di non essere sottoposto a trattamenti salvifici lesivi della dignità della persona.

Il giudice modenese prende in considerazione diverse ipotesi: quello della persona capace che ri-

fiuti o chieda di interrompere un trattamento salvifico; quello dell’incapace in situazione vegetativa

valutata clinicamente irreversibile che non abbia lasciato alcuna disposizione in merito e per la qua-

le il giudice si formi il convincimento che avrebbe ritenuto lesiva della sua dignità la protrazione di

uno stato vegetativo senza possibilità di guarigione4; e, infine, quello dell’incapace che aveva inve-

ce lasciato disposizioni scritte nelle quali esprimeva la sua contrarietà a terapie salvifiche. Per que-

st’ultimo il giudice individua la figura dell’amministratore di sostegno come quella prevista dall’or-

dinamento per esprimere le suddette disposizioni: come già precisato nel decreto del maggio 2008,

sarebbe infatti superfluo un intervento del legislatore volto a introdurre e disciplinare il cosiddetto

testamento biologico, in quanto già esistono il diritto sostanziale di autodeterminazione delle perso-

na al rispetto del percorso biologico naturale (artt. 2, 13 e 32 Cost.), lo strumento a mezzo del qua-

le dare espressione alle proprie volontà (l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata ex art. 408

comma 2° c.c. cit.) e, infine, l’istituto processuale di cui avvalersi (l’amministrazione di sostegno ai

sensi della legge n. 6 del 2004).

Tornando al quesito di cui alle premesse, una risposta negativa dovrebbe prendere le mosse dal da-

to letterale dell’art. 404 c.c., secondo il quale l’amministratore di sostegno può essere nominato dal-

la persona che “si trova nella impossiblità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri in-teressi”; il legislatore avrebbe quindi inteso limitare l’istituto prevedendo che la situazione di inca-

pacità, al momento del ricorso, debba già sussistere; come farebbe, del resto, il giudice tutelare ad

accertare uno dei presupposti del ricorso, e cioè l’incapacità della persona, quando questa ancora

non sussiste?

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

4 In tal senso si è espressa la Suprema Corte con sentenza del 16 ottobre 2007 n. 21748 (nota come Sentenza Englaro) che ha af-

fermato: “Ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre quindici) in stato vegetativo permanente, con conseguente ra-dicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che prov-vede alla sua nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, ilgiudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario (fatta salva l’applicazione delle misure suggerite dalla scienza edalla pratica medica nell’interesse del paziente), unicamente in presenza dei seguenti presupposti: (a) quando la condizione di sta-to vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo glistandard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure fle-bile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e (b) sempre che tale istanza sia realmente espres-siva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichia-razioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, primadi cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona. Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, il giudice devenegare l’autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado disalute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, dellaqualità della vita stessa” (Cass. civ., Sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748 in: Giust. civ. Mass., 2007, 10; Giust. civ., 2007, 11, 2366; Gui-da al dir., 2007, 43, 29; Foro it., 2007, 11, 3025 con osservazione di Casaburi; Fam. dir., 12, 2007, 1162 ss.; Corriere Giur., 2007, 12,

1676, nota di Calò; Famiglia e Diritto, 2007, 12, 1162; Nuova giur. civ. comm., I, 2008, 83 ss.; Dir. fam. pers., 2008, I, 77 ss.; Fam.Pers. Succ., 2008, 6, 508 con nota di Gorgoni; Famiglia e Diritto, 2008, 2, 129, con nota di Campione; Danno e Resp., 2008, 4, 421,

con nota di Bonaccorsi e Guerra); principio confermato dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, emessa in relazione al medesimo

caso Englaro, con sentenza n. 27145 del 14 novembre 2008, che afferma: “È inammissibile, per difetto di legittimazione, l’impugna-zione presentata dal p.m. presso la Corte d’Appello avverso il decreto con il quale la stessa Corte d’Appello – applicando il principiodi diritto enunciato dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 21748 del 2007) – accoglieva l’istanza congiunta del tutore (padre) edel curatore speciale di persona in stato vegetativo permanente dal 1992 e autorizzava l’interruzione del trattamento di sostegno vi-tale artificiale realizzato mediante alimentazione di sondino nasogastrico. All’esito di una compiuta ricostruzione della vicendagiudiziaria, le S.U. – facendo applicazione di principi consolidati nella giurisprudenza e ripercorrendo le funzioni attribuite al p.m.nel processo civile – hanno, in particolare, chiarito che: a) al fine di estendere il limitato potere di impugnazione del p.m. non var-rebbe l’interpretazione estensiva della nozione di questioni attinenti allo ‘stato e capacità delle persone’, atteso che anche in questeipotesi alla previsione dell’intervento necessario del p.m. non si accompagna il potere di impugnazione, identificandosi le relativefunzioni in quelle che svolge il Procuratore generale presso la Cassazione; b) non è utile il richiamo alla impugnazione nell’‘inte-resse della legge’ di cui al novellato art. 363 c.p.c.; c) la limitazione del potere di impugnazione del p.m. presso il giudice del meri-to si sottrae a dubbi di legittimità costituzionale, stante l’evidente ragionevolezza del non identico trattamento di fattispecie in cuiviene in rilievo un diritto personalissimo di spessore costituzionale (autodeterminazione terapeutica), rispetto al quale è coerente cheil p.m. non possa contrapporsi fino al punto della impugnazione di decisione di accoglimento della domanda di tutela del titolare,e fattispecie connotate da prevalente interesse pubblico, come quelle cui fa rinvio l’art. 69 c.p.c.”, massima pubblicata sul sito della

Corte di Cassazione.

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Il Tribunale di Modena sceglie invece la risposta affermativa, accogliendo la tesi del ricorrente e met-

tendo quindi in evidenza che lo stato di incapacità del beneficiario è presupposto per la produzio-

ne degli effetti della amministrazione di sostegno, ma non anche requisito necessario per la sua isti-

tuzione; in altri termini, ben si potrà avere un amministratore di sostegno nominato che eserciterà

le sue funzioni solo se (e quando) si verificherà l’incapacità del beneficiario.

Come evidenziato nel decreto, inoltre, l’art. 406 c.c. prevede che il ricorso possa essere proposto

dallo stesso soggetto beneficiario “anche se minore, interdetto o inabiltato”; evidentemente il legi-

slatore ha sentito la necessità di inserire tale precisazione in quanto si è rappresentato che, nella

normalità dei casi, il ricorso venga proposto da persona non interdetta, minore o inabilitata, e quin-

di pienamente capace.

Anche l’art. 408 c.c. viene in soccorso alla tesi affermativa, posto che lasciando al beneficiario la pos-

sibilità di designare l’amministratore “in previsione della propria eventuale futura incapacità”, si in-

tende valorizzare una scelta fatta quando lo stesso è sicuramente capace. Non dimentichiamo poi

che lo stesso art. 404 c.c. prevede che la persona che si trova nell’impossibilità di provvedere ai pro-

pri interessi può (e non deve) essere assistita da un amministratore di sostegno, ponendo quindi l’ac-

cento sulla volontà del beneficiario. E non vi è dubbio che la piena manifestazione di questa volon-

tà non possa esservi che al momento in cui la persona sia pienamente capace.

Altra norma da valorizzare è l’art. 410, 1° comma c.c. secondo cui il giudice tutelare “deve tener con-to dei bisogni e delle richieste del beneficiario” e in questo concetto potrebbero rientrare le disposi-

zioni di volontà della persona relative ai futuri trattamenti.

Il giudice di Modena richiama, invece, la stessa norma per affermare che eventuali revoche della vo-

lontà già manifestata dovranno essere portate alla cognizione del giudice tutelare dall’amministrato-

re di sostegno; probabilmente tale richiamo si collega alla considerazione che, in caso di esito po-

sitivo dei disegni di legge nn. 10 e 51/20085, le dichiarazioni anticipate sui trattamenti sanitari sareb-

bero, in caso di urgenza, revocabili liberamente con dichiarazione espressa al medico curante in pre-

senza di due testimoni; il giudice, riaffermando il principio che anche la revoca, così come la ma-

nifestazione di volontà espressa dal beneficiario, può restare nell’ambito della già disposta ammini-

strazione di sostegno, parrebbe sostenere ancora una volta l’inutilità dell’introduzione legislativa del-

la figura del testamento biologico.

Oltre alle considerazioni espresse dal giudice modenese, si può ricordare che la prima applicazio-

ne della legge n. 6 del 9 gennaio 20046 riguardava proprio un caso in cui era stata una persona pie-

namente capace a chiedere la nomina di un amministratore di sostegno in previsione di una sua fu-

tura incapacità fisica, in quanto doveva sottoporsi ad un intervento chirurgico che avrebbe compor-

tato l’impossibilità di muoversi per diversi mesi; la figura dell’amministratore di sostegno risponde-

va quindi perfettamente alle esigenze del beneficiario che veniva affiancato da un amministratore

nel periodo in cui era impossibilitato a provvedere ai propri interessi.

Se questa era stata la ratio del primo provvedimento sull’amministratore di sostegno, non si vede

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FOCUS

5 Disegno di legge in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari A.S. n. 10 di

Marino ed altri “Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari alfine di evitare l’accanimento terapeutico, nonché in matera di cure palliative e di terapie del dolore”, art. 12: “(Revoca) 1. La dichia-razione anticipata di trattamento è rinnovabile, modificabile o revocabile in qualsiasi momento. 2. In caso di urgenza, la revoca èespressa liberamente in presenza di due testimoni al medico curante che ne rilascia certificazione a margine dell’atto revocato”; Di-

segno di legge in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari A.S. n. 51 di Tomas-

sini “Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario”, art. 15: “(Revoca) 1. Ladichiarazione anticipata di trattamento e il mandato in previsione dell’incapacità sono rinnovabili, modificabili o revocabili inqualsiasi momento con le medesime forme previste per la loro formazione. 2. In caso di urgenza, la revoca è espressa liberamentein presenza di due testimoni al medico curante che ne rilascia certificazione a margine dell’atto revocato e nel registro di cui al-l’art. 16”.

6 Trib. Parma, decreto n. 536 del 2 aprile 2004, in Notariato, 2004, 397 ss.: “Può essere nominato un amministrazione di sostegnoanche al soggetto che preveda di trovarsi nel futuro, a seguito di un programmato intervento chirurgico, nella impossibilità di prov-vedere ai propri interessi a causa di una propria menomazione fisica e che abbia provveduto alla designazione dell’amministrato-re nelle forme previste dall’art. 408 c.c. In tali casi il beneficiario, considerata la sua perdurante capacità d’intendere e volere, con-serverà la facoltà di compiere gli atti delegati all’amministratore di sostegno. Si dovrà tuttavia provvedere a pubblicizzare l’istituzio-ne dell’amministrazione di sostegno nelle forme di legge” (e in Giur. it. 2005, 1839 con nota Bulgarelli).

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perché la nomina non possa essere prevista anche nel caso di impossibilità psichica di provvedere

ai propri interessi; unica differenza è che in questo secondo caso vi è una incertezza sul se e sul

quando l’incapacità si manifesti, e quindi si ha una nomina “sospensivamente condizionata” a pre-

supposti che potrebbero anche non avverarsi mai, rendendo quindi superflua la nomina dell’ammi-

nistratore; in questo caso, però, non si avrebbe alcun effetto pratico, posto che ci si limiterebbe a

revocare l’amministrazione alla morte del beneficiario.

Più in generale si può mettere in evidenza che se scopo dell’amministrazione di sostegno è di por-

re come figura centrale quella della persona con i suoi bisogni e le sue necessità, evitando misure

estremamente mortificanti quali l’interdizione (che aveva come scopo invece quello di “togliere di

mezzo” la persona incapace che poteva intralciare la certezza dei traffici giuridici), negare alla per-

sona la possibilità di poter esprimere le sue scelte in via anticipata7.

Del resto, la convenzione di Oviedo prevede espressamente, all’art. 9 che “I desideri precedentemen-te espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’inter-vento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”8; la possibilità

per la persona di compiere scelte relative alla propria persona in via (stavolta necessariamente) an-

ticipata non è poi sconosciuta nell’ordinamento italiano, se è vero che è già possibile consentire al

trapianto dei propri organi apponendo una sottoscrizione su un talloncino fornito dal ministero del-

la Salute.

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7 Sul punto Cass. 12 giugno 2006 n. 13584 “L’amministrazione di sostegno, introdotta nell’ordinamento dalla l. 9 gennaio 2004n. 6, art. 3, ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi,uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specificafunzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali la interdizione e la inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dal-la stessa legge attraverso la novellazione degli art. 414 e 417 c.c. Rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’ammini-strazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di atten-dere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alleesigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartieneall’apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essen-zialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la durata dellamalattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie (Conferma

App. Salerno 8 marzo 2005)” in Giust. civ. Mass., 2006, 6; e anche in Guida al diritto, 2006, 27, con nota Fiorini; in Dir. famiglia,2006, 4, 1671; in Giust. civ., 2006, 12, 2722; in Dir. famiglia, 2007, 1, 126 con nota di Venchiarutti; in Fam. Pers. Succ., 2007, 5, 410;

che, nel solco di quanto già precisato da Corte Costituzionale con sentenza n. 440 del 30 novembre-9 dicembre 2005 (in Guida alDiritto, 2006, 3, 28), conferma che nella scelta della amministrazione di sostegno anziché l’interdizione non si deve fare riferimen-

to al diverso grado di incapacità, ma alla capacità dell’istituto di adeguarsi alle esigenze del soggetto.

8 Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina (4 aprile 1997), resa esecutiva in Italia con la legge 28 marzo 2001,

n. 145, ma non ancora ratificata dallo Stato Italiano, in materia di interventi terapeutici su persone incapaci di esprimere il consen-

so rispetto ad interventi terapeutici a causa di handicap o disturbi mentali.

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1. È necessaria una legge sulla regolamentazione del fine vita ovvero non sono sufficienti

le norme contenute nella Costituzione agli artt. 2, 13, 32?

(L. Eusebi)

L’assetto giuridico in materia può oggi fondarsi, senza rotture col passato, su alcuni punti di equili-

brio: a) il malato non più guaribile ha sempre diritto di non essere abbandonato e, se necessario,

di beneficiare della medicina palliativa; b) non sono dovuti atti terapeutici sproporzionati, i cui be-

nefici prevedibili siano cioè inferiori alle sofferenze o alle menomazioni che ne possano derivare:

giudizio che non esclude il rilievo di fattori del vissuto personale, ma nell’ambito di criteri genera-

lizzabili; c) nei confronti di una persona consapevole non possono attuarsi interventi medici in for-

ma coercitiva: tuttavia il medico mantiene il dovere di tutela della sua salute, promuovendo attra-

verso il dialogo e il sostegno psicologico le scelte (proporzionate) necessarie alla salvaguardia del-

la medesima; d) ferma la possibilità di interrompere terapie sproporzionate, non sussiste il diritto di

stabilire una relazione medica orientata al prodursi della morte, cioè il cosiddetto diritto di morire

(il fine dell’attività medica è costituito esclusivamente, secondo il codice deontologico, dalla tutela

della salute e della vita, e dal lenimento della sofferenza). L’idea secondo cui dal complesso dei prin-

cìpi costituzionali sarebbero desumibili in via diretta normative concernenti materie specifiche sen-

za necessità dell’intervento legislativo si mostra assai problematica con riguardo alla divisione dei

poteri, prestandosi comunque a visioni unilaterali o a forzature (come accade con la deducibilità,

talora ipotizzata, del summenzionato “diritto” di morire dall’art. 32 Cost.).

(L. Picotti)

Occorre premettere che, in una società pluralista e multiculturale quale quella contemporanea, la

primazia del diritto e delle fonti giuridiche va riconosciuta quale necessaria base democratica della

convivenza sociale e del mutuo rispetto fra le persone, secondo la gerarchia stabilita dall’ordinamen-

to, a fronte delle convinzioni “di parte” – di natura culturale, religiosa, etica, ideologica o persona-

le – che sono certamente da rispettare, ma che non possono mai essere imposte alla generalità dei

consociati. Per questo gli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione rappresentano, nel nostro sistema giuri-

dico, un baluardo sovraordinato di garanzia ed “inviolabilità” dei diritti e delle libertà fondamentali

degli individui, quali riconosciuti nelle convenzioni internazionali (art. 2), in particolare ponendo al

primo posto la “libertà personale” che è “inviolabile” (art. 13) e, nello specifico ambito della tutela

della salute, riconosciuta parimenti quale “fondamentale diritto dell’individuo” (art. 32, comma 1),

garantendo che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non perdisposizione di legge”: legge che non è affidata all’arbitrio di una maggioranza, perché “non può in

nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art. 32, comma 2), e dunque

della sua sfera di “libertà inviolabile”.

Da queste premesse discendono i limiti del pur necessario intervento legislativo, richiesto da due

ordini di ragioni: da un lato, per superare la disciplina del codice penale Rocco del 1930, tuttora vi-

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FOCUS

OPINIONI A CONFRONTO SULLE REGOLE DEL FINE VITA

Intervista al prof. Luciano Eusebi, Ordinario di Diritto Penale all’Università Cattolica Sacro Cuore (sede di Piacenza), e al prof. Lorenzo Picotti, Ordinario di Diritto Penale all’Università di Verona

Gabriella de StrobelAvvocato, Foro di Verona

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gente con la sua concezione autoritaria e statualista propria del periodo fascista, adeguando l’inter-

vento penale ai nuovi valori costituzionali e democratici, che pongono al centro la persona umana,

i suoi diritti e la sua libertà di autodeterminazione; dall’altro, per regolare quelle nuove situazioni di

“fine vita” prodotte dallo stesso progresso tecnologico e della medicina degli anni recenti, che con-

sente di prolungare – mediante farmaci, terapie, macchine e sostegni vitali – la sopravvivenza di per-

sone gravemente malate o traumatizzate, ben oltre il limite temporale che avrebbero potuto altri-

menti raggiungere.

2. Come si concilia l’attuale legislazione penale di cui agli artt. 50, 575, 579 e 580 con il di-

segno di legge approvato al Senato?

(L. Eusebi)

Appare utile precisare per la prima volta che la non attivazione o l’interruzione di terapie spropor-

zionate, risultando lecita, non è significativa ai fini della rilevanza penale del mancato impedimen-

to della morte da parte del medico. Nello stesso tempo, appare importante che sia tenuta ferma l’in-

disponibilità della vita nelle relazioni intersoggettive, e dunque anche nell’ambito del rapporto sa-

nitario. Ammettere condotte incidenti sull’esistenza in vita significherebbe incidere sulla condizione

cui inerisce la titolarità dei diritti fondamentali e, con essa, sul rispetto incondizionato tra gli esseri

umani nella loro soggettività, vale a dire sul principio di uguaglianza. In questo senso, il principio

di indisponibilità della vita non dipende in alcun modo da posizioni politico-culturali conservatrici,

del resto molto lontane dalle sensibilità di chi scrive.

(L. Picotti)

Il disegno di legge approvato al Senato rafforza ed esalta, anziché circoscrivere o consentire di li-

mitare, la rigidità assoluta ed autoritaria dell’attuale sistema penale in materia di eutanasia, espresso

dagli artt. 575 (che punisce l’omicidio volontario), 579 (che punisce, seppur meno gravemente,

l’omicidio anche di chi vi consenta) e 580 (che punisce non solo ogni forma di determinazione od

istigazione al suicidio, ma anche ogni attività od omissione che, comunque, ne “agevoli” l’esecuzio-

ne), rendendo inapplicabile la causa di giustificazione dell’art. 50 c.p., che altrimenti stabilisce che

non sono punibili i reati commessi con il “consenso dell’avente diritto”.

Rovesciando il procedimento ermeneutico secondo cui oggi l’“indisponibilità” del diritto alla vita si

ricava dalla sola circostanza che il legislatore del 1930 ha scelto di punire l’omicidio del consenzien-

te (art. 579) e l’istigazione ed agevolazione al suicidio (art. 580), l’art. 1, comma 1, lettera a) disegno

di legge, ricava dall’affermazione assiologia e di principio che la “vita”, oltre che “inviolabile” da par-

te di terzi, sarebbe anche “indisponibile” da parte dello stesso soggetto titolare, con la conseguen-

za assoluta del divieto di “ogni forma” di eutanasia.

Di conseguenza l’art. 1, comma 1, lettera c) richiama espressamente le citate fattispecie incriminatri-

ci del codice penale, proprio al fine di “vietare” (...) “ogni forma di eutanasia” e “di assistenza o diaiuto al suicidio”: dunque anche la cosiddetta eutanasia passiva (in cui cioè non vi è alcun inter-

vento attivo per “causare la morte”), che nella maggior parte delle opinioni dei penalisti e in giuri-

sprudenza si ritiene invece, a date condizioni, ammissibile.

In tal modo il medico è gravato di un carico di responsabilità penale di massimo livello, che non

può non condizionarlo verso scelte di più prudente e meno rischiosa attività di mantenimento in vi-

ta ad oltranza, anche in violazione dell’eventuale diverso desiderio o contraria volontà del pazien-

te, specie se non inequivocabilmente dimostrabile o ritenuta giuridicamente non valida.

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3. Che cosa si intende con il concetto di “consenso informato” contenuto nell’art. 2 del di-

segno di legge? Vi è contrasto con l’attuale legislazione?

(L. Eusebi)

Altro è valorizzare il consenso nell’ambito dell’alleanza terapeutica, altro sarebbe rendere puramen-

te contrattualistica l’attività sanitaria, ammettendo qualsiasi tipo di richiesta al medico: per esempio,

un suo attivarsi per la morte del richiedente, interrompendo anche terapie pur del tutto proporzio-

nate. Non a caso, vi sono settori, come il diritto del lavoro, dove non tutto è lasciato alla volontà

contrattuale delle parti, proprio per esigenze di salvaguardia democraticamente definite dei sogget-

ti più deboli. Il problema è che nell’ambito di una rigida formalizzazione dei rapporti è assai facile

valorizzare atti che hanno dietro di sé ben poco di sostanziale. La psicologia clinica ci insegna quan-

to la firma di una decisione rinunciataria del malato sia di fatto condizionata da carenze di assisten-

za, di affetto, di contrasto del dolore; da dinamiche di colpevolizzazione di chi chiede ancora risor-

se anche se non può più essere guarito; dalle aspettative di altre persone; da processi di rimozione,

riferiti al futuro, di eventualità dolorose della vita. Né possono lasciare sereni certi trend, cui abbia-

mo assistito, di ricostruzione solo presuntiva della volontà. Non è affatto detto, rispetto alla condi-

zione psicologica della malattia, che il paziente sia meglio tutelato dal riferimento, sempre e comun-

que, a una manifestazione formale (o a una mera ricostruzione) del suo volere, di quanto non lo

sia mantenendo fermi alcuni criteri minimi di comportamento omogeneo suscettibili di poter esse-

re condivisi, criteri che possono essere sintetizzati nel concetto di proporzionalità dell’intervento.

Dobbiamo evitare derive di “rottamazione” dei soggetti più deboli.

Neppure possono dimenticarsi, con riguardo ad ipotesi di pura contrattualizzazione del rapporto

medico, i rischi connessi all’affermarsi di atteggiamenti di astensionismo terapeutico condizionati dal

timore ben maggiore di conseguenze giudiziarie, in caso di eventi avversi, per imperfezioni del con-

senso, che non per la «perdita» anticipata del malato, posto che la prova della riconducibilità causa-

le di quest’ultima ad un atteggiamento omissivo è oltremodo difficoltosa.

Infine, appare ben difficile immaginare che le decisioni sanitarie relative ai fanciulli o ai malati psi-

chici possano essere radicalmente formalizzate affidandole a soggetti rappresentanti, senza alcuna

verifica della loro accettabilità secondo criteri giuridicamente sanciti.

(L. Picotti)

Il “consenso informato” deve essere la base di legittimità di ogni trattamento sanitario, e bene fa il

disegno di legge ad introdurlo e disciplinarlo nell’art. 2.

Tuttavia, in modo incomprensibile allo stesso non viene poi riconosciuto il ruolo condizionante che

dovrebbe avere, in attuazione dei principi e a garanzia dei diritti e della libertà della persona sopra

ricordati.

A mio avviso, riprendendo anche delle situazioni esaminate prima dal prof. Eusebi, il peso del con-

senso dovrebbe portare a queste diverse soluzioni: a) il malato non più guaribile ha certamente di-

ritto di non essere abbandonato, ma nel senso anche di non essere privato dell’informazione cor-

retta sulla sua condizione, se la richiede, e di esprimere la propria volontà consapevole sul tratta-

mento cui viene sottoposto, compresa la scelta per la sua sospensione o cessazione, ovvero per cu-

re palliative che pur possano abbreviare, anziché prolungare la sua permanenza in vita; b) non so-

lo non sono dovuti, ma non sono neppure ammessi atti terapeutici da cui non possano derivare be-

nefici alla salute del destinatario, intesa come condizione globale della persona, non solo di singo-

li suoi organi o funzioni, dovendosi sempre aver riguardo anche alla “qualità di vita” seppur resi-

dua, secondo quelle che sono le concezioni e scelte di vita del paziente stesso, anche ricostruibili

in mancanza di sua capacità di esprimersi, tramite i familiari, l’eventuale fiduciario o rappresentan-

te, i medici curanti; c) il dovere del medico di tutelare la vita e la salute del paziente, nonché di al-

leviarne le sofferenze, proprio perché va inteso in relazione alla globalità psico-fisica della persona

destinataria del trattamento, non può dunque mai attuarsi senza il consenso di questa ovvero, se in-

capace, di chi ha il diritto di esprimerlo, possibilmente sulla base delle manifestazioni di volontà ri-

salenti a quando poteva esprimerle.

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FOCUS

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4. Il disegno di legge all’art. 3 afferma che alimentazione e idratazione sono forme di soste-

gno vitale che non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento. È

d’accordo?

(L. Eusebi)

Alimentazione e idratazione non sono mezzi di contrasto di una patologia, posto che di esse neces-

sitano anche i soggetti sani e, in questo senso, non possono considerarsi terapie, né interventi spro-

porzionati. Non a caso, della loro interruzione si discute quando il paziente vive uno stato di me-

nomazione grave, ma vive “di suo”, senza essere tenuto in vita da presidi terapeutici. In questo sen-

so, una richiesta pregressa di interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione finisce per rappre-

sentare una richiesta non accettabile di cooperazione alla morte: riferita, tra l’altro, con tanto al tipo

d’intervento in atto, ma a determinate condizioni esistenziali.

(L. Picotti)

Il divieto assoluto di cui all’art. 3, comma 5, secondo cui “alimentazione e idratazione sono formedi sostegno vitale che non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento” e

dunque possono, e anzi devono essere imposte al paziente anche contro la sua volontà, rappresen-

ta uno dei contenuti più sconcertanti dell’intero disegno di legge.

Da un lato, infatti, si basa su una finzione arbitraria, quale è quella di negare il carattere di “tratta-

mento sanitario” (ricadente nell’ambito dell’art. 32 Cost.) alla “alimentazione e idratazione” ignoran-

done la caratteristica essenziale, per quanto interessa, vale a dire che sono artificiali, ovvero opera-

te medicalmente in situazioni di assoluta non autosufficienza e in situazioni di patologie gravissime,

altrimenti letali.

Dall’altro, si esclude così per legge la possibilità stessa della persona interessata di esprimere anti-

cipatamente una propria manifestazione di volontà giuridicamente efficace su una delle fasi più de-

licate e concretamente rilevanti, in cui viene in rilievo la sua “dignità di persona”: quella terminale

della sua vita, che può conseguentemente essere prolungata per un tempo indeterminato, anche per

molti anni, in contrasto con la sua volontà e libertà di autodeterminazione. Una vera e propria “ali-

mentazione forzata”, che riconduce ad un rapporto di imposizione autoritaria della volontà dello Sta-

to su quella della persona, ammantata da ragioni etica di cui lo Stato stesso si assurge così unilate-

ralmente detentore e monopolista, rimandando ad esperienze storiche di ben triste memoria in cui

sono calpestati i valori basilari della tolleranza e della democrazia.

5. Nel disegno di legge le dat non sono vincolanti. È d’accordo?

(L. Eusebi)

C’è ampio spazio per le dat, ma esse, ritengo, non possono vincolare il medico a stabilire per il fu-

turo una relazione sanitaria col soggetto interessato che non sia per la tutela della salute, ma per la

morte, in quanto gli precluda a priori, nell’assenza di ogni possibilità di dialogo attuale, l’utilizzo di

presidi terapeutici pur del tutto proporzionati. Inoltre resta il fatto che le dichiarazioni anticipate so-

no sempre rese in un contesto di inattualità psicologica rispetto al contesto della patologia che pren-

dono in considerazione, come pure il fatto che il quadro dei presidi terapeutici disponibili può es-

sere mutato rispetto al momento delle dat. È inevitabile, dunque, che il medico mantenga una va-

lutazione circa la pertinenza delle dat, indicandone sempre i motivi. La stessa dichiarazione euro-

pea di biomedicina (cosiddetta di Oviedo) richiede che il medico “tenga conto” delle dat.

(L. Picotti)

Non sono affatto d’accordo. Come dimostra l’esperienza giuridica degli ultimi venti o trent’anni di

tutti i paesi sviluppati, si rende necessario l’intervento di nuove regole giuridiche, specifiche ed ade-

guate, proprio per garantire l’effettiva e certa attuazione dei principi “sovraordinati” di tutela dei di-

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ritti e delle libertà inviolabili della persona nella sfera di autodeterminazione, che deve essere rico-

nosciuta anche in situazioni di sopravvenuta impossibilità di esprimere la propria volontà rispetto

“ad un determinato trattamento sanitario” che la riguardi (art. 32 Cost.).

Proprio perché non deve essere la meccanica e cieca applicazione delle tecnologie mediche o far-

macologiche di mantenimento in vita, e neppure la scelta del solo medico a prevalere in questo am-

bito personalissimo e privato dell’individuo, che è la sua vita, tanto più se al suo epilogo, la legge

deve stabilire i requisiti, gli interventi e i controlli necessari, da parte di familiari, medici e giudici,

in conformità ai diversi ruoli rivestiti, che assicurino la piena efficacia dal punto di vista giuridico e

penale della volontà del paziente, consentendo che sia previamente espressa appunto tramite le dat

o il testamento biologico, o la nomina di un fiduciario, nell’ipotesi in cui non possa più essere ca-

pace di intendere e di volere al momento del trattamento.

Per cui mi pare che sia assolutamente incongruo con queste esigenze, condivise nell’esperienza giu-

ridica straniera, introdurre le dat ma non riconoscere ad esse efficacia vincolante.

6. Questo disegno di legge sembra “obbligare” a vivere anche in contrasto con la volontà

espressa dal paziente. È d’accordo?

(L. Eusebi)

Si tratta, piuttosto, del permanere dell’inammissibilità di una cooperazione all’espressione di un in-

tento di morte, ferma la rinuncia ad ogni intervento che possa valutarsi sproporzionato.

(L. Picotti)

Purtroppo, l’effetto concreto della legge, se fosse approvata nella formulazione attuale, sarebbe pro-

prio quello di non consentire mai che prevalga la volontà della persona interessata sulle decisioni

del medico, a sua volta vincolato dalle norme sopra richiamate a far sempre prevalere l’obbligo di

mantenimento in vita del paziente, se non vuole incorrere nell’applicazione delle sanzioni penali

previste per l’omicidio doloso (art. 575 c.p.), per quello del consenziente (art. 579 c.p.) o per l’aiu-

to od istigazione al suicidio (art. 580 c.p.).

Questa è del resto anche la finalità perseguita dai promotori della legge, che non intendono ricono-

scere validità e neppure possibilità di scelta vincolante alla persona sul trattamento sanitario cui vie-

ne sottoposta, dichiarando assiologicamente l’assoluta “indisponibilità” del diritto alla vita, vita che

diventa pertanto un “obbligo” che può essere imposto dallo Stato, tramite i medici e i precetti pe-

nalmente sanzionati di cui essi sono così minacciati, anche ai malati terminali ed alle persone in sta-

to vegetativo permanente.

Tale effetto mi pare però in palese contrasto con i principi costituzionali sopra ricordati e con quel-

li delle Carte internazionali, a partire dalla Convenzione di Oviedo sulla protezione dei diritti uma-

ni e della dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina del 4

aprile 1997, ratificata dall’Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145, oltre che con tutta l’esperienza giu-

ridica dei paesi più sviluppati, che hanno da tempo affrontato e regolato in modo ben diverso que-

sta materia così centrale per una società democratica e pluralista.

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FOCUS

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bianca

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Individuare e mettere in atto efficaci politiche di contrasto alla devianza è uno dei primi obiettivi

condivisi da tutti i Paesi europei. Nell’ambito del fenomeno “devianza” quella minorile rappresen-

ta la manifestazione di un più ampio disagio sociale, non sempre focalizzato e compreso, e susci-

ta le reazioni più contrastanti. Se, infatti, da un parte essa sollecita la messa in campo di azioni di

sostegno e protezione del minore, percepito così come vittima di una condizione di disagio e sof-

ferenza, dall’altra, specialmente in Europa, si va sviluppando una sorta di intolleranza nei confron-

ti di questi minori e, soprattutto quando sono autori di gesti efferati, riaffiora periodicamente il di-

battito sulle cause familiari e sociali, sulla funzionalità dei modelli educativi, sull’efficienza delle

agenzie educative, sull’adultizzazione, sulla congruità della soglia di età prevista per l’imputabilità

e, ancora, sugli strumenti educativi e rieducativi da privilegiare.

In Italia, la forte tradizione di tutela del minore continua a far prevalere la funzione educativa e

riabilitativa anche all’interno del sistema penale: del resto il sistema Giustizia, e segnatamente quel-

lo della Giustizia minorile, in virtù del ruolo che riveste, costituisce un osservatorio particolare, una

sorta di “sismografo” che ha potuto registrare nel tempo i mutamenti delle forme di devianza e del

malessere che ne è connesso, le risposte che ad esso sono state man mano associate, gli ambiti di

applicazione. A partire dalla propria esperienza, la Giustizia è riuscita a portare avanti una rifles-

sione “a più voci”, che ha visto la partecipazione anche di giudici minorili, avvocati e operatori di

settore, da cui è scaturita la progettazione di una serie di programmi tesi al recupero, che tengano

presente le potenzialità e le possibilità di sostegno, nel superamento di quelle condizioni che han-

no facilitato l’ingresso nella devianza.

La considerazione che ha fatto da sfondo a tali progettualità è che il trattamento educativo deve

partire dalla considerazione dei bisogni di ciascun minore, rilevati attraverso l’osservazione della

personalità da parte di operatori specializzati e in base alla quale si possa formulare un program-

ma finalizzato alla trasformazione degli atteggiamenti e degli orientamenti di vita. Gli stessi dati re-

lativi all’analisi dei flussi di utenza dei servizi della Giustizia minorile confermano la tendenza a fa-

vorire interventi alternativi alla detenzione, all’acquisizione di processi di responsabilizzazione da

parte del minore, all’elaborazione dell’esperienza “deviante” del minore all’interno di contesti più

adeguati alle esigenze specifiche del minore stesso. Ciò per non sradicare quest’ultimo dai suoi af-

fetti e dalle sue relazioni, per non interrompere il suo percorso di “crescita”, per prevenire quei

processi di emarginazione e rinforzo del comportamento deviante, che risultano essere tipici della

cosiddetta “istituzionalizzazione”. In estrema sintesi: per evitare quei “mali peggiori” di cui tanta let-

teratura psicologica e sociologica ha ormai mostrato chiara evidenza.

Le finalità di reinserimento sociale viene conseguita attraverso l’azione del ministero della Giusti-

zia, per il tramite dei servizi della Giustizia minorile e dei suoi operatori, ma soprattutto attraverso

l’assunzione di responsabilità, in questo processo, delle comunità locali, intese nella loro accezio-

ne più ampia: dal singolo cittadino fino alle forme di rappresentanza democratica e di governo del-

la popolazione sul territorio, costituite dalle autonomie locali. L’impegno a costruire progetti ade-

guati alle necessità di crescita e responsabilizzazione richiede, a livello operativo, che le istituzio-

ni competenti nei diversi settori – della Giustizia, della Sanità, dell’Istruzione e Formazione profes-

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CONTRIBUTI

I MINORI STRANIERI NEL SISTEMA PENALE MINORILE ITALIANO

Serenella PesarinDirettore Generale Attuazione Provvedimenti Giudiziari, Ministero della Giustizia-Dipartimentoper la Giustizia minorile

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sionale e delle Politiche Sociali – debbano finalizzare il loro intervento in relazione ai reali bisogni

espressi dal singolo minore, creando dei percorsi individualizzati anche in ragione di tutte le spe-

cificità che formano la sua storia personale.

L’entrata in vigore del d.lgs 112/98, della l. 328/00 e della legge costituzionale n. 3/01 di modifica

del Titolo V della Costituzione, hanno stabilito il ruolo decisivo delle Regioni e delle Amministra-

zioni locali nell’indirizzo di programmazione, coordinamento e attuazione delle politiche sociali, e

delle politiche socio-educative di reinserimento sociale dei minori entrati nel sistema penale. An-

che i cittadini, singoli e associati, sono favoriti nello svolgimento di attività di interesse generale,

sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale (ultimo comma art. 118 Cost.).

Il patto politico a livello nazionale tra Stato, Regioni, Enti Locali, comunità civile, volontariato, set-

tore produttivo e ministero della Giustizia si pone nell’ottica di favorire lo sviluppo di una rete, in-

tegrata, estesa, qualificata e differenziata in tutto il territorio nazionale, di percorsi di inclusione so-

ciale delle persone entrate nel circuito penale. Il ruolo di pari responsabilità delle autonomie loca-

li va sottolineato con forza anche sul tema della sicurezza, intendendo con ciò non solo la preven-

zione e la repressione di condotte antigiuridiche, ma anche e soprattutto la coesione sociale, ossia

l’inclusione sociale, come fattore e, al contempo, proiezione di un sistema di sicurezza sociale: lo

sviluppo di un territorio sembra sempre più in corrispondenza biunivoca con la garanzia della si-

curezza delle persone e dei beni. Infatti, scarsa coesione sociale e fenomeni di marginalità si riflet-

tono sul senso di insicurezza della popolazione, determinando una situazione di scarsa attrattività

per gli investimenti delle imprese, che quindi si sposteranno verso altre aree, alimentando il circo-

lo vizioso tra scarsa qualità sociale e ritardo di sviluppo. Appare indispensabile considerare tutti i

livelli di programmazione possibile – europea, nazionale, regionale e locale – e la necessità di una

loro integrazione, sia nella dimensione verticale che orizzontale.

Nel primo caso, attraverso lo sviluppo di una programmazione territoriale, che coinvolga i diversi

livelli di governo locale, nella definizione di azioni sinergiche nel perseguire gli obiettivi. Nel se-

condo caso, promuovendo un modello strategico che svolga una complessiva, coerente e concer-

tata azione sul territorio, capace di integrare, facendo sinergia, le politiche economiche e del wel-fare comunitario che concorrono in modo decisivo allo sviluppo di azioni per l’inclusione sociale.

L’esigenza di programmare interventi che tengano conto dell’individualizzazione del trattamento ri-

chiede di prevedere risposte d’intervento costruite sulla base di elementi cardine, quali ad esem-

pio l’identità personale e la nazionalità: ciò in relazione all’essere o meno cittadino europeo e quin-

di ad essere soggetto a normative diverse.

È proprio in questa prospettiva che si colloca un progetto di cooperazione tra Italia e Romania,

“Protectie Copil”, appena avviato anche con il sostegno del Dipartimento di Giustizia minorile e

diretto a tutelare la posizione del minore rumeno in Italia. In conseguenza dell’aumento di mino-

renni rumeni non accompagnati autori di reato si è sviluppata la necessità di mettere a punto in-

terventi di trattamento e reinserimento articolati e specifici, oltre che di impostare la costruzione di

reti di collaborazione bilaterali. In questo senso, l’esperienza maturata nello specifico contesto del-

la Provincia di Milano da parte dei servizi del Centro per la Giustizia minorile si è ritenuta utile per

contribuire allo sviluppo di metodologie e pratiche d’intervento finalizzate all’inclusione sociale dei

giovani. Di qui la pianificazione di un progetto, incentrato sulla promozione di scambi e confron-

to tra i servizi della Giustizia italiani e quelli romeni, teso a favorire l’elaborazione di strategie con-

divise di intervento a contrasto della delinquenza minorile e di re-inclusione sociale per garantire

la qualità della vita dei bambini e dei ragazzi romeni sia nel contesto d’origine, sia in Italia.

Tale progetto ha rappresentato una sorta di “avanguardia” di un clima di collaborazione sul tema,

che si è poi andato concretizzando con la firma dell’accordo tra il governo italiano e il governo ro-

meno sulla cooperazione per la protezione dei minori romeni non accompagnati o in difficoltà pre-

senti sul territorio italiano. Triplice l’obiettivo di tale accordo: innanzi tutto una piena cooperazio-

ne in materia di identificazione dei minori romeni non accompagnati presenti sul territorio italia-

no, tesa a chiarire chi sono tali minori e la presenza di familiari in Italia o nel Paese d’origine. In

questa prospettiva, entrambi i Paesi si sono impegnati a garantire uno scambio di informazioni pun-

tuali e aggiornate sulla condizione del minore nel contesto di origine (soprattutto sotto il profilo

della situazione socio-familiare) e nel contesto di arrivo (eventuali misure intraprese nei confronti

68

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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del minore sia giuridico sia socio-educativo), finalizzate a ricostruire l’identità del minore. Quindi,

quello dell’adozione delle necessarie misure di protezione e reintegrazione sociale concernente,

più nello specifico, l’applicazione dei diritti relativi al soggiorno temporaneo del minore, alle cure

sanitarie e all’orientamento scolastico. Infine, la facilitazione del rientro nel Paese d’origine dei mi-

nori romeni non accompagnati presenti in Italia.

La responsabilità dell’applicazione di tale accordo è affidata a specifici organi competenti: per la

parte italiana all’Organismo centrale di raccordo per la tutela dei minori comunitari non accompa-gnati, istituito presso il ministero dell’Interno, per la parte romena è stata designata l’Autorità na-zionale per la protezione dei diritti del fanciullo.

L’ingresso in Europa della Romania ha reso più evidente una condizione di non completa tutela

dei minori stranieri non accompagnati provenienti dai Paesi comunitari. Tali minori, infatti, essen-

do comunitari, non ricadono sotto la tutela del Comitato minori stranieri, e di fatto, dunque, riman-

gono privi di uno specifico organo di tutela. Quando, il 1° gennaio del 2007, la Romania e altri Sta-

ti hanno fatto il loro ingresso nell’Unione europea, le amministrazioni locali si sono trovate a do-

ver garantire accoglienza ad un elevato numero di minori in assenza di un quadro normativo cer-

to e di un organo centrale di riferimento.

I minori romeni non accompagnati non rientravano più nelle competenze del Comitato minori stra-

nieri ed è apparso evidente quanti nuovi elementi di complessità si ponessero agli operatori: al di là

delle evidenti barriere linguistiche altre difficoltà, possiamo dire ben più significative, si sono presen-

tate con forza. In particolare, l’assenza o la complessità di una struttura familiare di riferimento, e co-

munque la mancanza di quello che si può definire “capitale sociale” (reti amicali, adulti di riferimen-

to, ma anche un senso di attaccamento ad un territorio); l’indeterminatezza di un progetto di vita –

quanto mai sospeso per questi minori tra un qui e un altrove; nel caso dei rom, una distanza socia-

le e culturale che, al di là della lingua parlata, rende ardua qualsiasi comunicazione; in molti casi, e

soprattutto per minori romeni non accompagnati, la mancanza di una identità personale certa.

Per sviluppare una collaborazione tra i due Paesi sul tema dei minori romeni non accompagnati o

in difficoltà presenti sul territorio italiano, il 9 giugno 2008 è stato firmato un accordo intergover-nativo tra l’Italia e la Romania, per la cooperazione e per la protezione dei minori romeni non ac-

compagnati presenti sul territorio italiano. L’accordo, tenendo conto delle disposizioni della Con-

venzione sui diritti del fanciullo, nonché della Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del

Consiglio del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circo-

lare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, stabilisce modalità di collabora-

zione al fine di migliorare la situazione dei minori romeni non accompagnati, oppure in difficoltà,

presenti sul territorio italiano.

L’accordo, entrato in vigore il 12 ottobre 2008, è finalizzato a disciplinare la cooperazione tra go-

verno italiano e romeno per la protezione dei minori romeni non accompagnati presenti sul terri-

torio della Repubblica italiana. Gli obiettivi dell’accordo sono: l’identificazione dei minori romeni

non accompagnati presenti sul territorio della Repubblica italiana, l’adozione delle necessarie mi-

sure di protezione e reintegrazione sociale e la facilitazione del loro rientro nel paese d’origine. Per

l’attuazione dell’accordo governativo è stato istituito, con decreto del ministero dell’Interno dell’8

ottobre 2007, l’Organismo centrale di raccordo (OCR) per la protezione dei minori comunitari non

accompagnati. L’impegno della Giustizia minorile all’interno dell’Organismo riguarda in modo spe-

cifico i minori entrati nel circuito penale. Infatti, le funzioni di tale organismo sono di particolare

interesse per questo Dipartimento considerando che tra i minori romeni non accompagnati, quelli

sottoposti a procedimento penale costituiscono una componente molto rilevante e la funzione di

raccordo con le autorità romene, espressa da un organismo centrale, può risultare fondamentale

per attivare interventi e progetti specifici da parte dei servizi minorili della Giustizia.

L’Organismo centrale di raccordo svolge, quindi, funzioni di collegamento e mediazione tra tutti gli

enti interessati alla gestione della presenza dei minori comunitari non accompagnati sul territorio

nazionale e l’Autorità omologa rumena, nell’ambito degli interventi finalizzati alla protezione dei

minori comunitari non accompagnati e per l’attuazione dell’accordo bilaterale fra Romania e Italia

per i minori romeni non accompagnati o in difficoltà. L’Organismo ha il compito di garantire la tu-

tela dei minori comunitari non accompagnati presenti sul territorio nazionale; dare attuazione a

69

CONTRIBUTI

Page 72: RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER … · 2011. 1. 13. · RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI DIRETTIVE ANTICIPATE

quanto previsto dall’accordo italo-romeno; valutare i progetti di accoglienza e di rientro in patria

dei minori romeni. Il predetto organismo, attraverso procedure concordate con tutti i soggetti isti-

tuzionali italiani, riceve l’informazione del ritrovamento del minore romeno non accompagnato

presente sul territorio italiano e contatta le Autorità romene, sia in Italia sia in Romania, al fine di

attuare una identificazione certa, adottare le necessarie misure di protezione e reintegrazione so-

ciale e facilitare il rientro nel Paese d’origine.

L’OCR ha provveduto a definire il processo amministrativo degli interventi che sono destinati al mi-

nore e il flusso delle informazioni relative al ritrovamento, all’identificazione, alla segnalazione, al-

l’affidamento del minore ad una struttura di assistenza, all’elaborazione del progetto di rientro nel

Paese d’origine con specifica direttiva sulla gestione della presenza dei minori rumeni non accom-

pagnati presenti nel territorio italiano, prot. n. 246 del 20 gennaio 2009.

In particolare, il diritto all’identità personale e quindi il problema della identificazione viene affron-

tato in modo sistemico, segnalando alle Autorità romene le informazioni sul singolo minore e per

avere notizie verificate rispetto alla provenienza familiare e alle risorse sociali attivabili.

Quella dell’accertamento dell’età di un soggetto e delle procedure necessarie per rilevarla, in par-

ticolare quando si parla di minori stranieri, è una questione rilevante, che si pone al centro di un

dibattito ancora lungi dal potersi considerare esaurito. L’accertamento dell’età è, infatti, un’esigen-

za fondamentale per attivare misure di protezione adeguate. La Giustizia minorile occupa all’inter-

no di questo dibattito sicuramente un ruolo di primo piano: nell’ottica della Giustizia comprende-

re l’effettiva età di un individuo si rivela tanto più significativo. Infatti, sull’età si costruisce il con-

cetto di imputabilità e, sempre in base al principio anagrafico, si decide per il collocamento in una

struttura detentiva per adulti o in una struttura della Giustizia minorile.

Uno specifico contributo del Dipartimento Giustizia minorile-Direzione Generale per l’attuazione dei

provvedimenti giudiziari è stato assicurato al gruppo istituito dal ministero della Salute, in seguito

ad una Conferenza di servizi indetta dal ministero dell’Interno, per la predisposizione delle propo-

ste di procedure medico sanitarie per la determinazione dell’età dei minori non accompagnati.

Va precisato che il tema dell’accertamento dell’età è molto dibattuto a livello scientifico in quanto,

oltre a comportare implicazioni di natura bioetica e medico-legale, di cui non si può non tener con-

to, è ulteriormente complicato dal fatto che non sono disponibili metodologie di accertamento af-

fidabili e convalidate. Dall’analisi della letteratura è infatti emerso che, in assenza di un singolo me-

todo in grado di assicurare le necessarie garanzie di affidabilità, sia da preferire la valutazione mul-

tidimensionale del soggetto attraverso visita medica, valutazione psicologica ed eventualmente esa-

mi strumentali. Il metodo finora ampiamente utilizzato, quello radiografico, è stato indicato come

scarsamente accurato se utilizzato allo scopo di determinare l’età. A fronte di questa grande varia-

bilità e in considerazione del fatto che questo metodo non è più utilizzato o comunque è in di-

scussione in alcuni paesi europei, è in corso di definizione l’opportunità di includere o meno gli

esami radiografici tra gli accertamenti da eseguirsi, anche in considerazione dell’invasività del me-

todo, per definizione medico-legale e per la mancanza di una indicazione medica all’esame.

D’altra parte, acquisire gli elementi circa l’identità e l’età di un minore si rivela tanto più necessa-

rio quanto più ci si riferisce ai minori non accompagnati, sia comunitari che extracomunitari, i qua-

li infatti, proprio per le caratteristiche di cui sono portatori, non sono facilmente identificabili e rap-

presentano, dunque, i soggetti più vulnerabili e più facilmente sfruttabili dalle organizzazioni cri-

minali che gestiscono la tratta di esseri umani.

Quanto rappresentato comporta, come si diceva però, un impegno a programmare percorsi e pre-

disporre progetti di reinserimento con la partecipazione e la collaborazione delle diverse agenzie

del territorio competenti. In questa luce deve essere letta anche la particolare attenzione dedicata

dalla Giustizia all’aspetto legato al “ritorno” del minore all’interno del tessuto sociale e collegato al-

l’acquisizione di percorsi di qualificazione educativa e/o professionale. Se, infatti, fino a non mol-

ti anni or sono, i soggetti anche non qualificati riuscivano ad accedere al lavoro, i mutamenti in

corso nel mondo del lavoro rendono l’uscita dei minori dal circuito penale ancor più vulnerabile

e il loro inserimento sociale più difficoltoso, quando si trovino sprovvisti di qualifiche formative o

professionali. Stanti le caratteristiche dell’utenza penale minorile e della componente rappresenta-

ta dai minori romeni, la Giustizia minorile ha portato il proprio contributo in specifici Tavoli di la-

70

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

Page 73: RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER … · 2011. 1. 13. · RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI DIRETTIVE ANTICIPATE

voro interistituzionali per proporre agli altri attori delle politiche sociali, una ri-progettazione dei

percorsi formativi con una logica di flessibilità e modularità degli apprendimenti in relazione ai

tempi di permanenza, di recupero di competenze di base, di incremento della motivazione all’ap-

prendimento, di costruzione di relazioni di fiducia e di aumento del grado di autostima.

In quest’ottica risulta di particolare importanza poter predisporre modalità di fruizione

didattico/formativa così da rispondere ai tempi di permanenza dei minori all’interno del circuito

penale, ai diversi livelli di preparazione degli adolescenti, ai diversi contesti di provenienza, alla

disaffezione per situazioni formative strutturate e continuative, in alcuni casi generate da una sto-

ria di insuccesso scolastico ripetuto, in altri casi generate dal background di provenienza, alle sto-

rie personali di trasgressione e di rifiuto di regole. L’intervento didattico/formativo eventualmente

realizzato all’interno di strutture penali deve tener conto sia dei vincoli organizzativi delle singole

strutture, sia dei vincoli connessi, ad esempio, alla durata della pena, ai trasferimenti, ed altro. Per

quanto concerne l’area penale esterna, il vincolo è invece costituito dal grado di motivazione e te-

nuta del minore, rendendo pertanto necessari percorsi didattico/formativo modulari, brevi e for-

malmente certificabili, anche in continuità con quelli effettuati nell’intramurario, al fine di non di-

sperdere sia le risorse investite, sia il bagaglio conoscitivo maturato da parte del giovane.

Dati a livello nazionale in Italia1

Per completare il nostro studio consideriamo utile presentare la dinamica del fenomeno della “cri-

minalità minorile” in Italia nel periodo che va dal 2003 al termine del primo semestre 2008. In que-

sto modo presenteremo l’andamento dei flussi di utenza in ingresso e/o presi incarico dai servizi

del Sistema Giustizia minorile italiano con particolare attenzione alla provenienza dei soggetti, so-

prattutto, come è ovvio, dato l’obiettivo di questo report, di quelli provenienti dalla Romania.

Centri di Prima Accoglienza

Le tabelle seguenti (nn. 1 e 2) evidenziano l’andamento degli ingressi nei CPA in relazione sia al

totale, sia alla provenienza dei soggetti secondo le categorie maggiormente rappresentate nelle sta-

tistiche (italiani, romeni, dall’ex Yugoslavia2, marocchini).

71

CONTRIBUTI

1 Dati del Servizio Statistico-Ufficio I del Capo Dipartimento ed elaborati dall’Ufficio III-Direzione Generale per l’Attuazione dei

Provvedimenti Giudiziari.

2 Nella categoria “ex Yugoslavia” sono comprese la Bosnia ed Erzegovina, la Croazia, la Macedonia, la Serbia, il Montenegro e

la Slovenia.

Tabella 1. Centri di Prima Accoglienza • Andamento ingressianni 2003 - 2007

4000

3600

3200

3522

3866 3655

3505 3385

20042003 2005 2006 2007

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Nell’arco di tempo preso in considerazione, si registra un evidente calo degli ingressi totali nei CPA.

Anche il raffronto tra il primo semestre 2007 e l’analogo periodo del 2008 (dato più aggiornato di-

sponibile al momento della compilazione del presente report) indica un decremento pari a -11,6%.

Il generale decremento registrato si manifesta in particolar modo per quanto riguarda i minori pro-

venienti dal Marocco e, in misura minore, dai paesi dell’ex Yugoslavia. Questi ultimi, tuttavia, ma-

nifestano un andamento altalenante, mentre c’è una sostanziale stabilità degli italiani.

Per quanto concerne i minori romeni, è evidente il forte incremento dei loro ingressi fino all’anno

2006, mentre tra il 2006 e il 2007 si è innescata una tendenza inversa che indica un decremento

pari a -18,7% (da 893 a 726). Questa tendenza sembra essere confermata anche dal raffronto tra i

dati relativi al primo semestre 2007 e l’analogo periodo del 2008 che, in una generale e diversifi-

cata flessioni degli ingressi secondo le categorie prese in esame (vedi tabella 3), indica un incisi-

vo decremento dei minori romeni pari a -49,0%.

Istituti Penali per i Minorenni

Il calo degli ingressi registrato in CPA si è verificato, nello stesso arco temporale preso in conside-

razione in precedenza, anche per quanto riguarda gli ingressi in IPM.

La tabella 4 evidenzia che il dato complessivo degli stranieri3 è in costante calo, mentre quello re-

lativo agli italiani accenna ad un incremento tra il 2006 e il 2007.

72

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

3 I dati secondo provenienza, ivi compresa la categoria dei minori romeni, sono disponibili nelle rilevazioni del Servizio Stati-

stica inerenti le rilevazioni dei “Detenuti presenti negli Istituti Penali per i Minorenni”.

Tabella 2. Centri di Prima Accoglienza • Andamento ingressi secondo provenienzaanni 2003 - 2007

Tabella 3. Centri di Prima AccoglienzaComparazione dati I semestre 2007 - I semestre 2008

1600

800

02003 2004 2005 2006 2007

1532

679

685

312 312 286 297188

841

718579 633795

838 893726

1587 1540 1480 1545 italiani

romeni

ex Yugoslavia

marocchini

2000

I sem.2007

I sem.2008

ingressi totali

15001824

1612

I sem.2007

I sem.2008

ingressi italiani

900

800827 823

I sem.2007

I sem.2008

ingressi romeni

–11,6% –0,4% –49,0%

600

200424 216

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Il raffronto tra i dati relativi al primo semestre 2007 e l’analogo periodo del 2008, indica, invece,

un incremento generalizzato dei dati (vedi tabella 5).

Ancora in riferimento ai flussi d’utenza in ingresso in IPM, si vuole, in questa sede, focalizzare l’at-

tenzione su una particolare categoria di ingresso nelle strutture detentive minorili. Si fa riferimen-

to agli ingressi “dalla libertà per ordinanza di custodia cautelare”, provvedimento che viene emes-

so dalla competente Autorità Giudiziaria in assenza di arresto in flagranza.

Questa voce, come si può rilevare dalla tabella 6, esprime un marcato incremento, pari al +39,3%

dal 2003 al 2007.

Oltre a rilevare la prevalenza di italiani, costante negli anni presi in considerazione, dalla tabella si

evince un altro elemento degno d’attenzione: l’incremento del numero di stranieri che vengono

sottoposti a regime di custodia cautelare in carcere da libertà.

73

CONTRIBUTI

Tabella 4. Istituti Penali per i Minorenni • Andamento ingressi secondo provenienzaanni 2003 - 2007

Tabella 5. Istituti Penali per i MinorenniComparazione dati I semestre 2007 - I semestre 2008

Tabella 6. Istituti Penali per i MinorenniAndamento ingressi dalla libertà per ordinanza di custodia cautelare • anni 2003 - 2007

1700

1100

50020042003 2005 2006 2007

1581

895686 629 603 581 645

965 886781 692

1594 1489 1362 1337 totale

stranieri

italiani

I sem.2007

I sem.2008

ingressi totali

I sem.2007

I sem.2008

ingressi italiani

I sem.2007

I sem.2008

ingressi stranieri

+3,0% +4,1% +1,8%

658678

700

600339

353

400

300

319 325

400

300

500

0

20042003 2005 2006 2007

295

94107 103

199

196201 204 191

149

215

311 294348 411 totale ingressi da libertà

per ordinanza di c.c.

di cui per stranieri

di cui per italiani

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Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni

Gli USSM da sempre sono caratterizzati dalla prevalenza di utenza italiana poiché è noto che la le-

gislazione minorile pone, come requisito per l’accesso ai benefici previsti, vincoli legati alla sussi-

stenza di adeguate condizioni personali, familiari e sociali. Ed è altrettanto noto che la fenomeno-

logia della devianza minorile straniera, oramai da qualche anno, è caratterizzata, oltre che da altri

ed articolati elementi, dal fenomeno dei minori non accompagnati, ovvero privi di figure di riferi-

mento familiari che ne garantiscano adeguate condizioni di vita e di crescita. Questo mette costo-

ro a fortissimo rischio di “reclutamento” da parte di gruppi devianti composti da adulti, spessissi-

mo loro connazionali, rendendo così inapplicabili, a loro stessa tutela, misure extra detentive. Ciò

è particolarmente vero nel caso delle ragazze, molte delle quali di cultura rom ed anche prove-

nienti dalla Romania, che vivono in una condizione di subalternità che spesso si configura come

vero e proprio sfruttamento da parte della componente maschile della loro comunità di apparte-

nenza.

Tuttavia occorre evidenziare come si sia registrato un raddoppio delle misure di “messa alla pro-

va”, negli anni presi in esame, in favore dei minori nomadi e stranieri (vedi tabella 8).

È un dato assolutamente positivo, poiché la “messa alla prova” è la misura penale che meglio in-

carna i principi di tutela dell’adolescente sottesi alla normativa italiana vigente in materia, consen-

tendo in tal modo ai minori non italiani di essere inseriti in programmi di reinserimento sociale ef-

ficaci e rispondenti ai propri bisogni.

74

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

Tabella 7. Uffici di Sevizio Sociale per i MinorenniAndamento “prese in carico” secondo provenienza • anni 2003 - 2007

Tabella 8. Applicazione della “messa alla prova”Andamento secondo provenienza - anni 2003 - 2007

totale

nomadi/stranieri

italiani

15000

200020042003 2005 2006 2007

14096 13892 13901 1306614774

1082010501 10429 9970

11722

3276 3391 3472 3096 2972

2108

1834

274429 545 499

2460 2486 2456 27192189

530

195719412031totale

nomadi/stranieri

italiani

2800

1500

200

20042003 2005 2006 2007

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Comunità

Per quanto riguarda le comunità, si può evidenziare un costante aumento sia degli ingressi totali,

sia degli ingressi relativi agli italiani (vedi tabella 9). Altalenante appare il trend relativo agli ingres-

si dei minori nomadi/stranieri che, comunque, nell’arco temporale esaminato, esprime un genera-

le incremento (+28,0% dal 2003 al 2007).

Il raffronto tra i dati relativi al primo semestre 2007 e l’analogo periodo del 2008 indica un gene-

rale aumento nelle tre categorie secondo il valori riportati nella tabella 10.

75

CONTRIBUTI

Tabella 9. ComunitàAndamento ingressi secondo provenienza • anni 2003 - 2007

Tabella 10. ComunitàComparazione dati I semestre 2007 - I semestre 2008

1423 1806 1926 1899

2055

12191064968912

836835958894770653

totale

nomadi/stranieri

italiani

2200

60020042003 2005 2006 2007

I sem.2007

I sem.2008

ingressi totali

I sem.2007

I sem.2008

ingressi italiani

I sem.2007

I sem.2008

ingressi stranieri

+11,0% +14,0% +6,3%

1026 1139

1200

1000619 706

800

600

407433

500

400

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1. La riforma del diritto di famiglia introdotta con la legge 8 febbraio 2006 n. 54 non ha in nulla

mutato il testo dell’art. 316 c.c., concernente l’esercizio della potestà genitoriale sui figli minori (o

non emancipati), che detta gli inderogabili principi per cui “La potestà è esercitata di comune ac-cordo da entrambi i genitori. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascunodei genitori può ricorrere... al giudice...Se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provve-dimenti urgenti ed indifferibili”.Ai fini dell’analisi che ci si propone, appare necessario porre a confronto la norma di cui sopra con

il novellato testo dell’art. 155 c.c., disciplinante i “provvedimenti riguardo ai figli” concordati – o

dettati dal giudice – in caso di separazione personale dei genitori.

Prima notazione, di natura letterale, è che con la novella il legislatore ha anche in questa disposi-

zione – al pari che nel testo dell’art. 316 c.c. – opportunamente abbandonato la locuzione “coniu-

gi”, così comprendendo qualsivoglia tipologia di rapporto genitoriale.

Il testo dell’art. 155 cit., al III comma, dispone che “La potestà genitoriale è esercitata da entrambii genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli... sono assunte di comune accordo... In casodi disaccordo la decisione è rimessa al giudice”.Orbene, nei limiti di prevedibilità ed operatività di un principio la cui attuazione è pienamente ri-

messa ai soggetti destinatari del principio stesso, la norma testé citata propone una disciplina co-

siddetta “fisiologica” relativa all’esercizio della potestà sui figli da parte dei genitori separati e, per

il caso di disaccordo tra gli stessi, la facoltà di ricorrere al giudice.

Dall’immediato raffronto delle due disposizioni, appare coerente considerare categorie coincidentiquella definita dall’art. 155 sotto la dizione “decisioni di maggiore interesse per i figli” e quella di

cui al III co. dell’art. 316 c.c., relativa alle “questioni di particolare importanza”. La proposta sovrapposizione appare avallata dall’applicazione della stessa normativa, in tema di

esercizio della potestà, prevista dal legislatore tanto in caso di genitori conviventi (o, ovviamente,

coniugati) ai sensi dell’art. 316 c.c., quanto in caso di genitori separati ex art. 155 c.c.

In entrambi i casi infatti le “decisioni di maggiore interesse” o le “questioni di particolare impor-

tanza” sono adottate ed affrontate congiuntamente dai coniugi e, in caso di contrasto, con il ricor-

so al giudice.

Nessuna previsione, invece, reca la norma di cui all’art. 155 c.c. riguardo ai provvedimenti urgen-ti ed indifferibili da adottarsi riguardo ai figli per evitare loro un “grave pregiudizio”, apparendo in

tal caso incontestabile l’applicazione del disposto del IV co. dell’art. 316 c.c.

L’evidenziata assenza di previsione, tuttavia, non sembra costituire una “lacuna” legislativa, neppu-

re dovendosi leggere in tale apparente vacatio l’avere evitato, da parte del legislatore della rifor-

ma del 2006, una contrastante ed inutile duplicazione normativa.

Infatti, a prescindere da ogni valutazione di merito, l’assenza nel nuovo testo dell’art. 155 c.c. di ri-

ferimenti ad ogni ipotesi di “indifferibilità ed urgenza” (nonché, di più, al “grave pregiudizio”, per

il mancato compimento di un atto non procrastinabile, nell’interesse del figlio) conferma la pacifi-

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

I PROVVEDIMENTI “URGENTI ED INDIFFERIBILI” ADOTTATI DAL GENITORE CO-ESERCENTE LA POTESTÀ SUI FIGLI MINORI

Validità e vincolatività degli effetti in sede di separazione personale rispetto alle decisioni del giudiceIl V comma dell’art. 316 c.c. e il nuovo testo dell’art. 155 c.c.

Renato CulmoneAvvocato, Foro di Palermo

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ca applicazione dell’art. 316 c.c. – principio generale ed inderogabile in materia di esercizio della

potestà genitoriale – e costituisce necessario adeguamento alla normativa in tema di potestà.

[È appena il caso di notare che la locuzione “il padre” contenuta ancora nel testo del IV comma

dell’art. 316 cit. va indiscutibilmente intesa, già alla luce della riforma del 1975, nel senso di “unodei genitori”].La superiore prospettazione rivela il compiuto intento del legislatore di volere rimettere unicamen-

te al genitore agente – reso “libero” dalla stessa norma nelle immediate determinazioni in favore

del figlio in sua potestà – la valutazione del se e del quando possono ritenersi sussistenti i presup-

posti delle indicate “urgenza” e “indifferibilità”, inscindibilmente legate al grave pregiudizio che ri-

corre ovviamente per il figlio in caso di condotta omissiva da parte del genitore, dimostrandosi in-

vece che, agendo, avrebbe evitato ogni danno.

Le linee della possibile disciplina risultante dal coordinamento delle esposte normative può così

riassumersi:

a) le decisioni “correnti” o di ordinario interesse in favore dei figli minori (o non emancipati) pos-

sono sempre essere adottate dai genitori separatamente tra essi e, in caso di genitori separati,

dal genitore con cui convivono, ferma la possibilità che, in seno alla separazione (o successi-

vamente) anche l’altro genitore ne sia facultato dal Tribunale;

b) le decisioni di maggiore interesse, o relative a questioni di particolare importanza, sono affron-

tate e adottate congiuntamente dai coniugi e, in caso di contrasto, con il ricorso al giudice;

c) gli atti urgenti ed indifferibili – la cui configurazione è rimessa al sindacato unico dei coniugi –

necessari ad evitare un grave pregiudizio al figlio possono essere compiuti anche da uno solodei coniugi.

L’ultima evidenziata locuzione pone, tuttavia, questi interrogativi:

1) se non debba farsi distinzione tra coniugi conviventi o separati legalmente, dovendosi ritenere

comunque prevalente l’interesse e la tutela del figlio;

2) se il coniuge che agisce abbia sempre e comunque l’obbligo di giustificare e rendicontare al-

l’altro l’avere ritenuto l’esistenza (aspetto soggettivo) e la concreta ricorrenza (aspetto oggetti-

vo) dei presupposti di urgenza e indifferibilità in ragione dei quali ha agito, nonché il grave pre-

giudizio che dal mancato agire sarebbe derivato al figlio. Il tutto alla luce (circa la potestà) del-

l’equiparazione dei coniugi ex lege 151/1975 e (circa l’affidamento dei figli minori) del venir me-

no del principio dell’affidamento esclusivo, ai sensi della legge n. 54/2006;

3) se il coniuge agente debba sempre adire il Tribunale, subito dopo il compimento dell’atto – ur-

gente, indifferibile e teso ad evitare il grave pregiudizio al figlio minore – o, in ogni caso, se,

circa il proprio agire, il contrasto con l’altro genitore permanga;

4) se sia proponibile ricorso “in impugnazione” da parte del coniuge non agente (e, in caso affer-

mativo, con onere della prova diretto ex art. 2697 I co. o “invertito”, a carico del coniuge agen-

te, ex II co. stessa norma) e quali siano gli effetti della eventuale conseguente pronuncia del

giudice, sia tra i coniugi che rispetto ad eventuali terzi interessati.

Si proceda con ordine.

2. Prima della riforma del 2006, il testo del III comma dell’art. 155 c.c. disponeva che le “decisio-

ni di maggiore interesse” nei riguardi dei figli erano adottate con il consenso di entrambi i geni-tori.Tale norma era riportata, con i medesimi contenuti, nel VI comma dell’art. 6 legge Divorzio (n.

898/1970 come modificata dalla l. n. 74/1987) e costituiva indubbia espressione della potestà dei

genitori, separati o divorziati, per quegli atti di rilevante incidenza sulla sfera personale – e patri-

moniale – dei figli, delegando ai coniugi la valutazione dei presupposti e del merito delle dette

questioni e le conseguenti decisioni.

Tanto dal precedente che dall’attuale testo della norma in esame, emergeva ed emerge la difficol-

tà del legislatore nel delineare – o anche soltanto indicare – alcuna classificazione certa dei citati

“provvedimenti urgenti” ed indifferibili nonché, di meno, tracciare le linee di quel “grave pregiu-

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CONTRIBUTI

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dizio”, attraverso – magari – l’indicazione di parametri che aprirebbero le porte al singolo genitore

per l’unilaterale immediato agire nell’esclusivo (e non altrimenti) perseguibile interesse del figlio.

Appare indiscusso l’obbligo di astenersi dal discernimento tra atti di ordinaria e di straordinaria am-

ministrazione, poiché tale distinzione risulta assorbita dalla necessità prevalente di tutelare, in via

urgente, gli interessi di soggetti incapaci di agire.

Rispondendo all’interrogativo di cui al punto 1), nell’ottica della preminente cautela da ultimo evi-

denziata, non appare potersi tenere conto se il genitore che compie l’atto unilateralmente (ricor-

rendo, più oggettivamente possibile, le condizioni di urgenza e indifferibilità e la necessità di evi-

tare il grave pregiudizio) sia o meno separato e se il figlio minore conviva o meno con lui.

È certamente da chiedersi se, tralasciando un’impossibile classificazione degli atti cosiddetti urgen-

ti ed indifferibili – e il cui compimento evita un danno al figlio minore – il ricorso (anche infor-

male) al Tribunale, quale unico strumento suppletivo indicato dalla legge (tanto nell’art. 155 c.c.

che nell’art. 316 c.c.), consenta di apprestare la tutela di cui il figlio realmente necessiti.

Si vuole fare riferimento a quelle ipotesi in cui non sia possibile attendere i tempi,pur relativamen-

te brevi, di una pronuncia giudiziaria. [Si pensi, ad esempio, ad un indifferibile intervento chirur-

gico da eseguirsi sul minore (non necessariamente a pregiudizio della vita ma di altro diritto invio-

labile della persona, tutelato dall’art. 32 della Costituzione come diritto alla salute) cui uno dei ge-

nitori si opponga per – infondato – timore che il figlio non sopravviva all’anestesia o per qualsivo-

glia altro credo – anche religioso – o ragione che induca il genitore a ritenere che nulla sia peggio

che l’esecuzione dell’intervento chirurgico stesso].

Già da solo l’esempio sopracitato – e, si ritiene, anche i molti altri che possono farsi – condu-

ce a ritenere che il genitore non ha solo il diritto bensì l’obbligo di agire prima di tutto a tu-

tela del figlio, rimandando alla sede giudiziaria ogni eventuale questione posta dall’altro geni-

tore.

In ossequio al sistema normativo (e per logica giuridica e comune) appare netta la prevalenza del

principio garantistico del soggetto incapace di agire, tanto se il genitore agente sia separato o me-

no (specie per quelle ipotesi, niente affatto rare, in cui la normativa dell’“affido condiviso” non è

rispettata dal genitore presso cui il minore trascorre la maggior parte della vita), quanto rispetto al-

la procedura cosiddetta “sostitutiva” del consenso che dovrebbe essere richiesta e provenire dal-

l’altro genitore.

Più difficile è la risposta al quesito di cui al punto 2), muovendo dalla considerazione che l’even-

tuale – e comunque non prevista dalla legge – rendicontazione successiva, da parte del coniuge

agente all’altro, circa la ricorrenza dei presupposti di urgenza e indifferibilità (nonché dei maggio-

ri pregiudizi evitati, con il proprio agire, al figlio minore) dell’atto compiuto, non sarebbe idonea

né a porre alcun rimedio alla pretesa violazione della competenza congiunta prevista dalla legge

per il compimento dell’atto né, di meno, a caducarne gli effetti, specie se rivolti a terzi o se esple-

tatisi.

Quanto alla domanda di cui al punto 3), il tenore letterale del III comma dell’art. 316 c.c. “... cia-scuno dei genitori può ricorrere al giudice...” esclude l’esistenza di obbligo, a carico del coniuge

che abbia deciso di agire per conto del figlio (sempre nell’urgenza e indifferibilità e per la tutela

più volte sottolineate) di rivolgersi al giudice per l’esercizio di quella tutela che, precipua espres-

sione della potestà, è al genitore stesso attribuita dalla legge con le eccezioni espressamente pre-

viste, tra le quali quella in esame.

Circa il quesito di cui al punto 4), appare da escludersi l’efficacia di alcuna pronuncia giudiziaria

che intervenga successivamente al compimento dell’atto, non solo per le considerazioni “tempora-

li” espresse al punto 2), bensì per l’assenza di norma che preveda la censura dell’atto da parte di

alcuna Autorità, ritenendosi a fortiori superata ogni questione circa irrilevanti questioni probatorie.

Inoltre [e la circostanza valga tanto per il precedente punto 3) che per questo punto 4)] non ap-

pare ritenersi accettabile alcuna “interferenza” da parte dell’a.g. nell’esercizio della potestà geni-

toriale.

Non si ravvisa, infatti, nell’ultimo comma dell’art. 316 c.c. alcuna ipotesi ablativa della potestà ge-

nitoriale, al contrario previste dall’art. 334 c.c. riguardo alla amministrazione dei beni dei figli e, ai

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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sensi dell’art. 330 c.c., nell’ipotesi in cui ricorrono le condizioni per la pronuncia, da parte dell’au-

torità giudiziaria, di decadenza dalla potestà sui figli.

3. Non possono, a questo punto, trascurarsi altre concrete considerazioni relative al compimento

di atti incidenti sul patrimonio dei figli, minori o incapaci, sempre nel confronto tra le normative

in esame.

Il meccanismo di cui all’art. 316 c.c., che consente al genitore che voglia compiere l’atto di non do-

ver ottenere alcun provvedimento giudiziario “sostitutivo” del mancato consenso dell’altro, non

sembra escludere in radice la proponibilità, da parte del genitore non agente, dell’azione di annul-

labilità dell’atto per difetto dei requisiti di urgenza e indifferibilità (rimessi, in caso di rifiuto o di-

saccordo, alla sola valutazione del genitore agente ma, di regola, valutati da entrambi).

A tale notazione si aggiunga che gli atti in questione, coinvolgendo, come detto, il patrimonio dei

figli – non dotato di autonomia riguardo al soggetto che ne è titolare, in quanto minore o incapa-

ce di agire – possono essere “giustificati” dal genitore agente quali atti (e conseguenti obbligazio-

ni) “nell’interesse della famiglia” [art. 186 lettera c) c.c.], di cui i figli minori costituiscono polo ne-

cessitante di profonda e pregnante tutela.

Sul tale filone interpretativo, potrebbe altresì ipotizzarsi l’applicazione analogica della disciplina

prevista dall’art. 180 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione compiuti sui beni in comunio-

ne (in ipotesi di genitori coniugati), nonché dell’art. 184 c.c. per gli atti compiuti “senza il neces-sario consenso”.

Così argomentandosi, dovrebbe accettarsi che il solo limite che il legislatore avrebbe posto circa

gli atti di preminente rilievo o le decisioni di estrema importanza nell’interesse dei figli sarebbe

quello del consenso congiunto dei coniugi o dei genitori, non distinguendo tra beni della comu-

nione, tra coniugi o ordinaria, e beni dei figli, ma tutelando gli interessi della prole anche attraver-

so la conservazione o la disposizione di un bene in comune tra i genitori, di cui i figli beneficia-

no direttamente.Anche in esito al superiore costrutto, appare improbabile che il coniuge non agente possa inficia-

re l’atto compiuto dall’altro, indifferibile e nell’interesse della prole, attraverso il disposto di cui al-

l’art. 184 c.c., ciò a prescindere dal bene o dall’ambito patrimoniale sul quale ricade.

E se ne spiegano le ragioni.

Innanzitutto, il meccanismo sanzionatorio previsto dal cit. art. 184 c.c. si riferisce ai beni della co-

munione legale tra coniugi – e non anche ai beni in comune tra i genitori – che è priva di “colle-

gamento normativo” con la responsabilità patrimoniale per l’adozione di quelle “decisioni di mag-giore interesse” di cui all’art. 155 c.c. (separazione) o di cui al co. VI dell’art. 6 legge Divorzio, ipo-

tesi nelle quali la comunione è venuta meno.

Atteso, inoltre, che scopo delle norme di cui agli artt. 155 (316) c.c. e co. VI art. 6 l. Divorzio è

quello della tutela degli interessi dei figli (ricomprendendosi anche l’ipotesi dei beni in comunio-

ne ordinaria tra i genitori), il disposto di cui all’art. 184 cit. risulta ancor più fuori segno, poiché il

suo obiettivo (l’annullabilità degli atti) è diretto alla tutela del coniuge o del genitore non pronun-

ciatosi o non partecipante all’atto, la cui astensione appare lontana dal potere essere qualificata co-

me disaccordo, rifiuto o impedimento nel compimento dell’atto stesso.

4. Di eminente rilievo pratico – e, per questo, altresì oggetto di trattazione – appare la questione

circa il carico degli oneri e delle spese, affrontate dal genitore che compie, in disaccordo con l’al-

tro, iussu legis, l’atto indifferibile e il cui ritardo sarebbe per i figli pregiudizievole.

Si pone l’interrogativo, in particolare, se il genitore in disaccordo con l’altro, debba comunque es-

sere tenuto a sopportare gli oneri e le spese (circa le quali nulla dispongono i citati artt. 155 e 316

c.c.) per l’atto compiuto nell’esclusivo e improcrastinabile interesse del figlio.

Invero, l’assenza di previsione del carico di quanto trattasi condurrebbe a ritenere equa e aderente

alla “silenziosa” normativa la sopportazione paritetica degli oneri de quibus da parte dei genitori.

L’esigibilità della metà delle spese anticipate dal genitore che abbia compiuto l’atto indifferibile in

favore della prole può essere paralizzata dall’assenza di reddito del non agente, il quale – come

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CONTRIBUTI

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spesso accade – non ha neppure preso in considerazione la possibilità (rectius, la necessità) di por-

re in essere l’atto proprio per mancanza di mezzi economici.

È evidente che la questione si pone ben oltre il normale rischio di inadempimento, quale, ad esem-

pio, quello del comproprietario o del coerede, di non vedere rimborsata la parte di spese ed one-

ri,oltre la propria quota, sostenuti in favore o per atti compiuti sulla cosa comune.

E, in assenza di specifica normativa, non appare ravvedersi alcuna tutela al di fuori della generale

normativa di recupero in favore del coniuge che, per l’atto urgente e indifferibile, ha anticipato ta-

li spese.

Si facciano, in merito, le seguenti ipotesi.

Potrebbe ipotizzarsi, pur se troppo scolasticamente e con portata rischiosamente indefinita, che il

carico di detti oneri straordinari sia stato espressamente stabilito negli accordi di separazione o di-

vorzili tra i coniugi, al fine di evitare futuri contrasti sul relativo gravame.

Escludono, invero, accordi di tale fatta le difficoltà obiettive circa i presupposti da concordarsi per

l’identificazione degli atti, per così dire, “prevedibili come indifferibili”, atteso che la delimitazione

circa la natura, i requisiti e l’incidenza patrimoniale degli stessi atti rimane rimessa alla valutazione

dei genitori al tempo in cui l’atto deve compiersi allorché si presenti e debba essere valutato co-

me urgente ed indifferibile.

È altresì da escludersi che tali oneri siano compensabili e, quindi, detratti, per la quota gravante

sul genitore o sul coniuge “indigente”, dal mantenimento che l’altro è obbligato a corrispondere.

Infatti, il credito nascente dal mantenimento non è compensabile con alcun onere, avendo distin-

to natura – uno di sostentamento, l’altro di rimborso – e diversa fonte – uno nascente dalla legge

o dall’accordo tra i coniugi e l’altro dal compimento di atto in disaccordo –, e mancando, inoltre,

il requisito della omogeneità richiesto per la compensazione legale.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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L’uguaglianza tra uomini e donne è uno dei principi fondamentali dell’Unione europea, riconosciu-

to dal trattato che istituisce la Comunità europea e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

stessa.

Tuttavia, nonostante i significativi progressi compiuti in materia, continuano a sussistere molte di-

suguaglianze tra donne e uomini, soprattutto con riferimento al mondo del lavoro.

Da recenti indagini statistiche effettuate, si è ad esempio accertato che i tassi di occupazione del-

le donne con figli a carico raggiungono solo il 62,4% rispetto al 91,4% degli uomini; che la parte-

cipazione delle donne al mercato del lavoro è ancora ampiamente caratterizzata da un’elevata e

sempre più crescente quota di lavoro parziale, pari al 31,4% per le donne dell’Unione europea, ri-

spetto al 7,8% degli uomini e che il 76,5% dei lavoratori a tempo parziale sono donne.

Si è altresì accertato che anche i contratti di lavoro a tempo determinato sono più frequenti tra le

donne (15,1%, ossia un punto in più rispetto agli uomini) e che la disoccupazione di lunga dura-

ta è sempre molto più frequente per le donne (4,5%) che per gli uomini (3,5%)1.

Il dato è ancora più allarmante se si pone mente alla circostanza per cui molte donne non risulta-

no mai attive nel mercato ufficiale del lavoro e pertanto non sono registrate come richiedenti la-

voro, né prese in considerazione nelle statistiche sulla disoccupazione.

Una significativa disuguaglianza si rinviene anche in tema di retribuzioni, ove il divario tra quelle

delle donne rispetto a quelle degli uomini era attestato, nel 2003 (ultimo dato ufficiale disponibi-

le), sul 15%.

I motivi di preoccupazione derivanti dalla descritta situazione di disuguaglianza tra uomini e don-

ne non sono circoscritti alla negazione stessa del principio assoluto che l’Unione europea intende

invece affermare quale corollario della tutela della dignità di ogni persona umana, ma investono

altresì aspetti sociologici e più in generale stili di vita, fondamentali per la realizzazione del bene

comune.

È stato ad esempio rilevato che nei paesi e nelle regioni ad alto tasso di occupazione femminile e

dotati di sistemi di protezione sociale, la natalità è più elevata2.

Si è rilevato inoltre che la maggior parte delle persone anziane che vivono in condizioni di pover-

tà sono donne, soprattutto a ragione dei regimi pensionistici degli Stati membri che riconoscono a

molte donne solamente diritti derivati, basati esclusivamente sulla carriera lavorativa dei mariti3.

L’Unione europea, attraverso i propri organi, è costantemente impegnata nella ricerca di una cre-

scente parificazione tra uomini e donne nel mondo del lavoro.

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CONTRIBUTI

1 Dati riportati nel punto Q delle premesse della Risoluzione del Parlamento europeo del 3 settembre 2008 sulla parità tra le

donne e gli uomini.

2 I dati sono riportati nella comunicazione della Commissione per l’occupazione e gli affari sociali delle Comunità europee del

12 ottobre 2006, dal titolo “Il futuro demografico dell’Europa, trasformare una sfida in opportunità” - COM(2006)0571.

3 Cfr. punto 9 della Risoluzione del Parlamento europeo 3 febbraio 2009 sulla non discriminazione in base al sesso e solidarie-

tà tra le generazioni.

IL PRINCIPIO DI PARITÀ UOMO-DONNA IN MATERIA DI LAVORO:OBIETTIVO O MIRAGGIO?

Luca GrossiAvvocato, Foro di Pescara

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Un simile impegno si sviluppa attraverso due fondamentali direttrici: da un lato, la promulgazione

di atti normativi in materia “socio-lavoristica”, o l’invito rivolto in tal senso agli Stati membri, con

il corollario che “la parità di trattamento tra le donne e gli uomini è un principio alla base del si-stema giuridico e in quanto tale deve essere tenuto in considerazione e osservato ogniqualvolta leleggi vengono interpretate e applicate”4; dall’altro, l’emanazione di atti di indirizzo socio-politico.

La realtà italiana ove, in termini di garanzie legislative nel rapporto di lavoro, la tutela della don-

na appare almeno formalmente particolarmente efficace, e ciononostante l’obiettivo parità è ben

lungi dall’essere conseguito, dimostra come il maggior sforzo debba piuttosto concentrarsi su fat-

tori culturali, sociali, politici.

Nell’ordinamento giuridico italiano, infatti, si rinvengono tutta una serie di norme che valgono a

tutelare il lavoro femminile, soprattutto nel periodo della maternità in cui esso è più esposto a ri-

schi, sia fisici che di stabilità.

Già a livello costituzionale, gli artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36 e soprattutto l’art. 375 testimoniano l’impegno

programmatico della Repubblica all’affermazione della parità tra i sessi.

L’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori (l. 15/05/1970, n. 300) aveva poi sancito in via generale la nul-

lità di qualsiasi patto o atto diretto a fini di discriminazione di sesso.

Il legislatore degli anni Settanta aveva altresì promulgato la legge 903/77 dedicata espressamente

ed interamente alla “parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”.

L’intera materia è stata recentemente sviluppata e disciplinata organicamente dal d.lgs. 11/04/2006,

n. 198, più noto come “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”, che ha in qualche ma-

niera ricompreso in unico testo legislativo le principali norme protettive del lavoro femminile (ac-

cesso al lavoro, retribuzione, accesso alle prestazioni previdenziali, eccetera).

La tutela della salute della lavoratrice-madre è invece stata accorpata nel “Testo unico delle dispo-

sizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, (d.lgs. 26/03/2001, n. 151).

La protezione della stabilità del lavoro femminile (ovviamente applicabile allorché la donna sia già

parte di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato) è affidata sostanzialmente a tre

disposizioni che sanciscono rispettivamente:

a) la nullità del licenziamento a causa di matrimonio6;

b) la nullità del licenziamento della lavoratrice madre7 8;

c) l’impossibilità per il datore di lavoro, in caso di licenziamenti collettivi, di licenziare una per-

centuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occu-

pata con riguardo alle mansioni prese in considerazione ai fini dell’esubero9.

Anche il sistema dei congedi per maternità (e paternità) disciplinato dalla legislazione italiana ri-

sulta uno dei più garantisti dell’Unione europea, ove il periodo di sospensione del rapporto di la-

voro a causa di maternità varia, nei diversi Stati membri, tra le 14 e le 28 settimane.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

4 In questi termini, il punto B della Risoluzione del Parlamento europeo 3 febbraio 2009, cit.

5 Il 1° comma dell’art. 37 Cost. recita testualmente: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retri-buzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione fami-liare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.6 Ai sensi dell’art. 35, d.lgs. 11/04/2006, n. 198 si presume a causa di matrimonio il licenziamento intimato alla lavoratrice nel

periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno do-

po la celebrazione stessa. La presunzione non ammette prova contraria, a meno che il datore di lavoro non dimostri che il reces-

so è avvenuto per una delle seguenti tassative ipotesi: a) colpa grave della lavoratrice costituente giusta causa di licenziamento;

b) cessazione dell’attività aziendale cui la lavoratrice è addetta; c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è sta-

ta assunta, ovvero scadenza del termine.

7 L’art. 54, d.lgs. 26/03/2001, n. 151 prevede la stessa presunzione di cui alla nota precedente, con le medesime eccezioni (al-

le quali risulta aggiunta l’ipotesi del mancato superamento della prova), per il periodo intercorrente tra l’inizio dello stato og-

gettivo di gravidanza (persino se non ancora conosciuto dalla stessa lavoratrice) sino al compimento di un anno di età del bam-

bino.

8 In entrambi i casi previsti dalle note 6 e 7, nei periodi ivi indicati, sono inefficaci anche le dimissioni eventualmente presen-

tate dalla lavoratrice se non convalidate dinanzi la Direzione provinciale del lavoro; ciò al fine di verificare la genuina volontà di-

missionaria della lavoratrice.

9 In questo senso è l’art. 5, l. 223/91, 2° comma, ultima parte.

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In Italia è vietato adibire al lavoro la lavoratrice durante i seguenti periodi: nei due mesi antece-

denti la data presunta del parto; nel periodo compreso tra la data presunta del parto e quella ef-

fettiva, se successiva; nei tre mesi successivi alla data effettiva del parto; nell’ulteriore periodo even-

tualmente non goduto prima della nascita del bambino a causa dell’anticipazione del parto effetti-

vo rispetto alla data presunta.

Previa certificazione medica, la lavoratrice può scegliere di rimanere al lavoro sino ad un mese pri-

ma la data presunta del parto, astenendosi poi sino a quattro mesi dopo la data effettiva.

In caso di gravidanza a rischio, poi la Direzione provinciale del lavoro può disporre l’interdizione

anticipata dal lavoro in qualunque momento della gestazione.

Nei casi testé esposti, il servizio previdenziale provvede a riconoscere alla lavoratrice l’80% della

retribuzione, oltreché l’intera copertura contributiva10.

Al rientro al lavoro, e sino al compimento di un anno di età del bambino, la lavoratrice ha diritto

a due periodi di riposo giornalieri, di un’ora cadauno, cumulabili tra loro.

Ai sensi degli artt. 32 e ss., d.lgs. 26/03/2001, n. 151, sia la lavoratrice-madre che il lavoratore-pa-

dre hanno poi diritto ad un congedo parentale di sei mesi, da fruire in maniera continuativa o fra-

zionata, entro i primi otto anni di vita del bambino; qualora ne usufruiscano entrambi i genitori, il

limite massimo complessivo non può però superare gli undici mesi.

Durante tale periodo, però, è prevista la corresponsione di una mera indennità a carico dell’Ente

previdenziale, pari al 30% della retribuzione, senza alcuna integrazione da parte del datore di la-

voro11 12.

In caso di malattia del bambino, infine, ciascun genitore può alternativamente fruire di permessi

non retribuiti, con la mera copertura contributiva e la maturazione del tfr.

Va poi ricordata la possibilità, ex l. 104/92, per i lavoratori che assistono familiari portatori di han-

dicap, di poter fruire di permessi retribuiti.

Come si può comprendere dalla normativa descritta – seppure in estrema sintesi –, insomma, l’or-

dinamento italiano offre significativi strumenti al fine di contemperare le esigenze lavorative della

donna con quelle familiari.

Rimane però irrisolta tutta una serie di problemi, su alcuni dei quali il Parlamento europeo ha re-

centemente posto la propria attenzione.

Come si è accennato in precedenza, il datore di lavoro subisce, seppure in maniera parziale, gli ef-

fetti economicamente negativi dei congedi della lavoratrice; e ciò contribuisce a creare in chi offre

posti di lavoro una sensazione di diffidenza verso le donne in età fertile.

Conscio di un tale impatto il Parlamento europeo, nella citata risoluzione del 3 febbraio 2009, al

punto 23, ha invitato la Commissione, gli Stati membri e le parti sociali a valutare scelte che garan-

tiscano “che i costi della maternità/paternità non gravino sull’azienda ma sulla collettività, al finedi eliminare i comportamenti discriminatori in seno all’azienda e sostenere il rilancio demografico”.

Il Parlamento ha poi anche invitato le parti medesime a migliorare l’accessibilità ai servizi di cura

e assistenza alle persone non autosufficienti (minori, disabili e anziani) al fine di dare risposta sia

alle esigenze lavorative che a quelle della vita privata.

La carenza di strutture di ricovero per dette persone rappresenta infatti una delle criticità che no-

toriamente rende forzata la scelta di molte donne di rimanere lontane dalla vita lavorativa.

In tale ambito si inserisce l’impegno assunto dagli Stati membri al Consiglio europeo di Barcello-

na del 2002, al fine di introdurre entro il 2010 strutture di assistenza per il 90% dei bambini dai tre

anni all’età scolare e per almeno il 33% dei bambini al di sotto dei tre anni.

83

CONTRIBUTI

10 La quasi totalità dei contratti collettivi prevede però l’obbligo per il datore di lavoro di integrare l’indennità erogata dal servi-

zio previdenziale sino al 100% della retribuzione.

11 I congedi fruiti fino al 3° anno di vita del bambino danno sempre luogo all’erogazione dell’indennità a carico dell’Ente previ-

denziale; quelli goduti tra il 3° e l’8° anno di vita del bambino sono invece indennizzabili solamente se ricorrono alcuni specifi-

ci requisiti di reddito.

12 Durante il periodo di congedo parentale, il lavoratore e la lavoratrice conservano il diritto al pagamento delle festività e alla ma-

turazione del tfr, mentre i periodi non vengono considerati ai fini della maturazione di ferie e mensilità supplementari (13a e 14a).

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Il Parlamento europeo ha anche invitato gli Stati membri a fissare obiettivi simili per le strutture di

assistenza per anziani e congiunti malati.

È sicuramente vero infatti che strutture di assistenza per l’infanzia, per gli anziani, e per i non au-

tosufficienti, di buona qualità ed economicamente accessibili, attive in orari rispondenti alle esigen-

ze di genitori e figli, agevolano l’accesso delle donne al lavoro13.

Nonostante gli apprezzabili impegni, concreti e programmatici, rimangono però almeno due ar-

gomentazioni difficilmente superabili che ostacolano la piena parità uomo-donna in materia di la-

voro.

La prima riguarda una radicata tradizione culturale, in virtù della quale la donna è storicamente ad-

detta alla cura familiare, intesa in senso lato.

Ella da sempre si prende cura non solo dei figli, ma anche della gestione della casa e dell’assisten-

za delle persone non autosufficienti (genitori, parenti, eccetera); spesso, poi, l’attività domestica ri-

mane – per scelta familiare – l’unico impegno della donna.

Una simile tradizione secolare è difficile da superare in un tempo relativamente breve, quale può

essere considerato quello trascorso dall’inizio del sostegno politico al lavoro femminile.

La realizzazione, più o meno piena, di un’effettiva parità uomo-donna in ambito lavoristico, allora,

passa attraverso una modifica dei costumi e una considerazione rafforzata della “paternità”, intesa

come coinvolgimento maggiore dell’uomo negli impegni domestici.

Solo una ridistribuzione più equa di questi ultimi, soprattutto con riferimento alla cura dei figli, po-

trà consentire alla donna di porsi in maniera paritaria nel mondo del lavoro.

In quest’ambito lo sforzo del legislatore nell’assicurare anche al padre-lavoratore i congedi paren-

tali e per malattia del bambino appaiono senz’altro necessari ma di per sé non sufficienti, occor-

rendo altresì un cambiamento culturale nella distribuzione dei ruoli, che notoriamente richiede

tempi non brevi e interventi in materia di educazione e sociologia.

È sintomatico che ancora oggi, nonostante i condivisi sforzi politici verso il raggiungimento di una

effettiva parità, ci siano istituzioni nell’ambito dei Paesi europei, che ufficialmente prendano inizia-

tive di senso contrario14.

Il secondo fondamentale ostacolo all’effettiva realizzazione della parità tra uomo e donna in ambi-

to lavoristico riguarda una diffusa diffidenza dei datori di lavoro nell’affidare ruoli di responsabili-

tà (più difficilmente fungibili) alle donne più giovani, sapendo che esiste la concreta probabilità

che poi quel ruolo rimanga vacante per un apprezzabile periodo, a ragione di imprescindibili mo-

tivazioni di carattere biologico.

Nel periodo della gravidanza e del puerperio, infatti, nonostante gli sforzi socio-culturali verso una

parificazione dei ruoli, la paternità non potrà mai essere equivalente alla maternità.

Un simile atteggiamento da parte di chi offre posti di lavoro, se non combattuto anche con inizia-

tive di carattere promozionale che tendano al suo superamento (ad esempio: risparmio contributi-

vo, incentivi a carico della collettività, a favore dell’occupazione femminile nei livelli più elevati)

ostacola una effettiva parità tra uomo e donna, non solo e non tanto con riferimento alla occupa-

zione in senso stretto, ma anche e soprattutto in relazione all’affidamento dei ruoli di responsabi-

lità, alle retribuzioni e ai corrispondenti trattamenti previdenziali.

84

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

13 In questo senso, Risoluzione Parlamento europeo, 3 febbraio 2009, cit., punto 3.

14 La Presidenza della Repubblica Ceca ha recentemente formulato una proposta in virtù della quale la cura dei figli rappresen-

terebbe una vera e propria alternativa “naturale” alla carriera professionale della donna; su tale proposta lo stesso Parlamento eu-

ropeo ha espresso “viva preoccupazione”, ai punti 6 e 7 della citata Risoluzione, 3 febbraio 2009.

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La mia attività di Consigliera di Parità della Provincia di Roma, mi ha portato ad esplorare e cono-

scere differenti realtà della condizione femminile, che come si sa, è collegata strettamente ai lavo-

ri che le donne erogano sia nel mercato del lavoro (Mdl) che nella cura della famiglia. Sono mol-

ti gli intrecci sia dei soggetti che dei temi e sono la fotografia di una complessità, quella delle don-

ne, che è la caratteristica principale che le rende così interessanti per un Mdl che sta cercando nuo-

ve vie di sviluppo.

Infatti, può essere utile ripeterlo, la donna soggetto debole da promuovere o da usare come fiore

all’occhiello, non esiste più, così come è finito anche il tempo della valorizzazione della differen-

za; oggi viene avanti un’altra realtà, come ci dicono gli economisti: la necessità imprescindibile del-

la presenza delle donne nel mercato del lavoro come unica possibilità di ripresa economica del

paese (il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona).

Purtroppo i dati che continuamente ci vengono forniti, contraddicono questa analisi e questi obiet-

tivi.

È per questo che, io credo, politiche del lavoro, sviluppo dell’impresa femminile, conciliazione so-

no la base di un impegno che non deve valere solo per gli addetti ai lavori ma coinvolgere più

soggetti.

Non ci si può più permettere di considerare la “questione femminile” un tema puramente di gene-

re. La portata della questione è ben più alta. In gioco ci sono le opportunità di sviluppo e di mo-

dernizzazione del Paese, l’attivazione di nuove competenze, la creazione stessa d’innovativi ambi-

ti occupazionali.

Solo mettendo in campo sistemi innovativi, modi differenti e sensibili di intendere l’occupazione

femminile, si può dare una spinta decisiva verso le pari opportunità.

L’occupazione nel nostro territorio mantiene una crescita costante, ma fra quella maschile e quel-

la femminile c’è un distacco di 21.3 punti e, comunque, quella femminile è prevalentemente pre-

caria.

Certo noi abbiamo il problema della differenza fra il dato romano (50,2%) e il dato provinciale

(24,9%).

Nella Provincia poi, comunque, si addensa la maggiore presenza di donne fra i 45-54 anni, donne

adulte quindi, non occupate.

Le fuoriuscite non volontarie dal lavoro, cioè le licenziate, si concentrano nelle fasce giovanili 25-

29 e sono il 45% del totale licenziato.

È una fotografia disarmante della realtà che ci restituisce una condizione di gap di genere, tanto

più ingiusto e indice di miopia politica quanto più cresce il livello di scolarizzazione, di conoscen-

za e di sapere delle donne.

Le donne si distinguono per le loro capacità di superare i loro colleghi maschi in rendimento sco-

lastico: prendono voti più alti a scuola, si laureano in maggior numero, incrementano il numero del-

le iscrizioni anche in facoltà tradizionalmente maschili a indirizzo scientifico. Hanno realizzato quin-

di, quella che è stata chiamata una “trasformazione silenziosa” del loro essere e del loro ruolo.

85

CONTRIBUTI

OCCUPAZIONE FEMMINILE E “FLEXISECURITY”

Francesca Bagni CiprianiConsigliera di Parità della Provincia di Roma

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Come mai poi le donne restano indietro nel mercato del lavoro?

Le donne sono sottopagate, impiegate al di sotto della loro qualifica, precarie.

Il gap salariale arriva fino al 37,1% tra i dirigenti nel privato, nel pubblico tra gli operai il 29,8%.

Nella fase centrale della loro vita professionale fra i 30- 39 anni, al momento della fase ascensio-

nale della carriera, le donne si trovano a dover decidere fra maternità e lavoro. Una su cinque esce

al primo figlio, al terzo la percentuale che resiste al lavoro è bassissima. Certo non sono molto aiu-

tate dalla rete dei servizi: la disponibilità di posti negli asili nido è nel Lazio 6,5%, in provincia 8,5%,

a Roma 25%. L’obiettivo della disponibilità richiesto da Lisbona è 33% e le politiche di conciliazio-

ne come responsabilità sociale non sono nell’agenda delle aziende.

Nella tipologia del lavoro precario, in aumento per tutti (purtroppo non si può parlare di lavoro

flessibile), la percentuale femminile è maggioritaria.

L’inserimento nel lavoro con un contratto a tempo indeterminato è più probabile per gli uomini:

32% contro il 16,4% per le donne.

Questa condizione di lavoro, a volte scelta a volte no (chi può veramente scegliere?), determina un

cambiamento profondo nell’identità della lavoratrice precaria: la possibilità o meno di costruire

l’orizzonte della propria vita ha contorni sfumati e sembrano non esserci più sicurezze e punti di

riferimento.

Insomma siamo di fronte ad uno strano paradosso.

Le donne sono più scolarizzate, hanno più formazione e il mercato del lavoro ha bisogno di loro,

ma sono meno occupate, fanno meno carriera e sono meno pagate rispetto a posizioni equipol-

lenti degli uomini.

A questo si accompagna la necessità, per il nostro Paese, di uscire dalla denatalità con azioni di

sostegno alla famiglia e invece la conciliazione è vissuta dalle aziende come una sostanziale indi-

sponibilità delle donne nel confronto dell’impegno lavorativo.

Sono troppo poche le donne che arrivano alle posizioni apicali e soprattutto a quelle decisionali.

Anche se qualcosa si muove: le dirigenti comunali sono il 14.1% e si addensano con una maggio-

re concentrazione fra le giovani.

La domanda è: può un Paese che punta alla crescita e alla modernizzazione fare a meno delle com-

petenze delle donne? Può una pubblica amministrazione riuscire a essere più efficiente ed effica-

ce senza un controllo della propria organizzazione che veda protagonista la donna?

È pur vero che per dare risposte compiute occorre qualcosa di più: occorre dare forza e gambe

a una nuova cultura politica, la cultura di una maggiore eguaglianza fra i generi, di una società

che non solo non rifiuta, ma promuove il contributo delle donne alla costruzione del benessere

sociale.

La donna al centro della costruzione del benessere per tutti. Questa è la filosofia che sottende la

costruzione dei bilanci di genere.

Azione positiva, quella dei bilanci di genere, già identificata e sollecitata, da una direttiva europea

e messa in atto da numerose amministrazioni locali del centro nord.

Assumere l’ottica di genere nell’analisi della vita quotidiana, significa anche pensare di dare rispo-

ste alle molteplici esigenze del soggetto femminile che, come quello maschile, popola il nostro ter-

ritorio e che spesso esce dal mondo del lavoro proprio perché non trova risposte adeguate ai pro-

blemi di conciliazione.

Mi accorgo di guardare con interesse e, anche un po’ d’invidia, ad altri paesi dove il bisogno di in-

novazione è stato riassunto nel termine “economia delle donne”.

Un circolo virtuoso che si crea fra occupazione femminile, consumi e investimenti e che produce

una crescita del pil.

Le esperienze degli altri paesi dimostrano, infatti, che più occupazione femminile porta maggiore

serenità nelle famiglie, le quali diventano meno vulnerabili ed esposte al rischio povertà. Significa

più nascite, maggiori investimenti in servizi perché crescono domanda e bisogno e quindi nuovi

posti di lavoro. È stato fatto un conto che per 100 nuovi posti di lavoro per donne si creano altri

15 posti di lavoro in servizi, assistenza e altro.

Ma non si può più trascurare anche il crescente desiderio di protagonismo e di affermazione per-

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2009

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sonale delle donne, specialmente fra le più giovani, che desiderano tenere insieme maternità, la-

voro, carriera, e che vogliono essere giudicate in base al merito e avere eguali opportunità.

Tanto più se è l’intero sistema economico e sociale, che non può continuare a privarsi dei loro ta-

lenti e del loro sapere, pena il blocco della crescita e dello sviluppo del Paese.

Non più soltanto quindi una questione di “giustizia di genere”

Ma cosa ostacola questa possibilità di svolta sia dal punto di vista dei datori di lavoro che da una

caratteristica oggettiva del nostro sistema di welfare?

Oltre ai dati, l’esperienza che ci deriva dal contatto con le lavoratrici che si rivolgono al nostro uf-

ficio, ci dice che la difficoltà maggiore riguarda la conciliazione fra maternità e lavoro, fra lavoro

di cura e lavoro.

Occorrono azioni positive sul territorio, servizi educativi, servizi sociali, vantaggi fiscali, un adegua-

mento della legge 53 (conosciuta come legge sui congedi parentali), la costruzione, ad esempio,

di una sponda istituzionale, magari presso i centri per l’impiego, per l’utilizzo dell’articolo 9 della

legge 53 che finanzia alle aziende la progettazione per l’uso del tempo dei dipendenti.

Conciliazione fra maternità e lavoro e conciliazione fra lavoro e cura familiare quindi.

In sostanza si può dire che le dinamiche di conciliazione in grado di sorreggere, o meno, la pre-

senza delle donne sul mercato sono l’insieme di tre grandi sistemi:

• del mercato e delle imprese pubbliche e private, che costituisce la caratteristica produttiva loca-

le, con i diversi modelli organizzativi in tema di orari e tempi di lavoro, tipologie contrattuali e

culture del lavoro.

• familiare, che si riferisce sia alle aspettative individuali che ai patti negoziali di genere rispetto

alle responsabilità genitoriali e alle strategie organizzative della vita quotidiana;

• del welfare territoriale, caratterizzato dalla diversa quantità e qualità dei servizi offerti, sia dal

pubblico sia dal privato, a integrazione e sostegno dei bisogni delle famiglie durante il loro ci-

clo di vita: dalla prima infanzia agli anziani.

Certamente oggi il mercato del lavoro è molto cambiato: siamo di fronte ad una aumentata etero-

geneità dell’offerta, a nuovi bisogni soggettivi, alla differenziazione delle richieste e alle esigenze

della domanda. Tutto questo richiede una rivisitazione complessiva dei servizi per il lavoro e una

sua messa a sistema. Certamente utili, sarebbero dei luoghi specifici di informazione e orientamen-

to per le donne.

Bisogna ricordare che il 62% dell’utenza complessiva che ha presentato la domanda di iscrizione

ai Centri per l’impiego (CPI) della Provincia è donna.

C’è una parola che riassume tutto questo: flexisecurity, ed è alla base della strategia di Lisbona.

Sostanzialmente l’idea è di combinare alti tassi di occupazione con elevati livelli di sicurezza e di

mobilità sociale.

Nel modello ideale le trasformazioni e gli interventi di flexisecurity dovrebbero garantire a tutti

equità, dignità, autonomia, partecipazione e dovrebbero essere accompagnati da politiche di con-

ciliazione in cui la “buona flessibilità” si coniuga non solo con i bisogni e le esigenze del singolo,

ma della struttura familiare nel suo complesso.

Il cammino è ancora lungo, ma l’importante è imboccare la strada giusta.

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CONTRIBUTI

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bianca

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In questo articolo passeremo in rassegna l’attuale posizione della legge nei confronti di conviven-

ti di sesso opposto, dello stesso sesso e su come il sistema legale inglese regoli la loro posizione

quando la loro relazione va in crisi.

1. Introduzione

1.1 Durante i due passati decenni, le corti inglesi1 hanno dovuto considerare più frequentemente

la divisione di proprietà tra coppie conviventi al di fuori del matrimonio. Quando questo tipo

di relazioni si conclude, non sorprende che sorgano dispute sulla distribuzione della proprie-

tà condivisa. Per gli avvocati, la problematica rilevante concerne il modo in cui tali dispute

possono essere risolte.

1.2 In assoluto contrasto con alcune giurisdizioni che hanno una specifica legislazione al riguar-

do (in particolare, in alcuni stati dell’Australia o in Olanda), le dispute riguardanti la distribu-

zione e divisione delle proprietà condivise devono decidersi in accordo con la legge inglese

sulla proprietà e con i principi di equity. Semplicemente, e nonostante le richieste per un cam-

biamento, non esiste una legge speciale relativa alla divisione della proprietà condivisa tra i

conviventi come non c’è esplicita legge relativa ad una proprietà usata da membri di un club.

Quando una relazione finisce, coloro che decidono di vivere insieme, al di fuori del matrimo-

nio o in convivenza civile, non possono avanzare alcuna richiesta relativa ad un contributo fi-

nanziario nei confronti del proprio partner, sia che consista in capitale o retribuzione. La leg-ge di famiglia si applica solo quando la coppia ha figli insieme2.

Nonostante l’impegno nel dare assistenza a future coppie conviventi riguardo ai rischi di as-

sumere interessi in solido nella proprietà senza consultare un legale, non è realistico aspettar-

si che le coppie conviventi discutano «cosa succederà se ci lasceremo» più di coppie sposate

o registrate secondo diritto il civile. Inevitabilmente, un gran numero di coppie (sposate o me-

no, eterosessuali o omosessuali) non ha discusso e non ha stilato nessuno accordo relativo a

chi manterrà possesso della casa, e quando avviene la rottura della convivenza, tali soggetti si

trovano in una situazione vulnerabile. Gli avvocati sono inoltre ostacolati dal comune frainte-

so sullo status di “common law wife”: molti conviventi pensano di acquisire tale status dopo

un certo periodo di tempo. Questo concetto è stato abolito nel 1757.

89

EUROPA

1 Si deve notare che la Scozia è una giurisdizione separata a questi fini. Il Family Law (Scotland) Act 2006 cerca di risolvere le

ingiustizie reali che i conviventi che si separano devono sopportare.

2 La legge concernente la protezione, offerta alle ex coppie in cui è nato un figlio (Children’s Act 1989), non rientra negli in-

tenti di questo articolo.

DOBBIAMO VIVERE INSIEME?

Una rassegna della legislazione relativa a coppie non sposate e conviventi comproprietarie della loro abitazione in Inghilterra e in Galles

Suzanne ToddPartner, Withers LLP

Michael Wells-GrecoSolicitor, Withers LLP

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1.3 Risolvere dispute sulla proprietà tra ex conviventi è un procedimento costoso e, molto spesso,

estremamente laborioso. Il miglior consiglio che gli avvocati possono dare è di preparare al-

meno una scrittura fiduciaria (deed of trust) prima dell’acquisto della proprietà per definire le

quote nella proprietà, prima che la relazione deteriori, e/o considerare di stilare un accordo di

convivenza3 per definire consensualmente la divisione degli averi in caso di separazione.

1.4 Questo articolo sintetizza la legge e la prassi in questo settore riferendo alla recente giurispru-

denza nella decisione della House of Lords in Stack v Dowden. Ma prima di procedere ponia-

mo attenzione alle parole della Baronessa Hale:

“In diritto ‘il contesto è tutto’ e il contesto domestico è assai diverso dal mondo commercia-le. Ogni caso si basa sui suoi propri fatti. Molti fattori ulteriori al contributo finanziario pos-sono essere rilevanti per predire le reali intenzioni delle parti”.

1.5 Vero, il contesto è tutto; può però applicarsi il medesimo commento alle coppie sposate o re-

gistrati “same sex partners”, che nel caso di rottura della relazione, possono rivolgersi all’arse-

nale dei poteri dati alle corti rispettivamente dal Matrimonial Causes Act 1973 e dal Civil Par-tnership Act 2004? Perché, dunque, le ex coppie conviventi senza figli rimangono in un’area

legislativa descritta come “fumosa e complicata” dal Commissario Capo nel Cohabitation Pa-per del maggio 2006, “semplicemente ingiusta” da parte della Solicitor’s Family Law Associa-tion e “scorretta, ingiusta e illogica” da parte della Commissione Legislativa nel 1996? Per una

società ossessionata dalla protezione di coloro che, così come noi riteniamo, sono vulnerabi-

li, citando erroneamente la Baronessa Hale, quale “contesto” impedirebbe al Governo inglese

(dopo 15 anni che la Commissione Legislativa considera una riforma) di legiferare sulla pro-

tezione del convivente debole nonostante le richieste di cambiamento?

2. La legge inglese sulla proprietà/i principi di equity:qual è l’approccio attuale delle corti inglesi e del Gal-les sulle cause relative alla proprietà tra ex conviventi?

2.1 Espressa dichiarazione fiduciariaa) La prima domanda da fare è: le parti hanno eseguito una scrittura fiduciaria dichiarando

la proprietà dell’immobile? Per far ciò devono soddisfare i requisiti della sezione 53(1)(a)

del Law of Property Act 1925. Se ciò non è avvenuto, gli avvocati devono controllare se

ci siano documenti sottoscritti espressamente relativi all’interesse di beneficiario, come il

contratto di vendita (raramente) o alienazione o trasferimento della proprietà. Se esiste

una dichiarazione espressa e per iscritto (che includa i termini relativi al trasferimento), la

proprietà dell’immobile sarà governata secondo questi termini. Questo annullerà ogni ini-

qua contribuzione al prezzo di acquisto. Solo nel caso in cui non ci sia espressa dichia-

razione fiduciaria per iscritto, la Corte è costretta a prendere in considerazione se il trustè stato creato in maniera informale, ossia da quello che è chiamato resulting o construc-tive trust (vedi di seguito).

2.2 Resulting trust

Una parte che contribuisce all’acquisizione di una proprietà nel nome di un’altra parte, in cui

non vi è però intenzione o prova che tale contributo sia a titolo di donazione o prestito, crea

un resulting trust. Nella maggioranza dei casi non ci sarà quell’intenzione o prova richiesta e

l’immobile sarà di proprietà in proporzione al contributo fatto dalle parti al prezzo di acqui-

sto. Tuttavia, in molti casi relativi a conviventi sarà preferibile fare affidamento ai princìpi di

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2008

3 Vale la pena menzionare che gli accordi relativi alla convivenza non sono inequivocabilmente vincolanti, specialmente quan-

do vi sono figli nati durante la relazione, ma sono invece documenti persuasivi se concordati e redatti in maniera consona.

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constructive trust come strumento che consente all’attore di tentare di conseguire una maggio-

re quota nella proprietà.

2.3 Constructive trust e trust implicitoa) Un constructive trust (o trust implicito) sorgerà quando vi è:

1. prova di una comune intenzione (sia tramite accordo, disposizione o comprensione

dedotti dalla condotta delle parti) a che le parti siano entrambe beneficiarie in soli-

do della proprietà dell’immobile e

2. l’attore abbia agito a suo danno basandosi su tale comune intenzione.

b) Di conseguenza è necessario stabilire se l’attore ha un interesse di beneficiario nella pro-

prietà e, in caso affermativo, è possibile passare alla quantificazione della portata di tale

interesse.

2.4 Stabilire un interesse

a) La principale attenzione si focalizza sul se le parti abbiano espressamente discusso e de-

ciso d’accordo che l’attore dovrebbe avere diritto a tale interesse: vedi Lloyds Bank v Ros-set da parte di Lord Bridge:

“La prima e fondamentale questione è se... ci sia stato un accordo, una disposizione ocomprensione raggiunta tra le parti riguardo alla divisione beneficiaria della proprietà.Una volta accertato ciò, sarà solamente necessario che la parte faccia causa per un inte-resse in qualità di beneficiario contro la parte avente diritto all’immobile legale per mo-strare che questi ha agito a suo danno o ha significativamente alterato la sua posizionedipendente dall’accordo al fine di creare un constructive trust o una preclusione sulla pro-prietà”.

b) Se non c’è espresso accordo, la Corte deve esaminare la condotta nelle negoziazioni tra

le parti per tentare di dedurre la comune intenzione. Questo avviene, quando si crea il

problema del diretto contributo finanziario all’acquisizione della proprietà. In Rosset Lord

Bridge proseguí:

“Il contributo diretto al prezzo di acquisto dalla parte che non è legale proprietario, ini-zialmente o tramite il pagamento delle rate del mutuo, giustificherebbe immediatamentela deduzione necessaria a creare un constructive trust. Ma... è molto in dubbio se qual-

cosa in meno darebbe lo stesso effetto”4.

c) Pare che la legge abbia progredito rispetto a tale argomento. Potrebbe anche essere pos-

sibile che il dicta della Legge dei Lords in Stack v Dowden esposto in seguito (anche se

in quel caso si trattava di proprietà in solido e non in nome di un solo convivente) com-

porti il venir meno della necessità di stabilire un contributo patrimoniale all’acquisto, al

fine di vincere in un’azione promossa per ottenere un interesse di beneficiario.

2.5 Quantificare l’interesse

a) Se, e solo se, è possibile determinare un interesse in qualità di beneficiario allora il pro-

blema sorge sulla portata (quantificazione) di tale interesse. I principi sono sintetizzati da

J. Neuberger in The Mortgage Corporation v Shire&Others.

b) Una volta che un interesse di beneficiario sia stato stabilito, e a condizione che non ci

fosse espresso accordo riguardo alle quote, la Corte può adottare un ampio approccio nel

determinare l’interesse – la Corte guarderà in complesso all’intero corso delle condotta

delle parti – Midland Bank v Cooke (1995).

91

EUROPA

4 Sosteniamo di seguito che la legge è evoluta dopo Lloyds Bank v Rosset.

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c) La Corte è consapevole dell’impatto che il fatto di avere una famiglia può avere sulla con-

dotta delle parti e dell’abilità a contribuire al pagamento delle rate del mutuo. Questo è

stato sottolineato in un recente caso davanti la Corte d’Appello che ha sottoposto a revi-

sione quest’area legislativa in Oxley v Hiscock. Nel 1986, a seguito della proposta del si-

gnor Hiscock (H), la signora Oxley (O) esercitò il suo diritto di acquistare la sua proprie-

tà; questa aveva diritto ad uno sconto di £20,000 dal prezzo di vendita. Il saldo del prez-

zo di acquisto fu corrisposto da H al di fuori dell’incasso della vendita della sua abitazio-

ne precedente (£45,200).

d) H ha avuto un addebito pari al suo contributo e interesse. Successivamente ha rinuncia-

to al riscatto dell’addebito compiuto sulla vendita della proprietà. Le parti acquistarono un

immobile in 35 Dickens Close nel 1991 per una cifra pari a £127,000. L’acquisto era finan-

ziato come segue:

• mutuo sulla proprietà: £30,000;

• netto incasso di vendita della proprietà in 39 Page Close: £61,500;

• saldo dai risparmi di H: £35,500;

• totale: £127,000;

contributo di H: - 47.8%;

contributo di O: - 28.5%.

e) La proprietà fu acquistata nel solo nome di H con un mutuo. La relazione terminò nel

2001 e la casa fu venduta per un prezzo di £232,000. O richiese una quota del 50% sulla

base dell’espresso accordo tra lei stessa e H. H negò l’esistenza di tale accordo. Il giudi-

ce deliberò in favore di O, sul fatto dell’esistenza dell’accordo, ma non sul fatto che tale

accordo fosse espressamente del 50/50. Tuttavia, lei sostenne che si trattava del “classicocaso di raggruppamento di risorse” mostrando che “entrambi intendevano condividere ibenefici e gli oneri della proprietà in solido e in ugual modo”. Il giudice emise un ordine

nei confronti di H di compensare ciò che aveva già pagato a O fino al 50% degli interes-

si di equity nella proprietà.

f) H fece appello e obiettò che la quota di O sarebbe dovuta essere del 22%. La Corte di

Appello stabilí che O aveva diritto a una quota del 40% sulla base “che ciascuno avevadiritto alla quota ritenuta equa da parte della Corte, tenuto conto di tutti gli accordi tra leparti in relazione alla proprietà” (Lord Justice Chadwick). Questo include accordi relativi

alle spese della proprietà e alle mansioni domestiche, che devono essere eseguite nel ca-

so in cui questi vivano in quella proprietà come fosse loro abitazione.

g) In effetti, la Corte decise che il 50/50 sarebbe stato ingiusto per H perché aveva contri-

buito in maggior misura con somme liquide, ma considerato il “raggruppamento di risor-se” era ingiusto registrare i fondi del mutuo come contributo effettuato unicamente da H

perché solamente in suo nome. Questo sottolinea i problemi degli avvocati in quest’am-

bito in quanto conferma che la Corte ha possibilità di adottare un ampio orientamento

nella determinazione delle rispettive quote delle parti.

h) In Stack v Dowden, la coppia acquistò una casa in nome di entrambi e con mutuo in

solido e finanziato da D. Il trasferimento della proprietà non conteneva alcuna espres-

sa dichiarazione e non vi fu alcuna discussione in merito alle quote di beneficiario. Du-

rante la relazione entrambi adempirono al pagamento del mutuo e S apportò ulteriori

contributi riguardanti i premi relativi a interesse/assicurazione. D notificò l’avviso di se-

parazione e S cercò una dichiarazione riguardante le loro titolarità quali comproprieta-

ri in eguali quote. D obiettò che S aveva diritto solamente al 35%, tenuto conto della

sproporzione del contributo dato per il pagamento del prezzo di vendita. La Corte

d’Appello dichiarò che S aveva diritto al 65% dell’incasso della vendita. Un acquisto in

solido è chiara prova della comune intenzione di avere un interesse di beneficiario.

Tuttavia, la Corte dovette determinare la portata di quegli interessi tenendo conto della

92

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2008

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condotta delle parti e deducendo la loro comune intenzione. La Corte applicò Oxley vHiscock e avendo riguardo all’intero corso del procedimento decise ciò che era giusto

fare.

i) Il caso passò in appello alla House of Lords sul seguente problema: se il trasferimento di

proprietà in solido in nome di entrambi indichi solo che si considera che ciascuna parte

abbia qualche interesse di beneficiario ma nulla si dica sulla portata di tale interesse, op-

pure se tale trasferimento di proprietà stabilisca un caso che, in prima istanza, mostri so-

lidali ed uguali interessi di beneficiari, salvo prova contraria. Fu stabilito che un trasferi-

mento in solido indica una locazione legale e solidale in qualità di beneficiari (salvo pro-

va contraria). L’onere della prova è sulla parte che cerchi di provare che i loro sottointe-

si interessi di beneficiari sono diversi dagli interessi per legge. Numerosi fattori possono

essere rilevanti per determinare le reali intenzioni quali: contributi finanziari; consulenza

e discussioni ai tempi dell’acquisto; motivi dell’acquisto dell’abitazione in nome singolo o

in solido; lo scopo acquisito dall’abitazione; la natura della relazione tra le parti; se sono

nati figli dalla relazione; modalità del finanziamento iniziale e susseguente dell’abitazio-

ne; modalità di predisposizione delle proprie finanze da parte delle parti. Nello stabilire

se essi devono egualmente spartire benefici/oneri, è meno rilevante compiere un severo

calcolo aritmetico dei rispettivi contributi rispetto al fatto che entrambi abbiano contribui-

to nei limiti delle loro possibilità. È anche possibile che le intenzioni cambino nel tempo

e che quindi l’intenzione ai tempi dell’acquisto per uguali quote possa cambiare se, ad

esempio, una delle parti finanzi un costoso ampliamento cosicché ciò che le parti hanno

ora è diverso da quello che avevano un tempo.

j) Ciò che è chiaro da Stack v Dowden è che la legge “ha indubbiamente progredito”5 rispet-

to alle parole di Lord Bridge in Lloyds Bank v Rosset (vedi paragrafo 2.4 b) sopra) e oggi,

nei casi di proprietà immobiliare in nome unico, non è più vero che la sola condotta che

conta è il contributo al prezzo di pagamento della proprietà: deve essere esaminato l’in-

tero corso delle negoziazioni delle parti durante la loro relazione. Questa posizione è sta-

ta seguita e discussa nei più recenti casi Abbott v Abbott e Fowler v Barron e, nell’opinio-

ne degli autori, questo è senz’altro un fatto positivo ma, se sia anche appropriato fare af-

fidamento a princìpi di equità, sollevati dall’avvocato durante procedimenti civili e non in

procedimenti di famiglia, è ancora questione lasciata irrisolta. Benché le corti abbiano il

dovere di tenere in considerazione la reale situazione della relazione di un’ex coppia di

conviventi al fine di stabilire cosa è giusto, quando si tratta di dividere la proprietà, può

e deve esserci una soluzione migliore rispetto all’incertezza e ingiustizia causata dalla pre-

sente legislazione non codificata.

2.6 Proprietary estoppel

a) Un’altra esoterica dottrina di equità, secondo la quale può essere promossa azione per un

interesse nella proprietà, si ha quando una persona ha fatto una promessa o ha dato ga-

ranzia ad altra persona su cui la prima fa affidamento a suo danno e sarebbe iniquo per

la persona che ha compiuto tale promessa rinnegarla. È spesso utilizzata come difesa con-

tro azioni possessorie in cui i parenti cercano di riottenere la proprietà a seguito della

morte di uno dei parenti. Nel caso Matharu è disposta una lista di fattori da soddisfarsi

al fine di vincere la causa.

b) La dottrina è flessibile per quanto riguarda i rimedi ed è stata utilizzata in vari modi, ad

esempio per dare il diritto ad un attore di occupare la proprietà per il resto della sua vi-

93

EUROPA

5 Baroness Hale in Abbott v Abbott.

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ta (e.g. Drake v Whipp) o in Matharu in cui la fattoria fu trasferita al gestore della fatto-

ria e alla sua famiglia (avendo questi fatto affidamento sulle garanzie fatte dal proprieta-

rio che aveva agito a loro danno poiché lavorarono senza essere retribuiti).

3. A che punto siamo ora?

Nel 2007 la Commissione Legislativa (a seguito di consultazione) raccomandò una modifica della

legislazione per garantire maggiore certezza e ridurre la situazione di vulnerabilità dei partner con-

viventi nel momento della rottura della convivenza.

Tuttavia, sembra non esservi alcuna volontà da parte della classe politica di modificare questa ma-

teria, poiché il Governo Britannico ha lasciato questo problema in fondo alla lista delle priorità, af-

fermando che vuole prima osservare le implicazioni di spesa date dalla recente introduzione della

legge sulla convivenza in Scozia nel 2006 (dove il sistema legale è diverso e comporta ben poche

similitudini con le proposte della Commissione Legislativa inglese).

Come conseguenza, al momento i conviventi continueranno a fare ricorso all’insoddisfacente vi-

gente legge di proprietà e al trust, in cui le cause verranno decise sulla base di dottrine di equità,

che anche molti avvocati hanno difficoltà a comprendere. Molti casi cambiano direzione a secon-

da dei fatti su cui si basano e possono risultare estremamente costosi e di lunga durata nel cerca-

re di stabilire l’intenzione delle parti.

L’unico modo che i clienti hanno per proteggersi è di definire le quote di proprietà al momento

dell’acquisizione. I conviventi possono considerare anche la possibilità di concludere accordi di

convivenza, che (diversamente dagli accordi prematrimoniali) sono vincolanti e garantiscono più

diritti di quelli di cui sono titolari secondo la normativa vigente. Se i conviventi non compiono ta-

li azioni, ed è forse troppo ottimistico aspettarsi che lo facciano, ai clienti non rimane che cercare

rimedio davanti alle corti civili.

Riferimenti dei casi citati1. Lloyds Bank -v- Rosset [1991] 1 AC 107 at 132

2. The Mortgage Corporation -v- Shire & Others [2000] 1 FLR 973

3. Drake -v- Whipp [1996] 1 FLR 826

4. Oxley -v- Hiscock [2004] EWCA Civ 546

5. Stack -v- Dowden [2007] UKHL 17

6. Abbott -v- Abbott [2007] UKPC 53

7. James -v- Thomas [2007] EWCA Civ 1212

8. Matharu [1994] 2 F.L.R. 597

94

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2008

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Il Parlamento europeo,

– visti gli articoli 2, 3, paragrafo 2, e 141 del trattato CE,

– visto l’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea1,

– viste la relazione della Commissione del 23 gennaio 2008 sulla parità tra le donne e gli uomi-

ni-2008 (COM(2008)0010) (“La relazione della Commissione sulla parità”) e le relazioni degli

anni precedenti (COM(2001)0179, COM(2002)0258, COM(2003)0098, COM(2004)0115,

COM(2005)0044, COM(2006)0071 e COM(2007)0049),

– vista la comunicazione della Commissione del 1° marzo 2006, intitolata “Una tabella di marcia

per la parità tra donne e uomini 2006-2010” (COM(2006)0092),

– vista la decisione 2001/51/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2000, relativa al programma con-

cernente la strategia comunitaria in materia di parità tra donne e uomini (2001-2005)2,

– visto il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell’11 luglio 2006, recante disposizioni

generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di

coesione3, in particolare il suo articolo 16, paragrafo 1,

– visto il Patto europeo per la parità di genere, adottato dal Consiglio europeo di Bruxelles del

23 e 24 marzo 2006,

– vista la dichiarazione comune, adottata il 4 febbraio 2005, dai ministri per le pari opportunità

degli Stati membri,

– vista la sua risoluzione del 9 marzo 2004 sulla conciliazione della vita professionale, familiare

e privata4,

– vista la sua risoluzione del 24 ottobre 2006 sull’immigrazione femminile: ruolo e posizione del-

le donne immigrate nell’Unione europea5,

– vista la sua risoluzione del 26 aprile 2007 sulla situazione delle donne portatrici di handicap

nell’Unione europea6,

– vista la sua risoluzione del 13 marzo 2007 su una tabella di marcia per la parità tra donne e

uomini (2006-2010)7,

– vista la sua risoluzione del 19 giugno 2007 su un quadro regolamentare per misure di conci-

liazione della vita familiare e degli studi per le giovani donne nell’Unione europea8,

95

EUROPA

1 GU C 364 del 18.12.2000, p. 1

2 GU L 17 del 19.1.2001, p. 22.

3 GU L 210 del 31.7.2006, p. 25.

4 GU C 102 E del 28.4.2004, p. 492.

5 GU C 313 E del 20.12.2006, p. 118.

6 GU C 74 E del 20.3.2008, p. 742.

7 GU C 301 E del 13.12.2007, p. 56.

8 GU C 146 E del 12.6.2008, p. 112.

RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO DEL 3 SETTEMBRE 2008 SULLA PARITÀ TRA LE DONNE E GLI UOMINI - 2008 (P6_TA(2008)0399)

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– vista la sua risoluzione del 27 settembre 2007 sulla parità tra donne e uomini nell’Unione eu-

ropea-20079,

– vista la sua risoluzione del 17 gennaio 2008 sul ruolo delle donne nell’industria10,

– vista la sua risoluzione del 12 marzo 2008 sulla situazione delle donne nelle aree rurali del-

l’UE11,

– vista la sua risoluzione del 13 marzo 2008 sulla situazione particolare delle donne in prigione

e l’impatto della carcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare12,

– visto il comitato paritetico per le pari opportunità per le donne e gli uomini e il suo parere sul

divario retributivo fra uomini e donne, adottato il 22 marzo 2007,

– visto il quadro d’azione sulla parità di genere adottato dalle parti sociali europee il 22 marzo

2005,

– visto l’articolo 45 del suo regolamento,

– visti la relazione della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e i pa-

reri della commissione per l’occupazione e gli affari sociali e della commissione per la cultu-

ra e l’istruzione (A6-0325/2008),

– considerando che l’uguaglianza tra donne e uomini è uno dei principi fondamentali dell’Unio-

ne europea, riconosciuto dal trattato che istituisce la Comunità europea e dalla Carta dei dirit-

ti fondamentali dell’Unione europea; considerando che, nonostante i significativi progressi

compiuti in tale campo, continuano a sussistere molte disuguaglianze fra donne e uomini,

– considerando che la violenza contro le donne rappresenta un notevole ostacolo per la parità

fra donne e uomini, che essa è una delle più diffuse violazioni dei diritti umani, senza limiti

geografici, economici o sociali, e che il numero di donne vittime di violenze è allarmante,

– considerando che l’espressione “violenza contro le donne” indica ogni atto di violenza fonda-

ta sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un

danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali

atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o

privata,

– considerando che la tratta di esseri umani ai fini dello sfruttamento sessuale costituisce una

violazione inaccettabile dei diritti umani e che si tratta di una forma moderna di schiavitù, stret-

tamente collegata ad altre forme di criminalità, che pregiudica notevolmente tutti gli sforzi at-

ti a garantire l’uguaglianza tra donne e uomini,

– considerando che la promozione di una politica imprenditoriale basata sulla flessibilità nel

mercato del lavoro non deve essere orientata prima di tutto alle esigenze delle imprese o del-

le amministrazioni pubbliche, ma che una politica della flessibilità deve innanzitutto avere co-

me punto di partenza i tempi di cui le donne e gli uomini hanno bisogno per assumersi con

serietà le relative responsabilità in seno alla famiglia,

– considerando che la Strategia europea per l’occupazione non prevede più né orientamenti spe-

cifici in materia di parità di genere né il pilastro “pari opportunità”,

– considerando che il divario tra i sessi per quanto riguarda l’occupazione indica la persistenza

di disparità qualitative e quantitative tra le donne e gli uomini,

– considerando che il divario nella retribuzione si è stabilmente assestato sul 15% dal 2003, scen-

dendo di un solo punto dal 2000,

– considerando che la segregazione settoriale e professionale tra donne e uomini non è dimi-

nuita e, anzi, in alcuni paesi è persino aumentata,

– considerando che la partecipazione delle donne al processo decisionale è un indicatore deci-

sivo della parità fra donne e uomini e che la presenza di donne dirigenti nelle imprese e nel-

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2008

9 Testi approvati, P6_TA(2007)0423.

10 Testi approvati, P6_TA(2008)0019.

11 Testi approvati, P6_TA(2008)0094.

12 Testi approvati, P6_TA(2008)0102.

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le università rimane esigua, mentre progredisce assai lentamente in campo politico o della ri-

cerca,

– considerando come gli stereotipi, che persistono ancora oggi quando si tratta della scelta del-

l’orientamento del corso di studi e professionale delle donne, contribuiscano alla persistenza

delle disuguaglianze,

– considerando che gli obiettivi di Lisbona consistenti nel generare la crescita e promuovere

l’economia sociale di mercato possono essere conseguiti unicamente avvalendosi pienamente

del significativo potenziale delle donne nel mercato del lavoro,

– considerando che vi è il rischio, in particolare per le donne, di lavoro a tempo parziale “for-

zato”, una scelta che spesso viene loro imposta a causa dell’assenza di strutture per la cura

dell’infanzia a prezzi accessibili,

– considerando una serie di sfide e di difficoltà cui le donne devono, più degli uomini, far fron-

te, in particolare la qualità dell’occupazione, la situazione delle mogli che “aiutano” in alcuni

settori, quali l’agricoltura o la pesca e le piccole imprese a conduzione familiare, la sanità e la

sicurezza sul lavoro e la protezione della maternità, nonché l’esposizione delle donne a un ri-

schio più elevato di povertà,

– considerando che, sia per gli uomini che per le donne, i tassi di occupazione sono più esigui

nelle zone rurali; che molte donne non risultano inoltre mai attive nel mercato del lavoro uf-

ficiale e che pertanto non sono né registrate come richiedenti lavoro, né prese in considera-

zione nelle statistiche sulla disoccupazione, con conseguenti problemi finanziari e giuridici

specifici per quanto riguarda l’accesso ai congedi di maternità e di malattia, l’acquisizione di

diritti a pensione e l’accesso alla sicurezza sociale, nonché difficoltà in caso di divorzio; che

le aree rurali sono gravemente interessate dalla mancanza di posti di lavoro di qualità,

– considerando le condizioni di taluni gruppi di donne, spesso confrontate a maggiori difficol-

tà e rischi combinati, nonché a una doppia discriminazione, in particolare le donne disabili, le

donne con persone a carico, le donne anziane, le donne appartenenti a minoranze, le donne

immigrate e le donne detenute, mostrano segni di deterioramento,

– considerando che vi sono sempre notevoli differenze tra le donne e gli uomini in tutti gli al-

tri aspetti relativi alla qualità dell’ambiente di lavoro, ad esempio la conciliazione della vita

professionale e della vita privata, l’organizzazione del lavoro che non sfrutta appieno le capa-

cità personali, nonché nell’ambito della sanità e della sicurezza sul lavoro; che i tassi di occu-

pazione delle donne con figli a carico raggiungono solo il 62,4%, rispetto al 91,4% degli uo-

mini; che la partecipazione delle donne al mercato del lavoro à ancora ampiamente caratteriz-

zata da un’elevata e sempre più crescente quota di lavoro parziale, pari al 31,4% per le don-

ne nell’Unione europea a 27, nel 2007, rispetto al 7,8% degli uomini, e che il 76,5% dei lavo-

ratori a tempo parziale sono donne; che anche i contratti di lavoro a tempo determinato sono

più frequenti tra le donne (15,1%, ossia un punto in più rispetto agli uomini); che la disoccu-

pazione di lunga durata è sempre molto più frequente per le donne (4,5%) che per gli uomi-

ni (3,5%),

– considerando che il rischio di povertà è più elevato per le donne che per gli uomini, in par-

ticolare per le persone che hanno più di 65 anni (21%, ossia cinque punti percentuali in più

rispetto agli uomini),

– considerando che la riconciliazione della vita professionale, familiare e privata resta una que-

stione irrisolta per le donne e per gli uomini,

– considerando che le parti sociali svolgono un ruolo importante nel definire e attuare in modo

efficace le misure per la parità tra uomini e donne a livello europeo, nazionale, regionale, set-

toriale e d’impresa,

– considerando che la condivisione delle responsabilità familiari e domestiche tra gli uomini e

le donne, in particolare mediante la valorizzazione dell’utilizzo del congedo parentale e di pa-

ternità, è una condizione indispensabile per la promozione e la realizzazione della parità tra

donne e uomini, e che la mancata inclusione dei congedi di maternità e parentali nel calcolo

del tempo di lavoro complessivo è discriminatoria e comporta uno svantaggio per le donne

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EUROPA

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nel mercato del lavoro,

– considerando che l’accesso a servizi di cura dell’infanzia, degli anziani e di altre persone non

autonome è essenziale per assicurare una partecipazione paritetica degli uomini e delle don-

ne al mercato del lavoro, all’istruzione e alla formazione,

– considerando che, ai sensi dei regolamenti dei Fondi strutturali, gli Stati membri e la Commis-

sione sono tenuti ad assicurare che la parità fra le donne e gli uomini e l’integrazione della

prospettiva di genere siano promossi durante le varie fasi di attuazione dei fondi,

1. si compiace della summenzionata relazione della Commissione sulla parità di genere e ribadi-

sce la doppia natura della politica sulla parità di opportunità a livello dell’Unione europea, che

da un lato assicura che la parità tra uomini e donne sia rispettata in tutti gli ambiti politici (in-

tegrazione della dimensione di genere) e, dall’altro, riduce, con interventi specifici, la discri-

minazione nei confronti delle donne, compresi campagne di sensibilizzazione, scambio di

buone pratiche, dialoghi con i cittadini e iniziative di partenariato pubblico-privato;

2. sottolinea l’importanza di combattere la violenza contro le donne per raggiungere la parità fra

donne e uomini; invita pertanto gli Stati membri e la Commissione a intraprendere un’azione

concertata in tale ambito; esorta la Commissione a esaminare la possibilità di intraprendere

nuove misure per combattere la violenza contro le donne;

3. invita la Commissione e gli Stati membri a unire i loro sforzi nella lotta contro la criminalità

organizzata e le reti di traffici, nonché ad adottare e rafforzare misure legislative, amministra-

tive, educative, sociali e culturali volte a scoraggiare la domanda di prostituzione;

4. invita gli Stati membri a ratificare senza indugio la convenzione del Consiglio d’Europa sulla

lotta contro la tratta degli esseri umani;

5. reputa che nel complesso la partecipazione delle donne al processo decisionale, a livello lo-

cale, nazionale e dell’Unione europea, sia insufficiente; invita pertanto la Commissione, gli Sta-

ti membri e i partiti politici a prendere in considerazione azioni volte a migliorare la situazio-

ne; sottolinea, a questo proposito, gli effetti positivi dell’uso delle quote elettorali sulla rappre-

sentanza delle donne;

6. sottolinea la correlazione fra la partecipazione delle donne alla politica e al processo decisio-

nale e il loro coinvolgimento in ONG e nelle attività della società civile; esorta pertanto la

Commissione e gli Stati membri a sostenere azioni volte a promuovere tale coinvolgimento;

7. sottolinea l’importanza del coinvolgimento attivo delle donne nei sindacati con compiti incen-

trati sulla protezione delle donne nel posto di lavoro e sulla concessione alle donne dei dirit-

ti che spettano loro;

8. prende atto dell’importanza del fatto che le donne abbiano il controllo dei propri diritti ses-

suali e riproduttivi; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l’accesso delle

donne ai servizi della salute sessuale e riproduttiva e ad aumentare la consapevolezza dei lo-

ro diritti e dei servizi disponibili;

9. invita la Commissione e gli Stati membri ad adottare le misure necessarie ad attuare l’integra-

zione della dimensione di genere in tutte le politiche sociali e in materia di occupazione e si-

curezza sociale, in particolare nella strategia di flessicurezza, e a combattere ogni forma di di-

scriminazione;

10. sostiene le misure promosse dal Fondo sociale europeo e dal programma PROGRESS per il

periodo 2007-2013 che migliorano la situazione delle donne nel mercato del lavoro e a pro-

muovere ulteriormente la lotta alla discriminazione;

11. manifesta la sua preoccupazione dinanzi alla mancanza di progressi per quanto riguarda il di-

vario nella retribuzione, nel corso degli ultimi anni; esorta pertanto la Commissione e gli Sta-

ti membri a valutare le strategie e le azioni in tale ambito e, ove opportuno, a stabilire, in col-

laborazione con le parti sociali, nuove misure, o nuovi approcci nell’applicazione delle misu-

re esistenti, per migliorare la situazione; a tal riguardo, sostiene la proposta della commissio-

ne consultiva per le pari opportunità volta a rendere più rigorosa la legislazione europea ap-

plicabile in materia, imponendo ai datori di lavoro l’obbligo di eseguire verifiche sui salari e

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2008

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di elaborare piani d’azione specifici atti a colmare il divario salariale; sottolinea la necessità di

un’azione concertata, soprattutto nel contesto del nuovo ciclo della strategia europea per la

crescita e l’occupazione, e di principi comuni di flessicurezza;

12. manifesta preoccupazione per la situazione svantaggiata delle donne nel mercato del lavoro

che si traduce in un’acquisizione di meno diritti individuali per quanto riguarda la pensione e

altri contributi sociali, in particolare nei sistemi in cui tali diritti sono prevalentemente collega-

ti ai contributi o ai redditi di tipo professionale dell’interessato; sollecita pertanto gli Stati mem-

bri ad adottare misure efficaci che garantiscano il rispetto delle norme sociali e un lavoro tu-

telato da diritti nei diversi settori d’attività, assicurando in tal modo una retribuzione dignitosa

ai lavoratori e, in particolare, alle donne, il diritto alla sicurezza e alla salute sul lavoro, alla

protezione sociale e alla libertà sindacale e contribuendo ad eliminare la discriminazione tra

donne e uomini sul posto di lavoro;

13. chiede agli Stati membri di sostenere la Commissione nella sua azione di controllo dell’attua-

zione delle misure nazionali, al fine di valutare il rispetto del principio di parità di trattamen-

to per quanto riguarda, in particolare, i diritti e i regimi pensionistici e di sicurezza sociale;

14. chiede alle istituzioni comunitarie e agli Stati membri di istituire la giornata internazionale del-

la parità retributiva il 22 febbraio;

15. è preoccupato a seguito della persistente discrepanza fra il livello d’istruzione delle donne e

degli uomini, da un lato, allorché il livello d’istruzione delle donne è superiore rispetto a quel-

lo degli uomini, e la situazione sul mercato del lavoro, dall’altro, dove le donne percepiscono

salari inferiori, ottengono impieghi più precari e avanzano più lentamente nella carriera rispet-

to agli uomini; esorta la Commissione e gli Stati membri a esaminare le ragioni di tale situa-

zione e a trovarvi delle soluzioni;

16. raccomanda agli Stati membri di promuovere con decisione l’uguaglianza di trattamento tra

alunni e di prendere misure contro la segregazione lavorativa ancora esistente nel settore del-

l’istruzione, in cui la percentuale di insegnanti donne nella scuola materna e primaria supera

ampiamente la percentuale nelle scuole secondarie, che fanno registrare una presenza maschi-

le più forte e sono più interessanti in termini di riconoscimento, retribuzione e considerazio-

ne sociale;

17. propone alla Commissione di studiare l’approvazione di misure intese a promuovere tra le

donne e gli uomini la scelta di itinerari accademici scientifici e tecnologici, al fine di accresce-

re l’offerta di professioniste nel relativo settore e rispondere alla domanda espressa;

18. invita la Commissione e gli Stati membri ad adottare ulteriori misure per migliorare l’accesso

e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in particolare nei settori in cui sono sot-

torappresentate, quali l’alta tecnologia, la ricerca, la scienza e l’ingegneria, nonché a migliora-

re la qualità dell’occupazione delle donne, in particolare mediante programmi di apprendi-

mento e istruzione lungo tutto l’arco della vita e a tutti i livelli; invita la Commissione e gli Sta-

ti membri ad utilizzare i Fondi strutturali europei per conseguire questo obiettivo;

19. invita la Commissione e gli Stati membri a prestare attenzione alla situazione dei coniugi che

aiutano nell’artigianato, nel commercio, nell’agricoltura, nella pesca e nelle piccole imprese a

conduzione familiare, dalla prospettiva della parità fra i generi e tenendo conto del fatto che,

rispetto agli uomini, la posizione delle donne è più vulnerabile; invita la Commissione a pre-

sentare senza indugio una proposta di modifica della direttiva 86/613/CEE relativa all’applica-

zione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’at-

tività autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della

maternità13, al fine di eliminare la discriminazione indiretta, di sviluppare un obbligo positivo

di parità di trattamento e di migliorare la situazione giuridica dei coniugi coadiuvanti;

20. chiede agli Stati membri di sviluppare la figura giuridica della titolarità congiunta, affinché sia-

99

EUROPA

13 GU L 359 del 19.12.1986, p. 56.

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no pienamente riconosciuti i diritti delle donne nel settore agricolo, sia loro accordata la re-

lativa protezione in materia di sicurezza sociale e sia assicurato il riconoscimento del loro la-

voro;

21. incoraggia gli Stati membri a promuovere l’imprenditorialità femminile nel settore industriale

e a fornire assistenza finanziaria e strutture di consulenza professionale alle donne che costi-

tuiscono società, nonché una formazione adeguata;

22. invita gli Stati membri ad attribuire una particolare attenzione alla disponibilità di strutture a

sostegno della maternità per le donne che esercitano un’attività autonoma;

23. invita la Commissione e gli Stati membri a tenere particolarmente conto della situazione del

crescente numero di lavoratori che esercitano un’attività formalmente autonoma, ma che pos-

sono in realtà essere classificati come “lavoratori economicamente dipendenti”;

24. invita gli Stati membri a riconoscere le imprese che attuano misure per promuovere la parità

tra le donne e gli uomini e per facilitare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata, al fi-

ne di favorire le buone pratiche in questo ambito;

25. invita la Commissione e gli Stati membri ad attribuire la priorità e a tenere particolarmente con-

to dei gruppi di donne più vulnerabili, in particolare delle donne disabili, delle donne con per-

sone a carico, delle donne anziane, delle donne appartenenti a minoranze etniche e delle don-

ne immigrate e delle donne detenute, e a elaborare misure specifiche per far fronte alle loro

necessità;

26. invita la Commissione e gli Stati membri ad adottare e attuare le misure necessarie per aiuta-

re le donne disabili ad avanzare nei settori della vita sociale, professionale, culturale e politi-

ca in cui sono ancora sottorappresentate;

27. invita la Commissione e gli Stati membri a promuovere l’accesso delle donne immigranti al-

l’istruzione e all’impiego, adottando misure per combattere la duplice discriminazione di cui

sono vittime nel mercato del lavoro, creando le condizioni favorevoli per consentire loro di

accedere al mercato del lavoro, conciliando vita professionale e vita privata e garantendo lo-

ro un’adeguata formazione professionale;

28. plaude alla consultazione fra la Commissione e le parti sociali, intesa a migliorare il quadro

normativo e non normativo per conciliare la vita professionale, familiare e privata; attende con

interesse un’analisi di tale consultazione e le proposte a cui darà origine, in particolare le pro-

poste relative al congedo di maternità, al congedo parentale, al congedo di paternità, al con-

gedo di adozione e al congedo per cura di persona a carico; ritiene del resto che l’accordo

quadro relativo al congedo parentale possa essere migliorato nei seguenti punti: attuazione di

misure di incentivazione volte a incoraggiare i padri a prendere un congedo parentale, raffor-

zamento dei diritti dei lavoratori che prendono un congedo parentale, maggior flessibilità del

regime di congedi, aumento della durata e dell’indennità del congedo parentale;

29. ricorda che qualsiasi politica in materia di conciliazione della vita professionale e familiare de-

ve basarsi sul principio della libera scelta delle persone ed essere adeguata alle diverse fasi

della vita;

30. invita gli Stati membri a proporre misure specifiche per combattere le ineguaglianze tra don-

ne e uomini, causate da schemi occupazionali interrotti, dovuti in particolare a congedi di ma-

ternità o per assistenza a persone a carico, e a ridurre i loro effetti negativi sulla carriera, sul-

la retribuzione e sui diritti pensionistici;

31. constata che la conciliazione della vita professionale, privata e familiare è un fattore fonda-

mentale per aumentare l’occupazione e chiede alla Commissione di raccogliere e diffondere

le migliori pratiche riguardanti un equilibrio effettivo fra vita professionale e vita privata e un

maggiore coinvolgimento degli uomini nella vita familiare;

32. esorta la Commissione e gli Stati membri a incoraggiare la partecipazione degli uomini all’at-

tuazione delle politiche per l’uguaglianza di genere, in particolare per quanto riguarda la con-

ciliazione della vita professionale, familiare e privata;

33. chiede agli Stati membri e alle autorità regionali e locali di migliorare la disponibilità, la qua-

lità e l’accesso dei servizi per la cura dell’infanzia e dei servizi per la cura delle persone a ca-

100

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2008

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rico, conformemente agli obiettivi di Barcellona, e in particolare ad assicurare la compatibili-

tà di tali servizi con gli orari di lavoro a tempo pieno degli uomini e delle donne su cui rica-

de la responsabilità dell’assistenza a bambini e a persone non autosufficienti;

34. invita i responsabili all’interno delle imprese a inserire nei propri piani di gestione della forza

lavoro, misure flessibili di politica familiare volte a facilitare la ripresa lavorativa dopo un’in-

terruzione di carriera;

35. richiama l’attenzione della Commissione e degli Stati membri sulla femminilizzazione della po-

vertà, allorché le donne, in particolare quelle anziane e le madri singole, sono a rischio di

esclusione e di povertà, e li esorta a mettere a punto misure volte a prevenire tale tendenza;

36. chiede alla Commissione e agli Stati membri di mettere a punto strumenti di formazione e di

attuazione per consentire a tutte le parti in causa di introdurre nelle rispettive aree di compe-

tenza una dimensione basata sulle pari opportunità fra donne e uomini, compresa la valuta-

zione dell’impatto specifico di politiche sulle donne e sugli uomini;

37. esorta gli Stati membri e le autorità regionali e locali ad assicurare un utilizzo efficace degli

strumenti esistenti, come i manuali per l’integrazione della prospettiva di pari opportunità fra

donne e uomini nelle politiche per l’occupazione della Commissione;

38. esorta gli Stati membri a garantire una formazione appropriata sull’integrazione della dimen-

sione di genere per i funzionari incaricati dell’attuazione dei programmi comunitari a livello

nazionale, regionale e locale;

39. invita la Commissione e gli Stati membri a mettere a punto una serie di indicatori quantitativi

e qualitativi, nonché statistiche basate sul genere, che siano affidabili, confrontabili e disponi-

bili in caso di necessità, da utilizzarsi durante il seguito dell’applicazione della strategia di Li-

sbona per la crescita e l’occupazione, onde tener conto della dimensione di genere e assicu-

rare un’attuazione e un seguito adeguati delle politiche;

40. plaude all’istituzione dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere e alla designazione dei

membri del suo consiglio di amministrazione, che ha fornito all’istituto un organo decisiona-

le; è tuttavia preoccupato per il ritardo nell’assunzione del direttore dell’istituto ed esorta la

Commissione a porre rimedio a tale situazione;

41. chiede alla Commissione, con il sostegno dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, di

includere dati e statistiche provenienti dai paesi candidati all’adesione e da quelli potenzial-

mente candidati, nelle future relazioni annuali sull’uguaglianza tra donne e uomini;

42. chiede agli Stati membri di promuovere tra tutta la popolazione la pratica dello sport e di una

vita sana, tenendo conto della minore partecipazione delle donne all’attività sportiva;

43. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione

e ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.

101

EUROPA

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Il Parlamento europeo,

– visti l’articolo 2, l’articolo 3, paragrafo 2, e l’articolo 141 del trattato CE,

– vista la risoluzione del Consiglio e dei ministri incaricati dell’occupazione e della politica so-

ciale, riuniti in sede di Consiglio il 29 giugno 2000, concernente la partecipazione equilibrata

delle donne e degli uomini all’attività professionale e alla vita familiare1,

– vista la sua risoluzione del 15 dicembre 2000 sulla comunicazione della Commissione “Verso

un’Europa di tutte le età - Promuovere la prosperità e la solidarietà fra le generazioni”2,

– vista la sua risoluzione del 9 marzo 2004 sulla conciliazione della vita professionale, familiare

e privata3,

– visto il patto europeo per la gioventù approvato dal Consiglio europeo riunito il 22 e 23 mar-

zo 2005 a Bruxelles,

– vista la sua risoluzione del 23 marzo 2006 sulle sfide demografiche e la solidarietà tra le ge-

nerazioni4,

– vista la comunicazione della Commissione del 12 ottobre 2006 dal titolo “Il futuro demografi-

co dell’Europa, trasformare una sfida in opportunità” (COM/2006)0571),

– vista la sua risoluzione del 19 giugno 2007 su un quadro regolamentare per misure di conci-

liazione della vita familiare e degli di studi per le giovani donne nell’Unione europea5,

– vista la comunicazione della Commissione del 10 maggio 2007 dal titolo “Promuovere la soli-

darietà tra le generazioni” (COM(2007)0244),

– visto il parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commis-

sione dal titolo “Promuovere la solidarietà tra le generazioni”6,

– vista la sua risoluzione del 27 settembre 2007 sulla parità tra donne e uomini nell’Unione eu-

ropea - 20077,

– visto il documento di lavoro dei servizi della Commissione dal titolo “Il futuro demografico

dell’Europa: fatti e cifre” (SEC(2007)0638),

– vista la sua risoluzione del 21 febbraio 2008 sul futuro demografico dell’Europa8,

– vista la sua risoluzione del 3 settembre 2008 sulla parità tra le donne e gli uomini-20089,

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2008

1 GU C 218 del 31.7.2000, p. 5.

2 GU C 232 del 17.8.2001, p. 381.

3 GU C 102 E del 28.4.2004, p. 492.

4 GU C 292 E del 1.12.2006, p. 131.

5 GU C 146 E del 12.6.2008, p. 112.

6 GU C 120 del 16.5.2008, p. 66.

7 GU C 219 E del 28.8.2008, p. 324.

8 Testi approvati, P6_TA(2008)0066.

9 Testi approvati, P6_TA(2008)0399.

RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO DEL 3 FEBBRAIO 2009 SULLA NON DISCRIMINAZIONE IN BASE AL SESSO E LA SOLIDARIETÀ TRA LE GENERAZIONI(P6_TA(2009)0039)

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– visto l’articolo 45 del regolamento,

– vista la relazione della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere (A6-

0492/2008),

A. considerando che le donne e gli uomini sono uguali in termini di dignità umana e che hanno

gli stessi diritti e gli stessi doveri,

B. considerando che la parità di trattamento tra le donne e gli uomini è un principio alla base

del sistema giuridico e in quanto tale deve essere tenuto in considerazione e osservato ogni-

qualvolta le leggi vengono interpretate e applicate,

C. considerando che divari tra donne e uomini persistono in tutti gli altri aspetti della qualità

dell’ambiente di lavoro, come ad esempio nella conciliazione della vita professionale con

quella privata, e che il tasso di occupazione delle donne con figli a carico è appena del 62,4%

contro il 91,4% degli uomini; considerando che il 76,5% dei lavoratori a tempo parziale sono

donne,

D. considerando che la strategia di Lisbona mira a garantire che il 60% delle donne capaci di la-

vorare abbiano un’occupazione; considerando che gli obiettivi quantitativi e qualitativi della

strategia di Lisbona e i nuovi orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione10, in parti-

colare per quanto riguarda l’occupazione delle donne e, più in generale, degli adulti, sono de-

terminati dalla consapevolezza della insostenibilità dello spreco di queste risorse e del poten-

ziale che esse rappresentano, nonché dei rischi sulla tenuta dei sistemi pensionistici e di pro-

tezione sociale,

E. considerando che il principio della parità di trattamento fra donne e uomini comporta il divie-

to di qualunque discriminazione, diretta o indiretta, basata sul sesso, soprattutto per quanto ri-

guarda la maternità, il fatto di avere responsabilità familiari o lo stato civile,

F. considerando i dati forniti nella suddetta comunicazione della Commissione del 12 ottobre

2006, secondo cui nei paesi e nelle regioni ad alto tasso di occupazione femminile e dotati di

sistemi di protezione sociale la natalità è più elevata,

G. considerando che le tre sfide principali dell’Unione europea, ossia cambiamenti demografici,

globalizzazione e cambiamenti climatici, impongono una solidarietà intergenerazionale basata

su un patto ampio tra generazioni, ma anche tra generi,

H. considerando che alla base del patto tra generi e generazioni deve stare la possibilità di orga-

nizzare la propria vita lavorativa e privata, vale a dire di conciliare le esigenze economiche e

produttive del lavoro professionale con la facoltà di scegliere tempi e impegni, in un quadro

di diritti e di responsabilità definiti per via legislativa e contrattuale,

I. considerando che la responsabilità reciproca tra generazioni richiede un approccio attivo da

parte dei pubblici poteri e un protagonismo di tutti gli attori sociali nel garantire servizi di in-

teresse generale di qualità e sistemi di previdenza e di sicurezza sociale adeguati e sufficienti,

J. considerando che la presenza delle donne nel mercato del lavoro professionale è collegata a

cambiamenti culturali e a riforme orientate ad attuare politiche di conciliazione tra vita profes-

sionale, familiare e personale e politiche di redistribuzione dei ruoli; considerando che queste

politiche riguardano aspetti diversi ma profondamente correlati che vanno dalla riduzione tem-

poranea dell’orario di lavoro, mediante la trasformazione del contratto di lavoro a tempo pie-

no in contratto a tempo parziale e l’utilizzazione dei congedi (di maternità, paternità, parenta-

li, familiari), alla rete dei servizi alle persone,

K. considerando che i cambiamenti demografici hanno un notevole impatto sulla vita personale

e lavorativa delle persone; considerando che inadeguatezza dei servizi, livelli retributivi bassi,

lento inserimento nel mercato del lavoro, lunga successione di contratti a termine, incentivi in-

sufficienti per le giovani coppie sono tra le ragioni che inducono i giovani a posporre nel tem-

103

EUROPA

10 Si veda la comunicazione della Commissione dell’11 dicembre 2007, dal titolo “Orientamenti integrati per la crescita e l’occu-

pazione (2008-2010)” (COM(2007)0803).

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po la creazione di un nucleo familiare e la procreazione; considerando che la rigidità dell’or-

ganizzazione del lavoro e la difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro dopo un perio-

do in cui si è assistito un familiare rendono difficile assumere liberamente le scelte di conci-

liazione come anche quelle di alternanza tra lavoro professionale e lavoro familiare,

L. considerando che la non discriminazione in base al sesso riguarda in primo luogo e di solito

non solo le donne/madri ma anche gli uomini/padri; che qualsiasi azione politica in tale set-

tore non può più concentrarsi unicamente sulle donne e che le politiche europee e nazionali

dovrebbero d’ora in poi prendere in considerazione le esigenze e le facoltà degli uomini/dei

padri in tale settore,

M. considerando che è necessario avviare una riflessione sulla nozione di discriminazione per il

lavoro di cura, legata alla fruizione di congedi di maternità, di paternità, parentali e familiari,

per verificare se si tratta di forme di discriminazione legate al genere; considerando che è ne-

cessario definire, a livello europeo, la nozione di discriminazione multipla,

N. considerando che il concetto di solidarietà tra le generazioni non si limita soltanto alla cura

dei figli, ma riguarda altresì la responsabilità nei confronti delle persone anziane e non auto-

sufficienti e contribuisce al rispetto della dignità umana e alla sua promozione tre le genera-

zioni future;

O. considerando che l’indigenza non deve rappresentare un fattore discriminante nell’ambito del-

la solidarietà tra le generazioni e che anche le famiglie più povere intrattengono legami ed

espletano attività di solidarietà intergenerazionale,

P. considerando che la persona che dedica il suo tempo e le sue facoltà alla cura e all’educazio-

ne dei figli o all’assistenza ad una persona anziana dovrebbe avere un riconoscimento da par-

te della società e che tale obiettivo potrebbe essere raggiunto conferendole diritti propri, in

particolare in materia previdenziale e pensionistica,

Q. considerando che il ruolo educativo dei genitori nei confronti dei figli e dei figli nei confron-

ti delle persone anziane e non autosufficienti e l’attività di assistenza delle donne e degli uo-

mini a favore di persone anziane e non autosufficienti sono essenziali per il progresso del be-

ne comune e dovrebbero essere riconosciuti come tali da politiche trasversali, incluse quelle

rivolte alle donne e agli uomini che scelgono liberamente di dedicarsi pienamente o parzial-

mente a tale attività,

R. considerando che, a partire dall’ottobre del 2003, la Commissione ha aperto una consultazio-

ne con le parti sociali sul tema della conciliazione tra vita professionale, familiare e persona-

le, consultazione che è arrivata alla seconda fase e si basa sull’importanza di concepire le po-

litiche e gli strumenti che consentano di abbinare un lavoro di qualità con le responsabilità di

donne e di uomini nel lavoro di cura,

S. considerando il ruolo chiave degli uomini nella realizzazione di un’autentica parità,

T. considerando i principi di “flessicurezza” declinati al femminile, così come delineati nella riso-

luzione del Parlamento europeo del 29 novembre 2007 su principi comuni di flessicurezza11,

e considerando che nella maggior parte delle regioni europee la riorganizzazione dell’orario

di lavoro non sembra essere di grande aiuto per le persone che hanno figli e che i dipenden-

ti con figli a carico hanno minori possibilità di occupare posti di lavoro con orari flessibili ri-

spetto a quelli senza figli12,

U. considerando che i progetti familiari, la vita privata e le ambizioni professionali possono esse-

re integrati in modo armonioso solo nel caso in cui, sul piano socio-economico, le persone in-

teressate sono realmente libere di scegliere e godono del sostegno fornito dall’adozione di de-

cisioni politiche ed economiche a livello europeo e nazionale, senza che ne derivi uno svan-

taggio e sempreché siano disponibili le infrastrutture indispensabili,

V. considerando che esiste il rischio che il lavoro a tempo parziale divenga, in particolare per le

104

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2008

11 GU C 297 E del 20.11.2008, p. 174.

12 Eurostat, “The life of women and men in Europe”, 2008, p. 89.

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donne/madri, una scelta forzata, imposta dalla mancanza di strutture accessibili per la custo-

dia dei bambini, così come esiste il rischio che il passaggio dal lavoro a tempo pieno al lavo-

ro a tempo parziale non venga autorizzato, rendendo difficile se non impossibile la concilia-

zione tra vita professionale, vita familiare e vita personale,

1. sottolinea che il principio di solidarietà tra generazioni è uno degli assi portanti del modello

sociale europeo; chiede che, per applicare tale principio, le autorità pubbliche adottino un ap-

proccio attivo a vari livelli, e che siano coinvolti tutti gli attori sociali nel garantire servizi so-

ciali d’interesse generale di elevata qualità per le famiglie, i giovani e tutti coloro che necessi-

tano di un sostegno;

2. rileva che le politiche in materia di assistenza e la fornitura di servizi in questo campo sono

intrinsecamente legate al raggiungimento dell’uguaglianza fra donne e uomini; critica la man-

canza, nella maggior parte degli Stati membri, di servizi di assistenza di qualità disponibili ed

economicamente accessibili, mancanza legata al fatto che l’attività di assistenza non è equa-

mente ripartita tra donne e uomini, fattore che a sua volta ha un impatto negativo diretto sul-

la possibilità delle donne di partecipare a tutti gli aspetti della vita sociale, economica, cultu-

rale e politica;

3. sottolinea che strutture di assistenza per l’infanzia di buona qualità ed economicamente acces-

sibili, attive in orari rispondenti alle esigenze di genitori e figli, come anche strutture dalle stes-

se caratteristiche per persone anziane e non autosufficienti, devono essere elementi centrali

del modello sociale europeo ed agevolare l’accesso delle donne al mercato del lavoro e ad

un’occupazione retribuita, consentendo a queste ultime di sfruttare le loro capacità per otte-

nere l’indipendenza economica;

4. rammenta agli Stati membri gli impegni assunti al Consiglio europeo di Barcellona del 2002,

per rimuovere gli ostacoli ad un’equa partecipazione di donne e uomini al mercato del lavo-

ro e introdurre entro il 2010 strutture di assistenza per il 90% dei bambini dai tre anni all’età

della scolarizzazione obbligatoria e per il 33% dei bambini al di sotto dei tre anni; invita gli

Stati membri a fissare obiettivi simili per le strutture di assistenza per anziani e congiunti ma-

lati;

5. rileva l’enorme squilibrio esistente fra uomini e donne nella condivisione delle responsabilità

domestiche e familiari, che spinge prevalentemente le donne a scegliere orari di lavoro flessi-

bili o a lasciare del tutto il lavoro, e che si ripercuote sullo sviluppo della loro carriera, sul cre-

scente divario retributivo tra uomini e donne e sulla maturazione dei diritti pensionistici;

6. teme che la proposta della Presidenza ceca, secondo cui la cura dei figli rappresenta una ve-

ra e propria alternativa alla carriera professionale, tenda ad una divisione tradizionale dei com-

piti tra uomini e donne, ossia alla concezione tradizione in base alla quale lavoratori a tempo

pieno sono gli uomini, delle cui esigenze personali si occupano “mani invisibili” (le donne),

che gestiscono la casa e la famiglia;

7. manifesta viva preoccupazione per il fatto che, soprattutto in periodi di recessione economi-

ca, la proposta della Presidenza ceca costringa le donne a lasciare il lavoro per seguire il loro

percorso “naturale”, cioè occuparsi dei figli e di altre persone non autosufficienti; sollecita il

Consiglio e gli Stati membri ad adoperarsi al massimo per conseguire gli obiettivi di Lisbona

in materia di assistenza all’infanzia;

8. sottolinea che la piena partecipazione di un genitore o di entrambi i genitori ad un’attività la-

vorativa dignitosamente retribuita può contribuire a combattere la povertà tra gli occupati e

nei nuclei familiari monoparentali, che risentono di un tasso di povertà molto più elevato

(32%);

9. evidenzia che i regimi pensionistici degli Stati membri riconoscono ancora a molte donne uni-

camente diritti derivati, basati esclusivamente sulla carriera professionale dei mariti, per cui la

maggior parte delle persone anziane che vivono in condizioni di povertà sono donne;

10. invita gli Stati membri ad affrontare i fattori strutturali che contribuiscono alla disuguaglianza

nei regimi pensionistici, fra cui l’organizzazione delle attività di assistenza e la conciliazione

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EUROPA

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della vita familiare con quella professionale, le disuguaglianze nel mondo del lavoro, lo scar-

to retributivo fra uomini e donne e la discriminazione diretta nei regimi pensionistici del se-

condo e del terzo pilastro;

11. chiede alla Commissione di presentare una nuova proposta di direttiva a disciplina dei diritti

e garanzie specifici in merito alla conciliazione della vita professionale e della vita privata in

presenza di familiari non autosufficienti a carico (minori, anziani e disabili);

12. chiede alle strutture e agli enti di ricerca di investire di più e meglio negli aspetti legati al mi-

glioramento ecologico dei prodotti destinati all’infanzia, alle persone non autosufficienti e

complessivamente all’uso domestico;

13. invita Eurostat a elaborare misurazioni in grado di rappresentare la situazione dell’assistenza

all’infanzia e alle persone non autosufficienti, suddivise per genere;

14. invita la Commissione a presentare iniziative concrete per avvalorare le competenze acquisite

nell’esercizio dei compiti educativi, di servizio alle persone non autosufficienti e di gestione do-

mestica, in modo che tali competenze possano essere prese in considerazione al momento del

reinserimento nel mercato del lavoro; rammenta come la valutazione delle competenze trasver-

sali sia parte fondamentale del cosiddetto “bilancio di competenze”, secondo le migliori tradi-

zioni delle sperimentazioni nazionali sui sistemi di incrocio tra domanda e offerta di lavoro;

15. invita la Commissione a condurre una campagna di sensibilizzazione e a varare progetti pilo-

ta che favoriscano la partecipazione equilibrata di donne e uomini all’attività professionale e

alla vita familiare;

16. invita inoltre gli Stati membri a prendere in considerazione orari flessibili di lavoro per i geni-

tori (in base a libera scelta) e orari flessibili per le strutture di custodia dell’infanzia, per aiu-

tare sia le donne che gli uomini a conciliare meglio la vita professionale con quella familiare;

17. chiede alla Commissione di monitorare le migliori prassi in materia di persone impegnate nel

lavoro di cura e di farle conoscere in tutti gli Stati membri, onde dimostrare il ruolo centrale

che svolgono le suddette persone nel campo della solidarietà intergenerazionale e incoraggia-

re l’attuazione di una strategia specifica per loro negli Stati membri;

18. invita gli Stati membri a sostenere e promuovere i programmi operativi varati dalla Commis-

sione nell’ambito dell’Alleanza europea per le famiglie; chiede alla Commissione di accelera-

re lo sviluppo di strumenti destinati a sistematizzare lo scambio di prassi eccellenti e la ricer-

ca in tale settore;

19. invita le autorità pubbliche ad adottare i provvedimenti necessari per far sì che i genitori che

lavorano possano beneficiare di un sostegno nell’ambito delle politiche mirate a promuovere

un equilibrio tra vita professionale e vita familiare e poter disporre dei mezzi per conseguire

tale traguardo;

20. invita gli Stati membri a sostenere i regimi di congedo (congedo parentale, congedo per ado-

zione, congedo di solidarietà) applicabili a coloro che intendono interrompere l’attività profes-

sionale per prendersi cura di una persona non autosufficiente;

21. ritiene che occorra intervenire per migliorare il trattamento non solo del congedo di materni-

tà, ma anche del congedo di paternità e del congedo parentale, con particolare riferimento a

quello fruito dai padri lavoratori, dato che in tutti gli Stati membri solo una piccola percentua-

le di uomini si avvale del diritto al congedo;

22. insiste sul fatto che qualsiasi persona desiderosa di interrompere o di ridurre l’attività profes-

sionale formale per investirsi nella solidarietà tra le generazioni dovrebbe poter beneficiare di

un orario di lavoro flessibile; invita pertanto le piccole e medie imprese a dar prova di una

maggiore volontà di collaborazione e le autorità pubbliche a una maggiore elasticità finanzia-

ria nelle loro previsioni di bilancio in materia di aiuti di Stato;

23. invita la Commissione, di concerto con gli Stati membri e le parti sociali, ad avviare un riesa-

me delle politiche di equilibrio tra vita professionale e vita privata:

– garantendo che i costi della maternità/paternità non gravino sull’azienda ma sulla collet-

tività, al fine di eliminare i comportamenti discriminatori in seno all’azienda e sostenere il

rilancio demografico,

106

AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2008

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– migliorando l’accessibilità ai servizi di cura e assistenza alle persone non autosufficienti

(minori, disabili e anziani) e la flessibilità di tali servizi, compresi i servizi a domicilio nel

quadro della solidarietà intergenerazionale, e definendo un numero minimo di strutture

aperte nelle ore notturne, al fine di dare risposta sia alle esigenze lavorative che a quelle

della vita privata;

24. chiede alla Commissione, al Consiglio e agli Stati membri di includere nella direttiva

2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente talu-

ni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro13 un apposito articolo sulla conciliazione tra

vita professionale, familiare e personale e rileva la necessità di tenerne conto in sede di disci-

plina della settimana lavorativa e del lavoro di guardia;

25. chiede agli Stati membri di garantire che chiunque abbia sospeso temporaneamente la propria

attività professionale per dedicarsi all’educazione dei figli o prestare assistenza a persone an-

ziane o non autosufficienti possa essere (re)inserito nel mondo del lavoro e mantenere il di-

ritto alla reintegrazione nella medesima posizione allo stesso inquadramento;

26. rileva che, per le donne, disporre di un reddito proprio e di un’occupazione retribuita rimane

l’elemento chiave della loro autonomia economica e di una maggiore parità tra donne e uo-

mini nella società nel suo complesso;

27. sottolinea la necessità di rafforzare la solidarietà nei confronti delle precedenti generazioni

ma che tale solidarietà deve essere reciprocamente attuata anche nei confronti dei figli e dei

giovani; rileva infatti che, se da un lato gli anziani trasmettono la saggezza, il sapere e l’espe-

rienza, i giovani, dal canto loro, sono portatori di energia, dinamismo, gioia di vivere e spe-

ranza;

28. ritiene che la solidarietà tra le generazioni vada promossa mediante attente politiche fiscali

(sotto forma di trasferimenti, deduzioni e detrazioni), interventi per promuovere un invecchia-

mento attivo, politiche per lo sviluppo di competenze e reti integrate di servizi per l’infanzia,

gli anziani, i disabili e i soggetti non autosufficienti, valutandone l’impatto positivo o negativo

sulle scelte personali e sulla conciliazione tra vita professionale e la vita familiare;

29. rammenta alla Commissione e agli Stati membri la necessità di adottare azioni positive a favo-

re delle donne e degli uomini onde facilitarne il ritorno al lavoro dopo un periodo dedicato

alla famiglia (per l’educazione dei figli e/o per prendersi cura di un genitore malato o disabi-

le), favorendo politiche di (re)integrazione nel mondo del lavoro che consentano loro di ritro-

vare l’autonomia finanziaria;

30. invita gli Stati membri a promuovere una politica fiscale che tenga conto degli obblighi finan-

ziari delle famiglie, in particolare del costo della cura dell’infanzia e dell’assistenza alle perso-

ne anziane e non autosufficienti grazie a un regime fiscale o a un sistema di sgravi fiscali;

31. invita gli Stati membri a rivedere il loro regime impositivo e a stabilire aliquote di tassazione

basate sui diritti individuali e chiede conseguentemente l’individualizzazione dei diritti pensio-

nistici e dei diritti previdenziali;

32. invita le istituzioni dell’Unione europea e gli Stati membri, onde concretizzare il principio di

parità tra donne e uomini, ad adottare misure specifiche a favore delle donne per rimediare a

situazioni manifeste di disuguaglianza di fatto rispetto agli uomini; ritiene che misure di que-

sto tipo, che dovrebbero applicarsi finché persistono tali situazioni, dovrebbero essere ragio-

nevoli e in ogni caso proporzionate agli obiettivi perseguiti;

33. chiede alle autorità nazionali e locali di predisporre programmi rivolti ai giovani che includa-

no la dimensione intergenerazionale, in modo che le giovani generazioni comprendano che

gli attuali livelli di prosperità e di benessere sono dovuti agli sforzi e ai sacrifici delle genera-

zioni precedenti;

34. invita le istituzioni dell’Unione europea e tutte le autorità pubbliche a tenere conto del prin-

107

EUROPA

13 GU L 299 del 18.11.2003, p. 9.

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cipio della parità tra donne e uomini in sede di adozione e attuazione delle normative o di

elaborazione di politiche pubbliche e, in generale, nello svolgimento di ogni loro attività;

35. chiede ai mezzi di comunicazione di prestare un’attenzione positiva e coerente alle relazioni

tra le diverse generazioni, affrontando questioni intergenerazionali, promuovendo un dibatti-

to tra diversi gruppi d’età e, più in generale, rappresentando in maniera positiva il contributo

dato dalle precedenti generazioni alla società;

36. afferma l’importanza di tener conto del principio della parità di trattamento e di opportunità

in tutti gli interventi di politica economica, politica del lavoro e politica sociale, in quanto ciò

contribuisce a prevenire l’emarginazione sul mercato del lavoro e a eliminare le differenze re-

tributive, nonché a stimolare fortemente l’imprenditorialità femminile;

37. ritiene essenziale, in considerazione dei cambiamenti dei modelli familiari e del graduale in-

serimento delle donne nel mondo del lavoro, riformare il tradizionale sistema di assistenza per

le persone non autosufficienti; raccomanda agli Stati membri di estendere e rafforzare la tute-

la offerta dai loro servizi sociali in modo da garantire che il diritto a realizzare le proprie aspi-

razioni possa sempre essere esercitato in condizioni di parità e che le persone non autosuffi-

cienti spossano ricevere effettiva assistenza;

38. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissio-

ne, al Comitato economico e sociale europeo, ai parlamenti e agli organi nazionali di statisti-

ca degli Stati membri, all’OIL, all’OCSE e al PSNU.

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AIAF RIVISTA 2009/1 • gennaio-aprile 2008

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AbruzzoMaria Carla Serafini (presidente)

Federica Di Benedetto

CalabriaStefania Mendicino (presidente)

Gianfranco Barbieri

CampaniaRosanna Dama (presidente)

Maria Giuseppina Chef

Erminia Del Cogliano

Emilia Romagna Ada Valeria Fabj (presidente)

Daniela Abram

Lorenza Bond

Isabella Trebbi Giordani

LazioMarina Marino (presidente)

Nicoletta Morandi

Costanza Pomarici

Giulia Sarnari

LiguriaAlberto Figone (presidente)

Enrico Bet

Cristina Borile

Ilaria Felicetti

Elisabetta Ferrero

Anna Grazia Guaita

Liana Maggiano

LombardiaMilena Pini (presidente)

Franca Alessio

Maurizio Bandera

Marisa Bedotti

Cinzia Calabrese

Maria Tullia Castelli

Cinzia Colombo

Antonella De Peri

Mirella Quattrone

MarcheAnna Pelamatti Cagnoni (presidente)

Marina Guzzini

PiemonteAntonina Scolaro (presidente)

Antonio Dionisio

Maria Cristina Ottavis

Marina Torresini

PugliaAda Marseglia (presidente)

Giambattista Mola

SardegnaLuisella Fanni (presidente)

Vittorio Campus

Anna Marinucci

Francesco Pisano

SiciliaRemigia D’Agata (presidente)

Antonio Leonardi

Caterina Mirto

Corrado Garofalo

ToscanaManuela Cecchi (presidente)

Alfonsa Brini

Marina Lupo

Carla Marcucci

Gigliola Montano

UmbriaMaria Rita Tiburzi (presidente)

Anita Giuseppina Pia Grossi

Anna Maria Pacciarini

VenetoAlessandro Sartori (presidente)

Roberta Bettiolo

Paola Cacco

Lorenza Cracco

Gabriella de Strobel

Caterina Evangelisti

Rita Mondolo

Damiana Stocco

AIAF - Organi statutari

Presidente: Marina Marino (Roma)

Giunta Esecutiva: Manuela Cecchi (Firenze), Remigia D’Agata (Catania), Luisella Fanni (Cagliari),

Alberto Figone (Genova), Milena Pini (Milano), Alessandro Sartori (Verona)

Comitato Direttivo Nazionalecomposto “di diritto dai Presidenti delle Associazioni Regionali/Distrettuali e da un rappresentante per ciascuna regione, nonché da un rappresentante per Regione ogni 40 iscritti, compresi i soci del Distretto,ed un ulteriore rappresentante per ogni successiva frazione superiore a venti”.

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