Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 1/2010 · Severino, non solo l’arte degli addii, ma un...

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EDITORIALE Scienza ed etica, un dialogo possibile nel segno dell’umano 3 Gustavo Raffi Il testamento biologico nel dibattito bioetico 9 Luisella Battaglia Tradizioni, innovazioni e battaglie. 19 Giuseppe Continiello e Claudio Ortu I colori massonici del tricolore 43 Giovanni Greco Ermeneutica massonica sulla presenza del simbolo del crocifisso nelle Aule di Giustizia Penale 49 Antonino Ordile Ciao Bent, ad Majora 55 Enzo Li Mandri Il mistero del Tre 63 Bent Parodi di Belsito La confusione delle lingue 66 Bent Parodi di Belsito Il Tempio: l’ultimo segreto 69 Bent Parodi di Belsito A chi interessa la verità? 73 Salvatore Sansone Elogio di Darwin 79 Vinicio Serino • RECENSIONI 97 • SEGNALAZIONI EDITORIALI 109 Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 1/2010 HIRAM

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EDITORIALEScienza ed etica, un dialogo possibile nel segno dell’umano

3Gustavo Raffi

Il testamento biologico nel dibattito bioetico 9Luisella Battaglia

Tradizioni, innovazioni e battaglie. 19Giuseppe Continiello e Claudio Ortu

I colori massonici del tricolore 43Giovanni Greco

Ermeneutica massonica sulla presenza del simbolo del crocifissonelle Aule di Giustizia Penale 49

Antonino OrdileCiao Bent, ad Majora 55

Enzo Li MandriIl mistero del Tre 63

Bent Parodi di BelsitoLa confusione delle lingue 66

Bent Parodi di BelsitoIl Tempio: l’ultimo segreto 69

Bent Parodi di BelsitoA chi interessa la verità? 73

Salvatore SansoneElogio di Darwin 79

Vinicio Serino

• RECENSIONI 97• SEGNALAZIONI EDITORIALI 109

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CCoollllaabboorraattoorrii eesstteerrnniiLuisella Battaglia (Univ. Genova); Dino Cofrancesco (Univ. Genova); Giuseppe Cogneti (Univ. Siena); Domenico A. Conci (Univ. Siena);Fulvio Conti (Univ. Firenze); Carlo Cresti (Univ. Firenze); Michele C. Del Re (Univ. Camerino); Rosario Esposito (Saggista); Giorgio Galli (Univ.Milano); Umberto Gori (Univ. Firenze); Giorgio Israel (Giornalista); Ida L. Vigni (Saggista); Michele Marsonet (Univ. Genova); Aldo A. Mola(Univ. Milano); Sergio Moravia (Univ. Firenze); Paolo A. Rossi (Univ. Genova); Marina Maymone Siniscalchi (Univ. Roma “La Sapienza”);Enrica Tedeschi (Univ. Roma “La Sapienza”)

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Comitato di Redazione: Guglielmo Adilardi, Cristiano Bartolena, Giovanni Bartolini, Giovanni Cecconi, † Guido D’Andrea, Gonario GuaitiniComitato dei Garanti: Giuseppe Capruzzi, Angelo Scrimieri, Pier Luigi Tenti

AArrtt DDiirreeccttoorr ee IImmppaaggiinnaazziioonnee: Sara CircassiaSSttaammppaa: E-Print s.r.l., via Empolitana, km. 6.400, Castel Madama (Roma)DDiirreezziioonnee: HIRAM, Grande Oriente d’Italia, via San Pancrazio 8, 00152 RomaDDiirreezziioonnee EEddiittoorriiaallee ee RReeddaazziioonnee: HIRAM, via San Gaetanino 18, 48100 RavennaRegistrazione Tribunale di Roma n. 283 del 27/6/1994EEddiittoorree: Soc. Erasmo s.r.l. Amministratore Unico Mauro Lastraioli, via San Pancrazio 8, 00152 Roma. C.P. 5096, 00153 Roma OstienseP.I. 01022371007, C.C.I.A.A. 264667/17.09.62SSeerrvviizziioo AAbbbboonnaammeennttii: Spedizione in Abbonamento Postale 50%, Tasse riscosse

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SScciieennzzaa eedd eettiiccaa,, uunn ddiiaallooggoo ppoossssiibbiillee nneell sseeggnnoo ddeellll’’uummaannoo*

di GGuussttaavvoo RRaaffffiiGran Maestro del Grande Oriente d’Italia

(Palazzo Giustiniani)

EDITORIALE

This is the talk delivered by our Grand Master, Gustavo Raffi, on the 30th January 2010at the University of Pisa. It deals with the ethics of responsibility in the framework ofa dialectical dialogue between science and theology.

CCCCari amici, anche stasera abbiamoavuto la prova di quanto sia im-portante confrontarsi. Bacone so-

steneva che scientia est potentia, ma anchel’etica è importante. Un’etica intesa comeumanità profonda, come lacrime e destino,speranza e ricerca, non come dogma cheingabbia il pensiero. Ha ragione MargueriteYourcenar quando nelle Memorie di Adrianofa dire al suo Imperatore: Cerchiamo di en-trare nella morte ad occhi aperti […]. È il sensodel viaggio. Ho letto con interesse il librocurato da Daniela Monti Cosa vuol dire mo-

rire (Einaudi). Ho ritrovato nelle riflessionidegli autori, da Vito Mancuso a EmanueleSeverino, non solo l’arte degli addii, ma unrinnovato sguardo sull’esistenza. Ciascunuomo responsabile – vi spiega infatti Man-cuso – ha il diritto di poter dire l’ultima parolasulla propria vita: il senso dell’esistenza è eser-cizio di libertà, senza la quale non siamo nulla,non può esserci fede e neppure etica. E nellostesso contributo Aldo Schiavone rimarcache la tecnica non è né buona né cattiva, è laragione umana a dover integrare la scienza inuna visione razionale del mondo, evitando il

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* Pisa, 30 gennaio 2010.

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rischio dello sbilanciamento: una scienza po-tente di fronte a un’etica sconclusionata, un di-ritto asservito, una politica timorosa. Le cartevanno mischiate an-cora una volta perchéla vita come la morte,la scienza come la tec-nica sono faccendeserie, non si risolvonocon un lancio di dadi.

Sarebbe ancora piùfondata nel nostrotempo di pensiero no-made, chiamato a spo-stare continuamentele proprie tende, lachiamata in causadella scienza come de-tentrice di più ampie responsabilità etiche.Umberto Galimberti afferma a questo pro-posito che la scienza non ha uno sguardo in-nocente. La scienza non è pura: la scienza è giàanimata da un’intenzione tecnica: guarda ilmondo per modificarlo. E lo stesso Galimbertirimarca che, nel tempo della tecnica, l’eticaminima è quella dell’altro, di sapersi rap-portare all’altro, di interpretare la suaumanità profonda.

In questo pecorso, per alcuni il testa-mento biologico altro non è che la versioneaggiornata della moneta che i Greci e i Ro-mani mettevano nella bocca dei morti peressere traghettati allo Stige: è il modernolascia-passare per il viaggio del nostro de-stino, perché tutto si compia. Libertà di an-darsene, come voleva Socrate, quando “divita non ce n’è più”. Non abbiamo maiavuto come oggi tanta possibilità di scelta,difendendo il mistero della libertà. Senza

però scalciare i paradossi e gli scandali deldesiderio di modificare la natura e la sto-ria: il Times di Londra, per esempio, ha rac-

contato la storia diragazzi nati da feconda-zione artificiale che ognigiorno andavano allaVictoria Station nellasperanza di incontrarequalcuno che somigliassea loro e che, quindi, po-tesse essere il padre sco-nosciuto. Anche questosguardo perso nel vuotoabita l’epoca del’antide-stino, per dirla con RemoBodei.

Parafrasando AlbertSchweitzer, secondo il quale un’etica che sioccupa soltanto di esseri umani è disumana, sipotrebbe sostenere che una scienza che sioccupi esclusivamente della natura nei ter-mini della sua conoscenza materiale è al-trettanto poco naturale. Si dimenticaspesso che filosofia, scienza e etica sonostate a lungo per l’Occidente il segno di-stintivo dell’indagine razionale. Oggi che,rispetto al passato, come afferma il filosofodella scienza Evandro Agazzi, “conosciamodi più e meglio”, nessuna scienza e nessunaetica possono ignorare i rischi collegati agliatti applicativi conseguenti alla tecno-scienza. Oggi sappiamo – lo sa la politica,anche quando finge di dimenticarlo, losanno le istituzioni, lo sanno i medici – che“conoscere” non equivale semplicementea “poter fare”; significa sempre più “sce-gliere”. E la scelta comporta una direzionedi azione.

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Sappiamo perfettamente dove stiamoandando. Sappiamo che non esiste e nonpuò esistere una scienza/etica. La scienzaè essenzialmente chiamataa spiegare la realtà, nonad attribuirle valori. Delpari, l’etica filosofica o lamorale non può costi-tuire una teoria conosci-tiva valida quando sitratta di spiegare scienti-ficamente la realtà, altri-menti daremmo ragioneai roghi e alla caccia allestreghe. Ma si può e sideve dialogare, nel segnodel metodo, dalla radiceetimologica metà-odòs,stando sulla stessa stradache è quella dell’umanità,fatta salva la scontata dif-ferenza disciplinare chescarta in questo modo, perfortuna dal principio, tanto le posizioniideologiche fine a se stesse quanto i dog-matismi che ragionano con bolle e anatemirispetto a una vita che, per dirla con Gior-dano Bruno, è sempre più forte del pen-siero e degli strumenti per misurarla.

Ci sta forse dinanzi il dilemma propostodall’australiano John Passmore: se l’Occi-dente vorrà risolvere i problemi che ha difronte, dovrà decidere cosa eliminare ecosa tenere. Gioco molto vecchio, questo.Gioco della torre al cui interno il calcolo deirischi non è meno complesso della sceltaetica su cosa siamo disposti a dare in cam-bio, al fine di assicurare all’uomo un futurorazionale. Ma soprattutto umano. Inutile

sottolineare che, per non incorrere nel di-lemma, è necessario evitare a tutti i costidi giungere al punto di non ritorno: dovere

cedere, cioè, moneta eticaa favore di oboli versatialla scienza. O vice-versa. Ecco perché è op-portuno che la scienzaguardi anche alla possi-bilità di rafforzare lasua componente valo-riale interna, con diret-tive anche etiche, chenessuno però può im-porle dal di fuori, mache ambiti come quellofilosofico e delle primeradici umane, ovverodel fine dell’uomo pos-sono contribuire a sti-molare e ad accrescere.L’etica filosofica, anche

la più utopica, e la scienza,anche la più sofisticata ce lo suggeriscono:il futuro va scelto.

“Ricordati di vivere”, ammoniva Goe-the. Oggi Oscar Pistorius corre sulle gambebioniche: quello che prima era legato alcieco destino, il non poter correre perchésenza gambe, adesso è condotto sotto il do-minio dell’uomo. Il progresso è la volontàdi superare delle difficoltà. Questo, umana-mente, è un bene. Il problema, nel segnareun confine, è quello di sempre: dove nonc’è logica non c’è verità né diritto né etica.Non c’è natura. È proprio questa logica chenon deve “scomparire”, non deve usciredall’esperienza. Forse un principio può es-sere quello di dire no a tecniche in cui il

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danno sia maggiore del beneficio. Per altriproblemi, Gramsci citava un proverbio zuluche diceva: meglio andare avanti e morire chestare fermo e morire.

Occorre lasciarsi gui-dare da un’immagineintegrale dell’uomo, cherispetti tutte le dimen-sioni del suo essere.Questo potrebbe essereun modo autentico divivere la libertà dellascienza. Ma le questionisono legate tra loro adoppio giro di corda,con uno stretto rap-porto tra innovazioniscientifiche, in partico-lare nel campo della ge-netica, l’etica e laresponsabilità indivi-duale, il mondo della po-litica, cui è demandato il dovere diassumere decisioni in grado di garantire aicittadini la possibiltà di disporre di un ven-taglio di opzioni tra cui operare, in modoquando più possibile autonomo, le scelte divita. Il Palazzo non può ignorare la vitareale e quotidiana dei cittadini quando le-gifera o discute di questioni quali testa-mento biologico o libertà di ricerca e dicura. Si tratta di questioni incomprimibiliche toccano la vita e la morte, l’inizio e lafine di ognuno. Basterebbe solo ricordarecome il mondo politico inglese oggi assumesu di sé l’onere e l’onore di scelte forti edinnovative, frutto non di convinzioni pre-costituite ma elaborate attraverso un co-stante dialogo ed aggiornamento con i

ricercatori, acquisendo così una cono-scenza con la quale, inoltre, informare cor-rettamente i cittadini. Altresì interessante

l’approccio della politicastatunitense che chiedeagli scienziati di creare un“qualcosa” attraverso ilquale poter contempora-neamente superare i li-miti etici e fare ricercasulle cellule staminali em-brionali. In Italia, invece,la negazione della fecon-dazione eterologa si èfondata su criteri morali-stici, rispettabili, forseanche condivisibili daparte dei singoli, ma nonper questo imponibili perlegge a tutta la società ci-vile. Riteniamo che visiano temi sui quali la

scelta degli individui, difficile, dolorosa,contraddittoria, debba trovare garanzie enon soluzioni dogmatiche di natura reli-giosa, valevoli per una fede, ma non peraltre o per coloro che si ispirano ad altreopzioni di carattere etico-filosofico.

Appare allora di tutta evidenza comementre nel mondo si cerchino strade pernon bloccare la ricerca scientifica, ed anziattraverso il dialogo tra scienziati e politicisi trovino vie, ognuno nel proprio ambito,per farla progredire, in Italia si cerchi di ri-condurla all’interno di visioni del mondoche nulla hanno a che fare con l’obiettivitàe lo sviluppo scientifico. Si ha insomma lasensazione che nel vecchio Stivale abbiamoperso di vista quanto sia avvenuto nel

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mondo scientifico internazionale negli ul-timi 20-25 anni. Il vuoto è anche politico enon può non essere affrontato in quellasede.

Sulla carsica stradadella laicità moderna, ilcammino per scheg-giare una pietra disenso non è dunque fa-cile. Si scontra conl’oscurantismo e l’intol-leranza, con le tantemaschere dei nuovidogmi calate sul collodi chi cerca spazio perl’umano e per la ri-cerca. Laico – scrivevaGennaro Sasso – è coluiche di fronte alla realtà ealle sue mille facce, in-nanzi tutto dubita, non saquale debba darsi la prefe-renza, non sa se ce ne sia una che le riassumatutte e ne sveli il senso e nemmeno sa se in quelche vede e viene via via sperimentando, unsenso vi sia. Non conosce verità che gli appaianocome verità. Cerca e non trova, perché questo èil destino del suo laicismo: il non avere fedi cheresistano alla prova a cui, incessantemente, ildubbio sottopone le loro forme.

Vorremmo che ogni essere umano, datecondizioni ben definite sul piano scienti-fico deontologico, possa essere padronedella sua vita e della sua morte e non gia-cere come un prigioniero incatenato a uncorpo. Ci sono momenti dell’esistenza di-nanzi ai quali lo Stato dovrebbe rispettarela dignità e la libertà di coscienza del citta-dino e di chi in particolare patisce in prima

persona. Non è ammissibile che una solapretesa assoluta costituisca il “verbo” im-posto alla comunità civile come l’unico vin-colo etico-morale da accettare a ginocchio

piegato. Lo Stato laico hail dovere di rispettare lascienza e i dettami dellevarie etiche, come ha ildovere di rispettare il do-lore e, nei casi stabiliti, diriconoscere la legittimitàda parte del singolo disottrarvisi. Questa è pernoi la libertà nella neces-saria e salutare diversità.Non c’è una teologia néuna Chiesa né unascienza che valga quantola libertà di vivere e mo-rire come si crede.

La nostra è un’eticalaica, di frontiera, ma non

antireligiosa. Essa si pone semplicementecome aperta e non dogmatica, soprattuttodinanzi a una scienza che viene a ribaltarecostantemente una serie di “conoscenze”sedimentate da secoli e che appaiono divolta in volta superate. Risulta perciò ana-cronistico fondamentalismo, talebano ocattolico non importa quali panni vesta,l’applicazione di un’etica inamovibile, diuna verità acquisita per sempre, peggio secalata dall’alto. Da uomini del dubbio,l’unica paura che abbiamo è quella che pro-viamo nei confronti di chi ha certezze in-crollabili e sputa sentenze per obbedire anon si sa quali leggi. Libertà e tolleranza,grandi princìpi della sapienza umana, val-gano anche per il confronto aperto tra

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patteggi con la propria coscienza. È tempodi costruire ponti al dialogo. Anche per

questo, l’appuntamentoche insieme questa seraabbiamo vissuto è un’altrapietra nella strada dellasperanza di un necessarioconfronto. Si deve ancoracercare e si deve andarelontano, senza dimenti-care che tutto va esperitoin nome dell’uomo. Amomolto - mi permetto difarne dono a tutti noi -un’espressione del Fra-tello Voltaire, che in con-clusione fa dire a Candido,il suo eroe smarrito nelmondo: Ora però dobbiamo

coltivare il nostro giardino. È la dimensione del cuore, icona di ciò

che resta, dell’uomo che lotta e che nonsi ferma alla prima taverna delle ricettené ascolta le sirene dei tuttologi, machiede risposte vere a domande vere.L’umanità, dicevano i Templari, è la stellapiù alta di tutte.

etica e scienza, sempre penultime, sempreliminari, costantemente in cammino versoun-dove e un-altro cheporti speranza all’uomo.Entrambe sono chiamatedalla vita a spostare i pro-pri confini.

Ci siano perciò le agoràdi confronto, non le torridell’assolutismo abitatemagari dai “convertiti”dell’uno o dell’altro eser-cito: sono i convertiti ipeggiori “sarti” del filodella tradizione di ricerca.Una Weltanschauung cheabbia cura della vita manon paura di cercarla è in-vece necessaria. L’opzionefondamentale resta la qua-lità della vita. Solo il pensiero del Non-Neu-tro, ovvero della differenza del bene e delmale può farci evitare il giudizio che Bau-delaire dà della Terra quando scrive: Questopaese mi annoia...

Se possiamo permetterci di dare un’in-dicazione, vorremmo poter dire: nessuno

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O Signore, dà ad ognuno la propria morte, quel morireche fiorisce da una vita in cui si è trovato amore, senso e pena.

Giacché noi siamo soltanto il guscio e la foglia. È la grande morte che ognuno ha in sé, il frutto attorno a cui tutto gira

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propria della società moderna e contem-poranea.

La nascita della bioetica, negli anni Set-tanta, ha posto al centro del dibattito le co-siddette questioni di “entrata” e “uscita”dalla vita, stimolando una progressivapresa di coscienza nei confronti dei pro-blemi connessi al morire. Se la morte è perl’uomo un evento inevitabile, è anche unfatto eminentemente “personale”, da assu-mere coscientemente e responsabilmente,come momento riassuntivo dell’intera esi-

IIII progressi della biomedicina hannotrasformato, nel giro di pochi de-cenni, le circostanze e le modalità

del morire e insieme hanno contribuito amutare le visioni della morte. Lo storicofrancese Philippe Ariès, ne L’uomo e la morte,dal medioevo ai nostri giorni, ha mostratocome gli atteggiamenti verso le ultime fasidella vita siano progressivamente andatimutando e si sia passati, nei secoli, dall’ac-cettazione della morte, vissuta come unevento naturale, a una negazione della morte,

The biological testament offers new fundamental rights to any person. This way heor she becomes not only responsible for his/her own properties, but also for the futureof his/her own life. Then, the Author underlines the fact that such a testament hasnothing to do with euthanasia, and consequently remarks how the frequent andimproper reference to this illegal act results absolutely misleading in the currentdebate about this ethical problem.

IIll tteessttaammeennttoo bbiioollooggiiccoo nneell ddiibbaattttiittoo bbiiooeettiiccoo

di LLuuiisseellllaa BBaattttaagglliiaaUniversità di Genova

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stenza. Da qui deriva la legittimità, anzi lanecessità, della cura al morente, il cui prin-cipio etico fondamentale si risolve nel fa-vorire la dimensionepropriamente umanadel morire. Ma da quianche l’emergere diquestioni che riguar-dano la libertà del-l’individuo rispettoal potere medico e ivalori di autonomia edi dignità della per-sona. È infatti pro-prio la capacità dellascienza e della tecno-logia di ritardare inde-finitamente la morte, a far nascere larichiesta di riprendere possesso della pro-pria vita. A questa esigenza intende ri-spondere il “testamento biologico” : undocumento con cui una persona, dotata dipiena capacità, esprime la sua volontà circai trattamenti ai quali desidererebbe, o nondesidererebbe, essere sottoposta nel casoin cui, nel decorso di una malattia o a causadi traumi improvvisi, non fosse più ingrado di esprimere il suo consenso.

Le cosiddette “direttive anticipate”, ov-vero la dichiarazione in cui ciascuno di noi,in piena libertà e coscienza, può esprimerele proprie volontà circa le cure da ricevere,nel caso perdesse la facoltà di decidere, acausa di una malattia o di lesioni traumati-che irreversibili, sono una facoltà, noncerto un obbligo. Come ogni testamento,anche quello biologico è del tutto volonta-rio e può essere sottoscritto se – e solo se –si ritiene che sia preferibile e più saggioprevedere una situazione estrema e fornire

indicazioni in merito per evitare sia di affi-dare ad altri decisioni che dovrebbero ri-guardare solo la nostra coscienza, sia di

gravare parenti e fami-liari della responsa-bilità non condivisadi decisioni difficilida assumere. Ogniindividuo dovrebbeessere titolare del di-ritto di esprimere ilproprio volere anchein maniera antici-pata, in relazione atutti i trattamenti te-rapeutici e a tutti gli

interventi medici circai quali può lecitamente esprimere la suavolontà attuale. È questa una considera-zione della massima importanza: ad un ap-proccio superficiale, il testamentobiologico potrebbe infatti suggerire l’ideadi una compenetrazione, se non di unaidentificazione, con l’eutanasia, quasi a si-gnificarne una legittimazione. Nulla di piùerrato. Esulano infatti, dalle direttive anti-cipate, le dichiarazioni dal contenuto ille-cito, e quindi vietato, perché contrastanticol diritto, con la deontologia medica etc.Il paziente, per esempio, non può essere inalcun modo legittimato a richiedere la pra-tica dell’eutanasia in suo favore, una pra-tica che, com’è noto, è riconducibile nelnostro paese a due distinte ipotesi di reatopreviste dal Codice Penale: omicidio delconsenziente (Art.579) e aiuto al suicidio(Art.580).

Un secondo grave elemento di confu-sione, spesso evocato nella polemica incorso, è quello per cui si afferma che il te-

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stamento biologico rappresenti un abban-dono del paziente suggerendo, in talmodo, un contrasto conle cure palliative deldolore. Ancora unavolta, va ribadito chele direttive anticipateriguardano qualsiasitipo di trattamento alquale si desidererebbeessere sottoposti e,quindi, comprendonoanche la richiesta dicure palliative, leeventuali disposizionisul trapianto di or-gani, le preferenze delsoggetto in relazione alle possibilità dia-gnostiche e terapeutiche, la richiesta dellasospensione dell’alimentazione e del-l’idratazione artificiale, l’assistenza reli-giosa etc. Lungi dall’essere un segno diabbandono e di solitudine, il testamentopuò rappresentare un importante mo-mento di socializzazione del morire, unatestimonianza tangibile dell’alleanza tera-peutica o dell’antica amicizia, di cui Pla-tone parlava nel Lisia, tra il paziente e ilsuo medico. Una forma, se si vuole, po-stmoderna di quell’antica ars moriendi chedovrebbe fondarsi sul diritto dell’indivi-duo a morire con dignità.

La rivoluzione liberale introdotta dallabioetica ha al suo centro l’affermazione delprincipio di autonomia che sancisce il di-ritto della persona di decidere in merito aitrattamenti medici e quindi anche di rifiu-tarli, se non corrispondono ai suoi valori ealla sua filosofia della vita. In bioetica saràsempre più frequente il caso di conflitti tra

possibilità che nascono dall’innovazionescientifica e tecnologica e un apparato le-

gislativo che resta rigidoe incapace di tener die-tro alle sempre piùcomplesse richieste cheprovengono dalla so-cietà civile. Mai comeoggi c’è bisogno del-l’aristotelica phronesis,ovvero di quell’artedella ragion praticaconsapevole che i prin-cipi ultimi di un si-stema morale, pur seenunciati con la mas-

sima precisione, nonsono in grado di offrire risposte prive diequivoci a tutti i problemi che si pongonogli uomini nell’infinita varietà delle situa-zioni concrete.

Le direttive anticipate, nella ricchezzadelle loro articolazioni, costituiscono unostrumento giuridico aperto e flessibile, ido-neo, proprio per questo, a regolare situa-zioni eticamente controverse. Comedistinguere il dovere di cura dall’accani-mento terapeutico? Rientra nella libertàdell’individuo quella di scegliere se esseresottoposto o meno a certi trattamenti,come la nutrizione artificiale? Quali sono iconfini tra atto medico e ordinario sosten-tamento vitale?

La tesi che la vita umana è un valore in-disponibile, indipendentemente dal livellodi salute, di percezione della qualità dellavita, di autonomia o di capacità di inten-dere e di volere è un’affermazione apodit-tica che contiene, a ben vedere, non pocheambiguità. In effetti, potrei ritenere, senza

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contraddirmi, che la mia vita sia un valoreindisponibile per gli altri, nel senso che nes-suno può arrogarsi il diritto di deciderne ilvalore in base a criteri di uti-lità sociale o di calcolo eco-nomico, ma che sia, invece,disponibile per me, nel sensoche mi riservo il potere di de-cidere se essa valga la pena diessere vissuta, in base ai mieivalori di riferimento.

Altra affermazione peren-toria, spesso avanzata nellapolemica attuale, è quella percui alimentazione e idrata-zione artificiale non vadanoconsiderate atti medici marientrino nell’ordinaria assi-stenza. Ciò significa che sitratta di atti dovuti, sottratti,pertanto, alla possibilità di scelta. Facen-doli, invece, rientrare tra i trattamenti sa-nitari, per i quali è necessario il consenso,essi diventerebbero oggetto di opzione:: èquesta la posizione di quanti rivendicano ildiritto per ciascuno di dichiarare — grazieall’auspicabile “testamento biologico” — iltipo di trattamento al quale si vorrebbe es-sere sottoposti, ivi comprese l’alimenta-zione e l’idratazione artificiale. Verrebbecosì rispettato quel “consenso informato”attorno a cui ruota la cosiddetta “rivolu-zione liberale” in medicina, incentrata sul-l’idea di autonomia della persona. La qualeha certo il diritto di essere curata ma anchequello, va ribadito, di non essere tenuta invita contro la sua volontà e, in ogni caso,dovrebbe poter rifiutare di essere nutritacoattivamente, nello spirito, del resto, diquanto recita il Codice italiano di deonto-

logia medica (Art.51): Quando una personasana di mente rifiuta volontariamente e consa-pevolmente di nutrirsi, il medico ha il dovere di

informarla sulle conseguenze chetale decisione può comportare sullesue condizioni di salute. Se la per-sona è consapevole delle possibiliconseguenze della propria deci-sione, il medico non deve assumereiniziative costrittive né collaborarea manovre coattive di alimenta-zione artificiale.

In singolare contrasto conquesta impostazione, verrebberitenuta lecita la sospensionedella nutrizione artificiale nonquando l’individuo dice no, masolo quando l’organismo rifiutaogni sostanza. Ancora una

volta, allorché ci muoviamo inquello spazio intermedio tra la vita e lamorte, in cui l’esistenza si protrae in as-senza di una vita cognitiva, l’organismo, equindi la vita biologica, sembra prevaleresull’individuo e la vita biografica. La sceltapare affidata alle sorti dell’organismo piùche all’autonoma volontà della persona:con una caduta paradossale, verrebbe ama-ramente da aggiungere, nel materialismo enel vitalismo.

L’innovazione scientifica e tecnologicaha fatto progressivamente venir meno lebarriere che la natura poneva alla libertà discelta sul modo di vivere e di morire. La fi-sicità della persona era ignorata dai codici:il corpo, in effetti, apparteneva alla “na-tura”. Oggi l’artificialità, che permea sem-pre più intensamente la nostra vita,consente scelte e decisioni dove prima re-gnavano il caso e il destino. Da qui la ne-

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cessità di rimeditare profondamente unastrumentazione giuridica costruita in altriclimi e per altri obiettivi, a partire innan-zitutto dalla riscopertadella trama profonda dellanostra Costituzione e diuna sua possibile riletturain chiave bioetica. Unatrama etico-filosofica dacui mi sembra emerga congrande nettezza l’affer-mazione di taluni principidi particolare rilievo perla riflessione bioetica,quali la libertà, la dignità,l’integrità, coniugati inuna duplice dimensione,individuale e sociale, indis-solubilmente legate.

Tutto ormai ruota intorno al consensodella persona, non più oggetto passivo delpotere medico, ma soggetto morale e giu-ridico a pieno titolo, titolare del diritto distabilire se, come e quando essere — o nonessere — curato. La possibilità di scegliere,il principio di autonomia rappresentanoormai nuove dimensioni della nostra li-bertà; lo stesso diritto di rifiutare le curenon nasce dal vuoto di valori, ma trova lesue radici più profonde in convinzioni reli-giose — si pensi ai Testimoni di Geova — omorali.

È qui fondamentale — come è facile in-tuire — la relazione col medico che dovràconsigliare e assistere, dando le opportunedelucidazioni e offrendo la massima cura:strumento dunque di una comunicazioneritrovata, di una vera e propria “alleanzaterapeutica”, non certo espressione di ab-bandono, di isolamento o di chiusura. Nella

riflessione contemporanea si dà sempremaggiore spazio all’etica della cura, chevuole non soltanto curare ma anche pren-

dersi cura — cioè farsi ca-rico responsabilmentedei bisogni e delle soffe-renze della persona.Essa quindi si rivolge so-prattutto ai malati “in-curabili” e si presentacome una risposta posi-tiva, intesa a contra-stare il sentimento diabbandono e la conse-guente richiesta dimorte da parte dei ma-lati terminali. In questo

quadro, si può collocarela crescente diffusione degli hospices, luo-ghi che mirano a perfezionare il tratta-mento del dolore e ad accompagnare ipazienti a una “buona morte”, in una rin-novata ars moriendi.

“Prendersi cura” non significa sempre esolo tenere in vita a ogni costo ma assu-mersi talora la responsabilità condivisa diaccompagnare la vita al suo naturale com-pimento. Sono qui a confronto due visionidel medico: l’una “bellicista”, ben descrittada Susan Sontag ne La malattia come meta-fora, che lo vede come un generale allaguida di un esercito in guerra contro la ma-lattia, l’altra, riconciliata con l’immaginetradizionale, che lo vede anche come quelnuncius mortis, che accompagna amorevol-mente al trapasso, accettandone l’inevita-bilità. In linea, quest’ultima, col codicedeontologico che ribadisce il dovere delmedico di continuare a offrire la propriaassistenza morale, limitando la sua opera

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alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenzee fornendo al malato i trattamenti appropriati,a tutela, per quanto possibile, della qualità divita (Art.37).

Ho incontrato nella mia vita malati pa-ralizzati ormai dalla distrofia muscolareprogressiva, inten-zionati a combatteretenacemente controla morte, animati dauna voglia di vivereinesausta e altri de-siderosi di porre finea un calvario di sof-ferenze inutili, aun’esistenza avver-tita ormai comepriva di significato.Se è bene, come ta-luni hanno sostenuto,che la politica stia lontana da certe deci-sioni, che esigono primariamente rispettoe solitudine è, tuttavia, suo compito “ga-rantire” quelle condizioni che assicurino aquanti sono liberi di intendere e di volere,di decidere, da sé, se, come e quando mo-rire. Senza esercitare né subire alcuna pre-varicazione.

Ma quanti sanno effettivamente checosa il documento prevede, quali garanziecomporta, quali limiti si assegna? L’assenzadi informazione è tanto più sconcertanteove si consideri che mentre i normali te-stamenti riguardano i nostri beni materiali,il testamento biologico riguarda il nostrobene più prezioso e indisponibile: la vitastessa. Le direttive anticipate, con la lorovalorizzazione dell’autonomia della per-sona — protagonista della decisione tera-peutica — rappresentano certo

un’estensione della cultura che ha intro-dotto il modello del “consenso informato”.Si potrebbe vedere in esse una sorta di“pianificazione anticipata delle cure”anche se, a mio avviso, si propongono qual-cosa di più delicato e importante: rendere

possibile un rapporto per-sonale tra medico e pa-ziente proprio in quellesituazioni in cui si incon-trano drammaticamente lasolitudine di chi non puòpiù esprimersi e quella dichi deve decidere. La lorofinalità fondamentale è difornire ai medici, al perso-nale sanitario e ai familiariinformazioni che li aiutinoa prendere decisioni che

siano sempre in sintonia conla volontà e le preferenze della persona dacurare. Per questo è auspicabile che ab-biano carattere pubblico, cioè siano redattein forma scritta, da soggetti maggiorenni,competenti, informati, non sottoposti adalcuna pressione familiare, ambientale, so-ciale e che siano tali da garantire la mas-sima personalizzazione e la possibilità direvoca in qualsiasi momento. Indispensa-bile appare ovviamente l’informazioneadeguata e dettagliata relativamente allesituazioni cliniche e alle conseguenze chepuò comportare la somministrazione ol’omissione dei vari trattamenti. L’assi-stenza di un medico che le controfirmi con-sentirebbe di non lasciare equivoci sul lorocontenuto; così pure la nomina di un “fi-duciario” — designato dallo stesso paziente— col compito di vigilare sulla corretta ese-cuzione delle direttive e di intervenire a tu-

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tela degli interessi e dei desideri preceden-temente espressi, qualora sorgessero dubbisull’interpretazione o sull’at-tualità di tali desideri.

Come si vede, le direttiveanticipate, nella ricchezzadelle loro articolazioni, pos-sono considerarsi parte dellungo cammino volto a assi-curare il rispetto della dignitàdel malato. Un cammino tut-t’altro che concluso: è proba-bile infatti che debba passareancora molto tempo perchè iprincipi ispiratori che le ani-mano riescano a modellare ilcomune modo di pensare deimedici, dei pazienti e più in generale dellapubblica opinione. In attesa di un inter-vento legislativo, continuiamo a discuterenelle scuole, negli ospedali, nelle associa-zioni, nella consapevolezza della straordi-naria complessità della questione chedobbiamo affrontare. Un esempio? Il fattoche spesso la consapevole rinuncia da partedel paziente al cosiddetto “accanimento te-rapeutico” venga indebitamente confusacon l’eutanasia complica notevolmente ildiscorso sul testamento biologico, in cui siafferma unicamente il diritto di chiedere lasospensione o la non attivazione di prati-che terapeutiche che il paziente compe-tente ha il pieno diritto morale e giuridicodi rifiutare. Né — altro punto controverso— il testamento sembra apparire in con-trasto col principio della sacralità dellavita: ciascuno è responsabile della sua vitae della sua morte, sia che consideri la vitacome un dono divino, sia che la veda comeun personale possesso.

Il cardinale Martini, nel suo pacato in-tervento sul caso Welby, oltre a introdurre

una distinzione quantomai opportuna tra duetermini spesso indebi-tamente confusi — l’eu-tanasia, che si riferiscea un gesto che intendeabbreviare la vita cau-sando la morte e il ri-fiuto delle cure, checonsiste nella rinunciaall’utilizzo di proceduremediche sproporzio-nate e senza ragione-vole speranza di esitopositivo — ha ricordato

che evitare l’accanimento terapeutico si-gnifica assumere i limiti della propria con-dizione mortale. Ma come stabilire — si èchiesto — se un intervento medico è ap-propriato? Non ci si può richiamare a unaregola generale, quasi matematica, da cuidedurre il comportamento adeguato maoccorre un attento discernimento che con-sideri le condizioni concrete, la situazionein cui l’evento si svolge. Si tratta di un ri-lievo della massima importanza che ci ri-chiama a una visione della morale noncome dominio non della legge astratta e deiprincipi assoluti ma come luogo della pru-denza, secondo una tradizione che risale adAristotele e di cui Tommaso, nel pensierocristiano, dà testimonianza. In bioetica nons’intende tanto dimostrare una veritàquanto giustificare una scelta, un’adesione,una pratica; la giustificazione riguarda lalegittimità, la moralità ma anche l’oppor-tunità di un determinato agire. Che cosarende un corso d’azione migliore d’un

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altro, una decisione più giusta di un’altra?I principi non possono mai decidere le que-stioni etiche per se stesse ma, piuttosto,possiamo cogliere laforza morale dei prin-cipi studiando i modiin cui essi sono appli-cati alle situazioniparticolari. Per unavalutazione della pro-porzionalità, Martinifa riferimento, oltreche alla situazione,alla volontà del ma-lato e, dunque, allacentralità della per-sona: la proporziona-lità deve esserecalibrata su un soggetto, meglio, da lui de-cisa, non affidata ad astratte valutazioni.Non si vuole così ridurre o ridimensionareil ruolo del medico, come taluni potrebberotemere, ma piuttosto ricostituire una rela-zione col malato, una vera “alleanza tera-peutica”, basata sulla comunicazione e,quindi, sulla fiducia.

Dal discorso di Martini mi sembraemerga, pertanto, la possibilità di una bioe-tica religiosa che riconosca il valore cru-ciale dell’autonomia, un valore che spessosi considera proprio soltanto di una bioe-tica laica. Un’autonomia da intendersi insenso forte, kantiano, intesa a fare di cia-scuno di noi il legislatore tenuto a osser-vare la sola norma che deriva dalla ragione;un’autonomia che non è assoluta, non si-gnificando, secondo una visione stereoti-pata, né isolamento né abbandono, enemmeno uno “stato” ma, piuttosto, un

processo, qualcosa che matura e si rafforzanel dialogo tra medico e paziente. Perchèmai un credente non dovrebbe preoccu-

parsi della modalità della suamorte, riflettere su qualidecisioni prendere in situa-zioni che si prospettano di-lemmatiche, dal momentoche a buon diritto si preoc-cupa della sua salute nelcorso della vita? La fedenella provvidenza divinanon esclude in alcun modola lungimiranza umana:probabilmente la presup-pone.

Quella di Martini misembra un’impostazione

teorica che ha il merito di rendere proble-matici gli schieramenti ideologici precosti-tuiti, gli integralismi in competizione e dievidenziare la vacuità di quella separazionerigida tra bioetica laica e bioetica cattolicache troppo spesso viene impiegata comeun vero e proprio criterio distintivo, strut-turale, tra universi ideali incomunicabili.

Viene inoltre mostrata la compatibilitàtra “autonomia” e “cura”, due valori spessoritenuti erroneamente antagonisti. In re-altà, all’interno di una bioetica liberale, cheponga al centro la relazione tra l’io e il tu,l’autonomia non esclude in alcun modoquel prendersi cura che significa attenzioneper l’altro, le sue esigenze, i suoi bisogni eche testimonia una solidarietà umana fon-damentale.

Sono certo comprensibili e ampiamentecondivisibili le cautele procedurali relativeall’accompagnamento al morire, proprio

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per evitare che prendano il sopravvento in-teressi diversi da quelli del morente (es.l’istituzione ospedaliera chevuole ridurre i costi di de-genza; famiglie o congiuntiche vogliono liberarsi daoneri divenuti troppo gra-vosi etc.). La disciplina giu-ridica deve rimaneresempre saldamente anco-rata alla volontà espressadalla persona e, proprio perquesto, l’impegno a favoredel testamento biologicodovrebbe essere sostenutoda credenti e non credenti.Un impegno comune voltoa elaborare regole per conci-liare il diritto individuale a disporre dellapropria vita — peraltro costituzionalmentegarantito — con l’obbligo istituzionale a fa-vorire tutte le cure necessarie alla personamalata, obbligo che non si deve in alcunmodo spingere alla “tortura inutile” del-l’accanimento terapeutico.

Casi recenti hanno rotto la congiura delsilenzio sulla morte, costringendoci a par-lare di che cosa è — e sarà sempre più — lostato terminale della vita, il tratto estremodel nostro passaggio umano in società tec-nologiche ad alta medicalizzazione. La tec-nica sta ormai cancellando la mortenaturale nei termini in cui l’aveva finoravissuta la nostra specie. Viviamo un muta-mento epocale che richiede un eserciziostraordinario di ragione e di realismo pro-prio per un carico di decisioni e di respon-sabilità impensabili nel mondo di ieri,governato dalla natura e dalle sue leggi.

La questione delle direttive anticipatedi trattamento, trasformata sempre più in

occasione di scontro ideolo-gico tra sostenitori di op-poste visioni, dovràdiventare oggetto di unadiscussione parlamentareserena, basata sull’assun-zione di alcuni dati di fattosulle decisioni di fine vita,a partire dalla Convenzionedi Oviedo (1997), oltre chedal Codice di Deontologiamedica, in cui si ribadisceche il medico “non può nontener conto delle eventualidichiarazioni di volontà

precedentemente espresse”. Si ricorderà che il Presidente della Re-

pubblica, intervenendo sul caso Welby,aveva posto al Parlamento il problema deldiritto di ciascuno di poter decidere dellafine dignitosa della propria vita. In talmodo si era evidenziata la necessità ormaiineludibile di un incontro diretto tra pianoistituzionale ed esistenza umana, l’esi-genza, in altri termini, di una politica sen-sibile alle richieste personali degliindividui, attenta ai loro bisogni esisten-ziali più profondi, capace di ricostruire lafiducia verso le istituzioni. Una “biopoli-tica” in cui non si parli solo di benessere,ma soprattutto di “ben vivere” e quindianche di “ben morire”.

Vicende tragiche come quella di GiorgioWelby e di Eluana Englaro ci hanno fattocomprendere le mutue implicazioni tra lasfera della politica e quella della vita, trapolis e bios. Lo sviluppo tecnologico è tal-

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ingerirsi a tutti i costi nella privacy, en-trando nelle decisioni più intime e dolo-rose relative al nascere e al morire; ma ven’è un’altra liberale per cui la scienza puòe deve diventare un’alleata dell’individuo,che resta il protagonista delle sue scelte,non un avversario da temere o da combat-tere. Sta a noi far sì che questa biopoliticaprevalga sull’altra.

mente rapido da rendere sempre più labilile frontiere tra la vita artificiale e la morte.Problemi privati, da risolvere nel foro in-teriore, sono ormai entrati nel campo po-litico: ciò che era ai confini sta ora alcentro. Dalla bioetica siamo passati cosìalla biopolitica, la quale presenta un’ambi-valenza fondamentale: ha una faccia auto-ritaria, quella con cui lo stato vuole

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1 Sulla pirateria e la corsa, cfr. S. Bono, Corsari nel Mediterraneo, Milano 1999; P. Sebag, Tunisau XVIIe siècle, Paris 1989, cap. IV e V; Id., La course au XVIIIe siècle, Tunis 1999.

loro esperienze. Nell’Ottocento si sviluppòuna numerosa e radicata collettività ita-liana, dedita agli scambi commerciali e al-l’esercizio delle professioni liberali. Inseguito alla firma del trattato di Aix-la-Chapelle, il 20 novembre 1818, e la conse-guente definitiva rinuncia da parte dellaReggenza di Tunisi della redditizia praticadella corsa1, ebbe inizio la formazione delleprime colonie d’insediamento “nazionali”.L’evoluzione storica e politica della collet-tività italiana fu profondamente legata alla

La collettività italiana in Tunisia nell’etàliberale

LLLLa storia della collettività italiana inTunisia è la storia dell’incontro didue popoli e di due culture e dei

frutti e delle conseguenze di quell’incon-tro. Gli Italiani in Tunisia, migranti per ra-gioni sociali ed economiche nel generaleestraniamento prodotto dalla rivoluzioneindustriale e dalle sue conseguenze, con-tribuirono al benessere e alla crescita delPaese d’accoglienza con l’apporto delle

The present article has been selected in the framework of the “Premio Treves” by theevaluatory Commission appointed by the Grand Orient of Italy (30th October, 2008).The authors, thanks to the “Associazione culturale Giorgio Asproni” of Cagliari(Sardinia), have developed their researches in the archives of Tunis and of the G.O.I.in Rome. Tunis results to be an interesting country for the role which Lodges assumedwithin Tunisian society and for the diffusion of ideals such as Progress, Developmentand Modernization. Masonic values had also a considerable impact not only on theItalian Risorgimento, but also against Fascism.

TTrraaddiizziioonnii,, iinnnnoovvaazziioonnii ee bbaattttaagglliiee..MMaassssoonneerriiaa ee aannttiiffaasscciissmmoo iinn TTuunniissiiaa nneell ssoollccoo ddeell RRiissoorrggiimmeennttoo

di GGiiuusseeppppee CCoonnttiinniieelllloo ee CCllaauuddiioo OOrrttuuUniversità di Cagliari

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2 Nel XVI secolo, la famiglia Lomellini di Genova, ottenuto il possesso dell’isola di Tabarca,vi favorì l’insediamento di alcune famiglie liguri affinché potessero dedicarsi alla pesca del coralloe ai commerci.3 E. De Leone, La colonizzazione dell’Africa del Nord (Algeria, Tunisia, Marocco, Libia), CEDAM, Pa-dova 1957, p. 191.

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stendo un ruolo di preminenza nella so-cietà e nell’economia del Paese. Fin dai

primi decenni del Settecento,essi ebbero «un loro Tempio,un loro tribunale rabbinico,un loro macello rituale e unloro cimitero, finché, nel1824, dal Beÿ Hussein riusci-rono ad ottenere anche unqâ’id (cioè un responsabiledella comunità di fronte algoverno beylicale) distintoda quello degli altri israe-liti»3. Grazie al monopolio dialcune attività commerciali,come quella del cuoio, essiaccumularono ingenti capi-tali, con i quali poterono fi-

nanziare la creazione di:scuole, ospedali, società di beneficenza e diuna Camera di commercio, molto impor-tante per gli scambi con la Penisola. Neiquasi tre secoli di residenza in Tunisia, laminoranza livornese conservò una dupliceidentità: essi erano, al contempo, italianied ebrei. Ciò permise loro di intessere rela-zioni con la società tunisina con più ampimargini di autonomia, capaci di modularsirispetto all’ambiente, a seconda della con-giuntura storica e della necessità contin-gente, in un processo di continuoadattamento, senza tuttavia perdere i trattidistintivi della loro collettività. Il loro po-

presenza degli ebrei livornesi. Essi, infatti,rappresentarono un nucleo compatto e di-namico, capace di svolgereuna fondamentale funzionedi mediazione con la so-cietà e le istituzioni locali.Gli ebrei livornesi, dettiGrâna (plurale di qurni, “li-vornese”, dall’arabo Qurna,“Livorno”), rappresenta-rono, insieme ai tabar-chini2, le prime presenze diquella che sarebbe diven-tata la più numerosa tra lecollettività straniere pre-senti in Tunisia.

A partire dal XVIII se-colo, un gran numero diebrei di origine spagnola eportoghese, espulsi dalla Penisola ibericanel 1492, trovò asilo a Livorno e contribuì arendere la città e il suo porto uno dei piùimportanti del Mediterraneo. In brevetempo, acquisita una posizione egemonenegli scambi commerciali con l’altrasponda del Mediterraneo, essi poterono co-stituire il primo nucleo di Livornesi resi-denti stabilmente in Africa del Nord. InTunisia essi si dovettero rapportare conuna collettività d’origine ebraica molto piùimportante numericamente e residentenella Reggenza dal VII secolo. I Livornesi sidistinsero subito dagli altri ebrei, rive-

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4 A. Molho, Ebrei e marrani tra Italia e Levante, in «Storia d’Italia», Annali II, Gli ebrei in Italia, To-rino 1997, p. 1031.5 A. Riggio, Note per un contributo alla storia degli Italiani in Tunisia, Bascone e Muscat, Tunisi1936, p. 16.6 Nel 1867, il viaggiatore italiano De Gubernatis nota che gli israeliti e i cattolici formano duecolonie in una sola, che essi siano italiani, francesi o altro. I legami negli affari sono inevitabili e non mancanoma a un altro livello, tanto per gli uni che per gli altri, esistono ancora numerose differenze da colmare, E. DeGubernatis, Lettere sulla Tunisia e specialmente sulla provincia di Sussa e Monastir, Firenze 1867, p. 67.7 G. Zecca, L’emigrazione italiana in Tunisia, in «Africa», 17 febbraio 1963, p. 58.

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l’occasione per esercitare una maggiore in-gerenza negli affari interni del Paese e per

gli ebrei livornesi si deter-minò la definitiva separa-zione dalla collettivitàebraica di antico insedia-mento in Tunisia. Questoavvicinamento politico congli Europei non implicò,tuttavia, una fusione totalecon la comunità cristiana. ILivornesi, infatti, conserva-rono le proprie specificitàreligiose6, senza però pre-cludersi i numerosi van-taggi materiali, soprattuttodi natura economica, chederivarono loro dallo status

di protetti. Essi «impianta-rono in Tunisia feconde attività commer-ciali e imprenditoriali, si inserirono negliistituti di credito e nelle società francesi ecostituirono una solida categoria di liberiprofessionisti»7. I Grâna, sebbene non fu-rono mai élites politiche in senso proprio,poterono, tuttavia, esercitare una notevoleinfluenza sulle autorità tunisine, detentricidel potere politico e, dopo l’instaurazionedel protettorato da parte della Francia, suquelle francesi.

tere d’influenza non rimase confinato al-l’interno della sola collettività italiana,della quale rappresentarono laborghesia commerciale piùattiva e capace. Essi «porta-vano con sé delle visioni cul-turali e una preparazioneeconomica che non sempre[…] potevano conciliarsi congli interessi e le visioni degliebrei locali. La loro prospet-tiva culturale era più aperta,cosmopolita […] Se non altrola loro cittadinanza toscana[…] li faceva apparire mag-giormente europei. I lorocontatti con le rispettive fa-miglie a Livorno […] conso-lidavano la loro apertaimmagine europea»4.

La famiglia Lumbroso e quella Castel-nuovo, in particolare, si adoperarono affin-ché altre famiglie di origine ebraica fosseroimpiegate alla corte del Beÿ. Approfittandodei vantaggi accordati dalla Reggenza agliEuropei, i Livornesi «ricercarono la prote-zione delle potenze europee come mezzoper preservare le loro ricchezze e difendereil loro patrimonio»5. Per i rappresentanticonsolari delle potenze straniere questa fu

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8 A. Riggio, Riflessi del Risorgimento italiano a Tunisi (1847-1870), in RSRI, XXXVIII (1951), pp.617-26.

9 Sul fuoriuscitismo politico verso la Tunisia, cfr. M. Vernassa, All’ombra del Bardo. Presenzetoscane nella Tunisia di Ahmed Beÿ (1837-1855), Pisa University Press, Pisa 2005; N. Pasotti, Italiani eItalia in Tunisia dalle origini al 1870, Finzi, Roma 1970; E. Michel, Esuli italiani in Tunisia (1815-1861), ISPI,Milano 1941e A. Riggio, Note per un contributo alla storia degli Italiani in Tunisia, cit.10 Giuseppe Maria Raffo (1795-1862), nato a Tunisi, entrò giovanissimo al servizio dei Beÿ.Consigliere di Corte, negli anni Trenta-Cinquanta dell’Ottocento fu ministro degli Esteri del Beÿ.Sull’attività svolta da Raffo, cfr. L. Del Piano, La penetrazione italiana in Tunisia (1861–1881), CEDAM,Padova 1964 ed E. De Leone, op. cit.

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tale della Reggenza tunisina. La maggiorparte di questi esuli si dedicò, con successo,

alle attività commerciali, men-tre altri aprirono scuole e siadoperarono nella diffu-sione della conoscenza dellalingua e della cultura ita-liana. Alcuni di loro furonoimpiegati come segretari,medici o avvocati presso lefamiglie più illustri del no-tabilato locale. Tra gli esuliche ebbero successo nellasocietà ospite vi fu GaetanoFedriani. Nel 1833, nella suacittà natale, Genova, eglicontribuì alla fondazione diuna sezione della “Giovine

Italia”. Divenuto amico di Giu-seppe Garibaldi, con il quale condivise unforte legame di amicizia, perseguitato,come l’Eroe, per le sue idee politiche, Fe-driani si rifugiò a Marsiglia, dove ebbe l’op-portunità di conoscere Giuseppe Mazzini.Nel giugno del 1834, dopo un breve sog-giorno a Malta, Gaetano Fedriani, munitodi una lettera di raccomandazione dellacasa Carignano indirizzata all’influenteGiuseppe Maria Raffo10, si trasferì a Tunisi.

Esuli e massoni italiani in Tunisia nellaprima metà dell’Ottocento

A partire dal 1820, in cor-rispondenza dei moti rivo-luzionari nei vari stati dellaPenisola, numerosi perse-guitati dalle repressioni deiregimi reazionari trovaronorifugio a Tunisi. «Gli eventifortunosi del Risorgimentonon potevano rimanereestranei alla vita degli Ita-liani della vicina spondaafricana»8. Ciò contribuì, inmisura maggiore, a renderele due sponde del Mediter-raneo ancora più vicine9.Numerosi Italiani si trasferi-rono nelle aree più dinamichedell’Impero ottomano e, in particolare,nella Reggenza di Tunisi, dove la colletti-vità italiana residente, la più consistente,numericamente, e rilevante, socialmente,tra quelle europee poteva offrire ospitalitàagli esuli politici e accogliere i flussi mi-gratori di lavoratori. Un primo vero af-flusso si verificò negli anni successivi al1821, quando numerosi carbonari dell’Ita-lia meridionale trovarono asilo nella capi-

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11 Nel 1840, Giuseppe Morpurgo, giunto a Tunisi da Livorno, fondò una scuola per i bambiniisraeliti italofoni.12 Paolo Antonio Gnecco (1789-1866), magnate dell’esportazione di grani e olii dalla Tunisiaverso l’Italia, fu il capostipite di una delle più antiche famiglie italiane trasferitesi a Tunisi. Ancoraoggi una targa, posta sul portone principale del Palazzo, ricorda il soggiorno, nel 1835, in Tunisiadi Giuseppe Garibaldi, quando ancora era solo un giovane marinaio, da poco membro della “GiovineItalia”. 13 A. Gallico, Tunis et les consuls sardes, Dar el-Gharb el-Islami, Beyrouth 1993, p. 151.14 Raffaele Rubattino offrì sempre sostegno alle iniziative patriottiche. La sua Società di na-vigazione concesse agli esuli passaggi gratuiti sulle navi. Fin dal 1852, Cavour, ministro dell’Agri-coltura e del Commercio, concesse a Raffaele Rubattino l’autorizzazione governativa per l’isti-tuzione della prima linea di navigazione tra la Penisola e le coste africane. La Rubattino-servizipostali marittimi attivò la linea di navigazione bimensile Genova-Cagliari-Tunisi e, nel 1870, ebbeinizio il collegamento settimanale Palermo-Tunisi. Cfr. A. Codignola, Rubattino, Cappelli, Bologna1938.15 G. Tore, Il trust sardo–ligure e la valorizzazione dell’economia tunisina, in G. Marilotti (a cura di),L’Italia e il Nord Africa. L’emigrazione sarda in Tunisia (1848–1914), Carocci, Roma 2006, p. 25.

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italiano a Tunisi, Licurgo Macciò, e a Raf-faele Rubattino14 un suo memoriale riguar-

dante un piano disfruttamento economico delPaese.

L’armatore ligure, in par-ticolare, assicurò non sol-tanto il trasporto dellemerci tra la Penisola e laReggenza, ma anche la cir-colazione delle idee e dellecospirazioni politiche, tantoche «tra il 1848 e il 1855 lalinea Genova-Cagliari-Tunisi divenne una delle viedi fuga più utilizzate dai pa-trioti democratici e mazzi-niani»15. Dal 1834, il sospetto

che i capitani di lungo corsofavorissero le corrispondenze degli affiliatialle società segrete divenne una certezza.

Nella Reggenza, Gaetano Fedriani e Giu-seppe Morpurgo11 furono molto attivi nelladiffusone del programma poli-tico della “Giovine Italia”, lacui cellula tunisina si riu-niva presso PalazzoGnecco12, «qui se dresse maje-stueusement tel une forteressed’italianité»13, in rue de laCommission a Tunisi. Fe-driani, fervente propagandi-sta della lotta sociale, incontatto con gli esponentidel movimento nazionaleitaliano a Marsiglia, a Malta,in Algeria e nella Penisola,fu amico delle più impor-tanti famiglie tunisine e,grazie a questi suoi legami,poté offrire soccorso a numerosi rifugiatipolitici. Nel 1878, egli consegnò al console

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16 Archives Nationales de Tunisie, Tunis, Cons. di Tunisi, M. 3: 1833-41, lettera del vice consoleGiovanetti, 24 febbraio 1834.17 Pompeo Sulema e sua sorella, Ester, giunti in Tunisia da Livorno, fondarono, insieme aGiuseppe Morpurgo e al religioso francese François Bourgade, una delle istituzioni scolastiche piùimportanti della Reggenza. 18 La famiglia Spezzafumo era originaria di Ancona. Valentino Spezzafumo, studente a Pisa,si arruolò nel Battaglione universitario toscano per combattere a Curtatone. Giunto in Tunisia, di-venne medico personale del Beÿ. Morì a Tunisi nel 1891.19 Giacomo Castelnuovo fu medico personale di Ahmed Beÿ. Suo figlio, Raffaello, fu consolea Firenze fino al 1871, quando il ministro tunisino Khayr ad-dīn decise di unificare il Consolato diFirenze con quello di Livorno.20 Nel 1829, i fratelli Finzi, di professione rilegatori e librai, decisi ad ampliare la propria at-tività, fondarono la prima tipografia privata in Tunisia che, nel 1879, ebbe il riconoscimento uffi-ciale del Governo della Reggenza.

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como Castelnuovo19, Andrea Peluffo, com-merciante ligure e primo presidente della

Camera Italiana di Commercio,Agricoltura ed Arte, GiulioIsraele e Salomone Finzi20,trasferitisi da Livorno a Tu-nisi dopo il fallimento deimoti carbonari del 1820-1821, e ancora: il pittore ve-neto Squegno, FrancescoGioia, l’impresario edileLeone Paladini e, infine, Do-menico Mangano che, rifu-giatosi a Tunisi dopo il 1849per sfuggire a una condannaa morte, comminata per atti-vità cospirative, avviò nume-rose iniziative commerciali,

quali: agenzie di cambio e ilprimo servizio postale della Reggenza. Do-menico Mangano morì a Tunisi nel 1883,come ricorda la lapide, posta nella criptadella Cattedrale della città, sulla quale silegge che «prese parte vivissima alle vi-

Nel febbraio di quell’anno, infatti, la morte,a La Goletta, del capitano Paolo Carbone,nativo di Recco, portò allascoperta di lettere e docu-menti massonici e carbo-nari concernenti l’Officina“Les Amis en captivité” diMalta. Si ritenne che «isuoi frequenti viaggi fraTunisi, Lisbona e Maltaavessero avuto lo scopo diportare dei pieghi in quelleregioni per le pratiche in-sane della propaganda»16.Attorno a Gaetano Fedrianisi riunirono: Pompeo Su-lema17, Corrado Politi, nel1854, transfuga in Tunisiadalle carceri del Papa, Valen-tino Spezzafumo18, reduce da Curtatone,Mario Simeoni, ex deputato alla Costi-tuente romana, Quintilio Mugnaini, medicodell’esercito del Beÿ e amico del Guerrazzi,il noto imprenditore Benedetto Calò, Gia-

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21 Il progetto, bloccato dalle autorità francesi nel 1881, fu in parte ripreso con l’inaugu-razione, nel 1887, dell’infermeria Santa Margherita, i cui primi amministratori furono i dottoriCarlo Stresino e Nicolò Cassanello.22 E. Michel, op. cit., p. 11.23 Abramo d’Isacco Lumbroso, di origine livornese, nato a Tunisi, fu il medico personale diAhmed Beÿ, primo chirurgo del Beÿ del campo nel 1840 e direttore dei Servizi di sanità del con-tingente tunisino in Oriente (1854-1855). Nel 1851, egli fu sostituito da Giacomo Castelnuovo, ilquale occupò lo stesso incarico per M’hāmed Beÿ. Cfr. J. Ganiage, La crise des finances tunisiennes etl’ascension des Juifs de Tunis (1860-1880) in R.A., n° 442-443, 1° - 2° trim., 1955, pp. 153-173 e p. 156.24 Notizie sulla Loggia “Cartagine e Utica” in “Bollettino Officiale del Grande Oriente Ital-iano”, anno I, numero 1, Torino, 15 novembre 1862. In particolare, sulla fusione delle Logge“Cartagine e Utica” e “Attilio Regolo”, avvenuta nel 1863, si veda “Bollettino Officiale del GrandeOriente Italiano”, anno II, numeri 13 e 14, Torino, 28 novembre 1863, p. 214.

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tuosi” di Livorno. Nel 1837, a Tunisi, fu isti-tuita la Loggia “Les Enfants Choisis de Car-

tage et d’Utique”, alla qualefurono affiliati AbramoLumbroso23 e Mario Sicard.Tuttavia, la prima Officinache lavorò legittimamentesotto gli auspici del GrandeOriente d’Italia in Tunisia fula Loggia “Cartagine eUtica”24, della quale Quiniti-lio Mugnaini fu il primoMaestro venerabile. Nel1864, vi furono affiliati:Santi (Primo Sorvegliante),Zarafa (Secondo Sorve-gliante), Morpurgo (Ora-tore) e Gioja (Segretario). In

Tunisia, questi uomini e altririfugiati ed esiliati politici ebbero occa-sione di affermarsi grazie all’esercizio delcommercio e delle professioni liberali, par-tecipando al rinnovamento del Paese inquanto élite della collettività italiana e inforza delle proprie specifiche professiona-

cende che assicurarono il nostro Risorgi-mento». A Tunisi, Fedriani istituì ancheuna sezione della Società Na-zionale Italiana, fece partedel Comitato di Soccorso eAssistenza per i connazio-nali poveri e, nel 1873, egli siimpegnò per la fondazionedell’Ospedale italiano21.«Quello che corre fra il 1834e il 1848 è, anche per la no-stra colonia in Tunisia, unperiodo di preparazione e diaspettazione. Più intimi ecordiali divengono i rap-porti tra gl’italiani delle di-verse regioni della penisola,che si ritrovano accantonelle riunioni delle società se-grete»22. La capitale della Reggenza e lealtre città del Paese furono caratterizzateda una notevole proliferazione di Officine.Nel 1821, alcuni rifugiati politici avevanofondato Logge collegate alla “Trionfo Li-gure” di Genova e alla “Anni Veri dei Vir-

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25 A. Salmieri, La communauté italienne de Tunisie, CIRCE - Paris III, Paris 1996, pp. 277-278.

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del processo decisionale, queste tre comu-nità avvicinarono i confini delle loro di-

verse culture per rafforzare ilpotere dello Stato e favorireil commercio e lo scambio. Ildiffuso, quotidiano processodi osmosi fra comunitàebraica e cristiana e societàospite contribuì a renderecondivisi gli ideali liberali digoverno costituzionale e diriscatto nazionale. Gli esulipolitici, strenui difensoridella propria identità nazio-nale, influenzati dalle cor-renti illuministiche erivoluzionarie, costituirono,infatti, un riferimento per il

futuro movimento patriotticotunisino. «Ces exilés politiques ont introduit enTunisie une culture nouvelle de l’action poli-tique. Il s’agit par exemple des manifestationsde rue, des réunions politiques, des associations.Toujours en rapport avec leur action, circulentà Tunis des feuilles imprimées qui introduisentà la fois une nouvelle forme d’écrit et sourtoutune littérature politique subversive»25. Gli im-migrati per ragioni politiche non badarono,infatti, soltanto a integrarsi economica-mente. Essi giunsero in Tunisia per trovareuna patria provvisoria con l’idea di ritor-nare, un giorno, nella Penisola. Nel Paesenord africano, essi si adoperarono per ri-creare una piccola Italia, con tutti gli ag-giustamenti, con tutte le idee, con tutte lespecificazioni del luogo che li ospitò. In Tu-

lità, ritenute indispensabili al progressodella Reggenza. Infatti, sebbene dell’Eu-ropa si avesse solo un pallidoriflesso, le élites tunisine fu-rono affascinate dai van-taggi della modernità,derivante della Rivoluzioneindustriale. Le istituzionipolitiche della Reggenza ap-prezzarono questo tipo di li-berali, che furono in gradodi fornire suggerimenti pre-ziosi per la formazione diuna moderna classe politica,atta a governare un Paesemoderno. La Reggenza diTunisi, infatti, fu desiderosadi poter contare su unaclasse dirigente simile a quellaeuropea, al fine di stimolare e/o realizzareun certo liberalismo nel Paese. Attraverso ilconfronto con quegli Italiani, soprattuttoall’interno delle Logge, alcuni esponentidel notabilato tunisino presero coscienzadelle possibili cause del ritardo della so-cietà musulmana rispetto a quella europeaed ebbero occasione di riflettere sulle ra-gioni del progresso delle nazioni europee esui mezzi da esse impiegati per raggiun-gere un elevato grado di sviluppo non soloeconomico, ma anche politico. Le Loggeitaliane furono luogo di incontro e di con-fronto tra esponenti della comunità mu-sulmana, ebraica e cristiana. In un Paesenel quale la presenza straniera fu da sem-pre ingente e integrata nei luoghi chiave

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26 Ibidem.27 Z. Ciuffoletti, L’associazione massonica, in «Il Risorgimento», anno XLVI, n. 2-3, Edizioni Co-mune di Milano «Amici del Museo del Risorgimento», Milano 1994, p. 281.

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scolaire, hospitalier, associatif»26. Nel Paesenord africano, gli esuli politici riorganizza-

rono quelle strutture associa-tive che consentirono lorodi continuare la lotta perl’affermazione degli idealidel Risorgimento, utilianche per riconoscersi, peravvicinarsi tra Italiani. LeLogge, i Capitoli e le orga-nizzazioni “profane”, ma dievidente derivazione mas-sonica, furono utili per rin-saldare, tra gli Italiani, ivincoli di solidarietà e cre-arne di nuovi con le altrecollettività straniere pre-senti in Tunisia, in partico-

lare con quella francese equella inglese, e il notabilato locale. DallaMassoneria, infatti, derivarono spesso «perfiliazione indotta, altre forme associative,quali le società di mutuo soccorso, i circoli,le associazioni di tiro a segno, nonché al-cune associazioni sportive e ricreative»27.All’interno e intorno alle Logge avvenne ungrandioso progetto di ridefinizione delleélites. Negli anni che precedettero il pro-tettorato francese sulla Tunisia operarono,all’Obbedienza del GOI, le Logge “Il Risor-gimento”, all’Oriente di Tunisi, e “Il Pro-gresso Costituzionale”, all’Oriente di Susa,i cui rispettivi Venerabili erano molto le-gati, come dimostra la partecipazione, il 21

nisia, essi dovettero, infatti, trovare origi-nali modalità di integrazione e regole diconvivenza. Il ceto borghesedella collettività italiana,che in Tunisia aveva fattofortuna, si saldò con laclasse politica locale, condi-videndo la necessità di adot-tare un pensiero liberale permodernizzare il Paese. Gra-zie alla Massoneria, inquanto organizzazione ten-dente all’integrazione dellenuove forze sociali, si diffu-sero progetti politici e stra-tegie culturali di consenso odi opposizione al potere,contribuendo alla rielabora-zione ideologica e culturaledel principio di autorità. Si comprese, inparticolare, che solo un potere per il qualefossero stabiliti dei limiti potesse condurrela società verso il progresso. Ai massoni ita-liani si deve l’apertura delle prime scuole(nel 1838 fu istituita la prima scuola ita-liana), dei teatri, delle tipografie e delle im-prese editoriali nonché un forte impulso amoderne iniziative nel settore del com-mercio di importazione e di esportazione,alla realizzazione della maggior parte delleopere pubbliche e allo sviluppo dell’agri-coltura. «Tunis étant une de ses bases de replitraditionnelle, et de la franc – maçonnerie, quel’ on trouve à l’origine de la création du système

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28 Vittorio Lumbroso divenne massone contro il volere dei propri cari mentre EliaSpizzichino proveniva da una famiglia di antiche tradizioni massoniche. 29 Ibidem.

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d’Inghilterra. L’11 gennaio 1886, la cele-brazione, da parte della Loggia “Fede e Co-stanza”, delle solenni onoranze funebri in

memoria dei defunti VittorioLumbroso ed Elia Spizzichino28,è degna di nota in quantomette in evidenza i legami tra imassoni delle diverse colletti-vità straniere residenti in Tu-nisia. In quell’occasione,infatti, parteciparono: le Com-missioni delle Logge “NouvelleCarthage”, dipendente dalGrand Orient di Francia, e “An-cienne Carthage”, dipendentedalla Gran Loggia d’Inghil-terra. Ancor più significativo ilfatto che spesso le Logge risie-devano e svolgevano i proprilavori massonici negli stessi lo-cali. Nel febbraio del 1887, in-fatti, un incendio distrusse

l’edificio in cui si trovava il Tem-pio della Loggia italiana “Il Risorgimento”e quello dell’inglese “Ancient Carthage”,entrambe all’Oriente di Tunisi. Negli ul-timi decenni dell’Ottocento, quando piùforte fu l’afflusso di immigrati provenientidalla Sicilia, dalla Sardegna e dalla Cala-bria, la collettività italiana assunse unacomposizione sociale molto più eteroge-nea. Tuttavia, «si le recrutement des loges esten principe interclassiste, il n’en demeure pasmoins que la bourgeoisie, surtout livournaise, ydomine»29.

febbraio1880, presso La Goletta, alla so-lenne festa massonica della Loggia “Wil-liam Kingston”, fondata nel mese di lugliodel 1879. Nel 1885, grazie al-l’impegno di Antonio Fer-retti, fu costituita la Loggia“Fede e Costanza”, al-l’Oriente di Tunisi, la cuifondazione cagionò ancheil risveglio dell’antica Log-gia “Il Risorgimento”. Du-rante la cerimonia diinaugurazione fu conferitauna medaglia, del valore dicento piastre tunisine, aGiovanni Bosi, premiatocome allievo più merite-vole del corso serale per glioperai, tenutosi presso ilCollegio maschile italianodi Tunisi. Antonio Ferrettifu il primo Maestro venera-bile della nuova Officina,mentre Giuseppe Mosconi ne fu il Segre-tario e Riccardo Costa l’Oratore. Alla ceri-monia di inaugurazione, officiata da:Ercole Morelli, Guglielmo Guttieres e Cec-cardo Morelli, nominati dal VenerabileAntonio Ferretti, furono presenti, tra glialtri: il professor Giuseppe Avra, in vestedi Delegato straordinario del GrandeOriente della Massoneria italiana e nelleColonie italiane e Luciano Bignens, Vene-rabile della Loggia “Ancient Carthago”, al-l’Obbedienza della Gran Loggia

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30 Cfr. A. Serra, La dottrina delle mani nette, in “Nuova Antologia”, gennaio-marzo 1994, fasc.2181, pp. 162–167.31 Sui motivi economici e sociali dell’influenza francese sulla Tunisia, cfr. J.F. Martin, Histoirede la Tunisie contemporaine. De Ferry a Bourguiba 1881-1956, l’Harmattan, Paris 2003; J. Ganiage, Les orig-ines du protectorat français en Tunisie (1861-1881), Presses Universitaires de France, Paris 1959; G. Gor-rini, Tunisi e Biserta, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Officine Grafiche A. Nicola & C.,Milano 1940 e F. Bonura, Gli Italiani in Tunisia ed il problema della naturalizzazione, Edizioni Tiber, Roma1929. In particolare sull’esportazione di capitali italiani, cfr. G. Marilotti (a cura di), l’Italia e il NordAfrica. L’emigrazione sarda in Tunisia (1848-1914), op. cit.32 G. Gorrini, op. cit., p. 78.

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di Parigi, infatti, si adoperarono per ri-durne i vantaggi ed eliminarne i privilegi.

Tuttavia, alla diminuzione del-l’influenza politica della col-lettività italiana non feceseguito un suo decrementodemografico, anche grazieall’apertura di numerosicantieri pubblici voluti daiFrancesi.

La presa di possessofrancese sulla Tunisia ebbeimportanti ripercussionianche in ambito religioso.Nel Paese nord africanoerano, infatti, presenti nu-merosi religiosi italiani, perlo più frati cappuccini. Nel

1624, papa Urbano VIII, attra-verso un Breve, fondò la Missione Aposto-lica, affidandola ai cappuccini italiani edecretando, così, l’influenza italiana sullequestioni religiose del Paese. Durante il XIXsecolo, furono fondate le prime parrocchie,la prima delle quali fu quella di Susse, nel1836, alla quale seguì, nel 1837, quella diTunisi e poi quelle di: La Goletta, nel 1838,Sfax, nel 1841, Gerba e Mahdia, nel 1848, Bi-

L’instaurazione del protettorato franceseIl Congresso di Berlino (giugno-luglio

1878) segnò la sorte della Tu-nisia, a scapito di un’Italiache antepose la “politicadelle mani nette” a quellacoloniale30. Al termine delCongresso, la Francia fucerta di potersi annettere laTunisia quando l’avesse vo-luto. L’instaurazione delprotettorato francese sullaTunisia31, con il trattato diQasr es-Saîd, noto cometrattato del Bardo, e la con-venzione franco-tunisinasottoscritta a La Marsa, ri-spettivamente il 12 maggio1881 e l’8 giugno 1883, giustifi-cati «col dire che siamo stati noi a gettarleil guanto di sfida coll’aver tentato di irre-tire la Reggenza in una vasta organizza-zione d’imprese italiane politiche, agricole,commerciali, industriali»32, determinò unforte ridimensionamento del ruolo dellacollettività italiana, sebbene fosse datempo ben inserita in diversi ambiti dellasocietà e della politica tunisina. Le autorità

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serta, nel 1851, Porto Farina, nel 1853 e, in-fine, Monastir, nel 186333. Durante il Gabi-netto di Francesco Crispi,quando i rapporti tra il go-verno italiano e la SantaSede si fecero più tesi, le au-torità francesi, attraverso ilcardinale Charles Lavigerie(1825-1892), decisero l’al-lontanamento dei cappuc-cini italiani, avvenuto nelgiugno del 189134. La rea-zione della collettività ita-liana fu tanto dura chevenne nominata una com-missione composta da dele-gati sia italiani, sia maltesi.Il viaggio che questa intra-prese per esporre le proprieragioni di fronte al governo di Roma nonebbe, tuttavia, esito positivo e, nel lugliodel 1891, tutti i religiosi italiani dovetterolasciare la Reggenza. Alle manifestazioni diprotesta contro l’espulsione dei religiosiitaliani parteciparono anche numerosiebrei livornesi. Nella sua “Mémoire justifica-tif relativement aux Italiens”, il cardinale

Charles Lavigerie riferì che, nei primi de-cenni del XIX secolo, erano attive a Tunisi

sei Logge massoniche e cheproprio ai massoni italiani,soprattutto ebrei livornesi,si doveva la campagna diffa-matoria nei suoi confronti35.Su iniziativa di DomenicoAngherà36 e di alcuni mas-soni del Supremo Gran Con-siglio del 33° grado del RitoEgiziano Riformato, costi-tuito a Napoli dallo stessoAngherà, il 23 luglio 1879 fufondata a Tunisi l’Obbe-dienza nazionale denomi-nata Grande Oriente diTunisi. «Una ondata di cate-

chismi e regolamenti, istru-zioni e statuti dei diversi riti e per i varigradi testimoniava una diffusa rifioriturainiziatica. Con la compilazione della Guidadel Fratello Libero Muratore della Massonica Fa-miglia Tunisina nei Lavori di Apprendista oPrimo grado simbolico di Rito Scozzese Anticoed Accettato, datato all’Oriente di Tunisi,5880 (ovvero, 1880), dovuto all’intrapren-

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33 Rapporto Istorico Statistico della Missione Apostolica di Tunisi affidata all’Ordine dei Cap-puccini dalla sua Fondazione 1624 a tutto il 1887, in occasione del suo Giubileo Sacerdotale. Archivesde l’Éveche (Prelature) de Tunis, dossier: Italiens de Tunisie.34 Cfr. F. Cresti, Des prêtres et des esclaves: les religieux chrétiens à Tunis à l’époque ottomane dansles documents d’archives de Rome (1628-1723), in A. Baccar-Bournaz, Tunis cité de la mer. Actes du col-loque organisé dans le cadre des manifestations relatives au choix de l’Unesco de Tunis, CapitaleCulturelle, 1997, Université de Tunis I, Éd. L’Or du Temps, Tunis 1999, pp. 185-201.35 Archivio della Cattedrale di Tunisi, Dossier Italiens de Tunisie: Mémoire justificatif du CardinalLavigerie relativement aux Italiens, pp. 93-94.36 Cfr. P.E. Commodaro, Domenico Angherà (1803 – 1881). Un prete calabrese nel Risorgimento, Sove-rato 1986.

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dente dottor. Nicolò S. Cassanello, 33mogrado, Gran Commendatore e Gran Mae-stro di un pettoruto GrandeOriente di Tunisi, già propi-ziato da G.B. Pessina, 96mogrado del Rito Mefitico, atti-vissimo sulla politicamentecomplessa frontiera della«esportazione» oltremaredella Massoneria italiana, euscito dalla penna infatica-bile di Domenico Angherà,un altro spunto di forzatasintesi tra esoterismo e po-litica venne ad aggiungersialla lunga serie di “contami-nazioni”»37. Il Sovrano GranCommendatore e Gran Maestro della Mas-soneria tunisina, il dottor Nicolò Cassanelloinviò numerose circolari e decreti alle prin-cipali Obbedienze straniere. Abbandonatala Loggia “Antica Cartagine”, operante aTunisi nel 1877, e della quale era stato Se-gretario aggiunto, Nicolò Cassanello, as-sieme a Jean Baptiste Bonrepaux, OdoardoNurri e Ernest Ironée Sardelle, istituì ilGrande Oriente di Tunisi, il quale adottò,per i suoi lavori, la lingua italiana e praticòil Rito Egiziano Riformato, considerato ilpiù adatto per avvicinare le élites tunisine.Il suo Supremo Consiglio era composta da:sei italiani, iniziati sia in Logge della Peni-sola, sia nella Loggia di Tunisi “Utica e Co-

stanza”, due francesi, i negozianti Bonre-paux e Sardelle, e un greco. Tra gli illustri

personaggi che aderirono all’ini-ziativa di Nicolò Cassanello vifurono: Elias Mussalli, diret-tore del Ministero degli Affariesteri del Beÿ, Grande ufficialedell’Ordine Iftikhar e Ufficialedella Legion d’onore e OdoardoNurri, Gran Segretario dell’Ob-bedienza e segretario in capodella Cancelleria del tribunaleconsolare italiano. Furono affi-liati anche: l’avvocato Élena, ilfarmacista Barsotti e il nego-ziante Burlizzi.

Il 15 maggio 1880, NicolòCassanello richiese al Consiglio dell’Ordinedel Grand Orient di Francia il riconosci-mento, come regolare, della sua Obbe-dienza. In tale occasione, egli indicò tra leragioni dell’importanza della fondazione diuna Massoneria specificamente tunisina ilsuperamento delle divisioni esistenti tra lediverse Logge operanti in Tunisia, troppospesso in disaccordo per questioni ricon-ducibili alla loro nazionalità. Il GrandeOriente di Tunisi ebbe importanti legamicon una parte della Massoneria sarda, inparticolare con il Venerabile BonaventuraCiotti38 che, nell’autunno del 1869, a Ca-gliari, partecipò alla fondazione dell’Offi-cina “Libertà e Progresso”, della quale fu il

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37 A.A. Mola, Storia della massoneria italiana, Bompiani, Milano 1994, p. 180.38 Nato il 17 dicembre 1821 a Civita Castellana, Bonaventura Ciotti, mazziniano e garibaldino,carbonaro e massone, partecipò, nel 1849, agli avvenimenti della Repubblica romana. In seguito alritorno di papa Mastai Ferretti dall’esilio di Gaeta, egli dovette espatriare e decise per la Sardegna,in quanto titolare di una concessione mineraria.

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39 Presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari sono presenti 54 numeri di “Al-Mustaqell.Giornale politico e letterario eco dei successi arabi”. L’intera collezione del giornale consta di 57 nu-meri. Riguardo al giornale, cfr.: E. Concas, Un giornale arabo stampato a Cagliari nel 1880-81. El Mostakel(L’Indipendente), in “Mediterranea”, anno I, n. 2, febbraio 1927, Società editoriale italiana, Cagliari1927, pp. 30-37; E. De Leone, op. cit., pp. 304-305; T. Orrù, La questione tunisina attraverso la stampasarda, in “Ichnusa”, n. 24, Cagliari 1958, pp. 3-26; ID., El Mostakel (L’Indipendente). Un giornale arabo aCagliari un secolo fa, in “Annali della Facoltà di Scienze politiche”, estratto dal volume VII (Primaserie), Cagliari 1982, pp. 397-402; L. Del Piano, La penetrazione italiana in Tunisia (1861-1881), cit., pp.139-170; Al-Tayeb Al-Zuary, Le preoccupazioni e i propositi delle élites tunisine attraverso il giornale Al-Mus-taqell, in “Élites e potere nel mondo arabo” (Tunisi 4-9 dicembre 1989), C.E.R.E.S., Tunisi 1989 (in lin-gua araba) e G. Tore, Il trust sardo-ligure e la valorizzazione dell’economia tunisina, G. Marilotti (a curadi), op. cit., pp. 19-72.40 Giovanni De Francesco nacque a Torre del Greco il 10 novembre 1836. Nel 1867, egli sitrasferì a Cagliari, dove diresse il “Corriere di Sardegna”, periodico legato alla Massoneria locale.Nel 1871, De Francesco fondò e guidò, per oltre vent’anni, il quotidiano “L’Avvenire di Sardegna.Giornale politico internazionale - Organo della colonia italiana nella Tunisia”. Giovanni DeFrancesco fece parte del Consiglio di amministrazione della società che gestì la miniera di GebelArsas, nei pressi di Tunisi. Egli morì a Cagliari il 1° maggio 1914. Cfr. M. MEREU, Vicende del creditoin Sardegna nella seconda metà del secolo scorso. Luci e ombre della personalità di Pietro Ghiani Mameli, in“Bollettino bibliografico della Sardegna”, anno IV, fascicolo 7, Editar, Cagliari 1987, pp. 3-7.

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soni sardi e quelli di Tunisi si servirono delfoglio, in caratteri arabi, stampato a Ca-

gliari tra il 1880 e il 1881, in-titolato “Al-Mustaquell”(L’Indipendente)39. Proprie-tario ed editore di “Al-Mu-staquell” fu Giovanni DeFrancesco40. Il periodico, in-viato in Tunisia per mezzodelle navi della Rubattino, sirivolgeva all’élite della col-lettività italiana di Tunisi eai notabili locali. Esso di-scusse i problemi generalidella Tunisia e fu interpretedegli interessi particolaridella collettività italiana re-sidente nel Paese e di quelli

generali del popolo tunisino. I suoi articoli

primo Maestro venerabile. Tuttavia, Bona-ventura Ciotti non concluse la propria car-riera massonica nei ranghidel Grande Oriente d’Italia,ma in quelli dell’Obbedienzairregolare, con centrale aNapoli, praticante il RitoEgiziano Riformato. Nel1878, infatti, egli abbandonòla “Libertà e Progresso” perfondare la Loggia “GiuseppeMazzini”, all’Obbedienzadella Famiglia di DomenicoAngherà, il quale, il 9 aprile1878, lo nominò Gran Mae-stro Delegato per la Sarde-gna e per gli Affarimassonici di Malta e di Tu-nisi. Per diffondere i propri ideali, i mas-

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e durevole, atto a garantire la stabilità po-litica e l’indipendenza della Reggenza. Tut-

tavia, al di sopra di tutto e ditutti, almeno fino all’instau-razione del protettoratofrancese, il Beÿ, il quale, no-nostante il monopolio delpotere da parte del suoPrimo ministro e le mireegemoniche delle potenzestraniere, le cui pressionierano sempre più evidenti,godeva ancora di prestigio.Il giornale arabo di Cagliaridenunciò le lotte tra fazioniall’interno della Reggenza eprese le distanze dalla riva-lità personale tra il console

italiano e quello francese, ri-cordando che il clima di complotto venu-tosi a creare conduceva, inesorabilmente,al deterioramento dell’autorità del Beÿ,consegnando il Paese nelle mani delle po-tenze straniere. La Tunisia attraversava unperiodo travagliato e turbolento. L’istitu-zione beylicale era in un periodo di deca-denza, inetta e corrotta, vittima dicongiure di palazzo e in ostaggio del poteredei favoriti di corte. Furono proprio le dif-ficoltà di ordine politico ed economico adeterminare l’insorgenza di un’aspirazionea un rinnovamento, nel solco della tradi-zione, che potesse rappresentare per ilPaese l’occasione per preservare e fortifi-care la propria indipendenza, sia in politicainterna, sia nelle relazioni internazionali.«È necessario, in ogni nostra azione, agireper il bene del nostro Paese e per la sua in-dipendenza, garantita dalla guida della sti-

suggerirono alle élites tunisine i modi perrendersi indipendenti sia dalle ingerenzeitaliane, sia da quelle francesi.Al Beÿ, in particolare, si con-sigliò di prestare attenzionealle conseguenze negativederivanti dalla corruzionedei suoi funzionari e dei suoiministri. L’11 maggio 1881,tre settimane dopo l’ultimapubblicazione di “Al-Musta-qell”, Giovanni De Francescoscrisse ne “L’Avvenire diSardegna”, che dirigeva, unarticolo nel quale ribadì chel’intento del giornale era di«risvegliare il sentimentodella dignità dei tunisini in-ducendoli a vigilare per la pro-pria indipendenza». In merito allacontroversa questione del programma, deicontenuti e degli scopi del giornale, da unalettura attenta dei suoi articoli e da unostudio delle attività e dei legami tra le éliteslocali e straniere, anche di natura masso-nica, appare evidente che a Tunisi, in que-gli anni, non si giocò soltanto una partitainternazionale ma anche, e soprattutto, unlotta interna per il potere e per il predomi-nio economico e finanziario. Da una partevi fu il primo ministro Mustafà ben Ismail,i suoi favoriti e il loro desiderio di accon-tentare i Francesi, con lo scopo di potersisostituire al Beÿ, dall’altra l’élite della col-lettività italiana, diversi esponenti dellaborghesia della Sardegna e alcuni notabililocali, i quali cercarono di suggerire, attra-verso l’adozione, da parte del Beÿ, di unalegge fondamentale, il solo rimedio efficace

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41 Articolo non firmato, Tunisi, in “Al-Mustaqell”, n. 54, 3 aprile 1881, p. 3.42 In quegli anni, in Tunisia, il Beÿ concesse alcune riforme giuridiche, con valore costi-tuzionale, di garanzia dei diritti e delle libertà pubbliche dei sudditi.43 Inaugurazione del Tempio della R. L. Veritas, in “Rivista della Massoneria Italiana”, anno XXXII,n. 3-4, 15-23 febbraio 1901, p. 55.44 La Loggia “Fides” a Tunisi, in “Rivista Massonica”, anno XXXVIII, n. 3, 15 febbraio 1907.45 Loggia “Antiqua Tagape” di Gabès, in “Rivista della Massoneria Italiana”, anno XXXI, n. 5, 15marzo 1900, p. 69.

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lusso ed è composta dei membri più in-fluenti della colonia italiana»43. Tra coloro

che più si impegnarono per lasua fondazione vi fu l’Oratoredella Loggia “Il Progresso”, al-l’Oriente di Susa, e il suo Ve-nerabile, Tolomeo Chicoli. Almomento della fondazione, laLoggia contò circa sessanta af-filiati44. La sera del 21 gennaio1901, il Venerabile della Log-gia “Antiqua Tagape”, su inca-rico del Gran maestro,consegnò la Bolla di fonda-zione del Tempio della “Veri-tas”, alla presenza dell’Oratoredella Loggia “Il Progresso” di

Susa. All’inizio del XX secolo eraattiva la Loggia “Antiqua Tagape” al-l’Oriente di Gabès, composta da Italiani eda Francesi. Nel mese di marzo del 1900 «fucelebrata una seduta di adozione, nellaquale furono battezzati quattordici bam-bini, con l’intervento delle rispettive fami-glie: tutti, ammirando, notarono che aquella simpatica cerimonia assistevanoisraeliti e cattolici, dando prova di essersisvincolati da ogni fanatismo e di attribuireuna grande importanza alla IstituzioneMassonica»45. Grazie all’opera del medico

mata dinastia husseynita»41, è scritto in uncorsivo di “Al-Mustaqell”. Le élites localipiù aperte al cambiamento, inaccordo con quelle della col-lettività italiana, in partico-lare con alcuni esponentiebraico livornesi, compre-sero la necessità di sugge-rire e promuovere inTunisia una nuova stagioneriformistica, dopo quella del1857 e del 186142. Tuttavia,l’instaurazione del protetto-rato francese sulla Tunisia el’opposizione delle Loggeitaliane e francesi fecero fal-lire il progetto di un’Obbe-dienza nazionale tunisina.Nicolò Cassanello si dimise dalle sue fun-zioni il 29 settembre 1881. Nel 1882, un gio-vane medico militare, Gustave Desmonscercò di riorganizzare il Grande Oriente diTunisi, proponendo, senza successo, la fu-sione di questo con la Gran Loggia italiana“Il Risorgimento”.

Massoneria e antifascismo in Tunisia nelsolco del Risorgimento

Nel 1900 fu costituita la Loggia “Veri-tas”, all’Oriente di Tunisi, «messa su con

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46 “Rivista della Massoneria Italiana”, anno XXXIV, n. 13-14, settembre 1903.47 “Annuario Massonico del Grande Oriente d’Italia”, Roma 1919, pp. 88-89 e p. 118.48 “Rivista Massonica”, anno LIV, n. 9, novembre 1924.

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seppe Mazzini” e “Veritas”, all’Oriente diTunisi47. Il 17 ottobre 1924 si tenne la ceri-

monia di insediamento dellecariche dei dignitari e degliufficiali della nuova Loggia“Pensiero e Azione”, al-l’Oriente di Tunisi48. L’aper-tura rituale dei lavori diLoggia fu presieduta da Sal-vatore Calò, delegato dal Go-verno dell’Ordine. Allacerimonia parteciparononumerosi rappresentantidelle Logge e delle CamereSuperiori italiane e francesi,tra i quali: Cattan, Venera-bile della Loggia “La Vo-lonté” della Grande Logge di

Francia, Goldzegher, Venera-bile della Loggia “Nouvelle Carthage et Sa-lambo réunies” del Grand Orient di Francia,Bensasson, Venerabile della Loggia “LaConcordia” del Goi, Bernodaux, per il Con-siglio Filosofico del Grand Orient, Brunel,per il Capitolo della Grande Logge e Vallet,per il Capitolo del Grand Orient. DomenicoScalera fu il primo Venerabile della Loggia“Pensiero e Azione”.

L’avvento del fascismo, i mutati equili-bri politici internazionali e una diversa vi-sione da parte dell’Italia del fenomenomigratorio, fortemente scoraggiato, ebberoimportanti ripercussioni sulla collettivitàitaliana di Tunisia. La politica fascista di tu-

chirurgo Antonino De Luca, Maestro vene-rabile, la Loggia estese la propria attivitàanche in altre città della Tuni-sia. La sera dell’8 ottobre1901, presenti: il Venerabile,Tolomeo Chicoli, in rappre-sentanza del Gran maestrodell’Ordine, Pemeure e Hus-sein Abachi, della Loggia “IlProgresso” di Susa, e dei de-legati delle Logge “Veritas”,di Tunisi, “Antiqua Tagape”,di Gabès e “Vigilanza”, al-l’Oriente di Tripoli, fu inau-gurato il Tempio dellaLoggia “Nuova Ruspina”.Nel settembre del 1903, laMassoneria italiana e fran-cese, in particolare le Logge:“Veritas”, “Nouvelle Carthage” e “Volonté”si riunirono per festeggiare l’anniversariodella caduta di Roma papale46. Nel 1907, in-vece, fu costituita la Loggia “Fides”, al-l’Oriente di Tunisi, presenti: il Saggissimodel Capitolo Rosa Croce, i Venerabili e leDeputazioni delle altre due Logge italiane,la “Veritas” e la “Mazzini”, il Saggissimodel Capitolo francese e i Venerabili delleLogge francesi “Nouvelle Carthage” e “LaVolonté”. In quell’occasione, il Venerabiledella Loggia “Veritas” rappresentò il Go-verno dell’Ordine. Nel 1919, operarono leLogge: “Ruspa”, all’Oriente di Sfax, “Il Pro-gresso”, all’Oriente di Susa, “Fides”, “Giu-

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49 In seguito all’emigrazione di contadini e manovali dal Mezzogiorno, le idee socialiste eanarchiche si diffusero con facilità grazie all’opera di un ristretto gruppo di intellettuali. Si sviluppòuna stampa vicina alle istanze dei lavoratori italiani e ai loro problemi, promotrice delle loro riven-dicazioni. Essa fu definita “di protesta sociale” e uno dei suoi esponenti più noti fu l’anarchicoNicolò Converti.50 E. Boccara, op. cit., p. 71.

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vano tutti i vantaggi, senza scorgerne gliinconvenienti. D’altronde in un regime già

autoritario come quello del-l’amministrazione francesein Tunisia, la presenza fasci-sta poteva anche apparirecome una necessaria con-troparte»50. Più di centomilaItaliani, vasti e consolidatiinteressi economici, unaforte emigrazione e il fonda-mentale contributo offertoallo sviluppo della Tunisianon servirono a cambiare laconsiderazione che, come ifatti dimostrarono, sia i go-verni liberali, sia il fascismo

manifestarono nei confrontidella collettività italiana in Tunisia: una pe-dina nel gioco dell’espansione coloniale edella guerra. Gli accordi italo-francesi del1935 chiarirono, infatti, la posizione del fa-scismo, disposto a sacrificare gli interessidella propria collettività in cambio di vaghicompensi coloniali. Tra l’estate e il novem-bre del 1938, in Italia, furono promulgate leleggi razziali e si diede inizio a una politicadi discriminazione verso gli ebrei. Taliprovvedimenti crearono sconcerto all’in-terno della collettività italiana di Tunisia diorigine livornese. Alcuni di loro chiesero eottennero la cittadinanza francese. Altri

tela degli interessi italiani e di gestione econtrollo della collettività residente in Tu-nisia fu attuata attraverso lafascistizzazione delle asso-ciazioni e delle organizza-zioni italiane esistenti nelPaese nord africano. Fino al-l’inizio degli anni Trenta,quando il fascismo divennepiù autoritario, la maggiorparte degli Italiani, com-presa l’élite della nostra col-lettività, rappresentataprevalentemente da ebreilivornesi, trovò nel regimeun prezioso alleato per con-servare la propria egemo-nia, minacciata siadall’amministrazione francese, sia dalladiffusione, fra gli Italiani, di idee di matricesocialista e da correnti anarchiche da partedi alcuni esuli, i quali fondarono circoli cul-turali e pubblicarono giornali49. Fiduciosadi poter conservare la propria egemoniaeconomica, la borghesia ebraica affidò alregime la direzione politica della colletti-vità italiana, persuasa del fatto che i suoimetodi avrebbero risolto i conflitti sociali erepresso le istanze della classe operaia. «Cifurono fra gli ebrei italiani di Tunisia, cometra gli ebrei d’Italia […] delle simpatie neiconfronti del fascismo, del quale si vede-

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51 D. Carpi, L’atteggiamento italiano nei confronti degli ebrei della Tunisia durante la seconda guerramondiale (giugno 1940-maggio 1943), in “Storia Contemporanea”, anno XX, n. 6, dicembre 1989, p.1195.52 L. Valenzi, Italiani e antifascisti in Tunisia negli anni trenta. Percorsi di una difficile identità, EAD(a cura di), Liguori Editore, Napoli 2008, p. 1.53 J. Bessis, La Mediterranee fasciste, Karthala, Paris 1980, p. 74.54 Il giornale “La Libertà”, diretto dal professor Domenico Scalera, fu pubblicato dal 21 giugno1924.

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nisi, dopo essere evasi dall’isola di Lipari,Michele Ciuffi, Decio Orsini e Fausto Mar-

tini, che un’inchiesta ri-velerà essere CarloRosselli, Emilio Lussue Francesco Nitti. Que-sta emigrazione anti-fascista, saldamenteunita e combattivanelle difficili condi-zioni di vita dell’esilio,costituì la prima forzache attaccò il fascismodal di fuori. Tuttavia,all’interno della Mas-soneria italiana in Tu-nisia si verificò unafrattura quando, in se-

guito alla fusione delleLogge ne “La Concordia”, la maggior partedi coloro che ne fecero parte furono con-quistati da ideali del fascismo. Alla guida diquei massoni che si opposero al fascismo vifu Domenico Scalera, già segretario della«Dante Alighieri», che denunciò le male-fatte del regime attraverso le pagine delgiornale “La Libertà”54. Nel 1926, quei mas-soni fondarono la Loggia “Mazzini-Gari-baldi”, all’Oriente di Tunisi eall’Obbedienza del Goi. Giulio Barresi ne fuper diversi trienni il Venerabile e, in se-guito, Maestro venerabile onorario ad

scelsero di restare italiani e di combattereper la democrazia in quanto «la “campagnadella razza” e la politica di di-scriminazione razziale at-tuata dal governo fascistanegli ultimi anni aveva cau-sato a costoro un’amara de-lusione»51. Per molti di lorol’adesione alla Massoneria,in particolare attraverso laLoggia “Veritas”, consentì diopporsi al regime, colti-vando il tradizionale senti-mento di italianità infunzione antifascista. Comenell’Ottocento, le Logge ita-liane in Tunisia agirono peraffermare, all’interno dellasocietà tunisina e nella Peni-sola, gli ideali democratici. La Tunisia, «du-rante tutto il periodo fascista, per la suavicinanza geografica all’Italia, fu luogo ditransito di antifascisti evasi dal carcere edal confino»52. «Les figures les plus éminentesde l’antifascisme italien se déplacent en Tunisiefréquemment pour participer à des réunions,tenir des assemblées de propagande et présiderà des manifestations d’opposition au régime etau consulat. Cet intérêt démontre à la fois l’im-portance accordée à la Tunisie et à sa colonieitalienne, et à la vitalité de son organisation an-tifasciste»53. Il 27 luglio 1929, giunsero a Tu-

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55 Cfr: [Augusto Bindi], Ricordi della L. R. “Mazzini-Garibaldi” fondata nel 1926 nella Valle dellaMejerdah all’0r. di Tunisi e all’obb. del G.O. d’Italia in esilio, in “Rivista Massonica” n. 6, giugno 1977, vol.LXVIII – XII° della nuova serie, pp. 356-361.56 Cfr. N. Spano, Les Italiens antifascistes en Tunisie. Témoignage, in Les relations tuniso-italiensdans le contexte du protectorat (Tunis 12-13 mars 1999), Institut Supérieur d’Histoire du MouvementNational, pp. 267-279.57 “Il Giornale” fu diretto da Giorgio Amendola ed ebbe come redattori: Velio Spano e Mau-rizio Valenzi.58 Il Partito liberale costituzionale fu fondato negli anni Venti del Novecento. Il Destûr lottòper la liberazione del popolo tunisino e la concessione di una Costituzione, con un Parlamentoeletto.

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e pubblicarono: “L’Italiano di Tunisi. Or-gano della Lega Italiana dei Diritti del-

l’Uomo”56 (1936-1939) e “IlGiornale”57 (5 marzo1939-agosto 1939). “L’Ita-liano di Tunisi”, dap-prima settimanale e poimensile, diretto da LorisGallico, fu sempre attentoall’informazione interna-zionale (ampio spazio fudato agli avvenimenti ri-guardanti la lotta del po-polo spagnolo) ed ebbeuna pagina interamentededicata ai fatti e all’ana-lisi politica delle lotte sin-dacali in Tunisia. ilperiodico cercò di coin-

volgere in un’azione comune tutte le forzedemocratiche, favorendo i legami con i mo-vimenti nazionalisti tunisini, in particolarecon il Nuovo Destûr58 e con il locale Partitocomunista. «Ces voies italiennes de la pressede gauche stimulèrent le développement de nou-velles perspectives sociales telles que les organi-sations syndacales tunisiennes et contribuèrent

vitam. Ai lavori di Loggia parteciparono:Isacco Adeasi, Gino Cerri, Giovanni Cerri,Nicola Gramatico, GiuseppeNicosia, Edmond Timist,Vittorio Timist, Carlo Wer-temberg e Roberto Zagliani.Su incarico della Loggia,l’ufficiale della Marina mer-cantile Sante Zammitto, af-filiato nel 1929, introdussein Italia, grazie ai periodiciviaggi tra Tunisi e Palermo,materiale di propagandaantifascista. Nel 1930, unavolta giunto a Tunisi comeprofugo politico, AugustoBindi fu affiliato alla Loggia“Mazzini-Garibaldi”. Primadel suo arrivo in Tunisia,egli si era rifugiato in Egitto, dove fu ini-ziato, il 27 marzo 1925, nella Loggia “CesareBattisti”, all’Oriente di Alessandria d’Egitto,all’Obbedienza della Gran Loggia Nazionaled’Egitto55. Gli antifascisti, guidati da un pic-colo gruppo di esuli di varia estrazione po-litica, fornirono assistenza ai rifugiatipolitici, svilupparono una strategia di lotta

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59 M. Brondino, La presse italienne en Tunisie, in Les relations tuniso-italiens, op. cit., pp. 181-182.60 J. Bessis, op.cit., p. 77.61 Nel 1930, a Tunisi, Giulio Barresi fondò La Lega italiana dei diritti dell’uomo (Lidu).62 La Concentrazione antifascista di Parigi era l’apparato direttivo del coordinamento per lalotta contro il fascismo. Sulla Concentrazione antifascista, cfr.: S. Fedele, La Massoneria italiana nel-l’esilio e nella clandestinità (1927-1939), FrancoAngeli, Milano 2005, pp. 113-116.63 J. Bessis, op.cit., p. 73.

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sés à toute absorption forcée, restent très sou-cieux de préserver la liberté d’action de leurs

compatriotes et de maintenirdes rapports ouverts de co-existence et d’équilibreavec les autres commu-nautés du pays, tunisienneet française en tout pre-mier lieu»60.

Agli inizi del 1930, inTunisia, l’antifascismopoté organizzarsi grazieai legami tra la Lega ita-liana dei diritti del-l’uomo61 e laConcentrazione antifa-scista62 di Parigi. «C’esten liaison avec Paris que seconstitue la loge MazziniGaribaldi et que naît La

Ligue des Droits de l’Homme, section tunisiennede La Ligue de Paris»63. Nel 1930, Giulio Bar-resi, in quanto presidente della Lidu, fu in-viato dai suoi compagni a Parigi perprendere contatto con i dirigenti della Con-centrazione. Lì, egli ebbe occasione di in-contrare: i fratelli Rosselli, Claudio Treves,Luigi Campolonghi ed Emilio Lussu che, nel1932, si recò a Tunisi ospite dell’amico Bar-resi. Tra le attività della Lidu vi fu la crea-zione di un giornale, “La Voce Nuova”,

à la formation de la société civile; elles prônè-rent la défense des valeurs démocratiques contretoute forme de domination et d’ex-ploration coloniale et donnèrentleur appui aux mouvementsnationales pour la Tunisie, enopposition à la très nombreuseet puissante presse italienne dedroite»59. “L’Italiano di Tu-nisi” e “Il Giornale” furonodiffusi clandestinamente inquanto, fino all’indipen-denza del Paese, le autoritàfrancesi proibirono lastampa e misero sottostretta sorveglianza le atti-vità delle istituzioni italiane.«Le mouvement antifascistecommence à s’implanter solide-ment et se consolide à traversl’émigration dont le taux s’élève à partir de 1930.Les nouveaux émigrant, le plus souvent hostilesau régime, diffusent dans la colonie des infor-mations sur la situation italienne peu conformeaux déclartions officielles. Ainsi, le mouvementantifasciste a réussi à regrouper ses forces et àopposer à la domination totalitaire, l’irreducti-ble refus. Traversé de courants d’opinion très di-vers, sa cohésion repose sur les valeurs de cetteItalianité traditionelle dont il reste le refuge. Lesantifacistes, très attachés à leur patrie et oppo-

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64 Ivi, p. 184.65 Prima della guerra, l’Italia ebbe un Consolato generale a Tunisi e dei vice-consolati a Bi-serta, Susa e Sfax.66 Sulle richieste di Mussolini concernenti la Tunisia, cfr. J. Bessin, La Méditerranée fasciste,op. cit., Paris 1980 e Id., La question tunisienne dans l’évolution des relations franco-italiennes de 1935 au juin1940, in Italia e Francia dal 1919 al 1939, in J.B. Duroselle, E. Serra (a cura di), ISPI, Milano 1981, pp.245-255; R.H. Rainero, La politique fasciste à l’egarde de l’Afrique du Nord: l’épée de l’Islam et la revendi-cation sur la Tunisie, in “Revue Française d’Histoire d’Outre-Mer”, LXIV (1977), pp. 498-514 e Id., Larivendicazione fascista sulla Tunisia, Marzorati, Milano 1978.

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resi, Nadia e Diana Gallico, Gilda Meimon eMaria Provvedi. Il 30 aprile 1934, LuigiCampolonghi e Claudio Treves giunsero a

Tunisi per fondare un giornale:“L’Eco d’Italia”. «Ce sont les so-cialistes et les francs-maçons nonralliés qui ont patronné la nais-sance de la LIDU et soutenu sespremières activités comme ses pre-mières organes de presse. Les ca-ractéristiques uniques de la coloniedans l’émigration ont déterminél’importance accordée par LaConcentration antifasciste deFrance à cette citadelle du fas-cisme, sans doute la plus solide etorganisée hors des frontières mé-tropolitaines»64.

Il 10 giugno 1940, l’Italia di-chiarò guerra alla Francia. In Tunisia, tuttele rappresentanze diplomatiche e consolariitaliane65 furono chiuse. Il 17 giugno 1940,la Francia, costretta alla resa dai Tedeschi,chiese di aprire un negoziato sui terminidell’armistizio. A Monaco, Mussolini, seb-bene colto di sorpresa dalla rapidità con cuii Tedeschi sconfissero i Francesi, incontròHitler chiedendo, senza successo, l’annes-sione della Tunisia66. Il 19 giugno 1940, la

pubblicato, inizialmente, ogni domenica,con una tiratura di circa mille copie. Il pe-riodico denunciò gli intrighi del Consolatoitaliano e fornì aggiorna-menti sull’attività degli an-tifascisti. La Lidu fu anchemolto attiva nell’organizza-zione di una rete di acco-glienza per i fuoriusciti,servendosi delle relazioni,delle amicizie e dell’in-fluenza dei suoi membri conlo scopo di ottenere, perquelli, diritto di asilo e cartedi lavoro. La Lega, inoltre,ricevette regolarmente lastampa antifascista edita aParigi e si occupò di inviarladalla Tunisia all’Italia. Nel1931, fu istituita l’Union DémocratiqueFranco-Italienne, poi Union DémocratiqueFranco-Italo-Tunisienne. Nel luglio del 1932,essa commemorò il cinquantenario dellamorte di Giuseppe Garibaldi, alla presenzadi Luigi Campolonghi e delle autorità fran-cesi di Tunisi. Con il favore della Lidu fu or-ganizzata anche un’Unione femminile,impegnata in attività di lotta al fascismo.Tra le sue animatrici vi furono: Clelia Bar-

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67 Sul ruolo dei militari italiani in Tunisia, cfr. G. Messe, La mia armata in Tunisia. Come finì laguerra in Africa, Rizzoli, Milano 1960.

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sono ancora uomini liberi, disse nel 1854:“…se l’Inghilterra si trovasse un giorno a

dover chiedere l’aiuto di un al-leato, maledetto sia quel-l’italiano che si rifiuterà didifenderla.” Benito Musso-lini che vi ha posto sotto ilgiogo del vostro secolarenemico teutone vi ha anchemesso sotto la maledizionedi Garibaldi. La maledizionesi avvera. Benito Mussoliniche vi ha trascinati inguerra negli interessi dellaGermania, promettendovigrandi cose, vi ha ingannati.La maledizione si avvera.Benito Mussolini dietro or-

dini di Hitler vi fece credereche la sconfitta della Francia significava lasconfitta dell’Inghilterra. Ma Hitler è statoincapace di battere l’Inghilterra, ed hachiesto il vostro aiuto, affinché le bombeche piovono sulla Germania possano esseresviate su di voi. La maledizione si avvera.State combattendo contro la causa di Gari-baldi! Non combattete più contro Abissini oAlbanesi. E neppure la Grecia, l’ultimo pic-colo stato che avete aggredito, è sola, senzaaiuto. Voi ora combattete contro l’interapotenza dell’Impero Britannico. Combat-tete contro la causa della libertà – la causadi Garibaldi – attraverso il mondo. E così ilmondo libero – il mondo di Garibaldi – con-trattacca. Nei quadri della R.A.F. si trovano

dichiarazione di guerra dell’Italia, a fiancodella Germania nazista contro le forzefranco-britanniche, comportòche tutti gli Italiani residentinel Paese nord africano fu-rono considerati nemici. Nelnovembre del 1942, soldatitedeschi e italiani67 giunseroin Tunisia per difendere ilPaese dagli attacchi degli Al-leati. Dopo sei mesi di occu-pazione della Tunisia daparte delle forze dell’Asse,durante i quali si verifica-rono numerose manifesta-zioni di entusiasmo in nomedel fascismo, gli eventi pre-cipitarono. Il 7 maggio 1943,infatti, le truppe alleate con-quistarono Tunisi. Gli Inglesi erano a cono-scenza che la maggior parte degli Italianiresidenti in Tunisia erano di tradizione re-pubblicana. In particolare, lo erano: i fuo-riusciti politici e i massoni, checonservavano il proprio carattere repub-blicano, risorgimentale e, in parte, anchegaribaldino. Fu questo il motivo per il qualele Forze Alleate si servirono della forza diquegli ideali condivisi per accelerare la fineall’occupazione delle Forze dell’Asse nelPaese nord africano. Ciò spiega il testo delmessaggio diffuso dagli Alleati in cui silegge: «La maledizione di Garibaldi. Giu-seppe Garibaldi, nome ancora onorato nelnuovo e nel vecchio continente là dove vi

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68 Archives de l’Éveche (Prelature) de Tunis, dossier: Italiens de Tunisie.

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BBoommbbee sulle vostre caserme e sui vostri ae-rodromi, finché Mussolini vi trascinerà a

sempre più numerosi delitticontro la causa della libertà –la causa di Garibaldi. La male-dizione di Garibaldi sarà tolta,ed una nuova era si aprirà perl’Italia, solo quando vi sve-glierete e rovescerete coloroche vi hanno privato della li-bertà, che hanno disonorato ilnome dell’Italia, che hannoindignato contro di voi tuttoil mondo ancora libero e chevi hanno portato morte e di-struzione. La maledizione di

Garibaldi si avvera e sta in voi il toglierlaprima che sia troppo tardi»68.

migliaia di uomini provenienti dall’ImperoBritannico, dagli Stati Uniti e dai paesi op-pressi e devastati dalle Po-tenze dell’Asse. Lefabbriche di aeroplani del-l’America del Nord ci forni-scono centinaia diapparecchi ogni mese, equeste consegne si molti-plicheranno con ogni meseche passa. La maledizionedi Garibaldi vi arriva informa di bombe. Bombe suivostri stabilimenti indu-striali e sulle vostre fabbri-che di munizioni, sullevostre strade, sulle vostre ferrovie, BBoommbbeesui vostri porti e sui vostri cantieri navali,

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dove persino la nostra bandiera nazionalesembra, in qualche caso, recare la scritta:perdonate l’imbroglio, ma ho famiglia, ban-diera simbolo di libertà, in un tempo nelquale non manca la libertà, ma a volte gliuomini liberi.

In realtà il tricolore è il nostro granaio,il nostro salvadanaio dello spirito, è come ilcompasso che fora la carta nel punto dovegira, mentre la seconda gamba descrive uncerchio lontano: come tutti i grandi per-corsi anche questo è un percorso circolare.

Uno degli scopi di questo convegno è siaquello di ribadire lo spessore storico del tri-colore, che quello di rappresentare la co-struzione della modernità fondata sui

LLLL’attuale politica culturale della no-stra società non propone, dinorma, il raggiungimento di mete

ideali: oggi esistono sistemi sofisticati cheappaiono e scompaiono, che parlano il lin-guaggio della democrazia paludata, utiliz-zando la ricattabilità di taluni uominipolitici per infiltrarsi nelle istituzioni, persedurre gli intellettuali più fragili. Il nostroè un paese che fa scintillare le opere d’arte,le bellezze antiche, i musei, fa brillare ge-nerosi talenti e ingegni mirabili, ma poi inrealtà, dalle radici alla sommità, nel campopolitico e civile, è ricoperto di immondiziamorale, fetida e maleodorante, che hapochi eguali al mondo. Il nostro è un paese

This talk was delivered in occasion of the National Conference “Freemasonry and theItalian Tricolour: From Luigi Zamboni to Goffredo Mameli”, held on the 24th October2009 at the University of Bologna. Such a public seminar was organized by the Lodgesof the Grand Orient of Italy working in the Emilia-Romagna District. It has been thefirst event of a series of many others dedicated to the 150th anniversary of the ItalianUnification.

II ccoolloorrii mmaassssoonniiccii ddeell ttrriiccoolloorree

di GGiioovvaannnnii GGrreeccooUniversità di Bologna

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rapporti fra individuo e società, fra storiae progresso, attraverso la continuità dellosviluppo sociale e civile del paesemediante il dispiegarsi della no-stra bandiera. L’albero-tricoloreè nato e vive perché mille emille uomini gli hanno neltempo conferito forza e valore,sino al sacrificio della vita, etantissimi fra questi sono ap-partenuti all’istituzione masso-nica o al suo milieu.

In particolare per quantoconcerne la città di Bologna, sulfinire del Settecento, essa av-vertiva fortemente il cambia-mento di clima politicodell’Europa, sull’onda della ri-voluzione francese. D’altrocanto, il malcontento per la politica eco-nomica e sociale del papato da tempo eralatente e aveva convinto un gruppo di stu-denti alla ribellione aperta (1793-1794),contro un governo considerato illiberale etirannico. Il progetto aveva irrisorie possi-bilità di riuscita e Luigi Zamboni e il suo fe-dele amico Giambattista De Rolandis, chefurono fra i primissimi a proporre la coc-carda tricolore, ad adottare per vessillo iltricolore, come attestato da Antonio Aldini,non poterono evitare una tragica fine, manon ammainarono mai la loro bandiera, an-corché tragicamente bagnata dal loro san-gue, come da par loro ci hanno raccontatoi professori Giuseppe Re e Marco Veglia e ildottor Gabriele Duma.

È comunque a quelle vicende che sideve la scelta del tricolore come segno esimbolo di riconoscimento, oltre all’intro-

duzione della nozione di sfera pubblica,fino allora estranea alla politica, passando

le aspirazioni unitarie italiane dalpiano letterario a quello dellapolitica concretamente ope-rante e partendo, il tricolore, dauna debolissima connotazionenazionale.

Si evidenziò con chiarezza ildisegno napoleonico, come hagià raccontato egregiamente ilprof. Angelo Varni, che tendevaa far riassumere alle vecchiemagistrature il potere di unasorta di città-stato, dovendoperò nel contempo gestire la po-litica delle requisizioni e dellespoliazioni. Non casualmente lebandiere donate da Napoleone

ai volontari lombardi avevano sull’asta il li-vello massonico, perché il tricolore era labandiera delle vendite carbonare, dellaGiovine Italia e da sempre delle officinemassoniche, col verde colore iniziatico dellatomismo.

Si attraversarono così gli “alberi della li-bertà” di stampo giacobino, oltre ai vessillimassonici e carbonari, come ampiamentedocumentato nei musei cittadini. Nelmuseo civico del Risorgimento di Bologna,per esempio, sono conservate la sciarpa ela bandiera appartenute a Girolamo Ti-paldo de’ Pretenderi (1800-1874), che pro-veniva dall’isola greca di Cefalonia, e chenel 1831 era a Bologna come studente. Par-tecipò attivamente ai moti di febbraio efece parte del corpo di spedizione che com-battè a difesa delle Province Unite. Ciò locostrinse, a capitolazione avvenuta, a pren-

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dere la via dell’esilio verso la Toscana e laCorsica, dove comunque continuò a parte-cipare a vendite carbonare e massoniche.Nel 1864 il sindaco Carlo Pepoli della log-gia “Concordia uma-nitaria”, implicatonei moti mazzinianidel 1830, ed amico diGiacomo Leopardi,lo invitò nuova-mente a Bologna perdonargli la cittadi-nanza onoraria ri-cordando, peraltro,l’operato della settadegli Apofasimeni, in cui si incrociaronol’azione e le storie di numerosi apparte-nenti al mondo latomistico, come GiuseppeGalletti, Giuseppe Petroni, Augusto Agle-bert, Cesare Guidicini. La setta fondata daCarlo Bianco di Saint-Jorioz negli anniventi, partecipò ai moti del 1831 ed ebbe,anche a Bologna, una zona di sua intensadiffusione riuscendo a combinare elementimassonici, carbonari e patriottici dell’arearomagnola e bolognese. Mentre Cesare Gui-dicini viene ricordato anche nella docu-mentazione del museo civico delRisorgimento di Bologna, Augusto Aglebertpassò dalla loggia “Severa” alla loggia “Gal-vani”, a cui appartenne anche GiuseppeGalletti, loggia che si riuniva in un tempioricavato nella casa di Berti Pichat in viaSanto Stefano 96, mentre Giuseppe Petronidiventò poi il Gran Maestro del Goi dal 1882all’85. E furono proprio Augusto Aglebert eFelice Venosta a raccontare che la mammae la zia di Zamboni confezionarono ban-diere e coccarde tricolori, che venivano ap-

puntate sulle giubbe dei rivoltosi, come di-stintivo di riconoscimento, come attesta undocumento bolognese del 18 ottobre 1796.

Ma fu Giuseppe Mazzini che assunse iltricolore con la parola“libertà-uguaglianza”da un lato, e “unità-indipendenza” dal-l’altro, compiendo ilsalto di qualità dal re-cupero acritico dellapolicromia repubbli-cana alla fondazionedi un’imagerie indi-scutibilmente ita-

liana. Tant’è che nell’estate del ’43, nelleRomagne, la mai sopita attività cospirato-ria dei giovani patrioti, in gran parte di for-mazione mazziniana, si riaccese e siprepararono nuovi moti insurrezionali. E’il caso del moto che si sviluppò a Savignanoil 15 agosto 1843 nella forma di guerra perbande. L’intervento dei carabinieri, dei dra-goni e gendarmi svizzeri fu rapido: dopo al-cuni scontri episodici, gli insorti sisbandarono e solo un gruppo, guidato daPasquale Muratori, anima insieme col fra-tello del tentativo insurrezionale, resistettenel territorio di Loiano fino al 23 succes-sivo, quando, vista inutile ogni ulteriore re-sistenza, si sciolse definitivamente. Labandiera utilizzata a Savignano, ed ancoraconservata, era semplicissima e recava di-pinta sulla banda bianca la parola “Italia”.

Numerosi anche i religiosi che parteci-parono alle guerre d’indipendenza, pa-gando a volte con la vita il loro fervorepatriottico. Tra questi, ben noto, il caso delbarnabita e massone Ugo Bassi di Cento,

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Mincio nel 1848 e regolandosi valorosa-mente durante le cinque giornate di Mi-lano. Successivamente a Ravenna con

Garibaldi, e poi in di-fesa della RepubblicaRomana dove nel1849 perdette unagamba, e dopo l’am-putazione, morì peruna sopraggiuntacancrena. Nel 1847scriveva “raccolgaciun’unica bandiera,una speme” e centoanni dopo venneadottato in Italia ilsuo inno.

Nel 1888 si svolse a Bologna la celebra-zione dell’ottavo centenario dell’Univer-sità, ed il discorso per la solenne ricorrenzapronunciato proprio da Giosue Carducci fuun inno al tricolore: “Noi che l’adorammoascendente in Campidoglio, noi che neglianni della fanciullezza avevamo imparatoad amarla e ad aspettarla dai grandi cuoridegli avi e dei padri che ci narravano lecose oscure ed alte preparate, tentate, pa-tite, sulle quali tu splendevi in idea, più chesperanza, più che promessa, come un’au-reola di cielo a’ morienti e a’ morituri, osanto tricolore”. Circa dieci anni dopo, aReggio nel 1897, già però parla di un trico-lore avvilito, involgarito e dimenticato dai“volghi affollatisi intorno ai baccani e agliscandali officiali”.

Il rapporto nazione-emozione si tra-duce nella simbologia dei colori e nella lorocapacità evocativa. Nell’officina delle emo-zioni, il tricolore ha un valore anche per-

alla fine catturato dagli austriaci e fucilatoa Bologna nel 1849. Notevole l’ammira-zione e la riconoscenza sinanco di Carducciverso Bassi, tant’è cheper lui invoca: “Malascia tu nel granconcilio sgombra,Roma, una sedia”.Non pochi i massonifra i componenti deicosiddetti “corpifranchi” organizzatidal generale Du-rando, che andaronoa costituire una lineadi difesa sul Po(anche la bandieradei corpi franchi è ancora fra i cimeli piùpreziosi) sino ai “Cacciatori a cavallo” ga-ribaldini, quasi tutti conglobati nella mas-soneria, sotto l’egida di Bixio e Garibaldi,poi Gran Maestro del Goi.

Il tricolore divenne così la bandiera na-zionale nella quale si riconoscevano coloroche erano accorsi a combattere per la li-bertà. E’ infatti con la formazione deglistati moderni che la bandiera acquista intutto e per tutto il significato di simbolodell’individualità dello stato. In questo qua-dro emerge la figura di Goffredo Mameli,precocissimo poeta e patriota, che dimo-stra ancora una volta che il massone o è untestimone o è un ingombro e che scrisse ilCanto degli italiani, che diventerà poi l’innonazionale associato alla bandiera tricolore,come formidabile segno del desiderio di in-dipendenza nazionale. Mameli aderì giova-nissimo al mazzinianesimo e allamassoneria, combattendo gli austriaci sul

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• 47 •I colori massonici del tricolore, G. Greco

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accumulo di esperienze, di capacità, di me-moria che non possono andare perdute percui oggi dobbiamo riappropriarci del no-

stro paese e del nostrostato.

Il tricolore incarnaperciò precisi significatie valori, ed i valori, alcontrario dei bisogni,sono per definizione gra-tuiti. Il compenso del va-lore risiede nel valorestesso. Noi siamo quiuniti al tricolore perché,da un lato costituisce il

simbolo dei sentimenti edella cultura della nostra comunità, dall’al-tro richiama a sintesi i doveri di ciascunodi noi, fornendo una legittimazione ad unaloro duratura garanzia. Il tricolore, resti-tuito al suo significato più alto, è un sim-bolo di pacificazione e di unità, capace dicoagulare intenti nuovi e antichi eroismi.

Noi dobbiamo avere la fierezza di esserequello che siamo, mettendo in campo lasfida della modernità, a cui non si può nonrispondere, perché ne va del nostro futuro,perché dobbiamo decidere cosa abbiamonel sangue.

La coccarda tricolore alla quale cistiamo richiamando, la sua storia, gli uo-mini incomparabili che l’hanno illustratanel tempo, la sua straordinaria tradizione,deve essere un punto di riferimento asso-luto e la dobbiamo portare con onore sulpetto. Anzi, come la stella di David per gliebrei, sarebbe meglio portarne due: unaper obbligo e una per orgoglio.

ché è capace di mescolare la cifra degli ele-menti storico-politici con le suggestioni delpassato, in cui la composita filigrana deisentimenti suscitati ne sinte-tizza la chiave di lettura.L’unico modo di valoriz-zare il passato è proprioquello di saper essere in-novatori, cercando d’im-mettere il ricordo e leimmagini dell’antico entroun circuito rinnovato disimboli e di pensieri.

Da ciò che è emerso, esoprattutto dal cantieredegli studi si può sostenereche il tricolore italiano nasce nel milieu la-tomistico, è profondamente massonico, èfiglio di martiri fratelli massoni ed è sortoanche nella fertile e generosa terra di Bo-logna.

L’onore di Colombo non è tanto quellod’aver scoperto l’America, quanto quello diaver intrapreso il viaggio per scoprirel’America.

Le delusioni, per tante fasi negativedella nostra storia, non devono far dimen-ticare i fermenti originari ed i doveri ditutti noi. Un paese come il nostro, disordi-nato, burocratico, dotato di uno scarso or-goglio nazionale, che non coltiva grandiideali, se perde la sua tradizione, se perdela sua memoria, perde la sua identità, perdela sua moralità ed è ormai un paese da rie-dificare. Carlo Calcaterra ebbe a scrivere:“Soltanto nel pensiero e dal pensiero puòcominciare la riedificazione”. Quel che vafatto va fatto ora, perché vi è in gioco un

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nario del Capo degli Esseni nella critica alGoverno di Roma nonché sui motivi di or-dine politico che determinarono l’arrestonell’Orto del Getsemani e la consequenzialesottoposizione a processo penale del-l’Uomo-Dio con la conseguente ingiustacondanna alla crocifissione1.

IIIIl Maestro indimenticabile del-l’estensore della presente nota,l’eminente giurista massone Giu-

seppe Sotgiu, nel 1947 pubblicava una ap-profondita monografia dal titolo Processo aGesù, saggio incentrato, in chiave filosofico-teologica, sulla figura ed il ruolo rivoluzio-

The Author proposes a Masonic interpretation of the crucifix symbolism: the icon ofChrist’s crucifixion, from an hermeneutical point of view, can be considered as analchemic symbol, representing the combination of two elements: heaven and earth(horizontal side towards earth and vertical side towards heaven).This symbolism undoubtedly represents a Christian esoteric perspective: on the onehand, the sense of justice distinguishing the dichotomy of “divine justice” from“worldly justice”; on the second hand, a perennial exhortation to the judges, to actalways in all conscience according to the rational requirements, avoiding any judicialerror in comparison of a guiltless. Thus, the crucifix recalls to our mind the exotericprofile concerning the troubles and the complexity about heavy decisions strictlydevoted to the jurisdictional ascertainment of the judges connected to theirexperience on the field of justice, which we can easily define as a Cartesian hyperbolicdoubt.

EErrmmeenneeuuttiiccaa mmaassssoonniiccaa ssuullllaa pprreesseennzzaa ddeell ssiimmbboolloo ddeellccrroocciiffiissssoo nneellllee AAuullee ddii GGiiuussttiizziiaa PPeennaallee

di AAnnttoonniinnoo OOrrddiilleeAvvocato Cassazionista

1 G. Sotgiu, Processo a Gesù, Roma, 1947, p. 80. Giuseppe Sotgiu, nato ad Olbia (Sassari) il09.04.1902, già nominato libero docente di procedura penale nel 1924, giornalista, avvocato pena-lista, componente nel 1947 della Consulta Nazionale per il Partito d’Azione fondato da Emilio Lussu,fu il primo giurista laico e massone che propugnò la valenza democratica e repubblicana del si-stema proporzionale elettorale con le preferenze plurime ad personam; successivamente nel 1959divenne Presidente dell’Automobile Club di Roma e nel 1962 ricoprì l’incarico di Presidente del-l’Amministrazione Provinciale di Roma. Iniziato Libero Muratore giustinianeo nel 1949 nella Log-gia “Lira e Spada” ad Oriente di Roma e divenne Maestro nel 1952 e passò all’Oriente Eterno il10.05.1980.

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2 G. Calogero, La logica del giudice ed il controllo della motivazione della sentenza in Cassazione,Roma, 1938, p. 80. Guido Calogero, eminente filosofo laico e liberalsocialista fu allievo di GiovanniGentile ed un sommo esponente della Scuola Normale di Pisa.3 G. Sotgiu, op.cit.

Nel terzo capitolo conclusivo del sud-detto saggio, certamente per avvalorarel’assunto che trasparivaictu oculi nelle altrepartizioni del saggiocirca la valenza peda-gogica e sociale delmessaggio etico pro-manante da Gesù, sifaceva espresso riferi-mento alla ermeneu-tica esoterica edessoterica dell’iconadel Crocefisso che, perSotgiu, rappresentava:a) l’emblema che ogniuomo, persino, l’uomoDio è simile ad ognialtro uomo perché tutti gli uomini possonoassumere lo status di imputato (isonomianaturalistica); b) la gnoseologia giudiziaria,cioè il metodo probatorio per conoscere edaccertare i fatti nel rito penale, dimostrache la logica processuale deve essere ispi-rata a quella del dubbio, caposaldo del pen-siero massonico, proprio perchè il giudiziodell’uomo sull’altro uomo è sempre imper-fetto ed anche il processo penale ne è unapiena conferma. Invero, se ogni rito èl’espressione dell’ordine nell’Universo el’aula di giustizia è una porzione dellostesso, ornare questo Tempio laico dellaGiustizia con il Crocifisso, significa qualifi-carlo un luogo sacro in cui si svolge il rito

penale per evocare e richiamare perenne-mente alla coscienza dell’homo judicans il

metodo del dubbio e la neces-sità etico-sociale di evitarela condanna di un inno-cente; c) nel foro internodell’organo giudicante,cioè in quel luogo definitoda Guido Calogero il “Tri-bunale della Coscienza delmagistrato”2 dovrà conti-nuamente rinnovarsi il pre-cetto etico-giuridico edeontico di non condan-nare un innocente dato cheil processo a Gesù, nel sim-bolo della Croce, rappre-senta certamente il primo e

più grave errore giudiziario della storia3.Alla luce di questa costruzione teorica,

appare evidente che il Crocifisso evocasotto il profilo essoterico il simbolo uni-versale della difficoltà e complessità del-l’arte del giudicare del Magistrato, che devesempre ispirarsi nell’accertamento giuri-sdizionale dei fatti di reato a quella tipolo-gia di logica non formale legata a massimed’esperienza per la ricerca della verosimi-glianza storica degli accadimenti aventi ri-levanza penale.

Questa attività logico-mentale del Ma-gistrato giudicante, certamente, ha unapuntuale e palese analogia con la logicamassonica del dubbio iperbolico di matrice

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4 G. Sotgiu, op.cit.5 F. Carnelutti, Jus iungit, in Discorsi intorno al diritto, Padova, 1960, p. 50.

cartesiana come metodo probatorio unita-rio, proprio perché una corretta gnoseolo-gia giudiziaria deve ispirarsi acriteri oggettivi di Ragione edi Libertà nella valutazionedelle prove con specifico ri-ferimento non certamente alconvincimento morale esoggettivo del giudice (intimemoral convincion di stampo in-quisitorio medievale) bensì alsuo convincimento razionale(beyond any reasonable doubtdel processo accusatorio mo-derno) che lo stesso desumedall’esame dei fatti accertatiin sede processuale e maicon il dogma della certezzadeduttiva e le presunzioni diverità o le semplici congetture, tautologie oapodissi, ma sempre con il dubbio e la con-tinua e puntuale individuazione di indizigravi, precisi e concordanti e di prove sto-riche dirette, che devono essere valutate aifini del thema probandum nell’ambito del li-bero, sovrano ed autonomo potere discre-zionale del Giudice di dichiarare lacolpevolezza o la piena innocenza dell’im-putato (libero convincimento giudiziale tipicodel processo penale accusatorio).

D’altra parte, il rito penale si caratte-rizza per la sussistenza di tre canoni e re-gole deontiche probatorie omologhe edanaloghe al metodo massonico del dubbioche deve sempre ispirare la ricerca di qual-siasi verità e deve essere immanente e pre-

sente in qualsiasi rito in piena armonia conun sistema filosofico-giuridico di antropo-

centrismo costituzionale ti-pico della Libera Muratoriaorientato sempre per la tu-tela e garanzia della libertàpersonale dell’imputato: a)nessun fatto è certo e tuttoè messo in dubbio; b) loscopo della giurisdizione èquello di convertire il dub-bio in certezza e la certezzain dubbio; c) non si devemai condannare un inno-cente perché la libertà, ladignità e l’onore della per-sona umana sono valori in-violabili anche da parte

dello Stato.Pertanto, l’intuizione dottrinale nella

prospettiva essoterica del massone Giu-seppe Sotgiu che aveva sempre ritenuto ef-ficace la presenza del simbolo dellacristianità nelle aule di giustizia perchè ilCrocifisso è un richiamo perenne alla coscienzadei Giudici per avere sempre presente durante ilprocesso la possibilità di emanare una sentenzaviziata da errore giudiziario per evitare la con-danna ingiusta del cittadino inquisito4 fu poiavvalorata e confermata dal cattolico Fran-cesco Carnelutti il quale indirizzava ai giu-dici questo specifico imperativo categoricobisogna vedere Cristo non solo nel denunziato enell’imputato ma perfino nel condannato per-chè solo così vuol dire trattarlo come un fratello5

ed anche dal repubblicano e mazziniano

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Inoltre, l’icona della crocifissione di Cri-sto, da un punto di vista dell’ermeneutica

massonica, è un simbolo diermetismo alchemico7,perché la Croce rappre-senta l’unione del cielocon la terra (lato verti-cale verso il cielo ed oriz-zontale verso la terra), edevoca certamente, nellaprospettiva dell’esoteri-smo cristiano, da un lato,la nozione di un genus di

Giustizia unitaria articolatanella dicotomia di “Giustizia divina” e“Giustizia terrena”,8 dall’altro, una racco-mandazione perenne al tempio interioredei Giudici per avere sempre presente l’esi-genza razionale di evitare la condanna diun innocente per non rendersi colpevoli diun errore giudiziario. Infatti la “Giustiziadella Croce”9, altro non è che la fonte diuna pluralità di norme di diritto naturalelegate a dati di ragione che sono i principiajuris universali del rito penale fondato sulseguente sillogismo: 1) Premesso che Dio siè fatto Uomo incarnandosi in Gesù, Uomo-Dio, e che l’Uomo-Dio è stato imputato sto-ricamente come ogni Uomo (principio diisonomia naturalistica tra gli uomini, cioè ugua-

Piero Calamandrei il quale nell’opera mo-numentale Elogio dei Giudici scritto da un av-vocato sottolineava che:

Dell’architettura edell’arredamento forenseil Crocifisso non disdiceall’austerità delle aulegiudiziarie, soltanto nonvorrei che fosse collocatocom’è, dietro le spalle deigiudici,in questo modopuò vederlo soltanto ilgiudicabile, il quale guar-dando in faccia i giudici, vorrebbe averfede nella loro giustizia, ma poi scorgendodietro a loro, sulla parete di fondo il sim-bolo doloroso dell’errore giudiziario è por-tato a credere che esso lo ammonisca alasciare ogni speranza: simbolo non difede, ma di disperazione, in quanto si di-rebbe che sia stato lasciato lì, dietro lespalle dei giudici, apposta per impedireche lo vedano e invece si vorrebbe chefosse collocato in faccia a loro, perché loconsiderassero con umiltà, mentre giudi-cano e non dimenticassero mai che in-combe su di loro il terribile pericolo dicondannare un innocente.6

6 P. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Firenze, (ristampa), 1985, con pre-fazione di P. Barile, p. 50.7 O. Wirth, Il simbolismo ermetico, Roma, 1978, p. 22. Il Wirth sottolinea che il simbolo dellaCroce assunse il valore di T (Tau nel linguaggio arcaico dei Fenici quale simbolo di sofferenza n.d.r.),ed il suo significato fu associato ad uno strumento di tortura solo dopo la diffusione del Cristianesimo. 8 C.M. Martini, Sulla giustizia della Croce, (Colloquio dalla cattedra dei non credenti con ilProf. G. Zagreblesky), p. 34.9 C.M. Martini, op.cit.

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per realizzare l’armonia, la pace e la con-cordia tra i popoli e le Nazioni.11

In definitiva, la suddetta in-terpretazione non è né fidei-stica né religiosa, ma laica erazionale in quanto trova lasua radice ideologica e cultu-rale nel pensiero giuridico delmassone Francesco Carrara12

che aveva rilevato come ori-gine divina ed assoluta razio-nalità del diritto sono due datiolistici strettamente correlatiin quanto:

Il giure penale ha la suagenesi e la sua norma in una

legge che è assoluta, perché costitutivadell’unico ordine possibile alla umanità se-condo le previsioni ed i voleri del Creatore.La scienza penale non cerca che l’applica-zione alla tutela giuridica di questi prin-cipii razionali imposti a noi dalla MenteSuprema. Le sue dimostrazioni non si de-sumono dalla parola dell’uomo ma devonoessere deduzioni logiche dell’eterna ra-gione, della quale Dio rivelò agli uominiper mirabile ispirazione quanto occorrevaa regolare quaggiù la loro condotta verso ipropri simili.

glianza dei cittadini tutti sottoponibili a giudi-zio penale); 2) Ritenuto che Gesù è stato con-dannato ingiustamente perchénon aveva commesso alcunreato (principio di presunzionedi innocenza dell’imputato); 3)Nessun magistrato devecondannare un uomo inno-cente perché l’icona del-l’Uomo-Dio deve sempreessere sempre presente allacoscienza del magistratoper evitare errori giudiziarie non arrecare dolore e sof-ferenza ai giudicabili inno-centi (principio di revisionedei giudicati penali per erroregiudiziario). Pertanto, la Giustizia dellaCroce e la Giustizia dell’uomo coincidono,così come hanno chiarito il Cardinale CarloMaria Martini ed il costituzionalista Gu-stavo Zagrebelsky, proprio perché se tuttigli uomini ameranno sempre la Verità e laGiustizia, come manifestazione del GrandeArchitetto dell’Universo per realizzare lafraternità tra gli uomini in terra10, la Giu-stizia terrena si orienterà verso la Gerusa-lemme celestiale ove vi è la Giustizia divinae questo consentirà all’uomo per gradi disalire la scala mistica dalla Terra al Cielo

10 G. Raffi, La primavera della Massoneria, intervista di Paolo Gambi al Gran Maestro del GrandeOriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, Avv. Gustavo Raffi, p. 68.11 G. Sotgiu, Allocuzione tenuta da Giuseppe Sotgiu il 12.07.1979 nella Sala Orazi e Curiazidel Campidoglio, in Roma, dal titolo Illuminismo e cristianesimo: una endiadi necessaria nel processo pe-nale, dinanzi al Ministro della Giustizia prof. avv. Paolo Emilio Bonifacio ed al Primo Presidentedella Corte Suprema di Cassazione dott. Pasquale Buondonno, che conferirono all’insigne avvocatopenalista la “Toga d’oro” per il cinquantennio dell’esercizio della professione forense.12 F. Carrara, Programma del corso di Diritto criminale, Parte Generale, IX Edizione, Firenze, 1902,vol. I, pp. 41-42.

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CCiiaaoo BBeenntt,, aadd MMaajjoorraa

di EEnnzzoo LLii MMaannddrriiPresidente dell’Associazione Alessandro Tasca Filangeri di Cutò

The present obituary is dedicated to the living memory of our Brother Bent Parodi diBelsito suddenly dead on the 16th December 2009. Bent was not only a distinguishedjournalist, but also leading protagonist of our Craft, distinguishing himself for hisesoteric and intellectual deepness.

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Bent Parodi di Belsito con Enzo Li Mandri

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lusione terminava con un dito puntatoverso l’alto ad indicare l’Unità dello Spiritoe l’indispensabile ricerca della Parola crea-trice, del sibilo primordiale, per potersi

porre nella giu-sta lunghezzad’onda con l’in-finito: il suonoche oltre unacerta frequenzadiventa luce, ela luce si identi-fica con lo Spi-rito. Quandoparlava nonc’era volto sulquale non si ac-cendesse unsorriso. Quandoparlava la sere-nità sembrava

scendere palpabilmente anche negli am-bienti meno accoglienti. Non credeva nellareincarnazione, sic et simpliciter, come tra-sposizione dell’Io, ma nel disciogliersi delSé nell’Eterno, confermando la sua indis-solubile relazione con la vita eterna; “lamorte è un passaggio”, soleva ripetere, “uncambio di stato”, e faceva una smorfiaschioccando le dita come se volesse elimi-narne persino l’idea, bandirla dalla mentee dai discorsi. Bent non era un misticocome lo si può intendere oggi; amava lavita in ogni suo anfratto più recondito (l’ul-tima posta della Conoscenza Plotiniana,l’Estasi, per lui, come per Plotino, il suo fi-losofo preferito, era frutto di un’esperienzanon necessariamente asceticamente ri-nunciataria ai piaceri della vita): appenapoteva andava a sedersi vicino al mare, che

CCCChe dire del Fr:. Bent Parodi di Bel-sito oltreché dell’uomo e del Mae-stro? Fare un distinguo tra le

figure è davvero difficile, oserei dire im-possibile; Bentera in Officinacome era nellavita di tuttigiorni: un raggiodi sole e insiemeun arcobaleno dicolori dal qualeognuno potevaapprendere ecomprendere.Non ha mai ne-gato niente achiunque chie-desse, ed aveva,del segreto ini-ziatico, una in-telligenza ed un rispetto unico; intelligenzae rispetto che gli consentivano di dire lecose nella maniera più semplice e piùadatta a tutti, e chiunque lo ascoltasse nonera mai meno che desideroso di appren-dere. Questo aspetto allora lo posso affer-mare certamente: Bent era aristocra-ticamente “semplice”; odiava la confusionedelle lingue, che “simbolicamente” facevarisalire al “tempo” della Torre di Babele, eper la quale non si stancava mai di ricor-dare che nella radice delle parole sta il loropiù recondito significato, e che in quel si-gnificato c’è ben più della parola stessa, nelsuo ultimo e più riduttivo senso moderno;odiava la modernità, e l’era digitale, soste-nendo che nella confusione che essa gene-rava c’era ben piantato il seme delmaterialismo più becero, ed ogni sua pro-

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qualsiasi estrazione sociale e levatura cul-turale fosse, lo adorava per questo: la atti-vità continua, compiuta sempre con laleggerezza e la solarità del sorriso, chiavedella sua “semplicità”. La stessa semplicità

con la quale par-lava dei massimisistemi affinchétutti capissero,anche al costo diesempi che eglidefiniva “terraterra” spesso pro-nunciati in linguadialettale e ac-compagnati dauno schioccodelle dita.

Forte è oggi, dovendo parlare di lui, do-vendolo ricordare come è giusto che sia inqueste pagine che lo hanno visto protago-nista sempre, la tentazione di rinvangareun vissuto comune, (per affetto e ricono-scenza, non certo per spocchiosa vanteria),ma non credo sia questo che i lettori diHiram si aspettano di un massone esem-plare che già conoscono bene, per la cul-tura ed il pensiero, ma di conoscere un po’di più dell’uomo Bent Parodi e del suoanimo nobile.

L’ultimo dei Gattopardi non amava par-lare di sé, eppure avrebbe avuto tanto dadire. Chi scrive lo ha conosciuto, giovane,alla redazione del Giornale di Sicilia, e, ulti-mamente, lo aveva invitato in più occasionia redigere un resoconto più dettagliatodella sua vita; invito vano fino alla scorsaestate quando, guardando il mare dalla fo-resteria di Villa Piccolo e mordicchiandosipensoso l’attaccatura dell’indice della

ammirava sognante, appena poteva im-bandiva tavola per tutti, convinto com’erache nel convivio c’è l’essenza più pura del-l’amore, anche con chi gli era ostile. Par-lava come stava a tavola: cordiale e chiaro;ogni termine altiso-nante, ogni frasetortuosa e prete-stuosamente dottagli dava fastidio, lasemplicità era ilsuo credo, comeera il suo credoche la Cultura do-vesse appartenerea tutti, perchétutti potesseroavere l’opportunitàdi crescere; in ciò tale era la sua ferma con-vinzione da fondare a Palermo, nel marzodel 2007, insieme al sottoscritto ed altriamici, l’Associazione Alessandro Tasca Fi-langeri di Cutò, in memoria dell’ingiusta-mente dimenticato Principe Rosso,convinto massone e fratello di Teresa,madre dei fratelli Piccolo, al fine di divul-gare la Cultura sinceramente aristocraticadel pensiero laico. Lo feriva, come potreidimenticarlo, profondamente, la miserianell’animo altrui; un dolore che si manife-stava con una smorfia e con una frase agliamici, ricorrente ancora fino alla scorsaestate: “… e io mi curo con un farmaco mi-racoloso: 40 gocce di futtitinni (= me nefrego)”; poi non gliel’ho più sentito dire;probabilmente non bastarono più neanchequelle: “i Siciliani non perdonano il peccatodel fare”, ripeteva spesso e lui, questo pec-cato, lo compiva religiosamente tutti igiorni. La gente che lo ha conosciuto, di

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mano destra mi disse: “Enzuccio, è arrivatal’ora di fare quelle registrazioni; dopol’estate cominciamo” …ohimè troppo tardi. Sapevache stavo raccogliendo ma-teriale su di lui per un libroe ogni volta che ne parla-vamo rideva. Ma torniamoal profilo.

Giovanissimo la sorte locarica di un fardello cheper altri sarebbe stato im-possibile sostenere: gio-vane rampollo dellaaristocrazia palermitanane vive sulla pelle il crolloe, insieme, le abitudini e lostile di vita, cosa che lorende immediatamente unaanima bella fuori dal tempo. Per sua stessaammissione, costretto in una casa di an-ziani nonni e zii blasonati, a non poter ri-cevere amici della sua età, gioca a recitarei classici greci e romani, vestito da “con-sole” con un lenzuolo bianco, davanti allospecchio. Più tardi lo racconterà con unsorriso, ma certamente già la solitudine losegnava, facendolo scivolare in un passatotalmente remoto da non avere né identitàné “tempo”. La curiosità cresce e la letturadelle testimonianze dei presocratici comedei filosofi ellenistici lo colpisce e lo affa-scina (dirà sempre di essere stato illumi-nato dalle parole del neoplatonico Plotinotra cui la celebre frase che si vuole sia statapronunciata in punto di morte “Cercate dicongiungere il divino che è in voi al divinoche è fuori di voi” e che egli citava. Un Di-vino che Bent incarnava, quasi fosse una di-

visa, nelle tre qualità: vero, buono, bello;tre facce dello stesso sistema sempre, e

sempre vissuto e sentito comeun sistema “laico”. Si facciagrande attenzione a cosa perBent volesse dire “laico”!Studioso ed esperto di reli-gioni antiche, per Bent esi-steva un solo ed unicoPrincipio dell’Universo, dicui le varie religioni eranonel tempo successive rivela-zioni e il suo approdare inMassoneria appena a ridossodei tempi più caotici deglianni ‘80 fu una naturale con-seguenza del suo pensiero;un pensiero ed un credo di-

fesi fino alla fine quando, per-donatemi una concessione alla fantasia,alle note rituali del rito funebre massonicoresogli la notte stessa della sua dipartita, ilsottoscritto, e non solo, lo ha “visto” sorri-dere beato e leggero. Ma torniamo alla sto-ria. Il pensiero laico di Bent, l’ho accennatopiù sopra, gli consentiva di concepirsi im-mortale, dopo la resa delle spoglie allaterra, mai come individuo ma, anche davivo, come partecipe della “Grande CosaUna” (il ritorno all’Uno di Plotino), allaquale offrire le mani piene del frutto del la-voro di umile operaio muratore alla Gloriadel Grande Architetto dell’Universo, e lesue mani, credetemi se ce ne fosse la ne-cessità, erano davvero piene. Chi lo cono-sceva sa che Bent non ha mai nutrito ire,malumori o malanimi nei confronti di chic-chessia, perchè li considerava energia spre-cata, preferendo piuttosto dare a piene

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mani e a cuore aperto a tutti, anche a chinon sempre ha saputo essergli grato. Credoche una delle cause non indifferenti del suocagionevole stato di salutesiano stati i tradimenti cheha subìto sempre colgrande stupore del fan-ciullo, che non comprendelo schiaffo ingiustificato einatteso. Torniamo alla sto-ria. Eccellente a scuola e cu-rioso ricercatore, orecchia idiscorsi strani dei grandiche lo circondano, quasitutti attivi e quotizzanti (in-tendendo in ciò la dedi-zione personale e il credo,non il banale “metallo”) ofortemente legati a studi edesperienze esoteriche e questo lo porta allestrane frequentazioni di casa Alliata di Pie-tratagliata. Chi ha letto il “Principe mago”sa di cosa parlo. Le esperienze che lo zioRaniero lo porta gradualmente a fare,ancor giovane, e duttile come la cera calda,lo segnano per la vita e, oso pensare, ancheoltre. Da Raniero le esperienze nei variscorci, sempre più lunghi e frequenti cheBent dedica allo zio, lo fanno imbattere,per un verso, nella magia (operativa e im-maginativa con i trachettili, imitativa conle statuette, ed evocativa dei filosofi delpassato, esperienza estrema alla quale allafine rispose con la fuga) ma, per un altro,lo sottopongono ad esperienze di vita chelo legano alla realtà contestuale (Raniero lochiamava Papilio per la sua facilità ad ab-bandonarsi alla fantasia), regalandogliquella sensibilità tangibilmente laica che

non lo abbandonerà più, e parlo dellespesso sottovalutate esperienze legate alpiacere, e vissute come un malinconico ab-

bandono delle vette aulichedel pensiero, e della ricercanaturale sul campo, una pertutte la caccia agli scarabei ealle farfalle rare sia sullevette delle Madonie che trale campagne di Capo d’Or-lando; cacce che gli feceroguadagnare il soprannomedi “scravagghiaru” (scravag-ghiu = scarafaggio) affibbia-togli dai contadini che loguardavano tra l’allibito e ildivertito. Gli stessi contadinipresso i quali però egli

amava intrattenersi a man-giare nelle campagne della Babbaluciara, lafamosa villa del Gattopardo a Santa Mar-gherita Belice, ridendo lui per primo di sestesso. “Un uomo che non sa ridere di sestesso non è un uomo intelligente”, midisse un giorno mentre guardava l’isola diSalina da un belvedere di un ristorante, perun attimo serio, lo sguardo assorto, comeper un presagio che avesse fatto balenareun’immagine funesta. Bent conosceva ilsuo futuro e la sua fine: “morirò come miopadre, fulminato da un edema e soffocato,a 65 anni; ne ho ereditato la malattia; è ilmio destino!”. Quando passammo il fati-dico valico dei 65 anni festeggiammo, ma ilsuo sorriso era visibilmente forzato. Finoall’ultimo sono stati rievocati i suoi eccessiattribuendo ad essi la causa della prema-tura scomparsa; ho sentito molti medici so-stenere che l’influenza di fatto era

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ragionevolmente ridotta rispetto al suoreale problema, e non so quanto ciò sia“vero”; però credo sia vero chepochi nelle sue condizioniavrebbero avuto il coraggiodi spendersi fino in fondosenza remore e senza ri-morsi. Ognuno ne pensi ciòche crede, personalmente sene avessi avuto appena undecimo dei numeri e il suocoraggio avrei fatto lostesso. E con questa afferma-zione chiudo questo argo-mento. Torniamo alracconto. Per assurda chepossa sembrare la “regola” divita di Bent, fin da ragazzo, è situata al cen-tro, come risultante dell’equilibrio tra leforze, e in questo il Destino gli spalanca leporte proponendogli, come contraltare aRaniero (che solo successivamente egli de-finirà “nero”, ma di fatto pesa e strapesaogni sua parola e, per sua stessa ammis-sione, considera il suo pensiero solo appa-rentemente opposto a quello di Casimiro),lo stravagante Casimiro Piccolo che egli hal’opportunità di frequentare grazie alle vi-site che il padre compie sempre più fre-quentemente in quel di Villa Piccolo,divenuta oggi la dimora storica del pen-siero gattopardesco proprio per volontà diCasimiro e per il grande e certosino lavorodi Bent. Bé, certamente Casimiro, con lesue favole sull’aldilà, attizzò la sua voglia dipace persa tra le lenzuola della villa di Ra-niero, ma lo spirito critico sempre vigile loportò a chiedere, a voler capire, a soppe-sare, a non accontentarsi delle afferma-

zioni, a volere “risposte concrete”, da gior-nalista quale egli era nell’animo e nei fatti,

come testimonia la sua brillantecarriera al Giornale di Sicilia,bocconi amari a parte; manon si è grandi a caso né im-punemente. Ma Bent, Ranieronon a caso lo chiamava Papi-lio, nonostante la sua staturada vichingo (sua madre è unaAndersen di discendenza di-retta col più noto scrittore difiabe e i suoi natali sono a Co-penhagen) possedeva dav-vero la leggiadria di unafarfalla in tutte le espressionidella sua vita. Tra la carriera

giornalistica e quella universitaria, chepure gli viene prospettata e offerta, certa-mente più comoda e più prestigiosa, scegliela prima pur di restare in prima linea, e lofa senza pensarci su due volte. È dalle pa-gine del prestigioso quotidiano sicilianoche può fare sentire la sua voce a tutti espingere tutti a crescere, perché chiunquegli sia vicino ottiene aiuti senza chiedere;un aspetto troppo spesso tralasciato. Il suoimpegno lo porta negli anni Novanta a di-ventare Presidente dell’Ordine dei giorna-listi di Sicilia e anche qui la sua solaritàlascia immediatamente il segno: “dob-biamo lasciare profumo” amava spesso direai suoi amici “o non siamo uomini”. Il pro-fumo lo seguì anche a Villa Piccolo doveviene chiamato, dopo la morte di Casimiro,a ricoprire il ruolo di Presidente della Fon-dazione e Bent si impegna da subito a ti-rarla fuori dallo stato di oblio in cuiversava. Oggi Villa Piccolo è un punto di ri-

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ferimento imprescindibile della Cultura in-ternazionale e il suo calendario culturalerievoca i fasti deiGattopardi. Manon solo que-sta, anche l’As-s o c i a z i o n eA l e s s a n d r oTasca Filangeridi Cutò seguela sua filosofia,ha lavoratocon successo econtinua a la-vorare, non soloa Palermo, assolvendo il ruolo prepostosidi divulgatrice della Cultura aristocratica,del Pensiero e della Luce. Bene, studioso direligioni, esoterista, filosofo, giornalista,uomo di cultura, mecenate della cultura insenso vero, ma anche rigorosamente sto-rico e sentitamente e limpidamente mas-sone, egli ha, lo si voglia guardare da piùangolature, altrettante realtà che in luisono sempre state “una”: quella di unuomo eccezionale che il destino ha caricatodi un peso in più: uno smisurato bagagliodi conoscenza non solo esoterica e la co-scienza che i doni son dati perché vadanodistribuiti a tutti e Bent lo ha fatto sempre,a costo della sua stessa incolumità e dellasua vita. Non c’è nessuno, che io conosca,che può affermare il contrario. E nessuno,che io conosca, che non possa ringraziarloper ciò che ha avuto senza chiedere, primoil sottoscritto.

Grazie Bent, ad majora.Segue un breve estratto del suo curri-

culum massonico, gentilmentefornitomi dalla Gran Segreteriadel G.O.I., con l’invito, a chiun-que avesse da porgere una testi-monianza su Bent Parodi diBelsito, utile ad arricchire illibro sulla sua vita che sto scri-vendo insieme alla moglie,Anna Maria Corradini, a contat-tare il sottoscritto per e-mail [email protected].

Curriculum massonicoIniziato nel 1980 nella Loggia palermi-

tana “Giustizia e Libertà” (895) presso laquale ha militato fino alla fine, e della qualeè stato Maestro Venerabile dal 1994 al 1997e presso la quale era stato riconfermatoMaestro Venerabile per l’attuale anno mas-sonico. È stato altresì vicepresidente delCollegio circoscrizionale della Sicilia sem-pre negli anni dal ’94 al ’97. Relatore in nu-merosi Convegni culturali del G.O.I., sindalla prima stagione di apertura iniziatadal G:. M:. Armando Corona, è stato insi-gnito della onorificenza “Giordano Bruno”.Grande Oratore aggiunto del Gran Consi-glio del G.O.I. fino al 2009, era aderente alRito Scozzese, e M.O. delle RR:. LL:. “Giu-seppe Garibaldi” di Catania, “Agatirso” diTorrenova, “Ausonia” di Torino, “Archi-mede” di Siracusa, “Acacia” di Roma, “Ri-sorgimento” di Cosenza, “Pitagora-Ventinove Agosto” di Palmi.

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• 61 •Ciao Bent, ad Majora, E. Li Mandri

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In ricordo del Fr∴ Bent Parodi di Belsito

pubblichiamo gli ultimi suoi lavori pervenuti alla redazione di Hiram

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ricordare a Roma la trinità originaria ca-pitolina: Iupiter, Mars, Quirinus. In Egitto,a Menfi, Ptah, il demiurgo universale, Sek-met, la dea leonessa di matrice solare edil bimbo Nefertum, nato dal fiore di loto; aTebe, Amon, “il nascosto”, Mut ed il diolunare Khonsu. Per non parlare dellatriade più famosa: Osiride, Iside ed Horus.

Della Mesopotamia, possiamo ricor-dare la trinità essenziale Anu, Enlil edEnki (o EA), ovverosia il dio cielo, il numedell’atmosfera, il dio delle acque e dellasapienza. In India il riferimento corre aBrahma, Vishnu, Shiva: il creatore, il diocompassionevole e paterno e Shiva, ilgrande dissolutore delle forme. In Cinal’esempio classico è fornito dalla triade

IIIIl mistero della trinità, lo chiamano icristiani: ovvero l’unità indissolubiletra il Padre, il Figlio e lo Spirito

Santo. E lo hanno definito “dogma”, cioènon spiegabile, non soggetto ad alcuna va-lutazione. E tuttavia senza entrare nel me-rito teologico è evidente che non ci sianulla che sia pregiudizialmente preclusoalla ragione umana, allo sforzo di rifles-sione del pensiero.

A ben vedere la stessa struttura dellarealtà dei fenomeni ci appare triadica inquasi tutte le culture umane, universal-mente attestata nella storia comparatadelle religioni. L’elenco esemplificativo sa-rebbe fin troppo lungo e basterà qui pro-cedere in ordine sparso. Si potrebbe così

The mystery of the number three not only offers an esoteric speculation aboutnumerology, but also it opens the way to a reconsideration of the concept of “trinity”in nature and religion.

IIll mmiisstteerroo ddeell TTrree

di BBeenntt PPaarrooddii ddii BBeellssiittoo

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solutamente comprensibile: il Padre pre-suppone il Figlio, entrambi implicano

l’energia, la coscienza co-smica, strumento principedella manifestazione.

Resta irrisolto il nododella sacralità del numerotre. Si tratta in breve dellacoscienza delle originidella religiosità, dellastruttura dell’esistenza. Laprima grande rivoluzioneculturale nella storia del-l’umanità, in realtà, si è ve-rificata all’incirca 800.000anni fa, con la nascita diun ominide, nostro lonta-nissimo progenitore, a cuiè stato dato il nome dihomo erectus. Cioè il primofra i nostri antenati ad

avere acquisito la posizione eretta, ren-dendole, quindi, capace di levare losguardo verso l’alto e, dunque, di osservarela volta celeste, con i suoi moti apparenti.

La sua attenzione fu istintivamente at-tratta da un astro freddo, la Luna, la qualepresenta la singolare caratteristica di cre-scere, decrescere e sparire per tre notti ri-nascendo alla quarta. Constatò anche chead ogni alba il Sole nasce tutto intero adOriente, lo vide attraversare tutto l’arco ce-leste, durante le ore del giorno e poi spro-fondare nelle viscere della terra, durante leore notturne. Facile dunque immaginareun viaggio sotterraneo irto di pericoli dalleimprevedibile conseguenze.

Nell’arco di centinaia di migliaia di anni,una lentissima elaborazione in termini mi-

Tien-ti-Yen, cielo, terra, uomo. Sarebbe sintroppo semplice allungare l’elenco delleesemplificazioni. In verità, letriadi costituiscono la cifradel pensiero relgioso del-l’umanità, non solo a li-vello teologico, bensìspeculativo, più in gene-rale. Noto è il rilievo che alnumero tre è stato datodalla scuola pitagorica. Dasempre questo numero èstato accostato all’idea dicompiutezza, perfezione.Come giustificare questostraordinario rilievo pre-sente in tutte le culture delpianeta? Con la logica delbuon senso si potrebbepensare al concetto di im-mortalità relativa costi-tuito dal trinomio, padre, madre e figlio: lapolarità maschile si congiunge con quellafemminile e dà vita ad un nuovo essereumano che della coppia coniugale costitui-sce la naturale propaggine, la promessa diuna immortalità relativa con la continuitàdel clan. E non importa che al primo figlione possano seguire altri. Ciò che vale è ilprincipio che tramite questa ierogamiaumana si abbia il terzium datur.

Potremmo poi ricordare nell’elabora-zione filosofica hegeliana, la successione,assolutamente logica e ragionevole, tesi,antitesi e sintesi; altrimenti descrivibilecome concatenazione tra lo spirito sogget-tivo, lo spirito oggettivo e lo spirito asso-luto. E a ben vedere anche il dogma dellatrinità cristiana ha in sé un significato as-

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• 65 •Il mistero del Tre, B. Parodi di Belsito

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tire dall’invenzione dell’agricoltura (Ge-rico, 8000 a.C.), è nata e si è successiva-mente diffusa la singolare ideologia del diodolente, il nume che soffre, muore e ri-

sorge. Sempre a fiancodella Grande Madre,non soggetta allamorte in funzione diparedro (compagno,“colui che sta ac-canto”). Si potrebberocosì ricordare le fi-gure esemplari di Osi-ride in Egitto,smembrato in 42 partie poi riportato in vitadall’amore di Iside;

nel vicino Oriente anticoAdone, Attis, in Mesopotamia il pastorelloDumuzi Tammuz, per il quale la grande deaInanna discese agli inferi; in Grecia dila-niato dai malvagi Titani; il sacrificio dei gi-ganti cosmici, dell’uomo primordiale ilPurusha indiano. Si tratta soltanto di pochiesempi essenziali. L’idea di fondo è chel’uomo, generato dalla donna, è già con-dannato a morte sin dai primi vagiti per lasua fine è soltanto questione di tempo. Masi è affermata anche l’idea che la morte nonè che l’altra faccia della vita; che ad ognivita, dopo la morte, seguirà una nuova vita.La Donna è depositaria del segreto stessodell’esistenza; la catena del divenire è il suoregno privilegiato. Nulla si fa senza la suamediazione.

Padre, madre e figlio, nella dialetticadella trinità costituiscono la cifra distintivadell’universo fenomenico.

topoietici ha stabilito l’equazione fra Solee spirito; la Luna è stata associata all’anima,al femminile, alla conchiglia, all’alta marea,al flusso mestruale (durata: 28 giorni), allaspiga, cioè all’idea dimorte e resurre-zione.

Da quando appar-vero sulla terra gliabitanti preistoricihanno sempre unterribile timore perla fine, l’ignoto, ilmistero. Con la se-quenza dei fenomeninaturali come ilampi, il freddo, ilfuoco, e la minacciaquotidiana delle bestie feroci. I nostri an-tenati si sono sempre posti l’angoscioso in-terrogativo: perché la morte? Se tutto èdestinato a dissolversi che speranza ho io,piccolo fragile essere, di ritagliarmi unaqualche forma di sopravvivenza. Egli avevagià constatato che molte specie vegetali de-periscono e muoiono con l’avvento del-l’autunno per poi rinascere, con nuovegemmazioni, in prossimità dell’equinoziodi primavera. Osservò altresì altre piantesempreverdi che associò all’idea archeti-pica dell’Albero della Vita, con le radicipersino rivolte verso il cielo.

Per omologia concluse che anch’egliavrebbe potuto sperare in una resurre-zione, nella speranza di una continuitàdella vita. Questa originaria forma di reli-giosità è alla radice di tutte le ierofanie delMediterraneo antico. Si può dire che, a par-

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LLaa ccoonnffuussiioonnee ddeellllee lliinngguuee

di BBeenntt PPaarrooddii ddii BBeellssiittoo

The myth of the Tower of Babylon gives room for a provocative speculation concerningsemantic confusion, linguistic incomprehension and human intolerance.

QQQQuanto vale oggi una vita umana,la violenza sembra essere la cifradel nostro tempo. Madri che,

contro natura, uccidono i propri bambiniin fasce; figli adolescenti che uccidono i ge-nitori e va peggio nelle strade delle città edei paesi, dove criminali di basso cabotag-gio uccidono quasi per nulla.

Pur reduci da secoli e millenni di vio-lenze di ogni sorta (il culmine è stato forseragiunto durante il ventesimo secolo traguerre di inaudita ferocia). Si sperava cheil terzo millennio fosse finalmente l’eradell’unità e di una pace duratura fra i po-poli. Le prime avvisaglie sono tutte disegno negativo; la società contemporanea

sembra davvero dominata da un cieco caosche non risparmia nessun paese, nessunalocalità. Perché tutto questo? Probabil-mente la gente e sempre più drogata daorgie mediatiche crescenti che ci impedi-scono di raccoglierci in noi stessi, di medi-tare sulle nostre intenzioni e sulle nostreazioni. Nella migliore delle ipotesi non vi-viamo, bensì esistiamo come ombre chenon conoscono tregua né pausa. Ben diver-samente nelle società tradizionali, nellequali la famiglia è ancora il cardine di ognivalore educativo con una scuola sana,pronta al suo alto compito pedagogico. Cisi dimentica che quando veniamo al mondosiamo posti di fronte ad una duplice op-

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zione: vivere la vita o essere vissuti dallavita. La stragrande maggioranza degli uo-mini opta per la seconda soluzione chesulla carta, è molto più comoda, anche seforiera di tante possibilisventure; li deresponsa-bilizza, toglie loro il le-gittimo esercizio dellibero arbitrio, impedi-sce loro di pensare, diriflettere.

Pochi scelgono sinda tenera età di viverela vita, di essere cioèsoggetti protagonistidella propria e della al-trui storia personale.Con la forza del deside-rio, della volontà, essisono costruttori di unmondo alternativo e migliore, mirati comesono, all’edificazione del grande tempiodell’umanità.

Direbbe il Vangelo: “La messe è moltama gli operai sono pochi”. È proprio così.Ma, fatta la diagnosi, sconfortante ai giorninostri, è opportuno procedere all’analisidelle cause. Se questo mondo va male ciò sideve all’assoluto disaccordo sui valori pos-sibili. È un fatto acclarato che non si tro-vano più di due, tre persone che intendanole stesse parole allo stesso modo. È come undialogo fra sordi, o addirittura fra ciechi.

La situazione è stata aggravata dalcrollo, anche ideale, delle istituzioni scola-stiche. Dove sono finiti gli educatori di untempo? Chi sa dire alcunché di correttosulla semantica che fondamentalmente è lascienza che studia e che svela il significato

originario delle parole? E veniamo alpunto: in verità non ci possono essere va-lori condivisi senza significati condivisi, ildisaccordo è destinato a trasformarsi in lite

o in contenzioso, nellamigliore delle ipotesi.

È ben curioso rile-vare come persinonelle società iniziatichededite all’esoterismocostruttivo, risulti as-sente qualsiasi rifles-sione su un grandemito costruttivo, che siammanta di rilevantivalenze simboliche. Sitratta del mito dellaTorre di Babele. La sto-ria e l’archeologia ciraccontano di tante di

queste torri, la cui funzione originaria eraquella di riavvicinare il piano terrestre aquello celeste, di riaccostare l’umano al di-vino. Si chiamavano ziqqurat, da un radicesumera zakr-, “alto”, “elevato”. La più ce-lebre di esse si chiamava Dur-anki, “legamefra cielo e terra”. Alla sommità di questetorri si svolgeva annualmente lo ierosgamos, il connubbio sacro fra il re e la re-gina o fra il suo delegato, il gran sacerdote,con la grande sacerdotessa di Ishtar. L’ac-coppiamento avrebbe dovuto garantire ilmantenimento dell’ordine cosmico, il ri-torno delle messi con un buon raccolto ingrado di soddisfare le esigenze di tutta lasocietà del tempo.

Narra il mito, illustrato dall’Antico Te-stamento, che un re malvagio, Nemrod, co-struendo la sua ziqqurat, abbia voluto farla

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• 67 •La confusione delle lingue, B. Parodi di Belsito

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ordinario sviluppo dell’emisfero sinistrovotato alla fredda razionalità, alla ragioneormai avulsa dal mythos.

Da qui la parabola checi ha condotti all’incom-prensione degli auten-tici significati delleparole disseminate fratanti idiomi diversi. Èforse questa una plausi-bile chiave di lettura checi rende conto della tra-gedia del mondo, cheoggi sembra aver toc-cato il fondo, o – se sipreferisce – il Kali Yuga

degli indù, ovvero l’etàplumbea del ferro di esiodea memoria.

E tuttavia non bisogna essere pessimistioltre misura, poiché da ogni discesa prestoo tardi ha inizio una risalita con una nuovaetà dell’oro, ovvero il Satya Yuga, rieditaetà dell’Essere.

Se i nostri governanti, detentori dellesorti del mondo, saranno sufficientementeilluminati, presto o tardi sapranno arre-stare il corso degli eventi ponendo infine lepremesse per la tanto agognata pace uni-versale in cui, unica protagonista sarà lacultura, cioè l’autentica spiritualità. E tut-tavia sorge spontanea una considerazione:in realtà il mondo è un solo paese e noitutti siamo, o dovremmo sentirci, fratelliautentici, dal comune destino di nascita,crescita e morte.

così alta da sfidare il cielo, l’Onnipotente.Per l’esecuzione dell’opera, fu impiegataun’inaudita quantità di manovalanza, conmigliaia di operai,scalpellini e squadredi architetti. Il Crea-tore ne fu molto col-pito e decise dipunire in modoesemplare l’arro-ganza (precorritricedella greca ybris), delsovrano mesopota-mico. Come? Cre-ando la confusionedelle lingue; noncomprendendosi più,l’uno con l’altro, tutti gli operai fuggironocome impazziti, in tutte le direzioni. Lostesso re non riuscì a capire più nulla delleparole pronunziate dai suoi più fidi colla-boratori.

Fu un vero disastro ontologico. Fino adallora tutta l’umanità si era espressa nellamedesima lingua originaria, la quale, comevuole la Tradizione, consentiva di com-prendere perfettamente, la lingua degli uc-celli, di tutte le fiere e di captare i ritmidell’armonia delle sfere celesti. Fu in quelmomento che l’emisfero destro del cervelloumano, naturalmente predisposto all’in-tuizione, alla memorizzazione del cantodegli aedi, iniziò il declino verso una pro-gressiva ed inarrestabile atrofia che oggi ègiunta al culmine contrariamente allo stra-

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non lineare: è, appunto, il tempo delsacro. Del tutto diverso da quello della vitaquotidiana. Non ha nulla a che vedere conil concetto di durata, esso è impregnato dipotenza; costituisce, per dirla con MirceaEliade, una cratofania, apparizione dellafoza o piuttosto una ierofania cioè, una“manifestazione del sacro”.

È bene ricordare che le società tradi-zionali rifuggono dalla storia ed attuano ilprincipio della circolarità in ossequio almito dell’eterno ritorno.

È singolare dover constatare come inmolte cicostanze gli antichi abbiano pre-corso, con il pensiero mitopoietico, veritàpoi accertate dalla scienza positiva.

Se templum e tempus, come ha ben visto

NNNNel 1898 il celebre filologo tede-sco Hermann Usener scrisse unfamoso libro, Die Götternamen, (I

nomi degli Dei). Nell’opera, sull’onda delleintuizioni di Max Müller, lo studioso tede-sco sostenne una precisa corrispondenzafra le divinità ed i loro nomi. E, per primo,sottolineò la stretta affinità fra templum etempus, il tempio ed il tempo. L’associa-zione non è affatto peregrina: come giànel greco témenos, anche il latino templum(da una radice indoeuropea TEM-), da cuiil verbo temno, “tagliare”) allude ad unaporzione di spazio consacrato, saturo delsacro, e dunque ritualizzato.Non diversa-mente, ancora oggi nel lessico esoterico,anche il tempo è considerato eterogeneo e

The Author proposes his last meditations about “Time and Temple”, “Sound andLight”, considered as esoteric couples.

IIll TTeemmppiioo:: ll’’uullttiimmoo sseeggrreettoo

di BBeenntt PPaarrooddii ddii BBeellssiittoo

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mento opportuno, il kairos, aiòn (da cui il la-tino aevum) il tempo assoluto, dell’eternità.

Tutti distinti da peculiaridifferenze sostanziali.

Anche oggi, nell’ela-borazione filosofica, sipotrebbero consideraretre tipologie: il tempo co-smogonico, cioè della pa-rola, il tempo degli Dei, iltempo degli uomini(quello attuale), in cui èevidente la successivafrantumazione, il pro-gressivo indebolimento

ontologico.Ma il tempio per gli antichi Egiziani, in-

teso come una “centrale energetica”, na-sconde ben altre sorprese. Come è statodimostrato dagli studi del grande etno-mu-sicologo tedesco Marius Schneider, tuttal’architettura sacra è musica solidificata.Ogni costruzione è suscettibile di esseretradotta in uno spartito. In Le pietre cantanoSchneider racconta come gli sia stato pos-sibile, durante un viaggio in Spagna, con-vertire un chiostro della Catalogna in uncanto gregoriano. La tesi non è del tutto ri-voluzionaria, essa era già adombrata nellacomplessa teoria dell’antica schola pitago-rica, nell’idea dell’armonia delle sfere.

V’è un preciso nesso fra la dimensioneluminosa e quella acustica; non a caso insanscrito, la lingua degli antichi indù,“luce” e “suono” si pronunciano quasi allostesso modo: svar- e svara-. Tutto ciò è statoverificato dalla nuova fisica. Nell’universotutto vibra, dovremmo immaginare ilmondo come una grande ragnatela, un

Usener, sono così strettamente associati,non si può non pensare alla celebre teoriadella Relativitàstabilita da Al-bert Einstein.Non vi è diffe-renza tra iltempo e lo spa-zio, che assiemealla causalità co-stituiscono lecategorie, i pre-dicati sommi,del mondo deifenomeni. Lungidall’essere realtàdifferenti, in realtà essi sono la medesimacosa: il continuum spazio-temporale. Ne di-scendono possibili implicazioni filosofichedi stimolante rilievo. È ben noto come lospazio, per effetto della gravità, tenda in-variabilmente ad incurvarsi. Tutti i corpicelesti hanno, difatti, forma sferoidale. Ed èben noto come nel linguaggio simbolico delmito la sfera sia considerata la creaturaperfetta. Spazio e tempo fanno tutt’uno,come si può presumere che anche il tempotende ad incurvarsi, ipotesi che ci di-schiude inquietanti scenari? Il tempo curvopotrebbe consentirci interessanti viaggi aritroso e nel futuro. È l’antica idea del-l’abolizione rituale della storia, intesa comegravosa e insopportabile concezione delladurata che logora ogni esistente.

Anche per il greco temenos si applicanole considerazioni già formulate per il latinotemplum, dunque per l’italiano tempio. Nelpensiero ellenico si ha una precisa riparti-zione: il tempo ordinario chronos, il mo-

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• 71 •Il Tempio: l’ultimo segreto, B. Parodi di Belsito

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Tutta l’architettura tradizionale è, dun-que, in strettissimo rapporto essenziale

con la musica, a condi-zione che l’edificio tem-plare sia perfettamenteorientato, sul modellotracciato dalle culturepreclassiche, verso l’Est,là dove sorge il Sole.Così è stato, salvo rareeccezioni, sino alla finedel XIV sec.

Non altrettanto po-trebbe dirsi di quasitutta l’architettura mo-derna, la quale è sì, con-vertibile in notemusicali, ma certo deltutto stonate e disarmo-

niche, tale, in definitiva, è il segreto deltempio, archetipo dell’umana trascen-denza, inesauribile pulsione verticale chelibera l’uomo dai suoi lacci terreni e lo pro-ietta verso le alte sfere, verso il suo destinoche lo ha voluto creato ad immagine e so-miglianza del Creatore.

È il relativo che si india nell’assoluto,poiché l’Assoluto, per definizione, implicala somma totale di tutti gli aspetti relatividella realtà.

Siamo come le foglie di un unico, im-menso, albero le cui radici sono saldamentepiantate nel più alto dei cieli.

campo di forze. La forma, intesa nel sensoelementare di aspetto, è sempre rispostaalla frequenza. A secondadelle oscillazioni, qual-siasi oggetto è costrettoad una mutazione. Cosìoggi sappiamo che ilsuono è luce non ancorapercepibile e che la luce,caratterizzata da una vi-brazione molto più ampiaè suono non più udibile.

Nel precorrimento mi-tico del pensiero greco,una sola parola designa alcontempo, la dimensioneestetica luminosa e quellaacustica, sonora: ghélos,“riso”, “sorriso”. Nelquinto libro della sua celebre Biblioteca,Diodoro Siculo (I sec. a.C.) ricorda come De-metra, epifania della grande Madre medi-terranea, abbia creato il mondo con la forzadel suo “riso”, “sorriso”. Si tratta di una va-riante fondamentale dell’antichissimo mitodemetriaco. Diversamente che nella Greciacontinentale, quello siciliano allude ad unaesclusiva cosmogenesi partenogenetica,cioè senza il concorso maschile. Al paridella giapponese Amaterasu, la dea-Soleantenata mitica del Tenno, l’imperatorenipponico, la donna, per così dire, fa tuttoda sé.

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AA cchhii iinntteerreessssaa llaa vveerriittàà??

di SSaallvvaattoorree SSaannssoonneeAvvocato penalista

The polemical debate that occurred between Immanuel Kant and Benjamin Constantabout truth and lie presents us with a tantalizing observation: truth seems to be nomore on the spiritual agenda of our society..

CCCCi sono temi confrontandosi suiquali non solo si partecipa alla co-mune riflessione di quanto la no-

stra società e la nostra sensibilità siano piùo meno cresciute, ma si produce una pro-iezione sostanziale dello specchio deitempi: dei princìpi validi e condivisi, del si-stema dei valori in auge. Si pensi per esem-pio al dibattito sui temi dell’eutanasia, deltestamento biologico, dei matrimoni gay,dell’effetto serra, etc.

Allo stesso tempo accade però di ren-dersi conto di quanto improponibili, per-ché “obsolete”, siano invece le riflessionisu argomenti che la società ha inconsape-volmente “metabolizzato” nel senso non

solo di non sentirne utile dibatterne ma dipiù: di essere divenuta sostanzialmente in-differente alla disamina (!).

È il caso della verità!A chi interessa oggi distinguere tra vero

e falso? Esiste oggi il problema della verità?Un breve testo: È lecito mentire?, a cura

di Cyril Morana (Ed. Archinto, 2009), pro-pone una fascinosa riflessione su una fa-mosa e blasonata disputa, proprio sullaverità, tra protagonisti del Romanticismo :il grande filosofo tedesco Immanuel Kant eil tribuno francese Benjamin Constant.

Nel rispolverare la coinvolgente e, perme, stimolante disputa filosofico-morale,sono stato attento a non rinunziare ad una

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contestualizzazione, cercando di rintrac-ciare spunti di relazione che consentisseroriferimenti con il nostromodo attuale di pensare,di sentire e di affrontarei problemi.

La riflessione pur-troppo conduce ad unasostanziale delusione.

Nel 1797 il trentenneBenjamin Constant scriveun breve trattato dal ti-tolo Delle reazioni politiche.Tra i vari argomenti Con-stant, molto vicino a Ma-dame de Staël, affrontaanche il tema della men-zogna. Da uomo del suotempo, intellettuale di-silluso e brillante, Con-stant sostiene che iprincìpi universali, perché possano trovaremodo di essere utilizzati in concreto, de-vono fondarsi su princípi intermedi, capacidi adattarli, mitigando il loro connaturatorigore formale, alle necessità del concreto.Constant parla in difesa dei principi fonda-mentali, ovvero regole etiche e sociali asso-lutamente giuste e imprescindibili (si pensial principio d’eguaglianza).

Tutti hanno in odio i princípi: gli uni per-chè li considerano portatori dei mali del pas-sato, gli altri perché vi scorgono le cause delmoltiplicarsi delle difficoltà attuali.

Contrapponendosi alle strumentaliz-zazioni politiche tese a minare i temitradizionali sul valore dei princìpi (assiomi

metafisicamente veri, politicamente pos-sono essere falsi), Constant propone una

lettura personale.

Molto spesso infatti iprincipi risultano inappli-cabili alle circostanze, maciò non significa che sianoingiusti. Ogni principionecessita di un principiointermedio che lo rendaadatto alla situazione.Ecco un esempio:

Che nessun uomo possaessere vincolato da leggiche egli stesso non abbiacontribuito a istituire,costituisce un principiouniversale ugualmentevero in tutte le epoche e in

ogni circostanza. In unasocietà molto ristretta questo principio puòtrovare immediata applicazione e non ne-cessita di principi intermedi per entrarenella consuetudine. Ma in una combinazionediversa, in una società molto numerosa, alprincipio che abbiamo appena citato occorreaggiungerne un altro, un principio interme-dio. Questo principio intermedio è che gli in-dividui possono concorrere alla formazionedelle leggi sia in prima persona, sia attra-verso i propri rappresentanti. Chiunque vo-lesse applicare il primo principio a unasocietà numerosa, senza rifarsi al principiointermedio, finirebbe inevitabilmente persovvertirla: e tuttavia tale sovvertimento,pur attestando l’ignoranza e l’inettitudinedel legislatore, non proverebbe nulla controil principio”.

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Costant, impegnato nella formulazionedi tesi politico-morali tese alla fondazionedi uno stato moderno,aveva ogni interesse apreservare nella novitàdella sua proposta, il va-lore insostituibile deiprincípi contro cui intanti si schieravano nellamalintesa idea di un rin-novamento di cui si sa-rebbe potuto fare ameno.

Constant affronta cosìanche il tema della men-zogna: la verità, sostiene,è un principio fondamen-tale, ma assunto in modoincondizionato e isolatorenderebbe impossibileogni forma di società.

La prova a riguardo ciè fornita dalle immedi-ate conseguenze che unfilosofo tedesco [Immanuel Kant] ha trattoda questo principio, arrivando a sostenereche la menzogna detta a un assassino che cichiedesse se un nostro amico, che egli staseguendo, non sia rifugiato in casa nostra,sarebbe un crimine.

Constant, senza nominarlo si riferiscepolemicamente a Kant: dire la verità è undovere, ma rispettarlo sempre, senza me-diazioni, è assurdo. Qual è dunque il prin-cipio intermedio che rende applicabilequello fondamentale della verità?

Dire la verità è un dovere, ma solo nei con-fronti di chi ha diritto alla verità. Ora, nes-

suno ha diritto a una veritàche nuoce ad altri. Ecco, amio avviso, come il princi-pio sia divenuto applicabile.

Ne nacque una dottae celebre controversiache contrappose Con-stant a Immanuel Kant,sviluppatasi proprio sul-l’enunciazione dell’im-perativo categorico delfilosofo prussiano.

Il filosofo tedesco co-nobbe le tesi di Constantattraverso la traduzioneavvenuta in più fascicolipubblicati su una rivistatedesca Frankreich im Jahr- 1797, curata da K.F. Cra-mer e rispose anche conun suo scritto: Sopra un

preteso diritto di mentire per amore dell’uma-nità, 1797.

Per Kant il dovere morale, dipendentedalla ragion pratica, ci impone di dire ilvero ad ogni costo. Nella sua distinzione traazione per dovere ed azione conforme aldovere: è la ragion pratica che concepisce edetta ciò che si deve fare. Ogni considera-zione esterna alla ragion pratica svuote-rebbe l’azione della sua purezza morale.

Il dovere morale ci impone di evitare lamenzogna in ogni caso, anche se a fin dibene.

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Costant, dal canto suo, testimone del-l’esperienza sanguinosa della RivoluzioneFrancese, attenua il rigore kantiano ecce-pendo che un principio morale che obbligaa dire in assoluto la ve-rità, renderebbe co-munque impossibileuna pacifica convi-venza sociale. Infatti,se è vero che Dire la ve-rità è un dovere, eglispiega che ciò può va-lere solo quale risultatodi un’equa e bilanciatacontemperazione di di-ritti e doveri.

Dove non ci sono di-ritti non ci sono do-veri. Dunque dire laverità è un dovere solo verso quelli chehanno diritto alla verità. Ma non ha dirittoalla verità chi nuoce agli altri.

Sul piano teoretico il sarcasmo kan-tiano, tagliente e distaccato, liquidò leobiezioni di Constant con poche e misurateparole (non solo in Sopra un preteso diritto dimentire per amore dell’umanità, ma già nellapiù celebre Metafisica dei Costumi: Essere sin-ceri è anche un dovere verso se stessi), proprioperché in un sistema di imperativi catego-rici finalizzati al bene superiore della li-bertà, ogni relativismo ipotetico (ti rendo laverità se ne hai diritto) contamina in radicel’obbedienza al verbo della legge morale.

Con la sua Critica alla ragion pura Kant –com’è noto – costruì un perfetto sistemamorale. Il motto il cielo stellato sopra di me e

la legge morale in me che poi divenne l’epi-taffio vergato sulla sua tomba, ci riempieancora l’animo di ammirazione e di rive-renza ma, indubbiamente, le obiezioni di

Constant richiamano aduna visione praticadell’esistenza diretta adelineare un nuovo pro-getto socio-istituzionaledei rapporti e delle vi-sioni.

Dispute epocali chearricchivano il movi-mentato dibattito cultu-rale di quei tempi intrisidi romantico impegno.

Pagine straordinariee dense che sollevanouna questione irrisolta

invero da millenni: giàAgostino aveva scritto il De mendacio, dovedistingueva e catalogava le bugie, mentresette secoli prima di lui, Eubulide di Mileto(ripreso da Aristotele) elaborò il “Sofismadel mentitore”. Che, nella prima formula-zione, suonava così:

Se menti dicendo di mentire, nello stessotempo menti e dici la verità.

Temi ripresi dai logici del Novecento.Ma quanto sono lontane da noi queste

dispute …Torno così alla premessa della inevita-

bile delusione. La sensazione è che oggi non si riesca o

forse non si avverta, per indifferenza, la ne-cessità di distinguere tra verità e menzo-gna o anche tra realtà e finzione.

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L’affermazione della verità non inte-ressa più. Il suo senso è come evaporato,come accade alle parole chedefiniscono la menzogna.Questa dovrebbe essereuna anomalia – una tra-sgressione alle regole – maaccade sempre più spessoche l’anomalia si trasforminella norma, nella consue-tudine. Se tutti mentonosenza sentirsi in colpa esenza temerne le conse-guenze, svanisce il con-cetto stesso di menzognaper trasformarsi in unmodo come in un altro diesercitare la propria libertàdi parola (!?). La facilità e larapidità con la quale una qualsiasi voce ofandonia si diffonde su internet e in tutti isiti del social networking, oppure venga di-storta attraverso improprie amplificazionimediatiche (si pensi al degenerato costumedei processi televisivi) rende pressoché im-possibile il compito di bloccare le notiziefalse e di mettere fine alla disinformazionee alla menzogna.

Oggi la verità quindi non esiste …, op-pure non interessa a nessuno!

In un’era in cui i media sono talmentediversificati e pertanto capacissimi di con-trollare e stabilire la verità, la distinzionetra vero e falso appare ogni giorno più of-fuscata, smarrita. Conoscere o dire la veritàdiventa sempre più irrilevante. Dopo tuttose la verità e la menzogna vengono postesullo stesso piano e la verità non conta piùniente, diventiamo indifferenti alla verità.

Una diffusa e assurda disponibilità a re-lativizzare tutto; a concedere spazi e repli-

che, a proporre tesi tra le piùinsostenibili, toglie forzaed importanza alla veritàche assume una endemicaprecarietà che svuota ognicosa di significato.

Prendiamo, per tutti e avalor di metafora, il temagiudiziario dei processi.

C’era un tempo in cuidai processi, celebrati solonelle aule di giustizia, ilfatto da giudicare anche sein qualche modo spettaco-larizzato dalle attenzioni edalle emozioni pubbliche,

usciva comunque con un ri-sultato definitivo che ne segnava la con-clusione: era quello un modo perconquistare una verità! Non mancavano dicerto le contrapposizioni. Le opinioni siscontravano, ma tutto aveva una sua finalecomposizione.

Oggi non è più così. Niente si conclude,tutto rimane precariamente appeso ad unapolemica infinita nella quale ognuno mettetutto e il suo contrario. Sempre in temaprocessuale assistiamo ad un fenomeno de-generato che evoca teoremi, cavillismi ecapziosità irrisolte e irrisolvibili, ricostru-zioni impossibili (Cogne, Garlasco, Perugiaetc.) che non consentono mai punti di ar-rivo definitivi.

Ma non eravamo ormai padroni di tec-niche e risorse tecnologiche raffinatissime,capaci di svelare l’impossibile?

NULLA è più certo! Tutto è discutibile e

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Riferimenti bibliografici

Kant, E. (1785) Fondazione della metafisica dei costumi.Constant, B. (1796) Reazioni Politiche.Kant, E. (1797) Sopra un preteso diritto di mentire per amore dell’umanità.Kant, E. (1797) Metafisica dei Costumi: Essere sinceri è anche un dovere verso se stessi.È lecito mentire ?, a cura di Cyril Morana, 2009.

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Gran parte dei mali del nostrotempo sono riconducibili alla crisidel linguaggio, che ha portato,paradossalmente, al linguaggiodella crisi […]

Il nostro modo di espri-merci, di comunicare non sifonda su robuste basi di co-mune sensibilità e la confusaapprossimazione del signifi-cato che assegniamo allepoche parole (nel numero me-diamente sempre le stesse)

che usiamo, concorre alla diffusione di que-sto processo di deriva, dove l’indifferenzaè lo sconfortante approdo finale.

Le parole dei nostri discorsi, la forza delloro senso, del loro significato non sono glistessi, ma cambiano da individuo ad indi-viduo e tutto si complica terribilmente.

In questo quadro si ripropone appuntola delusione, ritengo diffusa, di quanti,seppur affascinati dal confronto delle tesidi Kant e Constant nel loro valore di meta-fora, sentono evaporare la forza delle ideee dei princípi in un sistema che non più ca-pace di comunicarli e valorizzarli.

contestabile e nel confronto strumentale,ciò che rimane è il conflitto: la verità noninteressa a nessuno. Nonci sono cose giuste ecose sbagliate; bene emale; morale e immo-rale; solo una grandeconfusione nella qualeparadossalmente nel-l’indifferenza totale tro-vano dignità le tesi e icomportamenti più de-precabili. Chi subiscel’ingiustizia finisce peressere meno apprezzatodi chi la infligge, anziquest’ultimo arriva afare della sua condizione immorale e de-precabile il proprio punto di forza (!). Sic-chè il valore non è più quello della verità,che non interessa a nessuno, ma è lo scon-tro, la polemica: desta impressione il tonodelle parole, non più il loro significato, ilcontenuto dei discorsi. Si punta anche lì al-l’immagine e alla curiosità che si riesce aprocurare o a produrre.

La riflessione coinvolge anche il pro-blema del linguaggio, come osservava ilcaro Bent Parodi in uno dei suoi sempreprofondi contributi di riflessione (L’inizia-zione alla conoscenza tradizionale, Hiram

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fonde conoscenze nel campo della paleon-tologia e della anatomia comparata, Era-smus aveva accarezzato l’idea che lacompetizione e la selezione sessuale avreb-bero potuto essere alla base dei cambia-menti della specie: i più forti ed i più attivitra i maschi sarebbero stati dunque nellacondizione di propagare la specie che ver-rebbe, in questo modo, adeguatamente in-crementata. Nella sua autobiografia,Charles ricorda Zoonomia e le “opinionianaloghe” a quelle di Lamarck: anche se,“rileggendola dopo dieci o quindici anni”si dichiara “assai deluso […] tanto grandeera il campo lasciato alla speculazione inproporzione ai fatti forniti.”1

Darwin e la Massoneria

NNNNon c’è alcuna prova che dimostril’appartenenza di Darwin allaMassoneria, anche se, in casa,

non doveva essere affatto ignota la “di-mensione latomistica”. Aveva infatti cal-cato il pavimento a scacchi il nonno delgrande naturalista, Erasmus Darwin, me-dico e scienziato, autore di un testo Zoono-mia, ovvero le leggi della vita organica, cheprecede molte delle teorie di Lamarck e,appunto, del suo più celebre nipote, Char-les. In particolare, attraverso l’osserva-zione del comportamento degli animalidomestici e della natura, e grazie alle pro-

There is no proof whatsoever that Darwin was a Mason, although his grandfatherErasmus certainly was. It is also a known fact that his wife Emma was a member ofthe Unitarian Church, which denied the principle of the trinity, while the greatnaturalist, who launched the great era of scientific study of man and his originswith the theory of evolution, always considered himself an agnostic. Today,Darwin’s theories, formerly opposed by the Catholic Church as well as otherChristian faiths, which declared the concept of creationism “anti-scientific”, seemto be the object of a different sort of attention, as evidenced by the recentpronouncement by Pope Benedict XVI who, with reference to the ideas of theevolutionist scientist and Jesuit Pierre Teilhard de Chardin – once reprimanded bythe Holy Office -, spoke of “great vision.”

EEllooggiioo ddii DDaarrwwiinn

di VViinniicciioo SSeerriinnooUniversità di Siena

1 Darwin, 2009: 1334.

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Erasmus risulta iniziato alla “St. David’sLodge” No. 36, Edinburgh e Maestro Vene-rabile nella “Lodge of Can-nongate Kilwinning”, No.2, of Scotland. Anche unodei suoi figli, Francis, ap-partenne alla schiera deiLiberi Muratori, segnoche “certe idee” nonerano affatto estraneealla famiglia, probabil-mente, neppure al piùnoto Charles che, comun-que, ostentò sempre unatteggiamento di tipoagnostico. Per altro suamoglie – e cugina –Emma Wedgwood si rico-nosceva nelle credenzedel cosiddetto Unitariani-smo, o gruppo degli Unita-riani, Cristiani sostenitori della idea di unaunica Persona divina e quindi negatori delprincipio – tipico del Cattolicesimo - dellaTrinità, con conseguente esclusione dellanatura divina di Cristo e dello SpiritoSanto.

Gli Unitariani giunsero ad Emma, nellaloro versione illuministica, attraverso per-sonaggi come James Martineau, filosofo eteologo, fondatore della Free ChristianUnion oltre che sostenitore di posizionispiritualiste: Dio è “inteso”, appunto daMartineau, “come principio spirituale dellacausalità cosmica ma anche come vita e

amore immediatamente percepiti e parte-cipati dalla coscienza umana”.2 Allo stesso

Darwin, per quanto su po-sizioni molto diverse,non era affatto ignoto il“mondo unitariano” ele concezioni espresseda Martineau che, inqualche modo, non par-rebbero distanti daquelle oggi sostenutedai teorici del c.d. “Di-segno intelligente”.Unadella correnti di pen-siero, questa, tra le piùaborrite dai darwinisticontemporanei, se-condo la quale il pro-cesso che regolal’universo e le cose vi-

venti sarebbe spiegabile,anziché col ricorso al caso, come ipotizzaappunto Darwin, attraverso una causa in-telligente, “moderna” applicazione dellaidea di Dio per spiegare che la naturamuove verso un fine preordinato da qual-che misterioso artefice.3

È per altro singolare che alla base delmovimento Unitariano si ritrovino le ideedei riformatori religiosi, di ascendenza se-nese, Lelio e Fausto Socini, attivi nel XVIsecolo, che esaltavano – in coerenza con lapropria concezione antitrinitaria – l’uma-nità di Cristo, negando il peccato originaleed affermando il libero arbitrio, per di più

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2 L’Universale Garzanti, Filosofia, voce J. Martineau, Milano 2003.3 Cfr. Behe 2007.

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accompagnato dalla libertà di coscienza.Temi percepiti in maniera così radicale,quelli tipici del sociniane-simo, da indurre alcuni(ingenui) cronisti otto-centeschi a considerarei due grandi teologicome i fondatori dellamoderna Libera Mura-toria.

Scetticismo ingleseCerto dunque, anche

se Darwin non apparte-neva alla schiera deiFigli della Vedova, nondovevano mancare, nel-l’ambito delle sue frequentazioni, familiarie non, suggestioni indotte dalla sua natu-rale curiosità. “Fin dalla giovanissima età”,dichiara, “ho provato il desiderio fortis-simo di capire e spiegare tutto ciò che os-servavo, cioè di raggruppare i fatti sottoleggi generali”, non disdegnando una giu-sta – quanto basta – dose di sano scettici-smo4. Interessante questa chiamata incausa dello Scetticismo. L’Inghilterra, conDavid Hume, era stata uno dei luoghi di dif-fusione dello scetticismo: si deve proprioad Hume, che non solo si dichiarava pirro-niano – Pirrone era, come è noto, uno deipadri nobili della skepsis greca – la tesi dellaconoscenza, acquisibile solo attraversol’esperienza, come semplicemente proba-bile, e comunque mai vera in assoluto. Il ra-

gionamento che Hume svolgeva a sostegnodi queste posizioni era (relativamente)

semplice: cose e fatti sononoti all’uomo solo at-traverso l’esperienza,giacchè la ragione dasola non è in grado difarlo. Poiché per altrol’esperienza può ope-rare solo sul presente,in quanto appunto laconoscenza si fondasolo sullo “sperimen-tato”, l’uomo non è ingrado di prevedere se,data una certa causa,

seguirà sempre e comun-que un dato effetto. “In una parola, dun-que, ogni effetto è un fatto distinto dallasua causa. Non potrebbe, dunque venir sco-perto nella causa e la prima invenzione oconcezione di esso, a priori, deve risultaredel tutto arbitraria. Anche dopo esserestato suggerito, la congiunzione dell’effettocon la causa apparirà egualmente arbitra-ria, perché ci sono sempre molti altri effettiche alla ragione appariranno egualmentedel tutto coerenti e naturali. Invano, dun-que, pretenderemo di determinare qualchesingolo fatto, o di inferire qualche causa oqualche effetto, senza l’aiuto dell’osserva-zione e dell’esperienza.”5

Forse sta proprio qui uno dei fonda-mentali punti di riferimento di Darwin,nella sua ferma volontà di indagare, verifi-

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4 Darwin, 2009: 1363.5 Hume, Ricerca sull’intelletto umano, 1978: 44.

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care, senza stancarsi mai, consapevole, ap-punto, del fatto che solo attraverso l’espe-rienza era possibile pervenire allaconoscenza. Favorì senz’al-tro questa intima convin-zione la lettura, avvenutaa bordo del Beagle, deiPrincipi di Geologia, opera diCharles Lyell, pubblicataproprio tra il 1830 ed il1833. Il concetto di par-tenza di Lyell era moltosemplice: proprio dalla os-servazione della realtà èfacile constatare come ilpianeta non si sia modifi-cato per effetto di eventitraumatici quali catastrofio diluvi, ma attraverso pro-cessi, molto lenti, di deposizione e di ero-sione. Una catena infinita di questi eventi –ai quali vanno aggiunti eruzioni vulcanichee terremoti – ha comportato, sosteneva ap-punto Lyell, cambiamenti continui, chehanno modificato notevolmente, in untempo straordinariamente lungo, il voltodella terra. Tale teoria, nota come attuali-smo – proprio perché incentrata sul lentoprocesso di modificazione prodotto daforze diverse – metteva in dubbio fonda-mentali posizioni contenute nella Bibbia,in particolare del Genesi, sia con riferi-mento alla avvenuta creazione in sei giornisia, appunto, con riferimento all’effetto de-vastante e dissolvente del Diluvio Univer-

sale. Questo libro che, come ha scrittoF.Hoyle “aveva gettato nel dubbio i primicapitoli del Vecchio Testamento”6, apriva

così la strada a Darwin ed al-l’evoluzionismo proprio at-traverso l’idea dei lunghicambiamenti conosciuti dallaterra in un tempo sterminato.

L’opzione scettica di Dar-win, la sua continua, inde-fessa ricerca, che denota unapersonalità forte, tutt’altroche disponibile – come delresto emerge più volte nellasua vita di scienziato – ad ac-cogliere sic et simpliciter leidee altrui, la si ritroverà intutta la sua opera ed, in par-

ticolare, in quelli che, ad avvisodi chi scrive, costituiscono i pilastri dellasua elaborazione teorica.

La non immutabilità della specieIl primo di questi pilastri consiste nella

negazione della concezione, fortemente ra-dicata grazie anche alla diffusione ed allapopolarità del messaggio biblico, della im-mutabilità della specie, e questo propriosulla scia delle tesi espresse proprio daLyell. Le specie non sono, per Darwin, en-tità immutabili ma, al contrario, “le speciedei generi più grandi in ogni singolo paesevariano più frequentemente delle speciedei generi più piccoli”.7 In quella parola, va-riazione, c’è gran parte delle novità propo-

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6 Hoyle, 1984: 32.7 Darwin, 1980: 125.

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ste da Darwin - agli inizi della sua ricercaprobabilmente influenzato anche daglistudi di Erasmus – e dellasua condizione di stu-dioso che non si espri-meva né sulla base diindiscusse autorità delpassato – come , appunto,la Bibbia – né rifacendosiad una relazione tracausa ed effetto cono-sciuta direttamente apriori, attraverso il ri-corso alla ragione, ma at-tingendo in primo luogoalle proprie osservazioniempiriche. Il termine ge-nere a cui fa riferimentoDarwin va definito comeil raggruppamento dispecie affini, monofiletico,ossia riconducibile ad uno stesso progeni-tore: la specie Equus caballus, ad esempio, èriconducibile al genere Equus che com-prende anche l’Equus asinus e l’Equus zebra.

Queste “specie più fiorenti o dominantidei generi più grandi […] sono quelle cheproducono in media il più grande numerodi varietà […]”. E queste varietà “tendono adivenire specie nuove e distinte” così come“le forme di vita attualmente dominantimanifestano la tendenza a dominare sem-pre più, lasciando molti discendenti a lorovolta modificati e dominanti.”8

È evidente che queste affermazionicontrastano, obiettivamente, con il rac-

conto biblico della Creazione.Come è noto esistono duedistinte versioni di questoracconto. La prima, appar-tenente alla tradizione sa-cerdotale, è quella che,partendo dal caos primige-nio, descrive di come, in seigiorni, l’Eterno creò il cieloe la terra; quindi la luce; epoi il firmamento e leacque; e poi ancora la terraarida ed i mari; quindil’erba verdeggiante e lepiante; dopo i luminari delcielo, il sole, la luna e lestelle; al quinto giorno i ret-tili, gli uccelli ed i pesci; in-

fine, al sesto, le fiere e glianimali domestici e l’uomo, maschio efemmina, a sua immagine.9

La seconda versione, più antica, riferi-bile alla cosiddetta tradizione jahvista èpiù stringata: parla semplicemente dellacreazione del cielo e della terra ad operadel “Signore Iddio” e racconta di unafonte che, in vece dell’acqua celeste, in-naffiava tutta la superficie della terra. Inquesto luogo (?) Dio “dunque formòl’uomo di fango della terra, e gli inspiròin faccia un soffio di vita: e l’uomo fu fattoanima vivente.”10

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8 Darwin, 1980: 129.9 Genesi, I, 1-27.

10 Genesi, II, 4-7.

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In ambedue le versioni, comunque,tutto discende da un atto di creazione,quindi dalla espressione della volontà (mi-steriosa) di Dio. Èvero, per altro, chenon si tratta di unacreazione ex nihilo,giacchè esistono già,prima dell’inter-vento divino, terra,tenebra ed acque co-smiche – appunto ilcaos primigenio - manon vi è comunquedubbio che l’Eterno,che appare esistenteab immemorabili, creal’uomo con un pro-prio atto di volontà.Nella versione cosiddetta jahvista il pro-cesso avviene attraverso la manipolazionedel fango, analogamente ad esempio, aquanto riportato nel Poema babilonesedella creazione Enûma Elish dove Ea, signoredelle acque profonde, mischia il sangue deldio ribelle del fuoco Kingu all’argilla, cre-ando così l’uomo, fatto per lavorare al ser-vizio degli dei supremi.

In tutti questi miti l’uomo nasce già tale,perfettamente formato, così come, d’altraparte, Michelangelo rappresentò la suaCreazione nella Cappella Sistina: la specieumana è quella, è data, è fissa. È impensa-bile, come invece avrebbe successivamentedimostrato la scienza, che un processo “divariazione” possa riguardarlo. Con Darwin

tutto cambia, il cosiddetto fissismo vienemeno, di fronte alla teoria della evoluzione.

Darwin non era comunque contrario,per questo, alla religione:avrebbe, per altro, assuntonegli anni un atteggiamentoagnostico – molto simile a tantiliberi pensatori del suo tempo– che aveva cominciato a ma-turare sul Beagle quando, no-nostante la lettura della Bibbia,aveva iniziato a constatare chele cose stavano molto diversa-mente da come venivano pre-sentate nel testo sacro. Sì che,nella sua Introduzione a L’ori-gine della specie, si dichiarò “fer-mamente convinto che le

specie non sono immutabili: che,anzi, quelle che appartengono ad unostesso genere sono le dirette discendenti dialtre specie, oggi generalmente estinte,così come quelle che riconosciamo comevarietà di una qualsiasi specie sono discen-denti di quelle specie.”11

Queste affermazioni di Darwin apri-ranno il lungo confronto con le Chiese, ivicompresa l’Anglicana e, al tempo stesso, at-tireranno su di lui i consensi di tanti liberipensatori, non sempre perfettamente a co-noscenza dei contenuti del lavoro delgrande scienziato ma perfettamente con-sapevoli della loro portata innovatrice pro-prio con riferimento alla autorità delracconto biblico della Creazione e, quindi,degli insegnamenti cristiani.

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11 Darwin, 2009: 82.

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La costante gradualità del processo evo-lutivo

Darwin ha un altro merito,rilevante non solo sul pianoscientifico, ma anche moltoapprezzato in ambito libero-muratorio. Comprese, in-fatti, che l’evoluzione era unprocesso continuo, conco-mitante con l’origine stessadella terra: questo processoquindi non riguardava sologli esseri viventi ma, addi-rittura, era iniziato con latrasformazione fisica delpianeta. Induceva in talmodo ad un’idea di cambia-mento continuo che, dicerto, non stonava con quantisostenevano l’idea di una umanità liberadall’oscurantismo religioso in marcia versoun inarrestabile progresso.

Anche in questo caso l’evoluzionismonon si accordava a quanto era riportatosulla Bibbia, o meglio alla interpretazioneche della Bibbia se ne dava. All’epoca di Dar-win molti erano convinti che, giusti i cal-coli effettuati nel XVII secolodall’arcivescovo anglicano James Ussher,l’Eterno avrebbe creato il mondo al tra-monto, il 23 ottobre del 4004 a.C., secondoil calendario Giuliano. Per la precisione sisarebbe trattato di una domenica.12 Il buonarcivescovo determinava al contempo la

durata complessiva dell’universo in 6000anni, ossia i 4000 precedenti l’avvento del

Cristo ed i 2000 seguenti: iltutto in analogia col rac-conto della Creazione cheaveva fissato in sei giorni laGrande Opera del Divino Ar-tefice, sulla base della frasedi Pietro per cui, “dinanzi aDio un giorno è come milleanni, e mille anni come ungiorno.”13

È curioso rilevare come,sostanzialmente, con una(tollerabile) differenza diappena quattro anni questadatazione fosse stata as-sunta proprio dalla Masso-

neria speculativa, apparsa inInghilterra nel 1717, tanto che, già nelleCostituzioni di Anderson del 1723 si parladi Anno di Vera Luce e tutt’ora è in usonelle varie obbedienza, calcolare l’anno“legale” con l’aumento di 4000 anni. Peraltro alcune Logge più “precise”, partonoproprio dal 4004, tanto che, ad esempio,l’anno 2009 diventa, col criterio della “VeraLuce”, il 601314.

È evidente che, in raffronto alle esi-genze che proponeva la teoria dell’evolu-zione, la durata “ufficiale” del mondo erasemplicemente risibile. I metodi di calcolodella età della terra cambiarono col fisicoinglese W. Thomson, poi Lord Kelvin, che

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12 Ussher 1722.13 II Lettera di S. Pietro, 3,8.14 Stolper 1978.

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formulò una ipotesi basata su di una sem-plicissima deduzione: il calore raggianteche oggi emana la terra non è altro chel’avanzo della im-mensa energiasprigionata dallaoriginale palla difuoco. In questomodo era possibilecalcolare l’età delpianeta fissandolatra 20 e 100 milionidi anni. Tanti,certo, molti di piùdi quelli ipotizzatidall’arcivescovoUssher, ma ancoratroppo pochi pergiustificare i tempilunghissimi richie-sti dal processoevolutivo.

Darwin non poteva per altro immagi-nare che, di lì a poco, anche Lord Kelvin sa-rebbe stato smentito. Infatti, nel 1896,Henri Becquerel scopriva, per la primavolta, la proprietà dei sali di uranio diemettere radiazioni in grado di impressio-nare lastre fotografiche. Due anni dopo,Marie e Pierre Curie, scoprivano proprietàanaloghe nel polonio e nel radio, coniando,per definire quella singolare forza irra-diante, il termine radioattività. Questa sco-perta avrebbe finito per mettere in crisi lacostruzione di Thomson fondata sulla con-

vinzione che il calore disperso dalla Terrafosse quello originario della formazione:ora invece veniva dimostrato che “la pro-

duzione di calore generata daldecadimento radioattivo dielementi instabili come l’ura-nio aveva rallentato il raf-freddamento del pianeta”,15 equindi si creavano i presup-posti per ridatare l’età dellaterra. La radioattività, dun-que, apriva nuove strade –impensabili per Thomson - esarebbe stata così in grado diattribuire alle rocce untempo di poco meno di cin-que miliardi di anni, in analo-gia a quella degli altri corpidel sistema solare. In questomodo veniva corroborata la

teoria darwiniana che abbiso-gnava di un tempo molto più lungo diquello individuato da Thomson – tecnica-mente un “tempo profondo” – il solo ca-pace di “giustificare la lenta diversifi-cazione della specie”.16 Giacchè i dati dellapaleontologia richiedono che l’evoluzionesi svolga proprio in un “tempo profondo”:““Il tempo profondo è come un infinito cor-ridoio buio, senza alcun segno che marchiuna scala di riferimento. Il buio di tanto intanto è rotto da un raggio di luce prove-niente da una porta aperta. Osservando inquelle stanze illuminate vediamo un qua-dro di volti sconosciuti del lontano passato,

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15 Pievani, 2006: 18.16 Pievani, 2006: 17.

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ma non siamo in grado di collegare la scenache abbiamo di fronte con quella che ab-biamo incontratonelle altre stanzedel corridoio o conquella del nostrotempo. Il tempoprofondo è fram-mentario, qualcosadi qualitativa-mente diverso dal-l’arazzo di tempo anodi fini che ci èdato nella nostraesperienza di ognig i o r n o .Possiamo pensare aun fossile come a un evento del tempo pro-fondo. Confrontato con l’immensità deltempo nel quale viene ritrovato, un fossileè un punto con estensione nulla: o esiste onon esiste. Di per sé, un fossile è un segnodi interpunzione, un’interiezione, ancheun’esclamazione, ma non è una parola nétanto meno una frase, per non dire un’in-tera storia. I fossili sono i quadri illuminatida quegli sporadici sprazzi di luce che pun-teggiano il corridoio del tempo profondo.Non è possibile collegarne uno al succes-sivo in una forma narrata.”17

La ineluttabilità della legge dell’evolu-zione trova poi una straordinaria corri-spondenza nel pensiero del filosofo inglese,contemporaneo di Darwin, H. Spencer cheintende l’evoluzione stessa come una legge

generale regolante l’andamento di tuttol’universo, e non solo, quindi, valida per la

biologia e la fisica.Anche la società,ossia la dimen-sione del consorzioumano, soggiaceallo stesso princi-pio, giacchè, ap-punto, “[…] non visono parecchiespecie di evolu-zione aventi certicaratteri in co-mune, ma un’unicaevoluzione cheovunque procede

allo stesso modo.”18 Il passaggio dall’inde-terminato al determinato, dall’omogeneoall’eterogeneo comporta, nella dimensionedella socialità – e quindi anche della poli-tica – un processo di determinazione daforme inferiori a forme superiori. Il cheineluttabilmente conduce, sostiene ap-punto Spencer, alla formazione di societàavanzate, caratterizzate da una capillaresuddivisione del lavoro con una conse-guente specializzazione dei ruoli che, ele-vando la produttività del sistema econo-mico, dovrebbe assicurare ai propri mem-bri il massimo del benessere. Posizioni,queste, che incontravano l’adesione dellecorrenti democratiche interne alla Masso-neria: in Italia, ad esempio, gli ambienti le-gati al mazzinianesino si riconoscevano in

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17 Gee, H. (2006) Tempo profondo. Antenati, fossili, pietre, Torino.18 Spencer, H. (1921) Primi principi, a cura di G. Salvadori, Torino, p. 408.

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questa idea della “metamorfosi” – comeebbe a definirla uno dei campioni del re-pubblicanesimo militante, Ettore Socci –operante non solo sulla materia, ma anchesul pensiero degliuomini. Un pen-siero che, gradual-mente, avrebbeliberato l’umanitàdai tre grandimalfattori evocatida Mozart nel suoFlauto Magico:l’ignoranza, il fa-natismo e la super-stizione.

La lotta per l’esistenzaL’idea che la realtà si esprima attraverso

continui cambiamenti, un “divenire”, se-condo gli insegnamenti di Eraclito e del suo“tutto scorre”, trova conferma nella darwi-niana lotta per l’esistenza, una vera e pro-pria competizione che coinvolge non sologli individui della stessa specie, ma anchequelli con condizioni di vita simili. “Noicontempliamo il volto della natura splen-dente di felicità, e notiamo sovente una so-vrabbondanza di cibo; ma non vediamo […]che gli uccelli che cantano oziosamente in-torno a noi si nutrono in massima parted’insetti o di semi, distruggendo così, con-tinuamente, la vita; o dimentichiamo inche misura questi cantori, o le loro uova, oi loro piccoli sono distrutti da uccelli o ani-

mali da preda, e non sempre ricordiamoche, anche se talvolta c’è sovrabbondanzadi cibo, ciò non avviene in tutte le stagionidell’anno.”19

La lotta per l’esi-stenza risulta dun-que inevitabile dalmomento “che tuttigli esseri viventi ten-dono a moltiplicarsiin successione geo-metrica, che cia-scuno deve lottareper l’esistenza e su-

bire grandi distruzioni,in determinati periodi della vita, in deter-minate stagioni dell’anno, nel corso di ognigenerazione o a intervalli periodici”. Incaso contrario, “secondo il principio del-l’aumento in progressione geometrica i […]discendenti diverrebbero così straordina-riamente numerosi che nessun paese po-trebbe bastare al loro sostentamento.Quindi, poiché nascono più individui diquanti ne potrebbero sopravvivere, devenecessariamente esistere una lotta perl’esistenza, fra gli individui della stessa spe-cie, fra quelli di specie diverse, e di tutti gliindividui contro le condizioni fisiche dellavita”.20

Si trattava dell’applicazione praticadelle teorie espresse dal pastore prote-stante Thomas Robert Malthus nel Saggiosul principio di popolazione pubblicato nel1798. Malthus sosteneva che l’incremento

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19 Darwin, 2009: 131-132.20 Darwin, 2009: 132-133.

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demografico avrebbe spinto a coltivareterre che, per lo sfruttamento, sarebberodiventate sempre meno fertili con conse-guente penuria di generi disussistenza e bloccodello sviluppo econo-mico, per la tendenzadella popolazione a cre-scere più velocementedella disponibilità deglialimenti.21 In coerenzacon questa teoria e dallasua osservazione dellanatura, Darwin rilevavache “ogni essere viventetende sempre al mas-simo accrescimento nu-merico” e che “ gravidistruzioni colpisconoinevitabilmente giovani e vecchi, sia du-rante la generazione, sia a intervalli pe-riodi”, pena, nel caso di “allentamento” diquesti freni, l’accrescimento senza misuradegli individui, quasi istantaneamente22,con tutte le conseguenze che, appunto,aveva rappresentato Malthus.

La lotta per l’esistenza non costituisce,per altro, solo uno stato di conflittualitàperenne determinato dalla (relativa) scar-sità delle risorse alimentari a disposizione.È qualche cosa di più complesso in quantoquesta espressione viene usata “in senso

lato e metaforico”, in modo da implicare“la reciproca dipendenza degli esseri vi-venti” e […] “cosa ancora più importante,

non solo la vita dell’in-dividuo ma il fatto cheesso riesca a lasciarediscendenza.”23

La lotta per l’esi-stenza “sarà in generepiù aspra” tra indivi-dui che appartengonoalla stessa specie che“hanno general-mente, ma non inva-riabilmente, abitudinie costituzioni moltosimili e presentanosomiglianze struttu-

rali […]“.24 Essa, inol-tre, proprio perché inscindibilmenteconnessa alla condizione dei viventi, rendecomunque naturale la morte, oltre che“sani e felici” “gli individui che sopravvi-vono e si moltiplicano.”25

La lotta per l’esistenza di Darwin tro-verà una sorta di corrispondenza nel pen-siero di K. Marx e, più in generale, delmovimento socialista dell’epoca: ad esem-pio in Italia Enrico Ferri, nel suo Socialismoe Scienza positiva (Darwin, Spencer, Marx), in-dividuava nel darwinismo una sorta di pre-messa del socialismo scientifico. Anzitutto

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21 Malthus, T.R. (1978) Saggio sul principio di popolazione, Torino.22 Darwin, 2009: 135.23 Darwin, 2009: 132.24 Darwin, 2009: 143.25 Darwin, 2009: 145.

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per la sostituzione del concetto di causalitànaturale a quello del miracolo e dell’inter-vento divino; quindi per ildiverso modo di inten-dere l’individuo innanzialla specie; infine, ap-punto, per la evidentecorrelazione tra la lottaper la vita di ascen-denza darwiniana equella di classe soste-nuta da Marx.26

È facile capire comeproprio quest’ultimoaspetto ebbe a far presasu tanti liberi muratori,in Italia soprattuttodopo l’ondata reaziona-ria del 1898 quando,come scrive A. Mola, “lelogge erano state l’ultimo ricetto dei socia-listi non meno che di radicali, anarchici, re-pubblicani”, mentre “l’umanitarismointernazionalista, il pragmatismo progres-sista”, compresa ovviamente la compo-nente darwiniana, “il filantropismo laicoavevano fatto breccia in quanto rimanevadell’identificazione del progresso con la ‘ri-voluzione’, previo sterminio del nemico diclasse.”27 Come è per altro noto di lì a poco,ossia nell’aprile del 1914, la XIV assiste delPartito Socialista avrebbe votato l’ordinedel giorno Zibordi-Mussolini che decretava

l’incompatibilità, con espulsione, tra socia-lismo italico e libera muratoria.

La selezione naturaleSicuramente della teo-

ria di Darwin l’aspetto piùrappresentativo – e quindipiù noto, sia pure, moltospesso, attraverso impre-cise volgarizzazioni – èquello della selezione na-turale, o sopravvivenza delpiù adatto. Nella elabora-zione di questo concettoDarwin al solito si richiamaalla esperienza, alla osser-vazione, alla verifica fat-tuale. “Se in condizionimutevoli di vita gli esseri

viventi presentano differenzeindividuali in quasi ogni parte della lorostruttura, e ciò non è discutibile; se a ca-gione del loro aumento numerico in pro-gressione geometrica si determina unasevera lotta per la vita in qualche età, sta-gione o anno, e ciò certamente non può es-sere discusso; allora, considerando lainfinita complessità delle relazioni di tuttigli esseri viventi fra di loro e con le lorocondizioni di vita, la quale fa sì che un’infi-nita diversità di struttura, costituzioni eabitudini, sia per essi vantaggiosa, sarebbeun fatto quanto mai straordinario che non

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26 Ferri, E. (1894) Socialismo e Scienza positiva (Darwin, Spencer e Marx), Roma, pp. 58 e segg.27 Mola, A.A. (1992) Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano, p. 362.

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avessero mai avuto luogo variazioni utili albenessere di ogni singolo individuo, allostesso modo in cui hannoavuto luogo tante va-riazioni utili all’uomo.Ma se mai si verificanovariazioni utili ad unqualsiasi essere vi-vente, sicuramente gliindividui così caratte-rizzati avranno le mi-gliori probabilità diconservarsi nella lottaper la vita; e per il saldoprincipio dell’eredità,essi tenderanno a pro-durre discendenti ana-l o g a m e n t ecaratterizzati. Questoprincipio della conser-vazione o sopravvivenzadel più adatto, l’ho denominato selezionenaturale28 . D’altra parte, “le variazioni chenon sono né utili né nocive non saranno in-fluenzate dalla selezione naturale, e rimar-ranno allo stato di elementi fluttuanti,come si può osservare in certe specie poli-morfe, o infine, si fisseranno, per cause di-pendenti dalla natura dell’organismo e daquella delle condizioni.”29

Ovviamente molta acqua è passata sottoi ponti della scienza dopo Darwin, soprat-tutto in virtù dei progressi condotti da unadisciplina, la genetica, ufficialmente nataad opera del biologo W. Bateson solo nel

1905, anche se, già nel corso del XIX secolo,aveva trovato un suo padre nobile nel mo-

naco ceco Johan Gregor Men-del. Le teoriesull’ereditarietà espresse daMendel nel Saggio sugli ibridivegetali del 1866, ignoratesino agli inizi del XX secolo,divergevano da quelle diDarwin che sosteneva, in-vece – affermazione pura-mente teorica, noncorroborata da alcuna provaconcreta – la teoria dellapangenesi. In base allaquale, appunto, le cellule egli organi di ogni viventeproducevano delle minia-ture di se, denominate gem-mule che sarebbero state in

grado di trasmettere allaprole i caratteri acquisiti in vita dall’orga-nismo stesso. Proprio Mendel mise in crisiquesta teoria attraverso i suoi celebri espe-rimenti incrociando piante di piselli concaratteri diversi. Venne scoperta, in questomodo, la c.d legge della dominanza, inforza della quale, a differenza di quantoaveva ipotizzato Darwin, gli esemplari ge-nerati dall’incrocio tra due ceppi puri e chedifferiscono per una coppia di fattori, ma-nifestano uno solo dei due fattori, appuntoil fattore dominante. Questo significa che,in ogni caso, nella generazione successivauno dei caratteri antagonisti non si mani-

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28 Darwin, 2009: 193.29 Darwin, 2009: 147.

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festa mai nel fenotipo, ossia nell’insiemedei caratteri fisici di un individuo determi-nati sia dal patrimonio genetico che dal-l’azione dell’ambiente. Mendel provòaltresì che, incrociandotra loro individui gene-rati col primo incrocio, siproducevano, nella ge-nerazione seguente,esemplari che “recupe-ravano” il fattore perso,solo “oscurato” dal fat-tore dominante.

Da qui sarebbe ini-ziata la grande ed emo-zionante avventura dellagenetica, “congruente” ocomplementare, ap-punto, alle posizione diDarwin sulle mutazioniereditarie. Sì che, come osserva T. Pievani,uno dei più entusiasti – e chiari – illustra-tori ed interpeti di Darwin, “oggi noi di-ciamo che in una popolazione alcuniorganismi nascono con mutazioni eredita-bili che permettono loro di sopravviveremeglio e quindi di riprodursi con più fre-quenza e facilità… Questi organismi fini-scono per contribuire alla generazionesuccessiva con una prole numerosa ed es-sendo i loro attributi ereditabili questi ten-deranno a diffondersi sempre più nella lorodiscendenza.” In tal modo “più alta è l’ere-ditabilità di un tratto, maggiore sarà la suarisposta alla selezione. Le varianti geneti-che associate a tratti più adattivi aumente-

ranno la loro frequenza nella popolazione,la cui composizione andrà modificandosinel tempo,” mentre “le varianti svantag-giose tenderanno” anche se non necessa-

riamente del tutto, “ascomparire”.30

Nonostante Mendel,anzi proprio grazie a lui,dunque, l’impianto dar-winiano, fondato su va-riazione, eredità eselezione resta ancora inpiedi, essenziale per com-prendere ed interpretare,scientificamente, le ori-gini e gli sviluppi (preve-dibili) della vita.

Proprio in questo,nella sua rivedibilità ed

integrabilità, nella sua“laicità” sta la grandezza della teoria del-l’evoluzione: c’è molto dello spirito masso-nico dietro alle ipotesi formulate, semprecon straordinaria prudenza e grande ri-spetto, oltre che sulla base di attente – edoneste – osservazioni, da parte di Darwin.Soprattutto non c’è alcuna volontà di addi-venire ad una assoluta (ed improbabile) ve-rità perché, come si chiese l’anticoprocuratore romano di Giudea avanti alqual venne portato, umiliato e deriso, Gesùdi Nazareth, che cosa è la verità? La gran-dezza del darwinismo e, appunto, l’appealche esercita ancora oggi tra cercatori di ve-rità che lavorano senza sosta al bene dellaUmanità, oltre che per la Gloria del Grande

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30 Pievani, 2006: 58.

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Architetto, sta esattamente in questo. Lascienza – e non solo quella dell’uomo – è ildivenire della scienza. La verità è inaffer-rabile e l’uomo chemuove alla sua (dispe-rata) ricerca non puòche avvicinarvisi acca-tastando, passo dopopasso, il frutto delleproprie faticose con-quiste: il suo patrimo-nio di conoscenze è,come quello dei capi-tali finanziari, peren-nemente mobile sì che,per dirla con C. Levi-Strauss, “lo scienziatonon è l’uomo che forni-sce le vere risposte; è quello che pone levere domande.”

La potenza del casoInfine va ascritto a Darwin il merito di

aver introdotto “la teoria delle variazionifortuite”, per cui “ i caratteri di una specievariano per l’insorgere casuale di diffe-renze negli individui […]” E “sono appuntotali differenze che soggiacciono al verdettodell’ambiente […]” In questo modo vieneintrodotto il concetto di “caso”, “intesonon come disordine, ma come azione mec-canica delle circostanze e del tempo”, eli-minando così “ogni concezione finalisticae soprannaturale dei fenomeni biologici”.31

Per Darwin, dunque, le variazioni favorite

dalle condizioni ambientali e in grado disoppiantare le vecchie caratteristiche“compaiono a caso, cioè in seguito a varia-

zioni casuali prodottesispontaneamente nelpatrimonio geneticodi singoli individui”.Mentre per il naturali-sta J. B. Lamarck, suoquasi contemporaneo,gli organismi viventinon sarebbero altroche il prodotto di unprocesso graduale diadattamento degli in-dividui all’ambiente.

La differenza è fon-damentale: nella teoria

di Lamarck le nuove caratteristiche biolo-giche ci sono solo se apparse nei genitori;in Darwin invece “queste caratteristichenuove compaiono all’improvviso, dettateda alterazioni casuali del patrimonio gene-tico degli individui stessi.” È dunque il casoe solo il caso, non già l’intervento di un di-vino artefice, “che propone i nuovi variantied è solo su quegli individui varianti che ef-fettivamente compaiono nelle varie popo-lazioni che può intervenire la selezionenaturale operata sull’ambiente”. In parolepovere se “la selezione naturale è la lima ola carta vetrata dell’evoluzione […] il pro-getto, lo sbozzo e il prototipo sono prodottidel caso”, di qualcosa di assolutamentenon-intenzionale.32

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31 L’Universale Garzanti, Filosofia, voce Darwinismo, op. cit.32 Boncinelli, 2006: 10-11.

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È sicuramente questo uno degli aspettipiù ostici del darwinismo: come è possibileche dall’azione del caso sisiano potuti produrredegli autentici “pro-digi” della naturacome, ad esempio,quello relativo alla evo-luzione dell’occhio chetanto affascinava lostesso Darwin? Par-rebbe proprio “as-surdo” , ammettevaappunto Darwin, vistala sua straordinariacomplessità, “supporreche l’occhio con tutti isuoi inimitabili conge-gni per l’aggiusta-mento del fuoco adifferenti distanze, peril passaggio di diversequantità di luce, e per lacorrezione della aberrazione sferica e cro-matica, possa essersi formato per evolu-zione naturale […]”.33

Eppure sta qui la grandezza – e l’onestà– di questo pensiero: il caso non è il caos in-forme ed incomprensibile. È, forse, comeaffermava J. Monod, “libertà assoluta macieca, alla radice stessa del prodigioso edi-ficio dell’evoluzione” ed ancora, specie gra-zie alla genetica, la sola ipotesi concepibile“in quanto è l’unica compatibile con la re-altà quale ce la mostrano l’osservazione el’esperienza.” Tanto che, in chiusura del

suo celebre Il caso e la necessità, lo stessoMonod sottolineava che “l’uomo sa di es-

sere solo nell’immensità in-differente dell’Universoda cui è emerso per caso”e che “il suo dovere, comeil suo destino, non èscritto in nessun luogo.Giacchè compete “a lui lascelta tra il Regno e le te-nebre.”34

Oppure va chiamata incausa una delle tante(possibili) manifestazionidel GADU, alla maniera incui la intendeva LeoneXIII, nell’Enciclica Huma-num Genus? Quando(aprile del 1884), solenne-mente, dichiarava che“supremo intendimentodei Frammassoni esser

questo: distruggere da capoa fondo tutto l’ordine religioso e sociale,qual fu creato dal Cristianesimo, e pi-gliando fondamenti e nome dal Naturali-smo, rifarlo a loro senno di pianta”.Aggiungendo quindi: “Ora fondamentaleprincipio dei Naturalisti, come il nomestesso lo dice, egli è la sovranità e il magi-stero assoluto dell’umana natura e del-l’umana ragione. Quindi dei doveri versoIddio o poco si curano, o mal ne sentono.Negano affatto la divina rivelazione; nonammettono dogmi, non verità superiori al-l’intelligenza umana, non maestro alcuno,

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33 Darwin, 2009: 238-239.34 Monod, 1970: 143.

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a cui si abbia per l’autorità dell’officio dacredere in coscienza. E poiché è privilegiosingolare e unicamente proprio dellaChiesa cattolica il posse-dere nella sua pienezza, econservare nella sua inte-grità il deposito delle dot-trine divinamenterivelate, l’autorità del ma-gistero, e i mezzi sopran-naturali dell’eternasalute, somma contro dilei è la rabbia e l’accani-mento dei nemici. Peressi, al di fuori di quelloche la ragione umana è ingrado di comprendere,non esiste alcun dogmareligioso, nè alcun maestro,nella parola del quale si debba avere fedein nome del suo mandante ufficiale.”

ConcludendoPiù chiaro di così … Allora, se la Libera

Muratoria si riconosce, come sostenevaLeone XIII, nel “Naturalismo” si può alloraconvenire con il biologo e genetista E. Bon-cinelli quando dichiara che “la natura nonragiona col nostro cervello”. Perchè nes-suno degli organismi viventi è stato pro-gettato, mentre quelli “che osserviamooggi sono […] il risultato della sedimenta-zione e della stratificazione di un succe-dersi affannoso e disordinato di eventievolutivi sostanzialmente arbitrari […]”Alla base di tutto questo si scontrano dueopposte istanze:” “la necessità di conser-vazione di un certo numero di organismi

capaci di sopravvivere e la creazione disempre nuove varietà biologiche originatedalla sistematica comparsa di errori nella

replicazione del patrimo-nio genetico.”35 Insommail cuore stesso della teo-ria darwiniana, aderendoalla quale non è possi-bile, almeno allo stato at-tuale, comprendere sec’è e nella affermativa incosa consista un “dise-gno” della natura. Al-meno per il momento… Ilmassone che lavora per ilbene dell’Umanità deveessere consapevole chel’evoluzione significa

tutto questo.D’altra parte, nell’ambito della Chiesa

Romana qualcosa, forse, sta cambiando se,in un recentissimo discorso aostano, Be-nedetto XVI ha rammentato, davvero deltutto inopinatamente, la “grande visione”che ha avuto Teilhard de Chardin, antro-pologo, paleontologo, “fisico nel senso deigreci”, come si definiva lui stesso, già notocome il gesuita proibito per aver cercatodi conciliare Darwin al Cattolicesimo.

“Alla fine avremo una vera liturgia co-smica, e il cosmo diventerà ostia vivente”ha detto il Papa, rifacendosi appunto a S.Paolo e, almeno un pochino, a Teilhard.Vedremo: i tempi della Chiesa, si sa, sonolunghi e, d’altra parte, come si dice, le viedella Provvidenza, ovviamente per chi cicrede, infinite, oltre che assolutamentesconosciute.

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35 Boncinelli, 2006: 179.

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Bibliografia

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voll. III, Padova.Darwin, C. (2009) Autobiografia, sta in Darwin. L’origine della specie, L’origine dell’uomo e altri

scritti sull’evoluzione, Milano.Darwin, C. (1980) L’origine della specie, Torino.Enciclica Humanum Genus (20 aprile 1884) Lettera enciclica ai venerabili fratelli patriarchi,

primati, arcivescovi, vescovi e agli altri ordinari aventi con l’apostolica sede pace e co-munione: “Condanna del relativismo filosofico e morale della Massoneria”.

Hoyle, F. (2984) L’universo intelligente, Milano.Hume, D. (1978) Ricerca sull’intelletto umano, in Ricerche sull’intelletto umano e sui principi della

morale, Bari.L’Universale Garzanti, Filosofia, voce Darwinismo, Milano 2003.L’Universale Garzanti, Filosofia, voce J. Martineau, Milano 2003.Monod, J. (1970) Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea,

Milano.Pievani, T. (2006) La teoria dell’evoluzione, Bologna.Stolper, E. (1978) Il calendario massonico, in Rivista massonica 1978/9.Ussher, J. (1722) Annales Veteris Testamenti, a prima mundi origine deducti, Genevae.

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Dan Brown ha fatto di nuovo centro. Preceduto da una cam-pagna mediatica di proporzioni mai viste, Il simbolo perduto siè rivelato fin dai primi giorni un successo planetario, bru-ciando in poco tempo, nei soli Stati Uniti, la tiratura inizialedi 6,5 milioni di copie.Al centro della storia è ancora una volta Robert Langdon, ilprofessore di Simbologia dell’Università di Harvard già pro-tagonista del Codice da Vinci e di Angeli & Demoni, qui alle presecon una vicenda di misteri, complotti e folli criminali legata alla Massoneria. DanBrown guida i lettori in una frenetica corsa contro il tempo lungo le strade di unaWashington mai così inquietante. Nei sotterranei del Campidoglio americano e dello Smithsonian Institution, Langdonscopre un labirinto di tunnel, stanze segrete, laboratori avveniristici, biblioteche gi-gantesche, cripte, codici antichi e simboli arcani, e si scontra con le forze oscure chesi celano nel cuore del potere americano. La posta in gioco è il possesso di una verità millenaria in grado di sconvolgere il fu-turo dell’umanità.Agilmente strutturato in voci disposte in ordine alfabetico, Dietro Il simbolo perduto èuno strumento imperdibile per chiunque voglia investigare sui tanti misteri evocatidalla trama e capire che cosa si nasconde al di sotto della finzione letteraria. In che misura il romanzo di Dan Brown è storicamente degno di fede e dove invece al-tera i fatti a vantaggio del racconto? Che cosa c’è di vero, o di verosimile, nei fatti nar-rati dallo scrittore americano? Il suo è solo un romanzo o c’è qualcosa di molto serioe di molto importante che si affaccia dalle sue pagine?Questo libro si propone di eliminare ogni equivoco.

Segnalazioni editoriali

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TTIIMM CCOOLLLLIINNSSDietro il simbolo perduto. Guida non autorizzata a fatti, personaggi emisteri del romanzo di Dan Brown.Edizioni L’Età dell’Acquario, Torino, 2009, pp. 224, € 9,80

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RROOBBEERRTTOO FFOONNTTAANNAAGuida per viaggiatori nella Terra di MezzoEdizioni L’Età dell’Acquario, Collana Uomini, storia e misteri, Torino, 2010, pp. 340, € 24,00

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CCHHRRIISSTTIIAANN JJAACCQQIl messaggio dei costruttori di cattedraliEdizioni L’Età dell’Acquario, Collana Uomini, storia e misteri, Torino, 2009, pp. 230, € 18,50

Le cattedrali medievali sparse per l’Europa sono uno dei te-sori più preziosi che i nostri antenati ci abbiano lasciato ineredità. Anche l’osservatore meno attento prova un’intensaemozione quando si trova di fronte a una di esse. Facciate,campanili, sculture, capitelli, vetrate, chiostri testimonianodi un’epoca nella quale l’uomo raggiunse uno dei punti piùalti della sua parabola. Della loro costruzione conosciamo in

genere molti dettagli, e così delle successive vicende di cui sono state protagoniste.Eppure, scrive Christian Jacq, conosciamo poco il loro significato più autentico. Il no-stro tempo dominato dal razionalismo e dall’individualismo confina questi capola-vori in una dimensione esclusivamente artistica e storica. Eppure essi parlano all’uomo a un livello assai più profondo perché racchiudono mi-steri e contengono simboli legati all’essenza stessa della vita spirituale. Le cattedraligotiche sono scrigni di Saggezza, centri di quel sapere che va oltre i credo e le tradi-zioni e che appartiene a tutto il genere umano. Oscurato dalla civiltà greco-romana,questo patrimonio oggi negletto esprime la straordinaria ricchezza esoterica del-l’Occidente, che trae la propria linfa dalle culture del bacino del Mediterraneo, inprimo luogo dall’Egitto dei Faraoni.Ma chi furono allora i costruttori delle cattedrali? Geniali artisti, abili capimastro, ec-cellenti artigiani? Oppure soprattutto i depositari di una sapienza antica espressa insimboli capaci di attraversare i secoli e le culture, per parlare di Dio a ogni uomo e por-tare a tutti la Conoscenza?

Considerato quindi che i viaggi e le descrizioni paesaggistichee architettoniche fanno già parte del Signore degli Anelli e deglialtri libri, ci si può allora chiedere che bisogno ci fosse di scri-vere una “guida turistica” del mondo di Tolkien… Ebbene, pos-siamo rispondere che, nelle opere del professore di Oxford, ilpaesaggio resta, per così dire, sullo sfondo, una specie di

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enorme palcoscenico sul quale si svolge la trama dell’epopea che egli ci narra: inprimo piano ci sono gli eroi e le loro gesta, mentre il resto è in secondo piano, seppurmagistralmente descritto. Nella nostra Guida per viaggiatori nella Terra di Mezzo abbiamo invece voluto capovolgerequesta situazione: siamo perciò partiti dalla descrizione dei luoghi di particolare in-teresse, ponendo speciale attenzione agli aspetti naturalistici, costruttivi, artistici,mentre le vicende che lì si sono svolte vengono viste in un ottica più lontana, ecod’un passato che ha permeato il suolo stesso di queste contrade. È cioè nostra inten-zione condurre il lettore in un viaggio attraverso le varie regioni di Arda – il mondodi Tolkien – visitandone i punti più caratteristici, le più belle città, i panorami moz-zafiato, i più bei edifici o monumenti, i luoghi dove si sono svolti importanti avveni-menti del passato; vogliamo portare il viaggiatore a navigare nei mari artici cosparsidi mortiferi ghiacci, oppure ad ammirare il tramonto attraverso il velo d’una cascatad’acqua, per poi finire la giornata – più o meno – comodamente seduto al tavolo di unafamiglia hobbit a gustare la ricca e appetitosa cena, stando attento a non battere latesta contro il soffitto.Il nostro viaggio alla scoperta della Terra di Mezzo non sarà però solo spaziale, maanche temporale; nella sua lunga esistenza, il mondo di Tolkien ha subito, come d’al-tronde quello primario su cui viviamo, innumerevoli mutazioni, alcune delle qualianche cataclismiche. In particolare, l’autore stesso distingue tre ere principali – laquarta ha inizio col termine delle vicende narrate nel Signore degli Anelli – ed è proprioin queste tre epoche che la nostra Guida si suddivide. Per ogni era, verrà delineata lageografia generale caratteristica delle terre dello specifico periodo temporale, fa-cendo anche uso di rappresentazioni cartografiche. Per la parte turistica vera e pro-pria, passeremo poi a un esame dei suoi continenti, presentando due tipologie dielementi ricorrenti nelle varie descrizioni: le meraviglie di quell’era, e i percorsi tu-ristici consigliati. Nelle prime, sono stati illustrati i più bei siti o della Terra di Mezzoe delle altre parti di Arda, o rovine di antiche città del passato, descritte com’erano neitempi del loro massimo splendore, non tralasciando gli avvenimenti storici che leavevano viste protagoniste. Gli itinerari turistici ci condurranno invece di luogo inluogo, alla visita di foreste, vette, colli, fiumi, spiagge, praterie, città, porti, villaggi eogni altra meta che possa avere un interesse per un viaggiatore che non tema di ef-fettuare anche lunghi spostamenti, il più delle volte utilizzando il più antico mezzodi trasporto: le proprie gambe. Di tutti i percorsi verranno fornite le lunghezze e itempi di percorrenza stimati; attenzione solo che alcune “passeggiate” possono du-rare anche diversi secoli… [...]

Dall’Introduzione dell’Autore

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DDEEVVOONN SSCCOOTTTTIl cerchio di fuoco. Leggende, folklore e magia dei Celti.Edizioni L’Età dell’Acquario, Collana Uomini, storia e misteri, Torino, 2009, pp. 187, € 14,50

Intorno ai Celti esiste da molti anni un interesse diffuso. Il loromondo affascina per il senso di mistero che trasmette, una pe-culiare miscela di ancestrale e di arcano. Divinità imperscru-tabili, sciamani, druidi, sacerdotesse, fate, elfi, gnomi, draghi,ma anche re, principesse, soldati, poeti realmente esistiti: eccoi protagonisti di un universo che assume spesso i tratti e i co-lori della fiaba.

Ma a spiegare il richiamo esercitato da questa antica civiltà c’è anche la potentesuggestione che sprigiona nei confronti dei tanti che sentono l’esigenza di un ri-torno a una vita più semplice, meno caotica, più appartata e vicina ai ritmi dellaNatura. Di fronte al materialismo e all’individualismo contemporanei, la culturaceltica appare un’alternativa seducente per chiunque sia in cerca di un modello divita improntato alla dimensione dell’essere più che dell’avere, della condivisionepiù che della competizione.Muovendosi tra leggenda e storia, Devon Scott getta uno sguardo insolito, ma rigo-rosamente documentato, su uno dei popoli che maggiormente hanno contribuito allanascita e al progresso dell’Europa. Dalla mitologia alla religione, dalle rune ai mega-liti, dall’astrologia ai riti iniziatici e magici, dalla simbologia vegetale e animale aquella sacra, dalla letteratura alla concezione della famiglia, ogni aspetto della civiltàdei Celti è riproposto e fatto rivivere al lettore, che difficilmente potrà sottrarsi allamalia, sottile e persistente, che proviene da quel tempo incantato.

GGIIUUSSEEPPPPEE PPAAPPAAGGNNIIAlchimie dell’Arte. Nei simboli ermetici tra ceramica, pittura e ar-chitettura.Conte Camillo Edizioni, Lucrezia (PU), 2009, pp. 98, € 18,00

Giuseppe Papagni in quest’opera ricerca le tracce dell’ArsRegia, l’Alchimia, attraverso l’esplorazione di alcune produ-zioni artistiche del passato, dal Cinquecento al Settecento.Pagnini esamina opere di pittura, architettura e ceramica esi sofferma su alcuni autori in particolare: il Parmigianino,

Lorenzo Lotto, Francesco Borromini, Cipriano Piccolpasso e Nicola da Urbino.

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Il libro fornisce, con il supporto di un importante apparato iconografico (oltre 70 il-lustrazioni), stimoli che accompagnano il lettore nell’analisi dei riferimenti delle com-ponenti mistiche e psicologiche che lo circondano nella quotidianità come nelle varieforme di comunicazione.È un viaggio curioso attraverso i simboli presenti nelle opere artistiche che ci per-mette, in modo intelligente, di capire e “attribuire un significato” a forme apparen-temente comuni, come ad esempio la stella, la fiaccola o una figura geometrica.L’Autore ci introduce così in mondi poco conosciuti e affascinanti come la magia, l’al-chimia e, perché no, la Massoneria.

Dalla Prefazione dell’Autore: Dire che viviamo in un mondo di simboli è limitativo, un mondodi essi vive in noi, nel passato come nella nostra contemporaneità. Dagli antichi miti all’attualeregno delle immagini risponde il lucido commento della psicoanalisi attraverso i vari linguaggi[...]. Lo scopo di queste divagazioni è quello di lambire con le ali del sogno e la razionalità dellefonti, alcuni nascosti significati dell’arte e di sollecitare la riscoperta di luoghi magici, allego-rie ermetiche e fantasie infinite per una più intima partecipazione del presente.

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Le profonde trasformazioni culturali, che lo sviluppo tecno-logico ha imposto negli ultimi decenni alle società industrialie postindustriali, costringono a un profondo ripensamentointorno ai princìpi ispiratori e ai modelli concettuali posti allabase del diritto e dello Stato. In particolare, l’ormai impre-scindibile e costante richiamo al fondamento individuale delledemocrazie occidentali, alla non rinunziabile autonomia delsingolo essere umano e al conseguente relativismo valorialeimpone una radicale revisione istituzionale, che non può che prendere le mosse ancheda una rinnovata visione giuridica, sempre più estetica e sempre meno etica.La Sociologia del diritto, in questa sede rivisitata attraverso l’opera di alcuni dei suoiprincipali autori, si presenta come un potente strumento critico, animato dal dub-bio, di trasformazione sociale.

MMOORRRRIISS LL.. GGHHEEZZZZIILa scienza del dubbioEdizioni Mimesis, Milano-Udine, 2009, pp. 406, € 25,00

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AA CCUURRAA DDII TTHHOOMMAASS CCAASSAADDEEII EE SSAAUURROO MMAATTTTAARREELLLLIIIl senso della Repubblica: Schiavitù.Franco Angeli Editore, Milano, 2009, pp. 263, € 22,00

Indagare le forme della schiavitù non è solo una questione dimemoria storica, ma studio di dinamiche economiche, sociali,legislative e culturali che, anche nel presente, si intreccianocon fenomeni contigui quali: discriminazione razziale, prati-che di dominio o di oppressione, processi si supremazia chevanno dal colonialismo all’imposizione di modelli culturali epolitici.

Esaminare la schiavitù “degli antichi”, quella “dei moderni” e “dei contemporanei” si-gnifica descrivere una condizione capace di evolversi nel tempo e di mimetizzarsisotto svariate forme. Resta ineludibile la constatazione che le catene della soggezione,dell’asservimento, dell’intimidazione possono essere visibili o invisibili, ma sono sem-pre catene e come tali vanno spezzate.

Scritti di: R. Caporali, T. Casadei, B. Casalini, P.-A. Chardel, M. Dorigny, S. Fachile, E.Foner, M. Gelardi, C. Margiotta, S. Morgagni, G. Moscati, E. Pérez Alonso, G. Periès, M.Tibon-Cornillot, R. Vecchi, F. Viti.

MMAASSSSIIMMOO TTEEOODDOORRIIContro i clericali. Dal divorzio al testamento biologico, la grande sfidadei laici.Longanesi, Milano, 2009, pp. 266, € 16,00

Dai successi dell’Italia civile degli anni Settanta con il divorzioe l’aborto si è passati oggi all’oscurantismo delle leggi sullaprocreazione assistita e sul testamento biologico. Occorrechiedersi come mai sulle questioni di libertà, sui diritti civilie sui temi bioetici, ogni giorno in Italia si fanno passi indie-tro. Perché dilaga l’influenza clericale proprio quando non esi-ste più la DC, partito unico dei cattolici? Perché gran parte del

ceto politico, soprattutto nel centrodestra ma anche nel centrosinistra, è diventatocosì ossequioso verso la gerarchia ecclesiastica mentre la società si fa più libera eaperta? Contro i clericali narra mezzo secolo di storia italiana individuando le persone,i gruppi e le forze che sono stati i protagonisti, laici e clericali, del conflitto combat-tuto nella società, nella politica e nella legislazione. Senza reticenze e ambiguità si

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indicano nomi e cognomi, si raccontano fatti, misfatti e impensabili voltafaccia, si ci-tano appelli e dichiarazioni, si stabiliscono nessi tra pressioni ecclesiastiche e abdi-cazioni politiche. Con la passione polemica dell’intellettuale liberale e ladocumentazione rigorosa dello storico, Massimo Teodori ripercorre i momenti deci-sivi, battaglia dopo battaglia, della sfida tra laici e clericali, il vero terreno su cui sigioca la presenza dell’Italia tra i Paesi dell’Occidente moderno.

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Un orizzonte popolato dai nostri progetti di vita, dalle nostreutopie, ma anche dalle nostre anticipazioni della felicità:molte sono le figure che caratterizzano l’ideale di una “fiori-tura”, di un’esistenza realizzata in tutte le sue capacità che unessere umano considera degne di attuazione. L’idea di una“buona vita”, di antica ascendenza aristotelica, ma oggi ri-proposto dall’approccio delle capacità in una prospettiva li-berale, ci aiuta a comprendere ciò che ci accomuna tutti ma,insieme, ci fa prendere coscienza del carattere irriducibilmente personale delle scelteche ognuno è chiamato a compiere. Se la categoria di capacità appartiene, per la suaapertura universalistica, a ogni cultura e rinvia, in senso forte, a un’identità di spe-cie, è in grado di salvaguardare nel contempo il valore delle differenze — linguistiche,religiose, culturali, giuridiche — in un mondo globalizzato.“Prendere sul serio le differenze” — a partire da quelle di genere — consente di aprirenuovi percorsi nella bioetica, di ripensare il rapporto tra i “diritti” e la “cura”, di guar-dare al nostro prossimo oltre la prossimità spaziale, temporale e di specie. L’esten-sione delle richieste della giustizia al di là delle frontiere geografiche, delle barrieretra le generazioni e verso gli animali non umani asseconda una spinta etica intrinsecaallo stesso umanesimo e configura il nuovo scenario aperto all’esercizio della nostraragion pratica.

LLUUIISSEELLLLAA BBAATTTTAAGGLLIIAABioetica senza dogmiRubettino Editore, Soveria Mannelli, 2009, pp. 358, € 20,00

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AA CCUURRAA DDII GGIIUUSSEEPPPPEE CCOONNTTIINNIIEELLLLOOGaribaldi. Mille volte, mille vite.AM&D Edizioni, Cagliari, 2010, pp. 197, € 30,00

La consacrazione in mito ha sottratto Garibaldi alla storia, aisuoi strumenti di indagine e alle sue verifiche, trasformandoin verità emozioni o semplici sensazioni.Questo libro raccoglie saggi scritti da giovani ricercatori chescandagliano il Garibaldi vero e umano, superando l’eroe mi-tologico, l’angelo e il santo laico capace di guarire le ferite delRisorgimento.

DDii mmaarree iinn mmaarree,, ddii tteerrrraa iinn tteerrrraa,, ddii ccuuoorree iinn ccuuoorree.. GGiiuusseeppppee GGaarriibbaallddii ee iill NNoorrdd AAffrriiccaa::G. Continiello, Il leone e la mezzaluna. Garibaldi e il MaghrebC. Fois, Ercole tra il Rif e le Colonne. Giuseppe Garibaldi a Tangeri

IIll lliibbrroo ddeeii rriiccoorrddii::C. Scocozza, Il leone e la campana. Giuseppe Garibaldi nei ricordi di Aleksandr HerzenA. Irimiás, Chi ha tempo non aspetti tempo. L’immagine di Garibaldi nel “Times” attraversole corrispondenze di ferdinando ÉberM. Luesu, Lincoln, Garibaldi e la Capanna dello zio Tom

““LLaa ddiivviissiioonnee ddii uunniissccee.. LL’’uunniittàà ccii ddiivviiddee””::G. Borzoni, Giuseppe Garibaldi e la diplomazia italianaC. Rossi, Giuseppe Garibaldi e le diplomazia britannica

TTrraa dduuee cciivviillttàà ee uunn ppiiccccoolloo mmoonnddoo::G. Salice, Bonifica e ripopolamento della Gallura da Rivarolo a GaribaldiR. Tintis, Il tralcio e la vite. Giuseppe Garibaldi viticoltoreI. Cinus, Garibaldi e “il Diritto” in un mondo al rovescioTTrraa ddoonnnnee,, ggoonnnnee,, ddaannnnoo ee mmaaddoonnnnee::F. Falchi, Garibaldi, Mazzini e la questione femminile

DDaagghheerrrroottiippii::M. Deiana, Un garibaldino dell’800: Vincenzo CattabeniN. Gabriele, Dovere e potere. Il ritiro di Vincenzo Brusco Onnis dalla spedizione dei MilleA. Tedde e G. Moro, Tutti per uno, uno per Mille. Angelo Tarantini. Garibaldino

UUnn ppiieeddee,, uunn’’oorrmmaa,, dduuee ssttiivvaallii.. IIll mmiittoo ddii GGiiuusseeppppee GGaarriibbaallddii ttrraa NNoorrdd ee SSuudd::A. Noto, Il mito di Garibaldi nella stampa messineseM. Frongia, L’immagine di Garibaldi nel revisionismo padano

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GGIIOOVVAANNNNII FFAANNTTII EE MMAAUURRIIZZIIOO MMAARRIIGiuseppe Garibaldi a RavennaPrefazione di Sauro MattarelliIn appendice ristampa anastatica del libro di Emilio BiondiIl paggio di Anita Garibaldi (Gaitanê)Cooperativa Pensiero e Azione e Società Conservatrice Capanno Garibaldi, Ravenna, 2009, pp. 79

[...]I frammenti qui raccolti testimoniano del coinvolgimentodi municipi, artisti, intellettuali e di tanta gente comune.Viene descritto il popolo nell’atto di educarsi prendendocoscienza del momento storico che sta vivendo. Non senzalacerazioni e resistenze, questo aspetto finirà per costituire un vero e proprio tenta-tivo di emancipazione sociale dalla condizione di massa anonima.L’epopea di Garibaldi a Ravenna e in Romagna, in diversi momenti storici, soprattuttodal 1848 fino all’Unità d’Italia, esprime quindi il dato certo della forte partecipazionee adesione popolare. Un elemento che, va ribadito al di là delle polemiche antiche orecenti sulla presunta inconsistenza del coinvolgimento delle masse nella temperierisorgimentale, dimostra come Garibaldi, almeno in questa enclave, seppe mobilitarenuove energie e coinvolgere strati di popolazione che fino ad allora erano restatiesclusi. Il mito, gli aloni leggendari, vennero dopo. Il primo impatto fu di trasforma-zione di un mondo segnato da fatiche, malattie, miserie. Certo, non si trattava ancoradi un processo capace di offrire a tutti il senso della cittadinanza, ma sicuramente co-stituiva il modo di uscire dalla letargia indotta dall’analfabetismo, dalla frustrazioneimpotente e dalla solitudine. [...]

Dalla Prefazione di Sauro Mattarelli

L’archetipo mitico, e la costellazione simbolica del “dio deiladri”, risale probabilmente agli albori dell’umanità, alla fi-gura del trickster o “furfante divino”. Con l’avvento delle ci-viltà urbane avremo quindi Hermes ed Ecate per il mondogreco, Laverna e Furina per quello romano, Skanda e Kali perquello indiano, Song Jiang per quello cinese, Fudo per quellogiapponese, e moltre altre divinità o santi patroni della fur-fanteria.

AA CCUURRAA DDII AALLEESSSSAANNDDRROO GGRROOSSSSAATTOOLe vie spirituali dei brigantiEdizioni Medusa, Milano, 2006, pp. 174, € 30,00

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AA CCUURRAA DDII FFRRAANNCCEESSCCOO ZZAAMMBBOONNLa metamorfosiEdizioni Medusa, Milano, 2009, pp. 188, € 32,00

Nelle più antiche tradizioni religiose e mitologiche era radi-cata la convinzione che fra l’uomo e l’animale, fra l’uomo etutti gli altri elementi del cosmo, non vi sia alcuna fratturaontologica che li separi in maniera definitiva: tutte le coseportano la traccia della loro origine comune e sono affratel-late da legami più o meno occulti. Non è affatto esclusa, diconseguenza, la possibilità di transiti da una forma all’altra, di

trasformazioni di un essere in un altro o di ibridazioni ontologiche che fondano inun unico essere nature diverse: labili e in fondo illusori sono i confini fra le cose.

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Il filo conduttore dei diversi contributi che compongono il presente volume, curatoda Alessandro Grossato, è costituito dall’analisi della fenomenologia religiosa di unacategoria certamente anomala di individui e di organizzazioni sempre vissute ai mar-gini delle rispettive società; una fenomenologia spirituale piuttosto complessa, chefino a oggi è stata assai poco documentata, per via della sua indubbia problematicità.Carlo Donà prende in esame il tema della redenzione del brigante nella tradizionenarrativa medievale, partendo dalla figura evangelica di San Disma, il “Buon Ladrone”.Ancora nell’ambito del Medioevo occidentale, Franco Cardini espone il caso oppostoe paradossale del nobile crociato Rinaldo di Châtillon, signore di Transgiordania, cheper poco non fu ricordato come un martire cristiano, pur avendo egli compiuto nu-merose rapine a danno di inermi pellegrini musulmani. Angelo Iacovella descrive al-cune particolari e poco conosciute forme di brigantaggio organizzato nell’Islammedievale. Alessandro Grossato prende invece in esame la via spirituale dei ladri nel-l’Induismo, a partire dalle figure delle loro divinità patrone, fino alla forma estremadei thag, che operano lungo le vie commerciali dell’India fino alla seconda metà delXIX secolo. Attilio Andreini analizza la figura emblematica del bandito cinese Zhi, chealla domanda di un suo compagno “Anche il brigante ha la sua via?”, semplicementerispose: “La via non esiste forse dovunque?”. Infine, Giorgio Arduini traccia un pre-gnante profilo storico e antropologico dell’ambigua organizzazione criminale degliYakuza, dei suoi rituali e delle simbologie, in particolare di quelle connesse alla pra-tica del tatuaggio. Quest’esempio giapponese, forse più di altri, data la sua attualità,dimostra ancor oggi che cosa possa realmente succedere quando la “via dell’eccesso”incrocia, alla sua maniera, la via degli dèi.

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A partire da queste basi arcaiche il tema della metamorfosi è stato sottoposto nelle di-verse epoche e culture a continui ripensamenti e trasformazioni. Il presente volume,che riunisce contributi di diversi studiosi, ne affronta alcuni momenti particolar-mente significativi, dalle tradizioni mitologiche e popolari cinesi esplorate da Ric-cardo Fracasso al tema delle trasformazioni vegetali nell’Induismo indagate daAlessandro Grossato, alla figura universale della donna-serpente, studiata da CarloDonà in una prospettiva comparatistica più ampia che abbraccia tutta l’area eurasia-tica. Sul versante occidentale, Ezio Albrile esamina la manipolazione dei metalli comemetafore di una mutazione plastica dell’Anima nella gnosi alchemica, mentre ai nu-merosi testi francesi medievali che narrano storie di metamorfosi è dedicata l’esau-riente rassegna di Cristina Noacco. Gli ultimi due capitoli trattano di alcuneriapparizioni contemporanee del tema della metamorfosi: Gioia Paradisi ne mette inluce la valenza “esistenziale” nelle Farfalle di Gozzano; Fiorenza Lipparini, infine, nemostra le radicali implicazioni estetiche e logico-linguistiche nella letteratura con-temporanea. Le metamorfosi del tema della metamorfosi, qui studiate attraverso unlunghissimo arco di secoli, rivelano dunque come esso non sia mai veramente scom-parso dall’orizzonte della cultura umana e come esso ponga ancora fondamentali in-terrogativi all’uomo d’oggi.

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[...] A partire dal luglio 1943 la città divenne uno dei bersagli del-l’aviazione americana, con gravi danni alle infrastrutture ci-vili e al patrimonio edilizio, per il 45% danneggiato o distrutto,sebbene a partire dal 1940 si fosse predisposto un piano di pro-tezione antiaerea dei monumenti, la cosiddetta blindatura, edelle più importanti opera d’arte che era impossibile traspor-tare nei rifugi antiaerei: i metodi e la tecnologia non eranogranché progrediti dagli anni della prima guerra mondiale, anzi la prassi era ancorala medesima, e come allora quel che si poteva fare non era molto, o almeno non assi-curava contro tutti i pericoli.[...]

Dalla Premessa di Luca Ciancabilla

AA CCUURRAA DDII LLUUCCAA CCIIAANNCCAABBIILLLLAABologna in guerra. La città, i monimenti, i rifugi antiaerei.Edizioni Minerva, Argelato (BO), 2010, pp. 222 + ill., € 19,00

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TTHHEEOODDOORR WW.. AADDOORRNNOOL’attualità della filosofia. Tesi all’origine del pensiero critico.A cura di Mario FarinaMimesis Edizioni, Volti, Milano-Udine, 2009, pp. 87, € 12,00

Chi sceglie oggi il lavoro filosofico come professione, deve rinunciare al-l'illusione che un tempo guidava i progetti filosofici: che sia possibile af-ferrare la totalità del reale con la forza del pensiero. [...] la realtà, comerealtà intera, si presenta al conoscere unicamente in modo oppositivo,perciò la speranza di ottenere una realtà giusta e corretta offre solo fram-menti e rovine.

Theodor W. AdornoCosa pensava Adorno prima di essere costretto a fuggire negli Stati Uniti? Quali temifilosofici erano al centro della sua riflessione prima che l’orrore dell’olocausto occu-passe prepotentemente lo spazio teoretico dell’elaborazione? Qui raccolti tre scrittiinediti stesi da Adorno tra il 1931 e il 1933. I lavori di un intellettuale libero, come fusempre, ma non ignaro dei compiti che la filosofia doveva darsi nella società. Testiche raccontano il rapporto del celebre francofortese con la filosofia classica tedesca,preziosi per conoscere gli esordi del pensiero di uno dei massimi filosofi internazio-nali del Novecento.

SSEERRGGIIOO PPEERRIINNIIL’arte disperata di Agostino GoldaniMarco Serra Tarantola Editore, Brescia, 2009, pp. 143, € 25,00

La vita di ognuno è segnata da alcuni incontri fatali, incontri cioéche rappresentano nel volgere del tempo ciò che gli storici chia-mano post quem. Dopo l’incontro con le opere di Agostino Gol-dani, infatti, la mia vita è cambiata, come succede quando siaccende una luce più intensa nella coscienza, nella cultura, nel-l’esperienza umana. Quando per la prima volta vidi quelle opere,quei piccoli capolavori, ne fui sedotta al punto che tutte le mie

convinzioni precedenti sulla cosiddetta Art Brut furono messe in discussione. Quei di-pinti erano l’espressione di un’arte autentica, il frutto di un processo introspettivo ingrado di stabilire una profonda comunicazione e, contemporaneamente, erano ilmezzo con cui quest’uomo, superando le sue manie, la sua angoscia e la sua dispera-zione, era riuscito a far emergere le pulsioni dell’inconscio, raggiungendo una formadi catarsi e di redenzione alla quotidianità; ma insieme a tutto questo, quei dipintierano il risultato di una capacità pittorica straordinaria, come quella che si ottienedopo un lungo esercizio di teoria e di pratica.

Dalla Prefazione di Silvana Crescini1/2010HIRAM

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Recensioni

GIOVANNI GIOLITTI. Al Governo, in Parlamento, nel carteggio. Volume II . L’attività legislativa (1889-1921).Tomo II (1909-1921).A cura di Aldo A.Mola e Aldo G. Ricci. Bastogi Editore, Foggia, 2009, pp. 781, €40,oo.

Recensione di Guglielmo Adilardi

Rispetto al Tomo I (1889-1908) questo volume ci presenta unGoverno giolittiano molto più strutturato e sicuro di sé; que-sto nel senso che le indagini conoscitive alla base dei proce-dimenti legislativi appaiono più approfondite e scientifica-mente più corrette. Si ha la sensazione che il paese Italia siaentrato in questo secondo periodo nella sua maggiorità. Men-tre i precedenti studi legislativi apparivano quali bozze, ap-punti o poco più, qui siamo di fronte a studi documentati nonsolo dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vistasociologico e antropologico, con uno sguardo sempre attentoalle altre nazioni europee e non per una passiva imitazione,ma per un’intelligente integrazione europeista. Giolitti ci ap-pare un uomo che non lasciava nulla al caso e che sapeva utilizzare le intelligenzeumane al di là degli specifici orientamenti politici dei singoli. Egli governò in uno deiperiodi più politicamente agitati. Lo statista piemontese era stato a capo del governo

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la prima volta fra il 1892-1893, quando il nuovo regno era percorso da sinistre febbririvoluzionarie: ricordiamo la nascita del primo partito organizzato modernamente,quello socialista, i Fasci dei lavoratori siciliani e della Confederazione generale del la-voro, lo scandalo della Banca Romana, per cui fu costretto ad un esilio momentaneoa Berlino, in quanto il Ministro dell’Interno non era in grado di garantire la sua vita… Ricordiamo, infine, solo per brevità, dopo Dogali, la deriva abbandonista della po-litica coloniale nella quale il popolo gridava nelle piazze via dall’Africa e viva Meneliche divelleva le rotaie per non far partire l’esercito per l’Eritrea. Una politica moltomeno avventurosa e improvvisata di quella di Crispi non solo per ciò che riguardavale colonie che lo vedrà artefice della conquista del Dodecanneso e della Libia. Suo ilmerito dell’avvicinamento dei cattolici alla politica attiva (Patto Gentiloni). Molti iprovvedimenti legislativi di alta civiltà giuridica, ne metto in risalto uno per tutti. Di-segno di legge “sulla cittadinanza” n.966 Seduta del 7 luglio 1911, nel quale si stabi-liva all’art. 1 “ … solo quando i genitori sono ignoti, o non hanno la cittadinanzaitaliana, né quella di altro Stato, si riconosce come cittadino chi nasce nel Regno…”.Era il tempo in cui centinaia di migliaia di Italiani emigravano e si aveva maggioresensibilità per i diseredati rispetto all’oggi.Altro esempio di lungimiranza economica si rinviene nella conversione in legge delRegio decreto 30 dicembre 1913 relativo all’esecuzione di lavori pubblici “a sollievodella disoccupazione operaia” (pag. 410). Insomma un governo liberale quello di Gio-litti attento quanto mai alle libertà e al benessere economico della popolazione conleggi, decreti e non vane chiacchiere quali quelle dei politici odierni. Tali tomi sono utili non soltanto agli storici che ancora vanno ripetendo di Giolittiche “le sue alleanze non furono solo costruite nelle aule parlamentari, ma diretta-mente nei collegi elettorali, in particolare in quelli meridionali, mediante l’opera dicorruzione elettorale realizzata manovrando spregiudicatamente i prefetti. Questapratica valse allo statista piemontese la dura opposizione di Gaetano Salvemini, chelo definì ministro della malavita” (Saverio Santamaita, Storia della Scuola. Mondadori,1999) senza per altro andare a fondo sul risentimento del Salvemini sconfitto alle ele-zioni e non per colpa di Giolitti. Soprattutto può essere utile all’odierna classe politica perché dalla lettura ne traggautile esempio legislativo.

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RECENSIONI

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GIOVANNI GIOLITTI: Al Governo, in Parlamento, nel carteggio.Volume III. Il Carteggio, Tomo I (1877-1905).A cura di Aldo A. Mola e Aldo G. Ricci.Bastogi Editore, Foggia, 2009, pp. 1051, €40,oo.

Recensione di Guglielmo Adilardi

Ci auguriamo che con la pubblicazione di questo poderosocarteggio giolittiano si riaprino gli studi storici sui documentie si finisca una buona volta di ripetere teorie ideologizzantiriprendendo il già scritto e che serva anche da esempio allaclasse politica odierna in quelle parti in cui Giolitti mette inevidenza le lotte politiche nelle quali i candidati “accumunatida rispetto reciproco e devozione verso le istituzioni ...” sifronteggiavano con educazione civica esemplare su pro-grammi e cose reali. Certo sarà difficile prevedere che unqualsiasi uomo politico dell’oggi lasci del suo nome l’indica-zione di un’epoca come quella giolittiana, ma sarebbe giàmolto se si potessero avere meno politici e qualche “uomo diStato” come lo fu Giolitti. Questo, soprattutto emerge dal carteggio: avanti a sé Gio-litti metteva sempre lo Stato, mai il partito o i partiti. Lo si vide come si mosse nelcoinvolgere alla pratica del Governo i politici di sinistra ed i cattolici, nessuno la-sciando indietro affinchè tutti remassero verso il bene comune, deciso in questo anchea concessioni che la sua appartenenza politica più volte condannò. Soltanto così riu-scì “… a portare lentamente, ma con coerenza, l’Italia al livello delle grandi potenzeeuropee: insomma modernizzarla con realismo, prendendo atto dei ritardi e dellecontraddizioni di un Paese che aveva preso l’ultimo treno disponibile per entrare nelnovero degli Stati nazionali ottocenteschi”.Nella prefazione Mola consiglia nel leggere il carteggio di tenere avanti a sé i verbalidei suoi governi onde percepire l’infinita ed instancabile attività di Giolitti, il qualecomprendeva che, se la generazione precedente di patrioti aveva dato vita al regnounitario, a lui e alla sua generazione spettava “il compito di fare dell’Italia un paesemoderno e degli italiani una nazione consapevole della sua identità: compiti che ri-chiedevano un impegno lucido, costante e di lunga durata; un impegno che avrebbedovuto essere fatto proprio ed assolto anche dalle generazioni future, perché l’im-presa potesse considerarsi stabilmente compiuta”.

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RECENSIONI

MMOORRRRIISS LL.. GGHHEEZZZZIILa scienza del dubbioEdizioni Mimesis, Milano-Udine, 2009, pp. 406, € 25,00

Recensione di Arturo Colombo

La sociologia del diritto – o, più correttamente, la sociologiacritica del diritto – studia i rapporti, anche molto differentie complessi rispetto ai diversi contesti e periodi storici, cheintercorrono fra il diritto e la società e fra la società e il di-ritto. Ecco uno delle lezioni più incisive, che ci ha lasciatoRenato Treves (1907-1993), un intellettuale lucido e rigoroso,costretto a abbandonare l’Italia all’indomani delle infamileggi razziali, per rifugiarsi in Argentina, e ritornare poi franoi, proseguendo il suo insegnamento all’Università Stataledi Milano. Adesso, uno dei suoi allievi, Morris L. Ghezzi, che ne continua

il magistero, ripropone la figura e l’opera di Treves al centro di un saggio, efficace-mente orientato a spiegarci come mai e perché la sociologia del diritto costituisce “lascienza del dubbio”, contro i tanti dogmatismi e le pretese certezze, spesso tuttora di-sgraziatamente ricorrenti. In questa prospettiva, Ghezzi ripropone le tesi di chi –come Treves e Bobbio, o gli spagnoli Elías Díaz e Gregorio Peces-Barba Martinez – ri-vendicano il ruolo degli studi, comprese le ricerche sociologiche, non solo come atti-vità astratta ma altresì come metodo di quell’indispensabile impegno civile, semprepiù decisivo per contribuire alla difficile costruzione di un concreto costume demo-cratico, nel segno della tolleranza e del pieno rispetto delle idee altrui. Scienza del dubbio, quindi – insiste tuttora a spiegarci Treves – non come sterile formadi scetticismo, ma come costante processo educativo, orientato a far nascere e cre-scere, sostiene Ghezzi, “una società che consenta effettivamente a tutti gli esseriumani di poter vivere tra individui liberi ed eguali”.

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