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RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 15 giugno 2012 la Corte d'Assise d'Appello di Catanzaro, decidendo sulle impugnazioni proposte da- - - - - - - - - - - - e------------- (per quanto qui rileva), nonchè dal Pubblico Ministero territoriale, avverso la sentenza emessa in data 20 luglio 2010 dalla Corte di Assise di Catanzaro, ne confermava integralmente i contenuti. Con tali decisioni di merito è stata dunque affermata : a) la penale responsabilità di---------------------------- per i delitti - riuniti dal vincolo della continuazione - di concorso in omicidio premeditato, detenzione e porto abusivo di arma e occultamento di cadavere, meglio descritti ai capi a- b - c - d della imputazione; b) la penale responsabilità di------------------------ per il delitto di favoreggiamento, descritto al capo e . Per l'effetto, --------------------------- è stato condannato - riconosciute le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante della premeditazione - alla pena di anni 25 di reclusione, con pene accessorie come per legge e condanna al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili mentre - - - - - - - - - --------- è stata condannata, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di anni tre di reclusione. Sia in primo che in secondo grado risultano escluse le contestati aggravanti della agevolazione o comunque del metodo mafioso (art. 7 legge 203 del 1991) e dei motivi futili. Il fatto principale su cui si sono svolti i giudizi di primo e secondo grado è rappresentato dall'omicidio commesso in danno di -----------------, che si assume avvenuto in data 19 ottobre 2007 in Stefanaconi (Vibo Valentia). Per tale episodio, ricostruito in via indiziaria, non essendo mai stato rinvenuto il corpo di ----------------------, sono stati incriminati ------------------- e- - - - - - - - - - - - - - - - - , giudicato separatamente. Il fatto, secondo l'impostazione di accusa, sarebbe stato commesso unitamente ad un terzo soggetto a nome ------------------ (fratello di -------------) a suo volta scomparso in data 14 dicembre 2007 (circa due mesi dopo) e solo per tale ragione non raggiunto da contestazione, posto che lo si ritiene anch'esso deceduto. Nell'esaminare i motivi di appello, proposti sia dal P.M. che dagli imputati, la Corte territoriale compie ampio rinvio alle risultanze istruttorie emerse durante il giudizio di primo grado, ritenendo del tutto condivisibili sia i prowedimenti

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 15 giugno 2012 la Corte d'Assise d'Appello di • Catanzaro, decidendo sulle impugnazioni proposte da- - - - - - - - - - - - e- - - - - - - - - - - - -

(per quanto qui rileva), nonchè dal Pubblico Ministero territoriale, avverso la sentenza emessa in data 20 luglio 2010 dalla Corte di Assise di

Catanzaro, ne confermava integralmente i contenuti.

Con tali decisioni di merito è stata dunque affermata :

a) la penale responsabilità di---------------------------- per i delitti - riuniti dal

vincolo della continuazione - di concorso in omicidio premeditato, detenzione e porto abusivo di arma e occultamento di cadavere, meglio descritti ai capi a- b -

c - d della imputazione; b) la penale responsabilità di- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - per il delitto di

favoreggiamento, descritto al capo e .

Per l'effetto, --------------------------- è stato condannato - riconosciute le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante della premeditazione - alla pena di anni 25 di reclusione, con pene accessorie come per legge e condanna al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili mentre - - - - - - - - -

- - - - - - - - - è stata condannata, previo riconoscimento delle attenuanti generiche,

alla pena di anni tre di reclusione.

Sia in primo che in secondo grado risultano escluse le contestati aggravanti della agevolazione o comunque del metodo mafioso (art. 7 legge 203 del 1991) e dei

motivi futili.

Il fatto principale su cui si sono svolti i giudizi di primo e secondo grado è

rappresentato dall'omicidio commesso in danno di -----------------, che si assume avvenuto in data 19 ottobre 2007 in Stefanaconi (Vibo Valentia).

Per tale episodio, ricostruito in via indiziaria, non essendo mai stato rinvenuto il

corpo di ----------------------, sono stati incriminati ------------------- e- - - - - - - - - - - - - -

- - - , giudicato separatamente.

Il fatto, secondo l'impostazione di accusa, sarebbe stato commesso unitamente ad un terzo soggetto a nome ------------------ (fratello di -------------) a suo volta scomparso in data 14 dicembre 2007 (circa due mesi dopo) e solo per tale ragione non raggiunto da contestazione, posto che lo si ritiene anch'esso deceduto.

Nell'esaminare i motivi di appello, proposti sia dal P.M. che dagli imputati, la Corte territoriale compie ampio rinvio alle risultanze istruttorie emerse durante il giudizio di primo grado, ritenendo del tutto condivisibili sia i prowedimenti

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acquisitivi emessi dai primi giudici che le coordinate valutative dei materiali probatori.

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La ricostruzione del fatto muove dall'analisi delle circostanze in cui si verifica, il • 19 ottobre del 2007, la improvvisa scomparsa di --------------------------.

Costui, sub-agente per una compagnia di assicurazioni, si sarebbe allontanato - • secondo quanto emerso - poco dopo le ore 12.30 di quel giorno, un venerdì, dagli uffici della compagnia assicuratrice Zurich in Vibo Valentia per fare rientro

nel vicino comune di Stefanaconi (circa 4 Km dividono le due località) ove aveva, tra l'altro, un appuntamento con il suo datore di lavoro, --------------------.

A tale appuntamento il ---------- non si presenterà, nè darà più contezza di sè

ai familiari (neanche al figlioletto di quattro anni, trasferitosi a Torino con

la madre), che ne denunziano la scomparsa il lunedì successivo, giorno 22 ottobre. Risulta accertato che il ------------, giunto in Stefanaconi, si recò

presso l'auto- lavaggio gestito da ------------ ove lasciò la sua autovettura Audi

A 5 che, in effetti, il giorno seguente venne riconsegnata ai genitori del ------------ da -----------, visto che il ---------- - a dire del ---------- - non si era più

ripresentato a ritirarla. Le tracce del ----------- - salvo quanto si dirà circa una

ultima chiamata che sarebbe da lui stata ricevuta alle ore 12.41 - si perdono nel momento immediatamente successivo alla consegna di detta vettura Audi

all'autolavaggio del ---------.

Giova precisare che sempre in data 19 ottobre 2007 lo stesso -----------

denunzia il furto della vettura a lui in uso, una Fiat Uno, che si sarebbe verificato

in Vibo Valentia tra le ore 12.50 e le ore 13.10. La vettura del ----------------- diventa, nel prosieguo delle indagini, un

elemento centrale nella ricostruzione indiziaria.

Ciò perche detta auto sarà rinvenuta quasi completamente carbonizzata in data 1 novembre 2007 in una pineta sita in località Baioti, a pochi chilometri dal centro abitato di Stefanaconi, in virtù di una confidenza raccolta da un sacerdote

e da costui trasmessa agli investigatori. Emergono altresì tre circostanze di rilievo:

- la vettura del ------------------ era stata in realtà notata da due guardie forestali, nel luogo del rinvenimento e già data alle fiamme, proprio in data 19 ottobre 2007, intorno alle ore 15.00. Idue forestali non avevano ritenuto, però, di avvisare le forze dell'ordine;

- la vettura del ----------------, in quello stesso giorno (19 ottobre 2007) e in un orario immediatamente successivo alla presenza del --------- nell'autolavaggio, intorno alle 12.45, aveva causato, in marcia e senza fermarsi, un incidente con un'altra auto, condotta dai coniugi ----------. Anche in tal caso l'episodio non era stato oggetto di denunzia e viene faticosamente ricostruito in un momento successivo. Idue coniugi affermeranno di aver notato nell'auto la presenza di -

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------------, alla guida, e di --------------- (il soggetto a sua volta scomparso nel mese di dicembre) sul sedile posteriore. --------------- sarebbe

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stato minacciato da un suo fratellastro, -------------------, di non riferire l'accaduto;

- a seguito di ulteriore verifica dell'autovettura in sequestro, in data 15 marzo 2008, veniva rinvenuto all'interno della medesima un bossolo esploso da una pistola calibro 7.65.

Gli elementi acquisiti durante le indagini portavano alla possibile individuazione,

come coautori del delitto, di -----------, --------------- e ----------------------.

In particolare, mentre il rapporto con il fatto di ----------------- trova solidi agganci

nelle stesse modalità della scomparsa del -------------- e nel verosimile utilizzo della vettura Fiat Uno - a lui in uso - per la stessa esecuzione del delitto, più

complessa risulta la ricostruzione del contributo fornito (in ipotesi) al fatto dal ------------------.

Costui, infatti, viene individuato in un primo momento anche sulla base di dichiarazioni confidenziali - non verbalizzate - rese da ------------------ al

Maresciallo dei Carabinieri ----------------, che investigava sulle diverse vicende.

Successivamente si aggiungono a tale elemento : - i risultati di captazioni di conversazioni ambientali intervenute tra gennaio e

febbraio 2008 (dopo la scomparsa di -------------) tra ------------------ e la madre -----

----------;

- le dichiarazioni rese da ------------------, circa i fatti da lei direttamente percepiti

in data 19 ottobre 2007;

- i risultati di una intercettazione telefonica di una conversazione intercorsa tra il Maresciallo -------------- e --------------------- nel mese di aprile 2008, relativa a

confidenze ricevute da quest'ultima e provenienti anch'esse da ----------------------. I materiali dimostrativi - non riproducibili in questa sede ma ampiamente

descritti nelle decisioni di merito - venivano ritenuti, ad esclusione delle prime dichiarazioni rese dalla ----------- e non verbalizzate, acquisibili al fascicolo

dibattimentale, vuoi sotto il profilo della ritualità delle intercettazioni utilizzate che attraverso lo strumento di recupero descritto e regolamentato dall'art. 500 comma 4 cod.proc.pen. (qui per quanto riguarda la deposizione della -----------) e

dall'art. 507 (per quanto riguarda la conversazione ----------/-------------, originariamente non depositata) e conducevano alla affermazione di

responsabilità del ------------- per l'omicidio ed i reati strettamente connessi.

In particolare, secondo i giudici del merito, la partecipazione risulterebbe provata dal fatto che :

- -----------------, sorella di ------------------, sarebbe stata messa al corrente dell'accaduto subito dopo il fatto dagli autori materiali (---------------, - - - - - - -- - - - - - - - - - e lo stesso -----) posto che costoro si recarono presso la sua

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abitazione per lavarsi e occultare le tracce (elemento tratto, in particolare, dalla

conversazione -------------/------------). Dalle conversazioni intercettate emerge che

la -------- venne coinvolta nelle attività successive al delitto ed il marito ------------

- aiutò ------------------- a dare fuoco alla vettura;

- ------------------, ---------------,- - - - - - - - - - - - - - - - - e il marito della -----, tal ------------------ sarebbero stati notati, tra le 13 e le 13.30 del 19 ottobre 2007 dalla teste

Sposato, mentre si allontanavano dalla abitazione della ------------ e si recavano frettolosamente verso l'esterno del paese, utilizzando più mezzi di trasporto,

tra cui la stessa vettura del ------------ . -------------- , in tale occasione, avrebbe

chiesto alla ------------- di tenere con lei il figlio piccolo e avrebbe fatto rientro

solo dopo circa un'ora e mezza; - ------------------- , nelle plurime conversazioni intercettate, indica più volte tale .. 'ntoni (identificato come ---------------- , cugino della ---------- medesima) come

corresponsabile della morte del ------------ , unitamente al fratello -------------- e al ---

--------- .

A tali elementi si aggiungono ulteriori dati relativi all'analisi dei tabulati e alla

presumibile localizzazione della vittima durante il giorno della scomparsa.

In sentenza si afferma, infatti, che : - in data 28 ottobre 2007 viene rinvenuto uno dei cellulari utilizzati dal ------------, su cui era montata una scheda Vodafone, al bordo della strada che dal

centro abitato di Stefanaconi consente di raggiungere la località Baioti (ove sarà rinvenuta la Fiat Uno bruciata) ;

- un secondo cellulare del --------------, con scheda Tim, mai rinvenuto, aveva contattato - alle 12.14 del giorno della scomparsa - proprio l'utenza in uso a

--------------. Sulla stessa utenza perviene una breve chiamata alle ore 12.41 (da

persona diversa). In tale momento, riferendosi alla 'cella' agganciata, si sostiene che il ------------ fosse non lontano (circa 400 metri) dal luogo ove è stato

poi rinvenuto l'altro cellulare, a dimostrazione del fatto che costui si trovava già

lungo il percorso che da Stefanaconi porta alla località Baioti.

La Corte territoriale, nel respingere le numerose questioni in rito sollevate dalla

difesa in punto di utilizzabilità degli atti e validità del procedimento, confermava dunque le valutazioni già espresse in primo grado.

Quanto al movente dell'azione omicidiaria lo stesso non veniva accertato nè la decisione dedica particolare spazio alla ricostruzione dei profili personali dei vari soggetti coinvolti.

Si confermava esclusivamente la ricorrenza della premeditazione in virtù del fatto che gli aggressori avevano, evidentemente, studiato l'azione e preso un

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appuntamento con il -------- (come emerge da alcune captazioni) approfittando del rapporto di fiducia che intercorreva tra ------------ e la vittima e si ritiene

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che, evidentemente, la conversazione delle 12.14 tra il ----------- e il --------- era

finalizzata ad una verifica dei suoi spostamenti .

Circa l'appello del P.M. in tema di aggravanti (agevolazione o metodo mafioso e

motivi futili) la Corte testualmente afferma « non si è formata prova certa che il

fatto sia avvenuto per favorire la consorteria mafiosa operante in Stefanaconi,

per quanto si tratti di un'ipotesi molto verosimile dati i connotati mafiosi che

contraddistinguono tutta la zona» .

Ciò perchè in primo grado si è evidenziato il mancato accertamento dei reali

rapporti sia del ------------ che dei suoi aggressori con i sodalizi criminali esistenti

nel territorio interessato. Analogo giudizio di insussistenza viene espresso circa l'aggravante dei motivi

futili, non essendo stata accertata la reale causale.

Vi è conferma della penale responsabilità e delle statuizioni relative al

trattamento sanzionatorio anche per ----------------- , circa il favoreggiamento,

non ritenendosi applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 384 cod.pen. .

2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale territoriale, nonchè gli imputati ------------------ e -------------------- .

2.1il ricorso del P.G. Il P.G. territoriale con il ricorso deduce vizio di motivazione e violazione di legge

in punto di conferma della insussistenza dell'aggravante di cui all'art. 7 legge

n.203 del 1991.

La motivazione non avrebbe approfondito il tema del 'metodo mafioso' con cui risulta consumato il delitto. Itratti indicativi di detto metodo consisterebbero nella modalità di esecuzione e

occultamento del cadavere, espressiva del predominio della organizzazione

mafiosa nel contesto territoriale.

Inoltre sono emersi durante l'istruttoria i caratteri tipici della omertà diffusa - e la conseguente reticenza dei testi - nonchè la possibilità di inquadrare il fatto in

un più ampio contesto criminale data la successiva sparizione di ------------ e di ---------------- .

i motivi della difesa -------------------- . si tratta di un ricorso particolarmente ampio e articolato, incentrato sia su questioni di utilizzabilità degli atti aventi rilievo probatorio che su temi afferenti

la motivazione della decisione. In sintesi :

con il primo motivo si deduce vizio procedimentale in riferimento al mancato

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deposito ai sensi dell'art. 415 bis cpp di atti rilevanti al fine di consentire

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l'effettivo esercizio del diritto di difesa, con violazione del parametro

costituzionale di cui all'art. 111e delle norme di cui all'art. 178 comma 1lett. c e

191 cpp.

L'ampia questione ricostruisce, in fatto, la sequenza delle ordinanze emesse nel

corso del procedimento con cui sono state respinte le eccezioni difensive sul

tema e ne contesta l'esattezza in diritto.

In sede di conclusione delle indagini preliminari non sarebbero stati depositati,

come prescritto dalla norma di cui all'art. 415 bis e dalla sua corretta

interpretazione, tutti gli atti realizzati nella fase investigativa.

Ciò sulla base di una riferita - da parte del PM - maggior ampiezza del fascicolo iniziale che era finalizzato a far luce anche su altri episodi delittuosi.

Ciò posto, in un primo momento, i giudici procedenti avevano emesso ordinanza

con cui si dichiaravano inutilizzabili gli atti non oggetto di deposito, individuati

dalla difesa tramite il riferimento ad una fattura di pagamento contenente

indicazioni di intercettazioni telefoniche o ambientali non versate in atti.

In un secondo momento, tuttavia, la Corte di primo grado decideva di acquisire ai sensi dell'art. 507 cod.proc.pen. uno degli atti già dichiarati inutilizzabili,

consistente in particolare nella intercettazione intercorsa tra il Maresciallo ------------ e la teste ---------------. Tale modus procedendi viene ritenuto illegittimo, sia in rapporto alla impossibilità

di «recupero» ai sensi dell'art. 507 cpp di un atto già dichiarato inutilizzabile in quanto non depositato, sia in riferimento alla conseguente nullità dello stesso awiso di depositato notificato ex art. 415 bis, posto che sarebbe emersa la

ipotetica rilevanza di uno di tali atti per il procedimento in corso. Sarebbe inoltre alterata la «parità di armi» tra le parti processuali anche in

riferimento al pregiudizio arrecato all'imputato circa le facoltà di accesso al rito

abbreviato, dato che tale scelta deve essere assistita dalla effettiva conoscenza degli atti raccolti, nel momento individuato dal legislatore nel deposito di cui

sopra.

Si contesta, inoltre, la stessa legittimità della intercettazione in parola - acquisita

ai sensi dell'art. 507 - con motivi che, anticipando il contenuto dell'ottavo motivo di ricorso , evidenziano che trattasi, in realtà, di un vero e proprio atto di indagine di tipo dichiarativo realizzato sotto forma di intercettazione allo scopo di superare la ritrosìa del teste (la -------------) a sottoscrivere un verbale ed aggirando le regole normative in punto di testimonianza indiretta della p.g. . E' il maresciallo a chiamare, ad indagine in corso e consapevole della captazione in atto, la ------------ e non viceversa.

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Su tutti questi aspetti la motivazione offerta dalla Corte territoriale appare lacunosa, contraddittoria ed errata in diritto.

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Con il secondo motivo si ripropongono questioni relative alla ritualità e • utilizzabilità delle ulteriori intercettazioni ambientali (si tratta di quelle relative ai

colloqui tra ------------ e la madre) contestando la motivazione del rigetto. La difesa evidenzia una prima questione relativa ai decreti di autorizzazione e proroga.In virtù della espressa declaratoria di inutilizzabilità delle captazioni

intercorse tra il 26 gennaio e il 14 febbraio 2008 - già statuita dalla Corte di

primo grado - si sostiene l'impossibilità di ritenere il decreto GIP emesso il 14

febbraio come nuovo decreto autorizzativo, essendo - almeno in parte - basato su contenuti inutilizzabili.

Da qui la necessità di dichiarare inutilizzabili tutte le captazioni successive al 14 febbraio, erroneamente ritenute valide dai giudici del merito.

In ogni caso si contesta la decisione di ritenere efficace il decreto del 14 gennaio dal momento del suo deposito - avvenuto alle ore 13.30 - e non già dal giorno

successivo, come previsto nello stesso decreto.

Vi è poi una seconda questione in punto di motivazione adottata dal P.M. per giustificare l'utilizzo degli impianti esterni all'Ufficio di Procura.

La motivazione viene ritenuta non rispondente ai parametri normativi, in quanto basata sulla necessità di realizzare un costante apporto di attività investigative a

riscontro dei contenuti delle comunicazioni, dunque per esigenze che ben potevano essere soddisfatte con l'uso dello strumento tecnico della «remotizzazione» dell'ascolto, tale da lasciare ferma la sede delle registrazioni

presso la Procura.

Anche in tal caso la motivazione del diniego - posto dalla Corte territoriale - è errata in diritto e valorizza una ipotetica inadeguatezza degli impianti riferita dal

P.M. in udienza con una sorta di motivazione 'postuma', non sostenibile secondo i contenuti dei numerosi arresti giurisprudenziali, analiticamente citati.

Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione della legge

processuale in riferimento alla avvenuta acquisizione ai sensi dell'art. 500 comma 4 cpp delle dichiarazioni rese dalla teste ------------------ .

Il procedimento incidentale descritto da tale norma non sarebbe stato realizzato in modo conforme alla previsione normativa, data l'acquisizione di una relazione di servizio redatta dal Mar. ----------- - contenente affermazioni rese dalla ----

------- in sede di notifica della citazione - cui non è seguita l'escussione orale del

verbalizzante e l'acquisizione di intercettazioni telefoniche non corredate di tutti gli atti attestanti la validità delle medesima ma solo dei decreti autorizzativi. Da ciò deriva il vizio di metodo ingiustamente ritenuto insussistente dalla Corte territoriale, in violazione di tutte le norme di riferimento in tema di acquisizione

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dibattimentale degli elementi di prova. noltre si formulano critiche anche in punto di esito della valutazione, non essendo in realtà emerso alcun tentativo di

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condizionamento della teste. Costei nel corso delle conversazioni captate esprime • infatti risentimento per l'erronea verbalizzazione delle sue dichiarazioni

originarie, in ciò accusando il maresciallo ------------- di un comportamento scorretto.

Con il quarto motivo si deduce la nullità e l'inutilizzabilità della consulenza tecnica depositata dal P.M. in tema di localizzazione delle utenze telefoniche in uso alla vittima, per omesso deposito dei tabulati telefonici posti a sostegno.

Con il quinto motivo si deduce violazione dei diritti difensivi di partecipazione in riferimento alle modalità di reperimento, in data 15.3.2008, del bossolo

all'interno della vettura del -------------.

La vettura era già in sequestro ed era già stata ispezionata senza esito.

All'atto della nuova ispezione il -------------- era già iscritto nel registro degli

indagati e pertanto l'atto non poteva essere compiuto 'di iniziativa' dalla polizia

giudiziaria, senza avviso alle parti.

Trattasi, infatti, di attività di rilevazione che non può rientrare nell'ambito

applicativo dell'art. 354 cod.proc.pen. data la scissione temporale con il

rinvenimento della vettura.

L'omesso avviso determina pertanto non solo un vizio processuale non

superabile con l'avvenuto sequestro del bossolo ma un rilevante dubbio in termini di 'esistenza' del reperto, stranamente rinvenuto ad indagine in corso e

dopo una prima verifica molto accurata.

Con il sesto motivo si deduce l'inutilizzabilità della ulteriore memoria depositata in appello dal PG e relativa alla possibile ubicazione sul territorio del cellulare del

------------ , trattandosi di atto di incremento istruttorio acquisito senza previa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ex art. 603 cpp .

Con il settimo motivo si deducono plurimi vizi di motivazione in tema di logicità

della ricostruzione dei fatti operata in sentenza. Vengono esposte numerose

criticità circa il significato dimostrativo degli atti, con ampie denunzie di

travisamento non riproducibili in questa sede se non per indicazione di

argomento, nei termini che seguono.

In particolare si contesta :

- la ricostruzione degli orari in cui il ------------- si sarebbe allontanato dalla sede della Zurich in Vibo Valentia e, dunque, dei successivi accadimenti. Il -------------

- sarebbe rimasto in agenzia ben oltre le 12.30 (come risulta da deposizioni e da riferimenti alle conversazioni telefoniche intervenute sarebbe uscito alle 12.42) con ciò scoffessando la concatenazione di eventi ipotizzata dai giudici del merito;

- il rilievo dimostrativo attribuito alla breve conversazione intervenuta alle 12.14

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tra ------- e ----------. Non vi è prova del contenuto ma è il ------------ a chiamare

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-----------------, peraltro suo cliente in quanto assicurato con la compagnia. Dunque i

• rilievi operati dalla Corte sono meramente congetturali;

- la riferibilità delle dichiarazioni rese dalla teste --------------- - più di un anno

dopo - all'episodio oggetto di ricostruzione. La -------------- , data la distanza

temporale, può aver riferito di un incontro diverso, awenuto in epoca successiva. Peraltro confonde la vettura che il ----------- utilizzava quel giorno (una Fiat Uno)

con una vettura che il ---------, come risulta dagli atti, utilizzava successivamente

(una Fiat Punto) e le considerazioni espresse sul punto dalla Corte territoriale risultano del tutto illogiche;

- la stessa conguenza logica, specie in rapporto agli orari, delle dichiarazioni

della ----------. Pur ipotizzando il delitto commesso nella vettura del --------- non è ragionevole pensare che gli esecutori fossero già rientrati presso l'abitazione di

------------- prima di sbarazzarsi della vettura dandola alle fiamme;

- la correttezza della identificazione in --------------- del ..'ntoni .. di cui parla --------

--------- nelle conversazioni con la madre. Non vi è alcun elemento di certezza sul

punto, nè questo puà trarsi dalla valorizzazione del rapporto di parentela (la -------- parla del ..cugino..) perchè anche ------------- era un cugino della colloquiante;

- la stessa attendibilità complessiva della ------------- , che non ha mai fatto

comprendere quali fossero le reali fonti della sua conoscenza sul fatto.

Con l'ottavo motivo si deduce la inutilizzabilità della intercettazione telefonica tra

------------- e la teste -------------- (di cui si è detto) sotto il profilo della violazione

degli articoli 195 e 526 cpp.

Con il nono motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta responsabilità concorsuale per il delitto di omicidio.

Nessuna fonte riesce ad illustrare, in ipotesi, il concreto ruolo svolto dal -------

-------- nell'azione criminosa, in violazione dei criteri che governano

l'affermazione della responsabilità concorsuale.

La mancata individuazione del movente, inoltre, contribuisce ad amplificare l'incertezza sui ruoli svolti e sul punto la motivazione della decisione non risulta congua rispetto alle esigenze di giustificazione della decisione.

Si contesta altresì l'awenuta motivazione in punto di premeditazione. La sentenza confonde la predisposizione rudimentale dei mezzi con la premeditazione, in violazione del costante orientamento giurisprudenziale sul tema.

Il ricorso di ------------------- . Con il primo motivo la ricorrente - a mezzo del difensore - deduce vizio di nullità,

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per mancata corrispondenza tra motivazione e dispositivo della sentenza.

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Si rappresenta, in particolare, che già nella decisione di primo grado risulta in • motivazione esclusa la ricorrenza, in fatto, della circostanza aggravante di cui

all'art. 7 I. n.203 del 1991. Ciò nonostante in dispositivo la ------------- risulta dichiarata colpevole «del reato ascritto in rubrica» senza espressa esclusione della circostanza aggravante (e con attenuanti generiche dichiarate equivalenti). Tale errore si ripropone nella decisione di primo grado - ove si respinge l'appello

interposto dal P.M. - che, in dispositivo «conferma» l'impugnata sentenza. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Si contesta, in particolare, la congruità logica della ricostruzione operata in riferimento agli orari indicati dai diversi testi (------------ e la coppia ------------) e si evidenziano discrasie Insanabili tra detti orari ed altre risultanze istruttorie. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in rapporto alla mancata applicazione della previsione contenuta nell'art. 384 cod.pen. .

La punibilità della - - - - - - - - - - - - per il delitto di favoreggiamento risulterebbe esclusa in virtù della esimente di cui all'art. 384 cod.pen. . Pur accedendo all'ipotesi di accusa va infatti rilevato che uno dei coautori del delitto di omicidio era ------------, fratello di ----------------------. L'aiuto offerto, finalizzato ad occultare le tracce del delitto, risulterebbe pertanto

ricompreso nella specifica causa di non punibilità prima citata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene questa Corte fondati, con i limiti e per le ragioni che seguono, i ricorsi proposti da --------------- e da ---------------, mentre va dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal Procuratore Generale territoriale.

2. Il ricorso ---------------. L'analisi dei motivi di ricorso porta a ritenere fondati il primo, il terzo e l'ottavo motivo, il che conduce, per le ragioni che seguono, ad emettere pronunzia di annullamento con rinvio della decisione impugnata, lasciando impregiudicata la valutazione probatoria delle residue fonti, da realizzarsi nel giudizio di rinvio. Si tratta, infatti, di motivi (quelli di cui viene ritenuta la fondatezza) relativi alle modalità acquisitive di taluni elementi dimostrativi obiettivamente incidenti nella struttura logico-ricostruttiva (ampiamente indiziaria) del fatto ascritto all'imputato, il che impedisce di realizzare nella presente sede di legittimità una adeguata «prova di resistenza» dell'impianto motivazionale (pure ritenuta in

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questa sede possibile in simili ipotesi, tra le altre, da Sez. VI n. 10094 del 22.2.2005, rv 231832 e Sez. V n.569 del 18.11.2003, rv 226972) pena lo

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stravolgimento dei caratteri di «controllo» dell'altrui operato, cui è ispirata la

disciplina normativa del ricorso per cassazione .

Nel caso in esame tale prova di resistenza finirebbe con implicare la formulazione

di un giudizio autonomo da parte della Corte sul fatto oggetto del processo,

giudizio da ritenersi esorbitante anche dall'ambito applicativo dell'art. 619

cod.proc.pen. come ben precisato già da Sez. In. 9707 del 10.8.1995, rv

202302 .

Ciò posto, va anzitutto affermato che le doglianze contenute nel primo e

nell'ottavo motivo di ricorso vanno trattate in maniera congiunta.

Il ricorrente, infatti, sotto diversi profili, si duole dell'avvenuta utilizzazione ai fini

del decidere dei contenuti della intercettazione telefonica della conversazione intercorsa tra il Maresciallo -------------- e la signora -------------- in data 26 aprile 2008.

Conviene riepilogare, su tale questione, gli accadimenti processuali. All'udienza del 6 maggio 2009 - in apertura del giudizio di primo grado - la difesa del --------------- rilevava l'incompletezza della discovery operata in sede di

atti prodromici all'esercizio dell'azione penale (art. 415 bis co. 2

cod.proc.pen.), avendo rinvenuto nel fascicolo del Pubblico Ministero la

traccia documentale (rappresentata da annotazioni relative alle spese)

di attività captative di conversazioni (RIT n. 297/08, 248/08, 380/08, 370/08 e 418/08) ulteriori e diverse rispetto a quelle oggetto di deposito.

La questione veniva posta in termini di nullità dell'atto di esercizio dell'azione

penale per violazione dei diritti difensivi (in punto di completezza della conoscenza riversata nel fascicolo) con estensione del vizio, in via derivata, al

decreto di rinvio a giudizio. Il Pubblico Ministero rappresentava che l'originario fascicolo di indagine aveva ad

oggetto anche altri fatti delittuosi awenuti nel vibonese e pertanto rivendicava -

ai sensi dell'art. 130 disp. att. cpp - la facoltà di operare, in sede di esercizio dell'azione penale per uno di tali fatti, una discovery parziale, intendendosi per

tale la selezione di tutti gli atti relativi alla specifica vicenda tratteggiata nella

imputazione, con mantenimento nel fascicolo separato (esclusivamente) degli

atti relativi alle ulteriori vicende oggetto di indagine. La Corte, nel valutare la questione posta, ne impostava la soluzione in termini giuridici confermando l'esistenza del potere di 'selezione' - nei termini riferiti dal

P.M. - degli atti relativi alla vicenda oggetto del processo e riteneva che tale condotta non poteva comportare alcuna invalidità dell'atto di esercizio dell'azione penale e del successivo decreto di rinvio a giudizio.

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Non mancava, tuttavia la Corte di segnalare che la conseguenza giuridica effettiva della condotta di «selezione» degli atti, una volta esclusa l'incidenza di

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quelli non depositati sulla validità del processo in corso, fosse da rinvenirsi nella • inutilizzabilità degli atti di indagine non oggetto di previo deposito ai sensi del predetto art. 415bis cod.proc.pen. (.. i diritti della difesa risultano tutelati dalla sanzione di inutilizzabilità degli atti non trasmessi ..)

La Corte pertanto non prendeva visione di tali atti (asseritamente relativi alle 'altre vicende' ancora oggetto di indagine) ma ne dichiarava in ogni caso

l'espressa inutilizzabilità ai fini del giudizio in corso, disponendo l'espunzione

delle note spese dal fascicolo processuale.

Ora, risulta dagli atti che in tali captazioni era contenuta l'intercettazione telefonica della conversazione intercorsa tra il Mar. ---------- e la teste ---------,

che la stessa Corte di primo grado ritiene di poter «recuperare» quale atto utilizzabile ai fini del decidere, ricorrendo al potere istruttorio previsto dall'art.

507 cod.proc.pen. .

Ma conviene procedere in ordine cronologico.

La teste ------------ viene escussa in contraddittorio all'udienza del 12 novembre 2009.

Tale deposizione non fornisce elementi rilevanti ai fini del giudizio, non essendo

riportata tra le fonti dimostrative a carico del ------------- . Successivamente, dopo un nuovo ascolto - già operato ai sensi dell'art. 507 - del

teste ------------ , veniva disposta l'acquisizione del supporto relativo alla

conversazione telefonica intercorsa in data 26.4.2008 tra il teste ------------ e la

sig,ra --------------- (facente parte del RIT n. 370/08) .

La stessa veniva trascritta mediante incarico peritale.

La Corte di primo grado, nell'esporre le ragioni della utilizzabilità di tale

acquisizione (i cui risultati risultano espressamente valutati a carico del

ricorrente, posto che la ------------ in tale contesto riferisce le confidenze ricevute da ----------------- e relative agli avvenimenti del 19 ottobre 2007) opera

talune precisazioni in fatto e in diritto che è utile rievocare in sintesi:

a) il Mar. ------------- era a conoscenza del fatto che la conversazione in

questione era intercettata, sebbene non a cura dei Carabinieri della sua stazione; b) fu il Maresciallo medesimo (come del resto risulta dalla trascrizione: .. signora

------------- , buongiorno il maresciallo sono..) a contattare telefonicamente la ---

------- poichè costei in precedenza (dopo l'omicidio del fratello, -------------- , avvenuto in data 8.4.2008) gli aveva fatto intendere di voler rilasciare delle dichiarazioni anche sull'omicidio del -------------. Dal testo della conversazione risulta infatti che la ------------ , una volta riconosciuto l'interlocutore inizia a raccontare i fatti relativi all'omicidio ------------ a lei riferiti da ------------------- ;

c) la trascrizione ad avviso della Corte di Assise è acquisibile ed utilizzabile in

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virtù della rilevanza rispetto ai fatti oggetto del processo unita alla esistenza del

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potere di completamento istruttorio conferito al giudice del dibattimento dall'art. • 507 cod.proc.pen. .

In particolare, si afferma che la sanzione di inutilizzabilità relativa agli atti non • depositati in sede di udienza preliminare non preclude l'esercizio di siffatto

potere istruttorio ex officio, data l'ampiezza della sua configurazione e la finalità di accertamento della verità allo stesso sottesa (si citano talune decisioni sul tema emesse da questa Corte di legittimità, tra cui Sez. I n. 5364 del 13.2.1997).

Inoltre, si aggiunge che l'intercettazione non risulta viziata 'in sè' e pertanto sarebbe sempre passibile di acquisizione (ai sensi dell'arr. 507) non trattandosi di prova vietata ai sensi dell'art. 271 cod.proc.pen. . Da tale assetto, pertanto, risultano accertati alcuni dati processuali di indubbio

rilievo, sintetizzabili come segue :

a) la teste --------------- , pur escussa in dibattimento, non ha compiuto riferimento alcuno alle confidenze ricevute da ------------- , posto che nessun cenno viene operato, in motivazione, dai giudici di primo e secondo grado; b) la teste ------------ non ha mai riversato le confidenze ricevute da --------------- in un verbale di sommarie informazioni durante le indagini, posto che in tal caso sarebbe stata operata una contestazione di tali informazioni nel corso del

suo esame dibattimentale; c) la difesa del ------------- non era a conoscenza dell'esistenza di tale intercettazione telefonica - di certo rilevante come possibile elemento a carico - sino alla sua rievocazione In dibattimento (durante la fase del completamento istruttorio ex art. 507) da parte del Maresciallo -----------------;

d) la Corte aveva espressamente dichiarato inutilizzabili le intercettazioni telefoniche non oggetto di previo deposito ai sensi dell'art. 415 bis

cod.proc.pen., pur non prendendone visione perchè non depositate;

e) la stessa Corte ritiene superabile tale statuizione in sede di completamento istruttorio ex art. 507 cod.proc.pen. trattandosi di elemento di per sè legittimo e lo utilizza nel quadro ricostruttivo, con rilievo non secondario. Nel giudizio di secondo grado, la Corte di assise d'Appello qualifica il contenuto della intercettazione come una sorta di dichiarazione spontanea, rilevando che fu la ------------- a contattare il Mar. ---------------- (ed in tale parte compie un chiaro travisamento del dato probatorio) .

Attribuisce, inoltre, a tale conversazione una «pregnante valenza dimostrativa» (pag. 29 della decisione impugnata) dato che le parole della ------------- consentono di chiarire le ragioni della conoscenza dei fatti in capo a --------------- e convergono con il contributo (acquisito ai sensi dell'art. 500 co.4 ) della teste

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--------------- (di cui si dirà).

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Respinge le argomentazioni difensive, ritenendo del tutto legittima l'originaria

«selezione» degli atti compiuta dal P.M. ai sensi dell'art. 130 disp.att. cpp ed altrettanto legittimo il recupero, ai sensi dell'art. 507, della conversazione

• originariamente non depositata.

In particolare si invoca l'applicabilità della previsione normativa dell'art. 270 cod.proc.pen. (intercettazione disposta in diverso procedimento) e la particolare

ampiezza dei poteri riconosciuti dall'art. 507 al giudice del dibattimento, tale da

comportare il superamento di eventuali preclusioni o decadenze poste a carico della parte.

Da ciò deriva - secondo la Corte d'Assise d'Appello - l'assenza della lamentata

contraddizione tra l'ordinanza dichiarativa della inutilizzabilità (emessa il 6 maggio 2009) e quella acquisitiva della conversazione (emessa il 27 aprile 2010)

data la diversità dei momenti procedimentali e la particolare rilevanza a fini del decidere dell'elemento acquisito.

A parere di questo Collegio la decisione impugnata non fa corretta

applicazione delle norme processuali e dei principi costituzionali incidenti sul tema. Vanno premesse talune considerazioni di ordine generale sul rapporto esistente

tra potere di «selezione» degli atti previsto in sede di esercizio dell'azione penale dall'art. 130 disp.att.cpp , diritto della difesa a conoscere prima dell'inizio del

processo la «base cognitiva» del futuro giudizio (artt. 415 bis co.2, 416 co.2 cpp nonchè art. 111 Cost. co.2 nella parte in cui fa riferimento alla «condizione di parità» tra le parti) e poteri del giudice in punto di completamento istruttorio ex

officio (previsti dall'art. 507 cpp).

Dette previsioni di legge, ordinaria e costituzionale, vanno interpetrate in modo

unitario e congiunto, non potendosi attribuire alla previsione eccezionale dell'art.

507 una efficacia sanante di condotte determinanti un vero e proprio vizio del procedimento probatorio.

La decisione impugnata (in linea con quella di primo grado) opera infatti una impropria scissione del procedimento probatorio dibattimentale in due fasi «non dialoganti» tra loro, finendo con ipotizzare l'esistenza di un «primo» procedimento introduttivo dei mezzi di prova ad opera delle parti - sottoposto a limiti e preclusioni - e di un «secondo» procedimento probatorio ex officio del tutto sganciato e svincolato dagli eventuali vizi afferenti il primo.

Va invece ribadito che anche nell'esercizio del potere istruttorio «residuale» il giudice, pur potendo scendere sul terreno della elaborazione astratta di una ipotesi ricostruttiva (a completamento dei temi introdotti dalle parti) incontra

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anch'egli dei limiti che non sono esclusivamente correlati alla natura dell'elemento di prova da assumere (una ptova vietata in quanto tale) ma che

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possono essere correlati anche alla non rimediabilità di un vizio determinatosi

nella fase di iniziativa ad opera delle parti. Il procedimento probatorio resta unitario, pur se si caratterizza in forme diverse

• di impulso.

E non vi è dubbio alcuno circa il fatto che il mancato deposito di un elemento acquisito (sia pur ritualmente) nel corso delle indagini preliminari e disponibile negli atti detenuti dal Pubblico Ministero, ove lo stesso sia «riferibile» ai fatti oggetto di esercizio dell'azione penale, sia un vero e proprio «vizio» sanzionato con l'inutilizzabilità del dato probatorio non depositato, stante la previsione inequivoca degli articoli 415 bis e 416 del codice (del resto espressione del principio costituzionale e sovranazionale di parità delle armi ) non attenuata nè

limitata dalla previsione integrativa dell'art. 130 disp.att. cpp . Tale ultima norma, infatti, nel prevedere che «se gli atti di indagine preliminare riguardano più persone o più imputazioni, il pubblico ministero forma il fascicolo previsto dall'art. 416 inserendovi gli atti ivi indicati per la parte che si riferisce

alle perone o alle imputazioni per cui viene esercitata l'azione penale» non attribuisce, come è evidente, alcun potere discrezionale di selezione degli atti in questione, semplicemente tutelando le esigenze di segretezza investigativa relative a persone o a fatti diversi da quello per cui l'azione penale viene

esercitata. Ma l'obbligo di deposito di tutti gli atti relativi al «fatto» oggetto di esercizio

dell'azione non è minimamente intaccato, potendosi tutelare (nell'ipotesi di atto complesso ed inscindibile) l'esigenza di segretezza investigativa con lo stralcio

dell'atto medesimo e con l'apposizione da parte del Pubblico Ministero dei doverosi omissis sulle parti non divulgabili (in tal senso, tra le molte, Sez. In.

18362 del 16.4.2002, rv 221444).

Non appare un fuor d'opera, pertanto, ricordare che la Corte Costituzionale già nel 1991 (sentenza n. 145) posta di fronte a questione relativa all'ampiezza del deposito degli atti di indagine (allora previsto esclusivamente dalla disposizione dell'art. 416 co.2 cpp) in rapporto alla effettività del diritto di difesa, affermava in modo netto che «detta norma pone a carico del p.m. l'obbligo di trasmettere al giudice dell'udienza preliminare tutti gli atti attraverso cui l'indagine preliminare si è sviluppata e che concorrono a formare il fascicolo processuale nella sua interezza» e tale obbligo non può dirsi attenuato dalla previsione dell'art. 130 disp.att. «dato che detta previsione non conferisce al p.m. un potere discrezionale ..dal momento che la separazione dei fascicoli viene dalla norma collegata non ad un potere di scelta ma all' esigenza oggettiva di procedere alla

separazione dei processi in relazione all'esistenza di diversi imputati o di diverse

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imputazioni».

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La piena conoscenza - una volta concluse le indagini - degli atti raccolti dal P.M.

assume, nel vigente sistema processuale, una particolare valenza anche in rapporto alle scelte in punto di accesso ai riti «collaborativi» ed in particolare al

• giudizio abbreviato, posto che conoscere gli elementi di sostegno all'accusa

(nella loro completezza) è condizione fondamentale al fine di orientare i poteri di richiesta.

Da ciò deriva, per costante orientamento di questa Corte, la conseguenza

giuridica della inutilizzabilità dell'atto di indagine che, pur nella disponibilità «fisica» da parte del P.M. nel momento considerato (chiusura delle indagini) e pur nella «riferibilità oggettiva» al tema della imputazione, sia stato sottratto all'obbligo di deposito ( tra le molte, Sez. In. 10795 del 25.6. 1999 rv 214106; Sez. II n. 44422 del 15.10.2003, rv 226346; Sez. VI n. 33435 del 4.5.2006, rv 234335; Sez. V n. 21593 del 22.4.2009, rv 243899) non potendosi ritenere

sussistente il vizio di nullità della richiesta di rinvio a giudizio in quanto tale.

Nelle decisioni sul tema, questa Corte ha più volte evidenziato che, in tal caso, il diritto di difesa è assicurato dalla inutilizzabilità delle risultanze di cui il difensore

non ha potuto prendere cognizione per l'omesso deposito (con la sola eccezione, formulata da Sez. In. 18362 del 16.4.2002, di elementi non depositati ma in realtà favorevoli all'indagato, che si ritengono acquisibili anche successivamente, ai sensi dell'art. 507 cpp). Viene così identificato un vero e proprio «vizio» dell'atto (esistente e pertinente, ma non depositato), rapportato non già alle sue modalità di formazione (aspetto genetico) ma ad un fondamentale aspetto funzionale (la necessità del suo rituale deposito) vizio da ritenersi non meno significativo di quelli strutturali, perchè incidente sulla «parità delle armi», principio direttamente evincibile dall'art. 6 della Conv. Eur. dei Diritti dell'Uomo e tutelabile in sede sovranazionale (nella giurisprudenza Cedu si rimarca che tale principio è uno degli elementi che caratterizzano l'equità del processo, richiedendosi che a ciascuna parte sia offerta una possibilità ragionevole di presentare la propria causa in condizioni che non la pongano in una situazione di netto svantaggio rispetto alla parte awersa; tra le molte, Sez. IIn.36515 del 26.2.2002). Dunque, il tema essenziale della decisione - non essendo stata negata dai giudici del merito l'esistenza del vizio derivante dall'omesso deposito dell'atto, di certo 'pertinente' alla imputazione sollevata - diventa la pretesa «rimediabilità» della violazione attraverso l'esercizio del potere ex officio di cui all'art. 507 cpp.

L' impugnata sentenza costruisce detto potere in modo non conforme ai dati normativi ed alle circostanze di fatto.

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Non conforme ai dati normativi poichè l'art. 507 nella sua formulazione letterale

fa riferimento alla «novità» dei mezzi di prova da assumere, ma non certo intende per tale la riqualificazione di un elemento viziato.

• Vero è che la novità può essere interpretata anche in senso meramente processuale (e da qui la possibile ammissione come testi di soggetti non indicati nella relativa lista, superando non già un vizio ma una semplice decadenza) ma si tratta essenzialmente di fonti nuove perchè non ricomprese nel fascicolo processuale, che vengono peraltro sottoposte ad esame incrociato in contraddittorio, non certo del recupero di un atto (peraltro ontologicamente irripetibile) già esistente nel medesimo fascicolo e non depositato. Ed è qui che, in fatto, viene operato riferimento - in modo non condivisibile - da parte della Corte d'Assise d'Appello alla previsione di legge di cui all'art. 270 cpp, intendendo l'intercettazione di cui si tratta atto operato in «diverso» procedimento, tale da consentirne in ogni caso l'acquisizione.

Il riferimento è erroneo perchè se è vero che questa Corte di legittimità ha

ritenuto utilizzabile, al fine di acquisire intercettazioni di diverso procedimento, la «sede» dell'esercizio dei poteri d'ufficio ex art. 507 (da ultimo Sez. In.22053 del 27.2.2013, rv 256077) ciò presuppone, appunto, l'alterità del procedimento, il che svincola il procedimento acquisitivo dall'obbligo del previo deposito degli atti (in tal senso anche Sez. VI n. 30966 del 16.5.2002, rv 222574). Nel caso in esame il procedimento è lo stesso, sia ove lo si voglia intendere come

«contenitore» sia ove lo si intenda, più propriamente, come rapporto tra il mezzo istruttorio ed il fatto per cui si procede (si veda, sul punto, Sez. II n. 3253 del 10.10.2013, rv 258951, ove si è ribadito che la nozione di identico

procedimento, che esclude l'operatività del divieto di utilizzazione previsto dall'art. 270, può prescindere da elementi formali come il numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato ed impone una valutazione sostanziale, con la conseguenza che il procedimento è considerato identico quando tra il contenuto

dell'originaria notizia di reato, alla base dell'autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico). Dunque non poteva ritenersi «acquisibile» ai sensi dell'art. 507 cod.proc.pen. la conversazione telefonica di cui si sta parlando, attesa la sua natura di elemento viziato non già sotto il profilo genetico (decreto autorizzatorio), ma sotto il profilo funzionale (omesso deposito, da ritenersi dovuto, in quanto atto del medesimo

procedimento). E' significativo, sul punto, che il precedente citato dalla Corte di Assise d'Appello

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a sostegno della acquisizione (Sez. In. 5364 del 13.2.1997, rv 207815) che questo Collegio non ignora, sia antecedente alla modifica costituzionale dell'art.

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111 (adottata con l.cost. n. n.2 del 23.11.1999) e risulta ribadito, nelle

successive decisioni, solo in un caso (tra le decisioni massimate, da Sez. V n. 27370 del 23.2.2005, rv 231730) .

• Si tratta di interpretazione non condivisibile perchè basata su valorizzazioni esclusivamente finalistiche del dato normativo (natura sostanziale dell'art. 507, norma diretta alla ricerca della verità) che, pur cogliendo un aspetto reale della

intenzione del legislatore (in virtù della indisponibilità per le parti dell'oggetto del processo) non risultano, per il vero, idonee a superare - lo si ribadisce - un vizio dell'atto e non semplicemente una decadenza in cui sia incorsa la parte. Non è infatti comparabi le, è bene chiarirlo, il tema qui trattato (recupero

cognitivo dell'atto esistente ma non depositato) con l'ammissione di prove testimoniali da cui la parte sia decaduta (tema storicamente oggetto di ampie dispute dottrinali e giurisprudenzial i sull'ampiezza applicativa dell'art. 507 su cui, di recente, Sez, U. n. 41281 del 2006 ) posto che nella seconda ipotesi non vi è dubbio che si tratta di una prova (la testimonianza) derivante da atti di indagine

ritualmente depositati e portati a conoscenza dell'imputato.

In tal caso il potere di 'supplenza' ai sensi dell'art. 507 riguarda esclusivamente la possibilità di porre rimedio alla omessa indicazione in lista (dunque ad una decadenza) ma non vi è dubbio che lo stesso si pone come strumento di fattibilità del processo e si pone a 'cavallo' tra un atto legittimo (in quanto

depositato) e un successivo atto parimenti legittimo (l'assunzione della prova

orale nel contraddittorio) il che è cosa ben diversa dal pretendere il recupero di un atto di per sè viziato (perchè non depositato) e non ripetibile in dibattimento (come è una intercettazione telefonica). A tali considerazioni ,che possono così riassumersi : - l'esercizio del potere istruttorio ex officio di cui all'art. 507 cod.proc.pen. non

può ritenersi consentito al fine di recuperare al fascicolo per il dibattimento un atto ontologicamente irripetibile del medesimo procedimento dichiarato inutilizzabile in virtù del suo omesso deposito ai sensi degli artt. 415 bis e 416

cod.proc.pen.;

vanno aggiunti altri rilievi relativi alla specifica consistenza dell'atto. Qui, infatti, è legittimo nutrire dubbi sulla stessa ritualità della intercettazione intercorsa tra Il ------------ e la -------------- , non già in rapporto alla mancanza di autorizzazione alla esecuzione delle operazioni, quanto in ragione della «consapevolezza» (correttamente dichiarata) da parte del 'chiamante' ---------------- della esistenza della captazione in corso, unita alla qualità di soggetto investigante rivestita dal -------------- medesimo.

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In tal caso, infatti, finisce con il venire meno uno dei presupposti della nozione

stessa di «intercettazione», rappresentato dalla inconsapevolezza dell'ascolto da

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parte di entrambi i soggetti colloquianti , cui si aggiunge - in chiave ulteriormente

problematica - la qualità di soggetto investigante del chiamante ( si veda Sez. U. n. 36747 del 28.5.2003, rie. Torcasio ove si afferma che l'intercettazione

• 'rituale' consiste nell'apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti, estranei al colloquio, precisando ulteriormente che l'intercettazione di comunicazioni interprivate richiede, quindi, perché sia qualificata tale, una serie di requisiti, tra cui quello per cui i soggetti devono comunicare tra loro col

preciso intento di escludere estranei dal contenuto della comunicazione e secondo modalità tali da tenere quest'ultima segreta).

L'intento della segretezza, nel caso in esame, era ben coltivato dalla ----------, ma non altrettanto dal colloquiante ----------, il che porterebbe ad assimilare

l'atto in questione - al di là della esistenza materiale della traccia fonica - più ad

una informazione confidenziale ricevuta dall'ufficiale di p.g. ai sensi dell'art. 203 cod.proc.pen. che ad una sorta di «dichiarazione spontanea» (come invece

ritenuto dalla Corte di Assise d'Appello). In ogni caso, rilievo assorbente ha l'accoglimento del (primo) motivo di ricorso

relativo alla impossibilità di acquisire l'atto (al di là della sua formale

qualificazione) ai sensi dell'art. 507 cod.proc.pen. , per le suddette ragioni.

E' evidente, inoltre, che l'annullamento con rinvio della decisione impugnata consente, ai sensi dell'art. 185 cod.proc.pen., la nuova assunzione della fonte primaria, rappresentata dalla teste ----------------.

Fondato è, altresì, il terzo motivo di ricorso, nella parte relativa alle modalità

acquisitive - ai sensi dell'art. 500 co.4 e co.5 cod.proc.pen. - delle dichiarazioni

rese dalla teste --------------- in sede di indagini preliminari (verbale del 2.12.2008) .

Il profilo rilevante - ad avviso di questa Corte - riguarda non già l'esito del sub-

procedimento acquisitivo (ossia il giudizio formulato dalle Corti di merito circa l'esistenza, in fatto, di un condizionamento della teste) quanto le modalità del

suo svolgimento. Anche in tal caso va operata una premessa.

La possibile valutazione «in positivo» (come elemento di prova) dei contenuti

narrativi fissati nell'atto di indagine preliminare è tema di estrema delicatezza e di obiettivo rilievo costituzionale, dato che rappresenta una delle deroghe direttamente previste in costituzione (e solo per questo possibili) al principio per cui la prova (specie quella orale) è il risultato di attività compiuta in contraddittorio (art. 111co.4 Cost.).

La previsione derogatrice costituzionale (art. 111co.5 nella parte ove si compie

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riferimento alla provata condotta illecita) è figlia della necessità di 'autotutela'

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del sistema, nel senso che il metodo del contraddittorio non può attribuire valore

neutralizzante della portata conoscitiva del processo a condotte (illecite) poste in essere al fine di alterarne il funzionamento, condotte tese ad alterare la volontà

• del teste (peraltro gravato dal dovere di collaborare alla ricostruzione) di riferire i

fatti a sua conoscenza. La giurisprudenza costituzionale, in più occasioni , ha ribadito come I' art. 111 della Costituzione abbia espressamente attribuito risalto costituzionale al principio del contraddittorio anche nella prospettiva della impermeabilità del

processo, quanto alla formazione della prova, rispetto al materiale raccolto in

assenza della dialettica delle parti (tra le altre, ord. n. 431 del 2002).

In detto contesto, la clausola di «salvezza» rappresentata dal possibile recupero

della dichiarazione resa in sede di indagini è qui strettamente correlata - secondo gli insegnamenti della Corte Costituzionale - alla awenuta ricostruzione, in

contraddittorio, delle condotte tese ad alterare la volontà del dichiarante, condotte che devono essere necessariamente frutto dell'azione di terzi (sia pure

non necessariamente dell'imputato, come opportunamente precisato da Sez. V n. 40455 del 22.9.2004, rv 230215).

In più decisioni, infatti, (ordinanze nn. 453 del 2002, 518 del 2002, 137 del 2005

) il giudice delle leggi ha ribadito che la «provata condotta illecita» tradotta dal legislatore ordinario nella espressione «elementi concreti per ritenere che il

testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità affinchè non deponga owero deponga il falso» è presa in considerazione come «frutto» di una azione perturbatrice commessa «da altri» e

non può ritenersi integrata esclusivamente attraverso la constatazione della pretesa «falsità» della deposizione resa in contraddittorio.

Si tratta, dunque di condotta illecita posta in essere «verso» il teste e non «dal» teste (durante la deposizione) - pur se è evidente che la manifesta falsità della

deposizione può rappresentare un «indice rivelatore» di quanto awenuto -

atteso che mentre le condotte illecite poste in essere 'sul' dichiarante incidono

sulla sua 'libertà di scelta' (valore protetto dalla norma costituzionale), quelle invece realizzate 'dal' dichiarante sua sponte presuppongono quest'ultima libertà

e non risultano conformi, pertanto, alla previsione costituzionale e legislativa che

facoltizza l'acquisizione. Rileva, pertanto, l'awenuta alterazione della volontà del teste, il che può accadere per minaccia diretta o anche per «condizionamento ambientale» tale da influire, però, in modo decisivo sulla sua scelta (non certo libera) di modificare la versione resa.

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Ciò posto, il procedimento incidentale che viene descritto dall'art. 500 co.5 cod.proc.pen. è, nella sua configurazione normativa, uno strumento governato

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dalla generale previsione dell'art. 187 co.2 (ricostruzione di fatti da cui dipende

l'applicazione di norme processuali) teso a rendere possibile - senza vincolo

alcuno di pregiudizialità - la verifica in contraddittorio (data la fase processuale • in cui si inserisce) della esistenza del «condizionamento» posto in essere da altri

sul teste. Tale sub-procedimento, pertanto, può essere ritenuto non necessario solo ove sia lo stesso teste (ma è quasi ipotesi di scuola) a riferire di esser stato

minacciato o corrotto, il che legittima - in ipotesi di permanente difformità espositiva - l'acquisizione immediata dei verbali delle precedenti dichiarazioni.

In tutti gli altri casi, partendo dall'indizio costituito dalla grave «difformità dichiarativa» emersa in udienza (in tal senso Sez. In. 11203 del 2.3.2007, rv

236546, nonchè Sez. V n. 19313 del 28.1.2013 rv 255635) il giudice del

dibattimento è tenuto ad introdurre la verifica e ad offrire la massima possibilità

alla parte che lamenta l'avvenuta alterazione (l'accusa) di produrre gli elementi a

sostegno di detta ipotesi ed alla parte avversa di contraddire sulla valenza indicativa di tali elementi (ex art. 190 cpp).

Per quanto si tratti di un procedimento incidentale che non è teso (in via diretta) alla affermazione di penale responsabilità di alcuno (nè dei terzi presunti autori

della minaccia, nè dell'imputato) è comunque da ritenersi che, lì dove possibile,

gli elementi conoscitivi debbano essere raccolti in contraddittorio e sottoposti ad una possibilità di effettiva critica prima della decisione acquisitiva (che conclude la parentesi), posto che l'effetto de quo può influire - anche in modo decisivo -

sulla affermazione di responsabilità dell'imputato.

Con ciò si intende affermare che se da un lato la imprevedibilità del contegno

espressivo del teste (prima della sua assunzione) facoltizza la produzione - da

parte dell'accusa - di elementi conoscitivi di certo 'ulteriori' e diversi rispetto a quelli depositati in sede di esercizio dell'azione penale (non potendo logicamente

ipotizzarsi preclusione alcuna, data l'insorgenza della necessità in corso d'opera)

è tuttavia necessario affrontare, dato l'oggetto del ricorso, il tema delle modalità di raccolta - in tale segmento - dei dati rilevanti.

La varietà di opinioni espresse sul tema risente della natura incidentale del procedimento, della sua ridotta tempistica (senza ritardo) della primaria finalità processuale, dello standard probatorio richiesto (elementi concreti) il che ha

determinato il riferimento alla libertà di forme più volte ribadita nella presente sede di legittimità (di recente, Sez. VI n. 21699 del 19.2.2013, rv 255661).

Va tuttavia precisato che - in rapporto alla natura degli elementi prodotti - non può prescindersi dalla necessità di garantire un effettivo contraddittorio sulla produzione offerta dall'organo dell'accusa, pena la violazione dello stesso

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principio che la norma intende - in realtà - proteggere.

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Da ciò deriva la considerazione della obbligatoria escussione in udienza - con le

forme dell'esame e del controesame - dei soggetti portatori di conoscenza sulla

intimidazione (o corruzione) del teste, non potendosi ritenere sufficiente la • produzione di atti di indagine o relazioni di servizio contenenti circostanze che possono - in realtà - essere riprodotte in forma orale .

Il contraddittorio consente alle parti (e al giudice) di apprezzare, infatti, la

qualità delle informazioni in possesso della fonte, fortificando le possibilità

valutative, e resta il modello da seguire in tale fase.

E' evidente però che, lì dove si tratti di soggetti investiganti (chiamati sovente a

riferire su dichiarazioni extraprocessual i rese dallo stesso teste o da persone a lui

vicine) gli stessi potranno essere esaminati e controesaminati anche in deroga alle limitazioni previste dall'art. 195 cod.proc.pen. , non vertendo in via diretta l'accertamento de quo sulla responsabilità dell'imputato.

Ma da ciò non può trarsi una regola generale derogatoria, tesa ad escludere

l'esame e il controesame del soggetto che risulta portatore della conoscenza

rilevante.

Lì dove invece la produzione (sempre tesa all'acquisizione del verbale) consista

in elementi documentali in senso stretto, in atti irripetibili o nei risultati di

intercettazioni telefoniche o ambientali il contraddittorio va assicurato mediante la verifica di ritualità dell'atto, non potendosi consentire - in ogni caso - l'utilizzo

a fini dimostrativi (la norma de qua parla di accertamenti) di elementi affetti da

vizi genetici, e mediante la consueta attività dialettica di prospettazione circa il valore persuasivo dei suoi contenuti.

Ciò posto, risulta possibile esaminare in concreto la doglianza.

L'ordinanza dibattimentale emessa in primo grado all'udienza del 16.12.2009

ricollega l'effetto acquisitivo di cui all'art. 500 co.4 essenzialmente al contenuto

di una relazione di servizio redatta dal teste ----------- in data 23 agosto 2009, relazione prodotta dal Pubblico Ministero e contenente affermazioni della ----------

---- awenute in sede di notifica della citazione a comparire in udienza, percepite

dal verbalizzante (secondo la Corte, indicative di minacce ricevute, anche da

persone vicine all'imputato, venute a conoscenza dei contenuti resi in sede di indagini) . A ciò si aggiunge, nel quadro valutativo, il contenuto di talune intercettazioni telefoniche, i cui decreti autorizzativi risultano prodotti ed acquisiti.

Idati contenuti nella relazione di servizio risultano di certo significativi. Non risulta tuttavia che il teste ------------- sia stato escusso in udienza - nel corso del procedimento incidentale - sui fatti oggetto della annotazione redatta il

23 agosto 2009, il che - per quanto sinora detto - rappresenta una concreta

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violazione dei diritti difensivi, posto che la interlocuzione sui contenuti della

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relazione non è stata assistita dalla possibilità di rivolgere domande al teste su

ciò che è awenuto il 23 agosto 2009. Ciò porta all'accoglimento - in detta parte - del motivo di ricorso, trattandosi di

• violazione procedimentale influente sulla decisione emessa.

Non altrettanto può dirsi circa l'awenuto utilizzo delle intercettazioni telefoniche,

posto che la ritualità delle stesse risulta confermata dall'esistenza del decreto

autorizzativo emesso dal GIP, da ritenersi condizione sufficiente ai fini qui

considerati.

In sede di rinvio, restando impregiudicato l'esito della valutazione da operarsi ai sensi dell'art. 500 co.4 cod.proc.pen. andrà pertanto parzialmente rinnovato il

sub-procedimento incidentale con l'escussione in contraddittorio del teste -------- sui contenuti della annotazione prima citata. Infondati sono - invece - il secondo, il quarto, il quinto, e il sesto motivo di

ricorso, in punto di utilizzabilità degli ulteriori elementi di prova posti a carico del

----------------.

Nel secondo motivo di ricorso si contesta la validità del compendio

captativo rappresentato dalle intercettazioni di conversazioni intercorse tra -----

---- e la madre (------------) con particolare riferimento a quelle del giorno

14.2.2008 (e successivi) essendo già stata dichiarata l'inutilizzabilità (per

mancata emissione della prima proroga) delle operazioni di intercettazione

avvenute tra il 26 gennaio e il 14 febbraio.

La Corte di secondo grado ritiene che l'atto emesso dal GIP in data 14 febbraio

2008 era sì geneticamente impostato quale «proroga» delle operazioni in corso ma possedeva tutti i caratteri di una nuova autorizzazione sì da giustificare la

validità delle operazioni compiute sin dal momento del suo deposito in cancelleria, awenuto alle ore 13.30.

Ora, nel valutare i motivi di ricorso - sintetizzati in apertura - va qui osservato che il primo decreto di autorizzazione alle operazioni di intercettazione

ambientale e telefonica su ---------------- non è mai stato dichiarato inutilizzabile

(come risulta dal verbale dell'udienza preliminare del 6.5.2009, prodotto dalla difesa).

Tale circostanza è di indubbio rilievo, posto che consente di affermare che la «proroga» delle intercettazioni ambientali, intervenuta il 14 febbraio 2008 va comunque ad innestarsi nell'ambito di un procedimento acquisitivo della prova

che non è affetto da vizi «originari» .

Ciò consentiva e consente di riqualificarne il contenuto come nuovo decreto di

autorizzazione alle operazioni di intercettazione, posto che nello stesso si

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rievocano - in larga misura - i presupposti del valido atto originario

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espressamente richiamato (in tal senso Sez. I n. 15818 del 29.3.2011, rv • 249980). : In tal senso, non hanno pregio le obiezioni difensive circa l'avvenuto riferimento, • nell'atto in parola, anche ai risultati delle operazioni realizzate medio tempore e

dichiarate inutilizzabili, per l'assorbente ragione rappresentata dal fatto che il

decreto - così come qualificato - ne prescinde e si riporta alle necessità iniziali

(gravi indizi di reato e assoluta indispesabilità dell'atto a fini di prosecuzione

delle indagini).

Peraltro, anche a voler operare una valutazione sul «fatto processuale» ora per allora, va affermato che tali presupposti erano di certo esistenti, in ragione delle

anomale circostanze relative alla scomparsa del ------------ e del fatto che ------------------ potesse conversare con terzi dei fatti delittuosi, anche in virtù

dell'altrettanto «anomala» scomparsa improwisa del fratello -----------------.

Nè può ritenersi viziata la decisione di ritenere l'atto in questione valido dal

momento del suo deposito (awenuto alle ore 13.30 del giorno 14 febbraio

2008).

In tale momento l'atto, infatti, assume ufficialità ed è valido ed efficace (tra le

molte, Sez. II n. 1616 del 11.4.1996) soprattutto, nel caso in esame, ove si ponga mente alla particolare sequenza in cui lo stesso si inserisce.

Il GIP, infatti, era all'epoca convinto di operare una «proroga» di attività in

corso, il che lo legittima ad indicare l'efficacia dell'atto dal momento di

decorrenza della precedente scadenza.

Trattasi di «presupposizione» del tutto chiara, che ove si operi una riqualificazione della tipologìa di atto (da proroga ad autorizzazione) ne comporta ipso facto la caducazione (in quanto presupposizione erronea) ed il recupero

legale di validità piena all'atto del deposito, secondo la disciplina ordinaria (art. 128 cod.proc.pen.).

Altrettanto infondate risultano le doglianze circa l'ampiezza motivazionale degli

ulteriori decreti di proroga, trattandosi di atti che si inseriscono in una coerente

logica di «permanente» necessità di ricorrere allo strumento captativo nell'ambito di una indagine ogettivamente costellata di reticenze, il che esclude

la loro sindacabilità nella presente sede di legittimità.

Vanno inoltre respinte le doglianze in punto di motivazione dei decreti di esecuzione delle intercettazioni ambientali (essendo state operate le intercettazioni telefoniche tramite lo strumento tecnico della remotizzazione) risultando congrua la motivazione in punto di inidoneità degli impianti esistenti presso la Procura della Repubblica di Catanzaro contenuta nei decreti. L'esigenza

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di consentire l'immediata attivazione dei controlli sul territorio (ampiamente motivata) non era infatti garantita in ipotesi di remotizzazione in virtù di

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insufficienze tecniche degli impianti installati presso la Procura e la loro • precisazione non rappresenta una motivazione «postuma» quanto un risvolto

all'epoca non divulgato ma della cui esistenza non vi è motivo alcuno di dubitare. • 2.4.2.Infondate risultano altresì le doglianze contenute nel quarto e nel sesto

motivo di ricorso. Il ricorrente, sui punti trattati, sovrappone profili acquisitivi e

profili valutativi dei materiali raccolti dal consulente tecnico del P.M. e riproposti

in una memoria esplicativa depositata in sede di appello. Non potendo questa Corte di legittimità soffermarsi sui profili strettamente

valutativi (in rapporto alla localizzazione del ------------ quando costui riceve la

comunicazione telefonica delle ore 12.41) dato che ciò rappresenta una valutazione di merito (che risulta operata in modo non irragionevole), va qui

affermato che le paventate lesioni del diritto di difesa - sul piano della legalità

del procedimento probatorio - non sussistono. Ed invero la mancata allegazione dei tabulati delle utenze riferibili al -------------

risulta comunque sanata dalla produzione avvenuta nel corso del giudizio di

secondo grado, trattandosi di elementi aventi natura documentale.

Come è stato più volte ribadito (Sez. V n. 1025 del 17.10.2006, rv 236017) nel

giudizio di appello è consentita la produzione (qui sotto forma di allegati ad una memoria) di documenti senza che ciò comporti necessariamente l'emissione di

ordinanza di rinnovazione parziale del dibattimento, con il solo limite del rispetto

del contraddittorio tra le parti (nonchè, ovviamente, di quello derivante dalla natura del dato probatorio in rapporto alla sua pertinenza e rilevanza).

Tale limite risulta rispettato, attesa l'ampia facoltà concessa alla difesa di

visionare la documentazione e di controdedurre, rispetto - peraltro - ad un tema che risultava posto proprio dalla difesa in sede di formulazione dei motivi di

appello. 2.4.3. I n fondato è, ancora, il quinto motivo di ricorso.

L'autovettura del --------- risultava già sottoposta a sequestro quando, a

seguito di più accurata ispezione, la polizia giudiziaria rinveniva, in data 15

marzo 2008, un bossolo esploso di cartuccia calibro 7.65 e un frammento

metallico deformato.

In data 18 marzo 2008 il Pubblico Ministero convalidava la perquisizione e il

conseguente sequestro. Si tratta di tracce utilizzate in chiave di prova generica al fine di sostenere - unitamente ad altri autonomi elementi - che all'interno della vettura del ---------- si consumò l'omicidio di ---------------. Sul punto, la difesa ha sostenuto la nullità o comunque l'inutilizzabilità dell'atto

in virtù del fatto che essendo all'epoca il ------------ già iscritto nel registro degli indagati ed avendo già il P.M. assunto la direzione delle indagini l'attività non

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poteva essere compiuta di iniziativa dalla polizia giudiziaria e necessitava di • previo avviso.

L'assunto è infondato - al di là della motivazione espressa nella decisione • impugnata (cui questa Corte non è vincolata, trattandosi di questione in rito) -

perchè l'apprensione della res posta all'interno della vettura già in sequestro non può ritenersi ispezione formale (art. 246), nè perquisizione (art. 247), nè

accertamento tecnico irripetibile (art. 360) su res in sequestro .

Il sequestro della vettura, infatti, pone la stessa - nella sua interezza - a

disposizione dell'autorità giudiziaria per finalità di assicurazione probatoria e consente in ogni momento la verifica della sua consistenza e dunque dei materiali in essa contenuti, senza necessità di previo avviso.

Dunque non è esatto qualificare l'attività di semplice 'assicurazione probatoria' in

termini di ispezione o di perquisizione, posto che le norme in parola prescrivono modalità particolari (decreto motivato) in quanto trattasi di portare 'aggressione'

(in termini investigativi) a cose o luoghi che non sono già «a disposizione»

dell'autorità giudiziaria ma in possesso di terzi. Da qui la particolare cautela prevista dalle norme di riferimento.

L'avviso al soggetto indagato, pertanto, può dirsi doveroso - in simili casi - solo lì dove il compimento dell'atto implichi «modificazione» di quanto in sequestro.

Ma è del tutto evidente che l'attività di «osservazione» di quanto già in sequestro non comporta modificazione dell'oggetto, nè può ipotizzarsi che il mero 'reperimento' del bossolo consista in un atto teso a modificare la consistenza del

medesimo nè ad alterare il reperto già sequestrato (nel caso in esame l'autovettura).

Per quanto in simili casi sia consigliabile l'esecuzione di rilievi fotografici (al fine

di fissare in modo estrinseco le modalità del reperimento) non può certo ipotizzarsi l'esistenza di un divieto probatorio - almeno allo stato della vigente

normativa - nè può ritenersi assente il potere della polizia giudiziaria di

procedere di iniziativa, atteso quanto previsto dall'art. 348 co.3 cod.proc.pen. .

Da tale norma, infatti, deriva la constatazione per cui il potere-dovere della

polizia giudiziaria di assicurare le fonti di prova permane anche dopo l'intervento del pubblico ministero, al di là del contenuto di specifiche deleghe.

Non sono rilevabili vizi, pertanto, nell'avvenuta convalida del sequestro del bossolo (e di quant'altro rinvenuto nell'auto) da parte del pubblico ministero procedente.

Con il settimo ed il nono motivo, il ricorrente ha introdotto temi che riguardano la parte motiva della sentenza impugnata e la corretta applicazione di istituti di diritto penale sostanziale ricadenti nella decisione (concorso di persone nel reato, aggravante della premeditazione).

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E' evidente, sul punto, che l'esame concreto delle doglianze sarebbe stato

necessario lì dove questa Corte non avesse accolto taluno dei punti di ricorso

precedenti, tesi ad inibire l'utilizzo in chiave dimostrativa di singoli elementi di • prova.

L'awenuto accoglimento dei motivi relativi alla inutilizzabilità della

intercettazione della conversazione intercorsa tra il ------------- e la --------------, nonchè di quello (sul piano del metodo) relativo alla acquisizione ai sensi dell'art. 500 co.4 cod.proc.pen. del verbale di dichiarazioni rese dalla teste ----------- rende - come si è detto - necessaria l'introduzione della fase del giudizio di rinvio, nel cui ambito andrà operata una rivalutazione globale dei dati dimostrativi disponibili, valutazione che resta appannaggio del giudice di rinvio e che questa Corte - pena lo sforamento dei limiti ontologici della presente fase - non può condizionare.

Va però affermato, in rapporto ai contenuti delle originarie doglianze, e sia pure

in sintesi, che :

- sul piano del metodo ricostruttivo, l'assenza di prova circa lo specifico movente dell'azione delittuosa se da un lato preclude l'applicazione di norme di diritto sostanziale (ad es. l'aggravante dei motivi abietti e futili o la stessa ipotesi di cui all'art. 7 legge n.203 del 1991 nella sua componente finalistica) che incentrano il nucleo del disvalore nelle particolari ragioni dell'azione, dall'altro non può

determinare limite alcuno alla affermazione di penale responsabilità lì dove

sussistano elementi idonei a ricostruire - al di là di ogni ragionevole dubbio - la condotta tenuta dall'imputato nella fase ideativa o realizzativa del delitto;

- nel caso in esame le affermazioni operate da ------------- ed oggetto di captazione legittimamente concorrono alla formazione del convincimento

giudiziale circa il possibile coinvolgimento nell'azione delittuosa di ------------- (dato che l'identificazione del ------------- nella persona evocata unitamente a -------------- e --------------- durante i colloqui intercettati appare non inficiata da vizi, dato che - tra l'altro - il ----------- non è cugino della ----------- ma solo il fidanzato di una cugina come affermato nella decisione di primo grado a pag.69), ferma restando la necessità di comprendere in modo adeguato il ruolo in ipotesi svolto

da tale soggetto nella articolata condotta delittuosa di tipo concorsuale, anche attraverso le residue fonti dimostrative utilizzabili (e considerando che l'azione delittuosa può dirsi commessa nell'arco temporale intercorso tra le ore 12.45 - momento in cui il ------------- non si presenta all'appuntamento con ----------- - e le ore 14.30 del 19 ottobre 2007, in ragione della deposizione resa dai due testi

che videro la vettura del -------- in fiamme); - non risultano acquisiti elementi di piena smentita circa la compartecipazione materiale ai fatti del -------------, ferma restando la necessità di operare una

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accurata valutazione dei contenuti narrativi resi dalla coppia --------------- nella

parte in cui costoro non hanno menzionato l'attuale ricorrente tra i soggetti :. presenti nella vettura del ------------ nel momento dell'impatto con la loro auto, al

fine di qualificare detto elemento come irrilevante (in quanto frutto di awenuto condizionamento sulle fonti) owero influente in quanto tale sulla decisione. Va pertanto demandata al giudice di rinvio, che potrà operare - fermi restando i

limiti individuati nella presente decisione - ogni attività istruttoria, anche

ulteriore reputata necessaria, l'attività valutativa e ricostruttiva tesa a sciogliere i nodi posti dalla imputazione concorsuale.

2. Il terzo motivo di ricorso proposto nell'interesse di -------------- è fondato. Ed invero, dalla stessa imputazione si evince che la condotta di favoreggiamento ascritta alla -------- sarebbe stata commessa aiutando gli autori del delitto - dopo

il fatto - ad eludere le investigazioni dell'autorità.

Tra gli autori del delitto vi era - secondo la prospettazione di accusa - --------------, soggetto nei cui confronti non è stata esercitata l'azione penale sol perchè successivamente deceduto.

---------------- è - pacificamente - il fratello di ---------------- , il che determina

l'applicazione della causa di non punibilità prevista e descritta dall'art. 384 cod.pen., al comma 1 (l'attività di occultamento delle tracce del reato è finalizzata ad esigenze di protezione del prossimo congiunto, altrimenti esposto a rischio di privazione di libertà).

Ed invero, ponendosi nell'ottica dell'agente al momento del fatto (come è doveroso fare) questa Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare che l'esimente di cui sopra opera anche nell'ipotesi in cui la posizione processuale del prossimo congiunto destinatario dell'aiuto sia intimamente connessa a quella dei

correi (il principio è stato affermato con riferimento all'ipotesi della testimonianza

da Sez. VI n. 12600 del 19.10.2012, rv 254921, ma ha portata generale e va applicato anche all'ipotesi del comma 1 dell'art. 384 come affermato, in precedenza, da Sez. VI n. 6874 del 17.5.1993, rv 195495).

Nel caso di specie non vi è dubbio alcuno circa la ricorrenza di tale stretta correlazione tra la posizione di ---------------- e quella dei correi (di certo il -----------------, giudicato in separato procedimento) il che determina, anche al di là dei contenuti della prospettazione difensiva, l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna.

Aderendo, infatti, a quanto deciso da Sez. II n. 41461 del 11.11.2010 (rv 248927), la causa di non punibilità in parola sarebbe rilevabile anche di ufficio in sede di legittimità, il che a maggior ragione ne determina la rilevazione lì dove il tema - come nel caso in esame - sia stato introdotto ma non ben coltivato (il

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difensore fa riferimento all'ipotesi del comma 2 dell'art. 384 , lì dove risulta

applicabile il comma 1).

L'accoglimento di detto motivo risulta prioritario ed assorbe le ulteriori doglianze. 3. Il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di

Catanzaro è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi addotti.

Ed invero, come questa Corte ha già avuto modo di osservare in sede di decisione - nel diverso ma correlato procedimento - a proposito della posizione di --------------- (sentenza n. 45216 del 2013) da un lato il mancato accertamento della causale preclude la considerazione e il riconoscimento delle finalità agevolative, dall'altro la parte della norma che incrementa la valenza offensiva

della condotta (avvalersi delle condiziom) può applicarsi esclusivamente lì dove

sia stata in concreto manifestata dai soggetti agenti una particolare forza intimidatrice, correlata alla esistenza di un gruppo criminale di stampo mafioso.

Ciò non può dirsi awenuto lì dove siano - in primis - le modalità dei fatti

successivi al delitto (occultamento del cadavere e cancellazione delle tracce) ad integrare - secondo la prospettazione del ricorrente - il connotato di mafiosità, perchè si tratta di modalità non esclusive di tale contesto e perchè l'awalersi delle condizioni è fatto che deve determinare non una semplice agevolazione materiale quanto una più intensa offensività della condotta.

In tal senso, neanche il riscontro relativo alla «omertà diffusa», pure indicato dal ricorrente può rientrare, per le ragioni che seguono, nel perimetro applicativo

della circostanza aggravante. In effetti, il particolare incremento sanzionatorio previsto dal legislatore del 1991

all'art. 7 della l.n.203 (pena aumentata da un terzo alla metà/sottrazione

dell'aggravante agli effetti del giudizio di comparazione con le attenuanti diverse da quelle previste negli articoli 98 e 114) pone l'interprete nella necessità di

individuare non tanto il fondamento politico-criminale della scelta legislativa

(compito che può definirsi solo di ausilio nell'opera applicativa), quanto la

concreta dimensione fenomenica delle condotte descritte nella norma, allo scopo di evitare la maggior punizione di condotte in realtà estranee al modello tipizzato

o già altrove incriminate.

La norma, nella parte qui in rilievo, valorizza - in negativo - una particolare modalità commissiva del delitto, rappresentata dall' essersi gli agenti avvalsi

delle condizioni di cui all'art. 416 bis cod.pen. . Tali condizioni sono, per dettato normativo, rappresentate dalla forza di

intimidazione del vincolo associativo e dalla condizione di assogettamento ed omertà che ne deriva tra i consociati.

Si è ritenuto, sul punto che tale 'corno' dell'aggravante incrimini essenzialmente le condotte degli associati, espressive in concreto di una maggior valenza

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intimidatoria, o anche dei soggetti non associati (o comunque del cui inserimento

. nel gruppo non vi sia prova, si veda Sez. In. 33245 del 9.5.2013, rv 256990 nonchè Sez. II n. 38094 del 5.6.2013, rv 257065) lì dove venga espressamente evocata o comunque sfruttata in modo evidente come fattore di semplificazione

della condotta illecita (per la correlata riduzione dei poteri di reazione della vittima) la capacità intimidatoria di un gruppo criminoso.

In particolare, si è di recente affermato - in modo del tutto condivisibile - che per

ritenere integrata la fattispecie in parola {l'avvalersi delle condizioni) non è sufficiente il mero collegamento con con contesti di criminalità organizzata o la mera 'caratura mafiosa' degli autori del fatto, occorrendo invece l' effettivo

utilizzo del metodo mafioso e dunque l'impiego della forza di intimidazione

derivante dal vincolo associativo (in tal senso, tra le altre, Sez. II n. 28861 del

14.6.2013, rv 256740 e Sez. VI n. 27666 del 4.7.2011 rv 250357; ritiene

tuttavia possibile I' utilizzo implicito della forza di intimidazione Sez. II n. 37516

del 11.6.2013 rv 256659). Ora, nel caso in esame, l'azione risulta commessa - per ciò che emerso nel

processo - attraverso un espediente (il ---------- si fidava di ------------, persona che lo avrebbe attirato in una trappola). Ciò esclude un avvalersi delle condizioni, inteso quale dato manifestato e

percepito dal destinatario della condotta, ed il ricorrente sposta il piano della

valutazione su un profilo di possibile maggior libertà di azione degli agenti (in ipotesi, approfittare di un contesto di diffusa omertà, in relazione al quale

l'autore del fatto si sentirebbe più sicuro circa l'asssenza di denunzie o

deposizioni di accusa). Si tratta indubbiamente di un possibile disvalore di contesto, confermato dalle

difficoltà ricostruttive, che tuttavia sfugge del tutto alla tipicità descrittiva della

norma che, anche in virtù della sua particolare valenza sanzionatoria, richiede

l'impiego - durante l'azione - della particolare capacità intimidatoria riconducibi le

alla esistenza del gruppo criminoso.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di ------------ perchè non punibile ai sensi dell'art. 384 cp; annulla altresì la sentenza impugnata nei confronti di ------------------- e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Assise d'Appello di Catanzaro. Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale.

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Così deciso il 12 marzo 2014

Il Consigliere estensore Raffaello Magi

Il Presidente Umberto Giordano

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2 6 G IU 2014

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