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15 15 quaderni di geostrategia 2010 novembre-dicembre registrazione Tribunale di Roma n.283 del 23 giugno 2000 sped. in abb. post. 70% Roma numero 59 anno X euro 10,00 P e r c h é c r e d o n e l l a N a t o Alessandro Minuto Rizzo L a g e n d a d i P u t i n ( e i p i a n i d i M e d v e d e v ) Leon Aron Una guerra a burro e cannoni La Strategic Defense and Security Review del Regno Unito CARLO JEAN Dalla cool Britannia alla crisi nera Proposte (e speranze) per cercare la luce in fondo al tunnel PATRIZIO NISSIRIO L’età dell’incertezza Londra baratta la propria indipendenza militare con il risanamento delle finanze ANDREA NATIVI L’accordo franco-britannico non basterà Cameron e Sarkozy: ok a collaborare su portaerei, deterrenti nucleari e formazione STEFANO SILVESTRI L A G R A N D E R I F O R M A D I C A M E R O N L A G R A N D E R I F O R M A D I C A M E R O N • quaderni di geostrategia • bimestrale • quaderni di geostrategia • bimestrale • quaderni di geostrategia • risk risk

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La Fondazione liberal è nata a Roma nel 1995 intorno al mensile liberal per iniziativa di Ferdinando Adornato che propose ad alcuni protagonisti del mondo culturale, economico ed istituzionale, di fondare un think-thank, un laboratorio culturale, con il proposito di favorire lo sviluppo dei valori etici e politici del pensiero liberale laico e cattolico e di far sì che essi, dall’uomo e dalla società, si trasmettano nella famiglia, nelle comunità locali, nel sistema produttivo, nelle istituzioni pubbliche e nelle organizzazioni internazionali.

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1515quaderni di geostrategia

2010novembre-dicembre

registrazione Tribunale di Roma n.283 del 23 giugno 2000 sped. in abb. post. 70% Roma

numero 59anno Xeuro 10,00

Leon Aron

Mario Arpino

Pietro Batacchi

Claudio Catalano

Carlo Jean

Virgilio Ilari

Patrizio Nissirio

Andrea Nativi

Michele Nones

Andrea Margelletti

Alessandro Marrone

Alessandro Minuto Rizzo

Daniel Pipes

Stefano Silvestri

Andrea Tani

Davide Urso RIS

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Perché credonella NatoAlessandro Minuto Rizzo

L’agenda di Putin(e i piani di Medvedev)Leon Aron

Una guerraa burro e cannoniLa Strategic Defense and Security Review del Regno Unito

CARLO JEAN

Dalla cool Britannia alla crisi neraProposte (e speranze) per cercare la luce in fondo al tunnel

PATRIZIO NISSIRIO

L’età dell’incertezzaLondra baratta la propria indipendenzamilitare con il risanamento delle finanze

ANDREA NATIVI

L’accordo franco-britanniconon basteràCameron e Sarkozy: ok a collaborare su portaerei, deterrenti nucleari e formazione

STEFANO SILVESTRI

LA GRANDERIFORMADI CAMERON

LA GRANDERIFORMADI CAMERON

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riskriskQUADERNI DI GEOSTRATEGIA

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• DOSSIER •

Un guerra a burro e cannoniCarlo Jean

Dalla cool Britannia alla crisi neraPatrizio Nissirio

L’età dell’incertezzaAndrea Nativi

La pax franco-britannica non basteràStefano Silvestri e Alessandro Marrone

L’industria in tempo di austerityClaudio Catalano

Quale destino per il nucleare?Andrea Margelletti e Pietro Batacchi

pagine 5/41

• Editoriali •

Michele NonesStranamore

pagine 42/43

• SCENARI •

Perché credo nella NatoAlessandro Minuto Rizzo

Fame d’energiaDavide Urso

L’agenda di Putin, i piani di MedvedevLeon Aron

pagine 44/61

• SCACCHIERE •

MediorienteDaniel Pipes

EuropaAlessandro Marrone

AmericheRiccardo Gefter Wondrich

pagine 62/65

• LA STORIA •

Virgilio Ilari

pagine 66/71

• LIBRERIA •

Mario ArpinoAndrea Tanipagine 72/79

quaderni di geostrategiaS O M M A R I O

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Editore Filadelfia, società cooperativa di giornalisti, via della Panetteria, 12 - 00187 Roma.Redazione via della Panetteria, 12 - 00187 Roma.

Tel 06/6796559 Fax 06/6991529 email [email protected]

Amministrazione Cinzia RotondiAbbonamenti 40 euro l’anno Stampa Gruppo Colacresi s.r.l.

via Dorando Petri, 20 - 00011 - Bagni di Tivoli Distribuzione Parrini s.p.a. - via Vitorchiano, 81 00189 Roma

REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA N. 283 DEL 23 GIUGNO 2000

DIRETTOREAndrea Nativi

CAPOREDATTORELuisa Arezzo

COMITATO SCIENTIFICOMichele Nones

(Presidente)Ferdinando Adornato

Mario ArpinoEnzo Benigni

Vincenzo CamporiniAmedeo Caporaletti

Carlo FinizioPier Francesco Guarguaglini

Virgilio IlariCarlo Jean

Alessandro Minuto RizzoRemo PerticaLuigi Ramponi

Stefano SilvestriGuido VenturoniGiorgio Zappa

RUBRICHEArpino, Incisa di Camerana,Ilari, J. Smith, Gattamorta,Gefter Wondrich, Marrone,

Ottolenghi, Tani

Impresa beneficiaria, per questa testata, dei contributi di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni

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LA GRANDE RIFORMA DI CAMERONDopo un lungo dibattito, la Gran Bretagna ha dato il via aduna profonda riforma del proprio strumento militare, chevedrà il completamento di una prima fase nell’arco di cinqueanni, dopo di che si procederà ad una ulteriorerazionalizzazione e trasformazione, recependo gli indirizzi delnuovo governo eletto dopo le prossime elezioni politiche, perapprodare ad un nuovo assetto della difesa per il 2020.Come si conviene in un paese democratico e nel quale ladifesa e le forze armate hanno sempre avuto un ruolo moltorilevante, sia a livello politico sia presso il vasto pubblico, lariforma della difesa, ancorché resa ineluttabile dalla difficilesituazione economica, non è stata così “punitiva” come ci sisarebbe potuto aspettare considerando l’entità dei sacrificiche dovranno essere sostenuti nei prossimi anni, con unapesante riduzione della spesa pubblica e del welfare. Ciò èavvenuto per una serie di motivi, a partire dallaconsapevolezza che le forze armate sono strumentoessenziale per consentire al paese di giocare un ruolodavvero significativo sulla scena internazionale e sonoelemento fondamentale della politica estera, nonché fulcrodel rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, senza dimenticarepoi l’importanza strategica di salvaguardare il settoreindustriale della difesa, importantissimo sul pianoeconomico, tecnologico, strategico. Dalla ristrutturazione della difesa, in chiave riduttiva,deriveranno importanti conseguenze nei rapporti con ipartner, con la Nato, con l’Unione Europea e in particolarecon la Francia, potenzialmente tali da alterare equilibri erapporti consolidati, perché Londra non rinuncia al suo“posto” nella tavola dei grandi, ma non più illudersi di poteragire in splendido isolamento. E questo per un governoparzialmente conservatore non è certo una svolta facile.Va anche sottolineato il modo davvero esemplare con ilquale la questione difesa è stata affrontata nel Regno Unito:se ne è cominciato a parlare con mesi di anticipo, il dibattitoè stato molto acceso ed ha coinvolto tutti: la politica, i media,gli analisti, i vertici delle forze armate, i quali hanno espressoliberamente le proprie convinzioni, nonché l’opinionepubblica. Questo è il modo in cui in una democrazia maturasi dovrebbero affrontare temi così rilevanti. A definire ilcontesto e gli obiettivi politico-strategici della Difesa è statainnanzitutto emanato un apposito documento, la NationalSecurity Strategy (Nss) in estate, cui ha fatto seguito inottobre il suo logico complemento per la ristrutturazione delleforze armate, la Sdsr, Strategic Defence and Security Review.A questi documenti è seguito poi un Green Paper nel qualevengono definiti gli indirizzi per la politica industriale e quellidella ricerca tecnologica. Dopo una analisi e un dibattito suquesto documento di policy si arriverà alla emanazione, neiprimi mesi del 2011, di un White Paper che determinerà ilcorso della politica industriale e tecnologica della difesa per ilprossimo lustro.Davvero un esempio che dovrebbe essere assunto aparadigma da quei paesi i quali (praticamente tutti in Europa)si trovano a dover compiere analoghi interventi riduttivi delleproprie capacità militari. Magari accadesse qualcosa delgenere in Italia! Nel nostro speciale abbiamo cercato dianalizzare nel dettaglio i vari aspetti di questa “granderiforma”, il cui contenuto concreto peraltro non è semprecoerente o condivisibile e risente di condizionamentieconomici, politici e industriali e in qualche caso dimancanza di coraggio. I diversi interventi approfondisconocosa cambierà nella difesa britannica, nella politica estera,evidenziando gli aspetti militari, compresi quelli relativi aldeterrente nucleare e senza dimenticare il contestoeconomico e quello internazionale. Perché la Gran Bretagnacambia radicalmente strada e modo di rapportarsi con amici,alleati e potenziali avversari.

Ne scrivono: Batacchi, Catalano, Jean, Margelletti, Marrone,Nativi, Nissirio, Silvestri.

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per impedire ai paesi a rischio di cadere vittimedella speculazione sul debito ed essere poicostretti a misure alla disperata, come avvenutoin Grecia ed in Irlanda. In Uk, il piano di risana-mento del Premier Cameron prevede, in quattroanni, il licenziamento di 500mila impiegati delloStato; il taglio dei fondi dei vari dicasteri media-mente del 20-25%; limitazioni delle agevolazionisociali, con l’introduzione del “credito universa-le” che eliminerà talune storture dell’attualesistema britannico, cioè la cassa integrazioneguadagni di lunga durata, vero e proprio disin-centivo a cercare nuovi posti di lavoro; infine,l’aumento dell’età pensionabile da 66 a 68 anni.È ridotto anche il bilancio della difesa. Lo è peròsolo del 7,5-8%, entro i prossimi quattro anni,forse anche per l’impegno di Londra di mantene-re in Afghanistan quasi 10mila soldati fino al2015. Sul contenimento dei tagli ha certamenteinfluito la lettera del Segretario alla Difesa, LiamFox al premier Cameron - subito diffusa allastampa - in cui egli annunciava che si sarebbedimesso qualora le riduzioni alla difesa non fos-sero state limitate.

Il primo problema della sicurezza nazionale dimolti paesi - Italia compresa - è quello di mette-re in ordine i conti pubblici, porsi al riparo da unadisastrosa recessione e non fare gravare sui gio-vani l’allegra politica di spesa del passato. Però,il governo britannico giudica importante anche ilmantenimento di una capacità di proiezione glo-bale di potenza, valutata fondamentale per l’in-fluenza che l’Uk deve esercitare nel mondo, perperseguire i suoi interessi anche economici. Essacomporta anche la volontà di impiegare la forzaquando necessario e di impiegarla con la deter-minatezza che ha sempre caratterizzato la GranBretagna imperiale. È quanto afferma la Sdsr,mettendo in rilevo il fatto che, pur con una ridu-zione delle proprie capacità militari, l’Uk intendemantenere il proprio rango internazionale, deri-vante dall’essere l’alleato più affidabile degliUsa, di avere il quarto bilancio militare delmondo e di dare priorità, nella pianificazionemilitare, alle capacità corrispondenti ai settori dinicchia dove gli Usa necessitano di un maggioresupporto alleato. Ciò consente a Londra di mas-simizzare l’efficacia degli sforzi che effettua per

LA STRATEGIC DEFENSE AND SECURITY REVIEW DEL REGNO UNITO

UNA GUERRA A BURRO E CANNONIDI CARLO JEAN

l governo di coalizione del premier David Cameron, con i conservatori ed i liberal-democratici, ha dato assoluta priorità alla sicurezza finanziaria ed al rilancio dellacrescita del Regno Unito. I tagli effettuati alla spesa pubblica sono impressionan-ti. La crisi economica non impedisce nell’Uk di fare riforme strutturali, a differen-za di quanto viene affermato in molti paesi. Esse sono però indispensabili

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la difesa. L’orientamento a giocare un ruolo glo-bale è confermato dall’affermazione, contenutasempre nella Sdsr, che l’Uk rafforzerà i proprilegami strategici con i paesi dell’Asia sud-orien-tale ed orientale, dove si sta concentrando la con-flittualità mondiale. Lo potrà fare perché inEuropa è prevedibile un periodo di “pausa strate-gica”, confermata dalla “politica del sorriso” diMedvedev e Putin verso i paesi dell’Europacento-orientale. Che l’Uk possa tradurre in realtàtale orientamento “asiatico” è però alquanto dub-bio, data la netta riduzione delle capacità aerona-vali e anfibie e l’assenza di basi e di equipaggia-menti pre-posizionati. Potrà comunque farlo solocome “ausiliario” degli Usa, rispetto a cui ilgoverno di Cameron esprime l’ambizione di con-tinuare l’alleanza privilegiata, decisa dopo ildisastro di Suez nel 1956. Allora, la GranBretagna dovette ritirarsi - provocando il ritiroanche della Francia - a seguito della minacciaUsa di bloccare un prestito del Fmi, indispensa-bile per evitare il crollo della sterlina. Vi è daricordare che, dopo Suez, la Francia decise diver-samente. Avvalendosi della protezione strategicadelle difese avanzate Nato in Germania, cercò di

rendersi più autonoma strategicamente, con lacreazione della force di frappe, con l’uscita dal-l’organizzazione militare della Nato - metaforadei legami fra l’Europa e gli Usa - e con una poli-tica spesso ambigua nei confronti di Mosca.Oggi Sarkozy, con il reintegro delle forze france-si nell’Alleanza ed anche con la nuova ententecordiale con Cameron, sta invertendo tale ten-denza. Lo fa sia per il ridimensionamento delpeso francese nel mondo, ma soprattutto per iltimore che i legami sempre più stretti fra laGermania e la Russia rendano politicamente irri-levante l’asse franco-tedesco creato dalTrattatodell’Eliseo nel 1962. Gli accordi militari fraFrancia ed Uk - che dispongono globalmente del50% dei bilanci della difesa europei - svuotanoformalmente di contenuto la Csdp (CommonSecurity and Defence Policy) dell’Ue, anche se,sostenzialmente, rappresentano un’iniziativa chepotrà forse darle la consistenza che oggi lemanca. L’Headline Goal del 2010 dell’Ue e leambizioni espresse dall’Unione di voler giocareun ruolo mondiale sono ormai cadute quasi nelridicolo.

Cameron ritiene - o, almeno, dichiara diesserne convinto - che l’influenza internazionaledi Londra non diminuirà, data anche la nuovaentente cordiale con la Francia, lanciata nelSummit Cameron-Sarkozy del 2 novembre 2001.Il successo delle intese sia strategico-operativesia industriali e tecnologiche assunte dai due lea-der, dipenderà dal se e dal come verranno attua-te. Le esperienza del passato - in particolare degliaccordi fra Blair e Chirac a Saint Malò nel 1998e nel 2003 a La Touquet - indicano quanto la lororealizzazione sia difficile. Lo sono non solo per idifferenti interessi, percezioni e priorità dei duepaesi - in particolare, per l’importanza attribuitadalla Francia all’Africa e dall’Uk alle relazionicon gli Usa - ma anche per le gelosie esistenti,per la concorrenza sul mercato delle esportazioni

C’è una certa invidia neiriguardi della lungimiranzadel governo Cameron. Le drastiche misure di austerità adottate nel sociale e la salvaguardiadelle capacità militari riducono la sua possibilitàdi vincere nuove elezioni. Ma rispetto agli interessi di partito ha anteposto quelli nazionali

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di armamenti e soprattutto per la cooperazionenel campo dell’intelligence elettronica e dellacyberwar (sistema Echelon) fra il GovernmentCommunication Headquorters (Gchq) britannicoe la Nsa (National Security Agency) americana, acui la Ndsr attribuisce un’importanza centrale.Il cybercrime ed i cyberattacks sono consideratida entrambi i paesi una delle minacce più perico-lose, soprattutto a partire dal 2025. Per il lorocarattere subdolo e la difficoltà di identificazionedei responsabili, i cyberattacks, volti sia ad inter-ferire con le banche dati e le “autostrade dellacomunicazione che le collegano, sia ad effettua-re intrusioni per sottrarre dati, sono consideratedalla Sdsr aggressioni vere e proprie, analoghe aquelle effettuate da gruppi criminali e terroristi-ci. Per quanto asimmetriche, sono sempre attac-chi militari. Possono colpire gangli vitali delpaese ed aver conseguenze disastrose. Trovanoinfine un’incerta collocazione nel diritto interna-zionale, al cui rispetto la Sdsr subordina l’impie-go della forza da parte dell’Uk (forse come rea-zione all’interventismo di Tony Blair, pronto adallinearsi con gli Usa in ogni occasione). La Sdsr,così come gli altri documenti che le sono corre-lati, ad esempio la National Security Strategy(del titolo A Strong Britain in an Age ofUncertainty), the Future Force 2020 e TheFuture Character of Conflict, sottolineano che laminaccia nel cyberspazio sta divenendo centraleper la sicurezza nazionale. Vengono suggeritemisure analoghe a quelle proposte in Italiadall’On.le Rutelli e dal Copasir un anno fa e pub-blicate dal Crd della camera dei Deputati nelluglio 2010. Purtroppo sono cadute quasi nell’in-differenza generale, essendo politica ed opinionepubblica distratte dalle baruffe interne e da spet-tacolari casi di cronaca nera. In Uk vengonoinvece prese molto sul serio. La Sdsr non speci-fica la strategia da adottare. Sicuramente, essadovrebbe consistere nella combinazione di misu-re offensive e difensive. Date le specificità deri-

vanti dalla dimensione geografica dello “spaziocibernetico”, essa deve avere caratteristichediverse da quelle di ogni altra strategia, anche sedovrebbe presentare analogie con la strategia delsea power.

Elevata priorità viene attribuitadall’Sdsr all’intelligence e alle forze di sicurezzaantiterroristiche. Londra teme devastanti attacchicon armi di distruzione di massa. Dopo l’11 set-tembre, i bilanci per la sicurezza antiterrorismoin Uk sono stati quasi triplicati. La Sdsr li riducesolo marginalmente. Pone però l’accento sul con-corso che le Forze Armate di Sua Maestà debbo-no dare alla difesa civile, specie contro attacchieffettuati con armi di distruzione di massa, con-tro cyberattacks ed in caso di calamità naturali. Nella Sdsr vengono dedicati alla cybersecurityfondi aggiuntivi per quasi un miliardo di euro.Riesce difficile nascondere una certa invidia neiriguardi della lungimiranza e del coraggio delgoverno Cameron. Le drastiche misure di auste-rità adottate nel sociale e la salvaguardia dellecapacità militari riducono la sua possibilità divincere nuove elezioni. Ma rispetto agli interessidi partito ha anteposto quelli nazionali.Come risulta nella prefazione della Sdsr, firmatadal premier e dal suo “vice”, la Gran Bretagnanon rinuncia ad essere una potenza globale,anche se con mezzi più limitati, quantitativamen-te, ma non qualitativamente. La riduzione deibilanci, delle strutture e dei programmi diapprovvigionamento consisterebbe quindi in unripiegamento tattico, non in una ritirata strategi-ca e in un ridimensionamento globale del ruolodi Londra nel mondo, simile a quelli avvenuticon i ritiri prima da Aden e poi da Malta. Se ciòappare verosimile nel breve periodo, non appareperò possibile a più lungo termine.L’affermazione di Cameron è irrealistica. Il ruoloed il rango dell’Uk nel mondo dovranno necessa-riamente ridursi, nonostante la Bbc International,

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il Commonwealth ed il fatto che l’inglese sia lalingua mondiale. La Gran Bretagna divenne unagrande potenza dopo la vittoria nel 1588 control’invincibile Armada spagnola. Si trasformònella maggiore potenza mondiale dopo le guer-re napoleoniche. Con la crisi economica e finan-ziaria, Londra vedrà erodere la sua importanzadi piazza finanziaria mondiale. È dubbio ancheche possa mantenere il ruolo di junior partner -o di “vicesceriffo” - degli Usa. In Asia saràsostituita dal Giappone e, forse, dall’India. Siconclude così una parabola iniziata con la perdi-ta dell’Impero avvenuta dopo le due guerremondiali ed il disastro di Suez del 1956. Ma nonper questo sembrano accrescersi le probabilitàdi una maggiore integrazione britannicanell’Ue. E, senza l’Uk, le capacità militari euro-pee, sono patetiche. La difesa dell’Europa restaaffidata alla Nato ed a un impegno sempre menoaffidabile degli Usa. Beninteso, come sempre,Dio e il Diavolo stanno nei dettagli, che sarannoconosciuti solo a metà 2011, quando la DefenceReform Unit - organismo facente capo anche alNational Security Council recentemente costi-tuito nell’Uk - fornirà una valutazione definiti-va sui costi dei vari programmi e sulla lorosostenibilità.

Nei tagli si è data netta priorità alle esi-genze di breve periodo ed alla cooperazione congli Usa anche in Afghanistan, rispetto a quelledel lungo termine ed alla cooperazione con laFrancia e con l’Europa. In particolare, sono dra-sticamente “tagliate” le forze corazzate, indi-spensabili per dare consistenza all’impegno diintervenire a difesa dei nuovi membri della Nato,confermato dalla centralità attribuita all’art. 5del trattato del Nord Atlantico. Senza tali capaci-tà, la Nato rischia l’irrilevanza. Nell’incontrocon Sarkozy, Cameron ha precisato che gliaccordi presi non significano che la GranBretagna intenda costituire un esercito europeo.

Essi riguardano invece solo la cooperazionemilitare fra due Stati sovrani che condividonointeressi e visioni strategiche, soprattutto neiriguadi di missioni expeditionary.La Sdsr dilaziona decisioni fondamentali, soprat-tutto quella sui sommergibili lanciamissili chedovrebbero sostituire dal 2028 gli attuali quattroVanguard. Resta in sospeso anche la sorte di unadelle due nuove portaerei. Si dovrà decidere seessa sarà mantenuta in servizio, oppure messa inriserva od anche venduta. Il problema è essenzia-le per la scelta - che la Sdsr lascia in sospeso - frala c.d. “strategia marittima” - più globale ed auto-noma - e quella “terrestre” - più subordinata agliUsa e riferita anche all’intervento in Europaorientale, specie dopo che, entro dieci anni, leforze britanniche saranno ritirate dalla Germania.Per ora, i tagli sono stati praticati in grosso modoproporzionale in tutti i settori - anche se sono piùpesanti per la Marina e l’Aeronautica - formulasalomonica che presenta ovunque il vantaggio dievitare opposizioni troppo rumorose dalle lobbydelle Forze Armate (e dei settori industriali adesse collegati), che pensino di essere state piùsacrificate. L’aggiornamento della Sdsr è previsto ogni cin-que anni. Cameron è consapevole che la struttu-ra 2020 non potrà essere realizzata solo con ledisponibilità finanziarie previste dalla Sdsr,nonostante i tagli e le dilazioni di programmi inessa riportati. Si è detto perciò convinto che ilbilancio della difesa potrà essere aumentato apartire dal 2015 e che le collaborazioni indu-striali con la Francia, specie nei settori missili-stico, satellitare, degli Uav e Ucav, delle portae-rei e dei sommergibili, potrà consentire cospi-cue riduzioni dei costi unitari, addirittura del30% (a parer mio, troppo ottimistiche per esse-re credibili). Ciò dovrebbe permettere di equili-brare programmi e risorse.A parte un’alquanto improbabile forte crescitaeconomica e, nonostante, i coraggiosi tagli alla

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spesa pubblica, l’entità del contributo militarebritannico agli Usa è destinata inevitabilmente adiminuire. Perciò, gli Usa saranno più soli neldover provvedere alla sicurezza dell’Occidente.Si accresceranno le frustrazioni di Washingtonnei confronti dell’ambigua e smilitarizzataEuropa continentale. Timori sorgeranno anche daparte degli Stati scandinavi e baltici, che hannosempre contato sul sostegno britannico. Losaranno, nonostante le assicurazioni fatte daCameron ad Obama, circa la continuazione del-l’impegno britannico in Europa (le truppe ver-ranno però ritirate dalla Germania entro diecianni e le forze pesanti - veicoli corazzati ed arti-glierie - ridotti di oltre un terzo). Nonostante la riduzione, i bilanci della difesa delRegno Unito rimarranno al di sopra della sogliadel 2%, ritenuta dagli Usa la minima per un con-tributo non irrilevante alla difesa comune dellaNato da parte dei loro alleati europei. La Sdsr contiene critiche molte pesanti allagestione della difesa da parte dei precedentigoverni laburisti di Blair e di Brown, all’impo-stazione della Sdr (Strategic Defence Review) del1998 ed all’incapacità di prevedere sia i costi deiprogrammi sia i futuri impegni delle F.A. britan-niche. La seconda critica di fondo - espressa contoni quasi brutali, ben lontani dal tradizionalefair play britannico - è di aver prodotto una pia-nificazione che così definisce Cameron nella suapresentazione della Sdsr: We have been left a lita-ny of scandalous defence procurement decisions,which have racked up vast and unfunded liabili-ties, without delivering the type of equipment thatour forces actually need. Il nuovo governo eredita un divario fra impegnie prevedibili disponibilità pari a 38 miliardi disterline, superiore ad un intero bilancio delladifesa del Regno Unito. Ai laburisti vengonorimproverati anche gravi errori nella definizionedelle priorità, mantenendo molte forze corazzate(ma non ammodernate), lesinando i fondi per la

protezione delle truppe in Iraq ed Afghanistan,prevedendo la costruzione di due grandi portae-rei, prive di catapulta e di ganci di appontaggio,idonee agli F35-B, cioè alla versione Stovl delJSF, più costosa e meno efficiente della sua ver-sione convenzionale (F35-C). Le portaerei bri-tanniche verranno modificate per essere in gradodi imbarcare i Rafale della Charles de Gaullefrancese. Insomma, bocciatura secca, senza pos-sibilità di appello. La Sdsr critica, in modo quasi beffardo, la prete-sa di Blair che le forze armate di Sua Maestà deb-bano essere forze del bene, per la pace, per lasicurezza, per il benessere globale e per lo svilup-po del mondo. Cameron afferma che verrannoimpiegate solo quando siano in gioco interessinazionali, quando i benefici prevedibili sianosuperiori ai costi, quando esistano un’elevataprobabilità di successo ed una credibile exit stra-tegy e quando l’uso della forza corrisponda aldiritto internazionale (frase alquanto sibillina,data l’improbabilità che Londra intenda subordi-

La Gran Bretagna divenneuna grande potenza dopo lavittoria nel 1588 contro l’invincibile Armada. Si trasformò nella maggiorepotenza mondiale dopo leguerre napoleoniche. Con lacrisi economica e finanziaria,Londra vedrà erodere la suaimportanza di piazza finanziaria mondiale. È dubbio anche che possamantenere il ruolo di “vicesceriffo” degli Usa

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nare i suoi impegni militari con gli Usa alle auto-rizzazioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu).In un mondo incerto, complesso ed imprevedibi-le come l’attuale, caratterizzato dall’esistenza diun’ampia gamma di rischi e da rapidi mutamentigeopolitici - che dal Medio Oriente si sono este-si al sistema Asia-Pacifico. Londra si lasceràlegare le mani. Continuerà a sostenere gli StatiUniti ed a muoversi nella loro ombra. In questosenso, si sono espressi il neo-costituito NationalSecurity Council, il National Security Advisor ela National Security Strategy, riferimento baseper la pianificazione delle forze e la definizionedelle priorità. Approvata per la prima volta nelRegno Unito nel 2009, la Nss verrà aggiornataannualmente e sarà oggetto di un rapporto infor-mativo per il Parlamento. Se la Sdsr non prevedemutamenti profondi nel breve periodo, dopol’Afghanistan se ne riparlerà. Certamente verràattribuita priorità alle capacità di nicchia, in cuiesistono eccellenze britanniche o carenze ameri-cane. Si tratta, ad esempio, dell’ammoderna-mento delle apprezzatissime forze speciali bri-tanniche (Sas e Sbs), che saranno potenziate siaquantitativamente che qualitativamente, dotan-dole dei mezzi più moderni.

Le conseguenze della Sdsr vanno valuta-te contestualmente con gli accordi militari presida Cameron e Sarkozy per la cooperazione stra-tegica e delle industrie degli armamenti francesie britanniche. È paradossale che tale avvicina-mento all’Europa avvenga proprio ad opera di unMinistero conservatore, tradizionalmente euro-scettico. Londra intende conservare, anche contale decisione, il ruolo di “ponte” fra Stati Unitied Europa ed offrire a Washington qualcosa incambio per la sua continuazione della presenzain Europa e per impedire che la Nato diventi irri-levante. I punti più qualificanti dell’accordoriguardano sotto il profilo politico-strategico, lacostituzione del gruppo congiunto di portaerei, la

costruzione di un test bed per verificare lo statodi sicurezza e di efficienza delle testate nuclearie la creazione di un pool di aerei da trasporto e dirifornitori in volo e di una forza congiunta diintervento rapido di due brigate di 7.500 effettiviciascuna: una britannica, l’altra francese, con isupporti tattici e logistici necessari. Parigi eLondra parlano come Europa, di cui si sono auto-nominati rappresentanti, sotto lo sguardo seccatodi alcuni membri dell’Ue e divertito di altri, spe-cie della Germania. L’accordo franco-britannicoè molto articolato nel campo della ricerca e svi-luppo e della produzione di armamenti. Pergestirlo sarà costituito un Bilateral High LevelWorking Group. La cooperazione franco-britan-nica è stata sempre difficile anche per i legamiesistenti fra le industrie britanniche e quelle sta-tunitensi, la concorrenza con quelle francesi suimercati mondiali e lo statuto privilegiato dell’Ukper ottenere il transfer di tecnologie particolar-mente critiche, come quelle stealth. Dopo ladébâcle della cooperazione degli anni Ottanta eNovanta (l’Uk si ritirò da programmi maggioricome l’anticarro Trigat, le fregate Orizzonte e ilsatellite Trimilsatcom), i programmi concordatifra Sarkozy e Cameron sono estremamente ambi-ziosi. Quelli a lungo termine attribuiscono parti-colare importanza agli Uav e agli Ucav. È previ-sta la partecipazione britannica al programmaMace (Medium Altitude Long Endurance), ini-zialmente destinato alla sola sorveglianza e rico-gnizione, ma che, entro il 2030-35, dovrebbeessere dotato anche di capacità combat. Il suc-cesso di una cooperazione tanto stretta con laFrancia, solleverà sicuramente timori e protesteda parte delle industrie Usa degli armamenti, chehanno sempre avuto rapporti privilegiati con laGran Bretagna. È poi in contraddizione con lapriorità attribuita dai conservatori ai rapporti congli Usa, anziché con l’Europa. Però, le intesefranco-britanniche potrebbero spiazzare da unlato la Csdp dell’Ue e dall’altro la Eda

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(European Defence Agency), che sarà con-frontata con intese già assunte dai suoimaggiori “azionisti”. La Sdsr non prevede - a parte le dichiara-zioni di discontinuità rispetto alle decisionidel precedente governo, analoghe a quellefatte da Obama nei confronti delle dueAmministrazioni Bush - una modifica pro-fonda 25a di cooperare seriamente conParigi. Il ridimesionamento della Navy sembrainfine in controtendenza con la dichiaratavolontà di rafforzare i rapporti strategicicon l’Asia.La Sdsr non effettua una sceltadefinitiva fra le due strategie - quella marit-tima o quella terrestre - che erano stateampiamente discusse nei suoi lavori prepa-ratori. Alcune decisioni essenziali - comequelle sul mantenimento o la rinuncia aldeterrente strategico - sono rimandate.Nella revisione della Sdsr prevista per il2015, esso sarà centrale, anche perché l’im-pegno finanziario richiesto sarà tale dainfluire su tutti gli altri programmi. Più checonsistere in una vera e propria revisionestrategica, la Sdsr risente della necessità difar quadrare i conti, anche perché, comegiustamente afferma Cameron, “un deficitdi bilancio è anche deficit di sicurezza”. Itagli alle spese sociali sarebbero stati inac-cettabili anche alla patriottica opinionepubblica britannica, senza un ridimensiona-mento anche di quelle della difesa. La Sdsrnon è tuttavia un esercizio di sforbiciaturacontabile del bilancio spesso effettuato consuperficialità dai dicasteri finanziari. Incoerenza con le migliori tradizioni britanni-che, lascia aperta la possibilità di sceltestrategiche globali. Esse verranno precisatefra cinque anni, in relazione all’evolversidella situazione sia strategica globale chedell’economia britannica.

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poche altre il momento di incertezza che staattravesando la Gran Bretagna. C’è una perdu-rante fragilità economica che, sulla scia del rigi-do programma di austerità varato dal governo,potrebbe trasformarsi in una grave crisi sociale.Le scene di violenza urbana, che non si vedeva-no dalle dimostrazioni contro la poll tax checostarono la poltrona al premier conservatoreMargaret Thatcher, segnalano che il RegnoUnito - ancora oggi la sesta economia mondiale- si trova al momento in una fase critica, in bili-co tra ripresa e stagnazione, i cui sviluppi sonodifficili da prevedere.In una manciata di mesi tra il 2007 e il 2008, unadelle economie più dinamiche d’Europa - altaoccupazione, mercato immobiliare in galoppan-te boom, grande facilità di fare impresa - si èaccasciata sotto i colpi della crisi finanziariainternazionale, che ha avuto nella City uno deisuoi epicentri. Come dire: Dalla cool britanniaalla crisi nera. L’avvio della caduta viene di soli-to fissato al 14 settembre 2007, quando la bancaNorthern Rock, un istituto tutto sommato di

modeste dimensioni, annuncia problemi di liqui-dità e scatena una corsa agli sportelli che comeun’onda d’urto fa tremare il sistema bancariobritannico. La crisi globale del credito sbarcadunque nel Regno, travolgendo quasi tutte lebanche, provocando il massiccio intervento sta-tale nel salvataggio degli istituti (la Royal Bankof Scotland viene nazionalizzata) e, a catena,licenziamenti che nella seconda metà del 2008 -il momento ad oggi più terribile della crisi, men-tre il Regno entrava ufficialmente in recessionea gennaio 2009 - si contavano a migliaia ognigiorno. Contemporaneamente si arena il merca-to immobiliare, che in Gran Bretagna e nellacapitale in particolare aveva creato fortuneingenti nel giro di pochi anni, per chi avevasaputo sfruttarne il dinamismo. A segnalarlo, ilfatto che gli architetti, insieme agli ex addettidel settore finanziario, sono in vetta alle liste dicoloro che in quei mesi chiedono il sussidio didisoccupazione. La “cool Britannia” di TonyBlair, un modello di successo economico e dina-mismo sociale, evapora in pochi mesi.

STRATEGIE (E SPERANZE) PER CERCARE LA LUCE IN FONDO AL TUNNEL

DALLA COOL BRITANNIA ALLA CRISI NERADI PATRIZIO NISSIRIO

auto del principe Carlo colpita dalla vernice. Il volto impaurito della duchessadi Cornovaglia circondata dai contestatori. Le vetrine di Regent Street in fran-tumi. Queste immagini - traumatiche per la normalmente pacifica Londra -diventate simbolo del giorno in cui gli studenti britannici sono scesi in piaz-za per protestare contro l’aumento delle rette universitarie raccontano come

•L’

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Le vicende della politica seguono quelle del-l’economia: l’ex Cancelliere dello ScacchiereGordon Brown, diventato premier dal giugno2007, che per tutta l’era del laburista Tony Blaira Downing Street è alfiere del laissez-faire eco-nomico e predica al resto d’Europa politicheneoliberiste, si ritrasforma nel socialista delleorigini: è lui a varare un massiccio programmadi spesa pubblica a sostegno dell’economia,blindare i sussidi che il welfare (ancora moltogeneroso nonostante i tagli dell’era Thatcher)distribuisce a disoccupati e bisognosi, a ripetereper tutta la difficilissima campagna elettoraledella primavera 2010 che togliere il sostegnopubblico all’economia equivale al suicidio. Mail messaggio non passa: frustrati dalle perduran-ti difficoltà, con la ripresa che viene annunciata(anche se “debole”) ma che non si fa sentire nelportafogli dei più, poco sedotti dal grigio scoz-zese Brown, nelle urne i britannici premiano ilgiovane conservatore David Cameron, che peròè costretto a varare un raro governo di coalizio-ne insieme all’altrettanto giovane leader liberal-democratico Nick Clegg. Con una promessa:tagliare il debito pubblico nel frattempo arrivatoa 155 miliardi di sterline, un imprevedibile 11%del Pil, il più alto del G8.Cameron e il suo 39enne cancelliere delloScacchiere George Osborne mantengono imme-diatamente una promessa elettorale: quella divarare una finanziaria d’emergenza che vienedefinita «dura ma giusta... paga per il passato efa piani per il futuro» (nelle parola del ministrodelle Finanze), con il fine di eliminare il debitostrutturale entro il 2015-16. Nella marcia versoquesto traguardo, Osborne presenta i contornieconomici del prossimo futuro, e le previsionidel governo: nelle sue previsioni, l’economiabritannica dovrebbe crescere dell’1,2% alla finedel 2010 e del 2,3% il prossimo, fino a un piccodel 2,9% nel 2013. La disoccupazione viene pre-vista all’8,1% alla fine del 2010, con una disce-

sa costante fino al 6,1% nel 2015. L’obiettivodell’inflazione resta il 2% (ma a fine anno sidovrebbe attestare al 2,7%). Poi il capitolo tasse:l’Iva, che salirà dal 17,5% al 20 il 4 gennaio2011. La tassa sulle rendite da capitale resterà al18% per coloro che hanno redditi bassi e medi,ma sale al 28% per i redditi più alti. C’è poi latassa-simbolo di questa finanziaria: quella sulbilancio d’esercizio delle banche, a partire dal2011, che porterà oltre 2 miliardi di sterline nellecasse pubbliche. Per le aziende, la corporationtax scende subito al 27%, e poi dell’1% all’annonei prossimi 3 anni. Viene innalzata la sogliasotto alla quale non si pagano le tasse (880.000contribuenti diventano esentasse).

A ottobre, arrivano le “lacrime e sangue”dei tagli alla spesa pubblica annunciati già inestate: 83 miliardi di sterline, 95 milioni di euro.Il taglio più duro, e simbolico, si abbatte suilavoratori statali: quasi mezzo milione di loro acasa entro i prossimi quattro anni (l’8% di tutti idipendenti pubblici, ma previsioni di finenovembre dicono ora che saranno “solo”330.000), mentre ogni ministero, nello stessoarco di tempo, dovrà tagliare le spese del 19% inmedia. L’austerity di Osborne, la più radicaledalla Seconda Guerra Mondiale, riduce di altri 7miliardi di sterline (8 miliardi di euro, in aggiun-ta agli 11 in meno già previsti) il bilancio delwelfare cancellando i contributi ai disoccupatiche non cercano lavoro e rilanciando un dibatti-to economico internazionale nel quale alcunipaesi, soprattutto europei, puntano sull’austerityper uscire dalla crisi mentre altri, guidati dagliStati Uniti, pensano che la ripresa passi attraver-so misure di stimolo. Salvate le spese per la lasanità, la ricerca scientifica e l’istruzione e conun taglio dell’8 per cento in quattro anni quelleper la difesa, il governo Tory ha abbattutola scure soprattutto sul ministero della Cultura(-41% spese amministrative) e dell’Ambiente

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(-29%). Lo stesso Osborne si è auto-decurtato un33 per cento dei costi gestionali del ministero delTesoro. Il cancelliere annuncia poi che gli stata-li britannici andranno in pensione più tardi: a 66anni entro il 2020. Viene congelato per un annoanche l’appannaggio della Regina, mentreElisabetta II accetta che nel 2013/14 la CasaReale stringa la cinghia del 14 per cento.Duramente colpito anche il bilancio delle arti,un’industria importante in Gran Bretagna, con legrandi mostre nei musei pubblici che attiranomilioni di visitatori, mentre la Bbc sarà costretta

a fare di più con il 16 per cento in meno deifondi e dovrà pagare da sola il suo WorldService, servizio finora finanziato dal ForeignOffice, attivo in molte lingue in vari angoli delpianeta. Qualche settimana dopo, in una“review”, Osborne accentua i tagli al Welfare,ma limita quelli alla spesa pubblica.Intanto, la ripresa inizia lentamente a consolidar-

si. Tra tensioni sociali crescenti, fratture politi-che anche interne alla maggioranza di governo,il tasso di crescita dell’economia della GranBretagna nel terzo trimestre 2010 è stato confer-mato a +0,8% rispetto ai tre mesi precedenti, inbase alla seconda lettura, e a +2,8% rispetto a unanno prima, in linea con le previsioni degli eco-nomisti. Il settore trainante, al momento, sembraessere quello delle costruzioni (40% della cresci-ta dell’economia britannica negli ultimi due tri-mestri viene da qui, anche se il settore rappre-senta solo il 6% dell’intera economia nazionale).In un anno, secondo l’Office for NationalStatistics la crescita è stata del 27%, con glianalisti che notano come l’edilizia abbia recu-perato in una manciata di mesi tutto il terrenoperso durante la recessione. Alcuni fanno perònotare che questo boom è costituito per un’am-pia parte da cantieri finanziati da denaro pubbli-co (le Olimpiadi si terranno a Londra nel 2012e grandi lavori strutturali sono in corso, in par-ticolare nell’est della metropoli). Ma questaripresa non sembra coincidere con un rilanciodell’occupazione, per lo meno nelle costruzioni.Nel frattempo, nel settore manufatturiero, laproduttività è cresciuta del 7,5% rispetto a unanno fa (ma era crollata di decine di puntidurante la recessione) e dello 0,6% nel solomese di ottobre, il balzo mensile più significati-vo da marzo. Le prospettive sono tutte luci eombre: l’Office for Budget Responsibility(organismo creato da Osborne per sovrintende-re alla spesa pubblica) ha modificato le previ-sioni del ministro. La crescita per il 2010 è stata

innalzata dall’1,2% ipotizzato dal ministroall’1,8, ma quella per il 2011 è stata rivista alribasso, dal 2,3% al 2,1. Con un’avvertenza:questa crescita potrebbe non essere sostenibilenel medio termine. Relativamente buone notiziesembrano giungere dal fronte disoccupazione: itagli alla spesa pubblica, per l’Obr, risulterannonella perdita di 330.000 posti statali entro il

In una manciata di mesi tra il2007 e il 2008, una delle economie più dinamiched'Europa - alta occupazione,mercato immobiliare in galoppante boom, grandefacilità di fare impresa - si è accasciata sotto i colpi della crisi finanziaria, che haavuto nella City uno dei suoi epicentri. L'avvio della cadutaviene di solito fissato al14 settembre 2007, quando la banca Northern Rockannuncia problemi di liquidità

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2014-15 (anche se si valuta che altri 80.000potrebbero andare persi nel 2015-16. In genera-le, 350.000 posti di lavoro sono stati creati a par-tire dal primo

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trimestre del 2010. L’Obr rileva che il piano delgoverno per la riduzione del deficit segue latabella di marcia, ma Osborne e i suoi collabora-tori non vogliono correre rischi. Forse per questoil governo ha rivisto al rialzo la nuova tassa daapplicare sulle banche nazionali. Dal primo gen-naio la tassa imposta sulle banche con ricavisuperiori ai 20 miliardi di sterline sarà dello0,05% e non dello 0,04% come annunciato loscorso giugno, e che la stessa tassa portata allo0,075% dal 2012 piuttosto che allo 0,07% comeannunciato in precedenza. La nuova tassadovrebbe portare nelle casse dello stato 2,5miliardi di sterline l’anno. Il 9 dicembre, mentregli studenti mettono a ferro e fuoco Londra, arri-va una delle stangate più avversate dall’opinionepubblica: l’aumento vertiginoso delle tasse uni-versitarie. Il tetto massimo delle rette universita-rie passa dalle attuali 3.290 a un massimo di9.000 sterline e questo, in base al sistema invigore in Gran Bretagna, per il quale lo statoanticipa i soldi che poi vengono restituiti per unlungo arco di tempo, per molti studenti signifi-cherà indebitarsi per 20-30 anni. La riformanasce sulla falsariga di un rapporto, commissio-nato nel 2009 dall’allora governo laburista diGordon Brown all’ex capo della Bp LordBrowne, le cui conclusioni indicavano che tuttele rette universitarie andavano innalzate.Secondo l’Institute for Fiscal Studies, circa lametà degli studenti universitari, per un corso dilaurea di tre anni, dovrà pagare una tassa del 9%per 30 anni. Calcolando rette medie di 7.500sterline, più prestiti universitari (per chi non hadiritto a una borsa di studio), il 10% degli stu-denti che poi guadagnerà di più estinguerà ildebito in 15 anni. Ma la media, che si stima avràun reddito con il lavoro circa 49.000 sterlineannue, sarà indebitato per 26 anni.Ma al di là deidati economici, c’è lo sforzo costante dell’esecu-tivo Cameron di far digerire i sacrifici (qualcunodice che il matrimonio del principe William con

Kate Middleton fa anche parte di questa strate-gia), e farli percepire come giusti e misurati,facendo capire che ognuno fa la sua parte. Forsein questo ambito si inserisce l’iniziativa di met-tere online tutti i dati relativi a spese di oltre25.000 sterline - o, in alcuni casi, addirittura disole 500 - fatte dai ministeri del governo britan-nico: sono stati pubblicati on-line in una lista dicirca 195.000 voci nell’ambito di un nuovo pro-gramma di trasparenza. Tra le spese elencate,spiccano 55.000 sterline per rifare DowningStreet, 170.000 andate in acqua minerale e 1.000sterline pagate a una ditta che produce collari percani in diamanti finti, per aiutarla ad espandersinegli Usa. Il totale delle spese a partire da mag-gio ammonta a 80 miliardi di sterline.

Tra le voci che catturano l’attenzione vi èpoi il pagamento di 667.000 sterline da parte delministero della Giustizia al principe Carlo: si trat-ta dell’affitto per la prigione di Dartmoor che sitrova sulle sue terre. L’erede al trono ha ricevutouna cifra simile, 677.000 sterline, dall’Esercito,per l’accesso alle sue terre. Il servizio che forniscetaxi e limousine ai ministri e ai dipendenti delgoverno hanno ricevuto invece 1,5 milioni di ster-line, dei quali 123.000 dal ministero perl’Ambiente e i cambiamenti climatici. Per quantoriguarda le spese di grosso calibro, la cifra più alta,di 3,2 miliardi, è stata versata alla società di out-sourcing Capita, seguita dalla società di immobilie servizi informatici Aspire Defence, che ha rice-vuto 366 milioni e da Hewlett Packard con 284milioni. Se si transita da Londra in queste settima-ne vicine alle feste, della crisi non sembra tuttaviaesserci traccia, però. Lo shopping sfrenato nelletradizionali zone di Oxford Street, Regent Street,ma anche nel colossale centro commerciale diWestfield, continua indisturbato, e non sono statenecessarie misure come i massicci saldi anticipatiche fecero la gioia degli acquirenti dal restod’Europa durante il Natale 2008 e quello 2009.

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rimettendo i conti in equilibrio e rinviando al 2015, dopole prossime elezioni politiche, non solo una messa apunto del progetto, ma anche la definizione degli obiet-tivi a più lungo termine nonché lo scioglimento di alcu-ni nodi gordiani che per ragioni politiche non era oppor-tuno affrontare oggi, a partire dal futuro del deterrentenucleare autonomo basato su sottomarini nucleari lan-ciamissili balistici (Ssbn). Nella consapevolezza che perottenere una trasformazione completa dello strumentomilitare occorre comunque tempo, specie quando si trat-ta di intervenire sul personale o sulla politica di procure-ment (acquisizione nuovi mezzi), quest’ultima davveropoco efficace ed efficiente per troppi anni.Adispetto dei timori della vigilia, delle indiscrezioni dif-fuse dai media per tutta l’estate e dell’acceso dibattitoche ha coinvolto non solo la politica, ma anche la pub-blica opinione, la Sdsr non è stata, di per sè, così puniti-va come si temeva. Mentre ci si aspettava un taglio finoal 20% del budget militare, in realtà la sforbiciata saràinferiore dell’8% (in termini reali però) e gli interventisaranno poi spalmati nell’arco di cinque anni. Il bilanciodella difesa sarà nel 2014-15 di 33,5 miliardi di sterline,ovvero lo stesso livello del 2009, senza contare però l’in-

flazione, che al momento in Gran Bretagna corre al3,1%. Oggi il bilancio complessivo del MoD è di 37miliardi di sterline, dei quali circa 31,5 per la difesa insenso stretto. Sono tagli pesanti, non c’è che dire, perònon devastanti, specie considerando che complessiva-mente il governo vuole ridurre le spese di 81 miliardi disterline in quattro anni, aumentando al contempo lapressione fiscale.Se la Difesa è uscita relativamente bene dalla manovrafinanziaria è anche grazie alle pressioni politiche moltointense che sono arrivate da Washington, alle quali sisono aggiunte quelle della Nato. Washington è stata ras-sicurata, il suo partner europeo preferito conserveràcapacità militari significative e non farà mancare il suosupporto in Afghanistan per il prossimo lustro. In realtà a rendere più difficile la situazione c’è l’ereditadel colossale “debito” costituito dalle scelte e non sceltedei precedenti governi, che hanno sottoscritto importan-ti impegni e si sono imbarcati in ambiziosi programmisenza stabilire come pagare i relativi conti. Si tratta diuna voragine di 38 miliardi di sterline di cambiali dapagare nell’arco di un decennio, se si decidesse di pro-cedere con tutto quanto è stato messo in programma. Ma

LONDRA BARATTA LA PROPRIA INDIPENDENZA MILITARE CON IL RISANAMENTO DELLE FINANZE

L’ETÀ DELL’INCERTEZZADI ANDREA NATIVI

on la Sdsr (Strategic Defence and Security Review), il cui titolo,“Securing Britain in an Age of Uncertainity” è già più che significativo, ilgoverno di David Cameron ha definito gli indirizzi della difesa britannicaper i prossimi cinque anni, chiarendo che quello in corso è solo un primopasso per impostare il nuovo assetto del dispositivo militare per il 2020 •C•

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come ha chiarito il ministro della Difesa Liam Fox,diversi programmi avviati in passato dovranno esseredrasticamente ridimensionati, posticipati o addiritturacancellati tout court. In questo senso non mancano nellaSdsr le scelte drastiche, non tutte condivisibili. Ma datoche tutto non può essere mantenuto e a qualcosa bisognarinunciare, ebbene la Sdsr ha il coraggio di compierealcune di queste scelte. Dove invece il coraggio è man-cato, è nel tipo di modello complessivo delineato cometraguardo per il 2020.

Nel corso delle discussioni pre-Sdsr gli analistihanno dibattuto con franchezza anche le ipotesi più ardi-te, mentre gli esponenti delle singole forze armate hannodifeso con ferocia il proprio orticello, non facendo affat-to gioco di squadra per proteggere l’insieme da decurta-zioni troppo pesanti, ma al contrario scatenandosi persalvaguardare solo la propria forza armata, a discapitodelle altre. E nel farlo… si sono tolti i guantoni. Cosìad esempio si è ventilata l’ipotesi di scioglierel’Aeronautica, la Royal Air Force, oppure di trasferirei Royal Marines dalla Marina all’Esercito o persino diridurre la Royal Navy ad una forza costiera. E senzaarrivare a queste ipotesi estreme, si è approfondita ladiscussione su quali ruoli e missioni debbano esserecompetenza di ciascuno, nella consapevolezza chemolti analisti civili considerano superata la tradiziona-le separazione in forze di terra, cielo e mare che difatto, sempre più spesso, almeno dal punto di vista del-l’impiego, diventano un unicum. In qualche paesel’unificazione interforze è già una realtà più o menocompleta. In Gran Bretagna alla fine le tradizioni e lecorporazioni hanno prevalso e la Sdsr, pur spingendoin qualche campo su soluzioni “interforze”, che peral-tro erano già realtà in diversi settori, ha preferito salva-guardare l’impostazione tradizionale e procedere piut-tosto ad una serie di tagli orizzontali, togliendo qualco-sa a tutti, ma non al punto di comprometterne la ragio-ne d’essere. Ecco quindi che le nuove forze armate cheusciranno dalla applicazione della Sdsr saranno similia quelle attuali, solo un po’ più piccole.E qui si concentra lo sforzo della Sdsr: si rinuncia ad

alcune capacità, si riduce la scala delle operazioni mili-tari sostenibili, ma si cerca di preservare, a livello strate-gico, quanto più possibile, anche se prima di arrivareall’assetto definitivo si potranno verificare “buchi” insettori molto importanti, compresi quelli connessi allacapacità di proiettare potenza militare all’estero, chepotranno perdurare anche per un decennio prima dipoter essere colmati. È anche evidente la volontà diescludere dai tagli, per quanto possibile, la componenteterrestre prima delle altre e, in generale, di ridurre lestrutture territoriali e di supporto, in modo da sacrificarela “coda” più che i “denti”. Fino ad un certo punto que-sto consentirà di non rinunciare troppo alle capacitàexpeditionary, con una chiara priorità strategica: per iprossimi cinque occorre sostenere la partecipazione allamissione Isaf in Afghanistan, il che si traduce in prepa-rare, equipaggiare e inviare in teatro 20mila uominiall’anno, considerando i livelli attuali. E, coerentemen-te, si interviene sul sistema difesa nel suo complesso:strutture centrali e periferiche, supporto, personale civi-le e militare, mezzi e ammodernamento e conseguente-mente si ridimensionano le ambizioni militari. Ovverodo meno alle forze armate e quindi non posso chiedereloro di fare quello che facevano prima. Il risultato dovrebbe essere un complesso in grado dicondurre un’operazione di imposizione della pace atempo indeterminato a livello brigata, con 6.500 soldatie supporti aerei e navali, avendo forze residue per effet-tuare simultaneamente una operazione non temporaneacombat con 2.000 soldati nonché una operazione piùfacile impegnando altri 1.000 uomini. In alternativasarebbe possibile condurre, ma solo per un periodo limi-tato, una missione combat su vasta scala, previo appron-tamento delle forze, schierando fino a 3 brigate e untotale di 30.000 uomini, ovvero 2/3 del pacchetto diforze impegnato nel 2003 in Iraq nel corso della opera-zione Telic, ma la metà di quello messo in campo duran-te la prima guerra del golfo nel 1991. Di certo non sono molti i paesi in grado di fare realmen-te altrettanto, perché molti dichiarano capacità che esi-stono solo sulla carta. Per di più l’obiettivo della Sdsr èquello di mettere le proprie truppe in condizione di ope-

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rare insieme a quelle degli alleati ed in particolare aquelle statunitensi, mantenendo quindi standard tecno-logici e qualitativi molto elevati. Ed è evidente che nelformulare la sua Sdsr Londra abbia tenuto conto delladirezione intrapresa dagli Usa nel riformare le proprieforze armate. La Gran Bretagna punta al massimo livel-lo di integrazione possibile, al punto da sposare le teoriedi Washington sulla controguerriglia, l’importanza dellaminaccia terroristiche o del cyberwarfare.Basta pensare alla struttura delle forze, basate su diffe-renti livelli di prontezza e sull’impiego “ciclico” deireparti, in modo da poter effettuare anche sforzi prolun-gati nel tempo, dando al personale tempo per riprender-si e riaddestrarsi tra uno spiegamento e l’altro. In parti-colare si prevede che una aliquota delle forze sarà sem-pre in azione, si tratti di reparti in Afghanistan (o altro-ve), dei caccia della difesa aerea, delle forze che proteg-gono le Falklands (alle quali sono fatti diversi riferimen-ti nel momento in cui i rapporti con l’Argentina stannotornando a farsi difficili sulla sovranità delle isole ogget-to di una vera guerra nel 1982) o dei sottomarini deldeterrente nucleare. Una seconda porzione di forze saràcostantemente ad elevata prontezza operativa (cosamolto costosa) mentre una terza aliquota sarà a bassaprontezza, perché comprenderà unità appena rientratedopo un periodo in missione oppure in addestramento. Per quanto riguarda il personale, nel giro di un lustro leforze armate perderanno: 5.000 elementi nella Marina,che scenderà a 30.000 e successivamente a 29.000uomini/donne, 7.000 nell’Esercito, che passerà a95.000 e quindi a 94.000 e 5.000 nell’Aeronautica,che si ridurrà a 33.000 e quindi a 31.500 effettivi.Come si può notare l’Esercito è quello che farà menosacrifici in termini percentuali Contemporaneamenteanche i civil servants diminuiranno considerevolmen-te, da 85.000 a 60.000, con un taglio di ben 25.000posti di lavoro. Complessivamente la difesa contribui-rà quindi con quasi il 10% alla riduzione di quasi500.000 posti di lavoro nel pubblico impiego annun-ciati dal governo. Ancora da definire invece il futuro delle prezioseforze di riserva, che dovranno sempre più integrarsi

con quelle in servizio attivo, fornendo capacità impor-tanti, soprattutto nel campo del supporto e del suppor-to al combattimento che magari non è necessarioavere sempre a disposizione, ma che è cruciale potermobilitare in fretta quando occorre. Whitehall ha ini-ziato uno studio per determinare consistenza e ruolo diquesta componente, che dovrebbe essere sempre pre-sente dove esistono forze armate professionali (ed infat-ti in Italia non esiste). Per ridurre i costi strutturali sarà effettuato un draconia-no sforzo per portare basi e comandi alla soglia indi-spensabile e saranno riportati in patria circa 10.000 sol-dati ancora schierati in Germania, una reliquia dellaGuerra Fredda, che era anche legata al ruolo guida cheLondra aveva mantenuto nel comando di reazione rapi-da Nato, Arrc. Il ritorno di queste truppe permetterà diutilizzare basi domestiche che altrimenti avrebberodovuto essere chiuse, ma richiederà anche trasferimentidi reparti e adattamenti. Quanto ai comandi, ci paraltrosarà un solo comando divisionale “proiettabile” ed unsecondo, responsabile per la preparazione delle truppeed eventualmente attivabile per l’impiego all’estero,oltre al comando Nato Arrc, che avrà però meno suppor-to. Verranno sciolti tre comandi divisionali amministra-tivi, un quarto sarà trasformato in comando dei suppor-ti, saranno anche sciolti almeno 2 dei 10 comandi di bri-gata regionali.Per quanto riguarda i programmi di ammodernamento,in attesa di una generale revisione del sistema del procu-rement, di fatto si “congelerà” ogni nuova iniziativa,fatte salve le esigenze urgenti delle truppe impegnate neiteatri operativi, che comunque già assorbono una fettaconsistente degli stanziamenti, mentre si procederà aduna revisione complessiva dei programmi in corso,alcuni dei quali saranno cancellati o ridotti e parallela-mente si ritireranno anticipatamente dal servizio mezzie sistemi che in teoria potrebbero rimanere in lineaancora a lungo, in qualche caso essendo stati appenaconsegnati. Questo consentirà di ridurre la spesa sia perl’ammodernamento, sia per l’esercizio. Però non saràuna operazione né semplice né indolore, perché quandoil ministero decide di rescindere un contratto, si tratti di

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acquisizione o di manutenzione, necessariamente devepagare penali, che in qualche caso saranno così salate daridurre, anche significativamente i risparmi di spesa pre-visti. Perché la “missione” del MoD consiste nel riusci-re a eliminare impegni di spesa già sottoscritti per untotale di 10 miliardi di sterline nell’arco di un lustro,mentre altri 4,3 miliardi devono essere ottenuti attraver-so operazioni di messa in efficienza che non tocchino leforze operative. Non sarà facile.E su un tema cruciale, quello del nucleare, si è deciso dinon decidere, rinviando al 2015 la scelta sul futuro deldeterrente, basato su quattro Ssbn classe Vanguard.Intanto si ridurrà il numero dei missili e delle testate,risparmiando così risorse notevoli che consentiranno dirinviare il ritiro per anzianità del primo sottomarino al2028.Per quanto riguarda l’Esercito, il grosso delle forzeoperative sarà risparmiato: invece di 6 brigate da com-battimento ce ne saranno 5, mentre è stata anche salvatala 16a brigata da assalto aereo. Le nuove brigate, ciascu-na delle quali conterrà 6.500 soldati, avranno una strut-tura flessibile, saranno piccole task force complete diogni componente, che potranno contare su carri armati e

mezzi da combattimento della fanteria, fanteria legge-ra, artiglieria, mezzi da ricognizione, unità del genio,delle trasmissioni, logistiche, intelligence e sanità. Nonavranno quindi bisogno di attingere mezzi o personaleda altre unità dell’esercito, però i loro organici sarannorinforzati con elementi del Territorial Army. Il pianoprevede che una delle 5 brigate sia sempre pronta perl’impiego, con le altre 4 attivabili per dargli il cambioin caso di operazioni di lunga durata, come sta acca-dendo in Afghanistan ed in precedenza anche in Iraq.Per quanto riguarda i mezzi e gli armamenti, vengonoconfermate le iniziative nel campo del munizionamen-to guidato di precisione, il rinnovo della linea dei vei-coli corazzati e di supporto, l’ammodernamento dellaflotta elicotteri da attacco e trasporto e il potenziamen-to delle capacità di sorveglianza e guerra elettronicaanche attraverso velivoli senza pilota. Vengono invecesacrificate le componenti “pesanti”: i carri da battagliaChallenger 2 si ridurranno del 40%, da 386 (in parte inriserva) a 231 mentre i semoventi d’artiglieria AS90

scenderanno da 178 a 115, il 35% in meno.

Se l’Esercito quindi se la cava relativamentebene, così non si può dire per Marina e Aeronautica, i cuicapi di stato maggiore si sono detti “scioccati” dall’enti-tà dei tagli subiti. Questo porterà a nuovi furibondi scon-tri tra forze armate quando le linee guida della Sdsrdovranno essere tradotte in disposizioni concrete e didettaglio. Ed è auspicabile che il vertice politico inter-venga per impedire che un’aperta dialettica e la rivalitàtradizionale si trasformino in faide che compromettereb-bero la solidità complessiva delle forze armate.L’Aeronautica subisce tagli pesantissimi, sia in terminidi personale, sia di mezzi. Il colpo più pesante riguardail ritiro anticipato dal servizio della linea di cacciabom-bardieri a decollo/atterraggio verticale Harrier Gr.9,gestita, con una coabitazione difficile, insieme allaMarina, visto che questi aerei operano anche da unitàportaerei. Gli Harrier saranno messi a terra praticamen-te fin dalla primavera del 2011 e questo dovrebbe con-sentire di risparmiare 900 milioni di sterline.L’Aeronautica, costretta a scegliere tra Harrier e i caccia-

In Gran Bretagna alla fine letradizioni e le corporazionihanno prevalso e la Sdsr, purspingendo in qualche camposu soluzioni “interforze”, hapreferito salvaguardare l’impostazione tradizionale eprocedere ad una serie di tagliorizzontali, togliendo qualcosaa tutti, ma non al punto dicomprometterne la ragioned’essere. Le nuove forze armatesaranno simili a quelle attuali,solo un po’ più piccole

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bombardieri Tornado, ha optato per questi ultimi, che tral’altro forniscono il supporto alle truppe in Afghanistan.La consistenza della flotta Tornado, che oggi conta com-plessivamente 120 aerei, si andrà progressivamente aridurre di oltre il 50%, a una sessantina di macchine. Ilfulcro della forza aerea sarà rappresentato da 160 caccia-bombardieri Typhoon (in ordine sono 184, ma 24 vannovenduti all’Arabia Saudita), che diventeranno semprepiù “multiruolo”, anche al costo di perdere la standardiz-zazione con gli altri paesi europei che impiegano lo stes-so aereo (Germania, Italia, Spagna, Austria), come pur-troppo era già accaduto proprio con i Tornado, rinun-ciando ai vantaggi logistici e operativi derivanti dall’uti-lizzo di aerei se non identici, almeno molto simili.Altra novità eclatante riguarda l’acquisizione dei caccia-bombardieri “invisibili” statunitensi F-35. La GranBretagna pensava di ordinarne 140, nella versione adecollo atterraggio verticale F-35B. Ora si è deciso inve-ce di puntare sulla versione “navale” statunitense, la F-35C, che è molto più bombardiere che caccia e che offremaggiore raggio d’azione (1.100 km) e carico bellico,ma meno manovrabilità e decolla e atterra in modo con-venzionale. Non si sa ancora quanti saranno gli aereiordinati, dovrebbero aggirarsi tra i 70 ed i 100. Questiaerei saranno gestiti nuovamente in una forza combina-ta aeronautica/marina. I piani a lungo termine prevedo-no poi l’introduzione in linea di velivoli senza pilota dacombattimento, che a tempo debito rimpiazzeranno iTornado, in tandem con i Typhoon. E l’Aeronautica con-tinuerà ad investire in armamenti di precisione.

Ridimensionamento anche per la linea dei veli-voli da trasporto, che si baserà su 22 (invece di 25) aereida trasporto europei A400M, su 7 aerei da trasporto stra-tegico C-17 e fino a 14 aerei da trasporto/cisterne A330di nuova produzione che rimpiazzeranno i Tristar e iVC-10, in pensionamento dal 2013. Saranno anche riti-rati con 10 anni di anticipo, dal 2022, tutti i C-130J inservizio, Confermata invece la acquisizione di 12 elicot-teri da trasporto pesante CH-47F Chinook, per potenzia-re una flotta che comprenderà anche i Puma aggiornatie gli AW-101 Merlin. Clamorosa la decisione di man-

dare in pensione, non appena finirà l’impegno inAfghanistan i velivoli per la sorveglianza terrestreSentinel, 5 macchine nuove di trinca, visto che sonoentrate in linea solo dal 2008, il tutto per ottenere unrisparmio di 500 milioni di sterline. In compenso saran-no aggiornati gli aerei radar da sorveglianza Awacs esaranno acquistati 3 aerei spia Rivet Joints, nonché ulte-riori velivoli senza pilota. Era invece attesa la decisionedi rinunciare, dopo aver già investito 3,6 miliardi di ster-line, alla messa in servizio dei 9 velivoli da pattuglia-mento marittimo Nimrod Mra 4, uno solo dei quali con-segnato. La Gran Bretagna perderà così una preziosacapacità di sorveglianza e lotta ai sommergibili, che adispetto di quel che dice il ministero, non può esserecompensata da navi, sottomarini elicotteri e velivolisenza pilota e che certo non è di secondaria importanzaper paese insulare che dipende per la sua sopravvivenzadai traffici marittimi.Infine, la Marina. Se la forza armata per ora mantiene isuoi 4 sottomarini nucleari strategici, si vede costretta asacrificare moltissimo per difendere i due programmipiù importanti: quello per i sottomarini nucleari d’attac-co classe Astute, che comprenderà 7 unità, e quello perle grandi portaerei da 65.000 tonnellate, che riguardadue unità, la Queen Elizabeth e la Prince of Wales. Laprima entrerà in servizio nel 2016 come unità… portae-licotteri, senza aerei imbarcati e sarà immediatamentemessa “in naftalina”. La seconda invece sarà pronta nel2020, ma allestita come portaerei convenzionale, concatapulte e cavi d’arresto, destinata ad imbarcare i bom-bardieri F-35C, normalmente 12, con la capacità di sali-re fino a 36. Il fato della prima portaerei non è chiaro.Potrebbe essere venduta, oppure, cosa improbabile, allafine trasformata a sua volta in portaerei convenzionale.È chiaro comunque che se ci sarà una sola portaerei, nonsempre questa potrà essere disponibile a causa dei cilicilavori, ammodernamenti, attività addestrative. E vistoche al contempo è stato deciso di ritirare dal servizio dal2011 la piccola portaerei Ark Royal, fino al 2020 Londranon avrà portaerei. E vedrà anche ridursi la capacitàanfibia, perché sarà ritirata dal servizio anche una por-taelicotteri da assalto anfibio, da scegliere tra la Ocean o

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la Illustrious, così come si fermerà una delle quattronuove unità da supporto anfibio classe Bay e ancora unadelle unità da assalto anfibio andrà in riserva..Le altre “perdite” riguardano il pensionamento immedia-to di 4 fregate lanciamissili Type 22 Batch III Cornwall,riducendo poi la linea cacciatorpediniere/fregate a 19unità contro le 24 attuali. Solo dopo il 2020 entreranno inlinea nuove fregate classe Type 26 per rimpiazzare leodierne Type 23. Ci saranno poi 12 cacciamine tra Hunt eSandown che in futuro saranno sostituite da unità poliva-lenti in grado anche di svolgere rilievi idrografici o mis-sioni di pattugliamento. È rimasta infine intonsa la forzaanfibia a livello di brigata dei Royal Marines, la 3dCommando, con la capacità di impiegare un contingentefino a 1.800 uomini. Ci saranno poi riduzioni nel numerodi elicotteri, compresi i Merlin ed i nuovi Wildcat in corsodi acquisizione.

Non viene toccata poi la componente “strategica”delle forze speciali, impegnata allo spasimo su ogni fron-te e che anzi ha qualche problema di reclutamento. Non èdetto che invece non subisca una riduzione la strutturadelle forze speciali di riserva. La Sdsr infine non prevedesolo cure dimagranti, c’è anche la creazione di una nuovacapacità: il Dcog, Defence Cyber Operations Group, chesi occupera del cyberwarfar, non solo difensivo, ma ancheoffensivo per l’intera comunità. Il progetto sarà finanziatocon 650 milioni di sterline nell’arco di quattro anni. InoltreLondra investirà di più nel settore spaziale, nel quale inpassato è stata (quasi) assente potendo accedere ai “pro-dotti” gentilmente forniti dagli Usa. Un aspetto poco trat-tato della riforma della difesa britannica consiste neglieffetti che potrà avere sul mercato degli armamenti. Da unlato il governo inglese ha già detto che farà di tutto permantenere la competitività della propria industria, in ter-mini di tecnologie e prodotti e ne sosterrà gli sforzi dipenetrazione nel mercato export. Dall’altro Londra si tro-verà ancora una volta con depositi, basi, arsenali zeppi disistemi d’arma ed equipaggiamenti che sono stati poco opunto sfruttati, relativamente moderni, con tecnologiespesso allo stato dell’arte e con grandi stock di pezzi diricambio per sostenerne il funzionamento nel medio-

lungo termine. È evidente che la Gran Bretagna cercheràdi piazzare questo “usato di qualità” e i “clienti” potenzial-mente interessati non mancano, perché in molti casi è pos-sibile fare ottimi affari. L’alternativa del resto consiste neltenere questi sistemi nei depositi, spendendo soldi per evi-tarne il decadimento, ma senza far nulla per compensarnela progressiva obsolescenza tecnologica. Probabilmentetroveranno un acquirente le fregate, le navi da assalto esupporto anfibio, le portaeromobili, così come i velivolida trasporto C-130J e magari gli stessi Harrier, macchineinteressanti per i tanti paesi che hanno piccole portaero-mobili/portaelicotteri (India, magari Brasile, Corea delSud, Giappone etc.), per non parlare dei nuovissimi veli-voli Astor che potrebbero interessare la Nato o un qualun-que altro Paese che desidera una capacità nel settore e nonha molti soldi (anche l’Italia sarebbe bene ci facesse più diun pensierino). In genere i mezzi da combattimento terre-stri pesanti britannici non hanno molto successo sul mer-cato export, ma se si tratta di fare un affare paesi del mediooriente o del golfo che tradizionalmente si approvvigio-nano nel Regno Unito, come la Giordania, potrebberofarsi sotto. Le forze armate britanniche post Sdsr saran-no ancora tra le più agguerrite e capaci a livello Nato,anche se in termini quantitativi/capacitivi forse sarà laFrancia ad ottenere la leadership militare europea.Londra dovrà rinunciare al sogno di poter condurreautonomamente operazioni militari ad alta intensità, suvasta scala e con durata significativa… e farà bene apotenziare la guarnigione alle Falklands, le cui riserve diidrocarburi la rendono ancora più interessante perl’Argentina di quando erano note solo per il freddo e lepecore. La Gran Bretagna avrà ancora una certa autono-mia nel caso di crisi o situazioni “minori”, ma dovrà perforza appoggiarsi agli Usa o ad altri alleati, con occhiodi riguardo per la Francia, per le missioni più impegna-tive. Semplicemente Londra non avrà alcuna capacità invari settori, come la difesa antimissile, il pattugliamentomarittimo e per almeno un decennio non potrà proietta-re forze aeronavali, ma solo anfibie e in misura ridottarispetto ad oggi. La nuova difesa britannica non saràquindi “dimezzata”, però dovrà rinunciare alla sua indi-pendenza, che peraltro era da tempo solo teorica.

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svilupparsi anche in una dimensione europea comune.Oggi le ambizioni sembrano ridotte al solo rapportobilaterale e a pochi progetti significativi, ma dobbiamoprevedere comunque importanti implicazioni per lacooperazione europea nel settore della difesa, in parti-colare quella industriale. I due accordi siglati a Londra, lo scorso novembre, daDavid Cameron e Nicolas Sarkozy affrontano sostan-zialmente tre punti. La condivisione delle rispettiveportaerei, da cui potranno operare le forze aeree dientrambi i paesi, con l’obiettivo nel lungo periodo direalizzare una task force congiunta. La collaborazionetra i rispettivi deterrenti nucleari, le cui simulazioni diperformance saranno condotte dal laboratorio francesedi Valduc, mentre le attività di ricerca saranno svoltecongiuntamente nel centro britannico di Aldermaston.La progressiva formazione di una forza militare “expe-ditionary” congiunta di circa 5mila uomini, in grado dicondurre operazioni ad alta intensità, che sarà disponi-bile anche per missioni Nato, Ue, Onu e per operazio-ni con altri paesi alleati. Oltre a questi tre elementi, l’accordo comprende puntiimportanti per la cooperazione su diversi programmi di

procurement e sviluppo di capacità militari. Ad esem-pio, Francia e Gran Bretagna si sono impegnate a svi-luppare un piano congiunto di supporto alla futura flot-ta di aerei da trasporto A400M, che comprenderàmanutenzione, logistica e addestramento. Sempre incampo aeronautico, i due paesi hanno deciso di lancia-re nel 2011 una valutazione congiunta degli UnmannedAir Systems per preparare future acquisizioni, e condi-videre i costi di sviluppo, supporto e addestramento. Inprospettiva, la cooperazione riguarderà anche la nuovagenerazioni di droni da combattimento da sviluppareverosimilmente dal 2012. BAe Systems e Dassault sisono già dette pronte a presentare proposte. Riguardo asistemi d’arma complessi come i missili l’accordoinclude un piano decennale di cooperazione, volto adaumentare efficienza ed interdipendenza della baseindustriale attraverso una serie di programmi congiun-ti, che potrebbe comportare cambiamenti importantianche per la multinazionale europea leader del settore,Mbda. Infine, studi congiunti su possibili cooperazioniindustriali sono stati avviati per quanto riguarda lenuove generazioni di sottomarini nucleari e di satellitiper comunicazioni. Francia e Gran Bretagna si sono

CAMERON E SARKOZY: OK A COLLABORARE SU PORTAEREI, DETERRENTI NUCLEARI E FORMAZIONE MILITARE

LA PAX FRANCO-BRITANNICA NON BASTERÀDI STEFANO SILVESTRI E ALESSANDRO MARRONE

otrà la difesa europea cominciare dall’accordo tra Francia e Regno Unito?Non è la prima volta che i due paesi percorrono questa strada, anche se iltentativo precedente, siglato a Saint-Malo da Tony Blair, Jacques Chirac eLionel Jospin nel 1998, non ha prodotto i risultati sperati. Allora i duepaesi preconizzavano una cooperazione a tutto campo che avrebbe dovuto

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anche impegnate per finanziare ciascuna con 50 milio-ni di euro l’anno attività congiunte di ricerca e svilup-po su dieci aree prioritarie, che includono comunicazio-ne satellitari, velivoli senza pilota, sistemi navali edsistemi d’arma complessi. Per la Gran Bretagna restada vedere come questa rafforzata cooperazione indu-striale si combinerà con lo stretto rapporto tra Londra eWashington, per quanto riguarda la cooperazione indu-striale nella difesa e il trasferimento di tecnologie sen-sibili, oggetto tra l’altro di un trattato bilaterale recente-mente ratificato. Il “pooling&sharing” di assets, cioè lamessa in comune e condivisione di capacità militari, èsenza dubbio un modo utile per preservare le capacitàmilitari dei due paesi - che insieme rappresentano il44% della spesa militare europea - in tempi di tagligeneralizzati ai bilanci della difesa. In quest’ottica l’ac-cordo ha ricevuto l’incoraggiamento dei capi di stato edi governo della Nato durante il recente vertice diLisbona, considerando che il pooling&sharing diassets dovrebbe rendere le capacità militari - conven-zionali e nucleari - dei due paesi più efficaci ed efficien-ti. Un altro effetto positivo dell’accordo consiste nel-l’aumentare l’interoperabilità delle forze armate, equindi la loro efficacia nel quadro delle diverse missio-ni multilaterali Ue o Nato cui partecipano Gran

Bretagna e Francia. Tuttavia, un accordo bilaterale cherimane esclusivamente tale rischia di non rafforzare,ma anzi di indebolire gli stessi framework multilateraliNato/Ue, in particolare quello Ue che di per se è moltopiù fragile. Nel 1998 l’accordo di Saint Malo tra Blaire Chirac aveva un chiaro riferimento ed orizzonte euro-peo e diede luogo a quel processo poi incanalatosi neiconsigli europei di Colonia ed Helsinky che hanno get-tato le fondamenta dalla politica europea di sicurezza edifesa. L’accordo tra Cameron e Sarkozy è invece privodi tale orizzonte, a parte un incoraggiamento agli altristati europei a sviluppare le loro capacità militari e civi-li e un appello alla cooperazione Ue-Nato. L’intesa del2010 perciò di per sé non è volta a innescare un proces-so europeo di cooperazione nel campo della difesa, néa ridurre la frammentazione delle capacità militarieuropee e le relative, inutili duplicazioni. L’accordo si inserisce piuttosto in quello che è un po’lozeitgeist del sistema internazionale nell’epoca del mul-tipolarismo emergente. Infatti, in parallelo al lavoro diistituzioni e forum multilaterali, si assiste in ogni ambi-to al “ritorno di fiamma” del bilaterale, con un prolife-rare di relazioni e rapporti “strategici”. Il punto è chespesso framework multilaterali rischiano di essere inef-ficienti e inefficaci proprio in virtù del troppo ampionumero di paesi partecipanti: molti ritengono chel’Eda, l’Agenzia Europea degli Armamenti, corra que-sto rischio. Accordi bilaterali invece riducono l’ineffi-cienza, perché in generale è meno difficile accordarsicon meno attori al tavolo e perché è possibile trovaremeccanismi flessibili di compensazione intergovernati-vi. Tuttavia, tali accordi bilaterali possono rivelare iloro limiti quando, per risolvere i problemi sul tappeto,serve il concorso di altre nazioni, o quando i due paesifirmatari da soli non raggiungono una massa criticasufficiente giustificare programmi di grande ambizionee di alto costo. Per restare al caso dell’accordo franco-britannico, se è vero che i due paesi rappresentano il44% del bilancio complessivo europeo della difesa èanche vero che resta fuori dall’accordo il restante 56%,il cui coinvolgimento potrebbe risultare indispensabilein molti campi. A ciò si aggiunge la possibilità non

Il “pooling&sharing” di assets,cioè la messa in comune e condivisione di capacità militari, è senza dubbio unmodo utile per preservare le capacità militari dei due paesi - che insieme rappresentano il 44% della spesa militareeuropea - in tempi di tagli generalizzati ai bilanci della difesa

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troppo remota che diversi rapporti bilaterali entrino incontrasto tra loro, creando nuove sfere di inefficienza obloccando le collaborazioni auspicate. Ciò ad esempioavvenne per l’accordo del 1998 circa la condivisionedella rispettiva intelligence, visto che quella britannicaera ed è fortemente condizionata dal rapporto con gliUsa. In questo caso invece potrebbe essere interessan-te scoprire quale sarà il rapporto tra la “nuova” previstaforza di intervento congiunta franco-britannica e inumerosi altri impegni multilaterali della Francia inquesto campo. A livello internazionale, per ovviare aquesto genere di problemi presentati rispettivamentedai framework multilaterali e dagli accordi bilaterali, sista sperimentando la via di costituire un gruppo più omeno informale di paesi che insieme hanno la massacritica sufficiente per affrontare determinate questioni,e il cui numero è sufficientemente basso per mantene-re un livello minimo di efficienza. Il G20 è l’esempiopiù evidente di questa tendenza, in quanto il numero dipartecipanti è piccolo rispetto ai 186 membri del Fmi,ma insieme rappresentano l’85% del Pil mondiale. IlG20 a sua volta collabora con il Fmi, da cui riceve rap-porti e pareri basati sullo specifico expertise dell’istitu-zione e che incarica di mettere in pratica a livello tecni-co alcune decisioni prese a livello politico dal gruppodei venti. Per quanto riguarda la difesa europea, sipotrebbe pensare ad un meccanismo simile per mette-re in relazione fruttuosa accordi bilaterali come quellofranco-britannico e framework multilaterali a livello Uecome l’Eda. L’idea, che alcuni oggi chiamano “minila-teralismo”, è già prevista dal Trattato di Lisbona attra-verso l’istituzione di eventuali cooperazioni strutturatepermanenti nel settore della difesa. Tuttavia queste ulti-me rappresentano una piattaforma legale-istituzionaleforse troppo rigida per una cooperazione politica effi-ciente, e sicuramente inaccettabile per un governogeloso della propria sovranità nazionale e niente affat-to euro-entusiasta come quello britannico (e in fondoanche quello francese). Da questo punto di vista ilforum della Letter of Intent/Framework Agreement(Loi/Fa) si avvicina di più all’idea di una cooperazionepolitica tra pochi paesi interessati e capaci di incidere

su determinati dossier, in quanto i partecipanti sonosolo sei (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia,Spagna e Svezia) ma rappresentano insieme l’80%delle capacità militari europee. Finora le attività diquesto forum sono state piuttosto limitate, tuttavia laLoi/Fa ha funzionato nell’elaborare approcci comu-ni su alcuni dossier che si sono tradotti in inputs esostegno per le direttive della CommissioneEuropea sul mercato della difesa e le attivitàdell’Eda.

Da un punto di vista italiano, tradizional-mente c’è un chiaro e forte interesse nazionale ad esse-re presente nei gruppi di testa che si formano nei pro-cessi di integrazione europea, incluse le cooperazioniavanzate nel settore della difesa. In questo caso l’Italiadovrebbe essere particolarmente interessata a quantoaccade tra Gran Bretagna e Francia, considerato che leforze armate italiane sono quasi sempre dispiegate afianco di quelle britanniche e francesi nelle missioniNato, Ue e Onu. Inoltre l’industria italiana della difesaha un rapporto molto stretto sia con la Gran Bretagna,dove Finmeccanica è il secondo fornitore del ministerodella difesa britannico dopo Bae Systems, sia con laFrancia, con la quale esistono importanti joint venturead esempio nel campo spaziale con Thales-AleniaSpace, oltre alla stessa Mbda.La sfida per l’Italia è perciò quella di inserirsi in modocostruttivo nel percorso iniziato dall’accordo bilateraletra Francia e Gran Bretagna, sia per tutelare il propriointeresse nazionale nel settore della difesa, sia per dareuna prospettiva europea alla cooperazione tra le princi-pali potenze militari dell’Ue. L’opzione della Loi/Fapotrebbe rivelarsi efficace, in quanto presenta i vantag-gi di un formato “minilaterale” rispetto a istituzioni Uea 26 paesi membri come l’Eda e non comporta quellerigidità istituzionali e legali che il governo Cameronvuole assolutamente evitare. Potrebbe quindi interessa-re sia Francia e Gran Bretagna che gli altri paesi mem-bri della Loi/Fa i quali, come l’Italia, hanno un interes-se nazionale a fare parte di una cooperazione avanzataeuropea nel campo della difesa.

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Economia, politica, cultura, scienza, religione: ne succedono di cose in ventiquattr’ore. E ci sono decine di televisioni e di giornali che ti assediano per raccontartele. Ma nessuno prova a spiegartele. Leggendo, dentro gli eventi, i segni di dove sta andando il mondo. E cercando insieme

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anni, il ministero della Difesa (MoD) dovrà risarcireal Tesoro dei fondi Urgent OperationalRequirements (Uor), misure d’emergenza per soste-nere l’impiego operativo, da restituire dopo due anni.Ad oggi, il totale degli Uor ammonta a 3,6 miliardidi sterline, spesi soprattutto per la protezione dellaforza, elicotteri, Unmanned Air Vehicles ed equipag-giamenti per fanteria. La Spending Review destinaaltri fondi per l’Afghanistan tramite Uor. Le decisio-ni della Sdsr sono temporanee e nel 2015 ci sarà unarevisione post-ritiro dall’Afghanistan, in attesa delleelezioni politiche.Tra i settori che vedranno i maggiori investimenti: lacyber-security e lo spazio. Dalla primavera del 2011,la Cyber Security Strategy richiederà investimentiper 650 milioni di sterline nei prossimi 4 anni e raf-forzerà la cooperazione attraverso un Uk-UsMemorandum of Understanding. La National SpaceSecurity Policy includerà gli aspetti militari e civilidella politica spaziale, la dipendenza da tecnologiaestera e la collaborazione con imprese estere, soprat-tutto degli Stati Uniti. Le imprese della base indu-striale e tecnologica per la difesa (Dtib) britannica

sono più influenzate delle grandi società globali, checercheranno di diminuire l’esposizione, cedendoattività e recuperando liquidità per cercare opportu-nità o investimenti in altri mercati. L’associazionedell’industria dell’aerospazio, difesa e sicurezza(Ads) ha reso noto al governo, che in caso di incer-tezza sui finanziamenti le imprese estere della Dtibbritannica (Boeing, Eads, Finmeccanica, GeneralDynamics, Lockheed Martin e Thales) potrebberodisinvestire in cerca di mercati più proficui e ancheBae Systems potrebbe ulteriormente ridurre la pro-pria presenza nazionale.Nel giugno 2010, il ministro della difesa, Liam Fox,ha affermato di voler «ripartire sul rapporto conl’Industria per rispecchiare la mutata situazione eco-nomica e spingere avanti il processo di riforma delleacquisizioni della difesa», indicando il supporto e lalogistica come un settore dove abbattere i costi «cer-cando di migliorare il rapporto qualità/prezzo e unamaggiore efficacia, dove possibile». Non saranno quindi avviati nuovi grandi programmiper l’acquisizione di armamenti, per il momento, eper raggiungere l’obiettivo 2020 si agirà su tre linee:

IL PORTAFOGLIO È ANCORA PER L’AFGHANISTAN, MA SI GUARDA ALLA CYBER SECURITY

L’INDUSTRIA IN TEMPO D’AUSTERITYDI CLAUDIO CATALANO

e decisioni prese nella revisione della difesa definiranno per l’industriache tipo di “cliente” sarà il Regno Unito negli anni a venire. La Sdsr èbasata sulla Nss e sulla “Forza Futura 2020” per identificare le scelte dipolitica di difesa e industriale tra 10 anni. La priorità della Sdsr è rende-re sostenibile il procurement per la guerra in Afghanistan. Nei prossimi •L •

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1) contenere i costi dei programmi attuali 2) ridurrei numeri delle flotte di mezzi 3) evitare di spendererisorse cospicue in continui aggiornamenti dellepiattaforme esistenti, pratica che diminuisce la pos-sibilità di creare nuove tecnologie.La Dtib ha perso nel 2009 circa 7.000 posti di lavo-ro, ma visti i nuovi indirizzi, un ulteriore calo è ine-vitabile. Ci sarà una riduzione del supporto per Bae,per i mezzi corazzati, ridotti del 40%, mentre la can-cellazione dei programmi di supporto per i velivoliHarrier, che saranno ritirati dal servizio già nel pros-simo anno, non è compensata dall’aggiornamentodel Tornado. Bae si riposiziona dunque nella cyber-security attraverso Detica, cercando di cogliere lenuove opportunità previste dalla Sdsr. Il contratto di15 anni firmato dal ministero della Difesa nel 2007per le portaerei salva i cantieri navali, rendendo dif-ficile la cancellazione di una o entrambe le portaerei,poiché il governo deve garantire almeno 12 anni dilavoro ai siti di Bae in Scozia e a Portsmouth e diBabcock a Rosyth. Babcock è però influenzata dal-l’uscita dal servizio dei velivoli Harrier e delle aero-cisterne VC10. Rolls Royce è danneggiata dalla can-cellazione degli Harrier e del suo successore, l’ F-35B per cui sviluppava il sistema di propulsione “liftfan” per short-takeoff, vertical-landing (Stovl).Riassume, quindi, importanza il propulsore alterna-tivo F136 sviluppato da R-R insieme alla statuniten-se GE in competizione con il Pratt & Whitney F135.Il pattugliatore marittimo Nimrod MRA4 è costato 3miliardi di sterline, con costi per unità aumentati del200% ed è stato uno dei progetti cancellati dal mini-stero della difesa. Secondo il Major Projects Report2010, però, i 22 mesi di ritardo sono dovuti alla deci-sione del MoD di posticipare l’entrata in servizio delvelivolo per dirottare i fondi così risparmiati perl’Afghanistan. La sua cancellazione di fatto eliminale capacità di Bae nell’avionica avanzata, che eranoconcentrate nel sito di Woodford, soprattutto dopo ladecisione di dismettere già nel 2010 il velivoloNimrod MR2 da sorveglianza elettronica, che saràsostituito dal RV-135 Rivet Joint per signal intelli-

gence, che affiancandosi al velivolo da sorveglianzaaerea E-3D Sentry Awacs, crea una crescente dipen-denza dagli Stati Uniti nel segmento. Bae aveva spe-rato in un programma di signal intelligence basatosu piattaforma Nimrod, ma la proposta è statarespinta dal ministero, che ha preferito puntare suuna versione speciale per le esigenze britanniche delvelivolo statunitense. Il programma per i missilibalistici a testata nucleare lanciati da sottomariniTrident è un altro aspetto importante della specialrelationship. Alla fase di definizione del concetto,sospesa fino al 2016, partecipano Babcock, Bae eRolls-Royce. Gli attuali missili Trident D-5 dellaLockheed Martin sono dotati di testate nucleari bri-tanniche, ma la manutenzione è effettuata negli StatiUniti. Lockheed Martin ha anche ottenuto un con-tratto per l’armonizzazione del sonar dei battelli cheimpiegano questi missili con il programma conl’Arci della US Navy. E il programma Trident bri-tannico rientra nel Trident D5 life-extension dellaUs Navy, volto a tenere in servizio la classe di sotto-marini nucleari statunitensi Ohio fino al 2042. IlRegno Unito partecipa con circa 250 milioni di ster-line a questo programma. Tra le imprese estere,Boeing ha visto ridotto l’acquisizione di elicotteri datrasporto pesante Ch-47 Chinook addizionali;General Dynamics Uk si è invece assicurata il pro-gramma per il veicolo corazzato Fres Scout Vehiclee il programma Bowman; Thales Uk è ben posizio-nata nell’elettronica per la difesa con il programmaFuture Integrated Soldier Technology volto allamodernizzazione delle dotazioni dei soldati, maanche per gli apparati destinati alle nuove portaereie con il programma per il velivolo senza pilota dasorveglianza Watchkeeper. Tuttavia nel 2010,Thales Uk, che doveva realizzare risultati per 95milioni di euro, si è fermata solo a 30 milioni. Thalesperaltro potrebbe entrare in Mbda (società missilisti-ca europea le cui quote azionarie sono in mano adEads, Bae Systems e Finmeccanica), insieme aSagem, per formare un polo missilistico a guidasempre più francese, nel quadro del progetto di con-

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solidamento e riduzione di duplicazioni “one Mbda”tra Francia e Regno Unito. Eads vede risparmiatoper mancanza di alternative, l’A330 dell’AirTankerconsortium (Airbus, Babcock, Rolls-Royce, Thalese Cobham), ma rinegozierà una private financialinitiative. Esce bene Sdsr anche la società elicotteri-

stica Eurocopter (Eads), che vede confermato l’ag-giornamento degli elicotteri Puma fino al 2022. PerFinmeccanica, il Regno Unito costituisce il secondomercato domestico, dove è il maggiore investitoreestero, con eccellenze nell’elicotteristica e elettroni-ca per la difesa, attraverso AgustaWestland, SelexGalileo, Selex Communications, Selex IntegratedSystems, Drs Uk. Partecipa a consorzi ai quali pren-

de parte anche il Regno Unito, come Panavia, che harealizzato il cacciabombardiere Tornado, Eurofigh-ter che produce il cacciabombardiere Typhhon, ilprogramma statunitense F-35 relativo al velivoloJoint Strike Fighter o il programma elicotteristicoEH101, che ha costituito la base che poi ha portatoalla fusione di Westland con Agusta, dando vita adun’impresa transnazionale anglo-italiana. AgustaWestland è oggi, il principale fornitore delMoD nel settore elicotteristico e il suo bilanciodella Sdsr è roseo. Alcuni dei velivoli cancellatidovranno essere sostituiti nelle loro missioni da eli-cotteri, le nuove portaerei potranno imbarcare, aseconda della missione, 12 elicotteri AW-101Merlin per pattugliamento antisommergibile o Saroppure 8 elicotteri Apache da combattimento. Ladecisione di ridurre il numero dei Ch-47 libera poifondi per la manutenzione e acquisto di altri tipi dielicotteri. Sarà così completato l’aggiornamento di12 elicotteri Lynx alla configurazione Ah.9A,finanziato come Uor. Il MoD ha confermato l’ado-zione dell’elicottero AW159 Wildcat (ex FutureLynx) per esercito e Royal Navy e con l’introduzio-ne della versione da ricognizione e comando e con-trollo costituiranno il nerbo della flotta elicotteristi-ca. I numeri dei Merlin e Wildcat in versione anti-nave e antisommergibile dipenderanno a secondadella consistenza flotta navale, ma il Merlin saràpotenziato per esigenze delle operazioni anfibie persupportare un gruppo Royal Marines Commando.Nell’elettronica, Finmeccanica ha eccellenze rico-nosciute nelle tecnologie radar allo stato solido,nell’ elettro-ottica e nell’ electronic warfare. Tra iprodotti più apprezzati: il sistema “Albion” con tec-

nologia Eos (Thermal Imaging) e il radar a scansio-ne elettronica per il Typhoon realizzato da SelexGalileo, la Personal Role Radio e il sistema di guer-ra elettronica jammer anti-Ied (ordigni esplosiviimprovvisati) Guardian di Selex Comm, questi ulti-mi acquistati tramite Uor.Tra i progetti di sviluppo c’è il futuro velivolo senzapilota, la cui realizzazione sarà guidata da Bae

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Le imprese della base industriale e tecnologica per ladifesa britannica sono piùinfluenzate delle grandi societàglobali, che cercheranno di diminuire l’esposizione, cedendo attività e recuperando liquidità per cercare opportunità o investimenti in altri mercati.L’associazione dell’industriadell’aerospazio, difesa e sicurezza ha reso notoche in caso di incertezza sui finanziamenti le impreseestere della Dtib (Boeing, Eads, Finmeccanica,General Dynamics, Lockheed Martin e Thales)potrebbero disinvestire

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System, con la partecipazione di Alenia Aeronauticae Selex Galileo. Il relativo accordo è stato firmato inoccasione del salone aerospaziale di Farnborough,durante il quale è stato anche firmato un accordo trale associazioni italiana e britannica delle industrieaerospaziali e della difesa, Aiad e Ads, per la reci-proca promozione delle esportazioni.Nel settorespaziale, il satellite militare per le comunicazioni ita-liano Sicral 1 è stato utilizzato anche dalla forze bri-tanniche impegnate in Afghanistan nel 2001-2002.Con l’acquisto della società britannica Vega, avve-nuto nel 2008, Finmeccanica ha accresciuto la suapresenza nelle attività spaziali e ha aperto un sito adHarwell, nel nuovo Uk space hub. Finmeccanica èanche all’avanguardia nel Through-Life CapabilityManagement (Tlcm) che si concentra sull’aggiorna-mento e assistenza a ciclo di vita intero. Introdottonel 1998 dalla smart procurement initiative, il Tlcmparte dal presupposto che il prezzo di acquisto rap-presenta solo una frazione del costo totale nel casodi piattaforme e sistemi d’arma complessi cherimangono in servizio operativo a lungo, con conti-nui aggiornamenti. Le partnership pubblico-private,quindi, sono un mezzo per MoD per incrementarel’efficienza nel supporto logistico e raggiungerel’eccellenza nel gestire i programmi a lungo termine,con una graduale assunzione del rischio per l’indu-stria. Il MoD ha concluso, nel 2006, lo SpecialPartner Arrangement (Spa) con AgustaWestland,affidandogli un ruolo nello stabilire i requisiti e ilsupporto operativo per la flotta elicotteri. UnBusiness Transformation Incentivisation Agreementinclude obiettivi nella riduzione dei costi, tempisticareperibilità di velivoli per uso operativo. Lo Spa hadimostrato che questo tipo di contratti rende effettiimmediati sull’assistenza ai reparti operativi.Elementi chiave sono gli Integrated OperationalSupport (Ios) per gli elicotteri Merlin (Imos), SeaKing (Skios) e Apache. L’Imos ha introdotto formedi pagamento del servizio basate sulle ore di voloeffettuate e accordi di incentivazione associati allamanutenzione e supporto, al numero di elicotteri

operativi e all’addestramento degli equipaggi.L’accordo per Imos copre i primi 5 anni di un con-tratto della durata di 25, ha un valore di 658 milionidi euro e porterà all’MoD un risparmio del 20% sulsupporto. Grazie alla attività di AgustaWestlandinoltre è migliorata fino al 20% la prontezza opera-tiva degli elicotteri Merlin e nel primo anno di effi-cacia del contratto il tempo necessario per effettuarei controlli tecnici ordinari si è ridotto da 129 a 18giorni. A conferma dell’importanza di queste attivi-tà per il MoD si considere che gli Ios valgono il50% del totale delle attività di servizio e supporto diAgusta Westland, che a loro volta costituivano già il23% del portafoglio ordini nel 2009. Lo Spa e Iosservono poi da progetto pilota per sviluppare formestandard per questo tipo di contratti.

Nei contratti di Service, la “alleanza avionica”Total Support Services (Tss) di Selex Galileo, ThalesUk, Defence Support Group e Ge Aviation, offre adImos assistenza nella manutenzione e riparazione disecondo livello degli elicotteri Merlin in prima linea,con una pianificazione rapida e innovativa per lagestione delle riparazioni. E a conferma che il nuovoconcetto funziona, va ricordato che al Tss è statoconferito il Certificate of Commendation per l’ec-cellenza dimostrata nel supporto operativo. Il buonesito di Spa ha poi favorito l’adozione del Wildcat,citato come esempio positivo nel Major ProjectsReport 2010, perché l’MoD lavorando conAgustaWestland ha ridotto i costi addizionali perciascuno, malgrado una riduzione del 23% delnumero di velivoli abbia poi ridotto il risparmio al12% sul costo totale. Comunque un risultato straor-dinario considerando quanto avviene normalmentenei programmi di acquisizione di sistemi militari Un altro esempio di cooperazione difesa-industriariuscita, è il Team Complex Weapons, avviato nelluglio 2008 per il settore missili, come partnershiptra MoD e Mbda, Thales Uk, Roxel e QinetiQ. Duecontratti sono stai assegnati a Mbda e Thales Uk perprogetti nella fase di valutazione, quello relativo al

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missile Fire Shadow e quello per missili antinaveelitrasportati, leggeri e pesanti; vi è poi l’aggiorna-mento mid-life del missile da crociera aria-superfi-cie Scalp-Storm Shadow; i nuovi missili Spear desti-nati a cacciabombardieri ed elicotteri e i futuri siste-mi missili navali anti-aerei Flaads. Il modello Tlcm,dove attivato, ha dimostrato di funzionare bene, mai settori dove è applicato sono per ora molto limita-ti, motivo per cui, nei prossimi mesi, il MoD rinego-zierà non solo i contratti con l’industria, ma rivedràgli interi principi del procurement. L’MoD dovràassumere una mentalità ed un approccio molto più“commerciali”, con attenzione alla stabilità nelfinanziamento, ai… dividendi, al ritorno degli inve-stimenti e alla promozione delle esportazioni, ma incambio, l’Industria dovrà fornire il rapporto quali-tà/prezzo più vantaggioso. Un green paper prelimi-nare è stato pubblicato nel dicembre 2010, in attesa delwhite paper Defence and Security Industrial andTechnology Policy (Dsitp) atteso per il secondo trime-stre 2011, che includerà sicurezza e cyber-security esarà poi aggiornato nel 2015 con la nuova Sdsr. Il MoDcondurrà una serie consultazioni con l’Industria aero-spaziale e della difesa a proposito del Green Paper,perché la Camera dei Comuni, nel rapporto sulla Sdsr(HC 345), ha già rilevato che questa è stata intrapresasenza alcuna consultazione con l’industria, coinvolta insettori limitati, aumentando così il rischio che la valu-tazione delle capacità militari sia slegato dai costi effet-tivi e dalla tempistica dei programmi necessari a realiz-zarle. La discussione con l’industria porterà sicuramen-te ad una revisione, settore per settore, nelle strategie diacquisizione. L’MoD intende sostenere le Pmi (piccolee medie imprese) innovatrici, soggette ai ritardi e rischidei processi di acquisizione, per questo i grandi gruppidovrebbero sostenerle, mentre sarà richiesto un mag-gior ruolo alle associazioni industriali per ridurre ilcosto del “fare affari” con il MoD.Un concetto importante consiste nella intenzione diassicurare la protezione delle capacità industrialinazionali attraverso programmi nazionali per evitareperdita di know how. Concetto simile alla

Appropriate Sovereignty della Defence IndustrialStrategy del 2005, che nasceva dalla necessità dimantenere Bae nel Regno Unito. I “requisiti sovra-ni” nei settori di importanza strategica sarannobilanciati dall’acquisto off-the-shelf, soprattuttodagli Stati Uniti, di altri sistemi e tecnologie, perassicurare all’MoD la massima qualità/prezzo. Il chein qualche misura potrebbe portare ad una diminu-zione dei fondi per la ricerca e sviluppo.Riconoscendo il ruolo della scienza e tecnologia perla sicurezza futura, il MoD ritiene, quindi, necessa-ria la cooperazione bilaterale nel finanziamento diprogrammi, per migliorare sia l’interoperabilità chel’esportabilità dei prodotti. In pratica un nuovoapproccio “collaborativo” per condividere i costi diricerca e mantenere una capacità in diverse aree tec-nologiche essenziali.

Infine, la promozione delle esportazioni servea sostenere la Dtib, data la riduzione della domandainterna. Le imprese britanniche dovrebbero com-pensare le perdite di fatturati e ricavi grazie alleesportazioni, ma la Sdsr non apporta alcuna misuraspecifica di sostegno all’export dei prodotti aerospa-ziali e della difesa. Inoltre, la politica di offset(compensazioni industriali) nei mercati d’interesse,non depone a favore della crescita della Dtib britan-nica. La domanda dei paesi emergenti del resto èspesso frammentaria e c’è grande concorrenza inter-nazionale. In Brasile, il Regno Unito ha firmato inottobre un trattato per la collaborazione navale, mal’Italia ha già una trattativa molto avanzata per larealizzazione di nuove unità navali per la localemarina, così in India . uno dei mercati domestici diBae - la Francia, con la vendita dei sottomarini clas-se Scorpène, ha battuto “in casa” il Regno Unito.Stati Uniti e Russia sono concorrenti a livello glo-bale e la Cina lo diventerà presto.L’agenzia per l’export militare (Ukti Dso) registracomunque un aumento delle esportazioni da 4,2miliardi di sterline del 2008 a 7 miliardi nel 2009,dovuta alla crescita dimensionale del mercato globa-

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le, passato da 50 miliardi di dollari del 2008 a 65miliardi del 2009. Le maggiori esportazioni britanni-che vanno all’Arabia Saudita e Stati Uniti; sono poimercati di interesse Australia, Brasile e India oltre aTurchia e Emirati Arabi Uniti. Secondo un rapporto diAds, invece, nel 2009 le vendite negli Stati Uniti sonodiminuite del 20%. Ads ha indicato la causa di questaflessione nella diminuzione della spesa in ricerca e svi-luppo militare del 12%, per questo motivo ritienenecessario migliorare la qualità e la competitività tec-nologica dei prodotti britannici per aumentare effetti-vamente l’export, e ciò può avvenire solo incremen-tando gli stanziamenti per la R&S. Certo gli attualiostacoli normativi non aiutano questo sforzo. Il tratta-to sulla cooperazione negli scambi della difesa Us-Ukdel 2007 è stato ratificato dal Senato statunitense soloil 29 settembre 2010. L’obiettivo del trattato è miglio-rare l’interoperabilità in operazioni militari ed antiter-rorismo e rafforzare la cooperazione industriale, faci-litando gli scambi d’informazioni e tecnologie in una“comunità approvata” - che include le imprese esteredella Dtib - mentre è comunque prevista una lista ditecnologie sensibili escluse dal trattato. Un proble-ma è rappresentato da Bae Systems, la quale, sottoindagine negli Stati Uniti, potrebbe addirittura esse-re esclusa dalla “comunità”, sebbene Bae abbia giàuna fortissima base negli Stati Uniti. Il trattatodovrebbe facilitare la vendita di equipaggiamentistatunitensi al MoD, in particolare per rispondereagli Uor, ma non è ancora chiaro se gli effetti deltrattato comporteranno per converso un aumentodelle esportazioni britanniche. Secondo alcuni analisti,il trattato non porterà i vantaggi sperati dalla GranBretagna, perché non copre alcune tecnologie impor-tanti, come i propulsori aeronautici di Rolls Royce,mentre qualificarsi per entrare nella “comunità appro-vata” porta costi e ritardi burocratici. Solo il tempodunque dirà se la Sdsr e la Dstip porteranno ad unarivoluzione nelle politiche di difesa, ma nell’era diausterità, l’interoperabilità e la collaborazione indu-striale con Stati Uniti, Francia e Italia, presenti nellaDtib britannica, si rende assolutamente strategica.

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la questione era rimasta sospesa per tutto il venten-nio successivo alla Guerra Fredda. Oggi, la crisieconomica ha costretto ad un’improvvisa accelera-ta in tale direzione.A metà ottobre 2010, infatti, il nuovo Governo dicoalizione (conservatori/liberal-democratici) ingle-se ha pubblicato la Strategic Defense and SecurityReview 2010, accompagnata alla nuova NationalSecurity Strategy, i due documenti d’indirizzodestinati a mutare radicalmente il volto della stra-tegia e dello strumento militare britannico nei pros-simi anni. Nel complesso, ciò che entrambi hannodelineato, è stata una vera e propria rivoluzione nelmodello di Difesa britannico, segnata da una seriedi tagli senza precedenti. Le previsioni peggiori,che parlavano di una riduzione del budget del10/20%, sono tuttavia state scongiurate, ma lo stes-so, il taglio dell’8% agli stanziamenti nei prossimiquattro anni, inciderà profondamente sulle capaci-tà militari britanniche. Il premier Cameron ha allafine cercato un punto di equilibrio tra ciò chiedevail Cancelliere dello Scacchiere George Osborne, ele pressioni della Casa Bianca, preoccupata che il

proprio alleato più affidabile potesse vedersi ridur-re troppo sensibilmente il suo potere militare. Con i due documenti, il Governo britannico hacompiuto un’autentica scommessa. Non si sa quan-to davvero voluta e quanto semplicemente impostadagli effetti della crisi e dalle restrizioni economi-che. La scommessa sta nell’immaginare un’evolu-zione degli scenari nei prossimi 5/20 anni, tuttasegnata dalla minaccia del terrorismo e da nuovirischi, come quelli derivanti da eventuali cyber-attacchi. Nel dettaglio, i due documenti delineanoun quadro contraddistinto da una scala di prioritàche al primo posto vede il rischio di terrorismo edi attacchi cibernetici, appunto, assieme a insta-bilità internazionale e disastri naturali. Scenaritutto sommato soft, in cui le Forze Armate bri-tanniche sarebbero chiamate ad operare comeforze di stabilizzazione, o al limite come forze dicontro-guerriglia, esattamente come sta acca-dendo tuttora in Afghanistan. Al secondo postovengono scenari legati ad eventuali attacchi conarmi di distruzione di massa al territorio britan-nico, o al territorio dei possedimenti d’oltremare

DA FIORE ALL’OCCHIELLO DELLA BRITISH ARMY A SIMBOLO DI UN FALLIMENTO

QUALE DESTINO PER IL NUCLEARE?DI ANDREA MARGELLETTI E PIETRO BATACCHI

ettate ormai da mezzo secolo le vesti imperiali, il Regno Unito è alle presecon una delle questioni più complesse che una nazione possa affrontare:ripensare sé stessa. Una questione che si pone nei classici termini politi-co-strategici delle percezioni e dell’immagine che uno Stato ha di sé rela-tivamente a tutti gli altri. Per la Gran Bretagna, così come per altri paesi,

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e solo al terzo posto uno scenario convenziona-le classico, ovvero di conflitto su larga scala conun altro stato (theater war). In definitiva, ilRegno Unito ritiene che da qui a 20 anni, laminaccia principale sarà il terrorismo, compre-so quello in forma cyber, e l’instabilità interna-zionale dovuta al fallimento delle compaginistatuali in alcune aree del sistema internaziona-le. Nessun riferimento a potenze emergenti o aconflitti regionali, come quello delle Falklandnel 1982, o come la stessa prima fase della guer-ra in Iraq nel 2003. E’ la prima volta, dunque,che una potenza europea come il Regno Unitoabbandona l’ipotesi di un conflitto convenzio-nale su larga scala, condotto con le sole risorsenazionali. In questo, appare evidente il drasticoridimensionamento rispetto agli anni passatiquando, per esempio in Iraqi Freedom, il RegnoUnito fu in grado di mettere in campo una forza“d’invasione” di oltre 60.000 uomini di cui oltre20.000 operativi. Di fatto, con la nuova Sdsr gliinglesi hanno riconosciuto come la stessa IraqiFreedom abbia rappresentato l’ultimo esempio diconflitto convenzionale.Se lo scenario è questo, allora, le FA britannichesaranno chiamate ad operare nei prossimi anniesclusivamente nell’ambito di missioni internazio-nali strutturate guidate da Nato o Ue, o nell’ambitodi coalizioni ad hoc a fianco del principale alleatoche restano gli Usa. E comunque mai da sole. Lostrumento militare verrà rimodellato di conseguen-za secondo criteri ispirati a maggiore flessibilità ejointness. Sarà più snello e spendibile, maggior-mente proiettabile e “plug-in” nel dispositivo mili-tare americano. Questo passaggio sarà accompa-gnato da una riduzione degli effettivi molto consi-stente. Nei prossimi dieci anni, le Forze Armate diSua Maestà perderanno 17 mila soldati facendoscendere il totale a 175 mila, meno di quanti neabbia oggi l’Italia e il corpo dei Marines statuniten-se. La Difesa dovrà fare a meno anche di 25 miladipendenti civili mentre per quanto riguarda le

nuove acquisizioni diversi programmi subirannoridimensionamenti o addirittura la cancellazione.In generale, le spese per il procurement verrannoridotte del 18% nei prossimi anni. In questo quadro, il destino del deterrente nucleareresta sospeso dopo che il Governo inglese ha deci-so di posticipare ogni decisione in tal senso a dopoil 2015. Una soluzione di compromesso tra chi,come peraltro molti militari, era favorevole ad unsuo smantellamento e chi, invece, era favorevole amantenere in vita uno dei simboli residuali dellapotenza britannica. Per i primi, l’arsenale atomicosarebbe soltanto una costosissima eredità dellaGuerra Fredda che distoglierebbe fondi da ben piùimportanti, e concrete, esigenze come la partecipa-zione a missioni fuori area e l’impegno contro irischi legati al terrorismo. Al contrario, chi è favo-revole al mantenimento del deterrente ritiene chesia proprio questo la garanzia contro l’incertezza ela volatilità degli attuali scenari. Di fatto, questaseconda concezione era prevalsa fino ad oggi.Finita la Guerra Fredda, i maggiori documenti diindirizzo politico-strategico britannici, dalla Sdr alWhite Paper, riassunti poi nel Green Paper del

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I quattro sottomarini Ssbnclasse Vanguard costituiscono attualmente ildeterrente nuclearestrategico britannico. In servizio dalla metà deglianni Novanta, sono armaticon i missili balistici intercontinentali Trident IID-5 ed hanno rimpiazzatogli Ssbn classe Resolution(armati con i missiliPolaris)

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dicembre 2006, avevano riconosciuto che la princi-pale giustificazione per la sopravvivenza dell’arse-nale nucleare britannico consisteva nella deterren-za che questo poteva ancora fornire in casi di con-tingenze più o meno prevedibili. Una possibilerinascita della Russia, una minaccia globale daparte della Cina, e, più nell’immediato, una minac-cia da parte di rogue states e similari.Un’assicurazione contro l’incertezza e l’impreve-dibilità di un sistema internazionale nel qualesopravvivevano, e sopravvivono tuttora, diversepotenze nucleari e che vede tra le minacce princi-pali quella della proliferazione di armi di distruzio-ne di massa. Pur ribadendo l’impegno per il disar-mo e per «un mondo più sicuro in cui non ci sia piùposto per le armi nucleari», l’allora Governo Blair,con la Sdr 1998, ha ritenuto indispensabile mante-nere un arsenale nucleare come deterrente minimonecessario per dissuadere ogni minaccia agli inte-ressi considerati vitali. Da un punto di vista quanti-tativo, il documento ha fissato in meno di 200 ilnumero di testate operative disponibili: un poten-ziale del 60% inferiore rispetto al livello raggiuntoalla fine della Guerra Fredda. Questa, di fatto, è lasituazione che vige ancora oggi.

I quattro sottomarini Ssbn classe Vanguardcostituiscono attualmente il deterrente nucleare-strategico britannico. In servizio dalla metà deglianni Novanta, sono armati con i missili balisticiintercontinentali Trident II D-5 ed hanno rimpiaz-zato gli Ssbn classe Resolution (armati con i missi-li Polaris). I Vanguard hanno un dislocamento inimmersione di ben 15.900 tonnellate, una lunghez-za di 149,5 metri ed una larghezza 12,8 metri.Dopo la dismissione dell’arsenale nucleare tattico adoppia chiave ed il ritiro della bomba di aereoWE177, nel marzo 1998, i Trident II D5 sono lasola arma nucleare presente oggi nell’arsenale bri-tannico. I Vanguard sono dotati di 16 missili e sonoospitati nella base navale di Clyde, in Scozia. Deiquattro sottomarini, uno è costantemente in opera-

zione per la conduzione di operazioni di pattuglia-mento strategico (rispetto al periodo della GuerraFredda, quando un Ssbn aveva un tempo di lanciodei missili nell’ordine di qualche minuto, oggi ilVanguard in pattugliamento ha un tempo di lanciodi qualche giorno). Altri due sottomarini restano inporto per le attività addestrative o stazionano inacque locali, ma possono essere dispiegati conbrevi tempi di preavviso. L’ultimo dei quattroVanguard è invece “fermo” per manutenzione edeventuali riparazioni ed è dispiegabile soltanto conun tempo di preavviso piuttosto lungo. Il sistema dipattugliamento strategico britannico è coordinatocon le analoghe operazioni condotte dagli Ssbnfrancesi.L’acquisizione da parte del Regno Unito dei missi-li Trident risale ad un accordo tra Governo britan-nico e Governo americano del marzo 1982 e rien-tra nel quadro della partnership strategica tra Usa eRegno Unito regolata dagli accordi di Nassau (conla quale il Regno Unito si assicurò tra l’altro i mis-sili balistici lanciabili da sottomarino Polaris).Nell’ambito di tale partnership, gli inglesi accetta-rono di “multilateralizzare” il proprio deterrentenucleare legandolo, di fatto, a quello americano.Terminavano così anni di trattative e tensioni tra idue alleati e la politica estera e di sicurezza britan-nica perdeva definitivamente la propria autonomiavincolandosi a quella americana secondo i paletti ei canoni della special relationship. I Trident II pos-sono portare fino a 12 testate indipendenti di rien-tro Mirv (Multiple Independently Targeted Re-entry Vehicle), ridotte a 8 con i trattati Start, edhanno una gittata di oltre 7.000 Km. Come i missi-li Polaris che hanno sostituito, i Trident II D5 sonomissili “americani”, prodotti da un’azienda ameri-cana, la Lockheed Martin, come americano è ildesign dei pozzi di lancio. A dimostrazione delladipendenza del deterrente britannico dagli StatiUniti ed il grado di controllo che questi ultimi con-tinuano ad esercitare su di esso. È interessante notare che già la Sdr 1998 aveva

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limitato la capacità dei missili Trident Iid5 a soletre testate, per un totale di 48 testate per sottomari-no (in considerazione della flessibilità dei Trident ilnumero è ampiamente variabile), affidando aiVanguard anche il ruolo di piattaforma per lo stri-ke sub-strategico (fino al 1998 di spettanza deiTornado della Raf). Per strike sub-strategico gene-ralmente si intende un uso dell’arma nucleare limi-tato e selettivo, ma sufficiente a convincere un ipo-tetico aggressore a porre termine al suo attaccomettendolo di fronte all’alternativa di dover subireun ulteriore strike, questa volta di tipo strategico e,dunque, un costo ancor maggiore. Un ruolo chequesti missili possono svolgere, a differenza deiPolaris, in virtù della loro maggiore precisione eflessibilità. Il concetto di raid sub-strategico è difatto del tutto simile a quello del francese finalwarning, ed è indice del fatto che anche nella dot-trina nucleare britannica post-Guerra Fredda l’in-tenzione è stata sin da subito quella di ripensare ildeterrente secondo requisiti di maggiore flessibili-tà ed operatività, più in linea con le incertezze deinuovi scenari. In virtù della portata, precisione eflessibilità dei Trident D5, i Vanguard possonobenissimo soddisfare questo requisito e garantire lacopertura di quei bersagli sub-strategici un tempoassegnati agli aerei Tornado. Al proposito, ilVanguard in operazione di pattugliamento strategi-co potrebbe vedere una parte dei propri missiliarmata con tre testate ed una parte con una testasingola (in quest’ultimo caso la portata dei missilipuò essere estesa fino ad oltre i 10.000 km). In que-sto modo, regolando la potenza prima del dispiega-mento, una singola testata del Trident sarebbe ingrado di garantire la copertura alle truppe britanni-che dislocate fuori area o strike contro obiettivisensibili legati a programmi di armi di distruzionedi massa o similari.Dopo un dibattito andato avanti per anni, come siricordava, la Sdsr ha deciso di spostare una deci-sione definitiva in merito al deterrente nucleare bri-tannico a dopo il 2015 e questo, di fatto, verrà per

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il momento mantenuto così com’è. Contro un suoammodernamento esistono tre obiezioni difondo. Quelle strategiche dicono che il Trident èfiglio dell’epoca della Guerra Fredda (risaleinfatti al 1982) e, dunque, sostanzialmente ina-deguato a rispondere alle sfide asimmetrichedell’oggi. Quelle “morali” sostengono che seuna potenza nucleare vuole impedire ad altri didotarsi di un proprio arsenale atomico, dovrebbesensibilmente ridurre o rinunciare al proprio,conferendo così maggiore credibilità alle inizia-tive nel campo della non-proliferazione. Infine, icosti sproporzionati, ovvero l’argomento forsepiù forte a giocare contro il mantenimento del-l’atomica made in Uk. Secondo le stime ufficia-li dei passati governi, rinnovare il sistemaTrident verrebbe a costare al contribuente britan-nico tra i 15 e i 20 miliardi di sterline (coloro chesi oppongono al rinnovo del programma parlanodi cifre anche quattro volte superiori). Gli stessimilitari sembrano condividere le preoccupazionisugli eccessivi costi del deterrente nucleare: conuna lettera al Times del 21 aprile 2010, per esem-pio, quattro alti generali in pensione hanno presopubblicamente posizione, sostenendo che i(tanti) soldi investiti nel Trident sono risorse nonassegnate ai soldati. Con i soldi risparmiati,infatti, si potrebbero acquistare equipaggiamentipiù efficienti per le forze speciali, assicurarne unmigliore addestramento, portare a termine conpiù tranquillità i maggiori programmi di acquisi-zione in corso, garantire una più efficientemanutenzione ai mezzi, cercando, nel comples-so, di mantenere su alti livelli di efficienza lostrumento militare convenzionale.

La Sdsr 2010 ha, come abbiamo visto, deci-so di non decidere e la questione del deterrentenucleare resta per il momento congelata, in atte-sa di capire anche quali saranno gli scenari eco-nomici che si svilupperanno da qui al 2015. Congli Stati Uniti sono attualmente in corso le

discussioni per lo sviluppo congiunto di unnuovo sommergibile strategico per il lancio dimissili intercontinentali. Il Regno Unito, appun-to, parteciperebbe al programma, condividendo-ne una parte dei costi, anche se la parte del leonela farebbero gli Stati Uniti. Con la nuovaQuadrennial Defense Review statunitense, ildocumento di indirizzo politico-militare pubbli-cato dal Pentagono la scorsa primavera, l’ammi-nistrazione Obama ha confermato l’esigenza didotarsi di un nuovo Ssbn con il quale rimpiazza-re l’attuale classe di sottomarini strategici Ohio.Secondo alcune indiscrezioni, il costo comples-sivo del nuovo programma, inclusi costi di pro-gettazione e supporto logistico, si aggirerebberosugli 80 miliardi di dollari, una cifra mostruosache sembrerebbe scoraggiare la controparte bri-tannica, alle prese, più che con l’acquisizione diun nuovo sistema d’arma, con la ridefinizionedella propria identità.

Con i nuovi documenti d’indirizzo politi-co-strategico, gli inglesi sembrano coraggiosa-mente aver preso atto dei nuovi scenari interna-zionali che, difficilmente, presenteranno contin-genze convenzionali maggiori. In tale ambito,ogni impegno internazionale verrà preso perfronteggiare conflitti a bassa intensità militarenell’ambito di coalizioni internazionali. In real-tà, vi sono tutta una serie di problematiche damettere in rilievo. La prima, e la più ovvia, è chepotrebbe anche non essere così, e che non è dettoche nei prossimi 20 anni non debba ripresentarsiuna guerra di teatro convenzionale. Ma anche severamente gli scenari dovesse evolvere secondoquanto immaginato, il Regno Unito perderebbelo stesso una parte significativa delle propriecapacità militari, con gravi ripercussioni sullostatus internazionale. L’altra considerazioneriguarda invece gli effetti della partecipazionedel Regno Unito alla guerra globale al terrori-smo. Nove anni di impegno militare in Iraq ed

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Afghanistan hanno, di fatto, com-portato un sacrificio economicoalla lunga insostenibile. Per finan-ziarie e mantenere fede a questoimpegno, Londra è stata costrettaper anni a ricorrere a politiche dideficit spending, ma adesso, unrapporto deficit/Pil cresciuto adoltre l’11%, ha costretto ad untaglio deciso delle spese che, comeabbiamo visto, comporterà un ral-lentamento della modernizzazione,come in parte è accaduto anche pergli Usa, ma anche il cambiamentodelle linee guida dello strumentomilitare con il suo riallineamento aquello di una “qualunque” mediapotenza regionale.L’incertezza sullostatus del deterrente nucleare con-ferma questa tendenza di fondo.Probabilmente, il Regno Unito siappresta, esattamente come accadu-to dopo la Seconda GuerraMondiale, ad accettare un delibera-to ridimensionamento del proprioruolo sul piano globale. Londra saràsempre di più una potenza regionalecome tante altre che, per mantenereun residuo di capacità di influenzaglobale, potrà contare solo sul pro-prio seggio permanente al Consigliodi Sicurezza dell’Onu - ma in que-sto caso una riforma del Consiglioche, prima poi, dovrà esserci, inde-bolirà anche questo potere residuale- e sul proprio “potenziale” di coali-zione in ambito Nato o Ue. Se poi,nel 2015, dovesse arrivare la deci-sione di rinunciare all’arma atomi-ca, questa trasformazione avrebbeanche la sua definitiva consacrazio-ne formale.

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GLI EDITORIALI/MICHELE NONES

La sicurezza è una cosa seria

Ci sono paesi che fanno le scelte e le attuano e ce ne sonoaltri dove ci si limita a parlarne, qualche rara volta nellesedi istituzionali e troppo spesso nei talk show televisivi esempre solo se è proprio necessario, perché la tendenzasarebbe di non parlarne proprio. Il Regno Unito fa parte deiprimi. Emblematiche le decisioni assunte dal GovernoCameron nel campo della difesa. Appena eletto ha subitoadottato i provvedimenti preannunciati, in termini generali,nel suo programma e durante la campagna elettorale, decli-nandone ovviamente i dettagli sulla base delle verifiche chepotevano essere fatte solo una volta insediatosi. E questo ègià un primo insegnamento: le decisioni dolorose, come losono in generale tutti i tagli della spesa pubblica, vannoprese all’inizio del mandato, quando maggioranza parla-mentare e governo sono sulla cresta dell’onda elettorale equando si ha davanti tutta la legislatura per dimostrarne glieffetti positivi o, per lo meno, ammortizzarne le conseguen-ze negative. La riduzione della spesa militare rappresenta,infatti, un’operazione di questo secondo tipo. Lo strumentomilitare serve in caso di necessità: è un’assicurazione sullasicurezza del Paese e come tutte le assicurazioni dimostrala sua utilità solo nel momento del bisogno. Se si dovesseverificare che, a causa dei tagli, non si è in grado di garan-tire la necessaria sicurezza in un determinato momento dicrisi, la responsabilità si scaricherebbe inevitabilmente sulpiano politico. Il Governo Cameron ha preparato e gestitole decisioni con la presentazione di due documenti(Securing Britain in an Age of Uncertainty: The StrategicDefence and Security Review e A Strong Britain in an Ageof Uncertainty: The National Security Strategy) a cui èseguita la discussione a livello di parlamento e opinionepubblica. E questo è un secondo insegnamento: le decisio-ni devono essere basate su un’analisi del quadro strategicoe sull’individuazione ed indicazione degli obiettivi politico-militari che si vogliono perseguire, per lo meno nel medioperiodo. Da qui, tenendo conto del quadro finanziario,devono coerentemente derivare le caratteristiche dello stru-mento militare. Servono una strategia e una pianificazione

complessiva dei cambiamenti che ne chiarisca le caratteri-stiche e le implicazioni. Dovendo ridurre la spesa militarealla luce della crisi economica, il Governo Cameron è inter-venuto anche sul personale: nei prossimi cinque anni laMarina perderà 5.000 uomini, l’Esercito 7.000,l’Aeronautica 5.000 e i civili 25.000. In totale 42.000 perso-ne in meno. E questo è un terzo insegnamento: solo il tagliodel personale in servizio è strutturale e può consentire dimantenere uno strumento equilibrato. Acquistare nuoviequipaggiamenti e non poter addestrare il personale egarantirne il supporto logistico, non ha senso perché reste-ranno nei depositi e, quando servissero, non sarebbero uti-lizzabili. Tagliare l’addestramento e mantenere lo stessopersonale non ha ugualmente senso perché si perdono pro-fessionalità e motivazione. Bloccare l’arruolamento inveceche tagliare il personale in servizio (ovviamente con gliopportuni interventi a carattere sociale) non ha senso per-ché in questo settore bisogna mantenere bassa, per quantopossibile, l’età media e, soprattutto, bisogna poter contaresu una forte aliquota di giovani, gli unici utilizzabili nelleoperazioni internazionali. Nelle forze di terra questo aspet-to è particolarmente importante per la natura del loroimpiego. Nella nuova strategia inglese alcune scelte ineren-ti i grandi programmi di equipaggiamento sono state rove-sciate, fra cui quella relativa ai velivoli a decollo verticale,che saranno sostituiti con velivoli imbarcati a decollo tradi-zionale. E questo è un quarto insegnamento: i programmi diarmamento non devono essere considerati un tabù. Bisognatrovare un giusto equilibrio fra l’esigenza di pianificare leacquisizioni nel medio periodo e quella di poter adeguare lescelte alle mutate esigenze. Un’eccessiva rigidità dei pro-grammi rischia di ingessare i bilanci della difesa, impeden-do ogni adattamento ai cambiamenti. È presto per dire sequeste misure saranno sufficienti per ribilanciare il sistemadella difesa inglese o se dovranno essere presi altri provve-dimenti. Così si comportano i Paesi in cui la difesa e la sicu-rezza sono considerate seriamente. Sarebbe bello se di que-sto gruppo facesse parte anche l’Italia.

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editoriali

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Questa volta ci siamo andati molto vicini. Ad un passodal conflitto aperto, il cui spettro è tutt’altro che scon-giurato anche se la Corea del Nord ha pensato bene dievitare nuove provocazioni dopo il bombardamentod’artiglieria sull’isola di Yeonpyeong, con conseguenteduello con gli artiglieri sud coreani. Non è in realtà loscontro militare più grave di cui siano state protagoni-ste le due Coree dall’armistizio che ha posto fino al con-flitto aperto tra i due Paesi, però questa volta ci sonoandati di mezzo centri abitati e civili sud coreani.L’episodio conferma l’estrema instabilità della situazio-ne, coincidente in parte con il processo di successionedinastica che dovrebbe vedere il terzogenito di LimJong-il, Kim Jong-un succedere al padre. Del resto giàa settembre il 28 sconosciuto erede era stato promossoal rango di generale a quattro stelle e secondo nellalinea di comando militare. Non è detto però che ciò cheè stato pianificato e preparato per mesi e mesi avvengain modo indolore. E, in parte, questo spiega la aggressi-vità nordcoreana, che si accompagna alle nuove rivela-zioni sui programmi nucleari militari, sulla collabora-zione sempre nucleare con il regime birmano, sulla for-nitura di missili balistici No Dong B/BM-25 all’Iran ecosì via. La Cina sembra aver sempre meno pazienzacon il riottoso partner, ma non se la sente di abbando-narlo e a dispetto delle richieste statunitensi mantienesolo una blanda pressione su Pyongyang. La Corea delSud invece è uscità sconvolta dall’episodio, che è costa-to il posto al ministro della Difesa, sostituito da un exgenerale (questo è già un segnale) mentre il presidenteLee Myung-bak ha detto chiaramente che Seoul sta per-dendo la pazienza e che una nuova provocazione provo-cherà una reazione molto pesante, che probabilmentenon sarebbe più simmetrica (tu spari cannonate, iorispondo a cannonate), ma asimmetrica, ad esempiocon attacchi aerei sui siti missilistici e nucleari NordCoreani. Il che porterebbe alla guerra. Del resto dopol’affondamento ad opera di un siluro nord coreano della

fregata sudcoreana Cheonana avvenuto a marzo, i mili-tari sud coreani non sono più disposti a continuare conil “self restraint”, già è un miracolo che non sia avve-nuto il peggio con la nuova provocazione e la stessa opi-nione pubblica sud coreana si è detta indignata per lafiacca risposta militare al misfatto di Pyongyang.Intanto la prontezza delle forze armata è aumenta, ven-gono portati rinforzi in tutte le guarnigioni di confine eviene avviato un programma di potenziamento militare.Anche gli Stati Uniti, che hanno cercato di rassicurare ecalmare l’alleato, al contempo stanno a loro volta raf-forzando il proprio dispositivo militare in Corea del Sude aggiornando i piani di “contingenza” per risponderea qualunque evenienza. Ora non vi è dubbio che una guerra ad alta intensitàporterebbe relativamente in fretta alla distruzione delleforze armate nord coreane e conseguentemente all’im-plosione del regime, però Pyongyang è in grado, anche“dimenticandoci” per un momento della ipoteticaminaccia rappresentata dalle armi nucleari che forse laCorea del Nord davvero possiede (e sono proprio questee relativi vettori missilistici che hanno fatto mettere inallarme il dispositivo di difesa antimissile giapponese),di provocare gravi danni, distruzioni e morti nella Coreadel Sud, non fosse altro perché l’area di Seoul è a por-tata di cannone e razzo. E artiglieria, missili e forze spe-ciali sono le forze più temibili di cui dispone Pyongyange potrebbero anche essere impiegate per scatenare conuna qualche forma di “sorpresa”, almeno tattica, unmassiccio attacco preventivo. Di ciò sono ben consape-voli i generali statunitensi e sud coreani. D’altro cantonon è neanche pensabile continuare a passare di provo-cazione in provocazione senza conseguenze: l’era del“business as usual” di fronte alle pazzie di Pyongyangè finita. Speriamo che anche nei misteriosi palazzi delpotere nord coreano se ne rendano conto e che l’affer-mazione al potere del delfino del malandato leader noncoincida con una guerra.

GLI EDITORIALI/STRANAMORE

La Corea torna ad infiammarsi

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Il vertice di Lisbonaviene considerato unsuccesso. Quali ne

sono gli ingredienti verio presunti? Il presidentedegli Stati Uniti ha com-piuto una rara visita insuolo europeo ed è stato prodigo dibelle parole e di richiami ai legamistorici transatlantici che sono l’es-senza della Nato. Non è sfuggitoagli osservatori che il vertice conl’Unione Europea che si è svoltodopo la fine dei lavori abbia presosolo due ore dando l’impressione diun legame ancora tutto da costruire;fin qui seguiamo una lunga tradizio-ne. Siamo ancora nel regno dei sim-bolismi, importanti ma certo non decisivi. È statodeciso un primo calendario indicativo del ritirodall’Afghanistan. Sappiamo che non c’e’ niente piùdefinitivo del provvisorio. Quello che comunque sicapisce bene è che ormai tira aria di ritiro e questonon incoraggerà le già esitanti opinioni pubblicheeuropee a mantenere costante un impegno militarenel paese. Si sa che la fase del disimpegno è sempremolto delicata e da essa può dipendere il successodell’intera operazione. Vedremo. Ancora è presto,ma fra un anno o due i problemi diverranno opera-tivi. Nessun paese vorrà avere l’ultimo morto nellacrisi afghana, però è vero che queste operazioni non

possono essere eterneed il 2014 sembra esse-re un obiettivo adegua-to. Se teniamo contoche l’operazione inAfghanistan è iniziata il13 Agosto 2003, è capi-

tato proprio a chi scrive di guida-re l’Alleanza a Kabul in quell’oc-casione, ciò significa che essaavrà avuto complessivamente ladurata di due guerre mondiali.La parte più negativa di questocapitolo è il difficile rapporto chesi è instaurato fra l’amministra-zione americana e il governo diKabul. A chi scrive appare ecces-sivo il tono critico verso Karzai

che viene rivelato anche dalle uscite di Wikileaks.Non va dimenticato che la società locale è quella cheè; la piccola classe dirigente tradizionale è statadistrutta da trent’anni di sanguinosi traumi interni. Ilsuccessivo viaggio lampo di Obama nella ben pro-tetta base aerea di Bagram è sembrato più un gestonatalizio che sostanziale. La Nato non è stata nem-meno menzionata se non con un breve riferimentoall’Isaf nel discorso alle truppe. Il capitolo centralerelativo a Lisbona è quello che si riferisce alConcetto Strategico e alla sua approvazione forma-le da parte del Vertice. Il documento rappresentastoricamente i terms of reference della Nato, una

ScenariNATO

PERCHÉ CREDO NELL’ALLEANZA ATLANTICADI ALESSANDRO MINUTO RIZZO

Viviamo in un quadro internazionale in cui le

organizzazioni sorte dopo la II guerra mondiale sono

in difficoltà, ma non si vedonoapparire dei sostituti alla stessaaltezza. Quel che è certo è che

in un mondo più “globale” e disequilibrato rimane

prioritaria l’esigenza di tenere in vita

un approccio multilaterale.Come quello Nato

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scenari

specie di carta stradale che indica quelle percorri-bili dall’Alleanza. È un “manuale di istruzioni”succinto e periodicamente aggiornato. Per capiremeglio bisogna guardare le cose un po’ più davicino. La risonanza di questo tema è stata legatasoprattutto alla procedura inusuale utilizzata.L’ultimo era stato approvato dal vertice del cin-quantenario tenutosi a Washington nel 1999, conD’Alema allora presidente del Consiglio e NinoAndreatta ministro della Difesa.Si trattava di un documento interno e riservatocome del resto i precedenti. In questa occasione ilSegretario generale De Hoop Scheffer aveva giudi-cato una cattiva procedura lasciare la redazione deldocumento ai Comitati della Nato perché sapevache ciò avrebbe consumato energie per diversi mesi,in una infinita discussione su ogni minimo dettaglio.Aveva quindi proposto di incaricare al riguardo ungruppo di saggi di sua nomina. Come al solito laquestione si è risolta con un compromesso poiché ilnuovo Segretario Rasmussen ha chiesto ad un grup-po di esperti di alto livello di fare il lavoro prelimi-nare, per poi passare i risultati del lavoro a lui stes-so e al Consiglio, dove si sarebbero deliberate leconclusioni.L’interesse mediatico è stato anche suscitato dallapresidenza di questo gruppo affidata a MadeleineAlbright, già segretario di Stato all’epoca di Clinton.Forse questa involontaria pubblicità alla fine è statautile perché si è parlato a lungo di questo tema negliorgani di informazione internazionali. Alcuni nonspecialisti sono rimasti delusi perché si aspettavanodi ritrovare nel testo chissà che cosa. Delusione malriposta, perché il documento dà quello che promet-te. È comunque più breve e meglio scritto di quellidel passato, ed anche più chiaro. Il titolo completo èActive Engagement, Modern Defense.A mio parere definisce meglio che in passato i com-piti dell’organizzazione senza perdersi troppo in unainterminabile ed inutile lista di concetti e di possibi-li attività. È diviso in sette capitoli e ciò che conta dipiù sono quelli che vengono definiti i core tasks: si

tratta della Sicurezza collettiva; Gestione delle crisi;Sicurezza attraverso la cooperazione. La sicurezzacollettiva è come tutti sappiamo il fondamento del-l’esistenza della Nato ed è rappresentata dall’art.5sull’assistenza reciproca. Nasce dal trattato diWashington del 1949, atto fondatore. Doveva esse-re un avvertimento all’Unione Sovietica che seavesse toccato un paese membro gli altri avrebberorisposto con le armi contro l’agressione. Come sap-piamo le cose sono andate per un altro verso e que-sta clausola non è mai scattata. Anzi, per dirla tutta,essa è scattata nel senso inverso quando a Bruxellesfu invocato l’art.5 per consentire agli europei divenire in soccorso degli Stati Uniti dopo la tragediadelle due torri l’11 settembre 2001. Sembra trattarsidi un principio obsoleto però per alcuni paesi rima-ne importante, per quelli baltici, la Polonia ed alcu-ni altri in quell’area. Viene considerata un’assicura-zione verso una sia pur improbabile agressionerussa. Questa linea sembra perdere peso nel tempocon l’allontanarsi delle vecchie memorie, però esisteancora . È la contrapposizione naturale al concettodi “global Nato” che ogni tanto si affaccia portatodal vento che viene dall’altro lato dell’Atlantico.Il Crisis Management è tutt’altra cosa ed è quelloche l’Alleanza sta facendo ed ha fatto per ben trevolte nei Balcani in circostanze diverse. Parliamodella Bosnia Erzegovina, del Kossovo e dellaMacedonia. In altre parole l’insieme di direttive politiche e diforze militari adeguate per affrontare l’intero arco diuna crisi. L’esperienza mostra che il valore aggiun-to della Nato si manifesta nella fase più intensa dellacrisi quando l’uso adeguato della dissuasione milita-re è più utile. La parte più nuova è il terzo dei coretasks del Concetto strategico; riguarda la sicurezzainternazionale e la creazione di una rete di partena-riati al di la dei propri confini. In questo modo sipensa che l’Alleanza possa contribuire attivamentea consolidare la sicurezza internazionale nel mondo.Chi scrive ha seguito la fase iniziale di queste attivi-tà nel primo decennio del nostro secolo quando sono

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apparsi questi network: il partenariato per la pace, ildialogo mediterraneo, l’iniziativa di Istanbul verso ilGolfo. Nel Concetto Strategico si parte dal principioche l’area euro-atlantica sia oggi al riparo da crisiimportanti e che la possibilità di un attacco conven-zionale appare bassa. Ciò nonostante una serie diminacce potenziali è presente altrove, a cominciaredalla proliferazione dei missili balistici, che possonoavere un’impatto diretto. Nel prossimo decennio laproliferazione di armi nucleari, di altre armi didistruzione di massa e della loro capacità di utilizzosi svilupperà proprio nelle aree più delicate delmondo. Il terrorismo in conclusione pone unaminaccia diretta al nostro benessere e al nostro tipodi società. Gruppi estremisti continuano a formarsiin zone sensibili con possibilità di accesso alle tec-nologie moderne che ne aumentano la pericolosità.Vengono citate nel testo tecnologie nucleari, chimi-che, biologiche o batteriologiche.L’instabilità ed i conflitti oltre i confinidell’Alleanza, come il traffico di droga, di armi e diesseri umani sono altresi considerate fonti di perico-lo. Un intero paragrafo è dedicato agli attacchicibernetici che stanno diventando sempre più fre-quenti e meglio organizzati; quindi più pericolosiper la sicurezza economica e politica dei nostripaesi. Di qui la necessità di munirsi di misure ade-guate. Il concetto strategico, come del resto è natu-rale, è certamente più avanzato del precedente nel-l’indicare i maggiori punti sensibili ai fini dellaNato. Ecco quindi l’auspicio di uno sforzo concerta-to per proteggere le vie di comunicazione vitali peril trasporto di energia, riconosciuta come uno degliissues strategici emergenti. Senza fare una lungaelencazione noiosa quello che emerge alla fine èuna forte attenzione agli attuali temi transnazionalipiù rilevanti per la comunità internazionale nel suoinsieme. Tutto questo non deve necessariamenteimplicare un’azione diretta della Nato, ma comun-que influenza in un modo o nell’altro l’area euro-atlantica. L’Alleanza Atlantica è per molti versi unoggetto che oggi rimane piuttosto misterioso.

Ciononostante rimane una comunità di valori condi-visi, come riafferma il documento, centrata sullaliberta individuale, la democrazia, i diritti umani, lostato di diritto. Per questa ragione i governi (com-preso quello italiano) hanno dichiarato a Lisbonache l’Alleanza rimane una fonte essenziale di stabi-lità all’interno di un mondo assai imprevedibile. Puòessere l’origine di un lungo discorso sulla sua rile-vanza, sulla sua capacità o meno di farsi conoscere,sul confronto con altre organizzazioni. Facendoquesti ragionamenti riteniamo di essere creaturemolto razionali e pensiamo che ciò si estenda aglistrumenti in cui la nostra società si organizza. Credoche né l’uno né l’altro sia vero.

Non dimentichiamoci che la Nato è un’Al-leanza fra paesi sovrani diretta verso alcuni obiettivicomuni e che non ha alcuna pretesa di sovra-nazio-nalità o di completezza. Non ha neppure una compe-tenza universale. Essa ha un bilancio comune mini-mo al di la delle apparenze e in conclusione è pro-prietà degli stati membri che la possono indirizzaredove vogliono, quando vi è consenso fra loro. In altreparole vale solo per quello che sa fare. Tanto per fareun esempio che pare calzante, l’intervento dell’orga-nizzazione in Asia Centrale è stato deciso all’unani-mità nell’Aprile 2003, al di la di qualsiasi dettato del-l’allora concetto strategico, che invece indicava conprecisione una competenza limitata all’Europa ed aisuoi confini. Potrà la vecchia Alleanza essere all’al-tezza di aspettative che almeno sulla carta sembranotanto elevate? Questo è il vero problema. Un dettoanglosassone recita che non si possono insegnarenuovi giochi di abilità a un vecchio cane! Dipenderàda molte cose la maggior parte delle quali non dipen-dono dall’Alleanza stessa. In primo luogo il rappor-to euro-americano che appare deteriorarsi nel suospessore nonostante le espressioni di cortesia, di con-siderazione e di affetto verso i bei vecchi tempi.Ci sono ragioni buone e meno buone per questo:cominciando dalle prime, l’Europa non è più datempo una fonte di crisi, né sono prevedibili serie

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crisi nel vecchio continente. O almeno tali darichiedere l’uso della forza. Inoltre l’Europa èmeno forte di un tempo ed il suo peso relativo nelmondo è in via di diminuzione. Fin qui siamo nel-l’ordine normale delle cose ed comprensibile chel’America dedichi più attenzione ad altre aree delmondo che sono al contempo di rilevanza crescen-te oltre che potenziali fonti di crisi. Lo è meno laproclamata attenzione dell’amministrazionedemocratica verso il multilateralismo e lo sforzocomune in sintonia con chi ha gli stessi valori; sela si confronta ad una crescente tendenza a for-mare semplici coalitions of the willing.Cioè con chi ci sta su determinati obiettivi. Forseancora peggio è l’opinione formatasi sotto tracciache gli europei non stiano dando un contributo ade-guato all’impegno militare americano inAfghanistan e che tra quelli che ci stanno sonopochi quelli che combattono realmente. IlSegretario alla Difesa Gates in alcune occasioninon ha taciuto il suo disappunto a questo riguardo.Ciò spiega perché ci sia tanta enfasi sulla riduzionedelle spese e del personale alla Nato. Ad ogni buonintenditor poche parole.Queste posizioni riflettono una diversa percezio-ne delle minacce fra europei ed americani, maanche la frustrazione di questi ultimi per l’insod-disfacente andamento delle cose sugli altipianiafghani. È un modo di pensare da correggere per-ché non è del tutto giustificato. In realtà da questaparte dell’Atlantico sappiamo che i governi euro-pei fanno grandi sforzi per sostenere l’operazioneafghana davanti ad un’opinione pubblica incerta acui le ragioni dell’impegno non sono state benspiegate. L’offerta dell’art.5 fatta nel settembre2001 dagli europei a Washington non fu presa inconsiderazione da Bush che preferì andare inAfghanistan da solo. Pur con tutti i limiti,l’Europa rimane il miglior partner possibile per gliStati Uniti e l’unica parte del mondo che può scri-vere le regole di convivenza civile del futuroinsieme al Nord America.

In fondo, è per queste ragioni che è bene chel’Alleanza atlantica continui ad avere un rilievo,senza contare che è l’unica organizzazione almondo ad avere un rapporto fra civili e militari col-laudato e una capacità di gestione delle crisi chenessun altro ha. È un grave errore pensare in termi-ni di fallimento della Nato in Afghanistan, perchéle ragioni delle difficoltà in Asia centrale sonoprima di tutto in campo civile e politico.L’Alleanza

fa quello che può con dei numeri ridotti e regoled’ingaggio piuttosto limitative.Un commento sul vertice di Lisbona non può esserecompleto se non si parla della Russia. Vi è semprestato un certo rispetto reciproco, malgrado le seriedivergenze scoppiate soprattutto nell’ultima partedell’amministrazione repubblicana. Erano dovutealle domande d’adesione di Ucraina e Georgia,oltre che al progetto di scudo anti-missile. Unavolta caduti questi contenziosi, il “reset” è scatta-to quasi automaticamente. Del resto il governorusso ha interesse a modernizzare il paese e quin-di ad avere buoni rapporti con Nato ed Unione

La Nato è un’Alleanza frapaesi sovrani diretta versoalcuni obiettivi comuni e chenon ha alcuna pretesa di sovra-nazionalità. Ha unbilancio comune minimo ed è proprietà degli statimembri che la possono indirizzare, quando vi è consenso, dove vogliono. In altre parole vale solo per quello che sa fare. Come il vertice di Lisbona

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Europea, coloro che meglio possono dare contri-buti sostanziali in tale direzione. La Nato si prestameglio perché ne fanno parte gli Stati Uniti e per-ché la Russia è abituata da sempre a dare la prio-rità al suo ruolo di potenza e si sente a suo agionelle grandi questioni strategiche. Se andiamo aguardare “il quadro generale” ci sono più asso-nanze che divergenze, sul terrorismo, la diffusio-ne dell’arma nucleare, il Medio Oriente. LaRussia non è una potenza rivoluzionaria e lo sta-tus quo in fondo è l’opzione migliore. Per di piùavere un governo amico a Kiev ha contribuito arasserenare il Cremlino. L’appoggio che ilPresidente russo ha manifestato a Lisbona percontribuire alla pacificazione dell’Afghanistan vanella stessa direzione. Appare condivisibilel’obiettivo di frenare l’esportazione di droga cosicome di impedire che l’estremismo religioso gua-dagni terreno in Asia Centrale. Il SegretarioRasmussen ha quindi segnato un punto a suofavore su questo terreno, cui ha dato priorità nellapreparazione del vertice.

Tutto questo naturalmente non esaurisce iltema dell’Alleanza atlantica e del suo peso futuro.Come sempre accade è più facile analizzare ilpassato. Credo che pochi ormai disconoscano ilsuo ruolo storico. Se restiamo in un’ottica euro-pea è chiaro che senza la presenza della Nato ilnostro continente non avrebbe potuto raggiungereuna prosperità senza precedenti né portare avanticon tranquillità il suo grande progetto di integra-zione, al riparo dai nemici di allora. Ha avuto unruolo insostituibile nella pacificazione dei Balcanidopo la disintegrazione della Yugoslavia ed il pre-cipitoso crollo del comunismo. Si è poi fatta daparte, facilitando un processo naturale di integra-zione della regione nell’Unione Europea. Tuttoquesto ha molto favorito “l’Europa”. Può ora laNato essere sostituita dall’ Europa della Difesa,per usare una terminologia in uso? Direi di no.Soprattutto alle istituzioni di Bruxelles manca

ancora una cultura della difesa. Ricordo, da mem-bro fondatore del Comitato per la Politica e laSicurezza, che nel 2000-2002 vi fu una lungapolemica con il Parlamento Europeo, il quale pre-tendeva di visionare tutte le comunicazioni inter-ne in tali materie. Una specie di inconsapevoleWikileaks ante litteram. Il povero Javier Solanaaveva gli occhi fuori dalla testa cercando in tutti imodi di convincere i parlamentari che era neces-sario garantire la riservatezza a certe comunica-zioni. In quel periodo ho partecipato al primoincontro dei ministri europei della Difesa, guarda-ti con stupore dagli impiegati che non avevanomai visto prima persone in divisa e credevano sistesse girando un film. Si tratta di esempi estremie le cose sono gradualmente cambiate newwwipalazzi dell’Europa. Rimane l’appello di LordRobertson ai governi europei per creare delle soli-de “capacità”. Esse non possono essere sostituite,almeno nel lungo periodo, da dichiarazioni politi-che.Per tornare da dove siamo partiti, il testo delConcetto Strategico non dice niente di sensazio-nale. Come sempre quello che conterà in futuro èla volontà politica dei paesi e in particolare ladirezione che i governi più importanti vorrannoimprimere. Siamo in territori inesplorati, per ilmomento quello che più pesa è l’operazione inAfghanistan. Dove vi è il rischio che possa farcomodo a molti lasciare la Nato con il cerino inmano al di la del suo ruolo effettivo. Si puo’solo concludere dicendo che la velocità deicambiamenti non consente facili previsioni.Viviamo in un quadro internazionale in cui leorganizzazioni sorte dopo la seconda guerramondiale sono in difficoltà, ma non si vedonoapparire dei sostituti alla stessa altezza. Quelche è certo è che in un mondo più “globale” edisequilibrato rimane prioritaria l’esigenza ditenere in vita un approccio multilaterale. Diconseguenza dovremmo cercare, fin dove è pos-sibile, di conservare quello che abbiamo e chefinora ha dato prova di poter servire.

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La variabile ener-getica è oggi ele-mento strategico

prioritario nella definizio-ne degli interessi nazio-nali. L’energia ha assuntouna dimensione geopoli-tica transnazionale. Sidice che petrolio e gassono materie prime a forte contenutodiplomatico e militare, con un valorefiscale innegabile e, in modo piùaccessorio, con un certo potere calo-rifero. Questa frase, più di ogni altra,pone l’accento sul ruolo della geopo-litica nella formazione e nella opera-bilità del mercato dell’energia. Il puz-zle geo-energetico non è più solamente di natura geoe-conomica - basato, in sostanza, sul ruolo delle impresee del mercato - e geostrategica - competizione e deter-renza. Paesi energivori quali Stati Uniti, Russia, Cina eIndia hanno ridefinito o stanno modificando le politicheenergetiche nazionali per influenzare i mercati mondia-li a proprio vantaggio.Non si guarda più alla fonte d’energia come “valoreeconomico”, ma ad essa come “valore geopolitico”.Spesso, in politica, “valore” è sinonimo di “arma”.Gazprom non è solo un’industria gasiera e petrolifera,ma è il braccio armato del Cremlino, che, attraverso unapolitica energetica muscolare, intende riconquistare ilrango e il ruolo che la dissoluzione dell’Impero sovieti-co aveva quasi azzerato su scala mondiale. La Russiafornisce il 100% del gas consumato in Finlandia,

Slovacchia, Lituania,Lettonia ed Estonia; il90% del gas consumatoin Bulgaria, l’80% diquello consumato nellaRepubblica Ceca e inGrecia, il 40% di quelloconsumato in Germania,poco meno del 30% di

quello consumato in Italia e quasi il20% di quello consumato in Francia.La geopolitica ingloba in sé oltre alledimensioni geografico-territoriali estorico-culturali-identitarie, anche ifattori razionali, a-razionali (valori,principi, morale, ecc.) e ir-razionali(paura, odio, ecc.). La “triade fattoria-

le” genera effetti distorsivi in termini di geopolitica eco-nomica, più che di economia allo stato puro. I fonda-menti economici restano sempre gli stessi. È la capaci-tà dei Governi di metterli insieme e inserirli in un qua-dro organico per la realizzazione degli interessi naziona-li che si sta sempre più degradando. Ecco allora che unmercato dell’energia quale quello dell’Europa, semprepiù lanciato verso una forma di liberismo economico,oggi evidenzia ripensamenti - sbagliati - per un ritornoad un nazionalismo dell’energia. Salvo poi i singoliStati, seduti insieme intorno ai tavoli di negoziazione,dichiararsi d’accordo nell’evitare un ritorno al protezio-nismo, che porterebbe alla chiusura delle frontiere degliStati, generando effetti negativi sia sulla competitivitàdei sistemi-paese, sia un “effetto domino” a livello pla-netario. L’energia è oggi in grado di spostare gli equili-

MONDO

FAME DI ENERGIADI DAVIDE URSO

Negli ultimi 10 anni la popolazione mondiale

è aumentata del 12%; il consumo di energia

primaria del 20%; la domanda di elettricità del 30%. Il nostro Pianeta consuma di più di quanto

produce in termini di vite umane

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bri geopolitici mondiali. Sarà un fattore che renderà ilmondo più multipolare di quanto lo sia oggi. I pessimi-sti vedono nell’energia un fattore polarizzante, facendoriferimento alla geologia delle risorse energetiche.Pertanto, seguendo tale logica, un’oligarchia ristretta dipaesi dominerà la scena mondiale, rischiando di genera-re le condizioni per una “Guerra Fredda dell’energia”. Èuna posizione che si basa su preconcetti ormai del tuttosuperati: l’aritmetica delle testate nucleari, come pre-supposto della nomenclatura geostrategica della GuerraFredda; le “eleganti semplicità” del periodo bipolare”,per cui un mondo governato da due poli sarebbe piùgestibile rispetto ad un multipolarismo, in cui più attorigiocano un ruolo attivo sulla scacchiera internazionale;possibilità di uno o due Stati di dettare l’agenda politicadegli altri Stati; ecc. Altro errore di valutazione è man-tenere l’energia legata a logiche solamente geologiche.La globalizzazione dell’energia ha reso le fonti multidi-mensionali e interconnesse tra loro. Ciò non solo in ter-mini di prezzo, ma anche di dinamiche politiche che sot-tintendono scelte economiche di un paese. L’energianon sarà per forza un fattore di collisione (anche se con-trasti - fisici e non - per l’approvvigionamento di fontid’energia non mancheranno), ma di mercato, d’interes-si nazionali e di obiettivi globali. Tutti, in tale mercato,ne potranno beneficiare; fintantoché ci saranno risorsesufficienti. Oggi sta emergendo una vera e propria“diplomazia dell’energia” o una “geo-energia”. I puntiall’ordine del giorno sono molteplici. • Primo, la natura globalizzata del mercato mondialedell’energia e l’enorme importanza che l’energia avràsempre più nella definizione delle politiche - interne edestere - e degli interessi nazionali rendono sempre piùnecessario l’approdo ad un mix pragmatico e lungimi-rante delle fonti di produzione.• Secondo, la globalizzazione dell’energia non è piùsolo sinonimo di stabilità, ma allo stesso tempo di fram-mentazione e di regionalizzazione. Lo Stato-nazione haritrovato nell’energia la sua centralità e indispensabilità.Lo dimostrano le politiche nazionalistico-energetichedella Federazione Russa, del Venezuela, del Brasile,della Cina, di molti paesi africani, e così via.

• Terzo, il mercato mondiale dell’energia dipenderàsempre più dall’incremento della domanda provenientedai paesi “energivori”, soprattutto dei paesi in via di svi-luppo (in primis, Cina e India).• Quarto, la sicurezza energetica costituisce sempre piùuna priorità dei Governi, soprattutto nei paesi con risor-se limitate di combustibili fossili e che, quindi, dipendo-no dalle importazioni (l’Italia si colloca al primo posto).• Quinto, gli attuali trend sono insostenibili sotto l’aspet-to economico, finanziario, sociale e ambientale. Ilmodello business-as-usual ha fallito in modo manifesto.L’imprevedibilità della dinamica dei prezzi delle fontienergetiche, il legame tra energia e geopolitica - “geo-energia” -, l’utilizzo dell’energia come strumento dellapolitica, il ruolo dell’energia sul benessere dell’umanità,ecc. sono solo alcuni degli elementi che hanno decreta-to la fine del modello tradizionale. Il lassez faire non hapiù ragione di esistere.

Nel 2009, secondo i dati ufficiali dell’Ocse,i prezzi dell’energia a livello internazionale sono cre-sciuti del 10,6%. Si tratta di un dato molto rilevante sesi considera che, sempre nel 2009, escludendo l’energiae i prodotti alimentari, i prezzi al consumo sono aumen-tati dell’1,6%. Un differenziale di +9% a svantaggio delprezzo dell’energia non è giustificabile solo ricorrendoa sistemi econometrici o ad algoritmi che tendono a cal-colare il dato del costo con modalità assolute, senza con-siderare le motivazioni che hanno portato al risultatoottenuto. L’energia, oggi, ragiona con logiche matricia-li, né assolutiste, né profetiche. Nella sola area Ocse, il“caro-energia” ha contribuito ad un aumento dell’infla-zione del 2,1%. Nell’area euro, i prezzi dell’energiasono cresciuti del 4% rispetto al gennaio 2009, mentrenell’Ue l’aumento è stato del 5,1%. Un notevolissimoaumento del costo si è registrato in Islanda (+22,7%),Stati Uniti (+19,1%) e Grecia (+17,9%), ma anche inStati europei, come Ungheria (+12%), Finlandia(+11,5%) e Spagna (+11,4%). Aumenti contenuti per laGermania (+1%). L’energia costa di meno nei PaesiBassi (-4,4%), in Belgio (-3,4%) e in Italia (-0,9%). Sitratta di dati su cui occorre riflettere in modo oggettivo,

scenari

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pragmatico e scientifico, senza limitazioni o costrizionigenerate da apprendisti stregoni dell’energia, dell’am-biente e del clima. La “geo-energia” sta definendo inuovi confini delle politiche nazionali, comunitarie emondiali. Tali confini stanno divenendo sempre piùporosi. Le sfide energetiche - le sfide che tramite unapolitica energetica si vogliono vincere - hanno superatola dimensione nazionale. Le tematiche e le problemati-che energetiche sono globali. Sono nell’agenda dei prin-cipali consessi internazionali (Ue, Onu, Nato, Osce,Banca Mondiale, Fmi, ecc.). Le risposte dello Stato-

nazione non possono che essere altrettanto globali; sem-pre in sintonia con gli interessi nazionali. Una discre-panza tra definizione e realizzazione degli interessinazionali - questi parte della grand strategy di unoStato-nazione - e approccio e dimensione globale dellaquestione energetica nazionale produrrebbe effetti disa-strosi per l’intero sistema-paese. In passato, in caso difluttuazioni dei prezzi, la scelta della politica era di

aspettare che l’effetto della speculazione e la mano invi-sibile del mercato facessero il loro corso, riportando iprezzi delle fonti di produzione di energia a livelli accet-tabili per la collettività. Anzi - salvo casi particolari,quale la bolla speculativa degli anni ’70-‘80 - la collet-tività spesso non riusciva neanche a seguire l’andamen-to ondivago dell’economia dell’energia. Tutto rientravain regole economiche “naturali” e, quindi, “invisibili”.Oggi molto è cambiato. Alla speculazione e ai corsi ericorsi delle instabilità dei prezzi e delle logiche nel mer-cato, si aggiungono criticità, quali i cambiamenti clima-tici, l’aumento demografico mondiale, la crescita delladomanda di energia, che oggi è un fattore strategicorilevante quanto la sicurezza energetica, la globalizza-zione del mercato dell’energia, l’instabilità geopoliticadi aree strategiche, la “triade fattoriale”, e così via.Isteresi dei prezzi e squilibri di mercato sono una “nor-malità visibile”. Anche il “non fare” è oggi un costodiretto per la collettività e per il sistema-paese, tantoquanto il “fare”. È stato stimato che i costi dell’inazio-ne nel settore energetico a carico della sola Europasarebbero 10 volte superiori ai costi dell’azione, pari acirca 1.500-3.000 euro l’anno per persona. L’energia vaconsiderata nell’evoluzione delle scelte di politica eco-nomica, piuttosto che di geoeconomia tout court. Lapolitica deve ritrovare il suo primato. Deve generare -in questo momento di crisi globale e di transizione delsistema energetico - un “new deal dell’energia”. Senzauna politica energetica migliorativa, che punti adaumentare il livello di cooperazione internazionale, aduna maggiore diversificazione delle fonti, ad investirenella ricerca e nello sviluppo tecnologico e ad elevareil grado di efficienza energetica (di risparmio energeti-co e di controllo dei consumi), entro il 2030, la doman-

da di energia mondiale crescerà di oltre il 50% e le emis-sioni di gas serra del 60%. Sarebbe, a quel punto, trop-po tardi. Il ritardo si tradurrebbe, in termini macroeco-nomici, in una significativa perdita del Pil mondiale, conconseguenti crisi di stabilità delle Grandi potenze (pas-saggio dalla “grande scacchiera” di Brzezinski alla“scacchiera dei Grandi”) e con un inasprimento delleviolenze regionali e locali. In termini geoeconomici, in

Non si guarda più alla fonted’energia come “valore economico”, ma ad essa come“valore geopolitico”. Spesso,in politica, “valore” è sinonimo di “arma”.Gazprom non è solo un’industria gasiera e petrolifera, ma è il braccioarmato del Cremlino, che,attraverso una politica energetica, intende riconquistare il rango e ilruolo che la dissoluzionedell’Urss aveva quasi azzerato

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una perdita di competitività dei paesi importatori edesportatori, a danno del sistema industriale e delle popo-lazioni. Da alcuni anni, l’energia è tornata saldamente alcentro delle preoccupazioni mondiali. Con aspetti pecu-liari diversi dalle crisi passate, dovuti al nuovo ruolo chegiocano tre fattori distinti ma tra loro interdipendenti:economico, ambientale e geopolitico. Le questioniambientali, fino a pochi anni fa, erano considerate irrile-vanti per l’attività economica, ma oggi stanno riscriven-do le regole per le imprese, gli investitori e i consuma-tori. In tutto il mondo, risposte innovative ai cambia-menti climatici e ad altri problemi eco-ambientali inci-dono per più di 100 miliardi di dollari di flussi di capi-tale l’anno e solo per cercare di adottare misure in gradodi creare una prima bozza di economia globale sosteni-bile. L’energia è il fattore della produzione più impor-tante dell’economia mondiale. Il mercato dell’energiapesa per il 10% sulla creazione del Pil mondiale e copreuna quota del 15% del commercio internazionale. Laquestione energetica è una delle principali priorità delnostro tempo. Ciò sia per la futura diminuzione dellerisorse di combustibili fossili, sia per la dimensione geo-politica che l’energia ha assunto negli ultimi anni. Inpassato l’energia era una commodity. Oggi siamo nel-l’era dell’energia “non più facile e non più a bassocosto”. Ciò genera problematiche di energy security,dipendenza dal livello delle risorse energetiche, dalleinstabilità geopolitiche delle regioni produttrici e dagliappetiti degli Stati energivori. Il mercato mondiale èsempre più ampio, dinamico e imprevedibile. L’energiaha assunto nuove caratteristiche e una nuova nomencla-tura. Al fattore economico, si sono aggiunti quello poli-tico, della sicurezza e ambientale. Pertanto, il necessarioriassetto del mercato mondiale dell’energia non potràesserci senza un intervento dei governi degli Stati mag-giormente interessati sia nella fase di importazione econsumo, sia di esportazione e produzione. Il mercato,da solo, non è più in grado di reggere l’intersezione tradomanda (sempre più elevata) e offerta (in calo senzainvestimenti in attività di R&S e di miglioramento einnovazione tecnologica). L’idea dei liberisti assolutisti per cui il mercato avrebbe

risolto tutti i problemi, si è rivelata infondata. Fino adpochi anni fa si pensava che l’interdipendenza fra paesiconsumatori e produttori potesse produrre un equilibriostabile. L’andamento dei mercati degli ultimi anni hagenerato un squilibrio a vantaggio dei paesi produttori.La capacità di resistenza dei paesi più dipendenti dallapressione commerciale dei paesi produttori si è moltoridotta, innescando vulnerabili dipendenze geopolitichee geoeconomiche. A ciò va aggiunta l’inefficacia dellepolitiche nazionali a mettere in moto un processo diinterdipendenza economico-energetica sostenibile, piùche altro per la salvaguardia dei singoli interessi nazio-nali. Ciò ha generato anche squilibri sociali tra Nord eSud del mondo. Le dinamiche dei mercati energeticisono cambiate: la domanda ha sostituito l’offerta comeparadigma del mercato. Gli equilibri dell’economiareale dell’energia sono irrealizzabili. I combustibili fos-sili rimarranno ancora a lungo la principale fonte dienergia. Il loro contributo al soddisfacimento delladomanda globale si manterrà intorno all’80% almenofino al 2030. I principali paesi produttori ed esportatoridi combustibili fossili - in primis Russia, Libia e Iran -sono Stati poco democratici, autarchici e dipendono inmisura elevata dai fossili per la generazione del proprioPil nazionale.

Pertanto, il mercato è soggetto non solo ad unanomenclatura geoeconomica (rapporto domanda eofferta) e geofinanziaria (speculazione e capacità digenerazione di ricchezza), ma anche geopolitica (ruolodegli Stati nello scenario mondiale) e geostrategica (usodell’energia come arma). I mercati sono fortementeinterconnessi. Ogni 10 $/barile in più del prezzo delpetrolio causa un costo complessivo annuo per l’econo-mia mondiale di circa 500 miliardi di dollari: costodiretto, superiore ai 300 miliardi di dollari; e costo indi-retto, circa 200 miliardi per gli “effetti di trascinamento”sulle altre fonti energetiche, dovuti alla multidimensio-nalità delle fonti di energia. Tra il 1999 e il 2007 il prez-zo medio del petrolio è aumentato di 50 $/barile, con unonore complessivo annuo di circa 2.500 miliardi. Anchese la crisi energetica si è dimostrata meno esplosiva di

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quella finanziaria, avrà però effetti di medio-lungoperiodo e provocherà elevati danni alla competitività deisistemi-paese e alla qualità di vita delle popolazioni,soprattutto quelle meno abbienti.Esiste uno stretto rap-porto tra consumo di elettricità e l’indice Hdi (UnitedNations Human Development Index), che è una misu-ra quantitativa del grado di benessere e di sviluppoumano che combina fattori quali la mortalità infantile,l’aspettativa di vita, la fornitura di risorse primarie, illivello di alfabetismo, le opportunità educative, lalibertà politica, ecc.

Il dato che emerge è che gli Stati con più altoindice HDI hanno anche più alti livelli di consumo dielettricità pro-capite, generalmente oltre i 4.000 kWh.Ad esempio, in Italia il consumo di elettricità pro-capite nel 2008 è stato pari a circa 5.900 kWh. L’Ipcc(International Panel on Climate Change) ha osservatocome l’energia elettrica sia il vettore a più alto valoreenergetico perché è pulita al momento del suo utiliz-zo e può essere utilizzata in tanti modi differenti permigliorare la produttività personale ed economica. Lamaggiore disponibilità di energia elettrica ha un forteimpatto sulla qualità della vita in tutti i paesi, soprat-tutto nei paesi in via di sviluppo. I paesi in via di svi-luppo, nel tentativo di migliorare il benessere delleloro popolazioni, aumenteranno il loro consumo dienergia elettrica pro-capite. Pertanto, ci sarà bisognodi maggiore fornitura di energia elettrica nella mag-gior parte dei paesi in via di sviluppo.Tuttavia, si prevede che questa tendenza si evolverànon così velocemente, a causa dei vincoli e delle dif-ficoltà micro e macroeconomiche di questi paesi. Gliscenari dell’Iea stimano nel 2020 che circa l’80%della popolazione mondiale consumerà ancora menodi 4.000 kWh l’anno pro-capite. L’87% dell’aumentostimato globale di energia al 2030 sarà dovuto ai paesinon-Ocse; il 74% all’espansione dei paesi emergenti;le sole Cina e India incideranno per oltre la metà dellacrescita della domanda mondiale di energia primaria(dimensione del mercato + scenario di crescita econo-mica). I paesi del Medio Oriente contribuiranno per

l’11%. Nel mondo la capacità di generazione dipotenza in costruzione è di 614 GWe: 200 GWe dacarbone, 150 GWe da gas, 100 GWe da petrolio, circa52 GWe da nucleare, il resto della capacità di genera-zione deriverà dalle fonti rinnovabili. Se i programmisaranno rispettati, tale capacità diverrà operativa entroil 2016. Tre quarti di tale potenza sarà funzionale neipaesi non-Oecd. Le economie e la popolazione deipaesi emergenti crescono molto più rapidamente diquelle dei paesi industrializzati, spostando il baricen-tro della domanda mondiale di energia: nel 2030 ipaesi oggi emergenti copriranno circa il 55% delladomanda globale, mentre i paesi industrializzati scen-deranno al 40% circa. Se tali dati dovessero concre-tizzarsi, in 25 anni si avrebbe la stessa crescita deiprimi 75 anni del secolo scorso (1900-1975) e supe-riore di 1,5 volte a quelli registrata negli scorsi 25 anni(1980-2005).Molti fattori influenzano la domanda mondiale dienergia: il reddito mondiale, l’andamento demografi-co, il consumo e il reddito pro-capite, i processi diurbanizzazione, la mobilità, il progresso tecnologico,le aspettative dei consumatori, ecc. Tra tutte, la storiaha mostrato come la variabile più influente sia forse ilreddito. Il reddito mondiale è stimato crescere ad untasso medio annuo del 3,6%, passando dai 54,9 miliar-di di dollari del 2006 ai 128,3 nel 2030. Nei prossimi40 anni si ritiene che la popolazione mondiale aumen-ti a 9,2-9,5 miliardi, per poi stabilizzarsi nei decennisuccessivi su 10-11 miliardi. Il 95% dell’incrementodella popolazione sarà a carico dei paesi in via di svi-luppo più o meno accelerato, che passeranno dagliattuali 5,5 a 8 miliardi di abitanti nel 2050. La popola-zione dei paesi ricchi resterà pressoché invariata sugliattuali 1,2 miliardi. Anche i calcoli più conservativiprevedono che, nei prossimi 50 anni, quasi certamen-te la popolazione mondiale supererà i 9,2 miliardi dipersone (8,2 miliardi nel 2030). Mai come negli ultimi100 anni si è vista una così forte accelerazione deltasso di crescita della popolazione a livello mondiale.Pertanto, aumenteranno in modo consistente sia i con-sumi di energia, sia il relativo impatto ambientale,

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dovuti ai circa 2,5 miliardi di persone aggiuntive chevivranno sulla Terra tra 40-50 anni e ai circa 5,5miliardi che oggi vivono nei paesi in via di sviluppo eche hanno consumi molto inferiori a quelli dei paesiindustrializzati. Sui consumi enrgetici pesa più la cre-scita della disponibilità economica che l’aumentodella popolazione. Anche se dal 1980 la Terra “produ-ce” più esseri umani che petrolio! L’aumento dei con-sumi pro-capite porta all’impennata della domanda dienergia e dell’impatto globale, che può essere mitiga-to da adeguate politiche energetiche sostenibili e dalmiglioramento e dall’innovazione delle tecnologie giàdisponibili, per aumentarne l’efficienza e ridurne l’im-patto ambientale, e dallo sviluppo di nuove tecnolo-gie.Negli ultimi 10 anni, la popolazione mondiale èaumentata del 12% (200 mila persone al giorno, con300 mila nuovi nati/giorno); il consumo di energia pri-maria del 20%; la domanda di elettricità del 30%.Quindi, il nostro Pianeta consuma di più di quantoproduce in termini di vite umane. Si stima che questotrend continuerà almeno fino al 2050, quando la popo-lazione mondiale dovrebbe superare i 9 miliardi diabitanti. Si rischia il collasso.

Secondo le ultime stitme, la Terra potrebbeoggi - se tutti volessero vivere al livello dei cittadinistatunitensi - sostenere solo 1,4 miliardi di abitanti,sui 6,5 miliardi di oggi. Praticamente si ritornerebbeai livelli di un secolo fa. I processi di urbanizzazioneincidono sui livelli di consumo dell’energia e, quindi,sul livello della domanda. Negli ultimi 50 anni, ilnumero degli abitanti delle città a livello mondiale èaumentato di oltre il 20%, superando il 50% del tota-le. Ciò genera evidenti ricadute sulle politiche e leeconomie nei settori del trasporto, del riscaldamento,dell’illuminazione, dell’elettricità, ecc. Secondo leproiezioni delle Nazioni Unite, nel 2030 le città ospi-teranno il 60% della popolazione mondiale, cioè l’in-tera popolazione del pianeta del 1986, e sarannoresponsabili di oltre il 70% dell’intero consumo dienergia e di almeno l’80% di questo incremento pro-verrà dai paesi in via di sviluppo. Inoltre, ogni situa-

zione energetica - di abbondanza o di crisi - è sempreconnessa a tre fattori, tra loro strettamente interdipen-denti: geopolitici, geoeconomici e tecnologici. Leprevisioni circa la futura domanda di energia non pos-sono non tenere conto anche dell’evoluzione di que-sti fattori.Secondo gli ultimi scenari di politica ener-getica al 2050, per soddisfare il crescente fabbisognodell’umanità, la domanda di energia dovrà aumentarein maniera consistente dopo il 2020 (primo picco),sebbene alcune regioni potranno ridurre il fabbisognosviluppando tecnologie energy efficient, e nel 2050sarà il doppio di quella attuale (pari a circa 23 Mtep).Globalmente - secondo uno scenario conservativopre-crisi - i consumi energetici sarebbero dovuti pas-sare dai 10.602 Mtep del 2003 ai 14.121 del 2015, ai18.184 del 2030, con una variazione annua di circa il2%. Tali prospettive non tengono conto né degliaggiustamenti degli indicatori macroeconomici dellesingole aree e del sistema-globale, né degli sviluppitecnologici che aumenteranno la produzione di ener-gia da fonti alternative a quelle fossili e a prezzi piùcompetitivi (nucleare e rinnovabili), né della crisieconomico-finanziaria e della conseguente recessio-ne che, tra il 2008 e il 2009, hanno sconvolto i mer-cati energetici internazionali, provocando un impattonegativo sulle aspettative connesse a talimercati.mIncludendo tali fattori, considerando unoscenario di riferimento, nel periodo 2007-2030 ladomanda mondiale di energia primaria aumenteràdell’1,5% l’anno, passando da poco più di 12.000milioni di tep a 16.800 milioni di tep (+40% in termi-ni assoluti). I paesi asiatici in via di sviluppo sarannoi principali motori di tale crescita, seguiti da quellimediorientali.Entro il 2050, se le politiche internazionali non doves-sero cambiare verso una low-carbon economy e siste-mi energetici più sostenibili, la domanda di energiaprimaria si stima in aumento di un fattore di circa 2,5.

Il testo pubblicato è un’estratto del libro “Il nucleare nel XXI secolo”, ultimo lavorodell’Autore ed edito da Mondadori.

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Rivitalizzata dall’opacitàdel neo-autoritarismorusso, la Cremlinologia

riprende oggi vigore sia graziealla rimozione imposta daMedvedev del sindaco diMosca, Yuri Luzhkov, sia per ledichiarazioni di Putin che, dallafine di Agosto, ha rilasciato piùinterviste di quante ne abbiaconcesse negli ultimi 11 anni.Purtoppo, nonostante una pervi-cace azione di ricerca a tuttotondo, non ci sono ancora indiziinequivocabili sulle reali inten-zioni del Primo ministro per leelezioni del 2012 (se ricandidar-si al Cremlino, per intenderci). Come dire: Putindeve aver preso una sfilza di 10 nel corso didisinformazione all’Istituto del Kbg dell’Ordinedella Bandiera Rossa Yuri Andropov (oraAcademy of Foreign Intelligence), e costringe-rà tutti ad interrogarsi fino all’ultimo momento:lasciando un orecchino rosso qui, un indizio lì edivertendosi come un matto. Ma benché magodel depistaggio, alcune cose non è riuscito (oforse non ha voluto) a nasconderle. Innanzituttorispondendo al quesito più importante: cosafarebbe se tornasse al Cremlino? Il primo mini-stro, infatti, in più di un’occasione non ha esita-to nemmeno per un attimo a descrivere le pro-prie politiche, articolando ciò che equivale adun’agenda strategica, accuratamente e inconfon-

dibilmente reazionaria nel sensoclassico del termine: refrattariaal cambiamento e fautrice di unritorno - di tutta la baracca - allostatus quo pre-2009. E contrad-dicendo, in maniera palese, sialo spirito sia la pratica dell’esi-tante modernizzazione-liberaliz-zazione di Medvedev, compresoil “reset” nelle relazioni Usa-Russia. È come se Putin avessedavanti a sé una lista dei princi-pali argomenti di discussione diMedvedev e fosse deciso arespingerli, uno dopo l’altro.Vediamoli:1. Economia. Quella che può

essere considerata la piattaforma retorica dellasua presidenza, Medvedev ha descritto l’econo-mia russa «cronicamente arretrata, primitiva,dipendente dalle materie prime e sorda allenecessità del popolo». I principali economistiindipendenti del paese, incluso l’ex consiglierepersonale di Putin, Andrei Illarionov, concorda-no sul fatto che la drastica flessione dell’econo-mia abbia avuto inizio prima che la crisi econo-mica globale decimasse il prezzo del petrolio, eche la crisi interna russa ha costituito la ragioneper cui il Pil è crollato al 7,9% nel 2009: la piùgrande contrazione tra le maggiori economie.Secondo Putin, invece, il paese è «progreditocostantemente» e non ha «grandi problemi».Naturalmente la crisi, figlia dell’Occidente, ha

RUSSIA

L’AGENDA DI PUTIN, I PIANI DI MEDVEDEVDI LEON ARON

Non passa giorno senza che il Cremlino venga sconfessato

(con una certa eleganza) dall’expresidente. Dall’economia

ai diritti, dalla guerra nel Caucaso alla politica estera. Il perché è presto detto: lo “zar”

non vuole aspettare il 2018 e aspira a vincere le presidenziali

del 2012. E potrebbe farcela.

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frenato lo sviluppo della Russia, ma in generalel’economia nazionale è «sul binario giusto».2. Corruzione. Dei 133 paesi presi in esamel’anno scorso, la Russia si collocava al 121ºposto nella protezione del diritto di proprietà(alle spalle non solo dell’Indonesia, all’81ºposto, ma anche del Kazakhistan, al 103º) e 116ªnell’indipendenza dei tribunali nell’indaginecondotta dal World Economic Forum. Secondoil Transparency International Report del 2009, laRussia si collocava al fondo del CorruptionPerceptions Index; 154ª su 178 paesi, dietroNepal, Camerun, Ecuador e Sierra Leone, edalla pari con il Kenya. La corruzione, i ricatti ele estorsioni ai danni degli imprenditori sonodiventati un pilastro del Putinismo ed uno deiprincipali ostacoli al progresso economico. Gliimprenditori moscoviti riferiscono che la busta-relle (otkaty) pagate alle autorità cittadine sonoaumentate dal 10% dei profitti nel 1990 al 60-70% di oggi. Nel settembre 2010, l’addetto delCremino Gleb Pavlovsky ha descritto la situa-zione in termini di «autorità esecutive fuori daicontrolli» le quali hanno fatto del racket una«impresa commerciale». Esso è protetto dallastretta di ferro del governo sulle televisioninazionali e dalla connivenza di tribunali oggettodi intimidazioni o di atti di corruzione. Con leautorità che ad ogni livello utilizzano la pauradella “detenzione pre-processuale” (che puòdurare anni) per estorcere gli imprenditori, forsela più significativa iniziativa politica diMedvedev sinora è stata una legge che sanciscela libertà su cauzione di quanti siano accusati di“reati economici”. Medvedev ha deplorato la«cronica» corruzione che sta «corrodendo» laRussia e ha fatto della lotta a tale il piaga il leit-motiv retorico della propria presidenza. Putin haammesso che la corruzione in Russia esiste,aggiungendo però come essa non rappresentiuna “sfortuna” esclusivamente del propriopaese. Un anno fa, Putin ha asserito che «La

Spagna ha messo in prigione tutte le autoritàlocali del sud» (La Spagna si colloca al 32ºposto del Transparency International CorruptionPerceptions Index). La lotta contro la corruzionein Russia «potrebbe, forse, essere più efficace»,ha continuato il Primo Ministro, ma «tale que-stione richiede minuziose indagini».

3. Questione caucasica. Il Caucaso set-tentrionale musulmano è a malapena governabi-le, flagellato dalla povertà e dalla disoccupazio-ne, e travolto da un implacabile terrorismo isla-mico di matrice fondamentalista. Non passagiorno, soprattutto nelle Repubbliche diDaghestan e Inguscezia, senza che un ufficiale –un poliziotto, un giudice, un procuratore o unfunzionario locale – rimanga ucciso in attacchiterroristici. La scorsa estate, il presidentedell’Inguscezia è scampato per un pelo ad unattacco bomba suicida. Nel giugno 2010, indub-biamente su ordine del Cremlino, la delegazionerussa presso l’Assemblea Parlamentare delConsiglio d’Europa ha votato a favore dell’ap-provazione di una risoluzione sul Caucaso set-tentrionale, la quale, tra le altre cose, condanna-va gli abusi indiscriminati dei diritti umani inCecenia e criticava vibratamente il “vergogno-so” culto della personalità del presidente dellaCecenia scelto da Putin, Ramzan Kadyrov. Nelsuo discorso sullo “stato della Russia” di frontead una sessione congiunta dell’AssembleaFederale nel novembre 2009, Medvedev ha defi-nito la situazione nel nord del Caucaso come «lapiù seria questione politica interna del nostropaese». Secondo Putin, comunque, la violenzanel Caucaso settentrionale «non costituisce pro-priamente terrorismo nel senso stretto del termi-ne», ma piuttosto una lotta tra clan per la «redi-stribuzione delle proprietà». E Kadyrov non èsolo un «guerriero risoluto», ma anche «un otti-mo leader economico». In breve, il presidentececeno è un “bravo ragazzo” (molodets).

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4. Diritti e libertà. Medvedev ha affermato che ilpopolo russo è tutto fuorché «indifeso» contro«l’arbitrarietà» delle autorità, ed esso soffre di«nonlibertà» (nesvoboda) e di un «disprezzo»per la legge. Egli ha lamentato i «sentimentipaternalistici» di una «società arcaica», in cui i«pezzi grossi pensano e decidono per tutti», edha invocato una «cultura politica di per5sonelibere e dotate di pensiero critico». Ha rilasciatola prima intervista della propria presidenza alsolo quotidiano di opposizione rimasto, laNovaya gazeta. Alla domanda sull’opposizionepro-democrazia, Putin ha inizialmente dichiara-to di non sapere nulla delle periodiche aggres-sioni dei reparti antisommossa della poliziamoscovita ai danni dei dimostranti. Quindi ha calorosamente appoggiato le aggres-sioni: se i tenaci dimostranti pro-democraziahanno scelto di ignorare il divieto di manifesta-re nella centralissima piazza Triumfalnaya diMosca, ha detto Putin, allora meritavano di esse-re «colpiti in testa con i manganelli». Inoltre, hacontinuato Putin, questi dimostranti «hanno ver-sato vernice rossa» su sé stessi per compromet-tere le autorità fingendosi feriti. (Nel giugno2010, dopo essere stato testimone di un’aggres-sione da parte della polizia di Mosca, il difenso-re civico per il i diritti umani eletto dalla Duma,Vladimir Lukin, ha protestato con una letteraindirizzata a Medvedev. Lukin ha sottolineatocome risultasse incostituzionale per le autorità«approvare» o «proibire» una dimostrazionepacifica, fintanto che gli organizzatori l’avesse-ro notificata alle autorità).

5. Reset e Monaco. Cosa dire del “reset”con gli Stati Uniti a cui Medvedev si è impe-gnato in tre vertici con il presidente BarackObama? «Hmmm», ha risposto Putin. Gli «pia-cerebbe» credere nel reset ma, vede, la Georgianon «viene riarmata» dagli Stati Uniti? E nonera una simile assistenza militare quella culmi-

nata «nell’aggressione» georgiana all’Osseziadel sud due anni or sono? E gli Stati Uniti nonhanno forse ancora intenzione di dispiegarescudi antimissile in Europa? Dunque, «dov’è il‘reset’?» Putin aveva «la sensazione» cheObama fosse «sincero», ma non sa «cosa[Obama] possa o non possa fare». Egli vuoleattendere e vedere se il presidente statunitense«avrà o meno successo». Putin non ha avuto rimpianti circa il propriodiscorso in perfetto stile Guerra Fredda pronun-ciato a Monaco nel febbraio 2007. Come haspiegato ad un reporter russo, l’Occidente (laNato) aveva “ingannato” la Russia “nel modopiù primitivo possibile” espandendo la Nato adest. Egli ha castigato altresì gli Stati Uniti perl’arresto di un cittadino russo in Africa. Il russovenne accusato di «trasporto illegale di narcoti-ci» fatti entrare segretamente negli Stati Uniti.«Non è forse un oltraggio?!». Così, ha conclu-so Putin, «ciò che ho detto a Monaco continuaad essere rilevante oggi». «Dunque, nessun errore allora, nessun rimpian-to?» Chiede un intervistatore russo. «Nyet!» larisposta di Putin. Non vi è bisogno di cambiarenulla: il Putinismo ha funzionato brillantemen-te e continuerà a funzionare altrettanto bene.Persino il veterano reporter russo AndreiKolesnikov di Kommersant, ben utilizzato perle spacconerie di Putin, ha ammesso di essererimasto “turbato”. 6. 2012. Dalle recenti dichiarazioni pubblichedi Putin emerge una visione della Russia vir-tualmente antitetica alle idee ed aspirazioni cheMedvedev ha articolato. L’abisso tra i disegnidi Putin e Medvedev per il futuro della Russiapotrebbe racchiudere la risposta al quesito“Putin 2012”: la separazione politica è troppoampia per lasciare Putin ad attendere la fine delsecondo mandato di Medvedev nel 2018 e poicapovolgere quello che egli vede chiaramentecome, nella migliore delle ipotesi, non necessa-

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rio e, nella peggiore, come deviazioni pericolo-se dal Putinismo. Mentre l’agenda politica diPutin appare piuttosto certa, quella diMedvedev dovrà affrontare una battaglia insalita ed opzioni forti. La difficoltà perMedvedev è aggravata dal fatto che, mentre ledifferenze negli approcci dei due leader ai pro-blemi attuali sono effettivamente molto pronun-ciate, il “disgelo” verso la modernizzazione diMedvedev ha sinora prodotto solo cambiamen-ti sporadici nei fatti sul campo, il quale conti-nua ad essere dominato e plasmato dalPutinismo. Per concludere, il tono con cui ilCremino comunica con la società nel suo insie-me è più moderato, ed i colpi di tamburo della

propaganda sulla Russia minacciati dagliimplacabili nemici esterni e dalla “quintacolonna” (l’opposizione pro-democrazia)all’interno sembrano essere stati zittiti.Diverse misure anti-corruzione sono statevarate, prima fra tutte la sopraccitata legge cheimpone una cauzione per quanti siano accusatidi aver commesso “reati economici” e mira aprivare la burocrazia di un fondamentale stru-mento di ricatto contro gli imprenditori. In aggiunta, Mosca ha esibito un’ostilità menomanifesta verso i propri vicini dell’Europaorientale e la Nato, ha concluso un trattato dicontrollo delle armi strategiche con gli StatiUniti, si è avvicinata alla posizione statuniten-se sulle sanzioni contro l’Iran, ha cancellato lavendita dei missili terra-aria a Teheran, e haaccresciuto la propria cooperazione conl’Afghanistan. Inoltre, la presunta imminenteentrata della Russia nel Wto rappresenta unachiara inversione di rotta rispetto alla tardaestate del 2009.Tuttavia, le truppe russe sono ancora concen-trate al confine con la Georgia, la censuragovernativa sulle televisioni è altrettanto sof-focante, ed i partiti e i movimenti d’opposizio-ne sono sostanzialmente incapaci di registrarsi,men che meno di partecipare alle elezioni loca-li e nazionali. I cittadini non possono ancoraeleggere i governatori provinciali e, in alcuneregioni, i sindaci. Malgrado la sfuriata diMedvedev contro il “nichilismo legale” e lepunizioni occasionali di ufficiali corrotti, ilfenomeno della corruzione non mostra segni dicedimento, e gli imprenditori continuano adessere terrorizzati dalla “guida” burocratica edall’estorsione.Il licenziamento di Luzhkov da parte diMedvedev è stato invero un “atto rivoluziona-rio” come alcuni analisti russi ed occidentaliritengono? A dire il vero, il sindaco di Moscaaveva tentato di “putinizzarsi” soffocando le

Se desidera sinceramentemodernizzare la Russia,Medvedev dovrà far frontealle consuete scelte di un leader liberalizzatore in unregime autoritario. Egli puòcontinuare ad impegnarsi inlicenziamenti occasionali eriforme frammentarie - che lacorrotta burocrazia della nomenklatura cercherà di frustrare o a cui opporrà unavigorosa resistenza - senzascalfire l’essenza delPutinismo. Tale percorsocomporterebbe una messa inmostra di impotenza e forseanche un ignominioso “pensionamento” nel 2012

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ultime vestigia di autogoverno e democrazianella capitale russa – manipolando spudorata-mente le elezioni e dando il via ad atti di grot-tesca brutalità da parte della polizia contro idimostranti pro-democrazia. Si vocifera inoltreche egli sia tremendamente corrotto, anche pergli standard russi. Tuttavia, l’impatto delle suedimissioni si estenderà al di là dei giochi inter-ni al Cremino solo se queste saranno seguite daun’immediata abrogazione di un regime politi-co incostituzionale a Mosca e da attente e riso-lute indagini nel labirinto della corruzione – aprescindere da quanto in alto si possa risalirenella gerarchia del Cremlino. Nel frattempo,sebbene sia riuscito a sbarazzarsi di Luzhkov,Medvedev non è stato n grado di rimpiazzarlocon uno dei suoi uomini; a quanto si dice, l’excapo di gabinetto di Putin, Sergei Sobyanin,continuerà a dimostrare lealtà al suo vecchiocapo e, come Luzhkov, “consegnerà” la potentemacchina politica di Mosca a Putin. Di quidiscende lo scarso ascendente politico diMedvedev all’interno di ciò che in Russia èconosciuto come il “tandem di potere” tra ilpresidente ed il primo ministro.

Se desidera sinceramente modernizzarela Russia, Medvedev dovrà far fronte alle con-suete scelte di un leader liberalizzatore in unregime autoritario. Egli può continuare adimpegnarsi in licenziamenti occasionali e rifor-me frammentarie - che la reazionaria e corrottaburocrazia della nomenklatura cercherà di fru-strare o a cui opporrà una vigorosa resistenza -senza scalfire l’essenza del Putinismo. Talepercorso comporterebbe molto probabilmenteuna messa in mostra di impotenza e forse anchein un ignominioso “pensionamento” nel 2012.È questa l’opzione Chruščëv - il cui nome deri-va dal sincero ma confuso ex seguace di Stalin,il quale tentò una destalinizzazione immensa-mente benefica, ma che ebbe un enorme timore

di riformare il sistema alla radice e venne “pen-sionato” dall’apparat in un colpo di palazzo nel1964. Il presidente russo dovrà tentare di fon-dere le liberalizzazioni “dall’alto” con larichiesta sinora soffocata di cambiamento dalbasso tendendo la mano al movimento d’oppo-sizione pro-democrazia ed ai contestatori dellanuova classe media russa, i quali invocano piùlibertà economica e politica e chiedono ledimissioni di Putin. Questo, naturalmente, èstato il percorso seguito da Michail Gorbaciov,il quale - avendo tentato riforme “amministrati-ve” ed essendosi ritrovato bloccato dall’appa-rat che lo aveva “eletto” - inferse al sistema uncolpo mortale abolendo la censura nel 1987 edindicendo elezioni semi-libere nel 1989 e nel1990. Nella corsa elettorale per il rinnovo dellaDuma nel 2011, Medvedev dovrebbe fare sem-plicemente questo: assicurare uno spontaneodibattito pubblico, in primis e soprattutto sulletelevisioni nazionali, e rimuovere gli ostacolialla registrazione alle elezioni dei partiti e deimovimenti d’opposizione. Esiste, naturalmente, una terza opzione: quelladi Leonìd Breznev, il quale governò con labenedizione della sempre più corrotta ed orto-dossa nomenklatura per diciotto anni, mentre ilpaese sprofondava giorno dopo giorno nel pan-tano della stagnazione economica, sociale emorale sotto il peso di problemi letali ma igno-rati. Ma l’opzione Brezev non è disponibile perMedvedev: è già stata presa da qualcun altro.«Per noi è importante, Vladimir Vladimirovich,che l’attuale regime venga preservato!» conqueste parole il (ora ex) primo vicesindaco diMosca, Yuri Roslyak, ha supplicato Putin loscorso settembre. Se Putin dovesse riprenderepossesso del Cremlino nel 2012 e ricoprissedue mandati di sei anni, nel 2024 avrebbe gui-dato la Russia per vent’anni - due anni in più diBreznev, e molto probabilmente con gli stessirisultati.

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lo scacchiere

Medioriente/ La Turchia islamista control’Iran secolare: chi vincerà?

Perché bin Laden e Khomeini saranno dimenticati, ma non Erdogan

Agli inizi del XVI secolo,mentre gli imperi ottoma-no e safavide combatteva-no per avere il controllodel Medio Oriente, Selimil Crudele governando da

Istanbul assecondava il suo lato artisticocomponendo eccellenti poesie in persiano,

che in seguitodivenne la linguamediorientale dicultura alta. Alcontempo IsmailI, che governavada Isfahan, scrive-va poesie in turco,la sua lingua ance-strale. Una giu-stapposizione cheoggi ci riconducead un’altra lotta.Mentre la Turchiasecolare fondatada Atatürk rischiadi sparire sottoun’ondata di isla-mismo, lo statoiraniano islamista

fondato da Khomeini a quanto pare è sul-l’orlo del secolarismo. I turchi desideranovivere come gli iraniani e gli iranianiamano vivere come i turchi. La Turchia el’Iran sono due Paesi a maggioranzamusulmana estesi, influenti e piuttostoprogrediti, sono storicamente importanti,in posizione strategica e molto osservati; eman mano che essi si incrociano, come dame previsto nel 1994, correndo in oppostedirezioni, i loro destini influenzeranno nonsolo il futuro del Medio Oriente, ma in fierianche l’intero mondo musulmano. Vediamoin dettaglio: Turchia. Nel periodo che va dal1923 al 1938, Atatürk rimosse quasi del tuttol’Islam dalla vita pubblica. Nel corso deidecenni, tuttavia, gli islamisti reagirono e apartire dagli anni Settanta fecero parte di unacoalizione governativa; nel biennio 1996-97furono perfino a capo di un governo. Gli islamisti presero il potere in seguito allestrane elezioni del 2002, in cui il fatto diaver ottenuto un terzo dei voti assicurò lorodue terzi dei seggi parlamentari. Governarecon cautela e competenza gli valse quasi lametà dei voti nel 2007, e a quel punto sitolsero i guanti e iniziarono vessazioni diogni tipo: da un’ammenda estremamente

DI DANIEL PIPES

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eccessiva imposta a un critico dei media astravaganti teorie cospirative contro leforze armate. In un referendum del settem-bre scorso gli islamisti hanno ottenuto il 58per cento dei voti e sembrano intenzionati avincere le prossime elezioni che si terrannonel giugno 2011. Se dovessero farcela, probabilmente pieghe-ranno il Paese al loro volere, istituendo lalegge islamica (la Shari‘a) e costruendo unordine islamico che assomigli al governoidealizzato di Khomeini.Iran. Khomeini fece l’opposto di Atatürk,rendendo l’Islam politicamente dominantedurante il suo regno, durato dal 1979 al1989. Poco dopo, però, esso cominciò avacillare con l’emergere di fazioni discor-danti, il crollo dell’economia e con la popo-lazione che prese le distanze dalla politicaestremista del regime. Malgrado un crollodel regime atteso negli anni Novanta, ilregime ha ripreso fiato. Ma è cresciuta, e di molto, l’opposizione.Specie dopo le elezioni del 2009. Le cre-scenti patologie del Paese, incluse un dila-gante uso di stupefacenti, la pornografia e laprostituzione, mettono in evidenza quantosiano gravi i suoi problemi. Una gara è dun-que in corso. Ma non si è ancora trasforma-ta in competizione, visto che gli islamistiattualmente governano in entrambe le capi-tali, Ankara e Teheran.Guardando al futuro, l’Iran rappresenta ilmaggior pericolo del Medio Oriente e lasua speranza più grande. La sua attività diproliferazione nucleare, il terrorismo, l’ag-gressività ideologica e la creazione di un“blocco della resistenza” costituiscono unareale minaccia globale, che va da un’im-pennata dei prezzi del petrolio e del gas aun attacco a impulsi elettromagnetici con-

tro gli Stati Uniti. Ma se questi pericolipossono essere pilotati, controllati e tenutia freno, l’Iran ha un’unica possibilità percondurre i musulmani fuori dalla notte buiadell’islamismo verso una forma di Islampiù moderna, moderata e che osservi ilprincipio di buon vicinato. Come nel 1979,questo successo probabilmente riguarderà imusulmani di tutto il mondo. Al contrario,mentre il governo turco presenta alcunipericoli immediati, la sua applicazione piùsottile degli orribili principi dell’islamismogli fa occupare una posizione di primopiano come futura minaccia. Molto tempodopo che Khomeini e Osama bin Ladensaranno stati dimenticati, azzardo a dire,Recep Tayyip Erdogan e i suoi colleghisaranno ricordati come gli inventori di unaforma di islamismo più duratura e insidio-sa. In tal modo, il Paese che costituisce ilproblema mediorientale più pressante dioggi potrebbediventare il lea-der del buonsen-so e della creati-vità di domani,mentre il piùfedele alleatomusulmano dell’Occidente peroltre cinquan-t’anni, si po-trebbe trasforma-re nella più gran-de fonte di ostili-tà e di reazione.L’estrapolazioneè tempo perso, laruota gira e lastoria offre sor-prese.

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Europa/Le mura (più o meno solide) dell’EuroIl legame tra moneta e difesa rimane connaturato all’autorità statuale

DI ALESSANDRO MARRONE

Per secoli, le monarchie europee hanno battuto una monetacon il volto del monarca, e pagato con quella moneta i loroeserciti. Poi è cambiato tutto, ma il legame tra moneta e

difesa rimane connaturato all’autorità statuale anche nell’era dellaglobalizzazione. Basti pensare che gli Stati Uniti hanno potutopermettersi finora il doppio deficit, di bilancio e commerciale,anche grazie al loro ruolo di superpotenza militare perno del siste-ma internazionale. In quest’ottica, la crisi dell’euro offre interes-santi spunti politico-strategici. Alla sua nascita l’euro era quotatocirca 0,86 con il dollaro, quindi anche durante la sua recente“crisi” la quotazione della moneta europea era del 25% superiorerispetto al suo esordio. Perché allora una moneta così “forte” èconsiderata in crisi, e non lo è il dollaro? Una delle cause è chedietro il dollaro c’è uno stato, un governo, un presidente.Un’autorità che ha la piena sovranità, inclusa quella monetaria efiscale. Dietro l’euro non c’è uno stato. C’è la Bce che gestisce lapolitica monetaria. Ci sono 17 stati membri della zona-euro chehanno piena sovranità fiscale. E ci sono istituzioni Ue come laCommissione e il Consiglio che tentano di coordinare le politicheeconomiche nazionali. La particolare governance europea fa sìche quando la speculazione attacca i titoli di uno stato membrodella zona-euro gli effetti si scaricano sulla moneta unica senzache ci sia una autorità unica a contrastarli. L’estate del 2010 è statasegnata dalla crisi del debito pubblico greco. La speculazione haattaccato una economia della zona-euro periferica ma strettamen-te connessa al suo cuore, attraverso i depositi di titoli greci dete-nuti dalle banche tedesche. La difesa europea del fronte greco èstata tardiva, incompleta e mal coordinata, ma alla fine è riuscitaa respingere l’attacco alle “mura” dell’euro. Alla fine del 2010una manovra simile si è ripetuta con l’Irlanda. Cosa succedereb-be, in termini politico-strategici, se un attacco del genere riuscis-se a sfondare le mura, cioè a portare un paese membro dell’euroalla bancarotta? In primo luogo, come avviene quando una lineadifensiva viene sfondata, bisogna vedere se è possibile o no rico-struire una seconda linea difensiva più all’interno del proprio peri-metro. Di certo il default di un paese come la Grecia o l’Irlandaincoraggerebbe la speculazione ad attaccare un altro dei paesi

sulla linea del fronte, quali Portogallo e Spagna. A quel punto,alcuni pensano che arroccarsi su un perimetro più ristretto rende-rebbe possibile la sua difesa, cioè che una zona-euro costituitadalla Germania e da pochi altri paesi europei a basso debito pub-blico sia una soluzione possibiI. In quest’ottica si pone la propo-sta tedesca di approntare entro il 2013 un meccanismo Ue per lagestione ordinata del default di un paese membro della zona-euro.ììAltri ritengono che se le mura dell’euro cadessero non servireb-be a nulla rifugiarsi nel mastio del castello, la sua torre più solidae imprendibile, quando si è circondati dalle macerie della ex cit-tadella fortificata. La stessa Germania, che attualmente vende il40% delle proprie esportazioni a paesi della zona-euro, si trove-rebbe svantaggiata nell’esportare verso una dozzina di paesi euro-pei anche di grosse dimensioni, inclusi Spagna, Italia e Francia,che in questo scenario ricorrerebbero alla svalutazione competiti-va della loro ritrovata moneta nazionale. In fondo è quello che ègià avvenuto in passato con lo Sme, e non è escluso che la storiasi ripeta. Non a caso, il presidente del Consiglio Europeo VanRompuy ha affermato che il destino dell’Ue si gioca sul perime-tro della zona-euro. Un tracollo dell’integrazione monetaria edeconomica avrebbe effetti drammatici su quella politica, e di con-seguenza nel settore della sicurezza e difesa. Tradizionalmente,sin dai tempi di Ced e Ceca, l’integrazione economica è riuscitadove è fallita quella nella difesa. Se il primo collante venissemeno difficilmente potrebbe essere sostituito da un processo diintegrazione delle politiche di sicurezza e difesa che di per sé èlento, fragile e pieno di ostacoli. Inoltre, la Ue a 27 paesi membriha priorità di sicurezza più eterogenee della vecchia Cee, mentregli Stati Uniti si disinteressano dell’Europa e la Russia resta piùun fattore di divisione che di unione. In questa situazione, il crol-lo delle mura dell’euro potrebbe avere effetti politico-strategicitanto forti quanto imprevedibili. Gli ultimi due decenni di integra-zione nell’Ue hanno seppellito lo spettro di una ri-nazionalizza-zione delle politiche di difesa dei paesi europei, erroneamente pre-conizzata tra gli altri dal famoso articolo di Mearsheimer del1990. Il problema degli spettri, è che tendono a ritornare. Specienei castelli europei.

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scacchiere

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Lo scandalo dei messaggi diplomatici filtrati dalsito WikiLeaks è scoppiato proprio alla vigiliadel XX vertice dei paesi iberoamericani, orga-

nizzato a Mar del Plata il 3 e 4 dicembre scorso. Lapubblicazione dei documenti riservati ha spinto igoverni più antiamericani della regione -Venezuela,Nicaragua, Bolivia e Cuba - a disertare il summitdopo aver costatato che non c’era la volontà comunedi formulare una dichiarazione di condanna nei con-fronti degli Usa. Altri paesi hanno reagito con mag-gior prudenza: nessuno sapeva quali e quante infor-mazioni sarebbero potute venire alla luce, e i rapportibilaterali con gli Stati Uniti andavano preservati. Il danno d’immagine per gli Stati Uniti è certamentegrande. Tuttavia, dai rapporti non sono emersi ele-menti di incoerenza tra la politica pubblica diWashington e i discorsi che venivano trasmessi in viariservata. Non ci sono prove di interventi diretti negliaffari interni dei paesi latinoamericani, e l’unico ele-mento di scandalo riguarda semmai le attività di spio-naggio ai danni di alti funzionari delle Nazioni Unite.Il tentativo di usare i files WikiLeaks per rilanciare itemi classici dell’antiamericanismo e le “cospirazionidell’impero” è quindi andato a vuoto. Di più, è possi-bile che le informazioni trapelate finiscano per creareimbarazzi tra i paesi latinoamericani, così come stasuccedendo nel mondo arabo rispetto al doppiodiscorso -pubblico e riservato- sul rischio Iran. Il governo argentino è stato tra quelli più duramentechiamati in causa. L’ambasciata americana a BuenosAires esprimeva critiche sulla volontà e capacità delgoverno locale di contrastare narcotraffico e rici-claggio di denaro, sollevava dubbi sul modo in cui ècresciuto il patrimonio dei coniugi Kirchner nelcorso degli anni, lamentava il livello della corruzio-ne nel paese sudamericano, si informava sullo statodi salute mentale del presidente Cristina Kirchner.

Quand’è trapelata quest’ultima informazione, ilsegretario di Stato Hillary Clinton ha chiamato laKirchner offrendole le scuse personali per l’accadu-to. Nonostante la gravità di queste tematiche, lescuse sono state accettate: un mese dopo la morteimprovvisa dell’iracondo marito Néstor, Cristina haconfermato così l’impressione di voler prendere ledistanze dal “blocco bolivariano”. Dai documenti WikiLeaks Argentina e Brasile appa-iono quali partner collaborativi, ai quali il governoUsa può chiedere di contenere l’esuberanza antiame-ricana del presidente boliviano Evo Morales o diquello venezuelano Hugo Chávez. Il governo argenti-no avrebbe promesso di cooperare con gli Usa inBolivia, cercando di evitare che apparisse comeun’“operazione politica” contro il governo diMorales. Quello brasiliano avrebbe addirittura propo-sto all’ambasciatore americano a Caracas uno scam-bio: gli Usa avrebbero permesso al Brasile di esporta-re tecnologia militare e parti di ricambio nell’ambitodi una commessa di 24 aerei Embraer SuperTucano alVenezuela, e il Brasile avrebbe esercitato pressioni sulgoverno di Caracas perché non attaccasse l’opposi-zione politica interna (alla fine gli Stati Uniti nonaccettarono, e il Brasile perse l’importante commes-sa). Per quanto riguarda i rapporti con Iran e Russia, imessaggi tendono a rassicurare che il Venezuela è«incapace di una cooperazione nucleare di peso», e«non esiste ricerca e estrazione di uranio inVenezuela». Nel complesso, il contenuto delle infor-mazioni pubblicate non è originale. L’elemento dinovità consiste piuttosto nell’aver reso noto a tutti chealcuni temi sensibili erano e sono oggetto di dialogocostante con Washington, e che le relazioni con gliStati Uniti sono in realtà assai più complesse di quan-to il demagogico anti-americanismo cubano-venezue-lano voglia far credere.

America latina/Wikileaks, gli Usa e il SudamericaArgentina e Brasile, i mediatori di Hillary Clinton

DI RICCARDO GEFTER WONDRICH

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La storiaLa storia

di Virgilio Ilari

LA SANTIFICAZIONEDI FYODOR USHAKOV

PATRONOD DI “OTTOBRE ROSSO”

Con maggior forza rispetto alla Chiesa cat-tolica, quella ortodossa sottolinea che la“glorificazione” (equivalente ortodossodella canonizzazione) dei santi è un atto diDio che la Chiesa si limita soltanto a rico-

noscere. Oltre ai miracoli e alla devozione popolare, tra isegni della scelta divina c’è la condizione incorrotta dellereliquie. Questa circostanza, benché non essenziale, èstata dichiarata pure nel caso del Santo Beato FyodorFyodorovich Ushakov (1744-1817), glorificato il 5 ago-sto 2001 nel monastero della Natività di Sanaksary, doveil santo trascorse in preghiera, in una cella solitaria, gliultimi dieci anni di vita, dopo essersi spogliato delle suericchezze a favore dei poveri. Per quanto le foto scattatedurante la riesumazione (avvenuta nel 1944) documenti-no che furono ritrovati solo il teschio, ossa e resti di spal-line (http://tmn13.ucoz.ru /index/vskrytie_mogily_admi-rala/0-174). Ad oggi la Chiesa cattolica ha proclamatoalmeno 10 mila santi, di cui 158 dal 1800 al 1960 e 482dal solo Giovanni Paolo II (per la quasi totalità preti emonache o laici martirizzati). Dopo il Grande Scisma del1054 ciascuna delle due Chiese, latina e greca, proclama

i propri santi in modo indipendente, senza alcun ricono-scimento reciproco. Questo è il retroscena del clamorosodocumento, di imminente pubblicazione, da cui potrebbe-ro dipendere la sorte di Julian Assange e gli equilibri stra-tegici mondiali. Pare infatti che Putin abbia chiesto aBerlusconi di convincere papa Ratzinger a riconoscere lasantità di Ushakov e che a tal fine il premier italiano abbia(con la mediazione di Renzi e Cacciari) segretamenteconvocato Margherita Hack per assistere insieme a lei, inuna lussuosa dacia alla periferia di San Pietroburgo, allaproiezione di una versione restaurata di Korabli shtur-muyut bastiony (Ships storm the bastions), con la famosascena dell’entrata dei liberatori russi a Roma, acclamatidai papalini festanti. Come l’attento lettore ricorderà,infatti, nell’ambito dello “strappo” da Mosca, i comunistiitaliani hanno diffuso la menzogna che Sebastopoli e laflotta russa del Mar Nero siano state create dal principePotemkin (1739-91), costringendoci per mezzo secolo adassistere alla proiezione della pazzesca boiata prodotta nelventennale della rivolta dell’omonima corazzata e a reci-tare nei rituali remake girati sulla scalinata di Valle Giulia.Ci hanno così tenuto nascosto che nell’estate 1943, su

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suggerimento dell’ammiraglio Nikolai GerasimovichKuznetsov (1904-74), Stalin decise di rettificare la veritàstorica sostituendo l’arrogante emonocolo favorito di Caterina II,con il contemporaneo e più longe-vo ammiraglio Ushakov, un pro-vinciale che si era fatto da sécomandando il bianco yacht diCaterina II (altro che il panfiloBritannia! capita l’antifona?) eche in 43 battaglie non avevaperso una sola nave. Creato il 3marzo 1944, l’Ordine di Ushakov,terzo in rango dopo quelli dellaVittoria e della Bandiera Rossa ealla pari con quello di Suvorov(esercito), è stato concesso solo241 volte. Nel 1953 Kuznetzovmise Sebastopoli e la Flotta delMar Nero a disposizione del regista Mikhail Romm(1901-71) per girare due film, il primo (Admiral Ushakov)dedicato alla bonifica della Crimea, alla creazione di

Sebastopoli e dell’arsenale di Kherson (1783-87), ai con-seguenti contrasti con Potemkin e alle grandi vittorie

navali di Fidonisi, Tendra, Stretti diKerch e Capo Caliacria nella setti-ma guerra russo-turca (1789-91);l’altro (Korabli shturmuyut bastio-ny) alla campagna navale del 1799nel Mediterraneo, con l’espugna-zione di Corfù (donde il titolo “navicontro bastioni”), le crociere suMessina e Malta, e il concorsorusso (e ottomano!) alla riconquistasanfedista di Napoli, all’entratadegli alleati a Roma e agli assedi diAncona e di Genova, con i conse-guenti contrasti con Nelson finoalla disgrazia di Ushakov decretatadal nuovo zar Alessandro I.Kuznetzov fu bruscamente rimosso

dal comando delle forze navali nel dicembre 1955, quasicertamente a seguito della misteriosa esplosione dellacorazzata Novorossiysk (ex-italiana Giulio Cesare), salta-

Beatificato nel 2001 nel monastero della Natività

di Sanaksary, l’Ammiraglio più famoso di Russia,

protettore dei bombardierinucleari a lungo raggio,

diventa un caso diplomatico.Putin vuole infatti

che venga riconosciuto anchedalla Santa Sede. E ha chiesto

l’aiuto di Berlusconi

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storia

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ta in aria nel porto di Sebastopoli il 28 ottobre 1955 conun bilancio di 608 vittime: il fatto, conosciuto inOccidente almeno dal 1956, fu ufficialmente ammesso inRussia solo nel 1986. Nel 1992 il settimanaleSovershenno Secretno (Top Secret) ipotizzò che una cari-ca esplosiva, collocata a bordo nel dicembre 1948 all’attodella consegna della Giulio Cesare alla marina sovieticacome riparazione di guerra, fosse stata attivata a distanzada un commando di reduci della Decima Mas capeggiatida Junio Valerio Borghese (1906-74) e da Gino Birindelli(1911-2008), futurocapo di stato maggioredella marina italiana eparlamentare, i qualiavrebbero forzato ledifese della base navalerussa per fare pubblicitàa un nuovo tipo di bar-chini d’assalto costruitidall’industria navale ita-liana (Birindelli, unicosuperstite del presuntocommando, replicò cheera una balla: e del restoa nessuna procura, né russa né italiana, venne l’idea diverificare la succulenta notitia criminis). Forse anche gra-zie ai film di Romm, il culto di Ushakov sopravvisse alladisgrazia di Kuznetzov. Al punto che nel 1978 il suonome fu dato al “pianeta 3010”, uno dei 267 asteroidi sco-perti presso l’Osservatorio Astrofisico della Crimea daLjudmila Ivanovna âernych (1935) e pare che Berlusconi,dopo aver assistito con Italo Bocchino alla proiezione diFascisti su Marte, stia cercando di convincere la sfaticataMargherita Hack (1922) a decidersi finalmente a scoprireil mitico X pianeta Nibiru e a battezzarlo “Fratelli Emilioe Francesco Faà di Bruno”. Sempre grazie alla cinepresadi Rumm, Ushakov è sopravvissuto pure alle traversiesubite dalla Russia nell’ultimo quarto di secolo. AncoraGorbaciov gli dedicò uno degli ultimi francobolli da 5copechi emesso nel 1987 dalle poste sovietiche.Malgrado la canonizzazione della famiglia imperialerussa sterminata dai bolscevichi nel 1917, proclamata il

19 ottobre 1981 dalla Chiesa russa in esilio e recepita uffi-cialmente il 15 agosto 2000 dal Patriarcato di Mosca, emalgrado la rivalutazione politica dei Romanov, la nuovaRussia di Putin non ha ripristinato il culto zarista diPotemkin. Insieme alla glorificazione, nel 2001 Ushakovè stato infatti proclamato patrono della Marina russa. Finqui, sia pure con qualche protesta dell’ala progressista epacifista, il Vaticano potrebbe pure starci, soprattuttotenendo conto del precedente di Pio XII, che concesse ilPatronato Mariano ai militari cattolici delle Forze Armate

americane l’8 maggio1942 (proprio alla vigi-lia della vittoria diMidway contro la flottanipponica alleata delRegno d’Italia), e poiall’Arma dei Carabinieri(11 novembre 1949)perdonandole dopo leelezioni del 18 aprile el’adesione al PattoAtlantico qualche mara-chella anticlericale dellontano passato. E del

fatto che nel 1942, durante l’assedio di Mosca, l’ex semi-narista di Tbilisi prese in considerazione la proposta di farsfilare in processione l’icona della Vergine, acclamatacome protettrice dell’Armata Rossa (del resto nel primofilm di Romm c’è la scena della benedizione del vascelloSan Paolo, ammiraglia di Ushakov: e in Guerra e Pacedi Bondarchuk c’è quella ancora più epica della proces-sione prima della battaglia di Borodino, con Kutusov e iveterani che si segnano al passaggio dell’icona dellaVergine). In via estremamente riservata, prego i nostriinfluenti lettori di informare Palazzo Chigi di una circo-stanza che potrebbe creare Oltretevere un ostacolo forseinsormontabile alla canonizzazione cattolica di Ushakov,o quanto meno un forte imbarazzo. Si tratta del fatto chel’Ammiraglio è diventato oggetto di una guerra intestinae spietata tra la marina e l’aviazione russa! Infatti quest’ul-tima ha ottenuto non solo una nuova canonizzazione del-l’eroe, avvenuta nel 2004 nella cappella della 37a Armata

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aerea a Mosca; ma addirittura, il 25 settembre 2005, laconcessione da parte del patriarca Alessio II del patronatodei bombardieri nucleari a lungo raggio! Dopo un consul-to con Gianni Letta e Bruno Vespa, mi permetterei di sug-gerire al Cavaliere di esplorare la disponibilità di Putin aintervenire sul Patriarca e sul colonnello generaleAlexander Zelin, comandante in capo della Voyenno-voz-dushnye sily, perché accettino di estendere il patronatopure alle forze nucleari subacquee: se necessario, possofornire una videocassetta di Caccia a Ottobre rosso. Nelfrattempo, vorrei offrire al curioso lettore qualche osserva-zione storica in margine ai due bei film di Romm, entram-bi caricati in lingua originale su youtube rispettivamentein 11 e 9 video di 10 minuti. Ushakov e Potemkin sonointerpretati da Ivan Pereverzev (1914-78) e Boris Livanov(1904-72), che aveva recitato in Ottobre e Il Disertore. Ilpersonaggio oggi più famoso del cast è però SergeiBondarchuk (1920-94), il futuro regista di Guerra e Pace(1965-67), che nei film di Romm interpreta TikhonAlekseevich Prokofiev, un giovane ufficiale che nel filmsi immagina ucciso a tradimento da un levantino dopoaver appena espugnato la fortezza di Corfù. La scena dellosbarco travolgente dei marines e dei granatieri russi, dellascalata alle mura, della bandiera con la croce diSant’Andrea piantata sul torrione, degli ufficiali francesiche rendono la spada, è davvero bella e ben trovata.Peccato che sia inventata di sana pianta, perché il grossodelle truppe erano ottomani e albanesi, e perché Ushakovrimase inattivo per quattro mesi finché il 21 febbraio 1799non arrivarono da Messina il commodoro Stuart e un uffi-ciale inglese del genio. Altrettanto immaginari sono i ripe-tuti colloqui di Ushakov con Nelson in presenza della dis-soluta coppia formata da Lord e Lady Hamilton e conl’occasionale intervento della regina di Napoli MariaCarolina d’Austria, isterica sorella di Maria Antonietta diFrancia. Romm suggerisce allo spettatore che Ushakovfosse perseguitato dai monocoli, prima Potemkin e poiNelson, lui pure geloso dell’ammiraglio russo, nonché uncriminale di guerra che faceva fucilare i prigionieri repub-blicani (in realtà fece eseguire per impiccagione la con-danna di Caracciolo emessa da un consiglio di guerra bor-bonico e consegnò ai tribunali borbonici gli altri prigionie-

ri). E così pure la spada che il colonnelle Mejan, coman-dante di Sant’Elmo, avrebbe consegnato a Ushakov; non-ché l’ingresso trionfale dell’ammiraglio a Roma; e l’al-lontanamento della squadra russa dal blocco di Malta[allora occupata dai francesi], voluto da Nelson per nonsottostare all’autorità del collega russo, più anziano ingrado. La banale verità è infatti che dopo la capitolazionedi Corfù (4 marzo 1799) Ushakov rimase inattivo nelloIonio, limitandosi a sbarcare a Manfredonia appena 390dei 3.000 granatieri speditigli via Trieste da Suvorov (poifatto dallo zar principe “Italinski” per essere entrato aMilano e a Torino ricacciando i francesi oltre le Alpi).Furono quei 390, comandati da Henry Baillie, un irlande-se al servizio russo, l’unico sostegno russo, insieme a uncontingente ottomano di albanesi musulmani, all’Armatadella Santa Fede guidata dal cardinale Ruffo che il 14 giu-gno entrò in Napoli. La resa dei Castelli, confermata daMejan dopo la revoca, imposta da Ferdinando IV e daNelson, dei patti stipulati da Ruffo che salvaguardavano irepubblicani, fu approvata solo per mera accessione daicomandanti dei contingenti russo e turco, Baillie e Acmet.La resa di Roma fu stipulata il 29 settembre 1799 colcomandante di una corvetta inglese che da Fiumicinoaveva risalito il Tevere, e sul Campidoglio fu issatol’Union Jack. I romani accolsero festanti, è vero, i 450granatieri russi entrati nella Città Santa il 3 ottobre: mafurono festeggiati non solo e non tanto perché venivano arestaurare il papa, ma perché impedivano di entrare ai2.000 briganti capeggiati da fra Diavolo, che furonorimandati in Ciociaria. A volte mi iscriverei al grupponostalgico “Addavenì” e, tanto pe’sognà, me so’guarda-to commosso la scena dell’ingresso dei russi a Roma,caricata su youtube da Fatum1963 (Na Rym...Marshy!) eda russianpatriot. Ma qui casca l’asino: immaginate le bel-lezze di Sebastopoli che tentano de fa le trasteverine, unapiazza San Pietro col cupolone sfumato sullo sfondo e ilcolonnato ... non solo poggiato su un basamento preso daikolossal dell’antichi romani, ma che invece di protender-si dalla Basilica la fronteggia! Senza contare che appenapochi mesi dopo l’idea geniale di Kuznetzov e l’ingressodi Togliatti nel governo Badoglio, a Roma c’era entratoMark Clark, percorrendo in jeep lo stesso tragitto dei russi

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del 1799 dal Campidoglio a San Pietro (con l’unica variante di viadella Conciliazione...). Quanto all’atteggiamento di Nelson sulla par-tecipazione russa al blocco di Malta, la questione non stava nella sup-posta gelosia, ma nelle mire russe sull’arcipelago strategico. Benchéortodosso, lo zar si era infatti autonominato Gran Maestrodell’Ordine Gerosolimitano e aveva dato ospitalità a San Pietroburgoai cavalieri che non avevano accettato lo scioglimento imposto dallaLingua francese dopo lo sbarco di Bonaparte e firmato dall’ultimogran maestro von Hompesch. In ogni modo Nelson sollecitò piùvolte il promesso arrivo dei granatieri e delle navi russe. Le navi arri-varono a Palermo il 15 agosto: ma non erano quelle di Ushakov,bensì la squadra del Baltico (Kartzov). Infine i film danno per scon-tato che il personale della flotta del Mar Nero fosse composto esclu-sivamente da russi. Questo era vero nel 1905, ma non certo nelSettecento: in realtà sia gli ufficiali che i marinai erano un’accozza-glia di tutte le nazionalità, in cui abbondavano croati, dalmati, vene-ziani e albanesi. Nel primo film figura pure il conte GiorgioVoinovich, di origine croata ma appartenente ad una delle primariecase commerciali di Trieste e comandante di varie crociere contro icorsari turchi. Non se ne parla invece nel film sul 1799, benché fuproprio dell’anno che comandò una divisione navale russo-turcaall’assedio di Ancona. Secondo il diarista francese Mangourit avreb-be commesso ripetute violazioni dell’umanità e del diritto di guerra,ragion per cui gli austriaci accolsero la richiesta francese di escluder-lo dall’atto di resa. Fu questo sgarbo a decidere Paolo I ad uscire dallacoalizione e allearsi con Napoleone. Il giorno (23 marzo 1801) in cuifu assassinato, (in una congiura di palazzo avallata dal figlioAlessandro, e sotto la minaccia della squadra inglese del Baltico,comandata da Nelson), 30.000 cosacchi stavano marciando verso laPersia e l’India per cooperare coi resti dell’Armée d’Orient abbando-nata da Bonaparte in Egitto. Di tutto ciò, troppo complicato, Rommnon parla; Paolo I compare di sfuggita, dipinto come una macchiettaisterica secondo la vulgata che lo ripudia come filotedesco; e neppu-re spiega la disgrazia di Ushakov, decretata da Alessandro dopo lapace di Tilsit (1807) che brevemente rialzò le sorti del partito eurasi-sta e antibritannico. Multa renascuntur quae iam cecidere.

A destra: Potemkin; in apertura, pag. 67: la glorificazionedi San Fyodor Fyodorovich Ushakov; pag. 68: il manifesto cinematografico del film “Admiral Ushakov” (1953);

pag. 69: icona di San Fyodor Fyodorovich Ushakov

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VITA STRAORDINARIADI UMBERTO KLINGER,AVIATORE ROMANTICOAL SERVIZIO DELL’ITALIA

Dopo anni di paziente lavoro, con questo volume gli Autori - rispet-tivamente il genero e la figlia di Umberto Klinger (1900 - 1971) -hanno concluso un lungo e approfondito periodo di ricerca sulgrande aviatore e imprenditore veneziano. Il volume, pubblicatonel quarantesimo anniversario della scomparsa, racconta nel detta-glio la sua vita. Il percorso va dal periodo in cui era sottotenente

degli arditi, al fronte durante la prima guerra mondiale, alla partecipazione conD’Annunzio all’impresa fiumana, per arrivare al suo impegno tra i due conflitti nel con-solidamento del trasporto aereo (alla presidenza della Sam e dell’Ala Littoria negli annidi maggiore sviluppo dell’aviazione commerciale in Italia) e, successivamente, ai suoivoli bellici nei gruppi da bombardamento e nei Servizi Aerei Speciali (Sas). Finita laguerra, Umberto Klinger fa rinascere gli impianti aeronautici del Lido di Venezia(Aeroporto “Nicelli”), già dell’Ala Littoria e fonda la nuova società “Officine aerona-vali di Venezia”, assumendone la presidenza e lavorando con impegno e passione finoalla tragica scomparsa. Numerosi sono gli episodi narrati, le figure, gli eventi: ItaloBalbo, i pionieristici voli di linea con l’Africa Orientale, la costruzione dell’aeroportodel Littorio (oggi dell’Urbe), la creazione delle tratte transatlantiche e della base di scaloper il Sudamerica nell’Isola del Sale, la nascita delle linee aeree transcontinentali italia-ne. Ma non si tratta solo della biografia di un pioniere, di un uomo eccezionale. Un eroeveneziano è sopra tutto un libro che affronta, con misura e pacatezza, una vasta plurali-tà di argomenti - tutti parte integrante della nostra storia - sempre meritevoli di attenzio-ne e di approfondimento. Da segnalare, a corredo, un ricco inserto fotografico e un’ap-pendice con un buon numero di argomenti originali, dell’epoca. Interessantissimo, sotto

di Mario Arpino

BRUNO DELISI, MARIA SERENA KLINGER

Un eroe veneziano.Umberto Klingere i suoi aeroplani

Giorgio Apostolo Editorepagine 251 • euro 20,00

Con questo volume gli autori(rispettivamente genero e figliadi Umberto Klinger) hannoconcluso un approfonditolavoro di ricerca sul grandeimprenditore veneziano, dallospirito romantico ma anchedotato di non comuni capacitàintellettuali e acute intuizioni. Ilvolume, pubblicato nel quarantesimo anniversariodella sua scomparsa, racconta in dettaglio la vita di Klinger: dall'impresa fiumana fino al suo impegno nei trasporti aerei.

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il profilo documentale, un Cd ospitato nella terza di coper-tina, dove, corredato da bellissimi disegni a china, si puòconsultare il bilancio 1936 - 1937 dell’Ala Littoria.Il libro è una vera miniera di fatti, aneddoti, situazioni emomenti che, tutti assieme, senz’altro caratterizzano e “ciportano in casa” - a partire dalla fine della prima guerramondiale - cinquant’anni di vita italiana. Dentro c’è tutto.Se, sullo sfondo, c’è sempre la figura dominante diUmberto Klinger, con le sue irrequietezze e le sue moltepassioni - quella politica, quella aeronautica e, sempre adessa legata, quella per la creatività industriale, ogni paginaè permeata di accadimenti, di eventi che poi si riveleran-no storici, di stati d’animo e atmosfere che, espanse a livel-lo più generale, ci fanno rivivere momento dopo momen-to la realtà contemporanea cui si riferiscono. A mio avvi-so, ci sono due modi di leggere e comprendere questolibro. Il primo, è naturalmente quello di seguire la vita delprotagonista, della persona verso la quale - come spiegaDelisi nella sua prefazione - gli Autori sentono l’irrinun-ciabile esigenza di “saldare un debito” che deriva loro dauna riconosciuta, insufficiente comprensione della gran-dezza e dei tormenti dell’Uomo, mentre era ancora in vita.Il secondo, è quello di relegare l’Uomo a sfondo, a costan-te presenza, ma privilegiando tutto ciò che è ormai diven-tata Storia d’Italia e del progresso aeronautico. Per accor-gersi, in entrambi i casi, che Personaggio e Storia interagi-scono continuamente, mostrandosi così inseparabili. Nellavita straordinaria di Umberto Klinger si possono distin-guere almeno quattro fasi, tra esse legate, ma corrispon-denti ciascuna a un ben determinato periodo storico. Laprima è quella della passione politica, che con l’avventu-ra fiumana si sviluppa prepotente dopo la prima guerramondiale e nei primi anni del fascismo in un ambiente sur-riscaldato da lotte estremiste come quello delle campagnedi Rovigo e di Ferrara. È in questa fase che conosce per-sone e personaggi che resteranno determinanti per il suostile di vita e l’assetto culturale: oltre che di D’Annunzio,si tratta di Giovanni Giuriati, Riccardo Bacchelli, CurzioMalaparte - che allora era ancora Curzio Suckert - ed altriancora. È in questo periodo che viene colpito in una spa-ratoria tra opposte fazioni, abbraccia con successo la car-riera giornalistica spendendosi per la causa fascista, accet-

ta un duello alla sciabola, rimanendo ferito, con il piùmoderato Enzo Casalini, segretario del Fascio di Rovigo. Poi arriva la prima chiamata di Italo Balbo, che nel 1926a Ferrara lo designa a direttore del proprio quotidiano, ilCorriere Padano, dove conosce Nello Quilici, che annidopo morirà con Balbo nel tragico rogo di Tobruk. È inquel periodo che, con grande versatilità, si interessa anchedi questioni sindacali e della crisi agraria, che colpisce,oltre che il ferrarese, tutta l’Italia. A Italo Balbo, contagia-to dalla sua passione per la necessità di realizzare e per lanascente Aviazione, resterà sempre legato. Nel 1929,lascia Ferrara per Roma, in piena crisi economica, dovedalla direzione del Partito continua a occuparsi, con Turati,dei problemi delle masse lavoratrici. Lasciato volontaria-mente questo incarico, il trentenne Klinger viene designa-to da Balbo, che di anni ne aveva trentaquattro ma era giàda qualche anno Sottosegretario dell’Aeronautica con fun-zioni di ministro, alla presidenza della Società AereaMediterranea (Sam), compagnia a capitale pubblico costi-tuita come contenitore delle molteplici piccole compagnieprivate ormai impossibilitate a sopravvivere in tempo dicrisi. È qui che inizia la seconda e duratura fase della vitadi Umberto Klinger, solo temporaneamente interrotta dallaterza, la partecipazione come pilota militare e comandantealla seconda guerra mondiale.

Instancabile, con le idee chiare sugli obiettivida conseguire e con un mandato preciso del governo, siaccinge a costituire, di fatto, l’Aviazione Civile Italianache, allora e per diversi anni ancora nel dopoguerra, face-va capo a una specifica Direzione Generale della RegiaAeronautica, poi Aeronautica Militare. All’epoca al verti-ce di questa Direzione, allora ancora a livello di Ufficio,c’era il generale di divisione Aldo Pellegrini, con il qualeKlinger entrò subito in sintonia. Le piccole compagnie pri-vate, la cui attività andava razionalizzata con una con-fluenza nella Sam, all’epoca, come oggi, erano più d’una.Solo che oggi, in omaggio al mercato e al concetto di con-correnza, si segue una strada diametralmente opposta, coni risultati che non commentiamo, ma che sono sotto gliocchi di tutti. Allora - siamo nel 1929 - si trattava di incor-porare in Sam la Società Italiana Servizi Aerei (Sisa), di

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Trieste, la società Anonima Navigazione Aerea (Sana), diGenova, l’Aero Espresso di Roma, la Transadriatica diVenezia e le Avio Linee Italiane di Torino, tutte nate tra il1926 e il 1929 a seguito della legge che istituiva, come inaltri Paesi, contributi e agevolazioni a favore di coloro cheavessero voluto cimentarsi nel trasporto aereo commer-ciale. Nessuna di queste piccole compagnie private era ingrado di sopravvivere con le proprie forze, e i contributistatali, dispersi a pioggia, si dimostravano inefficaci. Inpiù, si era ormai in piena crisi economico-finanziaria.Niente di nuovo sotto il sole. Ben presto la Sam, con lafusione di tutte le società già citate, cui si aggiungeva laNord Africa Aviazione, si trasformava in compagnia dibandiera italiana, con il nuovo marchio di Ala Littoria.Come se fosse l’Alitalia di allora, quella “vecchia”, nonquella nuova, ma sana e senza incursioni partitiche. Dipartiti, d’altro canto, ce n’era uno solo. Un vero “campio-ne nazionale” al servizio dello Stato, anche perché con ilgoverno di allora c’era poco da scherzare. Nel 1936 laCompagnia aveva già un centinaio di aeroplani (arriveràin seguito a 150), volava quasi sei milioni di chilometriall’anno, con 1500 dipendenti, di cui oltre mille operaierano distribuiti nelle due officine principali di Ostia eVenezia e nelle quattro sedi sussidiarie di Trieste, Brindisie Asmara. Al processo di razionalizzazione si sottrassesolo la società Ali, di proprietà della famiglia Agnelli. Seil fiore all’occhiello dell’Ala Littoria erano le linee traRoma e Addis Abeba e, poco dopo, quelle che collegava-no Roma al Brasile e all’Argentina, via Isola del Sale, larete di linee regolari copriva tutto il Mediterraneo e granparte dell’Europa. Una rassegna internazionale del 1938indicava l’Ala Littoria in posizione di testa, seguita dallabritannica Imperial Aiways, dalla South African Aiways eda Air France. Nel 1939, per le rotte del Sudamerica, veni-va costituita la Lati, Linee Aeree TranscontinentaliItaliane. Veniamo ora alla terza fase della sua “meraviglio-sa avventura”. Oltre che pilota civile, Umberto Klinger eraanche pilota militare, ufficiale della riserva di complemen-to della Regia Aeronautica. La sua qualificazione, chemanteneva attiva con frequenti richiami presso i gruppi divolo, era il bombardamento terrestre. Il 10 giugno 1940,con la dichiarazione di guerra, veniva costituita un’unità

denominata Sas (Servizi Aerei Speciali), che inglobava igruppi da trasporto dell’Aeronautica e militarizzava L’AlaLittoria e la Lati. Subito dopo, l’unità riceveva l’incaricodi organizzare i lunghi collegamenti con l’AfricaOrientale. Klinger non era favorevole alla guerra, ma,richiamato con il grado di Tenente Colonnello, mise subi-to a disposizione tutta la sua esperienza operativa e orga-nizzativa. Come capo delle operazioni del Sas, passavasenza soluzione di continuità da attività di predisposizionee di studi a quelle belliche, partecipando a numerose azio-ni di bombardamento decollando da basi nordafricane.

Richiamato ancora dopo questo primo ciclo, purmantenendo l’incarico di presidente dell’Ala Littoria,viene nominato capo di stato maggiore del Sas, che nelprimo semestre del 1942 poteva contare su 250 velivoli datrasporto, 700 piloti e 1400 specialisti. Si avvicinavano itempi cupi della ritirata dal Nordafrica e del rischieramen-to e successivo ritiro dalla Tunisia, nel primo semestre del-l’anno successivo. Dopo l’impegno per il rifornimento epoi per l’evacuazione delle truppe dell’asse in Libia, lotroviamo a capo di un’unità speciale, composta da paraca-dutisti incursori dell’Esercito e dell’Aeronautica, portandoa termine numerose azioni di sabotaggio (distruzione divelivoli nemici a terra) fino al giugno 1943. A questopunto, chiudendo il capitolo “militare”, è necessario ricor-dare qualche dato, e rendere cosi omaggio ai piloti ed aglispecialisti civili e militari che hanno operato nel Sas, conparticolare riferimento alle operazioni di supporto e poi dievacuazione delle truppe dalla Tunisia. Così ci raccontanol’epopea gli storici aeronautici Catalanotto e Falessi: «...gliaeroporti in Italia e in Tunisia venivano attaccati giorno enotte. Bassi sul mare per ridurre i settori di attacco, ser-rate le formazioni per opporre il fuoco concentrato dellearmi dorsali, i convogli venivano assaliti da ondate dicaccia cui tentavano di opporsi i più radi velivoli di scor-ta italiani e tedeschi. Gli aerei che avevano superato que-sta tempesta di fuoco erano fatti a pezzi sugli aeroporti diarrivo…». Nel corso dei primi cinque mesi del 1943 i Saspersero sulle rotte obbligate del Canale di Sicilia ben 100velivoli, spesso con gli interi equipaggi, pagando aquesta guerra il tributo di gran lunga più elevato tra

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LA LOTTA FRA CINA E INDIA? SOLO UNA BUFALA

Uno dei dogmi della geopolitica contemporanea eanche del sentire comune risiede nella convinzione cheIndia e Cina siano in competizione fra loro per dettarel’agenda dello sviluppo globale e padroneggiare ilresto del XXI secolo, e che entro breve tempo riusci-ranno nell’una e nell’altra impresa. Questa specie diprofezia vede i due paesi destinati a guidare l’economiaglobale da qui a cinquant’anni, seguendo la loro attua-le traiettoria di sviluppo come quella di un missile bali-stico, lineare e indisturbata. Variano gli intervalli di rea-lizzazione del vaticinio, ma tutti sono convinti che i piùgiovani vedranno Cina e India in zona medaglie nelcorso della loro vita, anche se la medesima non doves-se arrivare ai 120 anni preconizzati da qualche ottimi-sta in servizio permanente effettivo. Tutti, ma nonPrem Shankar Jha, uno dei massimi economisti mon-diali nonché autorevole studioso del Terzo Mondo conesperienze giornalistiche e accademiche veramenteglobali (Neri Pozza ha pubblicato nel 2007 in Italia,con grande successo, il suo Il caos prossimo venturo).Con questo poderoso saggio il nostro autore mostracome questo scenario sia ben lungi dall’essere inevita-bile. Anche se l’ingresso di Cina e India nella stanzadei bottoni (per la prima) o nella relativa anticamera(per la seconda) ha introdotto una nuova sequenza di

variabili nell’equazione strategica contemporanea,entrambi i paesi potrebbero avere a che fare al lorointerno con un futuro molto più incerto, complicato epotenzialmente conflittuale di quello che si presumecomunemente. Ambedue le nazioni sono ancora nellefasi iniziali di trasformazione da società pre-capitalisti-che a società capitalisticamente mature e questo pro-cesso è ancora agli albori, soprattutto in Cina. Se sirichiamano le esperienze dei paesi occidentali, che perprimi hanno percorso questo cammino, si può consta-tare come esso sia stato accidentato e a tratti dramma-tico, nonostante il processo fosse endogeno e corri-spondente al carattere e alle elaborazioni delle relativepopolazioni. Queste ultime erano oltretutto equipaggia-te di strumenti istituzionali che facilitavano il processo- governi rappresentativi, magistrature indipendenti,sindacati in formazione ma comunque ben consapevo-li dei diritti dei loro associati, opinioni pubbliche atten-te alle loro prerogative e sistemi di welfare in consoli-damento. Tutti attributi assenti in Cina e presenti inIndia ma solo in misura ridotta e condizionata dainumeri, lasciti storici e immensi problemi contingentidella “Tigre” (altre volte si è letto “l’Elefante”, anima-le che sembra più congeniale all’indole effettiva delSubcontinente). L’idea iniziale per la stesura del libro èvenuta all’autore qualche anno fa dalla lettura delfamoso rapporto di Goldman Sachs’del 2004 che ha

di Andrea Tani

“Rottamazione” di un luogo comune: che Delhi e Pechino siano in competizione per dominare il resto del Ventunesimo secolo

tutte le specialità della Regia Aeronautica. Da allo-ra, il legame tra i piloti dell’Aeronautica Militare equelli della nostra Compagnia di Bandiera è sem-pre stato di reciproca ammirazione e rispetto. Dopola guerra, l’aviazione italiana e l’industria aeronau-tica erano virtualmente e praticamente distrutte. La

ricostruzione, lenta, irta di difficoltà ma inarresta-bile, ha visto il ruolo di Umberto Klinger comedeterminante, fino alla sua tragica scomparsa. È ingran parte merito di questo “Eroe veneziano” se,dopo tante traversie, l’Italia ha ripreso a volare.Altri uomini, altre tempre.

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inventato l’acronimo Bric e lo ha carica-to dei significati che tutti sappiamo. Ilprincipale di essi si basa sulla previsioneche nel 2040 il Pil della Cina avrebbesuperato l’ omologo degli Stati Uniti, equello indiano l’analogo del Giappone.Questa previsione, come le altre chel’hanno seguita - persino l’Us NationalIntelligence Estimate l’ha fatta sua - pre-suppongono, secondo Shankar Jha eanche il buon senso, il mantenimentodella stabilità istituzionale e sociale cheha caratterizzato il recente passato deidue giganti asiatici, nonché la prosecu-zione della politica di incondizionataapertura dei mercati internazionali ai pro-dotti cinesi (soprattutto) e indiani.L’autore si dichiara tutt’altro che certoche queste due condizioni possano per-manere e argomenta corposi e condivisi-bili dubbi in merito. Alcuni dei dubbisono ascrivibili ad ambedue i paesi, altrisono specifici. Semplificando molto, fra iprimi si possono trovare la natura egual-mente “predatoria” della supposta auto-crazia cinese e della presunta democraziaindiana nel recepire le risorse necessarieper lo sviluppo dei rispettivi paesi, ilquale è andato di pari passo, in entrambii casi, con l’arricchimento più o menolegittimo delle rispettive élite. I metodisono stati analoghi, al di là degli slogan:dirigismo arbitrario, parcellizzazione econseguente deresponsabilizzazione deicentri di comando, tassazioni esose, con-fisca delle terre, fissazione arbitraria deiprezzi, imposizione di penali indiscrimi-nate. Un’altra forma indiretta di preda-zione è costituita da una corruzionemacroscopica e generalizzata che afflig-ge le due società a favore delle rispettive

classi dirigenti: la nomenclatura del Pccper l’Impero di Mezzo e la burocrazia deicivil servants per la Federazione indiana.Le modalità variano grandemente, mal’elemento corruttivo e concussivo è unadelle colonne portanti dei rispettivi siste-mi socio-economici, a dimostrazione delfatto che non è il colore delle ideologie adeterminare la virtù di un regime politicoe neppure i meccanismi di controllo, chepossono essere facilmente aggirati, quan-to il grado di assertività e consapevoliz-zazione dei governati. Esso è direttamen-te proporzionale alla loro scolarizzazionee alla democrazia effettiva praticata, einversamente al sottosviluppo e anchealle dimensioni demografiche del sog-getto collettivo e connesse difficoltà diconcedere udienza a tutti coloro che neavrebbero diritto. A proposito di rapportofra democrazia e funzionamento delleregole e delle istituzioni Prem ShankarJha ha osservato, in un’intervista sullibro, che «la vera ironia della situazioneè che in Cina la gente è “depotenziata”(disempowered) dall’astensione dallademocrazia mentre in India lo è da unademocrazia “troppo” funzionante, omeglio - liberamente traducendo - fun-zionante in modo improprio». Nel sag-gio, vengono dettagliatamente analizzatele modalità attraverso le quali sistemi digoverno diversi - anche se assimilati adun passato di dirigismo esasperato diispirazione sovietizzante che ha caratte-rizzato sia la Cina maoista che l’India diNerhu - sono pervenuti a inefficienze perun certo verso similari. Tanto l’Indiaquanto la Cina hanno adottato modelli dicapitalismo che si differenziano sensibil-mente da quelli occidentali. In entrambe,

PREM SHANKAR JHA

Quando la Tigre incontra il Dragone

Neri Pozza (coll. Bloom)

pagine 480 • euro 22.00

La lettura e l'analisi dellenuove superpotenze asiatiche,le interpretazioni economiche e politiche del presente e delfuturo di Cina e India sonostate negli ultimi anni numerose, ma tutte provenienti da un punto divista occidentale. Formulecome «Cindia» o «la speranza indiana» hanno introdotto un dibattito di grande importanza epopolarità, ma allo stessotempo hanno evidenziato illimite di una comprensioneincapace di colmare la distanza culturale e conoscitiva da una realtà radicalmente nuova e diversa.Prem Shankar Jha, studiosoindiano, esamina dall'interno irapporti tra lo sviluppo economico e le trasformazioni politiche esociali in Cina e India, i conflittiscatenati dal mercato e leprospettive di successo o difallimento dei rispettivi paesinel progettare la propria stradaverso il futuro.

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è lo Stato centrale ad aver svolto un ruolo propulsivonell’incoraggiare lo sviluppo capitalista basato sul libe-ro mercato (cosa che è avvenuta peraltro anche nelnostro paese, soprattutto dalla crisi del ’29 alla cadutadel Muro di Berlino). Il potere politico è intervenutoper creare le condizioni necessarie per un regime diaccumulazione basato su bassi salari, lavoro schiaviz-zato ed espropriazione delle terre. Il meccanismo hafunzionato, seppur con diverse modalità, al costo - piùo meno analogo - di immense sofferenze umane, essen-do Cina e India paesi dove la maggioranza della popo-lazione era, ed è tuttora, composta da contadini che sisono inurbati in modo variamente orrendo. Tanto perdare un’idea di cosa si parla, il China’s StateDevelopment Research Center, un organo governativo,ha stimato che dal 1996 al 2006 la nomenclatura deifunzionari del Pcc ha strappato ai legittimi affittuari piùdi 4000 miglia quadrati di terra all’anno, provocando a80 milioni di contadini la perdita di ogni avere, com-presa la casa. Più ad ovest, in India, 166mila contadinisi sono suicidati in dieci anni. Motivo: “semplicepovertà” ovvero impossibilità di mantenere la propriafamiglia o di restituire i prestiti che lo stato o gli stroz-zini avevano concesso loro. Ogni monsone che va maleporta all’acuirsi del fenomeno. In Cina le riforme eco-nomiche varate nei primi anni Ottanta del Novecentoprevedevano una cessione di potere dal governo centra-le a quello locale, in nome della rinascita della nazionecinese dopo il secolo dell’umiliazione e la catastrofedella Rivoluzione Culturale. Le zone economiche spe-ciali, cardine del miracolo economico cinese, nasconoin questo contesto. Ciò che gli illuminati dirigenti post-maoisti non potevano certo prevedere è che i beneficifinanziari delle stesse zone economiche speciali sareb-bero rimasti in gran parte nelle mani dei funzionarilocali, per tornaconto personale e per consolidare il loropotere attraverso politiche clientelari, nepotiste e cor-rotte-concusse. Questi funzionari hanno creato diretta-mente 70mila centri decisionali ai sei livelli di governodella Repubblica Popolare e indirettamente 7.87 milio-ni di imprese parastatali (dalle 247mila iniziali deiprimi anni Novanta), dirottando sulle proprie regioni,

province, città, villaggi e famiglie il 78% delle entratefiscali della Prc. Questi centri decisionali hanno acqui-sito sempre più forza contrattuale, mezzi normativi ecapacità amministrativa, erodendo il potere dell’autori-tà centrale senza ricostituire un rapporto sano fra lenecessità dello stato e le risorse per farvi fronte, nonchèfra la domanda e l’offerta complessiva di beni e servi-zi, col risultato di mantenere e far lievitare innumere-voli inefficienze, sprechi, duplicazioni, sovracosti, cat-tedrali nel deserto e autostrade Salerno/ReggioCalabriaequivalenti. Tutti fattori che rendono il sistema econo-mico cinese uno dei più inefficienti al mondo, a dispet-to della sua paventata imbattibilità concorrenziale.Come racconta l’autore, dal 1998, i finanziamenti per imilioni di progetti che i sei livelli di governo propongo-no ad ogni piè sospinto con forsennato attivismo - spes-so per tornaconto personale, senza alcun coordinamen-to fra loro e fuori di ogni piano centrale - vengono quasisempre recepiti attraverso contatti diretti e informali frafunzionari, i più importanti dei quali sono in genere acapo delle satrapie locali, e i meno importanti, o solo ipiù giovani, al timone degli istituti di credito ivi collo-cati, le casse di risparmio della situazione. Anche se ilprogetto del quale si chiede il finanziamento è inutile,antieconomico e distruttivo per l’ambiente o la comuni-tà nessuno dei gerarchi junior si può permettere diopporre un rifiuto alla richiesta di un superiore, penal’interruzione di una carriera promettente o anche dipeggio.

E tutto questo con buona pace di chi guardaalla Cina con terrore, ammirazione o desiderio di emula-zione. Da ammirare sono i milleduecento milioni di pro-letari del Celeste impero che continuano in qualchemodo a tirare avanti, sopportando una vita di stenti, pri-vazioni e angherie imposti dall’alto, senza appendereancora una volta il potere costituito ai lampioni, come simeriterebbe. Ma questa passività potrebbe non durare alungo. Ogni anno si accendono più di cinquantamilarivolte e jacquerie locali con morti e feriti – 90mila nel2008 – le quali mettono alquanto in dubbio le sorti certee progressive del più grande stato comunista della storia.

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Il governo centrale è consapevole di questa realtà, moltopreoccupato e intenzionato a raddrizzare la situazione,ma le dimensioni della Repubblica Popolare sono tali davanificare ogni tentativo di riequilibrio degli assetti realidi un potere così frantumato e sfuggito di mano. Senzacontare l’obiettivo ruolo apicale della nomenclatura diPechino, che rende poco credibile un rinnovamento gui-dato dal vertice della cupola. Un rischio molto concretoè quello di una nuova frammentazione della Cina, con ifunzionari assurti al ruolo di quei Signori della guerrache mandarono in rovina la repubblica proclamata daSun Yat-Sen nel 1912. In India la situazione è diversa,meno drammatica e violentemente arbitraria, in granparte per effetto dei lasciti del Raj britannico - democra-zia, stato di diritto, sistema giudiziario indipendente, aonor del vero tutti un po’ “indiani”, ovvero non Everestdi efficienza - alla memoria del quale gli stessi indianidovrebbero essere immensamente grati. A livello di clas-se dirigente esiste un conflitto tra una formazione socia-le definita “regime intermedio”, scaturita dalla tradizio-nale burocrazia dei civil servant intrisa di laburismo allaNehru, e i nuovi e sempre più potenti imprenditori crip-to-liberisti post-1991, più orientati alle privatizzazioni eall’apertura dell’economia al capitale straniero. Questanuova classe, molto aggressiva e spregiudicata, non èsottoposta ad alcun vaglio e controllerebbe, secondoShankar Jha, il governo centrale, i media più importanti,l’information technology e Bollywood. Potrebbe esserefonte di notevoli problemi, come la classe dei capitalistidi stato-funzionari locali della Cina. I sindacati esistonoma latitano, mentre il welfare state teoricamente in esse-re non è mai decollato. Non esistono quindi reali con-trappesi politici e sociali capaci di umanizzare il capita-lismo rampante che sta prendendo piede, con il risultatoche la tradizionale dicotomia indiana fra i molto ricchi ei molto poveri sta intensificandosi, con sbocchi ancheviolenti, come la rivolta naxalita negli stati del centro. Lacorruzione è ancora più macroscopica e diffusa che inCina, anche perché favorita obiettivamente dalla legge ecosì l’evasione fiscale e l’esportazione illegale di capita-li, che non vengono contrastate con le misure draconia-ne vigenti in Cina. Entrambe sono cresciute dagli anni

90 con l’avvento delle liberalizzazioni economiche. Ilquadro complessivo è definitivamente peggiorato dallastruttura castale della società indiana, ancora in essere,nonostante i tentativi dei governi di eliminarla.Combinata con le peculiarità delle religioni dominantiessa diminuisce la reattività intrinseca del corpo socialeall’ingiustizia sistemica.

D’altra parte, è anche vero che questa rassegna-ta pseudo-resilienza - non mi spezzo perché non faccioaltro che piegarmi - aiuta la ricomposizione dei conflittisociali che caratterizzano una società stratificata comepoche altre al mondo. Questo potrebbe favorire un’evo-luzione tale da comportare nel tempo una crescita econo-mica indiana maggiore di quella cinese, soprattutto nelcaso di un collasso del competitore dovuto ad uno scon-tro esiziale fra le sue varie componenti sociali. L’energia,l’intraprendenza e l’attivismo che caratterizzano i suddi-ti dell’Impero di Mezzo potrebbero deflagrare con vio-lenza se la compressione dispotica della società cinesecontemporanea non trovasse una qualche valvola disfogo. D’altra parte in Cina non c’è democrazia, diritticivili, equidistanza del potere giudiziario, libertà econo-mica, consapevolezza della dignità del singolo; i conflit-ti sociali non hanno il luogo per essere ricomposti. Allalunga questa carenza potrebbe essere fatale. Non è soloPrem Shankar Jha a sostenerlo.

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E F I R M EL del numero

LEON ARON: giornalista e scrittore, direttore di “Russian Outlook” pubblicato dall’American Enterprise Institute

MARIO ARPINO: generale, già Capo di Stato Maggiore della Difesa

PIERO BATACCHI: giornalista, senior analyst del Ce.S.I. - Centro StudiInternazionali

CLAUDIO CATALANO: analista di relazioni internazionali

RICCARDO GEFTER WONDRICH: ricercatore del CeMiSs per l’AmericaLatina

CARLO JEAN: presidente del Centro studi di geopolitica economica, docentedi Studi strategici presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma

VIRGILIO ILARI: docente di Storia delle Istituzioni Militari all’UniversitàCattolica di Milano

ANDREA MARGELLETTI: presidente del Ce.S.I. - Centro StudiInternazionali

ALESSANDRO MARRONE: ricercatore presso lo IAI - Istituto AffariInternazionali - nell’Area Sicurezza e Difesa

ALESSANDRO MINUTO RIZZO: ambasciatore

PATRIZIO NISSIRIO: giornalista

DANIEL PIPES: direttore del Middle East Forum, editorialista del New York Post e del Jerusalem Post

STEFANO SILVESTRI: presidente dello IAI - Istituto Affari Internazionali

ANDREA TANI: analista militare, scrittore

DAVIDE URSO: esperto di geopolitica

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Voliamo ogni giorno in tutti i cieli del mondoAlenia Aeronautica è un leader globale negli aerei regionali e un costruttore indipendente di livellomondiale nelle aerostrutture. La famiglia ATR domina il mercato dei turboelica. Tra breve entrerà inservizio il nuovissimo Superjet, basato su un’ampia collaborazione con Sukhoi.Il contributo al Boeing 787 e all’Airbus A380 conferma Alenia Aeronautica come vero “small prime” incampo civile. Alenia Aeronautica ha contribuito in modo significativo ai più importanti aerei di lineaBoeing e McDonnell Douglas. Una vasta gamma di aerostrutture e componenti Alenia Aeronautica èsugli Airbus, sui jet d’affari Dassault e sul futuro Bombardier C-Series. La controllata Alenia Aermacchiè un importante fornitore di gondole motore ad Airbus, Boeing, Dassault, Embraer e altri costruttori.

Quando le idee volano

www.alenia.it

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1515quaderni di geostrategia

2010novembre-dicembre

registrazione Tribunale di Roma n.283 del 23 giugno 2000 sped. in abb. post. 70% Roma

numero 59anno Xeuro 10,00

Leon Aron

Mario Arpino

Pietro Batacchi

Claudio Catalano

Carlo Jean

Virgilio Ilari

Patrizio Nissirio

Andrea Nativi

Michele Nones

Andrea Margelletti

Alessandro Marrone

Alessandro Minuto Rizzo

Daniel Pipes

Stefano Silvestri

Andrea Tani

Davide Urso RIS

KN

OV

EM

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ICE

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2010

LA

GR

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MA

DI

CA

ME

RO

N

Perché credonella NatoAlessandro Minuto Rizzo

L’agenda di Putin(e i piani di Medvedev)Leon Aron

Una guerraa burro e cannoniLa Strategic Defense and Security Review del Regno Unito

CARLO JEAN

Dalla cool Britannia alla crisi neraProposte (e speranze) per cercare la luce in fondo al tunnel

PATRIZIO NISSIRIO

L’età dell’incertezzaLondra baratta la propria indipendenzamilitare con il risanamento delle finanze

ANDREA NATIVI

L’accordo franco-britanniconon basteràCameron e Sarkozy: ok a collaborare su portaerei, deterrenti nucleari e formazione

STEFANO SILVESTRI

LA GRANDERIFORMADI CAMERON

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