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Riserva Naturale Regionale Riserva Naturale Regionale Lecceta di Torino di Sangro Lecceta di Torino di Sangro Piano di Piano di Assetto Assetto Naturalistico Naturalistico Volume I Volume I L.R. n. 67 del 19 dicembre 2001 L.R. n. 67 del 19 dicembre 2001

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Riserva Naturale Regionale Riserva Naturale Regionale

Lecceta di Torino di SangroLecceta di Torino di Sangro

Piano di Piano di Assetto Assetto NaturalisticoNaturalistico

Volume IVolume I

L.R. n. 67 del 19 dicembre 2001L.R. n. 67 del 19 dicembre 2001

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RISERVA NATURALE REGIONALELECCETA DI TORINO DI SANGRO

PIANO DI ASSETTO NATURALISTICOL.R. n. 67 del 19 dicembre 2001

VOLUME PRIMO

ANALISI E STUDI PRELIMINARI

2008Talea Edizioni

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Grafica e impaginazione Mira Colangelo, Talea Edizioni - Atessa (CH) - 0872 889447

A cura della Coop. Sagrus - AtessaProgettazione e gestione dell’ambiente

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PREMESSAPREMESSA

Il presente Piano di Assetto Naturalistico è stato redatto ai sensi dell’art. 4 della Legge Regionale n.67/2001 che ha istituito la Riserva Naturale Regionale Guidata “Lecceta di Torino di Sangro”. Il Piano diAssetto Naturalistico è il principale strumento preposto alla tutela dei valori naturali, ambientali e cul-turali del territorio dell’area protetta; esso ha un carattere dinamico di programmazione e coniuga leesigenze di conservazione delle risorse naturali con un corretto uso antropico.Il Piano si vuole configurare anche come strumento di valorizzazione e di promozione del territorio inpiena rispondenza tra le valenze e le potenzialità ecologiche dei luoghi e la complessiva gestione e orga-nizzazione degli stessi. Nella redazione del presente Piano hanno avuto particolare importanza i seguenti attori:

- la cooperativa Sagrus, che ha la gestione tecnico-scientifica della riserva sulla base di una specificaconvenzione stipulata con il Comune di Torino di Sangro e che ha profuso grandi energie per lo studioe le indagini scientifiche finalizzate alla conoscenza interdisciplinare del bosco;

- Il C.I.S.D.A.M. – Centro Italiano di Studi e di Documentazione sugli Abeti Mediterranei – fondato nel1997 con sede a Rosello, prestigioso centro di ricerca che ha promosso e promuove studi ed indaginiscientifiche su tutte le tematiche connesse alla conservazione dei boschi e degli ambienti mediterranei.Il C.I.S.D.A.M. ha avviato nella lecceta di Torino di Sangro indagini soprattutto di tipo floristico e vege-tazionale che hanno fornito le prime indicazioni sulla gestione naturalistica e forestale dell’area;

- la Società Botanica Italiana che già nel 1971 ha inserito la lecceta di Torino di Sangro fra i “biotopi dirilevante interesse vegetazionale meritevoli di conservazione in Italia” e che anche nel proseguo hasempre sottolineato l’importanza botanica di quest’ultimo bosco lungo la costa teatina;

- la Società Erpetologica, Sezione Abruzzo e Molise, che ha avviato da tempo indagini approfondite sullapopolazione di testuggine terrestre che rappresenta uno degli elementi faunistici di pregio della riserva.

Un ulteriore ed importante elemento di analisi per la lettura del Piano risulta dalla novità rappresenta-ta dall’attuazione delle Direttive Comunitarie n. 92/43/CEE in tema di habitat naturali e seminaturali en. 79/409/CEE per la conservazione delle specie avifaunistiche. Tali provvedimenti dell’Unione Europeasono stati infatti recepiti con l’introduzione di due nuovi tipi di aree protette, le ZSC (Zone Speciali diConservazione), attualmente denominate SIC (Siti di Interesse Comunitario) prima della loro definitivaapprovazione, e le ZPS (Zone di Protezione Speciale). Queste zone vanno a costituire, successivamenteall’approvazione da parte dell’Unione Europea, la rete Natura 2000, cioè un insieme di aree che con-tribuiscono in modo significativo a mantenere o ripristinare gli habitat e le specie di cui agli allegatidella direttiva in uno stato di conservazione soddisfacente al fine di mantenere la diversità biologicaall’interno delle regioni biogeografiche interessate. Ora la Riserva Regionale “Lecceta di Torino diSangro” è ricompresa nel Sito di Importanza Comunitario codice IT7140107 denominato “Lecceta diTorino di Sangro e foce del fiume Sangro” e ciò ha comportato non solo l’ampliamento della fascia diprotezione fino ad includere tutto il SIC bensì un punto di vista più ampio nella politica gestionale del-l’area protetta e nella lettura del territorio, e soprattutto nell’ambito dell’attuazione del Parco Nazionaledella Costa dei Trabocchi. Per finire si vuole sottolineare che il suddetto Piano verrà divulgato nei suoicontenuti presso tutti gli enti e le istituzioni competenti territorialmente al fine di garantire l’inte-grazione delle conoscenze e con gli altri strumenti di pianificazione del territorio.

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LA COSTALa fascia costiera della provincia di Chieti si estende per circa 70 km dal comune di Francavilla a nord a quel-lo di San Salvo a sud e si compone di due falesie divise dalla foce del Sangro. La costa è generalmente bassa, con spiagge ghiaiose e sabbiose interrotte da piccoli promontori rocciosi, conle punte ornate da magnifici trabocchi. Queste sono distribuite regolarmente nel tratto compreso tra Ortonae Rocca San Giovanni, ma lasciano il passo agli arenili nei pressi della foce del Sangro, per poi ricomparirenel territorio di Vasto.Le punte si affacciano per lo più su spiagge ghiaiose, sebbene nella zona del Cavalluccio le rocce si adaginosulla sabbia. La notevole varietà del litorale emerso, non altrimenti reperibile in Abruzzo, si ripropone nella porzione som-mersa, che sembra essere ancor più diversificata nella struttura e nelle componenti biotiche.Nei litorali prospicienti le punte, l’ambiente marino è densamente popolato di vita acquatica, che nelleforme più varie incrosta e ricopre ogni angolo degli scogli. Nelle zone più distanti dalla linea di costa le rocce si dispongono in lunghe file parallele a varie profondità,gli aspri, separati da corridoi di sabbia e caratteristici per elevata diversità biotica, ed ospitano nei loro anfrat-ti specie ittiche pregiate, nonché altri organismi rari e protetti. Non meno rilevante è la presenza nell’immediato entroterra, fra i fiumi Foro e Sangro, di alcuni valloni costi-tuiti da profonde vallate incise nel piano collinare ricche di sorgenti e di vegetazione mediterranea. La costa teatina riepiloga molti degli ambienti litoranei adriatici, sicuramente tutti quelli abruzzesi.Questa proprietà di sintesi è di fondamentale importanza, poiché è ritenuta criterio principale per l’indivi-duazione di aree da proteggere (UNESCO, 1974). Si tratta dunque di un territorio ricco di emergenze ecologiche e paesaggistiche notevoli, ma che allo stessotempo accoglie gran parte della popolazione e delle attività economiche della provincia di Chieti ed è attra-versato da un importante segmento di traffico nazionale e regionale. La costa teatina si presta ancora ad un’azione di pianificazione ambientale finalizzata ad ottenere la sostenibi-lità delle attività economiche presenti e future, proprio in virtù del non elevato tenore di sviluppo turisticoraggiunto e del capitale naturale non ancora compromesso. Nonostante l’elevato grado di antropizzazione infatti questo tratto di costa possiede ancora dei valori di natu-ralità ed un interesse paesaggistico che richiedono sicuramente adeguati strumenti di tutela, ancor più aseguito dell’arretramento della ferrovia che ha restituito all’ambiente naturale tutti i terreni precedentemen-te occupati dal tracciato. L’istituzione di un’area protetta o la creazione di un sistema di aree interviene già, anche in ambiente mari-no, nel contribuire alla riorganizzazione delle attività in mare, sia balneari-ricreative sia commerciali, ed allasoluzione dei problemi connessi (come, ad esempio, la realizzazione di barriere artificiali sommerse utilizzan-do speciali blocchi in calcestruzzo che riproducono i micro habitat cavitari e interstiziali necessari alla colo-nizzazione da parte degli organismi, sulla base di quanto già sperimentato nella vicina costa marchigiana). Unaltro motivo che giustifica la protezione della costa teatina è il problema dell’erosione. In passato, le frequen-

INQUADRAMENTO GEOGRAFICOINQUADRAMENTO GEOGRAFICO

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Mario Pellegrini

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROti frane delle falesie erano fonte di protezione e di ripascimento del litorale. L’attuale stabilità geologica el’impatto antropico hanno prodotto, in particolare dal dopoguerra ad oggi, l’aumento erosivo della costa,solo in parte limitato dai passati interventi a difesa della ferrovia.Nonostante la costa teatina venga soprattutto considerata in quanto ambiente terrestre, è importante sottoli-neare l’importanza che la protezione dell’ambiente marino dovrebbe assumere. La protezione del tratto mari-no infatti risulta fondamentale ai fini della lotta all’inquinamento ma anche per le opportunità per la ricercae la sperimentazione su maricoltura e pesca, per le opportunità di sviluppo del turismo sostenibile e di atti-vità di educazione ambientale, ed infine di recupero delle tradizioni e della cultura locale in tutti i suoi aspet-ti. In effetti, successivamente alla proposta di istituzione del Parco nazionale della costa teatina, non ancoraattivato, la Regione Abruzzo oltre alle già esistenti Riserve Naturali Regionali di “Punta Aderci” a Vasto, “Boscodi Don Venanzio” a Pollutri e la “Lecceta di Torino di Sangro” a Torino di Sangro ha di recente istituito quattronuove riserve: “Ripari di Giobbe e Punta Acquabella” ad Ortona, il “Fosso delle Farfalle” tra San Vito e RoccaSan Giovanni e “Marina di Vasto” tra Vasto e San Salvo.

I trabocchiI trabocchi sono strutture a forma di palafitta ancorate agli scogli e alle rive utilizzate per pescare. Sebbenel’aspetto rimandi a forme antiche, quasi primordiali, si tratta di strutture complesse frutto di una secolare tra-dizione sia nella costruzione che nell’utilizzo. Collegati alla riva da sinuose passerelle che conducono allapiattaforma centrale dove sono ubicati i pennoni che reggono la grande rete squadra, i trabocchi rappresen-tano l’ultima testimonianza dell’antica attività ed economia dei contadini-pescatori che vivevano del connu-bio dei prodotti fra la costa ed il mare. Sembra che queste macchine da pesca siano state introdotte lungo lacosta meridionale abruzzese nel XVII sec. quando abilissimi artigiani giunti da fuori regione completamenteprivi di pratica di mare fecero comunque in modo di poter praticare la pesca con fiocine ed arpioni muoven-dosi di scoglio in scoglio per mezzo di funi e passerelle. Con il tempo le strutture divennero più stabili e raf-finate arricchendosi anche di nuovi materiali oltre al materiale di base costituito dal legno di acacia ed avolte anche da materiali di riciclo provenienti dalla vicina ferrovia. Gli ultimi trabocchi, sopravvissuti alladistruzione e all’incuria, hanno ormai più di un secolo e sono concentrati soprattutto nel tratto a sud diOrtona. Negli ultimi anni, elevati a simbolo di uno dei tratti più belli della costa chietina, i trabocchi stannoconoscendo una nuova vita grazie all’impegno ed alla dedizione di alcuni degli eredi di questa antica tradi-zione ed all’interesse per la costa dopo l’arretramento della ferrovia. È, ad esempio, il caso del trabocco diPunta Tufano nel comune di Rocca S. Giovanni ricostruito di recente tra la suggestiva spiaggetta della Balenaed il porticciolo di Vallevò, ai piedi di una collinetta dove si trovava un’antica fornace dopo la totale distru-zione negli anni ottanta. Il trabocco ha finalità di tipo didattico ed è allestito in modo da permettere una visi-ta ravvicinata per conoscere l’ambiente naturale e la cultura che esso racconta. È in progetto anche nelcomune di Torino di Sangro la ricostruzione di un trabocco con finalità didattiche che si inserisca appienonelle attività di educazione ambientale della riserva nella stessa località, Le Morge, dove esso era storicamen-te ubicato.

IL SANGROSagrus magnus omnis… il Sangro dalle grandi acque. Così Strabone, famoso geografo greco vissuto nel Isecolo a.C. definì il Sangro, noto anche come Sagros, Sarus, Csaros, Saro e chiamato Saros da Tolomeo eSaro da Plinio il Vecchio nella sua Historia Naturalis.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROUn’etimologia incerta che ha fatto pensare al colore delle acque tendente al rossastro, per la presenza dialghe, secondo alcuni, o forse più per il colore di alcune rocce frequenti lungo il suo corso. Dal fiume prese il nome il popolo dei Sarentini o Carecini, la più piccola e settentrionale delle tribù sanniti-che, la cui presenza è ancora testimoniata dalle possenti mura ciclopiche che cingono i rilievi circostanti, edai templi costruiti sul fiume nei pressi di Quadri ove è localizzata l’antica Trebula. Un fiume importante non solo per la sua portata, vista anche la mancanza di impedimenti artificiali e di regi-mazioni, ma anche per la posizione geografica che ha rappresentato per secoli un confine naturale e di guer-ra, fino a quello in cui è stato teatro di battaglie nell’ultimo conflitto mondiale. Secondo fiume d’Abruzzo per portata e per bacino idrografico il Sangro nasce alle pendici del Monte Turchioa 1400 metri nel Parco Nazionale d’Abruzzo, scorre poi per 117 km attraversando per un breve tratto il terri-torio molisano e poi segnando il confine fra la nostra regione e il Molise. Se la parte alta del suo corso scorre in una delle zone meno antropizzate della regione il tratto planizialeinvece attraversa una delle aree più industrializzate ed abitate.Nel tratto alto il Sangro conserva tutte le caratteristiche del corso d’acqua appenninico alimentato da copio-se sorgenti e con notevole portata e regime regolare offrendo tratti anche paesaggisticamente rilevanti, comele strette gole di Opi, il Lago di Barrea e le gole profonde e inaccessibili tra Alfedena e Scontrone. Altra importante emergenza naturalistica risulta un tratto di circa 10 km a valle di Castel di Sangro dove il fiume èstraordinariamente ben conservato con ampie fasce di vegetazione ripariale con ontani e salici di varie specie. Qui si trova la meravigliosa isola di Fonte della Luna, nei pressi di Ateleta, un’ontaneta fra le più belledell’Italia centrale dove è ancora presente la lontra, la specie che meglio rappresenta la qualità e l’importan-za di un fiume. A valle di Ateleta vi è ancora il piccolo lago di Castel del Giudice e poi il Lago del Sangro o di Bomba, formatoda una grande diga in terra battuta costruita negli anni ’50. Pur se di origine artificiale, l’invaso è ben inserito nel paesaggio e risulta anche un ambiente naturalistica-mente interessante.Dopo un tratto piuttosto degradato, anche per cronica carenza di acqua, il fiume si rivitalizza alla confluenzacon l’Aventino, suo principale affluente, dove si trova la Riserva Naturale Regionale Lago di Serranella, istitui-ta nel 1990 e diventata presto una delle aree umide più importanti del medio Adriatico, con la presenza dioltre 210 specie censite per l’avifauna.Da qui il Sangro scorre nell’ampia pianura alluvionale per circa 20 km in un territorio ormai a vocazioneprettamente industriale e produttiva, in un contesto apparentemente povero e monotono ma dove tuttaviasono sopravvissute anche ampie fasce di vegetazione ripariale ed un importantissimo relitto di bosco a testi-monianza delle estese foreste planiziarie che un tempo ricoprivano la bassa vallata. Il bosco di Mozzagrogna, l’antica “Selva di Sette” legata all’omonimo castello longobardo (oggi ristrutturatoed adibito ad albergo-ristorante), annovera fra le specie dominanti il pioppo bianco, il salice bianco, l’ontanonero e la farnia, una specie di quercia ormai quasi scomparsa nella nostra regione.Ultimo ambiente naturale relitto ed interessante sul Sangro è la foce - la più bella in Abruzzo - che forma ununicum ambientale con la Lecceta di Torino di Sangro, riserva naturale regionale istituita nel 2001. Questeultime tre aree naturali, il Lago di Serranella, il bosco di Mozzagrogna, la foce del Sangro insieme alla Leccetadi Torino di Sangro, sono riconosciute anche come Siti di Importanza Comunitaria.Alla foce, lungo le sponde, sono presenti ampie fasce di canneto con un esteso bosco a salici e pioppo bian-co che si aprono alla costa dei trabocchi, un tratto di mare chietino accogliente e gradevole e complessiva-mente ben conservato anche sotto il profilo naturalistico.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROLa foce e la costa rappresentano un luogo importante per la migrazione degli uccelli – in passato per la pre-senza di aree paludose significava anche la sosta - di grandi stormi di oche selvatiche e di gru.

Le scafe sul SangroPrima dei ponti l’attraversamento dei fiumi avveniva con le scafe: si trattava di imbarcazioni piatte, quasidelle zattere, ancorate con due carrucole ad una fune per impedire che fossero trascinate dalla corrente.Trasportavano non solo persone e beni bensì anche animali e rappresentavano per le casse comunali, purpotendo appartenere anche a privati o a monasteri, una sicura fonte di denaro. Per attraversare il Sangro nelsuo tratto finale fino agli inizi del Novecento vi erano due scafe, una all’altezza di Paglieta e l’altra nel territo-rio di Torino di Sangro proprio in prossimità della foce.Domenico Priori, storico di Torino di Sangro, narra che “nel 1908, con l’inaugurazione del ponte ex diruto,venne abolita la scafa che faceva ancora sentire la sua stretta feudale. (…) Poiché per quasi tutti i fiumi siusarono le scafe, ricorderò come funzionavano, parlando della più importante e cioè di quella del Comune diTorino di Sangro che ne aveva avuto il diritto dal 1411, con la compra di Civita di Sangro dalla badia di S.Giovanni in Venere.”

LA FOCE DEL SANGROI Romani scelsero il promontorio che domina il golfo incantato dove sfocia il fiume per costruire l’imponen-te tempio dedicato a Venere, dea dell’amore e della bellezza nata dal mare e simboleggiata dal mirto, speciesolare che evoca il Mediterraneo, ancora spontanea in questo tratto di costa. La foce del Sangro dovette rap-presentare in passato un elemento naturale e geografico di notevole importanza. A pochi chilometri da essaTraiano fece edificare un ponte (l’attuale Ponte Guastecconcia) per facilitare l’attraversamento dell’antica viaFrentana e, qualche secolo più tardi, il fiume segnò il confine politico tra i ducati Longobardi di Spoleto e diBenevento dividendo l’Abruzzo in due parti. Con la fondazione e l’organizzazione del Monastero di SanGiovanni in Venere, sorto sui ruderi dell’antico tempio pagano, gran parte del fiume e della sua ampia pianu-ra passò sotto il controllo dell’abbazia. I monaci realizzarono nei pressi della foce una salina, diversi mulini ela scafa, il cui uso è documentato fino agli inizi del nostro secolo per attraversare il fiume tra i territori diTorino di Sangro e Fossacesia. Il fiume ha così segnato e condizionato la vita delle popolazioni: le acque abbondanti fertilizzavano la terra,riempivano fino al secolo scorso le risaie, azionavano mulini, lanifici e persino una grande cartiera tra Quadrie Borrello. Spesso il fiume si gonfiava, straripava e allagava la pianura apportando distruzione e lutti. Di que-sto vi è memoria nel racconto dei vecchi a proposito della grande piena che, nell’autunno del 1943, bloccògli eserciti contrapposti per diverse settimane. Il Sangro è un fiume tra i meglio conservati della regione nonsolo nel tratto montano del suo corso ma anche in quello terminale. In particolare la foce è una delle piùinteressanti nell’ambito delle regioni centro-adriatiche: qui si sono conservati ambienti altrove distrutti, inprimo luogo i boschi ripariali fitti ed intricati, in cui è presente anche la farnia (Quercus robur), che vengo-no a diretto contatto con la lecceta; alla foce del fiume si rinvengono inoltre piccole depressioni di acqua sal-mastra, ultime vestigia del lago costiero delle Grotte riportato nelle carte del diciannovesimo secolo e poibonificato. Questi ambienti ospitano specie floristiche rarissime, alcune delle quali inserite nella Lista RossaRegionale delle Piante come nel caso dell’evax comune (Evax pygmaea), del lino marittimo (Linum mariti-mum), del giglio marino (Pancratium maritimum), del limonio (Limonium virgatum), del papavero dellespiagge (Glaucium flavum), dell’agno-casto (Vitex agnus castus) e della salicornia (Salicornia patula). A

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LECCETA DI TORINO DI SANGROqueste si aggiungono altre specie rare come il trifoglino palustre (Dorycnium rectum), l’enula bacicci(Inula crithmoides), la salsola erba-cali (Salsola kali), il giaggiolo acquatico (Iris pseudacorus), la mazzad’oro comune (Lysimachia vulgaris), il finocchio marino (Crithmum maritimum) e l’aglio nano (Alliumchamaemoly).Studi recenti documentano sotto l’aspetto scientifico come la costa abruzzese conservi proprio nel settoremeridionale la più alta naturalità, in particolare presso la foce del Sangro dove sono state rinvenute specie ecenosi divenute ormai rare. L’Eriantho ravennae-Schoenetum nigricantis o il Suaedo maritimae-salicor-nietum patulae testimoniano che ormai le specie più interessanti dal punto di vista fitogeografico si trovanolungo la costa in ambienti che rischiano di scomparire, rappresentando una grande perdita per il patrimonionaturale. Anche la componente faunistica annovera specie rare ed importanti, sotto il profilo ecologico e bio-geografico: ad esempio il gamberetto d’acqua dolce (Palemonetes antennarius), un esile crostaceo lungocirca 4 cm, trasparente e dotato di lunghe zampe che vive nei tratti inferiori e alle foci dei fiumi, tra la vegeta-zione delle sponde, e rappresenta un ottimo bioindicatore delle qualità delle acque e con ciò dimostra legrandi capacità autodepurative di questo fiume che scorre per oltre 120 km attraverso l’Abruzzo. Inoltre lafoce costituisce un luogo di svernamento e di passo di molte specie di uccelli migratori, tra cui anche speciedel tutto eccezionali, come la pispola golarossa, mentre vi nidificano specie in declino nel loro areale euro-peo come nel caso del martin pescatore, del topino e del gruccione.

IL TERRITORIO DI TORINO DI SANGRO Il territorio di Torino di Sangro è localizzato quasi al centro dell’area costiera teatina; le coordinate, coinci-denti con il centro abitato, che si trova anch’esso in posizione centrale alle sue competenze territoriali, sono42°11’20’’ di latitudine N e 14°32’30’’ di longitudine E. L’intero territorio, oltre a svilupparsi sulla costa, si pro-lunga per gran parte verso l’interno in direzione sud. I confini comunali si estendono per circa 33 km, men-tre la superficie complessiva è di 3.231 ettari. Oltre 6 km sono rappresentati dalla costa che ne segna il confi-ne nel settore nord-orientale, a nord-ovest per circa 4 km è il fiume Sangro a dividere il territorio da quello diFossacesia, nell’area sud-occidentale confina con Paglieta, ad est lungo il Fosso Ripari e sul fiume Osento con-fina con il comune di Villalfonsina e per un breve tratto a sud-ovest, sempre lungo il fiume Osento, con un’i-sola amministrativa di quest’ultimo comune. In due diversi settori, sempre a sud, ed entrambi in corrispon-denza del corso del fiume Osento, sia nell’area più meridionale che nell’area nord-orientale del proprio terri-torio, confina con il quarto comune, quello di Casalbordino. Per meglio illustrare la localizzazione e la descri-zione del territorio, è bene evidenziare che, come avviene per tanti altri paesi, la maggior parte dei confini sisviluppano lungo i corsi d’acqua. Infatti, fatta eccezione per l’area confinante con Paglieta, il resto è delimita-to dai fiumi Sangro, Osento e fosso Ripari. Del resto anche la morfologia del territorio è determinata da que-sti, che si allineano paralleli in direzione nord-sud, formando una serie di crinali nel settore centro-meridio-nale del territorio, dove lo stesso abitato di Torino di Sangro si sviluppa su un lungo crinale delimitato dalfiume Osento e dal fosso Frainile, altre contrade come Collelongo, Malevette e Campogrande delimitate daquest’ultimo corso d’acqua con il fosso Ripari. La maggior parte delle altre contrade di Torino di Sangro sidistribuiscono lungo un ampio arco, determinato dall’Osento che nel basso corso, con i suoi numerosi edampi meandri, prima scorre in direzione settentrionale e poi, proprio alle pendici di monte Secco, dove ini-zia a svilupparsi il centro abitato principale, piega decisamente verso est. Queste contrade si distribuisconoanche lungo la provinciale che collega la località Le Morge, nota stazione balneare alla foce dell’Osento, alPonte Zamenga sul fiume Sangro, ricalcando perfettamente il tracciato dell’antico tratturo L’Aquila-Foggia. Il

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGRO

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resto del territorio comunale, localizzato a nord rispetto a queste ultime località, è rappresentato da unampio pianoro (piano di Sodera, piano S. Tommaso, Sentinella), a forma di triangolo, che si inserisce a cuneo econ la punta rivolta verso nord, in direzione della foce del Sangro, sovrastando i versanti del bosco comunaleoggi ricadenti all’interno della Riserva Naturale Regionale “Lecceta di Torino di Sangro”. Il bosco si sviluppa aforma di elle, con il lato più lungo verso la costa, l’altro nel tratto terminale del Sangro, con entrambi i versan-ti che degradano con forti pendenze, quasi a formare una falesia, dal crinale delimitato dal pianoro a monte,posto mediamente ad una quota di circa 100 m s.l.m.; la quota più elevata della Riserva invece è di 116 m,corrispondente alla Masseria Tessitore sul crinale che divide i due versanti e che guarda in direzione nord, nerappresenta anche il miglior punto panoramico. I rilievi più consistenti si localizzano a partire dal centro abi-tato, ubicato ad una quota media di 160 m, e proseguendo gradualmente nel settore più meridionale del ter-ritorio comunale, dove la quota massima è di 257 m, al confine con quello di Casalbordino.Tale morfologia è determinata anche dalla costituzione geologica. Nel settore costiero e quello a ridosso delSangro prevalgono formazioni sabbiose e più raramente blocchi di conglomerati, di ambiente marino delPleistocene, mentre nella restante parte del territorio, ed in particolare nelle zone più interne e meridionali,sono le argille, sempre sedimenti marini di età compresa tra il Miocene superiore e il Pleistocene, a costituirela maggior parte dei rilievi collinari. Anche i due principali corsi d’acqua hanno caratteristiche diverse.L’Osento scorre in un’area dove prevalgono le argille e infatti il letto è inciso profondamente rispetto alpiano di campagna, formando ampi meandri; il Sangro, invece, oltre ad avere maggiori dimensioni, trasportanotevoli quantitativi di ghiaie, con grossi depositi alluvionali e con la presenza di evidenti terrazzamenti flu-viali. Nei pressi della foce è ancora presente una piccola isola fluviale, la stessa che viene descritta da diversiautori del passato, tra questi Giuseppe Del Re che nella Descrizione topografica del Regno delle Due Sicilie(1835) così riporta: “L’intero corso del Sangro è di circa 60 miglia e formava un tempo nella sua larga imboc-catura una isoletta, ove furono costrutti alcuni molini”. È interessante notare anche che nei due principali corsi d’acqua i depositi terrazzati più antichi ed i meandriabbandonati si rinvengono prevalentemente sulla sinistra idrografica. Per quanto riguarda il restante reticolo idrografico si rilevano solo piccoli corpi idrici, tutti compresi intera-mente all’interno del territorio comunale di Torino di Sangro e tutti affluenti del fiume Osento. Essi sono ilfosso Frainile o di Carloccitto con la diramazione di Vallebruna, il fosso Ripari, il vallone Nanni e diCollemeschino. Ben distinti sono quelli di Fonte S. Nicola e il Fosso del Diavolo che costituisce un vero e pro-prio piccolo canyon tra i terreni sabbiosi-conglomeratici. Esteso circa 2 km, con una direzione ovest-est, sfo-cia direttamente nell’Adriatico ed è parallelo e poco più a nord dell’ultimo tratto dell’Osento. Da rilevare, oltre che nelle zone più interne dove prevalgono le argille, compreso il crinale dove sorge il cen-tro abitato, le numerose frane, sia storiche che recenti; tra queste sono da citare due eventi franosi, probabil-mente connessi a fenomeni più antichi, uno molto esteso per una lunghezza di circa 4 km parallelo alla costae l’altro più ridotto sulla destra idrografica del fiume Sangro. Il primo, avvenuto il 27 novembre 1916 a segui-to di abbondanti piogge, causò anche danni alla vecchia linea ferroviaria per circa 2 km con il conseguentederagliamento e rovesciamento di un treno. Entrambe le frane sono localizzate alla base dei versanti dellaLecceta. Il bosco esercita indubbiamente un’azione protettiva per i movimenti franosi in genere, e forseanche nell’azione preventiva a tali eventi si devono ricercare le motivazioni per cui il bosco si è conservatofino ad oggi. La copertura boschiva nel territorio di Torino di Sangro non è particolarmente estesa. Le formazioni principa-li sono costituite dal bosco Terracoste - questo è l’antico nome della Lecceta - oggi Riserva Regionale, cheforma un unico nucleo con le cenosi forestali del basso corso e della foce del Sangro ed i boschi ripariali del

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LECCETA DI TORINO DI SANGROfiume Osento che si sviluppano prevalentemente nelle aree tra i profondi meandri. Queste due formazioniinsieme non superano i 500 ettari, mentre nel restante territorio sopravvivono solo piccoli nuclei, per lo piùfilari rappresentati prevalentemente da querce. Le aree agricole rappresentano quasi il 70% dell’intero terri-torio, con una prevalenza di vigneti ed uliveti ed in misura minore seminativi.Azioni di tutela nel territorio di Torino di Sangro sono state intraprese già da qualche decennio ed in partico-lare nel 1971, quando il gruppo di lavoro per la conservazione della natura della Società Botanica Italiana,nell’ambito del Censimento dei biotopi di rilevante interesse vegetazionale meritevoli di conservazione inItalia, individuava la Lecceta di Torino di Sangro, per una superficie complessiva di 218 ettari, un’area da sot-toporre a tutela. Successivamente, con Legge regionale n. 45 dell’11 settembre 1979, dal titolo“Provvedimenti per la protezione della flora in Abruzzo”, individuava per l’intera regione due sole aree diparticolare interesse vegetazionale, la Lecceta di Torino di Sangro ed il vicino Bosco di Don Venanzio incomune di Pollutri, entrambe oggi Riserve naturali. Il riconoscimento del lavoro svolto e soprattutto dellagrande valenza naturalistica dell’area è arrivato con la Legge regionale n. 67 del 19 dicembre 2001 che haistituito la Riserva Naturale Guidata “Lecceta di Torino di Sangro” per un’estensione di 165 ettari, dandoriscontro alla volontà del Comune di Torino di Sangro che con Deliberazione di Consiglio comunale del 1993richiedeva alla Regione Abruzzo proprio l’istituzione di un’area protetta.Per la presenza di habitat e specie floristiche e faunistiche prioritarie, lo stesso bosco e l’intera Riserva sonooggi ricompresi all’interno del Sito di Importanza Comunitaria ai sensi delle Direttive emanate dallaComunità Europea, e cioè la Direttiva Comunitaria 92/43/CEE, meglio nota come “Direttiva Habitat”, e laDirettiva Comunitaria 79/409/CEE definita “Direttiva Uccelli”. Nel territorio di Torino di Sangro, oltre al SICche include la Riserva, codice IT7140107 “Lecceta litoranea di Torino di Sangro e Foce del fiume Sangro”,esteso 552 ha e che include anche una piccola parte del territorio di Fossacesia lungo il Sangro e nei pressidella sua foce, è stato individuato un altro SIC, codice IT7140111 “Boschi ripariali del fiume Osento”, esteso595 ha, che include anche una piccola parte del territorio di Villalfonsina e Casalbordino. L’individuazione diquesti siti sul territorio di ogni Stato membro della Comunità Europea, effettuata attraverso la verifica di pre-senza di specie animali, vegetali ed habitat, elencati nelle stesse direttive e la cui conservazione è consideratauna priorità di livello europeo, fa sì che tutti i SIC vadano a creare una rete europea coerente di aree protettee denominata Rete Natura 2000.

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INTRODUZIONEL’obiettivo del presente studio è quello di fornire un quadro esauriente delle caratteristiche geologiche, geo-morfologiche ed idrogeologiche del territorio della Riserva Naturale Regionale “Lecceta”. In particolare, in base alle norme dettate dal D.M. 11.03.88., riguardanti le indagini su grandi aree, lo studio èstato articolato nelle seguenti fasi:- Reperimento di informazioni di carattere bibliografico relativi a studi ed indagini eseguiti nell’area ;- Analisi delle foto aeree I.G.M (volo del 1985) in scala 1:33.000;- Rilevamento geologico di superficie, esteso anche alle zone immediatamente confinanti con la Riserva;- Rilevamento geomorfologico dei processi morfodinamici e dei loro prodotti, sia attivi che quiescenti o sta-bilizzati.

L’insieme delle osservazioni e delle deduzioni è stato sintetizzato nella carta tematica allegata, la carta geolo-gica e quella geomorfologica. I dati che verranno presentati, costituiscono un ulteriore contributo alla conoscenza della geologia di questazona, che presenta delle peculiarità e complessità tali che negli ultimi anni ha trovato l’interesse sia dellacomunità scientifica che di quella della ricerca petrolifera.

UBICAZIONE E RIFERIMENTI TOPOGRAFICIDal punto di vista topografico l’area è compresa nei fogli 362151 – 152 – 153 della Carta tecnica dell’ItaliaMeridionale (scala 1:5000). La Riserva si localizza geograficamente tra la foce del fiume Sangro, il torrenteOsento a sud e il mare verso nord.

INQUADRAMENTO GEOLOGICO GENERALEL’area della Lecceta è ubicata geologicamente, nel settore più esterno della zona pedemontana appenninica,precisamente nella piana tra la Majella e l’Adriatico, nella parte terminale di una delle tante dorsali in cui ilsettore è suddiviso dalle valli dei corsi d'acqua che affluiscono all'Adriatico.In questo settore affiorano in larga prevalenza sedimenti marini argillosi di età compresa tra il Miocene supe-riore ed il Pleistocene, sormontati nelle zone più prossime al mare, da terreni sabbioso-conglomeratici, sem-pre di ambiente marino, del Pleistocene.Questi sedimenti a granulometria grossolana testimoniano il progressivo ritiro del mare dalla zona, tra la finedel Pleistocene e l'inizio del Quaternario; in particolare, l’ambiente di sedimentazione delle peliti basali èquello da infraneritico ed epibatiale, le sabbie costituiscono depositi di spiaggia sommersa e di battigia, men-tre i conglomerati e più in generale le ghiaie formano in parte depositi di spiaggia ed in parte depositi fluvio-deltizi.Localmente questi terreni sabbioso-conglomeratici sono coperti da spessori anche considerevoli di limi argil-loso-sabbiosi, ultima testimonianza del ritiro del mare dall'area.

ASPETTI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICIASPETTI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICIMassimo Ranieri

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROIl passaggio tra la formazione argillosa sottostante e quella sabbioso-conglomeratica sovrastante avviene congradualità, infatti si verifica un sensibile e progressivo aumento del numero e dello spessore delle intercala-zioni sabbiose nella parte alta della formazione argillosa.I terreni sabbioso-conglomeratici di superficie nella porzione basale sono costituiti da sabbie giallastre agrana medio-grossa in grossi banchi sciolte o debolmente cementate, con intercalati orizzonti e lenti dimodesto spessore più cementati.Verso l'alto queste sabbie passano gradualmente a sabbie variamente associate a ghiaie, da sciolte a fortemen-te cementate con prevalenza di termini ghiaioso-conglomeratici.La genesi di questi depositi grossolani è da ricercare nello smembramento dell’emergente catena appennini-ca per erosione e successivo deposito nella vasta depressione marina adriatica. Lungo il versante settentrionale e prospiciente il mare, le formazioni sopra descritte sono coperte da prodot-ti della degradazione meteorica ed in particolare da vere e propri accumuli di frana connessi alle sabbie eghiaie con spessori considerevoli.Si rilevano infatti ghiaie lavate o in matrice limo sabbiosa e blocchi isolati completamente ribaltati sia di sab-bie che di conglomerati.Lungo i corsi d’acqua Sangro a nord, limite settentrionale della Riserva e a sud l’Osento si rinvengono deposi-ti alluvionali in parte terrazzati.

LINEAMENTI TETTONICIL’area compresa tra il bordo orientale appenninico e la linea di costa che prima del Pliocene medio era inte-ressata da una generale subsidenza, subisce un sollevamento che nel tratto lungo costa è compresa tra 50 e150 m circa.Durante la fase di sollevamento i depositi plio-pleistocenici lungo la costa vengono basculati verso N e vesroESE; né sono la testimonianza la giacitura degli strati, l’asimmetria dei depositi alluvionali lungo il fiumeSangro con terrazzi sviluppati soprattutto su lato occidentale, con la migrazione verso E dell’alveo ecc.Dagli studi sulla neotettonica del Foglio 148 “Vasto” si deduce che la valle del Fiume Sangro sarebbe imposta-ta lungo un graben orientato SW-NE. In particolare, del versante destro del fiume è presente una faglia nor-male, orientata anch’essa SW-NE. Una seconda faglia normale con andamento E-W è presente in destra delFiume Osento. Queste due faglie si sono sviluppate a partire da circa 3 M.a.Gli intensi movimenti tettonici sviluppatisi nel Pliocene e nel Quaternario controllano anche l’attività sismi-ca che colpisce periodicamente le aree costiere adriatiche.

INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO L’area oggetto di studio fa parte dei rilievi collinari che caratterizzano tutta la fascia periadriatica compresatra la catena appenninica s.s. e la costa. Tali rilievi, mostrano ampie spianate nelle loro parti sommitali, che possono raggiungere quote comprese tracirca 120 m e 25 m s.l.m. e sono separati da incisioni di corsi d’acqua con prevalente andamento WSW-ENE,il Sangro, l’Osento e fosso del Diavolo.Circa lo sviluppo del reticolo idrografico si rileva che i due corsi d’acqua principali, cioè il Fiume Osento e ilFiume Sangro, mostrano:

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- reticoli asimmetrici con affluenti di sinistra più lunghi di quelli di destra;- valli asimmetriche;- sviluppo dei depositi terrazzati più antichi solo in sinistra dei principali corsi d’acqua;- meandri abbandonati solo in sinistra.

Il fosso del Diavolo orientatoparallelamente alla linea dicosta nel tratto medio inferio-re svolge una intensa attivitàerosiva.I rilievi collinari si affaccia-no direttamente sulla costacon scarpate più o menostrapiombanti (falesie) chesono oggetto di estesi feno-meni franosi; essi si rinven-gono anche lungo le incisio-ni dei corsi d’acqua.Dal punto di vista dell’evolu-zione morfologica dei ver-santi, la franosità rappresen-ta indubbiamente l’aspettopiù importante perché imovimenti di versante sononumerosi e si possono distin-guere in attuali e più vecchi(paleofrane) e si riconoscononei ver santi , s ia lungo lafascia costiera che lungo icorsi d’acqua.In particolare lungo la stradastatale e lungo la via comuna-le Lago dei Dragoni si rileva-no nicchie e corone di franaattive che si sono sviluppatesu materiale già destabilizza-ti, paleofrane o frane stori-che e che si riattivano su pic-cole porzioni del versantestesso in concomitanza diforti precipitazioni.I dissesti che si riscontranonella fascia di territorio prospi-

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ciente il mare e che quindi interessano praticamente l’intera area della Riserva, sono dovuti ad un primo movi-mento che interessa le peliti basali; successivamente, secondo diversi autori, esso si svilupperebbe versomonte con rotture progressive provocando spostamenti anche nelle parti superiori dei versanti. Questo movimento causerebbe lo scivolamento verso il basso di una parte dei ripieni sommitali delle collinecon formazione di una struttura a graben, mentre la parete originaria si muoverebbe con una prevalentecomponente orizzontale formando una cresta ben pronunciata.Il movimento del detrito lungo il pendio, durante questo scivolamento, causa instabilità e l’estendersi in essodella rottura progressiva. Ulteriori movimenti di questa massa determinano l’arretramento della parete ed il

degrado dell’ammassodetritico con demolizio-ne della cresta preceden-temente formatasi e l’al-largamento del graben.Due grandi movimentifranosi connessi ad even-ti antichi si riconoscononell’area della galleriaDiavolo; il più esteso èubicato parallelamentealla costa e si sviluppaper una lunghezza dicirca 3750 m. Tale movi-mento ha causato lo sci-volamento di grossi bloc-chi di sabbie e ghiaie chein alcuni casi sono costi-tuiti da pacchi di stratisabbiosi e ghiaiosi. Il secondo movimentofranoso è situato sul ver-sante destro del FiumeSangro e si estende adW; in questo caso peròle pendici del versanteinteressato dalla franasono coperte da boscoche esercita indubbia-mente un’azione protet-tiva della coltre detriti-ca connessa al movi-mento franoso.Una delle frane storiche

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RILEVAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO DELLA RISERVAL’area della Riserva è stata oggetto di un rilevamento geologico e geomorfologico di dettaglio (vedi carta geo-logica e geomorfologica allegata) a partire dallo studio di foto aeree e carte topografiche in scala 1:25.000 e1:5000. L’area indagata è compresa tra la linea di costa/spiaggia cosiddetta Dragoni e il torrente Osento a suddelimitato verso ovest dal fiume Sangro.Questa porzione di territorio prospiciente la linea di costa si presenta piuttosto articolata; in particolare iltratto compreso tra la foce del fiume Sangro e il limite orientale della Riserva, nei pressi della foce del fossodel Diavolo è caratterizzato da un versante mediamente acclive nel tratto compreso tra la strada statale equella comunale lago Dragoni e da una rottura morfologica netta con pareti spesso sub verticali “falesia” traquest’ultima strada e il bordo del pianoro di Lentesco. Il bordo del pianoro orientato circa NE-SW si segue lungo tutto il fronte della Riserva spesso con anda-menti arcuati alle pendici del quale si rilevano coltri di materiale caotico costituito da sabbie e ghiaie lava-te o in matrice limo sabbiosa, talvolta in blocchi, completamente ruotati che costituiscono i vecchi accu-muli di frana.

LECCETA DI TORINO DI SANGROdocumentate risale ai primi 16 anni del ‘900 che costituiscono un periodo nefasto per la linea ferroviaria traFrancavilla e Vasto per i numerosi e gravi eventi franosi costieri che si verificarono a Torino di Sangro tra lefoci del Fiume Sangro e del Torrente Osento. Particolarmente rilevante la frana avvenuta il 27 Novembre 1916 che, in seguito a persistenti ed abbondanti piogge,ha dislocato un tratto di circa 2 km di sede ferroviaria.(Segrè, 1918) tra le progressive km 391+550 e 393+600.L’evento franoso avvenne di notte e causo tra l’altro il deragliamento rovesciamento di un treno che sirovescio lungo la scarpata ferroviaria.Il movimento coinvolse le argille del fondale marino che furono sollevate di circa 10 m sul livello delmare fino ad una distanza di circa 200 m dalla linea di costa. Successive ricerche hanno evidenziatocome la frana sia stata la rimobilitazione parziale di un precedente corpo di frana, che a sua volta haavuto luogo nell’ambito di un enorme corpo di deformazione gravitativi profonda, nella cui rotturaprincipale si è impostato l’alveo del Torrente Osento a sud.

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Questo tratto di pendio compre-so tra il bordo della piastra e lastrada statale è caratterizzato daondulazioni del terreno, rotturedi pendio, r igonfiamenti edacclività variabili (pendenzamedia del 35%), con tratti sub-pianeggianti delimitati a montee a valle da scarpate, tutte formequeste, che rappresentano unchiaro segno di instabilità diffu-sa dell’intera zona con riattiva-zione di frane, segnalate lungotutto il versante.A sud il residuo di piastra diLentesco è delimitato dal fossodel Diavolo che scorre conandamento E-W; il torrente inci-de profondamente il pianoro

(erosione attiva) mettendo in risalto particolari sezioni naturali con affioramenti di sabbie medio fini dicolore giallo e arancio caratterizzate da una stratificazione a tratti ondulata con bioturbazioni in basso, e

di conglomerati in grossi banconi interca-lati a vari livelli ghiaie e ciottoli nellaparte alta.Ancora più a sud l’altro residuo di piastra,Piano Sodero e Piano San Tommaso sonodelimitati da scarpate morfologiche impo-state lungo lineamenti di discontinuità tet-tonica e quindi dalla valle del torrenteOsento. Lungo la spiaggia, a ridosso della linea fer-roviaria sono evidenti i segni di dissestosui manufatti di protezione dei binari; inparticolare a circa 700 m dal casello ferro-viario verso sud, è stato rilevato un affiora-mento di argille grigio azzurre dove èstato possibile misurare anche la giacitura,230 (NW - SE), 40° SW.Con l’arretramento della linea ferroviariae il conseguente abbandono da parte delleFerrovie dello Stato del tracciato, con lamancata manutenzione delle opere di con-tenimento e di protezione, gli elementi di

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dissesto rilevati tenderanno ad aumentare; è evidente quindi che qualsiasi sia la destinazione futura diquesto tratto di costa è necessario attivare un programma di manutenzione e risistemazione di tutte quel-le opere di protezione che per anni hanno fatto fronte all’azione erosiva e di scalzamento al piede delversante.Sul lato occidentale lato Sangro si rilevano scarpate morfologiche che rappresentano vere e proprie nic-chie di frana che in alcuni casi tranciano gli stessi crinali, sabbioso conglomeratici; ben visibile il taglio ela nicchia lungo il sentiero che da quota 88.1 segue la cresta verso nord fino alla quota 74.8.Profonde scarpate con dislivelli importanti si segnalano nei pressi del cimitero inglese e lungo tutto ilbordo del pianoro verso nord.

IDROGEOLOGIALa situazione lito-stratigrafica dell’a-rea della Leccetadal punto di vistaidrogelogico ècaratterizzata dauna successionenella quale si rico-nosce un acquiferocomposto dalleghiaie e sabbie checomplessivamentehanno una permea-bilità medio-alta.Tale acquifero èsostenuto da unacquiclude, affio-rante solo in alcuni

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punti lungo la spiaggia (vedi sopra) ocomunque coperto da coltri e accumuli difrana rappresentato dalle peliti basali.Lo spessore del complesso sabbie-ghiaie, disolito non superiore a 80-90 m, e la configu-razione morfologica dell’area non consento-no l’accumulo di corpi idrici rilevanti, ma lasituazione è talora complessa perché nelsottosuolo i depositi pelitici e pelitico-sab-biosi contengono intercalazioni lenticolaridi sabbie, che favoriscono lo sviluppo di ani-sotropia idraulica.Nella zona, rilevata anche durante le fasi diindagine per la realizzazione della galleriadel “Diavolo” per l’arretramento del traccia-to ferroviario, sono state riscontrate tresituazioni idrogeologiche diverse.

Verso nord è stata rilevata una circolazione idrica superficiali all’interno dei materiali detritici in frana(imbocco nord della galleria), verso sud la soggiacenza della piezometria si attesta intorno ai 16 m con faldaleggermente in pressione.

I pozzi individuati nella fase di rilevamento soprattutto suipianori, Sodero, Lentisco e San Tommaso evidenzianocomunque la presenza di acqua all’interno dei depositighiaiosi, falde sospese sono individuali all’interno deimateriali detritici e caotici in frana e all’interno degli oriz-zonti sabbiosi che sono stati individuati a più livelli all’in-terno delle peliti, parte alta.Verso nord lungo la strada per c/da Lentisco, all’imboccodella grotta/galleria per il fosso del Diavolo, un pozzo rea-lizzato da poco individua una falda con livello piezometri-co intorno ai 7 m dal p.c.

AREE DI INTERESSE GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO La Riserva nata per le particolarità faunistiche e floristi-che, presenta anche siti di particolare interesse geologi-co nonché di particolare pregio naturalistico e paesaggi-stico e storico riferito alle opere di difesa realizzate emantenute dalle ferrovie dello Stato che sono delle veree proprie opere d’arte.Lungo il sentiero a partire dalle rovine della MasseriaTessitore proseguendo lungo le creste di quota 88,1, 74e 74,8 verso nord sono visibili sezioni naturali che evi-

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denziano il passaggio tra le forma-zione ghiaiosa e le sabbie sottostan-ti; sabbie che in alcuni tratti si presen-tano stratificate con laminazioni eondulazione parallelela e incrociatecon bioturbazioni e particolari colo-razioni che vanno dall’arancio algiallo.Buone esposizioni di sabbie con par-ticolare presenza di questi elementitipo flute casts si rilevano in prossi-mità della grotta che permette dientrare nella valle del Diavolo salen-do dalla stradina di c/da Lentisco. Gli stessi affioramenti di argille stra-tificate e basculate perché coinvolte

nella frana del Novembre del 1916, rappresentano elementi di particolare interesse non solo geologico,in quanto rari, (coperti da spessori anche considerevoli di coltri), ma anche storico, rappresentando ilresiduo del fondale marino che si sollevò di circa 10 m slm fino ad una distanza di circa 200 m dalla lineadi costa. Le due ultime foto mostrano, i muri di contenimento a protezione della ferrovia, realizzati con pietra cal-carea squadrata, più volte risistemate a mano, testimoniano anche l’attenzione e il rispetto di unaambiente che tutto sommato è stato anche salvaguardato utilizzando materiali di recupero e comunquepoco impattanti. Le opere di protezione ormai non più manutenute rischiano di essere risucchiate dal mare mettendo arischio le stesse aree protette nonché la parte a monte edificata.

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LE PECULIARITÀ FLORISTICHE DEL BOSCO DI TORINO DI SANGROIntroduzioneIl bosco di Torino di Sangro si caratterizza come l’unica selva costiera residuale, di una certa estensio-ne e consistenza, del litorale adriatico compreso tra il Biferno a sud e il Monte Conero a settentrione.L’ultima vestigia di quelle immensa selva che, secondo Edrisi geografo arabo alla corte normanna, siestendeva senza soluzione di continuità da Campomarino, in Molise, fino ad Ancona. Il bosco di Torino di Sangro ha costituito l’ultimo rifugio di molte specie nemorali nell’ambito dellafascia costiera medio-adriatica dove i boschi sono stati sistematicamente distrutti dall’uomo, fino alloro totale annientamento, per favorire le aree agricole.Si tratta di una selva il cui strato arboreo è dominato dal leccio (Quercus ilex L.), ornello (Fraxinusornus L.) e roverella (Quercus pubescens Willd.) che costituiscono una fitocenosi inquadrata nell’as-sociazione Orno-Quercetum ilicis (Tammaro, Poldini, 1988), mentre nei settori più freschi, con suolopiù profondo si insedia compatto il cerro (Quercus cerris L.). Colpisce la ricchezza di specie apparte-nenti al genere Quercus presenti in questo lembo di foresta costiera scampato alla scure: oltre al lec-cio, cerro e roverella va segnalata anche la presenza di un nucleo di farnia (Quercus robur L.) nellaporzione del bosco che si spinge sul fiume Sangro (Manzi, Pellegrini, 1994), inoltre la cerro-sughera(Quercus crenata Lam.), quest’ultima entità f loristica estremamente rara nella regione (Tammaro1983). Nel bosco hanno trovato rifugio anche specie forestali di ambienti più freschi come nel caso diLathyrus venetus (Mill.) Wohlf. oppure di Rhamnus catartica L., questo conferma l’importanza delleformazioni forestali per il mantenimento delle specie mesofile e, in generale, la loro influenza sul unmesoclima che tende ad essere più fresco ed umido.Di rilevante interesse è la scoperta, nella parte del bosco che scende sul fiume Sangro, di un nucleo divite selvatica (Vitis vinifera subsp. sylvestris (Gmelin) Hegi). Questa piccola popolazione è insediatanel lembo di bosco planiziale con farnia ai margini di una risorgiva perenne di acqua. La vite si com-porta quale specie lianosa ed utilizza come sostegno le piante di farnia e leccio della boscaglia.L’immagine di questi fusti lianosi, poderosi che si arrampicano sulle alte farnie, costituisce una raratestimonianza dell’antico habitat della vite selvatica rappresentato proprio dai boschi riparali e plani-ziali, oppure le leccete fresche di forra su substrato acido.Le radure che si aprono all’interno del bosco o ai suoi margini arricchiscono sensibilmente la flora delcomplesso forestale. Spesso sono proprio questi ambienti aperti in cui si insediano le fitocenosi di sostituzione del boscoad ospitare le specie più interessanti, o quantomeno più rare e localizzate. Va, comunque, evidenziato che gli incendi ripetuti favoriscono il tagliamani (Ampelodesmos maurita-nicus Dur. et Sch), una grossa graminacea cespitosa che tende a costituire formazioni monospecificheimpenetrabili, con ripercussioni negative sulla diversità della fitocenosi, in particolare sulle speciemaggiormente eliofile.

ASPETTI FLORISTICIASPETTI FLORISTICIAurelio Manzi

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LE SPECIE DI MAGGIOR INTERESSE PRESENTI NEL BOSCODi seguito vengono riportate le specie floristiche rare e di interesse fitogeografico rinvenute nell’ambi-to del presente studio o segnalate nell’area del bosco di Torino di Sangro da precedenti contributi flori-stici e vegetazionali.

Ajuga iva ((L.) Scherb. Specie erbacea steno-mediterranea. In Abruzzo raggiunge il limite settentrionale del suo areale distribu-tivo sul versante adriatico.Nella regione è segnalata per poche località perlopiù costiere. Nel bosco di Torino di Sangro è stata rinvenutain una formazione arbustiva a lentisco (Pistacia lentiscus) nella fascia marginale (Conti et al., 2002).

Allium chamaemoly L.Piccolo aglio selvatico mediterraneo con fioritura invernale. La specie si localizza in Abruzzo essenzial-mente in poche stazioni lungo il litorale (Conti, 1998). Nel Bosco di Torino di Sangro, questa liliacea èpresente nelle radure e lungo i sentieri con una popolazione che, al momento, può essere considerata lapiù consistente in ambito regionale.

Carex depauperata Curtis ex With Rara carice legata ai boschi termofili, in Abruzzo è segnalata solo per il Bosco di Torino di Sangro(Tammaro, 1987), stazione che segna il limite settentrionale della distribuzione di questa ciperacea sulversante adriatico italiano. La pianta è inclusa, con lo stato di “vulnerabile”, nella Lista Rossa delle piantein estinzione della regione Abruzzo (Conti et al., 1997).

Iris lorea Janka sinonimo Iris collina N. Terracc.Si tratta di un iris bello e alquanto raro, in Abruzzo segnalato solo nel territorio di Atessa (Vallaspra) eper il Bosco di Torino di Sangro ove si localizza nelle radure nel settore settentrionale della cenosi fore-stale (Conti, Manzi, 1996). Il fiume Sangro costituisce il limite nord dell’areale italiano di questa specieche presenta buone potenzialità quale pianta ornamentale. Iris lorea è pianta inserita con lo status di“rara” nella Lista Rossa delle piante in estinzione in Abruzzo (Conti et al., 1997). In considerazione dellasua rarità nel bosco, si ritiene opportuno reintrodurre nell’area protetta individui o semi da prelevarenell’Orto Botanico di Lama dei Peligni ove sono in coltura alcuni esemplari di Iris provenienti propriodal bosco di Torino di Sangro.

Quercus crenata Lam.Si tratta di una quercia di probabile origine ibridogena tra il cerro e la sughera (Quercus suberL.). Nellaregione, alcuni individui più o meno isolati di questa specie arborea sono stati segnalati, oltre che aTorino di Sangro anche in poche altre stazioni (Conti, 1998). Il toponimo “Sovere”, riscontrato nel terri-torio del comune di Torino di Sangro, lascia ipotizzare la presenza passata di questa quercia a cui accen-nano anche alcuni scrittori di storia e corografia frentana del passato.

Ophrys exaltata Ten. subsp. archipelagi (Golz et H.R. Reinard) Del PreteIn Abruzzo, questa rara orchidea è segnalata solo per il Bosco di Torino di Sangro, in particolare nelleradure che si aprono nel settore settentrionale del biotopo.

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In Italia si rinviene , oltre che in Abruzzo, solo in Puglia e Basilicata (Conti et al., 2005) e di certo costi-tuisce la specie floristica più rara presente nel bosco.

Vitis vinifera L. subsp. sylvestris (Gmelin) HegiSi tratta dell’unica stazione nota per l’Abruzzo della vite selvatica. Il piccolo nucleo di vite, progenitoredelle viti coltivate, si rinviene nella parte del bosco che scende sul Sangro a ridosso di una sorgenteperenne ove si localizza anche il nucleo di farnia. Attualmente, l’area non è inclusa nel perimetro dellaRiserva pur localizzandosi a ridosso. La popolazione si compone di diversi individui, anche di dimensio-ni rilevanti, con fiori unisessuali (carattere principale che distingue la vite selvatica da quella coltivata),anche se va rilevata la presenza di esemplari con fiori ermafroditi, con la parte maschile meno sviluppa-ta di quella femminile. Gli altri caratteri utili per distinguere la vite selvatica quali la forma dei semi e lecaratteristiche dei frutti concordano (Manzi, 2006). La presenza del progenitore della vite coltivata nelBosco costituisce un elemento di grande interesse sia di carattere floristico ed agronomico che storico-culturale.Tra le altre specie che si riscontrano nel bosco, oltre alla già citata farnia (Quercus robur), si segnalaanche la presenza di Festuca exaltata C. Presl sinonimo Festuca drymeia., una grossa graminace checaratterizza il sottobosco della selva. La specie è distribuita essenzialmente in Sicilia e Italia meridiona-le. In Abruzzo questa graminacea risulta presente perlopiù nei boschi lungo il fiume Trigno e quelli sulSangro dove si rinviene anche nelle leccete nel territorio di Roccascalegna e i boschi di caducifoglie diMonte Moresco nei pressi di Torricella Peligna. Nei boschi del Gran Sasso la specie risulta rara e localiz-zata solo in alcune aree del versante teramano.Va rilevata anche la presenza di Carex distachya Desf., una rara carice che vegeta nelle leccete ed altriboschi termofili (Conti, 1998), inoltre quella di Convolvulus althaeoides L., un elegante colvolvolo pre-sente a ridosso delle siepi e mantello del bosco, decisamente raro nell’ambito del territorio regionale(Conti, 1998).In una grossa pozza localizzata all’interno del bosco è stata riscontrata una popolazione di Alisma plan-tago-aquatica L. con caratteristiche morfologiche piuttosto anomali tali da suggerire un approfondi-mento sistematico di questa popolazione.

PRESENZE FLORISTICHE RILEVANTI NELLE AREE ADIACENTI AL BOSCO DI TORINO DI SANGROLa riserva regionale del Bosco di Torino di Sangro risulta confinante, se non fosse per la strada asfaltatae l’area urbanizzata, a due ambienti di grande interesse naturalistico e più specificamente floristico-vegetazionale. Il primo è costituito dalla foce del fiume Sangro, probabilmente la meglio conservata in Abruzzo. Ilfiume è delimitato da folte boscaglie riparali a Populus alba L. ed Alnus glutinosa (L.) Gaertn., mentrein prossimità del mare si rinvengono residui di formazioni vegetali degli ambienti salmastri con pianteormai divenute rare in ambito regionale e nazionale come nel caso di Linum maritimum L., Eranthusravennae (L.) P. Beauv., Salicornia patula Duval-Jouve, Vitex agnus-castus L.L’altro ecosistema interessante, prossimo al bosco, è costituito dal litorale di Torino di Sangro, ove tutto-ra si rinvengono specie vegetali costiere ormai divenute rare e localizzate in ambito regionale a seguitodell’alterazione subita dalle spiagge. Tra queste si segnalano Stachys maritima Gouan, Anthemis mari-tima L., Pancratium maritimum L., Filago pygmaea L.), Myrtus communis L. (Conti, 1998).

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROPROPOSTE DI GESTIONEAl fine di garantire la conservazione delle specie più rare e di maggior interesse biogeografico presentinella riserva, nonché di conservare l’integrità vegetazionale e la struttura del bosco si propone quantosegue.

a) Mantenere all’interno del bosco le radure attraverso l’eliminazione manuale degli alberi e relativeplantule. Tale operazione ha lo scopo di favorire le specie erbacee ed arbustive e così incrementare la biodiver-sità dell’ecosistema forestale. Questa attività costituisce un’operazione di primaria importanza nel setto-re nord del bosco ove si localizzano le entità floristiche di maggior pregio che vegetano proprio neipascoli aperti e negli arbusteti.

b) Acquisire terreni agricoli confinanti con il bosco allo scopo di permettere la costituzione di altre for-mazioni vegetali spontanee dinamicamente collegate alla foresta come l’orlo, il mantello e in generalegli arbusteti che precedono le formazioni forestali. Tale fascia costituirà anche una zona cuscinetto tra ilcuore del bosco e le aree agricole circostanti.

c) Tutelare e gestire in maniera oculata le aree ove crescono Iris lorea, Carex depauperata e Ophrysexaltata subsp. archipelagi che costituiscono le essenze vegetali più rare e maggiormente minacciate,per le quali il bosco di Torino di Sangro costituisce l’unica o la più consistente stazione in ambito regio-nale. Per quanto riguarda Iris lorea, in considerazione della contrazione della popolazione registrata, siconsiglia di effettuare alcune reintroduzioni con individui da prelevare nell’Orto botanico di lama deiPeligni ove sono in coltura Iris provenienti proprio dal Bosco.

d) Allargare i confini della Riserva al bosco planiziale sotto la strada, a ridosso del Sangro ove si localiz-za, oltre a Quercus robur, l’unica stazione abruzzese di vite selvatica. Questo nucleo di Vitis viniferasylvestris va tutelato in maniera ferrea in considerazione della sua rarità e del grande interesse agrono-mico e culturale che riveste. Vanno, inoltre raccolti alcuni semi allo scopo di coltivare diversi individui di vite selvatica presso orti egiardini botanici al fine di garantire anche una tutela ex situ.

e) Ridurre il rischio degli incendi e scongiurarne l’uso del fuoco nel mantenimento degli arbusteti,pascoli e radure nel bosco. Gli incendi, oltre al pericolo immane che rappresentano per l’intero ecosistema forestale, favorisconoalcune specie come i cisti (Cistus sp. pl.) e in particolare il tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus)che costituisce dense formazioni monospecifiche a discapito della fito-diversità. Tali formazioni persi-stono per lunghi periodi, essendo fitocenosi di tipo “durature” ed impediscono l’inserimento di altrecomunità vegetali.

f) Evitare la discarica di rifiuti urbani ed agricoli nelle aree marginali del bosco. Tale operazione è fina-lizzata, oltre che ad impedire che in questo importante biotopo si accumulino rifiuti umani, anche adevitare l’immissione nel bosco in maniera accidentale di semi o propaguli di piante esotiche o estranee.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROg) Eradicazione delle essenze alloctone come nel caso dell’ailanto e della robinia. Valutare la possibilitàdi eliminare anche i nuclei di conifere, frutto di passate operazione di rimboschimento, presenti all’in-terno del biotopo.

h) Concentrare la fruizione turistica nelle aree attrezzate e lungo sentieri prestabiliti. Impedire categori-camente l’accensione dei fuochi anche nelle aree attrezzate.

i) Allargare i limiti della riserva, possibilmente, anche alla foce del fiume Sangro, o quantomeno alla suasponda destra, includendo così il nucleo di farnia localizzato sul fiume unitamente alla popolazione divite selvatica.

BIBLIOGRAFIAConti F., 1998. An annoted checklist of the flora of the Abruzzo. Bocconea, 10: 1-273.Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C., 2005. An annotated checklist of the italian vascular flora. PalombiEditore, Roma.Conti F., Manzi A., 1996. Note floristiche per Abruzzo, Molise e Puglia. Archivio Geobotanico, 2: 83-90.Conti F., Manzi A., Pedrotti F., 1997. Liste rosse regionali delle piante d’Italia. Centro Interdipartimentale Audiovisivi eStampa, Università di Camerino.Conti F., Manzi A., Tinti D., 2002. Aggiunte alla flora d’Abruzzo, I° contributo. Informatore Botanico Italiano.Manzi A., 2006. Origine e storia delle piante coltivate in Abruzzo. Editrice Carabba, Lanciano.Manzi A., Pellegrini Mr., 1994. Le cenosi forestali con farnia (Quercus robur L.) della provincia di Chieti: aspeti stori-ci, floristici, vegetazionali e conservazione. Studi e Ricerche Aree Protette WWF It., 2: 7-22.Tammaro F., 1983. Segnalazioni Flogistiche Italiane: 247-254. Informatore Botanico Italiano, 15: 86-89.Tammaro F., 1987. La distribuzione del genere Carex L. (Cyperaceae) in Abruzzo. Informatore Botanico Italiano, 19:287-304.Tammaro F., Poldini L., 1988. La vegetazione della lecceta litoranea di torino di sangro (Chieti) nel medio versanteadriatico italiano. Braun Blanquetia, 2: 127-132.

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ASPETTI VEGETAZIONALIASPETTI VEGETAZIONALI

NOTE SUL PAESAGGIO VEGETALE DELLA RISERVA DI TORINO DI SANGROPremessaCrocevia obbligato lungo il faticoso cammino della transumanza, il promontorio senza nome alla testata deipendii di ”Terre Coste”, si ergeva come ultima barriera al cammino millenario dei greggi, lungo quel tratturoche seguendo e guadando il corso del Sangro, raggiungeva i pascoli invernali della Capitanata e le zoneumide della costa sipontina. Ed è proprio quest’aspra discontinuità morfologica nel morbido paesaggio collinare adriatico, quest’improv-visa cresta rupestre intagliata sulle propaggini costiere del massiccio abruzzese dall’antico letto del fiume, acui va riferita la causa remota della configurazione del paesaggio vegetale attuale della costa alla foce delSangro. Un processo che vede lembi residui di foresta sopravvivere solo nelle aree più impervie, in uno sce-nario ancora oggi intatto, quasi ”rinascimentale” di orti, oliveti, vigneti e seminativi. Uno scenario plasmato dauna lunghissima storia di colonizzazione che ha sostituito, con gli spazi aperti del sistema agro-pastorale l’ori-ginaria coltre di foreste.Superati gli ultimi guadi del tratto costiero del fiume, gli armenti, convogliati nello stretto passaggio di Colledel Termine, allo spartiacque che immette nella valle dell’Osento, evitavano i ripidi pendii del promontorio. Erisparmiarono così, nel paesaggio delle colline adriatiche deforestate dal loro antichissimo andirivieni, un’iso-la boscosa, la cosiddetta ”Lecceta di Torino di Sangro”. Ma già gli agricoltori neolitici dovevano aver dissodato le plaghe più accessibili del territorio circostante,soprattutto in corrispondenza del sistema dei pianori sommitali delle colline retrocostiere. Oronimicome ”Torino”, idronimi come ”Osento” rivelano tracce delle parlate dei più antichi fra gli agricoltoripeninsulari.Ed è per questo che la foresta di Torino di Sangro, nonostante i rimaneggiamenti e le vicissitudini riferibi-li ad epoca recente o ricostruibili dai documenti d’archivio per gli ultimi secoli, rimane pur sempredocumento di un paesaggio vegetale molto antico, lembo residuo di quella copertura vegetale forestaleche in epoca preculturale doveva rivestire senza soluzione di continuità i territori del pedemontemedioadriatico.

LO SCENARIO AMBIENTALELa Riserva si estende su una superficie di 164,69 ettari distribuiti alle falde di un promontorio arenaceo di116 metri di quota derivato dalla profonda e ampia incisione prodotta sui rilievi collinari della costa adriaticadall’asta fluviale del fiume Sangro in destra idrografica nel tratto prossimo alla foce. Tale promontorio costituisce l´apice nordoccidentale costiero di un pianoro sommitale ad andamento luna-to (contrade Colle del Termine, Sentinella, Piano di Sodera, Lentesco) che digrada in direzione SE verso lavalle dell’Osento, del cui bacino rappresenta il rilievo della sinistra idrografica.Nel suo insieme la vegetazione forestale si accantona sulle aree ad acclività più accentuata, che costituisconoil pedemonte di tale penepiano subcostiero delimitato dal tratto perpendicolare alla costa del profondo e

Francesco Spada

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ampio solco dell’alveo del Sangro, mentre i pianori sono stati da tempo deforestati e sottoposti alle alternevicende di un uso legato al seminativo, alle colture arboree, al pascolo arborato.L’area boscata per la quale la Legge regionale del 11 settembre 1979 LR.n° 45 “Provvedimenti per la protezio-ne della Flora in Abruzzo” prevede un regime di tutela, si estende al pedemonte del promontorio stesso e siarticola in una porzione subparallela al corso dell’alveo (a monte della contrada Salette) e un porzione sub-parallela alla linea di costa, ad andamento ortogonale alla precedente (contrada Lago Dragoni). Il pianoro sommitale è invece caratterizzato dagli spazi aperti di un paesaggio agrario dominato da seminati-vi e colture arboree (oliveti e vigneti, tracce di mandorleti , alberate di fico e fruttifere).Questo nucleo di foresta rappresenta oggi uno degli ultimi frammenti residuali delle antiche foreste dei con-trafforti appenninici della costa adriatica, oggi avara dei resti della copertura forestale delle origini, data l’an-tichità della sua colonizzazione agraria e per il prolungato logorio indotto dalla civiltà pastorale.Il substrato è costituito da una bancata di arenarie plioceniche che digrada debolmente verso la costa finoalle quote intorno a 100 m s.l.m., al di sotto delle quali l’acclività si accentua e la morfologia risente delmodellamento legato alle oscillazioni della linea di riva durante il corso del Quaternario.Il settore boscoso della Riserva parallelo al corso del Sangro (parte delle antiche Terre Coste) si estende suripide pendici che dall’alveo (contrada Salette) giungono alla base di un allineamento di creste rupestriverticali derivate da escavazione fluviale sulla bancata di arenarie. Anche in questo caso la morfologia del

Vista verso Sudlungo la costa

adriatica: il pae-saggio vegetale

delle origini

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pedemonte è debolmente scalinata e risente qui dell’accumulo localizzato dei resti di depositi continenta-li di terrazzo fluviale costituiti da alternanze di ghiaie e sabbie che a tratti, soprattutto in prossimità delpromontorio terminale di Masseria Tessitore, determinano discontinuità topografiche di un certo rilievo,con formazione scoscendimenti rupestri e pareti a picco, il cui fronte di retrazione è verosimilmenteancora attivo.Il macroclima presenta caratteristiche termiche di tipo mesomediterraneo con periodo di siccità estiva nonsuperiore a 3 mesi. Tale assetto del clima rappresenta una condizione ambientale che non pone a livellogenerale, alcun limite alla affermazione in loco di specie legnose sia sempreverdi che decidue . Ciò consentepertanto, nel territorio della riserva, la coesistenza stazionale ad un’ampia gamma di specie arboree ad esi-genze anche leggermente contrastanti e che per tal motivo sono di norma distribuite a quote diverse lungo ilrilievo appenninico più interno.

CARATTERISTICHE DELLA VEGETAZIONELa tipologia della vegetazionedella Riserva nel suo insieme, corrisponde ad un gradiente di variazione che vada una coltre forestale di tipo sia sempreverde mediterraneo, sia caducifoglio a carattere eurosiberiano,boreotemperato (submediterraneo), di affinità floristica appennino-balcanica, a lembi ridottissimi di suffruti-ceti ed erbai aridoclini mediterranei di rupe a carattere extrazonale o azonale. Sono le condizioni ambientalistazionali legate alla persistenza più o meno lunga di una riserva idrica nel substrato che, interferendo confenomeni successionali legati al grado di maturità e disturbo del consorzio determinano lo smistamento el’affermazione di queste diverse comunità lungo il gradiente topografico locale. Vengono qui di seguito elencate quelle forme di vegetazione del territorio della Riserva che siano decisa-mente distinguibili in base a diversa fisionomia e composizione floristica. La trattazione vuole enfatizzare gliaspetti più chiaramente differenziabili l’uno rispetto all’altro, ma va precisato che i confini fra le varie comu-nità sono alquanto sfumati e la maggior parte del territorio, per quanto riguarda la vegetazione forestale, pre-senta caratteristiche vegetazionali del tutto “miste”.

Vegetazione forestaleContrariamente alla denominazione corrente di “Lecceta di Torino di Sangro”, il lembo di foresta dellaRiserva è solo in parte costituito da una vegetazione a carattere sempreverde, dominata cioè da leccio(Quercus ilex). E’ al contrario la componente caducifoglia della flora legnosa (roverella, Q.pubescens senslulato) a prevalere su gran parte dell’area. Sono riconscibli comunque nuclei distinti corrispondenti alla artico-lazione floristica qui di seguito descritta.

Foresta sempreverdeE’ rappresentata nella sua forma più evoluta da un consorzio forestale a carattere sempreverde dominato daleccio (Quercus ilex), a cui di norma si affiancano, nel sottobosco, altre specie legnose sempreverdi didimensioni minori quali lentisco (Pistacia lentiscus), mirto (Myrtus communis), Alaterno (Rhamnus alater-nus) fillirea (o lillatro: Phillyrea latifolia). Non infrequenti come codominanti o dominati nella volta foresta-le sono ornello (Fraxinus ornus) e roverella (Quercus pubescens s.l.), specie decidue la cui eventualeabbondanza può dar vita a consorzi misti di transizione con il querceto caducifoglio a cerro (Q. cerris) eroverella, di norma contiguo alla lecceta nell’area della Riserva, soprattutto nei pressi del talus sotto la cengiadella rupe sommitale.

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Tale lecceta rappresenta un aspetto locale della fascia zonale di una foresta mediterranea sempreverde diffu-sa alle basse quote in tutti i distretti costieri dell’Italia peninsulare a regime climatico decisamente mediterra-neo. Questa condizione climatica non impone un vero e proprio arresto vegetativo durante il periodo inver-nale, data la mitezza delle condizioni termiche, consentendo così l’affermazione di specie a fogliame sempre-verde di antica origine subtropicale quai il Leccio, l’alloro e una liana spinosa (Smilax aspera), la stracciabra-che). Un periodo di siccità estiva relativamente pronunciato, trova di nuovo nella struttura della foglia sem-preverde un ulteriore vantaggio adattativo, cosicché lavegetazione sempreverde ha saputo sopravvivere alletrasformazioni climatiche del Quaternario a queste latitudini fino ai nostri giorni.Nella vegetazione sempreverde della Riserva è stato riconosciuto (Tammaro et al.,1988) l’assetto composi-zionale noto per le leccete a carattere più interno, subappeninico dei distretti centrali della penisola italianae dei distretti adriatici della penisola balcanica (cfr. l’associazione Orno-Quercetum ilicis della sintassonomiafitosociologica), nei quali è costante una componente di caducifoglie a carattere sudeuropeo e submediterra-neo (ornello, F.ornus; roverella, Q. pubescens). Specie arboree caducifoglie, in base alle precedenti considera-zioni presentano aspetti adattativi ben diversi da quelli delle sempreverdi: Ma la loro capacità di tolleraremeglio i freddi invernali consente un vantaggio competitivo nel caso di oscillazioni climatiche di portata edurata limitata, cosicché la coesistenza stazionale di queste due aliquote di specie così diverse nel lemboresiduo di foresta adriatica di Torino di Sangro è comunque assicurata. Anche l’erbaio è comunque relativamente ricco di specie che sono note per partecipare con maggior fre-quenza alla composizione di foreste di tipo caducifoglio piuttosto che sempreverde (Brachypodium rupe-stre, Carex flacca, Buglossoides purpureo-coerulea). Inoltre, fra le specie erbacee del sottobosco, una certaaliquota rispecchia piuttosto il fatto che la lecceta, nel corso del tempo, quasi ovunque sia stata soggetta adintervalli più o meno regolari, ad un accentuato disturbo, per asporto di biomassa tramite ceduazione, pasco-lo in foresta e occasionali incendi, questi ultimi verosimilmente legati alle esigenze di mantenimento delpascolo stesso. Queste specie rivelano pertanto condizioni pregresse di apertura ciclica della volta forestale,anche se sono ormai generalizzate nel sottobosco. In particolar modo le seguenti indicano un’ingressione daambienti esterni, a carattere rupestre, che sono legate prevalentemente all’elemento mediterraneo: Psoraleabituminosa e lo stesso Ampelodesmos mauritanicus, probabilmente sterile nel sottobosco ombroso, tracciadi un reiterato passaggio del fuoco in foresta. Per tali specie è prevedibile un destino di lenta scomparsa dalsottobosco stesso in un prossimo futuro (anche se è nota la tenacia a persistere da parte di Ampelodesmosche si perpetua per via vegetativa), se prevarrà un regime di tutela atto a favorire una progressiva maturazio-ne del consorzio, grazie alla sospensione dei tagli. La conseguente maturazione del suolo forestale e le dimi-nuite condizioni di luminosità dovute allo sviluppo degli individui arborei, tenderanno a escludere competiti-vamente molte specie dell’erbaio che non abbiano origine da sottobosco di foresta, ma che bensì apparten-gono piuttosto alla flora dell’ orlo naturale esterno di una foresta o sono tipiche di radura.Meno chiaro è il significato di una graminacea relativamente inaspettata ma nondimeno costante nella com-posizione locale della foresta di Torino di Sangro. Si tratta di Festuca drymeja, specie nota per i siti relativa-mente umidi del sottobosco di foreste decidue anche a carattere decisamente mesofilo e temperato (rovere-ti, faggete). Nel bosco di Torino la specie è frequente al punto da aver spinto alcuni Autori (Tammaro et al.,1988) nel definire qui una consorzio di lecceta del tutto particolare per l’Appennino (cfr. la subassociazioneOrno-Quercetum ilicis festucetosum drymejae). La specie sembra piuttosto qui a Torino comportarsi comeinvasiva, di provenienza da un querceto misto caducifoglio a roverella e cerro circostante, dove è altrettanto,se non ancor più, diffusa, grazie alle discontinuità del substrato scalinato e alle venute a giorno di strati litolo-gici a impermeabilità più accentuata, soprattutto nel settore continentale della Riserva. Sembra pertanto che

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Festuca, genere peraltro estraneo a condizioni nemorali di foresta chiusa, matura, possa in questa sua colloca-zione locale rivelare una interessante capitolo della storia di una comunità forestale appenninica. In quantospecie di ambienti aperti essa appartiene a ecosistemi di prateria che videro la loro massima diffusione inquelle regioni durante i periodi più aridi dell’ ultima glaciazione. Essa potrebbe essere stata inglobata inseguito alla rapida riaffermazione delle foreste nella regione circostante nel postglaciale, dopo millenni diassenza del bosco da questi territori. La sua relativa mesicità ne avrebbe favorito la sopravvivenza nell’am-biente protetto del sottobosco salvandola dalla esclusione competitiva da parte delle specie dei prati “moder-ni”, più adatte a condizioni di ambiente decisamente più caldo.Non estraneo alla sua persistenza nella foresta locale, potrebbe anche essere il disturbo indotto dal pastorali-smo, che ha mantenuto aperta o ha diradato, col passaggio degli armenti transumanti, la struttura di granparte dei boschi dei territori di quel settore dell’Appennino sin dalla più lontana antichità, sottraendoFestuca anche al rischio di “soffocamento” da parte di una copertura forestale completamente chiusa.Fisionomia differente presentano alcuni lembi di lecceta matura, in quanto poco disturbata dai tagli del passa-to, accantonati nel fondovalle percorso dalla strada che confluisce nella Statale Adriatica. Qui la volta foresta-le, in corrispondenza di impluvi, è completamente dominata da leccio che incombe su uno strato subordina-to “in fieri” ad alloro, viburno (Viburnum tinus), alaterno (Rhamnus alaternus), alloro (Laurus nobilis) eoccasionalmente mirto (Myrtus communis). Questa foresta sempreverde “pura” presenta una netta impronta

Vista dal ciglio delpromontorio. Inprimo piano garigaad Ampelodesmosmauritanicus eCistus incanus.

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mesofitica a carattere laurofillo che richiama piuttosto la fisionomia di ecosistemi forestali di latifoglie sem-preverdi analoghi di ambiente subtropicale (bioma della foresta subtropicale sempreverde a laurofille). Ciò èaccentuato dalla presenza di vistoise festonature di Smilax aspera (stracciabrache) in corrispondenza didiscontinuità nella volta forestale, mentre il sottobosco è completamente dominato da Hedera helix (edera) eda specie erbacee nemorali a carattere sempreverde (Ruscus aculeatus, pungitopo; Rubia peregrina, robbia;Tamus communis, tamaro). Tali popolamenti, per composizione e carattere del sito sembrano apparentemen-te non correlabili alle condizioni di accentuata termicità che si considerano di norma responsabili dello smi-stamento fra foresta sempreverde mediterranea e foresta decidua submediterranea. Sembrerebbe qui che con-dizioni di vittoria competitiva dell’elemento sempreverde rispetto a quello caducifoglio, a parità di condizioniclimatiche permissive sia per l’uno che per l’altro, siano determinate piuttosto da scarsa luminosità, cosa cheequivale a condizioni di aridità edafica e di denutrizione. Tale particolare condizione perpetua in un certomodo qui a Torino una sorta di modello ancestrale di foresta sempreverde peninsulare a carattere conservati-vo “preglaciale” conferendo un valore documentario di prim’ordine a questo lembo di foresta adriatica.Analoga composizione ma ad impronta di tipo decisamente sclerofillo “moderno” presenta la vegetazioneforestale imediatamente a monte della Statale adriatica e dei pendii più prossimi all costa fino alla quotaapprossimativa di 50 m sl m. Qui la vegetazione sempreverde”pura” a mirto, lentisco ed Erica arborea(erica) ,si colloca nella classica sequenza altitudinale alla base del rilievo, dove precede in zonazione altitudi-nale rispettivamente la lecceta mista con ornello e roverella e la foresta decidua pura a roverella della partesuperiore delle pendici.Forme di vegetazione legnosa sempreverde caratterizzata dalla dominanza di macchia a lentisco, ginestra(Spartium junceum) e gariga a cisti (Cistus salvifolius e C. incanus) su erbaio più o meno continuo adAmpelodesmos, sono presenti soprattutto in prossimità della vetta del promontorio Masseria Tessitore esoprattutto sul suo affilato contrafforte costiero. Pur trattandosi di un consorzio a carattere degradato da pascolo e incendio, che ha sostituito una precedentestruttura forestale, la localizzazione colà di una flora tollerante le condizioni locali di accentuata aridità edaficasuggerisce che alcuni lembi di gariga e macchia nelle giaciture sommitali della cresta del contrafforte, nonpossano che rappresentare popolamenti a carattere “primario”, qui accantonati in quanto una loro evoluzionein foresta non sia mai stata possibile data l’acclività del sito. E’ verosimile che in un passato anteriore alla mas-siccia deforestazione dovuta alla messa a coltura e al pastoralismo, questa macchia primaria sia stata più diffu-sa in corrispondenza di tutte le discontinuità topografiche e i cigli dei terrazzi marini e le cenge dei terrazzifluviali e da qui essersi poi diffusa nelle aree già degradate dall’impatto umano delle epoche più antiche.

Foresta caducifoglia Nelle parcelle di bosco deciduo della lecceta di Torino di Sangro, la volta forestale è dominata da roverellaQuercus pubescens sl. La maggioranza degli esemplari sembrano corrispondere al fenotipo attribuito daalcuni studiosi all’entità Q.virgiliana, facilmente distinguibile soprattutto sugli esemplari di grandi dimensio-ni disseminati come alberi camporili nel sistema agricolo. Frequente nei siti di impluvio o in corrispondenzadi venute a giorno di vene d’acqua è il cerro (Q. cerris), la specie che probabilmente in condizioni di minordisturbo doveva dominare la volta forestale su superfici più vaste in passato. La flora accompagnatrice diquesti popolamenti è sostanzialmente la stessa osservata nell’ambito delle porzioni di bosco dominato dasempreverdi Tendono comunque ad esser qui più frequenti popolazioni di ornello, di Carpinus orientalis(carpinella), Crategus monogyna (biancospino), Euonymus europaeus (evonimo), Paliurus australis (mar-ruca), e occasionalmente Cercis siliquastrum (albero di giuda). Di rilievo sono le popolazioni di una legumi-

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nosa subarborea, Colutea arborescens, ricordo di epoche climatiche più aride rispetto al periodo attuale ecaratterizzate da una vegetazione forestale molto più ridotta, che tende a collocarsi in prossimità del cigliodel pianoro sommitale del promontorio. Si tratta di una flora legnosa a carattere marcatamente orientale, cheevoca affinità con la vegetazione forestale delle regioni affacciate sulla sponda opposta dell’Adriatico

Vegetazione delle cenge rupestriTracce di suffruticeti ed erbai aridoclini costituiti da specie di gariga o di steppa mediterranea, si accantona-no in prossimità del sistema di cenge rupestri che delimita il sistema di terrazzi della destra idrografica dellaValle del Sangro e che costituisce al contempo il ciglio nordoccidentale di un pianoro sommitale sulla sini-stra idrografica dell’Osento.Questi consorzi sono dominati da Labiate suffruticose di piccola e media taglia quali Micromeria graeca(issopo meridionale), Teucrium polium (canutola), Teucrium chamaedrys, Teucrium flavum e dai cespi diuna graminacea di grandi dimensioni, Ampelodesmos mauritanicus (stramma, tagliamani), ai quali si associa-no Composite suffruticose (Helichrysum italicum) o Cistacee (Cistus salvifolius, C. incanus).La loro estensione è estremamente ridotta e frammentata nelle maglie della copertura forestale dominante;sono spesso a carattere puntiforme o si riducono a popolazioni di singole specie allineate in corrispondenzadel ciglio di creste, su scoscendimenti e affioramenti rupestri, ovunque i suoli siano per una qualche ragioneestremamente superficiali e le condizioni di nutrizionalità ed aridità edafica siano quanto più sfavorevoli.

Shibljak con vegeta-zione a cespugli spi-nosi caducifogli.

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Questa vegetazione con aspetto di “gariga”mediterranea, si colloca in posizione marginale sia ai lembi di fore-sta dominata da sempreverdi mediterranee, che a lembi dominati da caducifoglie submediterranee. Questo inquanto i fenomeni di degradazione della foresta in loco convergono nel produrre un cespuglieto sostitutivoa suffrutici ed alte erbe di tipo mediterraneo, in quanto le condizioni di aridità locale e di degrado della col-tre di suolo superficiale favoriscono una flora con caratteristiche adattative di quel tipo. La presenza di questa flora in loco costituisce uno dei capitoli più interessanti della genesi della vegetazionedella costa adriatica. Se pur legata a una forma di degradazione del manto forestale nei siti a suoli meno favo-revoli allo sviluppo di una di una biomassa legnosa, il messaggio che tale flora invia è infatti legato al signifi-cato conservativo residuale e relittuale di una copertura vegetale di ambiente arido di epoche climatiche piùantiche. Come espressione di una vegetazione subdesertica e non come espressione di consorzi a caratterelitoraneo (anche se la densità di tali popolamenti o segmenti di essi tende ad aumentare procedendo verso lalinea di costa) essa è reminiscenza di quel paesaggio vegetale di tipo pleniglaciale o di fasi aride delQuaternario superiore, che popolava i territori oggi sommersi al largo della costa adriatica. I complessi rapporti fra foresta sempreverde e foresta decidua, che vedono nel territorio della riserva unintricato modello di addensamento locale di popolazioni di leccio rispetto a quelle di caducifoglie (rove-rella e cerro), mostrano una dipendenza dalle diverse condizioni nutrizionali del substrato derivate dallavariazione di permeabilità degli affioramenti litologici. A grandi linee può esser riconosciuta una maggiorecapacità competitiva al leccio in corrispondenza di affioramenti di strati a granulometria grossolana(ghiaie e sabbie) tale da accelerare il processo di infiltrazione e drenaggio delle acque meteoriche. La suapresenza in ambienti di impluvio alle quote più basse può al contrario esser ricondotta semplicemente auna sua dominanza zonale in siti “da sempre” dominio di una vegetazione a carattere più o meno laurofil-

Arundo pliniana su ciglio.

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lo. La presenza di strie ancor meno fertili assicura la presenza di Festuca drymeja nella composizione diquesta foresta, al punto tale da aver dato vita alla istituzione di una particolare subassociazione nella sinsi-stematica fitosociologica. Festuca connota residui di erbai steppici inglobati in ecosistema di foresta nelcorso dell’Olocene.Una volta forestale a dominanza di leccio (Quercus ilex) si concentra dunque in alcune parcelle nella partesuperiore della pendice rivolta verso la valle del Sangro e nella parte inferiore della pendice rivolta versol’Adriatico. Il denominatore comune e chiave di interpretazione di questa distribuzione apparentemente con-trastante, è l’acclività, a cui la presenza di sempreverdi sembra essere preferenzialmente legata. In questocaso, infatti, i settori più acclivi nelle due pendici che, a grandi linee, sono definibili come rispettivamenteconcava (settore affacciato verso la Valle del Sangro) e convessa (settore costiero), sono localizzati rispettiva-mente verso la sommità del rilievo a occidente e alla base dello stesso lungo la costa. Verosimilmente il dina-mismo in molti luoghi mostra dominanza di roverella o leccio a carattere puramente stocastico, in quanto lasegregazione dell’ una o altra specie in siti opportuni, vista la permissività e la sostanziale mancanza di varia-zioni locali del clima nell’intera area, richiederebbe tempi lunghi. Su questa base è presumibile che la domi-naza locale dell’ una o dell’ altra specie segua un modello di dominanza alternata nel tempo, per cui si mani-festi con l’esito osservabile della coesistenza stazionale. Anche la presenza di Ampleodesmos è di enorme valenza esplicativa sulla genesi del paesaggio vegetaleattuale e sulla inconsueta composizione floristica di questa foresta. La specie può essersi diffusa ed affermatacon tale densità solo in conseguenza di lunghi periodi di “apertura” della volta forestale stesa. Va suppostopertanto un paesaggio forestale molto frammentato in passato da intenso pascolo in foresta e da tentativi dimessa a coltura di terrazzi sufficientemente ampi. Oggi verosimilmente gran parte degli individui sono sterilima si nota la loro capacità di persistere per lunghi periodo sotto volta forestale chiusa come residui di anti-chi varchi grazie alla capacità di rinnovazione vegetativa dei cespi.Rimane l’incognita del “serbatoio iniziale” di questa specie, dal quale essa si sia diffusa nel paesaggio vegetalegenerato dal disturbo umano. Esso va identificato nella stretta cimosa di siti rupestri alla sommità del pendio,nei quali si è accantonata nel tempo tutta la flora a carattere erbaceo, suffruticoso e arbustivo che dovevaaver dominato nel paesaggio circostante durante le fasi climatiche aride recenti e meno recenti legate ai cicliglaciali del Quaternario superiore.Tale complessità in seno alla vegetazione forestale, nonostante l’esigua estensione del lembo di foresta diTorino di Sangro, ricca di diversificazioni al suo stesso interno è indizio del grande valore documentario delcomprensorio come area nodale di conservazione per testimonianze uniche di vicende passate della genesidella vegetazione appenninica.La serie storica di documenti disponibili negli archivi comunali mostra inequivocabilmente come parte del-l’attuale territorio boscato sia andato soggetto a fasi di intenso disturbo in passato, che , pur nel mantenimen-to del nucleo stesso di foresta, abbia indotto fasi di intensa turnazione di pascolo fino a tutto il XIX secolo.Oltre ad utilizzazioni massicce per tutto il XIX secolo Parte dell’attuale territorio boscato ha conosciuto inol-tre diradamenti per la messa a coltura. Al ciglio del promontorio, infatti, la vegetazione risente della trasformazione in steppa colturale delle areepianeggianti a oriente della linea di cresta e alla mancata deforestazione a valle di questa data l’acclivitá. Mala flora di questo interessantissimo ecotono naturale rivela tracce dell’antico andamento della vegetazioneanteriore alla deforestazione. Si riconoscono qui tracce ad andamento sublineare di un fronte di accantona-mento sommitale di sempreverdi accanto a specie di bordo e mantello della foresta decidua. Fra queste,vanno annoverate specie delle boscaglie submediterranee di affinitá balcanica e sudeuropeo-orientale che

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presentano verosimilmente qui una delle sorgenti naturali della loro subrecente diffusione nelle forestedisturbate dal paesaggio colonizzato e frammentato (carpinella, marruca) del comprensorio e dei territoricircostanti. La foresta di Torino di Sangro presenta in realtà l’assetto floristico e strutturale di una foresta in ricostituzio-ne. Rispetto a un assetto francamente “silvano” della copertura vegetale, i due secoli passati hanno rappresen-tato una parentesi che stava per concludersi nella perdita completa di queste caratteristiche. Gran parte del-l’area era in via di trasformazione in cespuglieto, in quel generale decadimento di interesse nel mantenerelembi residui di una vegetazione forestale ereditati dall’economia di epoca preindustriale e non più in armo-nia con le esigenze di produzione di biomassa dei decenni successivi al dopoguerra. E’ solo con il cambio dimentalità negli anni a cavallo fra i 60’ e 70’, quando si afferma la necessità di tutela dei resti di vegetazionenaturale in funzione di salvaguardia di documenti del patrimonio naturale e di serbatoi di specie e comunitàvegetali minacciate, che si innesca un tipo di interesse conservazionistico che culmina nell’adeguamento allenormative emanate dalle disposizioni comunitarie in difesa della biodiversità.

Il paesaggio agrarioNon meno valida, dal punto di vista documentario, è la copertura vegetale che caratterizza il paesaggio agra-rio locale. La vasta estensione dei seminativi, l’alternanza di orti, oliveti, vigneti nelle aree esterne al bosco haprodotto uno scenario rurale oggi ancora intatto, quasi ”rinascimentale”, plasmato da una lunghissima storiadi colonizzazione umana, che ha sostituito nel tempo, con gli spazi aperti del sistema agro-pastorale, l’origina-ria coltre di foreste.La rete di campiture ereditata dall’antico sistema dei “campi chiusi”, caratterizzata dalla presenza di siepi didelimitazione fra aree pascolate ed aree sottoposte a coltura sopravvive. nelle regolari campiture della suddivisione poderale dell’altopiano. Mentre gli spazi aperti più ampi sembra-no verosimilmente fenomeno subrecente, legato a trasformazioni d’uso a favore della cerealicoltura, il siste-ma della policoltura mediterranea tiene ancor oggi testa in alcune aree dell’altopiano nei numerosi esempi dicoltura maritata alla vite, del mandorlo, del fico e di altre fruttifere locali. Il suo valore paesistico e percettivoè fuor di discussione e come tale va accuratamente salvaguardato in tutta la fascia di territorio immediata-mente confinante con la Riserva stessa. La forma di tutela più idonea consiste nell’assicurare, in un prossimofuturo, il mantenimento di una continuità dei modi d’uso agricolo tradizionale, di incentivare, nel contestoprevalente dei seminativi, il mantenimento delle alberate camporili, dei lembi di vigneto a pergola o maritatoa sostegno vivo, delle colture arboree (oliveto) e soprattutto il provvedere al recupero della coltura del man-dorlo, del fico e di altre fruttifere locali, oltre al restauro (manutenzione!) dei manufatti secondo i canonidella la tipologia edilizia rurale locale.Spettacolare è il passaggio brusco dalla vegetazione forestale dei pendii rivolti verso la valle del Sangro e ilpaesaggio agrario deforestato dei pianori sommitali. Ciò ha favorito, lo sviluppo e il mantenimento ad oggi diuna cimosa marginale di “foresta pigmea” a marruca e carpinella, conservatasi abbarbicata sul ciglio del pro-montorio al contatto fra foresta di pendio e il seminativo ad olivo e mandorlo. Popolamenti vetusti delle duespecie sono rarissimi da rinvenire ormai nel paesaggio appenninico attuale. Tale addensamento sembra pre-sentare carattere del tutto primario, residuale di una vegetazione di margine naturale di una superficie bosca-ta, conservatasi proprio perché abbarbicata su ciglio di terrazzo morfologico a contatto con lo spazio apertodel seminativo, al di fuori della concorrenza della foresta di pendio e di quella che copriva in un passato pre-culturale il pianoro e che è oggi ormai eliminata dalle colture.

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CONSIDERAZIONI FITOSTORICHE La configurazione del paesaggio fisico attuale è assetto acquisito in epoca sorprendentemente recente. La pre-senza di un bacino marino è infatti scenario che risale solo ai millenni successivi al postglaciale, quando la lineadi costa del golfo adriatico inizia a retrocedere dalla latitudine del Gargano, nella quale era approssimativamen-te localizzata intorno all’acme dell’ultimo pleniglaciale (20.000 anni dal presente), verso l’attuale golfo diVenezia, in cui si assesta all’incirca all’inizio della nostra era. Prima di allora, nel pleniglaciale, in base a datipaleobotanici e paleoclimatologici, si conoscono indizi sulla esistenza di un ambiente di tipo semideserticointorno al golfo adriatico, analogo a quello che caratterizza oggi alcuni distretti dell’Asia centrale (Mar Caspio,regione del Ust-Urt, lago di Aral). Orbene, la flora dei consorzi delle cenge rupestri a Micromeria greca,Teucrium polium, T. flavum della Riserva, presenta un’aliquota di specie che hanno il loro areale attuale incen-trato nei territori del Mediterraneo orientale, dove costituiscono la copertura vegetale zonale su vasti aree posteal limite con il deserto siriano e i semideserti e le steppe della regione irano-turanica. È pertanto da dedurre chele condizioni aride e continentali del pleniglaciale contemplassero su vaste estensioni allora all’asciutto delbacino adriatico e quindi alle latitudini dell’ attuale foce del Sangro, una vegetazione del tutto simile a quella deicespuglieti e suffruticeti predesertici della Palestina, corrispondenti a quelli oggi accantonati sulle cenge delcomprensorio. Questi pertanto rappresenterebbero le tracce di una sorta d’avamposto verso occidente delfronte degli attuali semideserti e steppe centroasiatici e del Vicino Oriente che ancora si attestava nella zonadurante l’ ultimo pleniglaciale. Con il miglioramento delle condizioni ambientali durante l’Olocene, il paesaggiolocale ha visto il ritorno delle foreste da centri di rifugio subcostieri localizzati verosimilmente poco a Sud dellazona. In questo scenario i pastori neolitici hanno potuto muoversi solo nelle maglie di una rete di aperturenaturali nella fitta coltre di foreste del 6-7 millennio A.C. Se una prima trama di varchi era stata forse aperta daicontemporanei agricoltori itineranti , è altrettanto verosimile che già questi e i pastori stessi si fossero giovati diuna rete di varchi legata alle discontinuità morfologiche, nei quali la coltre arborea si faceva più rada o eraassente e ove le specie erbacee delle antiche steppe glaciali, fra l’altro l’ ecosistema di origine degli stessiarmenti domestici, si erano rifugiate sotto la spinta della invasione delle rigogliose foreste del postglaciale.

Arredo verde presso ilciglio di scarpata potenzialmente invasivo(Artemisia sp, Cotoneastersp. Pinus halepensis).

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Ed è alla luce di queste vicende fitostoriche che aspetti localissimi della vegetazione del comprensorio acqui-stano significato. Visti da quest’angolazione, i suffruticeti e le praterie aride ad Ampelodesmos del promonto-rio si connettono con le distese erbose delle praterie pedegarganiche e dei consorzi garganici e murgesi aStipa e Achnatherum. E’ questa l’ossatura vegetazionale del tronco dell’imponente tratturo di connessionefra l’Italia centrale montana e la Puglia costiera che sfiora il promontorio di Torino di Sangro attraverso ilquale milioni di capi di bestiame per millenni sono transitati attraverso la strettoia di terre coste dai pascolidell’aquilano verso il Tavoliere. Anche l’accantonamento su una cengia sommitale di alcuni individui diTamarix cfr. africana (tamerice), fuori del consueto ambiente litoraneo, qui piuttosto legati alla radiazioneda ambiente alveale, quasi di fiumara (Sangro), è testimonianza estrema di una vegetazione di entroterra semi-desertico nello scenario ambientale del pleniglaciale dell’antico golfo adriatico. Allo stesso modo Paliurus,Carpinus orientalis e Colutea arborescens, così emblematici delle creste a contatto col dinamismo dell’at-tuale foresta, evocano i resti di un ambiente savanoide, di steppa arborata, meno proibitivo, forse allora diffu-so nei distretti più interni di rifugio, ove giovarsi delle piogge orografiche.Il motivo della inaspettata conservazione fin ad oggi di un’area boscata in quei distretti della costa adriatica,va comunque ricercato non tanto in fenomeni del retaggio storico-culturale legati alle vicende fondiarie,quanto piuttosto a una intrinseca configurazione del territorio.Il paesaggio tabulare delle colline terrigene di quel settore costiero che, se solcato dalle incisioni fluviali, sirisolve in ripide balze, spesso incoerenti, si differenzia marcatamente da quello delle plaghe circostanti domi-nate dalla ondulata morfologia di colline argillose di una sedimentazione più antica. L’imponente alveo delSangro ha inciso nel tempo un solco ben più ampio rispetto a quello degli altri fiumi paralleli, scavando balzepiù proibitive sia per la venuta giorno di sedimenti a granulometria inadatta alla messa a coltura, sia tropporipide e incoerenti e di diffcile accesso alla frequentazione degli armenti. Al pedemonte delle balze più erteinoltre, il sedimento argilloso presenta caratteristiche di compattezza sfavorevoli alla messa a coltura con imezzi della tecnologia di epoca preindustriale. Su una tale morfologia e substrati la colonizzazione è stata ardua e il mantoforestale delle origini è sfuggito a

così almeno alle forme più intense di rimaneggiamento umano. Ultimo dei contrafforti appenninici sulla guglia di Masseria Tessitore, l’antico nome “Terre Coste” allude infat-ti alla scalinatura della morfologia. Il dato “fossilizzato”, fissato nel toponimo, è di grande rilievo nella ricostru-zione delle vicende subite dalla copertura vegetale nel corso della storia degli ultimi secoli e getta indiretta-mente luce sui modi e l’intensità dei tentativi di messa a coltura nel passato. Misterioso è il toponimo “Suvaro”, registrato sulla destra idrografica dell’Osento, di rimpetto alla confluenzacon il Fosso Frainile. Il toponimo viene interpretato come riferito a “sughero” (Gianmarco,1990); ma la sughe-ra, Quercus suber, non è segnalata attualmente nel territorio circostante per cui il termine o nasce comeassonanza con nome d’altro significato (Suvaro, Sovaro = “luogo al di sopra di”, come contrapposto a infero”,“inferno”) o è collegato come deformazione, nell’altra forma registrata in loco “Sòvaro”, a “sòtero”, cioè terre-no non coltivato. Non va categoricamente escluso comunque che il nome possa anche riferirsi a una presen-za puntiforme della sughera o, più verosimilmente, di cerro-sughera (Q. crenata) nell’area fino a epoca subat-tuale, cosa che rivestirebbe notevolissimo interesse fitogeografico, suggerendo una condizione di maggiorricchezza floristica in un passato tanto recente da aver lasciato un ricordo nelle parlata neolatina locale.Lo stesso Fosso Frainile è toponimo comunque carico di significati legati a un paesaggio vegetale non piùriscontrabile in loco. Il riferimento verosimile a “farnia”, localmente ‘fraina’ (Quercus robur), fors’anche far-netto (Q.frainetto) contenuto nel nome attribuito al corso d’acqua, è compatibile con l’assetto della fisiogra-fia locale (fondo vallivo, alveo) e con il tipo di copertura vegetale atteso in questi siti, cioè la foresta decidua

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LECCETA DI TORINO DI SANGROmesofila ripariale e planiziare a farnia e la cerreta a farnetto, che di norma doveva orlare la prima nei siti fini-timi più asciutti prima delle deforestazioni di epoca storica.

SUGGERIMENTI GESTIONALILa composizione della vegetazione locale, caratterizzata da spiccata residualità, improntata ad un complessomodello di smistamento fra specie legnose decidue e specie sempreverdi, oltre che da frammenti di suffruti-ceti rupestri irradiati dal sistema di cenge sommitali, riveste un valore documentario tale, sia nel contestonazionale che europeo, da richiedere una forma di tutela che garantisca la perpetuazione di questi valori. Laforesta di Torino in sé è l’ultimo sminuzzato e frammentario lembo residuo della copertura vegetale naturaledi tutta la costa medioadriatica. La percezione di tale valore monumentale è apprezzabile appieno se si esa-mina la staordinaria veduta prospettica dal Ciglio del colle di Masseria Tessitore guardando verso Sud (Fig3 eseguenti) grazie alla quale è visibile il paesaggio vegetale delle origini come si doveva presentare lungo lacosta adriatica prima delle colonizzazione umana medioolocenica.Un tale assetto del patrimonio botanico locale richiede attenzioni gestionali adeguate. La foresta necessite-rebbe in realtà per la sua ottimale conservazione, di un regime di assoluta protezione, applicato soprattutto econ urgenza alle parcelle oggi caratterizzate da una struttura verticale evoluta, con individui di grandi dimen-sioni e tendenza alla pluristratificazione del consorzio, parcelle quindi molto prossime all’assetto di una vege-tazione reale potenziale (200 anni di evoluzione cenologica). Lembi a fisionomia di ceduo molto invecchiatorispondenti o prossimi a queste caratteristiche, si rinvengono in prossimità di depressioni e impluvi menoaffetti da una continuità di tagli periodici nei decenni passati. Il resto della superficie boscata meriterebbe una estesa campagna di interventi di conversione ad alto fusto. La gestione dovrà comunque essere particolarmente attenta a non interferire con la struttura locale della bio-diversità, quale emerge nelle sue grandi linee dalla descrizione fornita sopra. Deve essere cioè evitata non solo qualunque forma di manipolazione “distruttiva”, ovviamente in contrastocon le legislazioni esistenti, ma anche e soprattutto ogni qualsiasi forma di intervento atto a “migliorare” lastruttura della vegetazione in aree considerate degradate attraverso interventi che implichino piantumazioni,rimboschimenti, messa a dimora di esemplari arborei anche se di specie rigorosamente autoctone, per ripo-polare superfici aperte. Questo per due diversi ordini di motivi. In primo luogo il fatto che così agendo si provoca la dissoluzione com-pleta del valore documentario del popolamento vegetale così “restaurato”, in quanto esso viene ad essere rima-neggiato dal soggettivo giudizio e scelta dell’operatore e non esser più il risultato di processi e fenomeni di smi-stamento e colonizzazione da parte delle specie vegetali sotto il controllo esclusivo del determinismo naturale.Quel determinismo che poi è alla base dell’interesse scientifico e documentari che ha portato a suo tempo allaidentificazione di valori nella vegetazione locale , che in questo casi è stata considerata al rango di “oasi”. In secondo luogo, le piantumazioni presentano l’inconveniente di utilizzare quasi sempre materiale daimpianto che, pur appartenendo dal punto di vista nominale alla specie autoctona prescelta, non può essereconsiderato compatibile dal punto di vista genetico con quello delle popolazioni della stessa specie presentinell’area, in quanto operazione troppo complessa sarebbe quella di produrre preventivamente materiale daimpianto originato da propaguli locali (necessità di creazione di vivai per la conservazione del germopla-sma). Inoltre il circuito vivaistico non fornisce alcuna garanzia sulla provenienza o esatta identificazione tas-sonomica dell’ entità botanica coinvolta, sia essa a livello di sottospecie, varietà o ecotipo della flora sponta-nea locale. L’eventuale affermazione in loco di individui di una specie autoctona, ma di origine commerciale,

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROoriginati da popolazioni di territori spesso, per ragioni commerciali, lontanissimi e quindi geneticamente dif-ferenziate rispetto a quelle locali, raggiunto uno stadio di sviluppo di maturità sessuale, possono compromet-tere l’ integrità genetica della progenie di specie locali, determinando diluizione del genoma locale e ilrischio di squilibrio adattativo. Ciò comporta quindi l’esigenza di dedicare una particolare attenzione nell’evitare opere di cosiddetto“restauro ambientale”, “realizzazione di corridoi”, “rinaturalizzazioni” “rinverdimenti” (di cave e scoscendi-menti franosi). Tali interventi, spesso proposti da attori e rappresentanti di discipline tecnico-scientifiche,estranee alle conoscenze della biogeografia e dei fondamenti della scienza della vegetazione, pur voluti e rea-lizzati a fin di bene, rappresentano in realtà manomissioni disastrose per l’integrità e il valore documentario econservazionistico di una copertura vegetale. Anche l’accattivante denominazione del repertorio di espe-dienti tecnici che va sotto il nome di “ingegneria naturalistica”, può nascondere interventi che implicanopiantumazioni e quindi risolversi con esiti inaccettabili sul piano conservazionistico, cosa che di rado com-missioni giudicatrici di appalti son in grado di valutare. Agire in contrasto con queste precauzioni, determina in realtà una disottemperanza alle disposizioni di leggesulla conservazione della biodiversità. Questo perché, nella definizione di biodiversità rientra anche l’assettogenetico delle popolazioni e l’ assetto spaziale delle specie vegetali quale esclusivamente controllato dai mecca-nismi del determinismo naturale. La lecceta di Torino non ospita, almeno alla luce delle attuali conoscenze, spe-cie endemiche minacciate che rendano necessari interventi di conservazione “in situ” tramite ripopolamento afavore di queste. Lo status di riserva implica una particolare cura da parte delle istanze locali nell’attivare gliadempimenti comunitari volti alla conservazione della biodiversità sia a livello specifico che genetico. In tal senso è altrettanto delicata la progettazione di arredo verde di aree di accesso, sosta , ricezione e areemuseali che implichino operazioni di messa a dimora di individui vegetali appartenenti a specie, ornamentalio meno, considerate autoctone nel territorio italiano. Solleva perplessità l’arredo di alcune piazzole di sosta lungo la viabilità di vetta che corre parallelamente allimite superiore dell’area boscata della riserva. In esse, sono state mese a dimora specie sicuramente benadattate alle condizioni di ambiente e fors’anche apprezzabili di per sé da punto di vista ornamentale ma chenon sono segnalate nella riserva e quindi pericolose come potenziali “inquinanti” biogeografici.La composizione della vegetazione locale, caratterizzata da una copertura forestale a tratti rada, da un comples-so modello di smistamento fra vegetazione legnosa a carattere deciduo e vegetazione legnosa sempreverde eda residui di suffruticeti rupestri da un sistema di cenge rupestri sommitali, si presenta alquanto lacunoso equindi “insaturato” dal punto di vista floristico. Esso è quindi prono alla colonizzazione da parte di alieneanche nel senso di specie che , pur autoctone della flora italiana, siano però assenti dal distretto geografico delcomprensorio. Un preoccupante nucleo di potenziale diffusione di esotiche è localizzato in corrispondenzadel Cimitero Militare. Le specie ornamentali impiegate nell’arredo del giardino annoverano alcune entità perle quali l’ambiente di rupe potrebbe rappresentare un potenziale sito di colonizzazione, una testata di ponteper una persistenza sulle cenge sommitali di Terre Coste o per una successiva diffusione nel circondario. Il tutto è favorito dal fatto che la discarica di zolle e fronde derivate dalle operazioni di ordinaria manutenzio-ne delle aiuole del cimitero, è localizzata a poche diecine di metri dallo strapiombo sommitale, che verosimil-mente in precedenza è stato utilizzato come gettata di discarica. Questo materiale rappresenta una fonte dipropaguli di prim’ordine per un innesco alla colonizzazione da parte di specie vegetali aliene o estranee allaflora locale (sono stati osservati individui appartenenti a cultivar ornamentali di Festuca ovina, Sedum sp.pl.Artemisia variabilis var. cult.), che possono giovarsi della conformazione del sistema di rupi e scoscendi-menti che caratterizza il settore sommitale della Riserva stessa e prender piede grazie alle condizioni di scar-

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BIBLIOGRAFIA E LETTERATURA CITATAGianmarco F., 1990. Toponomastica abruzzese e molisana. Roma.Legge regionale 19.12.2001, n. 67 - Istituzione della riserva naturale guidata “Lecceta di Torino di Sangro”. BURA n.28 del 24 dicembre 2001Tammaro F.; Poldini L. (1988) -La vegetazione della lecceta litoranea di Torino di Sangro (Chieti), nel medio versanteadriatico italiano. Braun-Blanquetia.2:127-132.Tammaro F., 1998. Il paesaggio vegetale dell’Abruzzo. Cogecstre Edizioni.Pirone G., 1994. Alberi, Arbusti e Liane d’Abruzzo. Cogecstre Edizioni.Zohary M., 1973. Geobotanical foundations of the Middle East: Vol.1, Gustav Fischer Verlag, Stuttgart, Germany.

LECCETA DI TORINO DI SANGROsa competitività che la morfologia di rupe comporta. Una specie estranea all’ecosistema della riserva, maindigena della flora regionale e per di più verosimilmente spontanea in un territorio a poca distanza dellebalze del promontorio, Pinus halepensis, è comune nei giardini delle (relativamente) nuove abitazioni pros-sime alla scarpata. Esso rappresenta un potenziale pericolo per l’integrità del valore documentario della fore-sta di Torino, in quanto potrebbe affermarsi e colonizzare le porzioni più acclivi della scarpata sommitale, inanalogia con il suo stesso comportamento nel prezioso sito verosimilmente relittuale di Rosciano. Ciò ver-rebbe ad annientare il valore documentario dei popolamenti a pino in tutto quel settore di costa, non con-sentendo la riconoscbilità fra qualche decennio dei siti di reale accantonamento naturale, contribuendo cosìa compromettere ulteriormente la delicata biogeografia della intera regione medioadriatica. Già oggi individui di Lycium sp. ed Eleagnus angustifolia, specie mediorientali vegetano ormai naturalizzatesul ciglio estremo della cresta sommitale presso l’edificio della presa d’acqua del serbatoio. Considerando ilfatto che è in atto una lenta e inevitabile naturale ritrazione della linea di cengia per crollo della scarpatarupestre affacciata sulla valle del Sangro, tale sito si configurerà sempre come localizzazione preferenzialeper neofite. Queste specie riescono proprio in ambienti a forte dinamismo morfologico, a insediarsi nel con-testo della vegetazione naturale in quanto tali siti rappresentano aree di allentamento preferenziale dellapressione competitiva da parte delle popolazioni delle specie autoctone. Analogo “pericolo” è rappresentato a tutt’oggi dall’arredo delle aiuole di un piazzale pavimentato (belvedere)all’esterno del perimetro del Cimitero in corrispondenza dei confini meridionali della Riserva. Localizzataimmediatamente a ridosso del ciglio di scarpata, tale aiuola è piantumata con suffrutici ornamentali esotici(Cotoneaster, Spiraea, Hibiscus) o con rappresentanti di generi che annoverano specie presenti allo statospontaneo nella vegetazione della Riserva (ibridi colturali di Cistus sp.pl.), o a cultivar ornamentali di speciespontanee, o specie compatibili con le condizioni di suolo e clima, locali ma assenti per ragioni fitostorichedal territorio in questione (Senecio cineraria, Pinus halepensis). Queste popolazioni se vitali, possono rap-presentare nuclei di dispersione e diffusione estremamente efficienti e quindi risultare compromissive perl’integrità della vegetazione naturale della riserva.Definire e quantificare l’articolazione delle misure gestionali è possibile solo qualora sia disponibile una pre-cisa e adeguata conoscenza cartografica delle struttura e diversificazione floristica della vegetazione nellospazio geografico. E’ pertanto necessario, fra le misure gestionali, predisporre un progetto di realizzazione di una Carta dellaVegetazione alla scala di dettaglio locale, da realizzare secondo i principi, i metodi e i dettagli conoscitividella Scienza della Vegetazione e delle tecniche di rappresentazione da essa adottate.

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PREMESSASi ritiene necessario inserire un capitolo dedicato agli aspetti fitopatologici nell’ambito del Piano di assettonaturalistico della Riserva in quanto l’osservazione sistematica di eventuali manifestazioni di danno a caricodella vegetazione arborea e l’individuazione delle cause delle manifestazioni stesse costituiscono un indi-spensabile supporto alla gestione ed alla conservazione dell’area protetta. In sostanza, si possono individuare le seguenti azioni concrete, che potranno essere realizzate sulla base diindicazioni pratiche più dettagliate da stabilire in fase operativa:- Individuare eventuali fenomeni già in atto a carico della vegetazione arborea (es. ingiallimenti e seccumi dif-fusi, deperimenti generalizzati) e seguirne l’evoluzione nel tempo;

- Predisposizione di metodologie speditive per registrare e classificare la gravità delle manifestazioni sintoma-tiche (es. disseccamento o rarefazione della chioma), basate sull’individuazione di aree di studio all’internodella Riserva e sulla predisposizione di un’apposita schedatura dei rilievi effettuati;

- Impostare un inventario dei fenomeni, delle loro manifestazioni sintomatiche più evidenti e del livello didanno ad essi attribuibile, da aggiornare periodicamente;

- Ricostruzione corretta dell’eziologia delle manifestazioni di danno riscontrate (studio delle condizioni eco-logiche predisponenti l’insediamento di patologie fungine o l’insorgere di infestazioni di insetti dannosi);

- Elaborazione di indicazioni metodologiche e operative per la gestione delle situazioni di criticità e per pro-grammare correttamente gli interventi finalizzati a controllare e contenere i fattori di danno in futuro;

- Individuare ed eventualmente controllare situazioni di potenziale pericolo per i visitatori legate a situazionidi compromessa stabilità di esemplari arborei situati lungo i percorsi o in prossimità delle aree di sostadella Riserva;

- Porre le basi per affrontare uno studio non episodico dei fenomeni fitopatologici in area forestale protetta,potendo contare su una struttura organizzativa permanente, in grado di effettuare rilevamenti sistematicinel tempo.

I dati e le osservazioni così ottenuti saranno caratterizzati da validità scientifica, oltre che gestionale, epotranno essere scambiati e confrontati con quelli ottenuti da Istituzioni ed in contesti analoghi a quellodella Riserva di Torino di Sangro.

RILIEVI EFFETTUATI Ad oggi, sono state effettuate osservazioni in due distinti periodi: nell’autunno del 2005 e nella primaveradel 2006. Le osservazioni sono state condotte in particolare nell’area della Riserva che si estende parallela-mente al corso del fiume Sangro (area con esposizione a settentrione, più mesofila). Si è fatto riferimento allespecie arboree maggiormente rappresentative della Riserva: leccio (Quercus ilex), roverella (Quercus pube-scens), orniello (Fraxinus ornus), cerro (Quercus cerris). La ricerca di sintomatologie riconducibili ad agenti di danno di natura fungina ha portato al rinvenimento dicarpofori di Ganoderma applanatum (Pers.) Pat. e di Phellinus torulosus (Pers.) Bourd. & Galz. alla base di

ASPETTI FITOPATOLOGICIASPETTI FITOPATOLOGICIMario D’Auro

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROtronchi e su radici affioranti di leccio. Le caratteristiche salienti di questi due funghi e dei danni da essi cau-sati sono esposti nel prosieguo di questa relazione.La diffusione di entrambi i funghi non è sembrata, alla luce dei non sistematici rilievi compiuti, tale da fartemere danni al bosco di entità preoccupante. Trattandosi comunque di specie dotate di una certa aggressi-vità, il loro ritrovamento consiglia di pianificare una più accurata campagna di rilievi, finalizzata ad accertarela loro reale diffusione e gli eventuali danni da essi provocati.

PROPOSTE PROGRAMMATICHESi ritiene utile in questa sede ricordare lo stretto legame esistente fra l’insorgere delle malattie delle piante,così come delle infestazioni di insetti fitofagi o, ancora, delle fitopatie non parassitarie, e le condizioni clima-tiche (in particolare le precipitazioni, le temperature, il livello di umidità). Nello studio delle avversità che possono verificarsi in campo forestale è spesso necessario disporre di seriedi dati meteo quanto più protratte nel tempo, al fine di risalire a periodi caratterizzati da andamenti partico-lari di uno o più parametri meteoclimatici. Gli stati di difficoltà fisiologica degli alberi, conseguenza perlopiùad anomalie climatiche (in particolare ripetuti e prolungati periodi di siccità, gelate tardive), si rivelano esse-re molto spesso le cause predisponenti di successive manifestazioni fitopatologiche specifiche (ad es. cariedel legno da agenti fungini) o di più generalizzati fenomeni di deperimento del bosco.In altri casi i parametri meteo consentono invece di prevedere il verificarsi di condizioni che predispongonole piante ad avversità di natura essenzialmente biotica (ad es. pullulazioni di insetti fitofagi). È quindi necessario che per il controllo di tali manifestazioni e della loro dannosità ci si possa avvalere diun’efficiente sistema di rilievo delle condizioni meteorologiche. Nel caso della Riserva di Torino di Sangro, èpossibile individuare nel vicino CAR – Centro Agrometeorologico Regionale – dell’ARSSA, situato a Scerni, unvalido supporto per disporre dei dati meteo necessari alla gestione delle problematiche fitopatologiche. Al fine di delineare un quadro il più possibile completo delle problematiche di natura fitopatologica poten-zialmente riscontrabili a carico della vegetazione arborea all’interno della Riserva, sembra opportuno in que-sta sede fornire un’indicazione schematica delle avversità che con maggiore probabilità potrebbero essereriscontrate nell’ambiente specifico della Riserva, distinte sulla base della natura dell’agente di danno e pertipologia di danno. La disponibilità di un dettagliato ed articolato quadro sinottico delle sintomatologie riscontrabili costituisceinfatti un’utile guida operativa nella fase di lavoro di rilievo in bosco, finalizzata a rendere più sistematico emeno dispersivo il lavoro stesso. Di seguito sono indicati gli agenti di danno delle querce più frequenti epericolosi, per i quali sono fornite sintetiche informazioni relative ai danni provocati agli alberi e alle sinto-matologie che questi presentano e che rendono identificabile, almeno in prima approssimazione, l’agentecausale stesso.

InsettiSulle querce sono note numerose (oltre 200) specie di insetti che si nutrono di foglie, germogli e cortecceverdi delle quali le più pericolose appartengono all’ordine dei Lepidotteri. Tali fitofagi subiscono di frequentevistosi e repentini incrementi demografici, che possono durare più anni e ripetersi con una certa regolarità. Le pullulazioni dei defogliatori sono da ritenersi fra i principali fattori di natura biotica all’origine dei deperi-menti fisiologici delle querce in molte località italiane.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROI danni prodotti dagli insetti defogliatori agli organi assimilanti alterano le condizioni fisiologiche della pianta edeterminano anomalie quali la riduzione dell’attività fotosintetica, interferenze con i processi di traspirazione,modificazioni nel trasferimento della sostanza elaborata e degli ormoni all’interno dell’albero, squilibri nella ter-moregolazione a livello della chioma per la mancanza delle foglie. L’insieme di questi effetti negativi non dipendesolo dall’intensità degli attacchi, ma anche dal ripetersi degli stessi nel tempo. Gli alberi fisiologicamente stressati dalle defogliazioni, soprattutto se ripetute nel breve periodo, risultanovulnerabili agli attacchi, oltre che dei parassiti fungini di cui si dirà in seguito, degli insetti xilofagi, i qualisfruttano il temporaneo stato di debolezza dell’albero per insediarsi ed avviare processi di deperimento spes-so irreversibili. La maggior parte di questi xilofagi sono compresi nell’ordine dei Coleotteri e trovano sedetemporanea o permanente di sviluppo nelle parti lignificate della chioma, nei rami e nei tronchi delle quer-ce. Questi insetti spesso determinano inoltre ferite negli organi legnosi dell’albero che favoriscono l’insedia-mento dei patogeni fungini.Fra gli insetti di rilevanza fitosanitaria per il genere Quercus si segnalano le seguenti specie, distinte per tipo-logia di danno arrecato all’albero.

DefogliatoriIn base alla fase fenologica dell’albero durante la quale ha inizio l’infestazione, si possono distinguere i defo-gliatori precoci da quelli mediamente precoci. Di seguito sono riportate sintetiche informazioni riguardo adalcune specie, rappresentative per ciascun gruppo.

1. Tortrix viridiana (L.) – E’ la specie più dannosa, in quanto le larve di questo insetto nascono in corrispon-denza dell’apertura delle gemme, entro le quali penetrano per poi passare ad alimentarsi sulle giovani foglie.Il decorso del ciclo biologico di T. viridiana è molto legato alla coincidenza fra la schiusa delle uova e l’ini-zio dell’apertura delle gemme delle querce: quando tale evento non si realizza, la mortalità delle giovani larvepuò risultare molto elevata. Condizioni di stress idrico da siccità fanno crescere la frequenza delle pullulazio-ni di questo insetto.

2. Euproctis chrysorrhoea (L.) – Le larve di questo insetto trascorrono l’inverno in nidi da cui escono agruppi in primavera per attaccare gemme, germogli e giovani foglie. In seguito, perso l’istinto gregario, sidistribuiscono sulla chioma e si alimentano delle foglie ormai completamente sviluppate. Le infestazionidi questo insetto, oltre a causare estesi danni agli alberi, provocano un notevole dispersione di peli urti-canti che possono causare forti disagi alle persone che vengano a contatto con essi (i visitatori dellaRiserva).

3. Lymantria dispar (L.) – Questa specie è inclusa fra quelle mediamente precoci, in quanto le larve com-paiono al completamento dello sviluppo delle foglie quando, in genere, i defogliatori precoci stanno com-pletando lo sviluppo degli stadi preimmaginali. Si tratta della specie più pericolosa, con pullulazioni che siprotraggono per ca. 2 anni, nel corso delle quali produce vistose ed estese defogliazioni. La permanenza sulla chioma degli alberi delle larve degli insetti appartenenti alla categoria dei mediamen-te precoci è prolungata (ca. 2 mesi) rispetto a quella del primo gruppo. Le pullulazioni di questi insettisono correlate al verificarsi di scarse precipitazioni nel periodo primaverile-estivo e di lunghi periodi disiccità.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROXilofagi A questa categoria di insetti appartengono numerose specie. In questa sede si considerano solo quelle chesono capaci di attaccare alberi ancora in grado di superare lo stato di temporanea difficoltà vegetativa indot-to da condizioni meteo avverse o da defogliazioni di limitata entità. Si segnalano:

1. Coroebus florentinus (= fasciatus) (Herbst) – Si tratta di un buprestide che attacca con netta prevalenzail leccio. Le larve scavano gallerie lungo l’asse dei rametti di sezione sempre crescente (fino a 15 cm di dia-metro), causando un vistoso arrossamento delle foglie. Alberi indeboliti da prolungate siccità offrono condi-zioni ideali per l’insediamento delle larve. I rami disseccati tendono a spezzarsi, aprendo la via ai funghicariogeni.

2. Scolytus intricatus (Ratzeburg) – Questo scolitide è frequentemente coinvolto in complessi fenomeni dideperimento che interessano i querceti. Gli alberi già soggetti ad attacchi di insetti defogliatori e a carenza diacqua sono rapidamente colonizzati da questo insetto. Le larve scavano gallerie sottocorticali; gli alberi attac-cati presentano le cortecce disseminate di innumerevoli fori di farfallamento degli adulti di ca. 1 mm di dia-metro.

3. Agrilus biguttatus Fabricius – Anche questo buprestide è frequentemente coinvolto nei deperimenti deiquerceti. Le larve possono scavare gallerie sottocorticali serpeggianti o scalariformi, concorrendo in mododeterminante al definitivo collasso di piante già deperite.

Funghi Fra i funghi di interesse fitosanitario si ritiene utile segnalare quelli di seguito sinteticamente descritti, siaperché già rinvenuti nella Lecceta (è il caso di Ganoderma applanatum (Pers.) Pat. e di Phellinus torulosus(Pers.) Bourd. & Galz.), sia per la potenziale pericolosità che potrebbero rappresentare in relazione alle carat-teristiche botaniche ed ecologiche della Riserva (prevalenza di specie del genere Quercus). I funghi ai quali ci si riferisce in questo contesto sono rappresentati da specie lignicole, ovvero che cresconosu alberi ed a loro spese; questi ultimi possono essere esemplari viventi, tronchi a terra, branche morte maancora attaccate al tronco vivente. Altre specie sono tipiche di ceppaie o crescono in anfratti o cavità lasciate dalla caduta dei rami, da doveinvadono e colonizzano tutto il legno all’interno del tronco. Una prima distinzione delle specie fungine lignicole, universalmente riconosciuta, è fra agenti di carie bian-ca ed agenti di carie bruna.

Agenti di carie biancaI funghi agenti di carie bianca determinano uno sbiancamento (da cui il nome) del legno, che acquista unaconsistenza fibrosa o spugnosa, con conseguente perdita delle proprietà meccaniche del legno stesso. Talieffetti sono provocati dalla distruzione della lignina operata dai funghi. Particolari suddivisioni di questo tipo di funghi sono riferite alla dislocazione della carie (es. base del cilindrocentrale del tronco, duramen, alburno), al particolare aspetto assunto dal legno cariato (es. presenza di picco-le cavità, di maculature), al grado di rimozione della lignina, alla più o meno contemporanea rimozione deipolisaccaridi della parete cellulare (cellulosa ed emicellulose). Si segnalano:

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LECCETA DI TORINO DI SANGRO1. Ganoderma applanatum (Pers.) Pat. – Questo fungo presenta un carpoforo pluriannuale, mensolato,ungulato, espanso, che può raggiungere dimensioni notevoli. Si sviluppa alla base dei tronchi, più raramentea 3-4 m di altezza, di numerose latifoglie. La sua superficie sterile è di colore grigio bruno, con una cuticoladura e opaca. La superficie poroide è dapprima bianca e diventa in seguito scura. È agente di carie bianca deltronco e di marciume radicale. Le piante colpite, pur non manifestando segni di sofferenza, a causa dellaminor resistenza meccanica determinata sia dalla carie presente nel cilindro centrale del tronco che del mar-ciume radicale, spesso cedono a seguito di condizioni meteorologiche avverse.

2. Phellinus torulosus (Pers.) Bourd. & Galz. – E’ caratterizzato da un corpo fruttifero che può raggiungeredimensioni ragguardevoli, pluriannuale, sessile, spesso applanato, quasi a ventaglio, singolo o imbricato, conmargine rotondeggiante, ondulato. Cresce alla base dei tronchi di numerose latifoglie (in particolare Quercusilex). La superficie superiore del carpoforo è di colore bruno rossiccio/scuro, con una cuticola solcata, zona-ta, tormentosa. La superficie poroide ha un colore bruno cannella scuro. Determina un marciume radicale euna carie bianca a chiazze del legno. Negli stadi avanzati forma vere e proprie cavità all’interno del tronco.Le piante colpite sono pertanto caratterizzate da minor resistenza meccanica e possono cedere al verificarsidi condizioni meteorologiche avverse.

3. Inonotus hispidus (Bull.: Fr.) Karst. – Cresce su latifoglie viventi, con preferenza per Quercus spp. È agen-te di carie bianca del cilindro centrale, ma può invadere anche il vicino alburno. Il legno cariato si fratturalungo gli anelli di crescita annuale. Le zone di legno ancora intatte sono separate da quelle cariate da unalinea bruno scura. L’infezione avviene attraverso ferite lasciate dalla caduta di branche. I corpi fruttiferi sonoannuali, singoli o imbricati, sessili. La superficie sterile è dapprima rossiccia, poi brunastra, ispida, spessozonata. Può continuare a fruttificare anche su piante già morte.

4. Armillaria mellea (Vahl: Fr.) Kummel – Di questo fungo sono state distinte cinque specie biologicheche presentano un grado di patogenicità variabile. Attacca un grande numero di specie arboree, sia latifo-glie che conifere. Cresce in autunno su ceppaie o tronchi in gruppi spesso assai numerosi, ben mimetiz-zati tra il fogliame caduto. Tipicamente l’infezione procede da produzioni di cordoni miceliari o rizomor-fe che invadono l’apparato radicale. Si ha la formazione di micelio bianco, a forma di ventaglio, nellezone sottocorticali. L’attacco alla radice si sviluppa in senso centripeto da una zona iniziale di colonizza-zione periferica (marciume radicale). Una volta raggiunta la parte basale del tronco, si inizia una cariebasale del cilindro centrale. In stadi avanzati di carie il legno appare interessato da una tipica carie bian-ca fibrosa con notevole accumulo di acqua. I focolai di infezione sono di solito confinati alle ceppaietagliate di recente, che possono essere colonizzate dalle basidiospore ed aumentare così i punti di infe-zione, specialmente quando c’è una limitata capacità di crescita mediante l’infezione radicale ad operadelle rizomorfe.

Agenti di carie brunaI funghi agenti di carie bruna determinano una colorazione bruna del legno attaccato, accompagnata negliultimi stadi da una rottura del legno in piccoli parallelepipedi, di consistenza molto fragile (carie cubica).Questi residui di legno sono formati da lignina praticamente inalterata, essendo state rimosse, ad opera deifunghi, sia la cellulosa che le emicellulose. Si segnalano:

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1. Daedalea quercina Fr. – Cresce su ceppaie e su tronchi viventi. Determina una carie bruna del cilindrocentrale che, negli stadi avanzati, scompare e lascia il tronco cavo internamente. L’infezione avviene spessoper via radicale, da vecchie ceppaie rimaste sul terreno; attraverso le radici il micelio passa alla parte basaledel tronco e da qui si sviluppa risalendo il tronco per alcuni metri. Il legno cariato si frattura in placchelungo la direzione dei raggi midollari.

3. Laetiporus sulphureus (Bull.: Fr.) Murr. – E’ un temibile patogeno che provoca una carie bruna cubica: illegno diventa molto fragile e negli stadi finali si sbriciola molto facilmente. L’infezione avviene tramite feri-te dovute alla caduta di rami (es. per eventi atmosferici). La carie, localizzata nel cilindro centrale, può arri-vare fino a 5-8 m di altezza del tronco e passare da questo all’apparato radicale.

L’elencazione dei possibili agenti di danno degli alberi della Riserva è, all’attualità, solo indicativo. Il quadrofitopatologico della Riserva potrà essere delineato con maggiore dettaglio solo a seguito di una campagnadi rilievi appositamente pianificata e realizzata.

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IntroduzioneI territori costieri costituiscono, come nella maggior parte del Mediterraneo, le aree più densamente abitate,dove l’uomo ha trasformato maggiormente l’ambiente naturale con la conseguente scomparsa o totale modi-ficazione dei popolamenti faunistici. Alla scomparsa reale della fauna originaria o di pregio del luogo, percolpa delle trasformazioni umane, dovrebbe corrispondere una elevata quantità di dati e notizie storichedirette e indirette sugli animali proprio per la presenza, nel tempo, dell’uomo. Purtroppo, quasi come nellezone montane, le notizie sulla presenza storica della fauna sono molto scarse o totalmente assenti, tranneche per alcuni dati rilevati in modo indiretto, attraverso documenti di tutt’altro argomento che ci testimonia-no la presenza di specie importanti.Anche per il territorio di Torino di Sangro e le aree limitrofe del basso Sangro mancano dati sostanziali sullafauna storica, come del resto anche la ricerca scientifica costituisce un interesse poco rilevante fino ai nostrigiorni con scarsi e limitati approfondimenti. Sono di estremo rilievo, invece, alcune citazioni specifiche per ilbosco di Torino di Sangro, tra queste nella “Relazione di Padre Colocci sull’abbazia di S. Giovanni in Venerenel 1689” si legge: “…Il fiume Sangro è abbondante d’ogni sorte di pesce”. La congregazione ha lo jus dipesca e rilascia licenze scritte due volte l’anno, a maggio e settembre. “Parimenti nella selva poco distante daFossacieca c’è abbondanza di caprii, cignali, lepri e tarterughe”…”, ed ancora, “…La congregazione ha lo jusdi pescare nel Sangro e nessuno può farlo senza licenza”. “Due volte l’anno si fanno le pesche nel Sangro, dimaggio per il passo delle chieppe, e l’ottobre per il passo delle mugele ed anguille e li nostri suditi comeanche quelli di Turino fanno memoriali assegnandosi agl’oratori diversi siti che uno non dia fastidio all’altro,e gli si fa licenza in scritto e si confermano i memoriali dal governatore che li registra…”.Anche Lorenzo Giustiniani, nel Tomo IX del Dizionario Geografico-Ragionato del Regno di Napoli (1805), allavoce Torino scrive: “…Tiene una selva ben grande, ove trovasi della caccia di quadrupedi, e di volatili. Vi passail fiume Sangro, e similmente l’Osente, ed il Vallone, piccioli fiumi, ma danno del pesce e delle Idrie, eUtrie…” Si tratta dei nomi dialettali, tuttora in uso in gran parte dell’Abruzzo, della lontra, mammifero divenu-to tra i più rari della penisola, ma ancora presente solo nel medio ed alto corso del Sangro. Nel basso Sangrosi è estinta già da qualche decennio, sono noti due esemplari imbalsamati, catturati lungo il torrente Gogna,all’interno dell’attuale Riserva di Serranella, all’inizio degli anni ’70. Quasi lascia increduli, invece, la notiziacirca l’uccisione di lupi nel territorio di Torino, riportata dallo storico Uberto D’Andrea nel volume “Cattureed uccisioni di orsi e lupi in Provincia di Chieti durante i secoli passati”. Viene così descritto: “…Il 15 settem-bre 1851, la Guardia Urbana Ciriaco Mucci da Torino di Sangro, uccise un lupo nel bosco comunale ed ebbela ricompensa di cinque ducati. Incoraggiato dal premio ottenuto, - ponevasi nello impegno di uccidernealtro - lupo, e vi riuscì il 2 gennaio 1852. Questa seconda belva aveva quattro o cinque anni, come riconobbe-ro due periti, durante la stesura del verbale presso la cancelleria comunale del luogo…”. Certo oggi la pre-senza del lupo in prossimità del mare non è più possibile per la mancanza di corridoi naturali e soprattuttodi prede ed in particolare delle greggi che questi carnivori seguivano lungo gli antichi percorsi tratturali, maè interessante ricollegarsi alla descrizione di Padre Colocci che nel lontano 1689 citava le tartarughe presen-ti nel bosco. Ancora oggi, infatti, la Lecceta di Torino di Sangro rappresenta il sito con la popolazione più con-

ASPETTI FAUNISTICIASPETTI FAUNISTICIa cura di Mario Pellegrini

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sistente della testuggine di Herman (Testudo hermanni) in Abruzzo e della costa centro-adriatica, tanto daesser scelta come simbolo della Riserva. Diverse invece le sorti del cinghiale e del capriolo, da tempo scom-parsi ed oggi di nuovo presenti nel territorio; per il primo non si può certo parlare di un riacquisto di pregiotra la fauna, in quanto i cinghiali oggi diffusi in tutto il territorio regionale sono il frutto di introduzioni effet-tuate per scopi venatori di una forma alloctona, ben diversa da quella originaria, che crea notevoli danni allecoltivazioni agricole e concorrenza diversa altre specie animali. Il capriolo (Capreolus capreolus), invece,probabilmente mai scomparso nelle zone interne, a seguito delle reintroduzioni effettuate nei parchi nazio-nali, ha gradualmente rioccupato il suo areale e da circa due anni, probabilmente muovendosi lungo il corsodel Sangro che rappresenta un importante corridoio naturale, è tornato ad abitare la Riserva.

Di seguito vengono riportati alcuni contributi sulle principali emergenze faunistiche presenti nel territoriodella Riserva di Torino di Sangro ed aree limitrofe. Per alcuni gruppi sono stati condotti studi approfonditi,per altri è necessario attivare nuove ricerche volte prima di tutto a censire le specie presenti, stilando dellecheck-list e successivamente affrontare altri argomenti come l’ecologia, le dinamiche di popolazioni, le stra-tegie di conservazione e gestione delle singole specie o delle intere comunità faunistiche.Studi dettagliati sono stati condotti sui Lepidotteri, sugli Anfibi e Rettili, sull’Ornitofauna. Sono carenti invecei dati sui Mammiferi, in particolare sui Micromammiferi e sulla Chirotterofauna, sull’Ittiofauna, sullaColeotterofauna.

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LEPIDOTTEROFAUNALEPIDOTTEROFAUNANorbert Zahm(Traduzione di Angela Natale)

METODILe indagini sono state effettuate nei periodi dal 15 maggio al 16 giugno e dal 12 settembre al 12 ottobre nel2006 e dal 16 luglio al 10 agosto nel 2007. In questo modo si è potuto rilevare sia l’aspetto primaverile che quel-lo estivo ed autunnale, il che si rende necessario se si vuole ottenere una rassegna delle specie il più possibileampia in quanto le singole specie hanno periodi diversi di volo durante l’anno. Il punto cruciale degli studi hariguardato le specie notturne tuttavia nel corso di una escursione sono state registrate anche le farfalle diurne. Inizialmente sono stati scelti tre distinti posti di osservazione che sono stati tutti esaminati una volta alla set-timana. Successivamente si è aggiunto un quarto punto. Le osservazioni notturne sono state effettuate conuna speciale attrezzatura per l’osservazione notturna che consiste in un generatore Honda, una lampada aluce mista da 250 W, un neon da 20 W a luce scura e un neon superattinico da 20 W. Attorno ai neon ed allalampada è stata posizionato un sottile velo garzato sul quale si posavano gli insetti.

RISULTATINel primo periodo del 2006 sono state documentate 124 specie e nel secondo 116. Nel periodo estivo del2007 solamente 69. Poichè una parte delle specie è comparsa non solo in un singolo periodo, come risultatocomplessivo sono state determinate 203 specie di lepidotteri. La lista sistematica di queste specie viene alle-gata come check-list. Di queste 203 specie le seguenti 5 sono nuove per l’Abruzzo: Idaea consolidataCatocala conjunctaHeliothis nubigeraXanthia ocellarisMythimna joannisi.Le quattro specie Idaea ostrinaria, Scopula nigropunctata, Campaea honoraria e Grammodes bifasciatanon sono state finora citate in letteratura per l’Abruzzo, tuttavia sono state documentate dall’autore in altriluoghi e cioè la Grammodes bifasciata nella Riserva Naturale Regionale Lago di Serranella e le altre tre sullaMajella. Scopula nigropunctata è stata inoltre rinvenuta anche da Dell’Agata sul Gran Sasso. Campaeahonoraria è stata documentata dall’autore anche nella riserva di Serranella, sul Gran Sasso (Valle d’Angri) e aCollalto sul Lago di Penne.

DIFFERENZIAZIONE ECOLOGICAPreferenze dell’habitat L’attribuzione a determinati habitat risulta spesso difficile poichè i passaggi tra i singoli tipi di habitat posso-no risultare molto incerti. Inoltre la maggior parte delle specie non si può attribuire unicamente ad un habi-

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tat poichè in base alla valenza ecologica possiede uno spettro differentemente ampio. La loro presenza most-ra una banda distinta fra due estremi verso i quali esse riescono a spingersi. Questi estremi possono risultare completamente diversi da specie a specie, pertanto le ubiquiste possonocavarsela in tutti i possibili habitat mentre le specie stenoiche possono vivere solo dove vengano soddisfattele loro esigenze ambientali estremamente differenziate.Per evitare la frammentazione in numerosi tipi di habitat con differenze che risulterebbero insignificanti si èdeciso, per una maggiore chiarezza, si seguire una suddivisione generale in 3 tipi basilari: Habitat forestale: ad esso si annoverano in questa sede oltre alla superficie di bosco chiuso anche le radureed il margine del bosco così come le fasce ripariali di legno dolce;Zona aperta: superifici aperte senza copertura arborea o arbustiva;Zona aperta strutturata: ad essa appartengono tutte le zone di passaggio tra la zona aperta e il bosco, quinditra la parte con radi cespugli a quella quasi a fitta copertura.Come ambiente a sè stante della zona aperta deve essere citato separatamente il canneto in quanto presentecon una superficie piuttosto consistente in prossimità del Sangro.Tra le 203 specie documentate ve ne sono alcune presenti nei tre tipi di habitat, alcune che possono viverein due e altre alle quali solo uno di questi habitat può offrire l’ambiente vitale (vedi tabella 1). La seguentetabella mostra quante delle specie documentate possono vivere nei citati tipi di habitat:

Tipo di habitat Numero di specie————————————————————————

1 (bosco) 1572 (zona aperta strutturata) 1463 (zona aperta) 714 (canneto) 4

Dalla tabella 1 si può capire anche come molte specie possano vivere di volta in volta in un unico o in più diquesti tipi di habitat:

Tipo di habitat Numero di specie————————————————————————

1 482 133 54 41+2 672+3 241+2+3 42

————————————————————————Somma 203

Se si tengono fuori le 42 ubiquiste, che qui possiedono una limitata forza espressiva, si evidenzia la grandedominanza delle specie che nel bosco o nelle zone aperte strutturate hanno bisogno di boscaglia come basealimentare durante lo stadio larvale e/o cercano riparo dal vento e dalla calura. Al contrario risulta limitato il

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numero delle specie di zone aperte che ammonta a 5 (senza quelle del canneto), pur considerando le altre24 che possono trovare il loro ambiente ideale anche nelle zone aperte strutturate.

Spettro alimentareElencare in questa sede tutte le specie vegetali utilizzate dai lepidottori come piante alimentari durante lafase larvale esulerebbe dall’ambito di questo lavoro. Inoltre gli spettri alimentari ancor oggi non sono piena-mente conosciuti e potrebbero risultare diversi a livello regionale. Pertanto le piante sono state qui riassun-te in unità di maggiore livello (vedi tabella 2). Poichè l’area protetta oggetto di indagine è in generale un’a-rea boscata, le specie forestali risultano maggiormente differenziate. In particolare sono state rappresentate come gruppo a sè stante le specie del genere Quercus. PoichèQuercus ilex è una delle specie arboree dominanti nella riserva (che da essa ha preso il nome) questa è stataevidenziata nella tabella come gruppo a parte. Con ciò si dovrebbe anche chiarire quale ruolo essa rivesteveramente per le specie di lepidotteri presenti nell’area protetta.

Di seguito viene riportato l’elenco dei gruppi vegetali che offrono nutrimento alle specie riportate:

Gruppo vegetale Numero di specie———————————————————————————Specie forestali 104Di cui Quercus ilex 4

Altre specie di Quercus 34Legni teneri 24 Altre latifoglie 39Conifere 3

Specie erbacee 113Piante del canneto 4

Ad es. Phragmites, TyphaLicheni 5Felci 4Materiale vegetale in decomposizione 5

In generale le specie arboree da una parte e quelle erbacee dall’altra costituiscono la base alimentare per lespecie di lepidotteri elencate. In tal senso con 104 : 113 esse si bilanciano. In base alla letteratura correntesu 203 specie solo quattro vivono su Quercus ilex, laddove Watsonalla uncinula e Catocala conjuncta visono legate in quanto specie monofaghe mentre Cyclophora puppillaria e C. porata si nutrono anche dialtre specie di querce, infine C. puppillaria anche di altre latifoglie.

ANNOTAZIONI SU SINGOLE SPECIEIdaea consolidataQuesta specie, nuova per l’Abruzzo, è ampiamente diffusa nella parte meridionale della penisola balcanica esulla costa dalmata e lungo la costa di Levante fino a Israele. In Italia era finora nota, secondo PARENZAN &

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PORCELLI (2005/2006) solo per la Sicilia, la Calabria, la Puglia, il Lazio e la Toscana dove raggiunge il suolimite occidentale di diffusione. Come pianta alimentare viene citata da HAUSMANN (2004) Taraxacum offi-cinale, in base ad una comunicazione personale di LEIPNITZ.

Eupithecia inturbataQuesta specie, rara in Italia, era stata finora rinvenuta, secondo PARENZAN & PORCELLI (2005/2006) soloin Sudtirolo, Emilia, Toscana, Abruzzo e Basilicata. Il bruco si alimenta die fiori di Acer campestre.

Campaea honorariaQuesta specie, rinvenuta in Abruzzo in diverse località (vedi 2.) non viene ancora citata per la regione daPARENZAN & PORCELLI (2005/2006). Nella Riserva Naturale Lecceta di Torino di Sangro è stata rinvenutacome particolarmente abbondante, ed in particolare con una seconda generazione caratterizzata da un altonumero di individui. Nella bibliografia corrente vengono indicate come piante alimentari le specie diQuercus sebbene non Q. ilex che viene però probabilmente accettata, cosa che potrebbe spiegare l’alta den-sità di esemplari nella lecceta.

Catocala conjunctaQuasi in tutte le regioni italiane è stato rinvenuto questo meraviglioso nottuide che mancava finora inAbruzzo. Come specie monofaga essa è legata alla presenza di Quercus ilex.

Mythimna joannisiUna specie diffusa panafricana presente anche sulle grosse isole del Mediterraneo occidentale che raggiungesulle coste meridionali ed occidentali della penisola iberica e dell’Italia meridionale il continente europeo.Mentre sul versante tirrenico della penisola era stata scoperta anche nel Lazio non era finora nota sul versan-te adriatico al di sopra della Puglia. Il suo habitat è costituito dai canneti vicino alla costa dove vegeta la suapiante alimentare Phragmites.

Euplagia quadripunctariaQuesta bella e colorata arctiide è stata scelta dall’UE come una delle specie FFH (Flora, Fauna, Habitat) anchese in Italia essa è diffusa ovunque.

VALUTAZIONEIl risultato complessivo di 203 specie potrebbe essere, per un’area forestale, un risultato nella norma se nonci fossero state delle differenze tanto evidenti fra i due anni di studio. L’alto numero di specie del 2006, daricondurre alla grande diversità botanica dell’area protetta, lasciava attendere un risultato di eguale portataanche per il 2007, tanto più che i periodi estivi presentano di regola un’alta densità di specie. La causa deldebole involo è da ricercarsi sicuramente nel periodo di aprile-maggio inusualmente caldo e secco. Per que-sto motivo sarebbe assolutamente auspicabile condurre nei periodi estivi a venire un’ulteriore indagine di 4-5 settimane. Rispetto alle preferenze di habitat è risultata una grande dominanza di specie forestali, risultato atteso sullabase della struttura dell’area protetta. Sorprendente risulta al contrario l’alto numero collegato a specie erb-acee nella fase larvale, numero che supera di poco quello delle specie che vivono su alberi e arbusti.

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Non solo il grande numero di specie dell’anno 2006 e la presumibile integrazione derivante da ulterioriindagini estive mostrano il valore dell’area protetta bensì anche il numero di specie interessanti che in que-sta sede non possono essere descritte singolarmente. Riassumendo si può stabilire che la Riserva Naturale Lecceta di Torino di Sangro, con la sua grande diversitàe le sue specie particolari rappresenta un ambiente naturale importante anche dal punto di vista lepidottero-logico la cui protezione, a detta dell’autore, risulta pienamente giustificata.

BIBLIOGRAFIAFajcik J. & F. Slamka, 1996: Die Schmetterlinge Mitteleuropas, Bd. 1. – Bratislava.Fajcik J., 1998: Die Schmetterlinge Mitteleuropas, Bd. 2. – Bratislava.Fibiger M. (Hrsg.), 1990-2005: Noctuidae europaeae (1-8,10). - Apollo Books, Stenstrup (DK).Flamigni C., Fiumi G. & P. Parenzan, 2007: Lepidotteri Eteroceri d’Italia, Geometridae Ennominae 1. - NaturaEdizioni Scientifiche, Bologna.Hausmann A. (Hrsg.), 2001-2004: The Geometrid Moths of Europe (1,2,4). Apollo Books, Stenstrup (DK).Koch M., 1988: Wir bestimmen Schmetterlinge (2. Aufl.). – Neumann Verlag, Leipzig Radebeul.Parenzan P. & F. Porcelli, 2005/2006: I Macrolepidotteri Italiani. - Phytophaga XV.

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INVERTEBRATI-ARTROPODIINVERTEBRATI-ARTROPODITommaso Pagliani

Ordine: DecapodiFamiglia: PotamonidaeNome italiano: Granchio di fiumeNome scientifico: Potamon fluviatile (Eschscholtz, 1823)

Descrizione e morfologia. Il corpo, di colore marrone-grigio con striature giallastre, è diviso in tre seg-menti: capo, torace addome. I primi due (che formano il cefalotorace) sono ricoperti da un carapace chitino-so. Il capo è munito di un apparato boccale masticatore composto da due mandibole e due paia di mascelle.Gli occhi, sostenuti da un peduncolo, possono essere ritratti nelle cavità orbitali. L’addome è incurvato ven-tralmente; nelle femmine presenta una tasca addominale per l’incubazione delle uova e il trasporto dei pic-coli. Il primo paio di arti è munito di robuste chele di color magenta-viola, utilizzate per la difesa e la preda-zione, mentre le altre quattro paia hanno funzioni locomotorie. Nei maschi adulti si registra una spiccata ete-rochelia con una chela, solitamente la destra, di dimensioni nettamente superiori.Distribuzione e habitat. Vive negli ambienti di acqua dolce: torrenti, fossati, canali a moto lento, ambientilacustri e risaie. Un tempo era presente in gran parte dei paesi del bacino mediterraneo, dal Nord Africa alla

Escludendo la Lepidotterofauna sugli altri gruppi faunistici scarseggiano gli studi specifici. Solo di recentesono state avviate ricerche approfondite sulla Coleotterofauna ed in modo specifico all’interno della RiservaNaturale “Lecceta di Torino di Sangro”.

Si riportano le schede relative alle specie, appartenenti all’ordine dei Decapodi e dei Coleotteri, elencate nelformulario standard del Sito di Importanza Comunitario che include la Riserva, codice IT7140107 “Leccetalitoranea di Torino di Sangro e Foce del fiume Sangro”

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROpenisola Balcanica. Attualmente la sua presenza è confermata in Grecia, Albania, Croazia e Malta. In Italia èpresente dalla Sicilia fino all’Appennino Ligure-Tosco-Emiliano nonché in Sardegna e nella Liguria orientale.Vive in tane scavate lungo le sponde di torrenti e di pozze d’acqua dolce. È in grado di tollerare bassi tassidi umidità: ciò gli consente di lasciare il corso d’acqua e di addentrarsi per decine di metri nell’ambienteterrestre.Alimentazione. Si ciba di insetti e delle loro larve, di lombrichi, piccoli pesci ed avannotti, di materialevegetale come alghe e muschi.Riproduzione. In periodo riproduttivo i maschi ingaggiano tra loro lotte rituali per sancire il diritto all’ac-coppiamento, tuttavia ogni femmina può accoppiarsi anche con più partner. L’accoppiamento e la successi-va ovodeposizione avvengono tra giugno e settembre. Il maschio rilascia alla femmina un sacchetto di sper-ma, che viene conservato, per un tempo variabile da qualche settimana fino ad un anno, all’interno di unapposito ricettacolo seminale. La fecondazione delle uova, prodotte dalla femmina all’interno di una tascadell’addome, avviene successivamente. Lo sviluppo delle uova, circa 200 per ogni covata, è diretto e la fem-mina porta i piccoli sotto l’addome per circa due settimane, durante le quali vanno incontro a due successi-ve mute. Le uova si schiudono dopo una quarantina di giorni. I piccoli vengono trasportati e accuditi dallamadre per le prime due settimane: una volta rilasciati si riparano sotto i sassi o tra la vegetazione.Comportamento. Durante la stagione fredda è raro trovare esemplari al di fuori delle loro tane. La specie èattiva da primavera ad autunno; nei mesi estivi le fasi di attività si concentrano nelle ore dopo il tramonto. Isuoi predatori sono ratti, volpi, donnole, uccelli, ed, in passato, anche l’uomo che era solito cibarsi della suaprelibata carne.Minacce. Negli ultimi anni le popolazioni del granchio di fiume stanno subendo una notevole riduzione intutto l’areale di distribuzione e la specie è totalmente scomparsa da alcuni corsi d’acqua in cui era storicamen-te presente. Ciò è dovuto in massima parte all’impatto antropico responsabile di un’indiscriminata e illegaleraccolta a scopo alimentare nonché dell’inquinamento dei corsi d’acqua, particolarmente in vicinanza dei cen-tri abitati. Anche i cambiamenti climatici stanno contribuendo alla riduzione degli habitat della specie.

Ordine: DecapodiFamiglia: PalaemonidaeNome italiano: Caridina italianaNome scientifico: Palaemonetes antennarius (H. Milne Edwards, 1837)

Descrizione e morfologia. Piccolo crostaceo di acqua dolce di colorazione semitrasparente con scarsi croma-tofori (colorazione grigio-giallastra trasparente); è dotato di lunghe zampe sottili e di un rostro dentellato. Le fem-mine raggiungono la lunghezza massima di 4,5-5 centimetri, mentre i maschi sono più piccoli. Piccolo gamberet-to di non più di 4-5 cm di lunghezza dall’aspetto diafano, semitrasparente e caratterizzato da lunghe ed esilizampe e antenne e rostro cefalico lungo e dentellato. Vive in acque di discreta qualità risentendo molto del gradodi inquinamento e della quantità di ossigeno disciolto. Predilige il tratto inferiore dei fiumi e le zone umide conpraterie sommerse di idrofite. Dotato di insospettabile velocità, grazie a scattanti colpi di coda. Presenta un lungoperiodo di sviluppo embrionale e una fase pelagica delle larve molto breve. Diffuso in tutta Italia, presenta, però,una distribuzione localizzata a causa della selezione operata nei confronti della qualità dell’acqua.Distribuzione e habitat. La specie è presente in Italia in numerosi fiumi, lagune, laghi costieri e alcunilaghi interni, in acque calme o debolmente correnti e fondali ricchi di vegetazione. Ambiente preferito dalla

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LECCETA DI TORINO DI SANGROspecie le acque calme di laghi o del corso inferiore dei fiumi, in cui occupa le zone ricche di vegetazioneripariale. Pascola su fondali a corso lento, ricchi di vegetazione. Uno dei fattori ambientali limitanti la suadistribuzione è la temperatura, e quindi indirettamente, la latitudine. La riproduzione della specie si realizzainfatti ad una temperatura superiore ai 18-20 °C, che si deve mantenere per almeno 3-4 mesi. Oltre al pH, chedeve essere superiore a 8, anche la salinità costituisce un fattore critico per la sopravvivenza della specie,che solo per brevi periodi tollera una salinità maggiore al 20 ‰ (Dalla Via, 1986).Alimentazione. P. antennarius può potenzialmente ricoprire il ruolo di predatore all’interno della rete tro-fica. Da analisi sperimentali emerge che si ciba preferenzialmente di diete animali, mentre le diete vegetalisono scarsamente utilizzate. La specie ha inoltre dimostrato di essere un predatore molto efficiente sia neiconfronti di Chironomidi che Tubificidi. Riproduzione. La riproduzione ha luogo tra l’inizio della primavera e l’estate. Le femmine durante i mesiestivi portano le uova attaccate alle appendici addominali. Le uova, da 40 a 100, hanno un diametro di 1,2 –1,5 mm e gli embrioni escono da esse in una stato avanzato. Le larve hanno una fase pelagica molto breve;devono comunque passare attraverso 5 mutazioni prima di sviluppare l’habitus di adulto. Minacce. Un tempo diffuso in tutta Italia è ora raro da trovare, in quanto sensibile all’inquinamento dell’ac-qua. In alcune aree italiane, ad esempio in lagune dell’Adriatico settentrionale, è oggetto di attività di pescaprofessionale. Questa attività, insieme al generale deterioramento degli ecosistemi d’acqua dolce e salmastra,è causa della riduzione del numero di popolazioni della specie e della conseguente rarefazione del suo arealedi distribuzione.Gestione e interventi consigliatiReintroduzione; sospensione o limitazione del prelievo; particolare controllo o eradicazione delle popolazio-ni di specie alloctone e/o introdotte in aree non precedentemente occupate che, con la loro presenza, limita-no in qualche modo la specie; miglioramento della qualità delle acque; rinaturalizazzione di alveo e spondedi corpi d’acqua; monitoraggio dello status delle popolazioni (consistenza, struttura, patologia); definizionequalitativa delle potenzialità faunistiche del territorio, verifica della presenza di specie invertebrate; monito-raggio della qualità chimica e biologica delle acque, anche in riferimento alla ricettività per gli invertebrati;studi particolareggiati finalizzati ad individuare potenziali interventi futuri.

Ordine: ColeotteriFamiglia: CerambicidaeNome italiano: Cerambice della quercia Nome scientifico: Cerambix cerdo (Linnaeus, 1758)

Descrizione e morfologia. Insetto silofago, è uno dei rappresentanti più grandi appartenente all’ordine deiColeotteri, e raggiunge i 50 mm di lunghezza. Si distingue dagli altri Coleotteri per le antenne molto lunghe;sono comunque più lunghe del corpo nei maschi, e più ridotte nella femmina; da ciò deriva il nome di longi-corno o capricorno. Presenta una colorazione nero brunastra che si arrossa nella porzione addominale.Nonostante le grandi dimensioni, come tutti i Coleotteri, è innocuo perché non possiede alcun apparatopungitore o vele. Gli adulti sono di aspetto nero lucente e glabro ed elitre rossicce verso l’estremità distale.Le dimensioni longitudinali del corpo possono raggiungere 50 mm. Le larve sono di aspetto quasi conico edepresso. Il colore è bianco sporco o gialliccio, con il margine anteriore della placca pronotale brunastro, lezampe sono molto piccole e rudimentali. A maturità le larve possono raggiungere una lunghezza di 80 mm.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGRODistribuzione e habitat. E’ il più grosso rappresentante di questo gruppo in Europa e vive in ambiente dibosco deciduo a latifoglie, soprattutto sulle querce e in zone con vegetazione arboreo-arbustiva ben sviluppata. Alimentazione. L’adulto è fitofago e mangia il fogliame delle piante, mentre le larve si nutrono di succo o dilinfa degli alberi. Riproduzione. La femmina depone le uova nella corteccia o nelle pieghe degli alberi. Gli adulti volano alcrepuscolo nei mesi di giugno e luglio, periodo durante il quale le femmine depongono singolarmente leuova entro fessurazioni della corteccia. La larva, lunga da 2 a 4mm, nasce due settimane dopo e comincia aformare dei buchi nella corteccia morta che raggiungono anche la profondità di 2 cm alla fine dell’anno,periodo della prima muta. Le larve neosgusciate e apode rimangono per circa un anno entro la corteccia e sinutrono di succo o di linfa degli alberi. Si presentano prive di occhi composti, ma con apparato boccale nonessenzialmente diverso da quello degli adulti, con mandibole assai ben sviluppate. La larva iberna nella cor-teccia e continua a nutrirsi in primavera; verso la metà dell’anno dopo in autunno comincia a scavarsi untunnel nel floema e provoca delle fuoriuscite di linfa in questi punti; penetra così nel legno dove dà luogo acunicoli ascendenti o discendenti passando allo stadio di ninfa. Dopo una seconda ibernazione, arriva allasua massima lunghezza (7-9 cm) e cessa di alimentarsi. Nell’ultimo anno di vita preimmaginale scava, all’interno della pianta, una celletta pupale, che cementa conuna sostanza formata da una mescola di carbonato di calcio e albuminoidi, entro cui la pupa si differenzia insettembre. Qualche tempo prima dell’impupamento le larve divengono torpide, si rigonfiano, e finiscono conl’immobilizzarsi: si tratta del periodo prepupale durante il quale cominciano a prodursi quelle modificazioniinterne, che si accentueranno nel successivo periodo pupale, in cui l’animale cessa di nutrirsi.L’impupamento avviene dentro celle della pianta ospite, entro bozzoli impregnati di carbonato di calcio;dalla pupa si svolge l’adulto nel giugno successivo. La larva giunta a maturità riporta la galleria verso l’ester-no per favorire, anche con un foro nella corteccia, la fuoriuscita dell’adulto. Lo sviluppo di questo insetto dura tre anni, ma può prolungarsi anche a cinque, provocando l’essiccamentodegli alberi ospitanti. Sono i vecchi alberi solitari esposti al sole i più colpiti da questa specie. I danni provo-cati nell’albero sono fisiologici per il fatto che interrompono i tessuti conduttori dell’albero. L’adulto in gene-re sfarfalla prima dell’inverno, ma sciama dalla pianta solo nella primavera inoltrata dell’anno successivo.Comportamento. Escono durante le calde serate di giugno, subito dopo il tramonto. Durante il giorno,rimangono invisibili nei loro buchi sotto la corteccia o sulla cima degli alberi. Questi insetti escono in massadurante le calde serate di giugno, subito dopo il tramonto.

Famiglia: CurculionidaeNome italiano: -Nome scientifico: Alaocyba marcuzzii (Osella, 1977)

Non si conosce molto riguardo la biologia ed ecologia di questa specie, data anche la sua scoperta piuttostorecente.

Gestione e interventi consigliatiMantenimento o creazione di zone ecotonali (es. siepi tra i campi); protezione dei siti riproduttivi; limita-zione dei pericoli d’incendio; sospensione o limitazione del prelievo; monitoraggio dello status dellepopolazione (consistenza, struttura, patologia); definizione qualitativa delle potenzialità faunistiche del ter-

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LECCETA DI TORINO DI SANGROritorio, verifica della presenza di specie invertebrate; studi particolareggiati finalizzati ad individuarepotenziali interventi futuri.

STRATEGIE GENERALI DI CONSERVAZIONE PER GLI INVERTEBRATILe conoscenze sulla biologia e sull’ecologia degli Invertebrati terrestri in Italia sono ancora insoddisfacenti,soprattutto se ci si riferisce a scale geografiche ridotte. Questo è principalmente dovuto all’esiguo numero diesperti operanti sul territorio ed alla mancanza di ricerche effettuate seguendo metodologie e tecniche diraccolta moderne. D’altra parte un’adeguata conoscenza della diffusione delle specie (soprattutto a scalegeografiche ridotte) è fondamentale per poter prendere decisioni in campo conservazionistico. Per questo motivo è importante che la legislazione tenga conto anche delle esigenze della ricerca, evitandodi prendere misure restrittive che possano impedire o ostacolare l’acquisizione delle necessarie conoscenzesulla distribuzione e la biologia di tali invertebrati. Per giungere ad una soddisfacente protezione, sarà neces-sario andare oltre il dualismo “protezione rigorosa - creazione di zone speciali di conservazione”. In effettigran parte del territorio del nostro paese è soggetto a forme più o meno intense di disturbo (boschi cedui,aree coltivate, aree urbanizzate o turistiche) ed è difficilmente pensabile che il classico “pacchetto” di divietiprevisti da leggi nazionali e convenzioni internazionali possa avere un qualsiasi significato per le specie diInvertebrati diffuse in tali aree. Si potrebbe aggiungere alla protezione rigorosa (da riservare solo ad un limi-tato numero di specie, che siano nel contempo rare e localizzate e di interesse commerciale) ed alla prote-zione mediante creazione di zone speciali di conservazione (particolarmente indicata per specie a distribu-zione puntiforme) una terza formula di protezione, che potrebbe consistere nel richiedere forme particolariforme di gestione del territorio per certe specie (o zoocenosi). La struttura metapopolazionale che caratterizza gran parte delle specie di insetti ad esempio, richiede il per-manere di una rete di popolazioni che siano in qualche modo collegate o collegabili tra loro. In questi casi lacreazione di zone speciali di conservazione non è probabilmente sufficiente a mantenere una tale rete. Sipotrebbe allora pensare ad una politica non più basata su divieti, ma volta a favorire forme di gestione delterritorio compatibili con la sopravvivenza delle specie protette o addirittura, in certi casi, volta ad incremen-tare le popolazioni delle specie minacciate. Il ciclo vitale di molte specie di invertebrati è sufficientementebreve e la capacità riproduttiva sufficientemente elevata da rendere maggiormente plausibile (almeno nellearee meno “naturali”, quali per es. le aree urbanizzate ed agricole) una strategia di conservazione volta a favo-rire un incremento delle popolazioni tale da controbilanciare e rendere trascurabili (in termini di impattosulla popolazione complessiva) i danni provocati dalle azioni di disturbo, piuttosto che una strategia di con-servazione basata su una serie di divieti.

STRATEGIE GENERALI DI CONSERVAZIONE PER GLI INSETTIDato l’enorme numero di specie esistenti e allo stesso tempo la scarsa conoscenza delle esigenze ecologichee biologiche di molte di esse, sono stati presi in considerazione tre gruppi di Insetti maggiormente rappre-sentativi del territorio in esame:

Scarabei coprofagi. Minacciati essenzialmente dalla scomparsa dei pascoli e dall’uso di elminticidi cheavvelenano gli escrementi di cui si nutrono. E’ difficilmente pensabile di poter risolvere il problema inseren-do i coprofagi in liste di specie per le quali è vietata l’uccisione, la molestia, la cattura e la distruzione dei siti

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di riproduzione e riposo, mentre la designazione di zone speciali di conservazione potrebbe risolverlo soloin minima parte (non potendosi dichiarare “zone speciali di conservazione” tutti i pascoli esistenti in Italia).Per queste specie si potrà invece richiedere l’adozione di misure che favoriscano il permanere del pascolo,prevedendo per es. incentivi economici per chi faccia pascolare il bestiame in un certo modo ed in certi luo-ghi, e che impongano particolari controlli nell’uso di elminticidi.

Coleotteri xilofagi e saproxilici (molti dei quali sono compresi tra le specie protette rigorosamente dallaDirettiva Habitat come ad es. Cerambyx cerdo). Minacciati da forme di gestione dei boschi incompatibili coni loro cicli vitali. Anche in questo caso la protezione rigorosa è inutile e pressoché impossibile da applicareseriamente (è difficilmente immaginabile che si possano monitorare tutti i boschi italiani in modo da esseresicuri che nessun individuo venga ucciso, raccolto, molestato, ecc.), mentre la designazione di zone specialidi conservazione potrà proteggere solo una minima parte dei boschi. La soluzione migliore sarà pertanto l’a-dozione di forme di ceduazione e di gestione del bosco compatibili con la sopravvivenza dei Coleotteri dellegno.

Specie di ambienti urbanizzati (sinantropiche) molte specie protette sono più o meno sinantropiche epertanto soggette a diverse forme di disturbo, in genere difficilmente controllabili (per es. il traffico stradale,l’inquinamento luminoso e più in generale le attività umane nell’ambito cittadino). In questo caso la soluzio-ne potrà consistere nel favorire la formazione di una rete di siti idonei per la riproduzione e lo sviluppo dellespecie interessate, nelle aree verdi pubbliche e private.

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I pesci d’acqua dolce sono minacciati dalle attività dell’uomo in molte regioni del pianeta. La causa di fondoche mette a rischio la sopravvivenza delle specie, e in molti casi di intere comunità ittiche, è rappresentatadalle varie forme di antropizzazione dei sistemi idrografici che risultano particolarmente evidenti e deleterienei paesi industrializzati. Analisi compiute da diversi specialisti sullo stato di conservazione dell’ittiofauna inEuropa concordano ampiamente nelle conclusioni (vedi ad esempio Maitland, 1995 e Lelek, 1996): negli ulti-mi 50 anni è diventato sempre più tangibile il declino della maggior parte delle specie, sia in termini numeri-ci che di areale; nelle regioni più industrializzate, già negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso molti corsi d’ac-qua che prima presentavano un’alta diversità ed abbondanza di specie sono stati oggetto di consistenti dete-rioramenti e depauperamenti, culminanti spesso in estinzioni locali.Le cause ritenute responsabili di questa situazione sono le seguenti: trasformazioni dell’uso del suolo dellearee interessate dai reticoli idrografici; opere di drenaggio e canalizzazioni; trasformazione di alcuni fiumi incanali navigabili; sbarramenti trasversali dei corsi d’acqua (dighe, chiuse, traverse, ecc); prelievi eccessivi esprechi di acqua per uso industriale, agricolo e civile; realizzazione di strutture, fluttuazione delle portate escarichi di acque calde legate alla produzione di energia elettrica; scarichi industriali ed urbani; acidificazio-ne delle acque; realizzazione di impianti di piscicoltura; pesca eccessiva ed attività gestionali collegate allapesca professionale e sportiva; immissione deliberata o accidentale di specie aliene.Lo stato di conservazione dei Pesci d’acqua dolce italiani è critico. Elementi negativi per l’ittiofauna eranopresenti nei bacini di alcune province dell’Italia settentrionale già alla fine dell’Ottocento (vedi ad esempioTorossi, 1887), ma la situazione si è generalizzata e progressivamente deteriorata soprattutto nel corso dellaseconda metà del Novecento. Negli ultimi dieci anni abbiamo più volte discusso delle attività antropiche cheminacciano la nostra ittiofauna determinando perdita di biodiversità a vari livelli, con lo scopo primario dicreare attenzione intorno alle problematiche di conservazione dei pesci d’acqua dolce (Zerunian, 1992;Zerunian e Taddei, 1996a; Zerunian e Gandolfi, 1999). L’argomento è stato trattato nella sua complessità in unrecente lavoro di sintesi (Zerunian, 2002), che documenta le situazioni più critiche riguardanti popolazioni,specie e comunità ittiche. Dalle analisi emergono due aspetti principali: negli ultimi decenni molti dei pescid’acqua dolce che vivono nei fiumi e nei laghi italiani hanno subito consistenti riduzioni degli areali in segui-to a una somma di estinzioni locali; alcune delle specie endemiche corrono seriamente il rischio di estinzio-ne totale, che rappresenterebbe la perdita irreversibile di una parte preziosa del nostro patrimonio faunisti-co. C’è quindi bisogno di urgenti e concrete misure finalizzate ad invertire la tendenza negativa in atto.Gli interventi di conservazione relativi ai Pesci d’acqua dolce italiani, divenuti necessari in considerazionedell’alto grado di antropizzazione della maggior parte degli ecosistemi fluviali e lacustri del nostro paese,devono essere indirizzati in due direzioni: azioni di carattere generale che riguardano principalmente lagestione dei fiumi e dei laghi, ma anche aspetti normativi e di ricerca applicata; piani d’azione particolareg-giati per le specie a più alto rischio di estinzione. L’individuazione delle azioni di carattere generale rappre-senta una sorta di approccio “gruppo-specifico” alla conservazione; infatti alcuni tipi di intervento, riguardan-ti miglioramenti di carattere ambientale e gestionale, possano produrre vantaggi per tutti i pesci d’acquadolce e determinare un’inversione di tendenza per quanto riguarda l’erosione della biodiversità oggi in atto.

ITTIOFAUNAITTIOFAUNATommaso Pagliani

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROI piani d’azione per le singole specie, comunque urgenti e necessari, necessitano invece di approfondimentinelle conoscenze zoogeografiche, tassonomiche e bio-ecologiche, tali da consentire di affrontare in modopreciso e su basi scientifiche le situazioni più critiche.

La regione Nord-Mediterranea è particolarmente ricca di endemismi per quanto riguarda i pesci d’acquadolce: sono infatti presenti 132 specie e 97 sottospecie endemiche (Crivelli e Maitland, 1995). La gran partedi esse vive nei corsi d’acqua di pianura e nei laghi naturali, ma anche i torrenti di montagna e le risorgiverisultano importanti; al contrario, le paludi, i laghi costieri, i canali e i bacini artificiali ospitano poche specieendemiche (Crivelli, 1996). In Italia sono indigeni 48 taxa di pesci d’acqua dolce classificabili a livello di spe-cie, semispecie o sottospecie, i cui caratteri biologici ed ecologici consentono di definirli stenoalini dulcico-li, eurialini migratori obbligati o eurialini migratori facoltativi (Gandolfi e Zerunian, 1987).

Da: Zerunian S., 2003 - Piano d’azione generale per la conservazione dei Pesci d’acqua dolce italiani.Quad. Cons. Natura, 17, Min.

Ambiente - Ist. Naz. Fauna Selvatica.

Di seguito si riporta l’elenco delle specie ittiche presenti nel basso corso del fiume Sangro:

ANGUILLIFORMESAnguillidaeAnguilla anguilla (Linnaeus, 1758) Anguilla

CLUPEIFORMESClupeidaeAlosa fallax (Lacépède, 1803) Alosa o Cheppia

CYPRINIFORMESCyprinidaeRutilus rubilio (Bonaparte, 1837) RovellaRutilus erythrophthalmus Zerunian, 1982 Triotto Leuciscus cephalus (Linnaeus, 1758) CavedanoTinca tinca (Linnaeus, 1758) TincaScardinius erythrophthalmus (Linnaeus, 1758) ScardolaCyprinus carpio Linnaeus, 1758 (*) CarpaAlburnus alburnus alborella (De Filippi, 1844) Alborella Carassius carassius (Linnaeus, 1758) (*) CarassioBarbus plebejus Bonaparte, 1839 Barbo italicoCobitidaeCobitis taenia bilineata Canestrini, 1865 Cobite

SALMONIFORMESSalmonidaeSalmo (trutta) trutta Linnaeus, 1758 Trota fario e T. lacustre

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Ordine: Clupeiformi Famiglia: Clupeidae Nome italiano: CheppiaNome latino: Alosa fallax (Geoffroy, 1827) (Lacépède, 1803)

Descrizione e morfologia: l’Alosa o Cheppia (Alosa fallax) è un pesce anadromo, ossia ogni anno compiemigrazioni dal mare risalendo i fiumi per riprodursi. Ha una forma allungata e piuttosto compressa lateral-mente; La dimensione media è di 35 - 45 cm per i maschi mentre per le femmine è di 45-50 cm con punte di65-70 cm per un peso superiore ai due chilogrammi. Ha una colorazione verde-azzurra sul dorso e argentatalateralmente e sul ventre. Il profilo del ventre è pungente e presenta alcune macchie scure nella regione dor-sale anteriore ed il numero di macchie può differire sui due lati. L’occhio è dotato di una palpebra adiposatrasparente. Il corpo risulta essere compresso lateralmente e un po’ gibboso, di colore argento brillante suifianchi con tre macchie nere all’altezza della linea laterale, il dorso è verde azzurro, la bocca è obliqua e benproporzionata e raggiunge l’altezza degli occhi.

LECCETA DI TORINO DI SANGROPERCIFORMESPercidaePerca fluviatilis Linnaeus, 1758 (*) Persico reale

CentrarchidaeLepomis gibbosus Linnaeus, 1758 (*) Persico sole

BlenniidaeSalaria fluviatilis (Asso, 1801) Cagnetta

Le specie contrassegnate dall’asterisco (*) sono da considerarsi alloctone.

Si riportano le schede relative alle specie elencate nel formulario standard del Sito di ImportanzaComunitario che include la Riserva, codice IT7140107 “Lecceta litoranea di Torino di Sangro e Foce delfiume Sangro”

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROHabitat. Vive in banchi nelle acque litorali marine di tutti i mari italiani e migra nelle acque fluviali per lariproduzione, fino a raggiungere i grandi laghi; nei fiumi si mantiene in acque a corrente vivace. Alimentazione. Piccoli pesci ed invertebrati di fondo nelle acque marine; in linea generale non si alimentanelle acque dolci. Riproduzione. A partire da marzo inizia la risalita dei fiumi cercando acque correnti basse con fondali di sab-bia e ghiaia pulita. La frega avviene dall’imbrunire allorché si vedono banchi composti da centinai di individui,maschi e femmine, che spostandosi cercano il momento ed il posto propizio per la deposizione e quindi dellafecondazione delle uova, che la femmina depone in misura che varia da un minimo di 80.000 ad un massimo di200.000. La schiusa avviene pochi giorni dopo, favorita dal fatto che in questo periodo l’acqua subisce un rapi-do riscaldamento; i piccoli restano in acqua dolce sino al raggiungimento della lunghezza di 10-15 cm, dopo diche scendono al mare, seguendo gli esemplari adulti che lo hanno già fatto subito dopo la riproduzione.

Ordine: Cipriniformi Famiglia: CyprinidaeNome italiano: Barbo italicoNome scientifico: Barbo plebejus (Bonaparte, 1839)

Descrizione e morfologia. Il corpo è slanciato e robusto, fusiforme, con profilo ventrale meno arcuato deldorsale, moderatamente compresso nella regione caudale. La sezione del corpo è ovale quasi circolare. Latesta è allungata a muso cuneiforme, allungato ed appuntito. L’occhio è piccolo. La bocca è infera, protrattile,la mascella superiore prominente circondata da spesse labbra. Sono presenti due paia di barbigli. Le squamesono piuttosto piccole. La linea laterale ha andamento orizzontale. La colorazione del dorso è bruno scuro obruno verdastro; i fianchi sono giallastri o dello stesso colore del dorso, mentre il ventre è bianco o biancogiallastro. Le pinne possono essere grigio-verdastre, bruno-giallastre o bruno-verdastre, con sfumature arancia-te durante la frega. Gli adulti raggiungono la lunghezza massima di 60 cm circa ed il peso di circa 4 kg.Habitat. E’ specie autoctona; endemico del distretto Padano-Veneto, nel dopoguerra è stato introdotto, conacclimatazione, nelle acque dolci dell’Italia centrale e meridionale. E’ caratteristico del tratto medio-superioredei fiumi planiziali. E’ specie legata alle acque limpide, ossigenate, a corrente vivace e fondo ghiaioso e sab-bioso. L’habitat è talmente tipico da essere comunemente indicato come “zona del barbo”. Nei fiumi piùgrandi può spingersi notevolmente a monte, fino a sconfinare nella zona dei Salmonidi. A valle si rinvieneanche in acque moderatamente torbide purché ben ossigenate. Localmente può dividere l’habitat con altrespecie ittiche, tra cui in particolare l’alborella ed il cobite.Alimentazione. Si nutre in prevalenza di invertebrati bentonici, ma anche insetti (tricotteri plecotteri edefemerotteri) che ricerca grufolando in continuazione sul fondo, sollevandone il materiale coi robusto musoappuntito; occasionalmente può cibarsi anche di vertebrati morti. Riproduzione. Si riproduce dalla seconda metà di aprile ai primi giorni di luglio. Dopo aver formato ban-chi, risalgono la corrente in cerca di fondali ghiaiosi o pietrosi dove ha luogo la deposizione. Circa 10-20giorni dopo la nascita, le giovani larve iniziano a condurre vita libera muovendosi nella colonna d’acqua eformando spesso sciami misti con altri avannotti di ciprinidi reofili. Dopo pochi mesi i giovani barbi inizianoa condurre vita prevalentemente bentonica. Comportamento. E’ specie gregaria, specialmente in giovane età, mentre gli adulti possono sviluppare latendenza a vivere isolati.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROOrdine: PerciformiFamiglia: Blennidae Nome italiano: CagnettaNome latino: Salaria fluviatilis (Asso, 1801)

Descrizione e morfologia. La cagnetta è un pesciolino di piccola taglia con corpo allungato, lievementecompresso ai lati e posteriormente sottile. Il cagnetto misura generalmente da 10 a 12 cm, ma in alcuni casisono state osservate taglie di 15 cm. Il capo è arrotondato e robusto, con profilo anteriore obliquo; all’apicedella testa dei maschi adulti si osserva una cresta longitudinale bassa, che non raggiunge la pinna dorsale. Labocca è piccola, terminale, con labbra bene sviluppate. Sopra entrambi gli occhi sono presenti due tentacolisopraorbitali brevi, frangiati all’estremità in 3-5 filamenti; in alcuni individui adulti ed in molti giovani, i tenta-coli possono essere semplici o mancare su uno o entrambi i lati. La linea arriva fino al peduncolo caudale. Loscheletro conta da 36 a 38 vertebre. La pinna dorsale, molto lunga, raggiunge il peduncolo caudale, possiededa 12 a 14 raggi spiniformi e da 15 a 20 raggi molli e può presentare un lieve abbassamento centrale. Anchela pinna anale è molto lunga, si estende dall’apertura anale al peduncolo caudale ed è formata da 2 raggi spi-niformi e 15-20 raggi molli. La pinna caudale ha profilo nettamente convesso. Le pinne pettorali sono benesviluppate e composte da soli raggi molli. Le pinne ventrali sono piccole e collocate anteriormente allepinne pettorali. Il colore di fondo della livrea è verdastro con sfumature gialle o grigie sul dorso, i fianchisono più chiari ed il ventre è biancastro o bianco sporco tendente al giallo. I fianchi sono ornati da macchieirregolari scure, presenti anche sulle pinne, in molti casi le macchie si uniscono a formare fasce verticali sullaparte superiore dei fianchi. Sulla testa si nota una fascia chiara estesa obliquamente dall’occhio all’occipite,zona in cui si fonde a quella del lato opposto, formando una V facilmente osservabile dall’alto. La pinna analeha margine bianco, sovente orlato da punti o piccole macchie nere. L’estremità anteriore della pinna dorsaledei giovani può presentare una macchia scura.Habitat. La specie è eurialina, vive quindi sia in acque dolci, sia in acque salmastre. Il cagnetto prosperanelle acque ferme o correnti di ruscelli, fiumi e laghi, limpide e con bassi fondali formati da ciottoli piatti eda rocce ricche di anfratti, in alcuni casi si adatta anche a fondali melmosi ricchi di vegetazione acquatica.Nei laghi la specie si concentra in vicinanza degli immissari, dove trova acqua più ricca d’ossigeno. Nei fiumitende a popolare il basso corso, anche se si può rinvenire nei torrenti fino ad oltre 800 m di quota. Nelleacque salmastre è segnalata in lagune costiere a bassa salinità. Alimentazione. Si compone d’invertebrati di fondo, come anellidi, crostacei, insetti e loro larve, molluschi;occasionalmente i soggetti più grandi possono anche predare piccoli pesci. Riproduzione. La maturità sessuale viene solitamente raggiunta a circa 3 anni. La frega si svolge da aprile aluglio. Il maschio territoriale corteggia la femmina e la spinge ad entrare nella propria tana, dove avviene ladeposizione e la fecondazione delle uova. La frega si svolge varie volte ed ogni femmina può emettere da 200a 300 uova per volta. Ciascun uovo è provvisto di filamenti adesivi con i quali si ancora sotto le pietre dellatana. Il maschio sorveglia la covata per tutta la durata dell’incubazione. Uno stesso maschio può corteggiarepiù femmine e nelle covate si osservano spesso diverse deposizioni, con uova a differenti stadi di sviluppo.Le uova hanno diametro di circa 1 mm e a 20°C schiudono in circa due settimane. Alla nascita le larve sonolunghe circa 3 mm.Comportamento. Il cagnetto è moderatamente fotofobo e la sua attività si svolge in prevalenza durante leore crepuscolari e notturne. I giovani hanno abitudini gregarie, mentre gli adulti sono sedentari e territoriali.Sia i maschi, sia le femmine, cercano di conquistare un territorio individuale. Il territorio fa capo ad un anfrat-

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to che viene sorvegliato e tenuto pulito con il movimento delle pinne e del corpo in modo da creare unacorrente d’acqua diretta ad estromettere le proprie feci dalla tana; usa anche la bocca per trasportare fuoridalla tana ciottoli e frammenti di vegetali.

STRATEGIE DI CONSERVAZIONE PER I PESCILe azioni principali di tutela riguardano quelle legate al ripristino di condizioni ambientali idonee alla lorosopravvivenza. Risultano sicuramente prioritarie quelle volte al ripristino di condizioni ecologiche e la realiz-zazione di passaggi di risalita in corrispondenza degli sbarramenti. Altri interventi riguardano l’immissione diindividui geneticamente affini alle popolazioni oggetto di tutela. Si tratta però di interventi estremamentedelicati poiché le immissioni effettuate con ceppi o specie alloctone risultano tra le principali cause di decli-no di alcune specie. Azioni volte a bloccare le immissioni e la necessità di avere una maggiore regolamenta-zione della pesca sportiva risultano altri interventi suggeriti. Per alcune specie poi risulta importanteapprofondire lo stato di conoscenza, attraverso il monitoraggio delle popolazioni autoctone e specificheindagini conoscitive.Gestione e interventi: miglioramento della qualità delle acque; rinaturazione alveo e sponde dei corsi d’ac-qua; interventi sul deflusso minimo vitale dei corsi d’acqua; realizzazione passaggi di risalita in corrisponden-za di sbarramenti artificiali dei corsi d’acqua; creazione e/o mantenimento di aree di frega; monitoraggiodello status delle popolazioni; definizione qualitativa potenzialità faunistica della aree (verifica presenza spe-cie invertebrate); monitoraggio qualità chimica e biologica delle acque (anche riferita alla ricettività per gliinvertebrati); educazione ambientale e divulgazione in ambito locale e a largo raggio.

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INTRODUZIONEPremessaLa Lecceta di Torino di Sangro è Riserva Naturale Guidata, per una superficie di 170 ettari, dal dicembre del2001 in virtù della l.r. 67. Già in precedenza un’altra legge regionale (45/1979) individuava un biotopocostiero tra Fossacesia e Casalbordino, nel territorio comunale di Torino di Sangro, per complessivi 218 etta-ri. Prima ancora, nel 1971, la Società Botanica Italiana aveva individuato questo raro bosco relitto litoraneocome importante biotopo di rilevante interesse vegetazionale. All’interno del bosco, l’autore, con alcune collaborazioni, ha condotto dal 1980 al 2000 metodiche osserva-zioni (Di Tizio & Di Francesco, 2004) principalmente finalizzate a rilevare la presenza e la consistenza nume-rica della popolazione della testuggine europea comune Testudo hermanni hermanni. Sono state ancheraccolte informazioni indirette attraverso comunicazioni personali di appassionati frequentatori del bosco, inparticolare da Di Tizio S. per il periodo 1980-1990 e da Alessandrelli R., per gli anni dal 1995 a oggi. Dal 1998le ricerche sono state estese, con la preziosa collaborazione dello stesso Alessandrelli, a siti contigui ma ester-ni all’area protetta. Le osservazioni sono state compiute prima per iniziativa individuale, quindi nell’ambitodel «Progetto TESTUDO Abruzzo», attivato dal WWF nella seconda metà degli anni ‘80 e sono state integrate, apartire dal 1995, dall’attività di ricerca per l’Atlante nazionale degli Anfibi e Rettili e per il censimento dell’er-petofauna in Abruzzo (Ferri et al. 2000). Per quanto finalizzate allo studio di Testudo h. hermanni, questeosservazioni hanno consentito di rilevare e annotare anche la presenza di altra fauna erpetologica. Le infor-mazioni così raccolte sono state integralmente utilizzate, insieme ai dati più recenti appositamente rilevati,per il presente lavoro.

Oggetto, finalità e metodologia di lavoroOggetto del presente studio è la fauna erpetologica presente nella Riserva Naturale Regionale “Lecceta diTorino di Sangro”. Obiettivo è quello di avere un quadro iniziale di riferimento sulle presenze in situ, sulle emergenze faunisti-che e sulle potenzialità delle varie specie, al fine di favorire, anche attraverso successive e più dettagliatericerche, concrete azioni di tutela e di sostegno della fauna in esame.La ricerca, fatto salvo quanto già esposto in premessa, è stata svolta a campione, attraverso osservazioni sulcampo negli anni 2005 e 2006, nelle varie ore del giorno, tra primavera, estate e inizio autunno, anche attraver-so momentanee catture per l’osservazione e, ove necessario, per l’identificazione degli esemplari incontrati.

Caratteristiche ambientali della RiservaLa Riserva Naturale Guidata “Lecceta di Torino di Sangro” protegge uno dei rarissimi boschi relitti litoraneidell’Adriatico, fondamentalmente una macchia mediterranea mista, a dispetto della denominazione di “lec-ceta”, costituita esclusivamente da latifoglie. Sono presenti il leccio Quercus ilex, la roverella Quercuspubescens, il cerro Quercus cerris, il carpino orientale Carpinus orientalis, la coronilla Coronilla emerus,l’acero napoletano Acer neapolitanum, il ligustro Ligustrum vulgare e il biancospino comune Crataegus

ERPETOFAUNAERPETOFAUNALuciano Di Tizio

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGRO

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monogyna, con tratti di pregio naturalistico e paesaggistico, a differenza della gran parte dei rimboschi-menti costieri realizzati dall’uomo talora anche con specie alloctone. Si tratta di un bosco ripariale fitto epiuttosto intricato, con sottobosco denso a tal punto da rappresentare in alcuni tratti una vera barrieranonostante sia stato negli anni più volte danneggiato da una periodica “pulizia” effettuata in passato sullabase di discutibilissimi criteri di gestione e di manutenzione. Nella fascia arborea e arbustiva di più fittavegetazione è abbondante la presenza di Hedera helix (edera), Smilax aspera (smilace) e Ruscus aculea-tus (pungitopo) mentre nelle aree più aperte sono prevalenti le praterie di steppa litoranea con vaste zonedi macchia composte in prevalenza da cisto di Creta (Cistus creticus) e da lentisco (Pistacia lentiscus).Nelle zone più esterne l’azione dell’uomo è stata piuttosto invasiva con la realizzazione di costruzioni, cam-ping e piste di accesso. L’agricoltura ha inoltre a lungo assediato la lecceta anche se negli ultimi anni l’ab-bandono di alcuni campi ha favorito l’erpetofauna, in particolare, come vedremo meglio più avanti, Testudohermanni hermanni. Tra i fattori negativi dell’azione antropica vanno anche ricordati gli incendi, noninfrequenti, quasi sempre originati, dolosamente o involontariamente, dall’uomo e dalle sue attività.Il bosco è orientato verso Est in direzione del mare Adriatico, e si allarga, con ampi squarci, per oltre 4 kmsino alla foce del fiume Sangro, in direzione Nord – Nord Est. Nel perimetro della Riserva sono presenti pic-coli rigagnoli temporanei e vasche per la raccolta dell’acqua realizzate dall’uomo, in particolare nelle aree diconfine del bosco. All’interno si formano in primavera stagni temporanei che perdurano più o meno a lungoin relazione all’andamento climatico stagionale: di norma non oltre le prime settimane dell’estate, talvoltasino all’inizio dell’autunno.

L’ERPETOFAUNA DELLA LECCETA DI TORINO DI SANGROLe specie presenti nel territorioMancano studi specifici già pubblicati su Anfibi e Rettili nel territorio della Riserva Naturale Guidata “Leccetadi Torino di Sangro”, fatta eccezione per pochi lavori su Testudo h. hermanni (Di Tizio, 1991 e 2001; Di Tizio& Di Francesco, 2004) e per qualche cenno di dubbia attendibilità in pubblicazioni di promozione turistica.Il presente lavoro si propone di presentare un primo censimento delle specie di cui è stata sin qui accertatala presenza, che possa servire da punto di riferimento per ulteriori più approfondite ricerche, sia sull’interafauna erpetologica sia su singole specie o su gruppi di specie.

AmphibiaNel territorio della provincia di Chieti risultano sino a oggi segnalate12 specie di anfibi qui di seguitoelencate:

Salamandra s. gigliolii codice Shi: SALGIGSalamandrina perspicillata SALPERTriturus carnifex TRICARLissotriton (Triturus) italicus TRIITALissotriton (Triturus) vulgaris meridionalis TRIVULBombina pachypus BOMPACHyla intermedia HYLINTBufo bufo spinosus BUFBUFBufo v. viridis BUFVIR

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LECCETA DI TORINO DI SANGRORana dalmatina RANDALRana italica RANITARana sinkl. hispanica & Rana bergeri RANHIS

Tra queste solo i seguenti Anfibi Anuri sono stati direttamente osservati nel territorio della Lecceta di Torinodi Sangro:

Bufo bufo spinosus (rospo comune)Bufo v. viridis (rospo smeraldino)Rana kl. hispanica & Rana bergeri (rane verdi)Hyla intermedia (raganella)

È ipotizzabile la presenza di tritoni, e di Triturus carnifex in particolare, nelle pozze periodiche che si forma-no all’interno della Riserva e nelle vasche per la raccolta dell’acqua. La specie, non direttamente individuata dall’Autore, è stata segnalata da occasionali frequentatori del bosco.Sono auspicabili ulteriori ricerche appositamente finalizzate alla eventuale conferma di questa presenza.

ReptiliaSono diciannove, allo stato attuale delle nostre conoscenze, le specie di rettili presenti nel territorio dellaprovincia di Chieti. Le elenchiamo qui di seguito:

Emys orbicularis codice Shi EMYORBTrachemys scripta elegans (alloctona) TRASCRTestudo h. hermanni TESHERAnguis f. fragilis ANGFRAChalcides chalcides CHACHAHemidactylus t. turcicus HEMTURTarentola m. mauritanica TARMAULacerta bilineata LACBILPodarcis muralis PODMURPodarcis sicula campestris PODSICHierophis viridiflavus HIEVIRCoronella austriaca CORAUSCoronella girondica CORGIRZamenis longissimus ZAMLONElaphe q. quatuorlineata ELAQUANatrix natrix helvetica NATNATNatrix t. tessellata NATTESVipera aspis francisciredi VIPASPVipera ursinii VIPURS

Nel territorio della Lecceta o nelle aree immediatamente circostanti sono state invece personalmente osser-vate le seguenti specie:

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROPodarcis sicula campestris (lucertola comune)Podarcis muralis (lucertola muraiola)Lacerta bilineata (ramarro)Natrix natrix helvetica (biscia comune)Hierophis viridiflavus (biacco)Zamenis l. longissimus (saettone, colubro di Esculapio)Vipera aspis francisciredi (vipera comune)Testudo h. hermanni (testuggine comune)

Le seguenti specie sono state segnalate e la loro presenza viene ritenuta probabile o quanto meno possibiledall’autore:

Anguis fragilis fragilis (orbettino)Hemydactylus turcicus (geco verrucoso)Tarentula m. mauritanica (geco comune)Elaphe q. quatuorlineata (cervone)Coronella girondica (colubro di Riccioli)

ANALISI DELLE SPECIE. GEONEMIA GENERALE E STATUSNel presente paragrafo vengono prese in esame alcune tematiche riguardanti lo status, la distribuzione nelterritorio e l’habitat delle specie la cui presenza è stata accertata o ipotizzata nel territorio della Riserva onelle aree contigue.

AnfibiBufo bufo spinosus (rospo comune)GEONEMIA. Specie eurocentrasiatica-maghrebina, il rospo comune è presente ovunque in Italia esclusa laSardegna, dove tuttavia sono noti reperti fossili attribuiti a questa specie (Giacoma & Castellano, 2006). InAbruzzo è comune e uniformemente presente dal livello del mare sino ai 1817 m del lago Pantaniello,nell’Aquilano (Naviglio, 1984) in ogni tipo di ambiente costiero, collinare e montano, in acque ferme o debol-mente correnti.SITUAZIONE GENERALE. Con i suoi 10 (maschi)-18/20 (femmine) cm di taglia massima, è il più grande tra iBufonidi europei. Ben conosciuto anche dai non esperti, è tuttora abbastanza diffuso grazie alla notevolecapacità di adattarsi anche ad ambienti antropizzati. Viene frequentemente ucciso sulle strade asfaltate duran-te le migrazioni verso e dai siti riproduttivi o anche dai mezzi agricoli impegnati nei campi coltivati.SITUAZIONE NELLA RISERVA. Relativamente abbondante ai margini del bosco e nelle contigue aree coltivate o exagricole. È stato rinvenuto sia in primavera estate nelle raccolte d’acqua temporanee e perenni (adulti, adultiin accoppiamento, uova e girini), sia tra l’inizio della primavera e il tardo autunno nelle aree agricole, negliincolti e nella fascia marginale della Lecceta, individui giovani e adulti, in attività o vittime dei mezzi agricoli.La specie, come gli altri anfibi di cui di seguito di occuperemo, va tutelata evitando la distruzione e l’avvele-namento del suo habitat anche oltre il confine della Riserva, almeno in tutto il territorio di Torino di Sangroattraverso una accorta politica ambientale.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROBufo v. viridis (rospo smeraldino)GEONEMIA. Specie politipica distribuita dall’Asia minore all’Europa e all’Italia. Nel nostro Paese, dov’è presenteesclusivamente la sottospecie nominale (Bologna & Giacoma, 2006), è diffusa in tutte le regioni continentalie peninsulari, in Sardegna, in Sicilia e in numerose isole minori. Meno frequente del rospo comune, può esse-re localmente anche abbondante. In Abruzzo la sua presenza, mediamente scarsa, è stata rilevata soprattuttonelle aree costiere, in particolare in provincia di Chieti. Dal livello del mare sino intorno ai 1300 m (altitudi-ne massima per l’Italia peninsulare: 1310-1330 sui monti Simbruini, nel Lazio – Romano, 2003). SITUAZIONE GENERALE. Eurialina, con tolleranza a concentrazioni di sale sino a 20 g/l (Tripepi et al., 1999), sem-bra avere una spiccata predilezione per ambienti sabbiosi, umidi e/o asciutti. Frequente nei siti antropizzati,persino nelle aree centrali delle città, non sembra una specie in regresso. Le segnalazioni numericamentescarse in Abruzzo sono probabilmente da attribuire a carenza di ricerche oltre che alle abitudini principal-mente notturne della specie, che ne rendono talvolta difficile l’osservazione. SITUAZIONE NELLA RISERVA. Non esistono, nella Riserva e neppure in Abruzzo, dati specifici a medio e lungo ter-mine sulla specie. La sua presenza nella Lecceta, in particolare nelle aree marginali e nel territorio circostan-te, compresa l’area tra il bosco e il mare Adriatico, è certa, ma non si conosce al momento la densità di popo-lazione né sono stati compiuti studi sul suo ciclo annuale, sulla fenologia e sulla biologia riproduttiva.

Hyla intermedia (raganella)GEONEMIA. Specie endemica della regione italiana, è stata recentemente distinta da Hyla arborea (presente inItalia soltanto nel settore orientale del Friuli Venezia Giulia) sulla base di studi genetici (Nascetti et al., 1995). Èdiffusa in tutta l’Italia continentale e peninsulare (esclusa la Liguria occidentale e la Valle d’Aosta, dove potrebbeessere estinta) e in Sicilia. In Abruzzo è presente in corsi d’acqua e bacini, naturali e/o artificiali, di piccola emedia dimensione, caratterizzati da ricca vegetazione riparia, dal livello del mare sino ai 1589 m di lago Vivo.SITUAZIONE GENERALE. È una delle poche specie erpetologiche non perseguitate direttamente dall’uomo, allacui osservazione di sovente sfugge per le abitudini di vita spiccatamente arboree. Molte popolazioni sonotuttavia in regresso, in particolare negli habitat di pianura, per la bonifica delle zone umide e per l’ancoraeccessivo uso di pesticidi in agricoltura.SITUAZIONE NELLA RISERVA. Presente e abbondante nelle raccolte d’acqua periodiche che si formano abitualmen-te in primavera-estate. Di rilievo la presenza percentualmente rilevante di individui con colorazione azzurra.

Rana bergeri & Rana kl. hispanica (rane verdi)GEONEMIA. La distribuzione e la tassonomia delle rane verdi rappresenta un complesso problema tuttora irri-solto, sia per le difficoltà di riconoscere in natura le specie ibride ibridogenetiche (Rana klepton hispanica,Rana klepton esclulenta) da quelle non-ibride (Rana bergeri, Rana lessonae), sia per la presenza in Italiaanche di specie alloctone introdotte dall’uomo a scopi alimentari nel corso del ‘900 (Capula, 2006). Vengonoper questo abitualmente trattate in gruppo. In Abruzzo sarebbero presenti Rana bergeri e Rana kl. hispani-ca, con predominanza di quest’ultima, forma ibrida con una più ampia valenza ecologica, nelle aree maggior-mente antropizzate. Dal livello del mare sino, in Abruzzo, ai 1817 m del lago Pantaniello, nel Parco Nazionaled’Abruzzo, Lazio e Molise (Ferri V., 2000, com. pers.).Situazione generale. A parte le difficoltà di identificazione di cui s’è detto, le rane verdi rappresentano inAbruzzo una specie relativamente abbondante, nei più disparati ambienti, anche in zone con forte presenzadell’uomo. Le due forme sono entrambe decisamente igrofile, portandosi a terra quasi solo nella fase di laten-za (ottobre-marzo).

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROSITUAZIONE NELLA RISERVA. Presenti e relativamente abbondanti nelle raccolte d’acqua a scopo irriguo, in parti-colare sul fronte del bosco prospiciente alla costa del mare Adriatico, le rane verdi meriterebbero da partedegli studiosi una attenzione decisamente maggiore di quella avuta sino a oggi in Abruzzo, anche se questadovrebbe forse principalmente concentrarsi in altre riserve, con maggiore presenza di corpi idrici.

Triturus carnifex (tritone crestato italiano)GEONEMIA. Diffuso nell’Italia continentale e peninsulare, tranne che nelle aree particolarmente montagnose econ altitudine elevata. In alcune aree raro e localizzato, per condizioni climatiche sfavorevoli o per l’alterazio-ne dei suoi habitat (Andreone & Marconi, 2006). In Abruzzo è segnalato in tutte le province ma in maniera discontinua, forse per carenza di ricerche. Dai 40metri s.l.m. della bassa vallata del fiume Pescara, all’altezza di Chieti Scalo (oss. pers.) ai 1817 m del LagoPantaniello (Naviglio, 1984).SITUAZIONE GENERALE. Il più serio problema per la sopravvivenza di questo tritone è rappresentato dalle trasfor-mazioni ambientali che ne compromettono gli habitat e dall’uso dei pesticidi in agricoltura. SITUAZIONE NELLA RISERVA. La presenza della specie nel territorio della Riserva ha bisogno di adeguate confer-me. Se ciò dovesse avvenire sarà necessario una azione di tutela attraverso la salvaguardia delle pozze, perio-diche e non, utilizzate per la riproduzione.

RettiliLa testuggine comune Testudo h. hermanni è senza dubbio alcuno il rettile di maggiore interesse nell’ambi-to dell’erpetofauna della Lecceta di Torino di Sangro. Questa Riserva Naturale Guidata è infatti l’unico sitoabruzzese sin qui conosciuto nel quale la testuggine di Hermann è oggi presente con una popolazione vitale.La specie sarà per questo trattata a parte in un apposito paragrafo. Qui vengono invece analizzati geonemia esituazione degli altri rettili noti nell’area.

Podarcis sicula campestris (lucertola campestre)GEONEMIA. Diffusa nell’Italia continentale, in Sicilia, Sardegna e in numerose isole minori anche in Adriatico, oltreche sulle coste di Slovenia e Croazia, incluse molte isole dalmate e alcune aree del Montenegro; è stata introdot-ta in diverse aree europee, nordafricane e negli USA (Corti, 2006). La forma nominale è presente nel Sud dellaPenisola e in Sicilia, la sottospecie campestris nell’Italia continentale e centrale, Abruzzo compreso. Nella nostraregione è segnalata dal livello del mare sino a oltre 1400 m di altitudine. È stata osservata nel porto di Ortona,sul lato esterno del molo Saraceni spostarsi a nuoto tra uno scoglio e l’altro nonostante fosse possibile anche iltrasferimento diretto via terra (Di Francesco, 1993, in verbis). SITUAZIONE GENERALE. Occupa una grande varietà di ambienti e può essere certamente ritenuto il lacertidemediterraneo con le maggiori capacità di adattamento (Corti, 2006). In Abruzzo è comune e abbondante SITUAZIONE NELLA RISERVA. La lucertola campestre è largamente diffusa nell’area della Riserva e nelle campagnecircostanti. Non sembra avere bisogno di particolari e mirate iniziative di protezione.

Podarcis muralis (lucertola muraiola)GEONEMIA. Presente in buona parte dell’Europa, la lucertola muraiola è segnalata nell’Italia continentale epeninsulare ma non in Sicilia e in Sardegna. In Abruzzo è stata osservata dalla fascia collinare (300 m s.l.m.circa) sino a oltre 1500 m di altitudine.SITUAZIONE GENERALE. Specie ampiamente distribuita nelle regioni settentrionali e centrali d’Italia. In Abruzzo è

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LECCETA DI TORINO DI SANGROmeno comune rispetto a Podarcis sicula campestris, con la quale di frequente convive. Può essere prevalen-te, e spesso lo è, nelle zone a maggiore altitudine. SITUAZIONE NELLA RISERVA. Osservata con discreta frequenza in particolare negli ambienti antropizzati, anche lalucertola muraiola è presente con popolazioni abbondanti e non sembra avere al momento bisogno di parti-colari iniziative di tutela.

Lacerta bilineata (ramarro)GEONEMIA. Lo stato tassonomico dei ramarri europei è stato recentemente rivisto con la definizione di duediverse specie: Lacerta bilineata per le popolazioni dell’Europa occidentale, Lacerta viridis per quelledell’Europa orientale. In Italia è diffusa, nelle regioni continentali e peninsulari, in Sicilia e nell’isola d’Elba, Lacerta bilineata, salvouna ristretta fascia di ibridazione, al confine con la Slovenia, dove le sue specie sono a contatto. In Abruzzo èpresente dal livello del mare sino a oltre 1700 m di quota.SITUAZIONE GENERALE. Abbastanza comune in ogni tipo di ambiente, con popolazioni anche numerose, nellecampagne così come in siti oltre i 1000 m (ad es. nella zona del Valico della Forchetta), si spinge pure inambienti antropizzati. Il ramarro è protagonista di numerose leggende popolari ed è da molti, erroneamente, ritenuto velenoso eper questo temuto e ucciso. Notevolmente coraggioso, può attaccare persino l’uomo se non trova via discampo della fuga e può mordere se incautamente maneggiato, ma non è in grado di infliggere danni di unaqualche importanza.SITUAZIONE NELLA RISERVA. Non sembra particolarmente numeroso nell’area della Lecceta, mentre è più comu-ne nelle campagne circostanti e anche nella stretta vallata litoranea Adriatica oltre che nella piana del fiumeSangro.

Natrix natrix helvetica (biscia dal collare)GEONEMIA. Presente in gran parte dell’Europa, nel nostro Paese è segnalata e abbondante nelle regioni con-tinentali e peninsulari, in Sicilia e nell’isola d’Elba. In Sardegna sembra invece piuttosto rara.Complessivamente contende al biacco il primato di più diffuso serpente italiano. Dal livello del mare sinoa 2300 m sulle Alpi (Gentilli & Scali, 2006).È tra le natrici italiane quella meno legata all’acqua, ma è stata osservata anche in mare (Lanza, 1983).Frequenta una grande varietà di ambienti. Gli individui più grandi, le femmine in particolare, si allontana-no molto dall’acqua e frequentano diversi tipi di ambiente talvolta anche aridi: boschi, prati, pascoli, areerocciose e pure zone antropizzate. SITUAZIONE GENERALE. La specie in Italia è osservabile durante l’intero corso dell’anno, ma il 98% degli incon-tri avviene tra marzo e ottobre con picchi tra maggio e giugno (Gentilli & Scali, 2006). È un serpente chenon appare minacciato nei suoi aerali italiani, salvo quelli sardi, dov’è molto localizzata. Diffusa in tuttol’Abruzzo. È incapace di mordere ma per spaventare l’aggressore può sibilare e mimare un attacco; se si sente perdu-ta può fingersi morta ed è anche in grado, come arma di difesa, di emettere dalla cloaca insieme alle feciun escreto fetido che disgusta e allontana i predatori.SITUAZIONE NELLA RISERVA. Nella Lecceta è stata solo occasionalmente segnalata mentre è stata osservata nellecampagne circostanti, in località Le Morge e lungo l’intera vallata del fiume Sangro, anche nel tratto prospi-cente la Riserva.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROHierophis viridiflavus (biacco)GEONEMIA. Il biacco è diffuso in diverse regioni d’Europa e in tutta Italia: regioni continentali e peninsulari,Sardegna, Sicilia e la gran parte delle isole minori. Dal livello del mare sino a oltre 1500 m di altitudine. Ilrecord sulle Alpi è a quota 2100 metri, sull’Appennino a 1820, nella Serra Rocca-Chiarano, a nord del Lago diBarrea (Muller, 1974), in Abruzzo.SITUAZIONE GENERALE. In Italia è comune e abbondante e non sembra presentare particolari problemi di con-servazione, A livello europeo è comunque inserito tra le specie minacciate ed è salvaguardato dallaConvenzione di Berna e dalla direttiva Habitat. Di indole particolarmente battagliera, è forse il serpente piùcomune e più conosciuto in Abruzzo, dov’è presente in ogni tipo d’ambiente, persino negli incolti e nei giar-dini urbani. Con l’aumentare dell’altitudine le segnalazioni tendono a diradarsi.SITUAZIONE NELLA RISERVA. È la specie più frequentemente osservata nel territorio della Riserva, sia nelle raduree a margine dei sentieri, sia all’interno del bosco, sia nelle zone di confine e nelle campagne circostanti. Nelterritorio di Torino di Sangro è particolarmente frequente il fenotipo a dorso nero, un tempo erroneamenteritenuto una sottospecie a sé stante (H. v. carbonarius), ma sono stati osservati anche individui con la tipicacolorazione giallo-verde.

Zamenis l. longissimus (saettone; colubro d’Esculapio)GEONEMIA. Europa meridionale dai Pirenei al Mar Caspio. In Italia nelle regioni settentrionali e centrali sino alMolise e alla Campania, mentre in quelle meridionali è presente l’affine Zamenis lineatus. La sua distribuzio-ne è legata in Italia ai settori collinari e di bassa montagna (Razzetti & Zanghellini, 2006). In Abruzzo è nota almomento esclusivamente la presenza di Zamenis longissimus, nonostante specifiche ricerche, negli annipassati, tese a individuare, in particolare nelle aree più a sud della regione, eventuali esemplari della speciemeridionale.SITUAZIONE GENERALE. Sacro al dio greco e romano della medicina (rispettivamente Asclepio ed Esculapio), èquesto il serpente ritratto nelle insegne delle farmacie. In Italia sembra distribuito con buona continuità e,nonostante un comportamento alquanto elusivo e una livrea mimetica, osservato con discreta frequenza.SITUAZIONE NELLA RISERVA. Nel territorio della Riserva sono stati osservati sia giovani sia adulti. È tuttavia piùfrequente al di fuori dell’area protetta, in particolare negli incolti in prossimità dei nuclei abitati e/o delle abi-tazioni isolate.

Vipera aspis francisciredi (vipera comune)GEONEMIA. È con le sue diverse sottospecie ampiamente diffusa nell’Europa occidentale. In Italia è abbondan-te in tutto il nord, il centro e la Sicilia, nelle zone montuose e collinari, alpine e appenniniche, mentre apparein rarefazione nelle zone planiziali (Zuffi, 2006). Nel nostro Paese sono presenti tre sottospecie: Vipera aspisatra in Valle d’Aosta e Piemonte sino ai confini con Lombardia e Liguria; Vipera aspis francisciredi nell’isolad’Elba e nella vasta area che va dal nord est del Paese sino alla Campania e al Gargano, Abruzzo compreso;Vipera aspis hugyi nel resto dell’Italia peninsulare, in Sicilia e nell’isola di Montecristo (Zuffi & Bonnet,1999). In Abruzzo è diffusa in modo sparso da poche decine sino a 2000 metri di altitudine, in tutto il territo-rio regionale. Nelle aree costiere, le più densamente popolate dall’uomo, è invece probabilmente estinta cosìcome nelle zone collinari più intensamente antropizzate, con centri abitati e intensa attività agricola.SITUAZIONE GENERALE. Le popolazioni di Vipera aspis appaiono di frequente numericamente ridotte a causadelle persecuzioni cui la specie è da sempre soggetta a dispetto delle leggi (in Abruzzo la l.r. 50/1993, attual-mente in fase di revisione) che formalmente la proteggono.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROSITUAZIONE NELLA RISERVA. La sua presenza è stata segnala nelle aree marginali nel bosco e in particolare neipressi del cimitero di guerra inglese (oss. pers). Le aree a più fitta copertura arborea, per la carenza di zoneadatte al riscaldamento, appaiono poco adatte alla sua diffusione. Anche nel territorio di Torino di SangroVipera aspis francisciredi è specie temuta ben oltre la sua reale pericolosità e per questo minacciata. È con-sigliabile e auspicabile la diffusione di informazioni corrette tra la popolazione residente e i visitatori attra-verso la stampa e la diffusione di un depliant illustrato e/o di poster sul tema per ricondurre quello cheviene scorrettamente definito il “problema vipere” alle sue reali dimensioni evitando così anche le indiscrimi-nate uccisioni di serpenti che peraltro coinvolgono quasi sempre anche e soprattutto colubri innocui.

Anguis f. fragilis (orbettino)GEONEMIA. Diffuso in quasi tutta l’Europa e in alcune regioni asiatiche, Anguis fragilis è presente in Italia nelleregioni continentali e in quelle peninsulari, ma non nelle isole, né Sardegna e Sicilia né in quelle minori. InSicilia in verità è stato in passato segnalato ma la sua presenza non è confermata dalle più recenti ricerche(Zanghellini, 2006). In Abruzzo dal livello del mare sino a 1700 m di quota.SITUAZIONE GENERALE. Tipico abitante dei prati, l’orbettino soffre la rarefazione dei suoi habitat preferenziali.Appare tuttavia al momento ben diffuso nel territorio nazionale anche se le abitudini fossorie ne rendonoalquanto problematica l’osservazione. Probabilmente in Abruzzo è più diffuso di quanto le segnalazioni sinqui raccolte lascino ipotizzare.SITUAZIONE NELLA RISERVA. Mai direttamente osservato dall’autore, ma segnalato da osservatori non specializ-zati. Probabilmente presente, in particolare nelle aree marginali e all’interno del bosco. Le conoscenzesulla presenza e le abitudini di vita della specie all’interno della Riserva meritano un adeguato approfondi-mento.

Hemydactilus turcicus (geco verrucoso)GEONEMIA. Specie mediterranea, acclimatata anche in altre regioni. In Italia è presente in tutte le aree costieree in tutte le isole, con un maggior numero di popolazioni sul versante tirrenico; si spinge anche nelle areeinterne, soprattutto nell’Italia centro meridionale (Venchi, 2006). In Abruzzo è accertata la presenza in alcunipaesi della valle Peligna e nel sud della provincia di Chieti (Marina di Vasto). Non risultano al momento con-fermate le segnalazioni meno recenti relative al litorale del Pescarese.SITUAZIONE GENERALE. Altamente sinantropica, si osserva facilmente sulle abitazioni dell’uomo oltre che inambienti naturali. Nei siti in cui è segnalato è di norma abbondante. In Abruzzo, allo stato attuale delle cono-scenze disponibili, ha diffusione discontinua e localizzata.SITUAZIONE NELLA RISERVA. Mai direttamente osservato, il geco verrucoso potrebbe tuttavia essere presente. Unaipotesi che merita adeguata verifica in particolare dopo la recente casuale individuazione della specie a VastoMarina.

Tarentola m. mauritanica (geco comune; tarantola)GEONEMIA. Nelle regioni che circondano il Mare Mediterraneo, ma anche (introdotta) in alcune localitàdell’America Settentrionale e Meridionale. In Italia lungo tutte le coste, in Sardegna, Sicilia e nelle isole mino-ri. Si spinge anche all’interno, in zone caratterizzate da inverni miti, in particolare nelle regioni del centro edel sud. In alcune aree interne del Nord del Paese è stato accidentalmente introdotto ed è oggi acclimatato. SITUAZIONE GENERALE. Presente in tutte le aree antropizzate, comprese le grandi città, la specie appare in fase diespansione anche per una migliore conoscenza delle sua caratteristiche. Associato nel Medio Evo a pratiche

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROdi magia e da molti considerato orripilante e, a torto, velenoso, questo innocuo sauro è stato infatti a lungoinutilmente perseguitato, mentre oggi si tende quanto meno a tollerarlo. Non è considerata specie in perico-lo, ma le conoscenze sulla sua reale diffusione andrebbero comunque approfondite.SITUAZIONE NELLA RISERVA. La sua presenza, in particolare nelle abitazioni ai margini del bosco, è da ritenere estre-mamente probabile. Sarà importante da parte della Direzione della Riserva, organizzare ricerche mirate.

Elaphe q. quatuorlineata (cervone)GEONEMIA. Specie politipica, Elaphe quatuorlineata è una entità appenninico balcanica, distribuita oltre chein Italia (dov’è presente la sottospecie nominale) nelle regioni delle ex Jugoslavia, in Albania, Bulgaria eGrecia. Nel nostro Paese il cervone è segnalato in maniera disomogenea nelle regioni centro meridionali. È ilpiù grande tra i serpenti italiani, potendo superare i due metri di lunghezza. Principale protagonista dellafeste dei serpari, a Cocullo (AQ), è probabilmente il serpente più rappresentativo della erpetofauna abruzze-se. Nella Regione è presente oggi in maniera localizzata e con popolazioni ridotte, dal livello del mare sino acirca 1200 m.SITUAZIONE GENERALE. Poco frequente in tutti i siti in cui è presente in Italia, soffre, oltre che per le uccisionidirette, volontarie e non (traffico stradale) e per la cattura, in particolare in passato, a scopo terraristico,anche e soprattutto per le alterazioni ambientali. È protetto dalla Convenzione di Berna e dalla direttivaHabitat. Oggetto di molte leggende: tra l’altro è considerato ghiotto di latte a tal punto da cercare le culle deineonati per ingerire il latte rimasto sulle loro labbra. SITUAZIONE NELLA RISERVA. Sino a oggi mai direttamente osservato dall’autore, la specie è tuttavia segnalata indiversi siti della provincia di Chieti, per cui la sua presenza nella riserva è da ritenere possibile e comunquemeritevole di verifica.

Coronella girondica (colubro di Riccioli)GEONEMIA. Distribuzione mediterraneo-occidentale. In Italia nelle regioni nord occidentali e nella fasciaappenninica sino alla Campania e al Gargano, più comune sulla fascia tirrenica. Termoxerofila, predilige zonepietrose poste su versanti soleggiati (Razzetti & Bonini, 2006). In Abruzzo la specie è nota solo in poche sta-zioni, probabilmente anche perché elusivo e di difficile osservazione.SITUAZIONE GENERALE. Comune in alcune aree, localizzata e in declino in altre.SITUAZIONE NELLA RISERVA. In Abruzzo, allo stato attuale delle conoscenze, è specie piuttosto rara. Se la sua pre-senza nell’area della Lecceta sarà confermata, il colubro di Riccioli dovrà essere adeguatamente tutelato.

LA TESTUGGINE DI HERMANNL’emergenza erpetologica di maggiore rilievo nel territorio della Riserva è rappresentata dalla presenza diuna popolazione autoctona di Testudo hermanni hermanni Gmelin, 1789. Tale popolazione è stata tenuta sotto controllo dall’autore, insieme a Nicoletta Di Francesco e con altre colla-borazioni, in particolare nel ventennio 1981-2000 ma pure negli anni successivi. Le ricerche sono stateinquadrate anche nel “Progetto Testudo” (Pellegrini Ms, 1991) e in quelle avviate a partire dal 1995 per la rea-lizzazione di un censimento regionale dell’erpetofauna abruzzese (Ferri. et al., 2000). Ricerche che hannoconfermato la presenza oggi in Abruzzo di una unica popolazione vitale di Testudo h. hermanni, distribuitain maniera non omogenea sulle colline costiere della provincia di Chieti tra le foci dei fiumi Sangro eSinello, nel territorio del Comune di Torino di Sangro e in particolare nell’area della Riserva Naturale Guidata

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LECCETA DI TORINO DI SANGRO“Lecceta di Torino di Sangro”. Non risulta infatti allo stato attuale delle conoscenze la presenza di altre popo-lazioni nel territorio regionale. Le segnalazioni antecedenti al 1985, considerate «storiche» dalla SHI e costi-tuite soprattutto da interviste difficilmente verificabili, pur abbracciando un perimetro più ampio di quelloattuale, comprese alcune aree immediatamente a nord del fiume Sangro, sono essenzialmente concentrarenel medesimo territorio. La segnalazione relativa a Penne, nell’Atlante provvisorio della SHI (1996), è dovutainvece esclusivamente alla presenza in loco del centro di recupero e raccolta attivato, con la collaborazionedell’autore, dalla fine degli anni ‘80 presso la Riserva naturale regionale Lago di Penne, che ha preceduto epoi affiancato il più specifico centro successivamente realizzato presso la Riserva Lago di Serranella.

La presenza nel territorioIn passato più Autori hanno ignorato la popolazione abruzzese ritenendola frutto di immissioni volonta-rie e involontarie da altri territori. Esistono invece indizi se non vere e proprie prove sufficienti ad affer-mare che questa testuggine è da sempre presente nell’area della attuale riserva e si può anzi ragionevol-mente pure sostenere che un tempo anche non troppo lontano il suo aerale di diffusione era notevol-mente più esteso, anche a nord del fiume Sangro, limite ultimo settentrionale della attuale popolazione. Sono in tal senso significativi sia il nome dialettale «cistùnie» col quale in tutta l’area frentana si indica latestuggine (Pellicciotta, 1992), che ricorda una antica denominazione scientifica, sia la persistenza alme-no sino alla fine del secolo scorso, nella memoria dei più anziani, di tradizionali ricette, oggi fortunata-mente del tutto in disuso, per la realizzazione del brodo di tartaruga. Una testimonianza antica è invececonservata ed esposta nel Museo archeologico dell’Abruzzo bizantino e alto medievale di Crecchio (Ch):si tratta di una testuggine (una femmina al cui interno sono state ritrovate anche le uova) rinvenuta,insieme a diversi altri esemplari, in una cisterna, all’interno di una stratificazione riconducibile al VI seco-lo d.C.In una relazione datata 1689, Padre Benedetto Colocci, inviato in Abruzzo dalla congregazionedell’Oratorio di San Filippo di Roma per visitare l’abbazia di San Giovanni in Venere e i suoi vasti possedi-menti, si legge invece che «nella selva poco lontano da Fossacieca (oggi Fossacesia, immediatamenteconfinante con la Lecceta di Torino di Sangro, sulla riva nord del fiume) c’è abbondanza di caprii,cignali, lepri e tarterughe» (Borga, 2000). In scavi archeologici e studi recenti compiuti nella regione, tuttora in corso e in attesa di pubblicazione,sono stati invece rinvenuti resti di carapace certamente risalenti all’eneolitico - età del bronzo – e forseanche ad epoche precedenti.

Materiali e metodiIl lavoro compiuto nel ventennio 1981-2000 e successivamente pubblicato (Di Tizio & Di Francesco, 2004) èstato svolto attraverso osservazioni sul campo: controllo e identificazione delle testuggini reperite nel territo-rio, tenendo in particolare presenti i seguenti dati: specie e sottospecie, sesso, età presunta (giovani; sub-adul-ti; adulti), condizioni generali di salute. Negli anni 1985-88 è stata compiuta inoltre una marcatura non invasi-va tesa a verificare il ritmo di accrescimento (larghezza, lunghezza e altezza del carapace, peso) di alcuni gio-vani esemplari paragonato a quello di un gruppo di controllo allevato in condizioni seminaturali in un recin-to. Nel bosco sono state complessivamente compiute 406 osservazioni (media 20,3 per anno), 163 relative afemmine; 180 relative a maschi e 63 a giovani, di sesso indeterminato. Negli altri siti (undici aerali non imme-diatamente confinanti con il bosco ma comunque attigui), esplorati nel triennio 1998-2000 in collaborazioneanche con R. Alessandrelli, le segnalazioni complessive sono state 83 (media annuale 27,6) tra le quali 34

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femmine e altrettanti maschi più 15 giovani. In totale in venti anni sono state dunque compiute 489 osserva-zioni (24,4) tutte relative a Testudo h. hermanni così come qui di seguito riassunte in due tabelle:

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LECCETA DI TORINO DI SANGROQuadro distributivo, tassonomico e conservazionistico di Testudo hermanniDella testuggine di Hermann Testudo hermanni Gmelin, 1789 sono note due sottospecie:

Testudo h. hermanni Gmelin, 1789Testudo h. boettgeri Mojsisovics, 1889

In relazione all’aerale di distribuzione la prima è occidentale e la seconda orientale. In Italia è prevalente-mente diffusa Testudo h. hermanni. In alcune zone confinanti con la Slovenia, in Veneto e lungo il delta delPo è invece presente T.h.boettgeri (Ballassina, 1995). Sulla autoctonicità di molte popolazioni italiane è tutta-via difficile pronunciarsi (Bour, 1986), in particolare a causa della frequente e consistente importazione diesemplari, soprattutto dalla ex Jugoslavia, continuata certamente sino ai primi anni ‘80.La sottospecie presente in Abruzzo è Testudo h. hermanni , pure diffusa, nel territorio italiano, in Toscana,nel Lazio, in Sardegna (dove è stata probabilmente introdotta), in Molise, in Puglia, in Sicilia e, con popolazio-ni residue, in Emilia-Romagna (due siti nel delta del Po, mentre le popolazioni del ravennate sono considerateestinte dagli anni ‘70 (Mazzotti et alii, 1999), in Campania e in Calabria. La specie è stata occasionalmenteritrovata in natura anche in altre regioni; si ritiene però che si tratti di individui isolati quasi certamente intro-dotti dall’uomo (in Liguria, ad sempio; Doria & Salvidio, 1994).Nel territorio abruzzese in esame sono risultati costantemente presenti sia esemplari in età riproduttiva siagiovani di varie classi di età; nel 1998 e nel 1999 in settembre sono stati nuovamente reperiti anche esempla-ri con il «dente dell’uovo» (Di Tizio, 2001). Nel periodo oggetto della ricerca e anche oltre (dal 1981 al 2006) sono invece risultati sempre piuttosto rarigli esemplari di età avanzata, il che lascia ipotizzare una durata della vita mediamente inferiore rispetto alletestuggini allevate in cattività, oppure che la predazione antropica o l’uccisione accidentale abbiano una inci-denza maggiore sugli esemplari più anziani, forse come diretta conseguenza delle loro dimensioni.La specie è stata più frequentemente reperita in radure e ai margini del bosco nonché in campi incolti anchea forte pendenza, in aree diverse, tra loro vicine ma non contigue, e separate le une dalle altre da terreni col-tivati e strade; esemplari di testuggine comune sono stati occasionalmente rinvenuti anche tra i campi e sul-l’asfalto.Nell’ambito delle ricerche sul campo sono state annotate alcune osservazioni che si ritiene opportuno qui diseguito evidenziare: - siti ad arenaria e sabbia sembrano essere privilegiati dalla specie;- la presenza tra la vegetazione di Ficus carica e/o della acclimatata Opuntia ficus-indica e/o di

Ampelodesmos mauritanicus sembra favorire un maggiore addensamento di esemplari;- il fatto che l’erba ad alto sviluppo Ampelodesmos mauritanicus (tipica della lecceta degradata da incendi

o disboscamento) sia frequente ai margini del bosco e negli aerali circostanti colonizzati dalla specie, testi-monia una estensione in passato notevolmente maggiore del bosco e consente di ipotizzare che le popola-zioni marginali rispetto all’habitat principale siano rimaste isolate proprio a causa della riduzione dell’areaalberata;

- negli anni 1985, 1994 e 2001 sono state sorprese testuggini in deposizione già nel mese di aprile. Questo èavvenuto esclusivamente in aerali esposti a sud, bene insolati e in annate climaticamente favorevoli.

Per quanto riguarda le curve di accrescimento, cui si è già fatto cenno, elaborate con la marcatura provviso-ria con pennarello cosiddetto “indelebile” di alcuni giovani e condotte per pochi anni e relative comunque aun numero esiguo di esemplari (poco significativi dunque sul piano statistico e utili unicamente a livello

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROesemplificativo), si è evidenziato un aumento di taglia mediamente costante nei primi due anni con un«picco di accrescimento» nel terzo anno di vita. Non sono state invece rilevate differenze sostanziali tra i dati rilevati in natura e quelli del gruppo di controllo.

Fattori di minaccia e proposte per le iniziative di conservazione più urgentiLa sopravvivenza della specie nell’area della Riserva Naturale Orientata “Lecceta di Torino di Sangro” puòessere, in sintesi, messa in pericolo dalla mancanza di corridoi naturali tra i vari siti colonizzati; dalla eccessi-va antropizzazione del territorio e dalla possibile riduzione degli spazi incolti nonché dalla meccanizzazionedell’agricoltura, dagli incendi, dalla predazione naturale e umana, da attività estrattiva (cave di sabbia) presen-te in loco.La presenza della Riserva può tuttavia rappresentare una svolta di importanza determinante per la sopravvi-venza della popolazione locale di Testudo h. hermanni, già formalmente protetta, come tutti gli altri anfibi erettili abruzzesi, dalla Legge regionale 50/1993. Sarà comunque necessario operare un più accurato censi-mento delle località di presenza e delle popolazioni vitali, proteggendole adeguatamente; avviare studi ecolo-gici sulle popolazioni conosciute; sensibilizzare gli abitanti della zona; promuovere iniziative divulgative, inparticolare rivolte alle scuole. Ma l’intervento prioritario e di maggiore urgenza è rappresentato dalla individuazione di una “area di rispet-to” nella quale ricomprendere tutti i siti e le contrade di Torino di Sangro al di fuori della zona protetta neiquali la specie è tuttora presente. È stata tra l’altro individuata di frequente in terreni già agricoli e ora incol-ti, nei quali la presenza di alberi da frutta rinselvatichiti, di prati naturali e di numerosi arbusti contribuisco-no alla formazione di un habitat ideale per la specie e forniscono quanto serve per l’alimentazione.

Metodologie applicate e suggerite per la costituzione di un centro regionale di recupero e di alle-vamento della specieNell’ambito del «Progetto Testudo» varato dalla Regione Abruzzo in collaborazione con il WWF e la cooperati-va Cogecstre di Penne sono stati negli anni attivati:- un «Centro Testudo» presso la Riserva naturale regionale Lago di Penne per la raccolta e la stabulazione diesemplari di testuggine terrestre comune donati da privati o in altro modo acquisiti, ma di incerta prove-nienza. Vengono qui allevate, per fini didattici, Testudo hermanni non certamente autoctone o Testudo dialtre specie;

- un «Centro Testudo» presso la Riserva naturale regionale di Serranella (geograficamente contigua all’aeraleteatino di distribuzione della specie) dove vengono allevate anche Testudo h. hermanni sicuramenteautoctone.

Non è invece mai stato costituito un “Centro Testudo” nella Riserva della Lecceta, l’unica in cui la specie èrealmente presente. Se ne suggerisce la creazione, con l’allevamento e la riproduzione di esemplari certa-mente autoctoni, da individuare attraverso esame fenotipico e verifiche a livello genetico, senza prelievi innatura ma raccogliendo testuggini in passato sottratte all’ambiente della Lecceta e a vario titolo detenute. Siavrebbe in tal modo a disposizione un nucleo di riproduttori in grado di fornire esemplari giovani per futurereintroduzioni in natura e una sorta di “banca della specie” contro possibili riduzioni della popolazione natu-rale a seguito di incendi o altre calamità. Il “Centro Testudo” dovrà essere realizzato in sito idoneo, all’internodell’area protetta. Qui dovrà essere previsto l’allevamento degli esemplari in condizioni per quanto possibilenaturali, e con un adeguato sistema di protezione contro la predazione animale e soprattutto umana: doppiarecinzione, sorveglianza diretta con presenza costante e continua di addetti in situ, sorveglianza indiretta

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LECCETA DI TORINO DI SANGROattraverso un sistema di telecamere, sistemi di identificazione certa degli esemplari allevati per l’eventualerecupero in caso di furto o smarrimento.Nei Centro Testudo già esistenti si ritiene opportuno suggerire per la Riserva Lago di Penne, visti gli obiettiviessenzialmente didattico-divulgativi, la suddivisione delle testuggini a livello di specie e sottospecie, ciascunain un proprio recinto. Analoga soluzione potrà essere adottata nella Riserva Lago di Serranella dove le funzio-ni didattico-divulgative possono essere svolte da recinti in cui stabulare Testudo h. hermanni sulla cui pro-venienza «abruzzese» sussistano anche minimi dubbi e/o altre specie e sottospecie. A Serranella è tuttaviaconsigliabile la permanenza di un recinto riservato ad esemplari abruzzesi, maggiormente protetto dalla pre-dazione e del tutto inibito alle visite, nel quale si dovrà cercare di realizzare un habitat quanto più possibilesimile a quello naturale, secondo le linee operative già in atto. Questo “recinto riservato” dovrebbe svolgerefunzioni analoghe a quelle del Centro Testudo previsto a Torino di Sangro, rappresentando una seconda“banca della specie” per un progetto da svolgere in sinergia e in collaborazione tra le due Riserve, con rad-doppiate possibilità di successo.

PrioritàTutte le specie di anfibi e rettili presenti nella Riserva sono protette nel territorio abruzzese dalla legge regio-nale 50/1993, che ne vieta l’uccisione, la cattura e la detenzione in cattività, salvo documentate e autorizzateesigenze di studio. Gli anfibi Bufo bufo e Hyla intermedia e i rettili Testudo hermanni, Lacerta bilineata,Hierophis viridiflavus, Zamenis longissimus e Natrix natrix rientrano inoltre tra le “specie di interessecomunitario che richiedono una protezione rigorosa” (Allegato D previsto dall’articolo 1 comma 1 del D.P.R.248/97: “Regolamento di attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat natura-li e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”). Testudo hermanni è infine pure tra le specie amaggiore protezione da parte della Convenzione di Washington (CITES). Tutte queste specie, ma anche le altre indicate, dovrebbero essere tutelate con particolare solerzia nel territo-rio della Riserva, in particolare Testudo h. hermanni, proprio per il fatto che la popolazione della Lecceta edelle aree circostanti è unica in Abruzzo e tra le poche in Italia, segnatamente nella fascia Adriatica. La specieera un tempo relativamente abbondante in diversi siti della provincia di Chieti, nei quali esistono anzi segna-lazioni dirette e indirette relative anche a pochi decenni or sono (sono in proposito da verificare alcune areea nord del fiume Sangro). Oggi, purtroppo, di «abbondanza» sicuramente non si può più parlare. All’internodella Lecceta di Torino di Sangro e nelle aree contigue l’autore ritiene tuttavia, in base alle osservazioni accu-mulate negli anni, che si possa confermare l’esistenza di una popolazione vitale in grado con le sue proprierisorse, se adeguatamente protetta, di crescere sia a livello numerico sia come aerale colonizzato. Una pro-spettiva e un obiettivo che la Riserva Naturale Orientata non può e non deve farsi sfuggire.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROVenchi A., 2006. Hemidactylus turcicus (Linnaeus, 1758). In: Sindaco R., Doria G., Razzetti E. & Bernini F. (eds). Atlantedegli Anfibi e dei Rettili d’Italia / Atlas of Italian Amphibians and Reptiles. Societas Herpetologica Italica, EdizioniPolistampa, Firenze, 418-421.Zanghellini S., 2006. Anguis fragilis Linnaeus, 1758. In: Sindaco R., Doria G., Razzetti E. & Bernini F. (eds). Atlante degliAnfibi e dei Rettili d’Italia / Atlas of Italian Amphibians and Reptiles. Societas Herpetologica Italica, Edizioni Polistampa,Firenze, 426-429Zuffi M. A. L., 2006. Vipera aspis (Linnaeus, 1758). In: Sindaco R., Doria G., Razzetti E. & Bernini F. (eds). Atlante degliAnfibi e dei Rettili d’Italia / Atlas of Italian Amphibians and Reptiles. Societas Herpetologica Italica, Edizioni Polistampa,Firenze, 594-599Zuffi M. A. L. & Bonnet X. 1999. Italian subspecies of the asp viper: Vipera aspis: patterns og variability and distribu-tion. Ital. J. Zool., Modena, 66: 87-95.

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ORNITOFAUNAORNITOFAUNA

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VALUTAZIONE FAUNISTICA, PROPOSTA DI REGOLAMENTO, INTERVENTI DI TUTELA, E MONITORAGGIOAMBIENTALEIntroduzioneFinalità ed oggetto dello studioL’intero popolamento faunistico della Riserva Naturale «Lecceta di Torino di Sangro» costituisce l’oggettodella presente indagine. Uno screening preliminare ha consentito di individuare quelle specie che, allostato attuale delle conoscenze, per motivi legati alla loro conservazione o al loro interesse gestionale, sonoda considerarsi emergenze faunistiche della Riserva.Dal punto di vista faunistico la Riserva Naturale «Lecceta di Torino di Sangro» delimita un territorio caratte-rizzato dalla presenza di diverse specie ornitiche aventi particolare rilevanza conservazionistica a livellocomunitario e nazionale e pertanto formanti oggetto di tutela in riferimento alla normativa esistente inmateria (Dir. CEE 79/409, D.P.R. 357/97, e successive modifiche).

Esame critico dell’avifaunaSulla base della bibliografia esistente, delle informazioni inedite rilevate dagli Autori nel corso di sopralluo-ghi sul campo, vengono prodotti gli elenchi delle specie nidificanti e delle specie non nidificanti. Le informazioni riportate in tabella non possono essere considerate esaustive in quanto l’area è caratteriz-zata da un popolamento ornitico molto complesso, con forti variazioni stagionali ed elevata probabilità dipresenza di specie irregolari o accidentali (la Riserva è collocata lungo una delle principali rotte di migra-zione della Penisola). Soltanto in seguito ad un monitoraggio stagionale e pluriennale, condotto con metodiche specifiche per lostudio della avifauna nidificante e/o migratore, sarà possibile fornire un più accurato elenco delle presenze. Vengono approfondite le tematiche inerenti lo status e l’habitat di alcune delle specie presenti con maggiorregolarità e/o delle specie caratterizzate da particolari esigenze di tutela.

Analisi e valutazione Per ciascuna specie l’analisi dello status la valutazione delle potenzialità ambientali del territorio è statacondotta tramite le procedure sotto illustrate:1) reperimento e studio del materiale bibliografico disponibile presso amministrazioni pubbliche,

Università ed Istituti di Ricerca utile per valutare il ruolo di priorità assunto dalle diverse specie nel com-prensorio;

2) analisi della cartografia disponibile (IGM 1:25.000, Ortofotocarte 1:10.000) e confronto tra l’areale notodella specie oggetto con la collocazione geografica della Riserva Naturale;

3) svolgimento di indagini di campo, finalizzate allo studio delle componenti del popolamento che presen-tano maggior rilievo conservazionistico.

Le esigenze di tutela sono state definite sulla base delle seguenti fonti:- specie a priorità di conservazione a livello nazionale (Pinchera et al.,1997 - modificato);

Mario Pellegrini, Francesco Pinchera

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- specie con status di conservazione sfavorevole a livello europeo (BirdLife International, Tucker e Heath,1994 - modificato); - normativa comunitaria di tutela.

Livello italiano L’importanza per la conservazione a livello italiano viene definita sulla base del principio della priorità dellespecie particolarmente concentrate in Italia:11. specie a rischio di estinzione a livello globale;2. specie a rischio di estinzione nell’areale nazionale e particolarmente concentrate in Italia;3. specie a rischio di estinzione nell’areale nazionale ma non concentrate in Italia e specie a basso rischio

concentrate in Italia;4 specie a bassa rischio non concentrate in Italia;5. specie che non presentano condizioni di rischio di estinzione a livello nazionale.(5). specie per le quali si segnalano condizioni di sfavorevoli a livello regionale e/o l’esigenza di una tutela mirata;

Livello europeoVengono inoltre considerate priorità di conservazione a carattere europeo, le specie incluse nelle liste redat-te da BirdLife International:1. specie a rischio a livello globale;2. specie in difficoltà e con popolazione concentrata in Europa;3. specie in difficoltà ma con popolazione non concentrata in Europa;4. specie con popolazione concentrata in Europa, ma che non mostrano sintomi di declino o condizioni di rischio;5. specie con popolazione non concentrata in Europa e che non mostrano sintomi di declino o condizioni di rischio.

Direttive CEIn tabella sono indicate con il simbolo * le specie incluse nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE e succes-sive modifiche (91/244/CEE; 24/94/CE, C241/08/94/CE), attuata dalla L.N. 157/92. e dall’art. 3 del D.P.R.357/97 (e succ. modif.).

SPECIE ORNITICHE OSSERVATE NELLA RISERVA NATURALE «LECCETA DI TORINO DI SANGRO» E AREE LIMITROFE

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ANALISI DELLE SPECIENel presente paragrafo vengono approfondite le tematiche inerenti lo status e l’habitat di alcune delle speciepresenti con maggior regolarità e/o delle specie caratterizzate da particolari esigenze di tutela.

GAVIDAE

Nel comprensorio della Riserva è stata osservata la strolaga mezzana (Gavia artica), specie nidificante nelNord-Europa, ove sta registrando diffusi decrementi. Le misure di conservazione suggerite a livello europeo sono soprattutto orientate verso la tutela dei contin-genti nidificanti dal disturbo antropico diretto, ma viene anche indicata come prioritaria una maggiore cono-scenza della localizzazione dei siti di svernamento.

PODICIPEDIDAE

Tre specie presenti (tuffetto, svasso maggiore e svasso piccolo), osservabili durante le migrazioni sia lungo ilcorso del Sangro (in particolare presso la foce), sia nel Porto di Fossacesia (dove sono stati contati fino a 50individui di svasso maggiore).

PHALACROCORACIDAE

Cormorano (Phalacrocorax carbo)Il cormorano non si riproduce in Abruzzo, ma è presente con un contingente svernante sia lungo i corsi d’ac-qua maggiori, sia lungo la fascia costiera. I cormorani svernanti nella regione si riproducono nel Norddell’Europa, dove la specie presenta uno status favorevole, con diverse zone di nidificazione interessate daincrementi numerici. Di conseguenza il contingente svernante in Abruzzo, nell’ultimo decennio, è più cheraddoppiato. Il maggior numero di presenza si rileva tra novembre e febbraio. Alcune modificazioni ambientali di carattere antropico hanno recentemente portato dei vantaggi per la spe-cie sul litorale abruzzese. In particolare la messa in opera di scogliere artificiali frangiflutti e la creazione dimoli, che hanno trasformato diversi ambienti costieri in specchi d’acqua con caratteristiche di tipo lagunare.Nella Riserva la specie può essere osservata nell’area della foce del Sangro.

ARDEIDAE

Predatori legati agli ambienti acquatici con acque poco profonde, gli aironi vivono in diversi tipi di corpi e dicorsi d’acqua. Sono un gruppo relativamente omogeneo come morfologia e di dimensioni medio grande.L’intera famiglia è costituita da specie di rilevante interesse per il turismo naturalistico e la didattica ambien-tale, in quanto di dimensioni cospicue e di facile osservabilità. In fase di spostamento migratorio gli ardeidi tendono ad utilizzate la direttrice nord - sud delle vallate plani-ziali della fascia costiera adriatica. Durante gli inizi di autunno queste specie presentano una distribuzionetipica degli ardeidi in fase di spostamento migratorio o di erratismo post-riproduttivo, con individui o piccoligruppi lungo le principali valli fluviali o zone umide. La foce del F. Sangro rappresenta un’area di sosta collocata in posizione strategica, lungo una delle più impor-tanti rotte migratorie italiane. Per quanto concerne l’idoneità ambientale il sito presenta delle potenzialitàche potrebbero essere ottimizzate con l’applicazione di misure di ripristino ambientale.Le specie di maggior interesse conservazionistico sono rappresentate soprattutto dalle seguenti specie: nitti-cora, sgarza ciuffetto ed airone rosso. Importanti anche i contingenti di tarabusino, garzetta ed airone ceneri-no, osservabili con regolarità all’interno della Riserva (di seguito descritte a livello di specie).

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Tarabusino (Ixobrychus minutus)E’ una specie indicata nella Direttiva 79/409/CEE e successive modifiche, considerata in difficoltà nell’arealeeuropeo, ma con popolazione globale non concentrata in Europa (Tucker e Heath, 1994). La popolazione ita-liana è stimata in 1000-2000 coppie; nel periodo 1970-1990 è stata interessata da un trend leggermente nega-tivo, analogamente a quanto osservato nella maggior parte dei Paesi europei (Tucker e Heath, 1994; Meschinie Frugis, 1993).Le cause del declino sono probabilmente legate al periodo di siccità verificatosi nei quartieri di svernamentoafricani negli anni ‘70, con conseguente prosciugamento di zone umide precedentemente utilizzate e allun-gamento del tratto sahariano da attraversare (Tucker e Heath, 1994).Nella Riserva la specie è presente in maniera irregolare lungo il F. Sangro. E’ una specie legata agli ambientiripariali nelle zone umide con copertura a canneto e cespuglieti igrofili. Non necessita di ampie zone umideper la nidificazione.

Garzetta (Egretta garzetta)E’ una specie indicata nella Direttiva 79/409/CEE e successive modifiche. Il suo status generale è favorevole ela popolazione globale non è concentrata in Europa (Tucker e Heath, 1994). La popolazione nidificante inItalia (6.000-15.000 coppie in incremento nel periodo 1983-1990) costituisce un terzo della popolazioneeuropea ed è prevalentemente concentrata nella Pianura Padana (Brichetti et al., 1992). E’ presente in maniera irregolare, specialmente durante gli spostamenti migratori e di erratismo. Utilizza perl’alimentazione un varietà di ambienti, generalmente caratterizzati dalla presenza di acque basse e coperturavegetazionale (Brichetti et al., 1992).

Airone cenerino (Ardea cinerea)La popolazione nidificante in Italia è prevalentemente concentrata nella parte occidentale della PianuraPadana, mentre nella zona del delta del Po ha una distribuzione localizzata, ma in espansione. Per l’Italiapeninsulare è presente in Toscana (Castiglione della Pescaia e Lago della Penna) (Meschini e Frugis, 1993) e enelle Marche lungo la valle del fiume Esino. Questo ardeide è pressente come specie migratore nella Riserva, in particolare nell’area f luviale.L’alimentazione avviene in acque basse con vegetazione di sponda, ma diversamente da altre specie di ardei-di l’airone cenerino può cacciare con successo anche su acque relativamente profonde, utilizzando il sistemadell’aspetto su posizioni rilevate quali rami emergenti. Per il Fiume Sangro si suggerisce di effettuare eventuali operazioni di pulitura delle sponde con sistemi adimpatto ridotto:limitare lunghezza tratti da pulire in ciascun anno, effettuare una pulizia meccanica a mano, escludere il periodo riproduttivo, in caso di necessità di rimozione di piante in alveo effettuare la potatura dei rami al raglio raso delle piante.

CICONIIDAE

La cicogna (Ciconia ciconia) è una specie indicata nella Direttiva 91/241/CEE. Il suo status generale èsfavorevole, e la popolazione è concentrata in Europa (Tucker e Heath, 1994). Attualmente la specie nonnidifica in Abruzzo, dove invece compare iregolarmente durante le migrazioni. Il comprensorio dellaRiserva presenta un ambiente idoneo alla specie (vi sono alcune formazioni prative derivanti da campiabbandonati).

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THRESKIORNITHIDAE

La spatola è una specie di osservazione irregolare durante i passi. La popolazione europea sta subendo unforte declino, anche a causa del depauperamento delle zone umide di svernamento in area mediterranea. Latutela della specie è particolarmente importante anche si la presenza è limitata alla presenza temporanea dipochi esemplari, soprattutto nel periodo primaverile.

PHOENICOPTERIDAE

La foce del Sangro rappresenta un punto di sosta saltuariamente utilizzato dal fenicottero. Si tratta di presen-ze occasionali, di solito singoli individui che capitano accidentalmente lungo la costa adriatica.

ANATIDAE

Nei pressi della foce e lungo il basso corso del Sangro, sostano durante il periodo delle migrazioni e comesvernanti diverse specie di anatre. Tra queste l’unica a nidificare è il Germano reale (Anasplatyrhynchos) nei tratti meno disturbati del fiume.

ACCIPITRIDAE

Nibbio bruno (Milvus migrans)A livello globale la specie non mostra difficoltà. L’areale particolarmente ampio (la popolazione globale nonè concentrata in Europa) testimonia la notevole capacità di adattamento della specie, che in diverse aree rie-sce con successo ad occupare ambienti urbani. A livello europeo viene segnalata invece con status sfavorevo-le: il trend è un declino accentuato, in particolare nei Paesi dell’est. In Italia, che ospita meno del 5% della popolazione europea, si mantiene una popolazione tendenzialmentestabile e stimata in 700 - 1000 coppie. A livello locale la specie è presente come nidificante scarso, ma bendistribuito in tutto il territorio regionale: in particolare nelle valli abruzzesi meridionali. Recenti ricerchehanno confermato una densità media di 0,016 coppie per kmq (Pellegrini Mr., 2007). La densità storica eraprobabilmente superiore.La consistenza del contingente nidificante nella regione Abruzzo è stato stimato in 20 coppie, prevalente-mente concentrate nella parte meridionale della regione.In Abruzzo la specie è presente durante il periodo di nidificazione, in particolare intorno ai confini meridio-nali ed orientali. Oltre che lungo tutto il corso del fiume Sangro la specie viene segnalata anche nelle areepedemontane della Majella Orientale, in prossimità dei laghi di Bomba e Casoli, nelle vallati dei FiumiOsento, Treste e Sinello. E’ presente una coppia nella bassa vallata del Sangro, al limite dei confini dellaRiserva e dell’area SIC.

Nibbio reale (Milvus milvus)L’areale del nibbio reale è particolarmente ristretto (1,8 milioni kmq ca.) e la popolazione globale è relativa-mente ridotta (19.000 - 32.000 coppie- Hagemeijer e Blair, 1997). La specie è concentrata in Europa, in partico-lare nelle regioni temperate e mediterranee. A livello europeo viene segnalata con status relativamente stabile. Il contingente abruzzese ha mostrato segni di recupero, con espansioni lente e graduali verso nord-est. Laregione è anche interessata dalle presenta di dormitori di nibbi svernanti, prevalentemente concentrati inambienti di alta collina, con paesaggio rurale ben conservato e presenza di formazioni boschive di cerro d’al-to fusto, nei quali si concentrano nuclei di 20-30 individui. Recenti ricerche hanno confermato una popolazione abruzzese, concentrata nella Provincia di Chieti, di

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circa 100 coppie (non tutte regolarmente nidificanti) con una densità media di 0,064 coppie per kmq(Pellegrini Mr. 2007). Nel territorio di Torino di Sangro è presente soprattutto nella vallata dell’Osento conalcune 2 coppie nidificanti, più occasionale in quella del Sangro.

Falco di palude (Circus aeruginusus)In Italia è ormai una specie a distribuzione localizzata, anche se mantiene buoni popolazioni nidificanti in altripaesi del centro e nord Europa. Nella Riserva è osservabile di passo, soprattutto nella piana alluvionale del Sangro.

Albanella minore (Circus pygargus)L’areale della specie si estende dall’Europa occidentale alla Siberia Centrale (ca.95°E). La popolazione occi-dentale si è notevolmente ridotta a causa delle trasformazioni delle aree coltivate e della relativa meccanizza-zione (Hagemeijer e Blair, 1997). In Italia la specie viene attualmente segnalata con status relativamente stabi-le o in leggero e progressivo declino (Tucker and Heath, 1994). A livello regionale la specie è presente come nidificante nelle valli del medio ed alto Vastese e più occasio-nalmente nelle vallate dell’Aventino e del Sangro; la densità storica era superiore. La consistenza del contin-gente nidificante nella Regione Abruzzo è stato stimato in 4-10 coppie, prevalentemente concentrate nellaparte meridionale della Regione, vallate del Rio Secco, del Fiume Osento, del Fiume Sinello e di alcuniaffluenti del Trigno (Pellegrini Mr e Pellegrini Ms, 1990), più recenti segnalazioni hanno rilevato la specie nelterritorio di Guardiagrele (Pellegrini Mr. e Manzi, oss. pers.).

Albanella reale (Circus cyaneus)L’areale della specie si estende dall’Europa occidentale alla Siberia orientale. La popolazione occidentale si ènotevolmente ridotta a causa delle trasformazioni delle formazioni erbacee seminaturali e degli abbattimentidiretti (Hagemeijer e Blair, 1997). In tempi recenti la specie viene segnalata con status in accelerato declino(Tucker and Heath, 1994). Nella Riserva Naturale “Lecceta di Torino di Sangro” la specie può essere osservata durante le migrazioni pri-maverili e soprattutto autunnali (ottobre-novembre), in particolare nella aree prative.

Sparviere (Accipiter nisus)A livello globale ed europeo la specie presenta uno status favorevole (inoltre l’areale non è concentrato inEuropa). Nella Riserva la specie è presente come nidificante con almeno 2-3 coppie.

Poiana (Buteo buteo)A livello globale, europeo e nazionale la specie non è a rischio di conservazione. La popolazione non è con-centrata in Europa. Nella Riserva la specie è soprattutto presente in inverno e durante i passi, ma almeno 2coppie nidificano all’interno dell’area protetta, mentre sono presente altre nel territorio di Torino di Sangro.Possono essere osservati anche diversi individui in contemporanea; la presenza di una elevata ventosità e lamorfologia dei luoghi rendono la zona adatta all’attività di caccia della specie.

FALCONIDAE

Gheppio (Falco tinnunculus)La specie presenta uno status globale privo di elementi di rischio di estinzione. Ma a livello europeo lo statusgenerale è invece sfavorevole a causa di diffusi decrementi osservati in diverse aree geografiche (in generale cau-

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sati dalle trasformazioni dei sistemi agro-pastorali sempre più orientati verso una specializzazione produttiva).Anche in Abruzzo l’habitat della specie si sta lentamente contraendo a causa delle trasformazioni che stannointeressando l’agricoltura. E’ probabile che in tempi recenti la specie abbia subito una contrazione, che haprovocato una riduzione delle densità al livello attuale. Nel comprensorio della Riserva la specie è presentenelle aree con disponibilità di strutture atte alla nidificazione. Per la riproduzione la specie è legata ad ambienti rupestri, dal livello del mare fino a quote elevate. Le attivitàdi predazione vengono svolte quasi esclusivamente con sistemi di caccia a terra; questo falco è legato adambienti aperti, in particolare formazioni erbacee come pascoli e coltivi. Per la nidificazione utilizza affioramenti rocciosi (anche di dimensioni molto ridotte), manufatti (ruderi, viadottistradali), o vecchi nidi di corvidi. La specie presenta una notevole vulnerabilità verso gli abbattimenti illegali. Nel comprensorio non ha una densità elevata, ma è presente in modo uniforme.

Lodolaio (Falco subbuteo)A livello globale ed europeo la specie non presenta uno status sfavorevole (l’area interessa gran parte dell’e-misfero settentrionale). Lo status nazionale non presenta elementi di rischio; a livello locale è diffusa comenidificante in tutte le aree boscate sufficientemente ampie. Specie poco visibile e generalmente sotto stimata. Non sono noti valori quantitativi per l’Italia Centrale, ma èprobabile che i valori di spaziatura e densità siano relativamente bassi, rispetto alle popolazioni della bassaPadana e di alcune aree del Centro Europa (Hagemeijer e Blair, 1997). Il lodolaio è un falco tipico delle regioni a clima boreale meridionale; diffuso soprattutto nelle pianure e nelle areevallive, non è presente oltre il limite della vegetazione arborea e nelle aree steppiche senza copertura arborea.La nidificazione avviene in vecchi nidi di corvidi (generalmente gazza, Pica pica). In Abruzzo tendono adessere selezionate le aree pedemontane con bosco misto a prevalenza di specie del genere Quercus, con ele-vato livello di frammentazione ambientale. La presenza della specie nella Riserva è ben documentana ed almeno una coppia è nidificante nel settore piùcentrale dell’are boscata.

Falco cuculo (Falco vespertinus)L’areale della specie si estende dall’Europa orientale alla regione dello Yenisey e dell’alta Lena; il limite occi-dentale è costituito da alcune coppie nidificanti nelle pianure orientali dell’Austria e della Croazia(Hagemeijer e Blair, 1997). I principali contingenti nidificanti nelle nazioni poste ai margini occidentali dell’areale (Ungheria, Romania,Ucraina, Bielorussia, Russia) sono in difficoltà, ed il trend è nettamente orientato verso il declino; solo la pic-cola popolazione Bulgara sembrerebbe in crescita (Tucker and Heath, 1994).La specie non nidifica in Italia, ma è presente come specie di passo regolare (in particolare nei mesi primave-rili), e tende a fermarsi per alcuni giorni nelle aree aperte con vegetazione di tipo steppico, dove cacciainvertebrati (in particolare coleotteri e ortotteri). In alcune occasioni sono stati osservati fino a circa centoindividui insieme, in sosta nella piana alluvionale del Sangro.

PHASIANIDAE

Quaglia (Coturnix coturnix)Specie in declino in gran parte delle nazioni europee (in particolare le nazioni del centro e dell’est Europa)(Tucker and Heath,1994). L’intensificazione dell’agricoltura nelle aree di nidificazione e la degradazione

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ambientale nei quartieri di svernamento della regione del Sahel, nonché la pressione venatoria eccessivacondotta a carico della specie soprattutto lungo le rotte di migrazione (nelle isole e lungo le coste), stannotrascinando la specie in un rapido e diffuso declino (Tucker and Heath,1994). Il contingente nidificante in Italia (stimato in 5.000 – 10.000 coppie) è in decremento (Tucker andHeath,1994). Il decremento ha interessato in maniera rilevante anche i contingenti nidificanti in Abruzzo.All’inizio del secolo la specie era così abbondante da costituire fonte di reddito per diverse persone che necatturavano grandi quantità sulla costa abruzzese (De Leone, 1994). La specie è presente nella Regione Abruzzo tra i primi di aprile - fine maggio e la fine di agosto - metà settenbre.La specie nidifica nelle formazioni erbacee (colture di cereali e foraggere), soprattutto nei comprensori di pia-nura e collina. La specie è presente nel comprensorio della Riserva soprattutto durante il periodo di passo, nonsi esclude però qualche coppia nidificante nelle zone collinari più interne del territorio di Torino di Sangro. La quaglia sta subendo condizioni sfavorevoli in ogni fase del ciclo annuale: riproduzione, migrazione e sver-namento. In particolare nelle aree di riproduzione, il diffuso impiego di erbicidi nelle colture cerealicole (inparticolare erbicidi per l’eliminazione delle specie vegetali spontanee a foglia larga) riduce la diversitàambientale e la disponibilità di risorse trofiche e strutturali. L’impiego di insetticidi agisce sia direttamente(intossicazioni), sia, soprattutto, indirettamente (riduzione di risorse trofiche).

Fagiano (Phasianus colchicus)In Europa il fagiano è una specie esotica, introdotta già in epoca romana; attualmente è oggetto di allevamen-to su larga scala e di continue immissioni in aree a caccia programmata (AA.VV., 1993). La specie risulta abba-stanza diffusa in tutto il territorio ed alcune coppie riescono a riprodursi nelle aree limitrofe alla Riserva, allimite delle aree coltivate con il bosco.

RALLIDAE

Uccelli di medie e piccole dimensioni, legate agli ambienti umidi e acquatici. In Italia sono presenti i GeneriCrex, Rallus, Porzana, Gallinula, Porphyrio e Fulica. Morfologicamente caratterizzate da un corpo compat-to, schiacciato lateralmente come adattamento ad ambienti con copertura vegetazionale densa. Nelle aree disvernamento e nidificazione coprono brevi tratti in volo, alcune specie si spostano frequentemente via terra,in migrazione possono percorrere lunghi tratti (Cramp, 1980). Generalmente selettivi ed eurieci nella selezione dell’habitat, diverse specie della famiglia hanno status in dif-ficoltà, in aree del Paleartico Occidentali diversi taxa si sono estinti in tempi recenti (Cramp, 1980). Presentinella Riserva di Torino di Sangro, con diverse fenologie, le seguenti specie di rallidi: porciglione (Rallusaquaticus), gallinella d’acqua (Gallinula chloropus), folaga (Fulica atra) e schiribilla (Porzana parva). La schiribilla ed il porciglione presentano un’ecologia legata agli ambienti acquatici con presenza di copertu-ra vegetale e selezionano diversi gradienti di livello delle acque: in un transetto ideale che si sposta lungo ilgradiente ecologico di una sponda in lieve pendenza, dalla parte più asciutta fino all’acqua, troviamo dappri-ma il voltolino (presente anche all’interno di boschi ripariali), poi il porciglione (nell’area del fragmiteto) eda ultimo la schiribilla, che si muove anche sulla vegetazione galleggiante (Cramp, 1980).

Porciglione (Rallus aquaticus)E’ una specie indicata nella Direttiva 91/244/CEE. Il suo status a livello europeo è considerato favorevole e lapopolazione globale non risulta concentrata in Europa (Tucker e Heath, 1994). La popolazione italiana è statastimata in 3000-6000 coppie, con un trend negativo nel passato recente (Meschini e Frugis, 1993).

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Utilizza ambienti umidi planiziali, con sponde basse e con copertura vegetazionale diversificata, generalmen-te è legata a formazioni di Phragmites, Typha, Iris, Sparganium e Carex (Cramp, 1980). Probabilmente sele-zionati aree a mosaico con tratti leggermente allagate e tratti asciutti, con copertura a canneto e con presen-za di cespuglieto igrofilo (ad es. Salix sp.); evita generalmente la zone di vegetazione compatta priva di aper-ture (Cramp, 1980). Gli ambienti di svernamento sono i più vari. Il porciglione tende a frequentare diverse tipologie di areeumide, comprese raccolte d’acqua artificiali di vario genere, anche di piccole dimensioni. La specie non ègeneralmente molto vulnerabile al disturbo in quanto caratterizzata da comportamento schivo in tipologieambientali che ne rendono difficile l’osservazione diretta.

Schiribilla (Porzana parva)E’ una specie indicata nella Direttiva 91/244/CEE. Il suo status a livello europeo è considerato favorevole, mala popolazione globale risulta concentrata in Europa (Tucker e Heath, 1994). La popolazione italiana è statastimata in 20-80 coppie, con trend probabilmente negativo (Meschini e Frugis, 1993). Non risulta nidificantenel comprensorio in esame o in altre aree dell’Italia peninsulare (Meschini e Frugis, 1993).

GRUIDAE

Gru (Grus grus)E’ una specie indicata nella Direttiva 91/244/CEE come particolarmente protetta. Il suo status a livello euro-peo è considerato sfavorevole, la popolazione globale non risulta concentrata in Europa (Tucker e Heath,1994). La specie è presente irregolarmente durante i passi, in particolare nel periodo autunnale.

HAEMATOPODIDAE

Beccaccia di mare (Haematopus ostralegus)È una specie gregaria tipica degli ambienti costieri, in particolare legata agli ambienti intertidali. Nel com-prensorio della Riserva può essere osservata nei mesi primaverili ed autunnali, generalmente per periodirelativamente brevi, durante gli spostamenti che la specie effettua soprattutto seguendo la linea di costa.

RECURVIROSTRIDAE

Nell’area in esame risulta presente come migratore irregolare sia il Cavaliere d’Italia, che l’Avocetta. Il cavalie-re d’Italia non presenta particolari difficoltà nell’areale Europeo e non è concentrata in Europa. Gli ambientiadatti alla specie sono generalmente zone umide costiere con vegetazione scarsa o assente (Cramp, 1983), inItalia la popolazione è stata interessata a partire dagli anni ‘60 da un consistente incremento, attualmentenidifica anche in bacini artificiali con caratteristiche diverse quali saline e bacini di decantazione di zuccheri-fici (Meschini e Frugis, 1992). Negli ultimi anni alcune coppie hanno nidificato nella bassa vallata del fiumeSangro ed in particolare nella Riserva Naturale “Lago di Serranella”, ma sempre più frequentemente la specieviene osservata in diversi periodi dell’anno, nei pressi della foce e lungo il tratto fluviale.Lo status dei contingenti svernanti di Avocetta (Recurvirostra avosetta) sono stati definiti a priorità di conser-vazione (Tucker e Heath, 1994). Questa specie è stata osservata nel comprensorio solo in poche occasioni.

CHARADRIIDAE

Oltre alla pavoncella, presente come migratore e svernate nelle aree prative e a regime arativo dellaRiserva, hanno un particolare significato la presenza del corriere piccolo e, soprattutto, quella del fratino

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(specie legata alla presenza di spiagge poco disturbate, ovvero ambiente sempre più raro lungo le costeitaliane).

Corriere piccolo (Charadrius dubius)Diffuso nel medio e basso corso dei principali corsi d’acqua della Regione, dove si riproduce, e lungo lafascia costiera utilizzata durante i passi e in inverno. E’ presente come nidificante lungo il corso del FiumeSangro, nelle aree dove il greto è più ampio. All’interno del comprensorio in esame la specie è presentesoprattutto durante le migrazioni e in inverno.

Fratino (Charadrius alexandrinus)Specie tipica delle coste sabbiose dell’Europa Sud - orientale; in molti Paesi è in regresso, mentre in ItaliaFrancia e Spagna mantiene popolazioni apparentemente stabili. Nel territorio di Torino di Sangro ed in granparte dell’area costiera più meridionale della provincia di Chieti, questa specie è presente come nidificantecon diverse coppie.Tra i problemi di conservazione più rilevanti si segnala il disturbo antropico durante la nidificazione, e ilrischio elevato di distruzione dei nidi causata dalla presenza di cani vaganti. Le aree di nidificazione dellaspecie necessitano di una gestione mirata, finalizzata alla riduzione del rischio di predazione al nido e deldisturbo diretto. Anche la predazione causata dalle volpi potrebbe essere una causa di mortalità rilevante. Per evitare comple-tamente la predazione sarebbe necessaria una recinzione antintrusione, ma ciò comporta una alterazionepercettiva dell’area, con un danno di ordine paesaggistico. Le migliori aree di nidificazione per la specie sonorappresentate da lingue di sabbia isolate da bracci di acqua. Tra le misure da considerare si indicano le seguenti:controllo del randagismo canino (cattura e avviamento ai competenti canili);divieto di accesso parziale delle spiagge maggiormente utilizzate per la nidificazione durante i mesi primave-rili di nidificazione (delimitando i confini con tabelle e/o staccionate in legno);monitoraggio dei nidi per verificarne il successo riproduttivo e le cause della mortalità al nido (effettuato adistanza con l’ausilio di cannocchiale e verifica diretta soltanto al termine della stagione, per evitare di crearetracce odorose che guidino le volpi sul nido).

SCOLOPACIDAE

Famiglia composta da diverse specie di trampolieri, ordinate in 6 sottofamiglie. Il centro di diversità dellafamiglia è spostato verso le latitudini settentrionali dell’emisfero nord (Cramp, 1980). Ecologicamente legatead un’ampia varietà di ambienti umidi. Morfologicamente caratterizzati da dimensioni molto variabili, zampelunghe, becco allungato e piumaggio generalmente criptico; il volo è veloce e rettilineo, spesso in gruppinumerosi ordinati in formazioni chiuse. Le tre specie sotto elencate appartengono a tre sottofamiglie diverse,rispettivamente: Calidrinidinae, Scolopacinae e Tringinae.Diverse specie di scolpacidi con fenologie non nidificanti (migratorie e/o svernanti), sono presenti in alcuniperiodi dell’anno lungo la fascia costiera, lungo il corso del Sangro e nelle rimanenti aree alberate. Si segnalala presenza delle seguenti specie: gambecchio (Calidris minuta), piovanello (Calidris ferruginea), combat-tente (Philomachus pugnax), beccaccino (Gallinago gallinago), beccaccia (Scolopax rusticola). Moltoimportante la presenza di passo della pittima reale (Limosa limosa) e della pettegola (Tringa totanus), spe-cie a priorità di conservazione a livello europeo.

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La nidificazione del piro piro piccolo (Actitis hypoleucos) viene rilevata per il corso del Fiume Sangro, diconseguenza il tratto adiacente alla Riserva potrebbe essere frequentato anche in periodo riproduttivo.

Beccaccia (Scolopax rusticola)E’ una specie in difficoltà nell’areale europeo, in particolare per il declino delle popolazioni svernanti inFrancia e secondariamente in Italia (Tucker e Heath, 1994). La specie potrebbe essere presente come sver-nante in alcuni ambiti con vegetazione boschiva relitta presenti nella Riserva. La beccaccia sverna abitualmente in aree alberate e con presenza di acqua: sia corsi d’acqua, che pozze nelbosco. Le preferenze ambientali del periodo invernali includono anche aree coltivate con piccoli boschi osiepi, non distanti da aree di pastura quali prati permanenti (Tucker e Heath, 1994). Da un punto di vista alti-metrico lo svernamento della specie è legato ad aree boscate di latifoglie nei comparti planiziali e collinari;in modo particolare vengono utilizzate le fasce boscate in aree golenali (AA.VV., 1992). La Riserva Naturale di Torino di Sangro presenta potenzialità ambientali superiori a quelle attualmenteespresse. In particolare una corretta gestione della fascia alberata igrofila lungo le sponde del Sangro, la diver-sificazione ambientale delle aree coltivate e l’incremento delle aree con copertura boschiva autoctonadovrebbero incrementare l’idoneità del comprensorio.

Piro piro piccolo (Actitis hypoleucos)Specie comune come migratrice, presente come nidificante lungo il corso del Sangro. Può essere osservata ingruppi fino a 30 individui. Nel resto della Regione viene segnalata come nidificante nelle seguenti valli fluvia-li: Pescara, Vomano e Trigno.

LARIDAE

Diverse specie di gabbiani sono presenti lungo la fascia costiera della Riserva, ma nessuna di queste presentauna fenologia nidificante. Il gabbiano comune (Larus ridibundus) e il gabbiano reale (Larus cachinnans)possono essere rilevate anche nell’entroterra, dove riescono ad utilizzare risorse trofiche provenienti dalleattività agricole o dai depositi di materiali di rifiuto. Il gabbianello (Larus minutus), la gavina (Larus canus)e lo zafferano (Larus fuscus), sono specie meno frequenti, che possono essere osservate in ambiti più stret-tamente acquatici. In particolare il gabbianello, osservabile lungo la costa ed alla foce del Sangro, è una specie poco comune,interessata da un serio declino in gran parte del suo areale europeo (Russia, Bielorussia, Ucraina e Polonia) eda più limitati recuperi nella Penisola Scandinava e in Olanda (Tucker e Heath, 1994).

STERNIDAE

Analogamente a quanto illustrato per i gabbiani, anche tra gli sternidi non abbiamo specie nidificanti, ma l’a-rea si presta alla presenza temporanea di molte specie di sterne: sterna zampenere (Gelochelidon nilotica),beccapesci (Sterna sandvicensis), sterna comune (Sterna hirundo), fraticello (Sterna albifrons), mignattinopiombato (Chlidonias hybridus) e mignattino (Chlidonias niger). Osservato anche il mignattino alibianche(Chlidonias leucopterus).Le osservazioni possono essere effettuate soprattutto nei periodi non riproduttivi, sia lungo la costa che inprossimità della foce del Sangro. Gran parte delle specie indicate presentano seri problemi di conservazioneed hanno contingenti svernanti ridotti rispetto al passato: la causa delle diminuzioni sono state le manomis-sioni ambientali ed il disturbo antropico degli habitat costieri ed acquatici utilizzati da queste specie.

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COLUMBIDAE

Colombaccio (Columba palumbus)Specie con status favorevole a livello europeo e con areale non concentrato nel Continente (Tucker e Heath,1994). Grazie al divieto di caccia il territorio della Riserva viene utilizzato nel periodo di svernamento, manegli ultimi anni diverse coppie restano a nidificare in quasi tutta l’area boscata.

Tortora selvatica (Streptopelia turtur)E’ una specie cacciabile ai sensi della Legge 157/92. Con status mediamente sfavorevole nell’areale europeo epopolazione globale non concentrata in Europa (Tucker e Heath, 1994). La popolazione italiana è stimata in50.000-100.000 coppie, caratterizzate da un trend stabile o fluttuante (Tucker e Heath, 1994; Meschini eFrugis, 1993). Gli ambienti dell’Italia centrale, diversamente da quanto avvenuto in ampie aree europee, hanno mantenutouna discreta ricchezza di ecotoni tra bosco ed aree aperte, tipicamente selezionati dalla tortora. Il paesaggiodella pianura del Sangro ed il territorio della Riserva presenta una buona idoneità per la specie.

Tortora dal collare orientale (Streptopelia decaocto)Specie in forte espansione, con status favorevole a livello europeo e con areale non concentrato nel Continente(Tucker e Heath, 1994). E’ legata anche ad ambienti antropizzati (aree urbanizzate), non vi sono esigenze di tute-la. La specie ha recentemente colonizzato anche il comprensorio della Riserva ed aree limitrofe.

CUCULIDAE

Cuculo (Cuculus canorus)Specie parassita delle covate di diverse specie di uccelli. L’areale della specie è molto ampio: Europa, Asia eAfrica del nord-ovest. I contingenti nidificanti in Europa svernano nell’Africa trasahariana. Tra le specie più comunemente parassitate in Europa: Phoenicurus phoenicurus, Fringilla montifringilla,Motacilla alba, Erithacus rubecola, Sylvia borin, Silvia atricapilla e Lanius collurio (Hagemeijer e Blair,1997). E’ una specie abbastanza diffusa nel comprensorio in esame.

TYTONIDAE

Barbagianni (Tyto alba)Specie cosmopolita, presente in tutti i continenti (Antartico escluso), nell’areale europeo è in lieve macontinuo declino (Tucker e Heath, 1994; Hagemeijer e Blair, 1997). Il trend in Italia è nettamente orientato verso il decremento, ma non esistono informazioni per quantifica-re il fenomeno. All’inizio del secolo, in Abruzzo la specie era comunissima (De Leone, ristampa 1994); attualmente è dimi-nuita. Il comprensorio della Riserva si presenta come particolarmente idoneo alla nidificazione della spe-cie, che potrebbe avere, quale fattore limitante, la disponibilità di siti per la nidificazione. In particolare vengono utilizzati come siti di nidificazione colombaie, soffitte, campanili ed anche ruderi«coperti» (ovvero con parti di soffitto ancora presenti) e relativamente alti (molto utilizzate le torri di avvi-stamento). E’ però necessario che le finestre non siano state chiuse e che la specie non venga molestata. Non vi sono controindicazioni circa la presenza della specie all’interno di manufatti, anzi una notevoleattività di predazione viene condotta a carico di specie dei generi Rattus e Mus, commensali indesideratidell’uomo.

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STRIGIDAE

Assiolo (Otus scops)Specie con popolazione globale concentrata nell’areale europeo, dove è in declino in gran parte delle nazio-ni (Tucker e Heath, 1994). La consistenza delle popolazioni è poco conosciuta e non si hanno dati precisisulla dinamica del declino in atto. La specie presenta una distribuzione europea limitata alla regione mediter-ranea (Hagemeijer e Blair, 1997). La conservazione della specie è da considerasi particolarmente prioritaria(tab. 1).Il trend in Italia è nettamente orientato verso il decremento, ma non esistono informazioni per quantificare ilfenomeno. All’inizio del secolo, in Abruzzo la specie era descritta come comunissima: «In Abruzzo è specieestiva ed abbondante e non v’è gruppetto di querce ove a sera non si senta il suo monotono grido.» (DeLeone, ristampa 1994). La specie ha mantenuto nella Regione Abruzzo un contingente nidificante di importanza rilevante per la con-servazione nell’areale europeo, ma non è possibile, attualmente, quantificarne le proporzioni. Nelle aree valli-ve coltivate in maniera sempre più intensiva la specie è drasticamente diminuita, mentre sembrerebbe essereancora comune ai margini delle aree coltivate e nei pascoli aridi con roccia affiorante. Allo stato attuale nonsi hanno informazioni sulla consistenza del contingente nidificante all’interno della Riserva.

Civetta (Athene noctua)Specie con popolazione globale non concentrata nell’areale europeo, dove è in declino in gran parte dellenazioni (Tucker e Heath, 1994). Il trend in Italia viene descritto come stazionario, con un contingente nidificante stimato in 10.000 - 50.000coppie (Tucker e Heath, 1994). Si ha ragione di dubitare dell’ipotesi di stabilità, in quanto non congrua con ifenomeni di trasformazione osservabili sul territorio e si suppone piuttosto che la specie sia interessata daun lento ma continuo declino. La specie ha mantenuto in Abruzzo un contingente nidificante diffuso in granparte della Regione. Nelle aree vallive coltivate in maniera sempre più intensiva la specie è diminuita a causa della trasformazionedei manufatti esistenti, la persecuzione diretta e l’intensificazione degli usi agricoli. Il paesaggio abruzzese haconservato una diffusa idoneità per questa specie, grazie alla condizioni orografiche che hanno impedito ildiffondersi di una agricoltura intensiva. Rispetto all’assiolo, la civetta tollera maggiori livelli di inquinamentoed alterazione degli ambienti, ma è analogamente dipendente dalla disponibilità di cavità di nidificazione.

Allocco (Strix aluco)Lo status europeo è favorevole, ma la popolazione mondiale è concentrata in Europa. A livello nazionale laspecie dimostra una notevole vitalità, riuscendo ad adattarsi alle trasformazione antropiche meglio degli altriStrigiformi. Nella Riserva, a causa della scarsità di alberi maturi, è scarso.

Gufo di palude (Asio flammeus)Possibilità di presenza durante i passi in maniera irregolare, soprattutto in prossimità dell’alveo del Sangro.

CAPRIMULGIDAE

Famiglia composta di specie dal piumaggio criptico, di dimensioni medio - piccole di insettivori dalle abitudi-ni notturne o crepuscolari; morfologicamente adattate alla caccia in volo: ali lunghe, grandi occhi frontali,larga apertura del becco, udito sviluppato (Cramp, 1985).

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Succiacapre (Caprimulgus europaeus)E’ una specie indicata nella Direttiva 409/79/CEE e successive modifiche. E’ considerata in difficoltà nell’area-le europeo, nel quale è compresa la maggiore estensione dell’areale di distribuzione della specie, concentratain Spagna e in Russia (Tucker e Heath, 1994). La popolazione nidificante in Italia è diminuita negli ultimi decenni: attualmente è stimata in 5.000-15.000coppie, che rappresentano circa il 2% della popolazione europea (Tucker e Heath, 1994). Nel comprensoriodella Riserva la specie è presente nelle aree a vegetazione erbacea - arbustive dei contrafforti affacciati sulmare. L’ambiente di riproduzione del succiacapre è caratterizzato da una vegetazione bassa o anche su suolo conscarsa copertura. La specie è generalmente legata a condizioni di relativa aridità. La specie risponde positiva-mente alla presenza di aree umide e corsi d’acqua, in quanto vengono incrementate le disponibilità trofiche.L’impiego di biocidi in agricoltura (in particolare insetticidi) ha svolto un ruolo rilevante nella riduzionedelle popolazioni europee (Tucker e Heath, 1994). Nella dieta è inclusa una elevata componente di lepidotte-ri notturni, queste specie costituiscono una componente ambientale particolarmente sensibile ai pesticidi.

APODIDAE

Le specie di Apodidae presenti come nidificanti nella Riserva sono il rondone (Apus apus), il rondone mag-giore (Apus melba) e il rondone pallido (Apus pallidus). Entrambe le specie vengono segnalate con statusfavorevole a livello europeo, e con popolazioni globali non concentrate nel Continente (Tucker e Heath,1994).

ALCEDINIDAE

Martin pescatore (Alcedo atthis)E’ una specie indicata nella Direttiva 91/241/CEE. E’ considerata in difficoltà nell’areale europeo, nel qualenon è però compresa la maggiore estensione dell’areale di distribuzione della specie (Tucker e Heath, 1994).La popolazione nidificante in Italia è diminuita ed è attualmente stimata in 4000-8000 coppie, che rappresen-tano 4% - 9% della popolazione europea (Tucker e Heath, 1994). L’Italia costituisce anche un’area di sverna-mento delle popolazioni dei Paesi del centro-nord Europa. Il martin pescatore è un predatore di specie acquatiche, di conseguenza sia per la nidificazione che per losvernamento è legato ad ambienti acquatici. Condizioni di idoneità per la nidificazione sono la presenzaabbondante di prede (pesci di 3-7 cm di lunghezza), la presenza di diversi posatoi idonei per la caccia e pare-te ripida o verticale (anche piccola) di substrati alluvionali esposti (Cramp, 1985; Tucker e Heath, 1994). Perla nidificazione la specie scava un tunnel di 45-90 cm di lunghezza, nei substrati friabili; generalmente a 90-180 cm sopra l’acqua ma sono stati osservati casi di nidificazioni a 250 m dall’acqua (Cramp, 1985, ). La spe-cie può utilizzare anche substrati artificiali, che presentino delle caratteristiche analoghe a quelli naturali(Pinchera, 1991; Brooks e Agate, 1976).Generalmente nidifica sotto i 650 m s.l.m., presso corsi d’acqua naturali e artificiali o raccolte d’acqua divaria natura. Il martin pescatore è strettamente territoriale, il territorio della specie occupa generalmente 0,8-1,5 km di corso d’acqua, ma sono possibili cospicue variazioni di densità (Cramp, 1985). Il martin pescatore è considerato un “eccellente e facile” indicatore della salute degli ecosistemi dei corsid’acqua; la specie sembra declinare fintanto che la degradazione del bacino fluviale non viene fermata(Tucker e Heath, 1994). La specie dovrebbe essere intesa come indicatore di larga scala, ovvero a livello dibacino. In quanto effetti di densità scarsa o di assenza su parti alte del reticolo idrologico possono essere

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causati da trasformazioni sfavorevoli per la specie avvenuti in tratti ricchi di pesce del medio e basso corso,laddove la specie tende a mantenere le densità più elevate e quindi a sostenere popolazioni vitali, che riesco-no pertanto ad occupate anche affluenti minori ai limiti della idoneità per disponibilità di cibo.Nidifica nel tratto di fiume all’interno della Riserva con almeno una coppia. Nel periodo di svernamentosono stati osservati fino a 6 individui insieme nei pressi della foce.

MEROPIDAE

Famiglia composta di specie di media e piccola taglia, caratterizzate da ali lunghe, becco leggermente incur-vato, tarsi corti e coda allungata; la principale risorsa alimentare è costituita da insetti aerei, in particolareHymenoptera; diverse specie sono coloniali e scavano nidi-galleria (Cranp et al., 1985). Il gruccione è l’unicaspecie della famiglia presente in Italia.

Gruccione (Merops apiaster)E’ una specie indicata nella Direttiva 91/241/CEE. E’ considerata in difficoltà nell’areale europeo, nel qualenon è però compresa la maggiore estensione dell’areale di distribuzione della specie, concentrata in Spagnae in Russia (Tucker e Heath, 1994). La popolazione nidificante in Italia è fluttuante intorno alle 2000-4000coppie, che rappresentano 1% - 2% della popolazione europea (Tucker e Heath, 1994). La specie sverna inAfrica ed è presente su territorio italiano tra marzo e l’inizio di ottobre (Cramp, 1985). Il gruccione dipende sia dalla disponibilità di sufficienti risorse alimentari, costituite in prevalenza da imenotteri.In particolare seleziona specie di api appartenenti alla Superfamiglia Apoidea, ma anche vespe (Aculeata), tentre-dini (Siricidae e Tenthredinidae), Ichneumonidae e Formicidae (Cramp, 1985). Il popolamento di apoidei selva-tici ha subito notevoli trasformazioni, sia a causa delle trasformazioni ambientali ed dell’uso di pesticidi, sia acausa della competizione con l’ape domestica (Comba, com.pers.). Da osservazioni effettuate sulla dieta del gruc-cione, l’Apis mellifera costituisce una componente rilevante della dieta (Cramp, 1985). In Sudafrica, Algeria edEgitto gli apicoltori ritengono che i danni causati dalla specie alle popolazioni di api domestiche siano rilevanti,specialmente durante le migrazioni quando si verificano, anche se per brevi periodi, elevate concentrazioni dellaspecie (Tucker e Heath, 1994). Eventuali danni causati nelle aree senesi dovrebbero essere alquanto limitati emolto probabilmente trascurabili, in quanto la specie non forma concentrazioni particolari durante le migrazioni,mentre gli esemplari nidificanti tendono a sfruttare le risorse in maniera meno intensiva.Il gruccione nel periodo riproduttivo presenta abitudini coloniali. Le colonie sono generalmente localizzatesu pareti o anche lievi pendenze di terreno abbastanza friabile e privo di vegetazione di copertura. Nel com-prensorio la specie è particolarmente diffusa; proprio nel territorio Torino di Sangro sono stati segnalati iprimi casi di nidificazione della specie in Abruzzo. Attualmente sono presenti diverse colonie nelle ex aree dicava di arenaria limitrofe ai confini della Riserva e che si affacciano sui versanti della vallata dell’Osento.

CORACIIDAE

Famiglia composta da specie insettivore; morfologicamente caratterizzato da una colorazione vivace (special-mente azzurro brillante) e da un becco robusto; la caccia viene effettuata generalmente da posatoio, le predesono spesso catturate a terra (Cramp, 1985). Unica specie presente in Italia è la ghiandaia marina.

Ghiandaia marina (Coracias garrulus)E’ una specie indicata nella Direttiva 91/241/CEE. E’ considerata in difficoltà nell’areale europeo, nel qualenon è però compresa la maggiore estensione dell’areale di distribuzione della specie, concentrata in Spagna

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e in Russia (Tucker e Heath, 1994). La popolazione nidificante in Italia è fluttuante intorno alle 300-500 cop-pie, che rappresentano 0,3% - 1% della popolazione europea (Tucker e Heath, 1994). In declino talora rapidoin quasi tutti i Paesi europei, estinta in Svezia viene difesa con progetti speciali in Austria dove rimangono 8coppie (Tucker e Heath, 1994).La specie sverna in Africa ed è presente su territorio italiano tra marzo e settembre (Cramp, 1985). Sono stateavanzate ipotesi legate al clima per spiegare una parte del grande regresso di questa specie in Europa(Cramp, 1985), diversamente Tucker e Heath (1994) osservano come manchi una correlazione tra fenomeniclimatici ed il regresso della specie nel centro dell’areale europeo, avanzando quindi ipotesi legate alle tra-sformazioni ambientali operate dall’uomo.La ghiandaia marina è presente durante i passi, mentre ne è stata recentemente rilevata la nidificazione nellavallata del Trigno.

UPUPIDAE

Upupa (Upupa epops)Lo status europeo è favorevole e la popolazione mondiale non è concentrata in Europa. La specie non pre-senta particolari priorità di conservazione, anche se a livello locale presenta contingenti in lento declino acausa delle trasformazioni degli ambienti rurali e della distruzione degli alberi maturi. La specie, che rientra tra quelle protette ai sensi della L.N. 157/92, nidifica soprattutto in cavità, sia in albero,sia in manufatto. Per la conservazione dei siti di nidificazione devono essere previsti sistemi di tutela dellealberature campestri. Di recente è stato rilevato un sito di nidificazione sulle pareti di arenaria delle ex cavedove nidificano i gruccioni.

PICIDAE

Famiglia di specie specializzate per gli ambienti arborati; generalmente insettivori, con notevoli variazionialla regola. La Famiglia è suddivisa in tre Subfamiglie, due delle quali presenti in Italia: Jynginae e Picinae. Gli Jynginae comprendono, per l’Italia, il solo il torcicollo, Jynx torquilla, specie di picchio arcaico, menospecializzato e piumaggio generalmente criptico. I Picinae (tutte le altre specie) presentano la morfologiatipica dei picchi: becco lungo e robusto, zampe con due dita rivolte all’indietro (piede “zigodattilo”) e linguaestroflettibile (Cramp, 1985).

Torcicollo (Jynx torquilla)E’ considerato in difficoltà nell’areale europeo, nel quale non è però compresa la maggiore estensione dell’a-reale di distribuzione (Tucker e Heath, 1994). La popolazione nidificante in Italia è in declino ed è stimata intorno alle 20.000 - 40.000 coppie, che rappre-sentano 4% - 6% della popolazione europea (Tucker e Heath, 1994). Nei Paesi europei che ospitano alcunedelle più ampie popolazioni, tra cui Italia, Germania e Francia, si sono verificate diminuzioni(1970-1990),mentre in Russia resta stabile la più grande popolazione della specie in Europa (Tucker e Heath, 1994). In Abruzzo è presente in gran parte del territorio (Meschini e Frugis, 1993), ma le densità attuali potrebberoessere decisamente inferiori rispetto al passato. Gli ambienti frequentati dalla specie sono boschi aperti con suolo accessibile, margini di bosco, fasce riparia-li, aree tagliate o bruciate, giardini, aree con coltivi tradizionali arborati o seminativi arborati (Cramp, 1985).La specie non è molto diffusa nel comprensorio, a causa della meccanizzazione delle attività agricole che hainteressato tutte le aree collinari e costiere della regione.

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Picchio verde (Picus viridis)Il picchio verde sta diminuendo in ampie porzioni del suo areale europeo nel quale è concentrato la maggiorparte dell’areale di specie (Tucker e Heath, 1994). Si stima che in Italia il trend sia stazionario e che nidifichi-no tra le 5.000 e le 10.000 coppie, ovvero tra 0,5 e 1,5 % della popolazione europea (Tucker e Heath, 1994;Meschini e Frugis, 1993). La specie dipende sia dalla disponibilità di alberi sufficientemente grandi per la nidificazione, sia dalla dispo-nibilità di ambienti di caccia idonei, utilizzati soprattutto per la ricerca a terra di Formicidae. Il picchio verdeviene danneggiato dall’impiego di biocidi. La nidificazione avviene in cavità scavate su tronco di albero, generalmente specie a legno tenero o su piantein decadimento. Può scavare anche su piante a legno duro, ma predilige per lo scavo le specie dei generiPopulus e Salix (Pinchera, 1997). Il picchio verde è territoriale (analogamente agli altri appartenenti alla Famiglia dei Picidae), di conseguenzale popolazioni presentano un pattern disperso sul territorio.

Picchio rosso maggiore (Picoides major)Lo status europeo è favorevole e la popolazione globale non è concentrata in Europa. Anche il picchio rosso maggiore scava preferibilmente su alberi a legno tenero o in decadimento, ma riesce autilizzare anche alberi a legno duro (Quercus cerris) e resinose (Abies alba e Pinus nigra)(Pinchera, 1997).

Picchio rosso minore (Picoides minor)Specie con status di conservazione favorevole a livello europeo, e popolazione globale non concentrata nelcontinente. La specie necessita di una quota elevata di legno in disfacimento, sia piante intere che parti di esse. Tale risor-sa è più diffusa nelle alberature non gestite intensivamente. La specie in particolare viene osservata nellealberatura a salice e pioppo lungo il corso del Sangro.

ALAUDIDAE

Nella Riserva si rileva la presenza nidificante della allodola (Alauda arvensis) e della cappellaccia (Galeridacristata). A queste si aggiunge la presenza come nidificanti possibili della calandra (Melanocorypha calan-dra) e della calandrella (Calandrella brachydactyla).Per la cappellaccia e l’allodola vengono segnalati decrementi in gran parte dell’areale europeo negli ultimiventi anni (Tucker e Heath, 1994). Entrambe le specie utilizzano in maniera diffusa le formazioni erbaceeartificiali (in particolare colture cerealicole): l’intensificazione dell’agricoltura ha ridotto l’idoneità ambienta-le nelle aree di fondovalle. L’impiego di prodotti di sintesi comporta effetti sfavorevoli sulle densità dientrambe le specie.

HIRUNDINIDAE

Le specie di Hirundinidae presenti nel comprensorio sono la rondine (Hirundo rustica) e il balestruccio(Delichon urbica). Mentre il balestruccio presenta una popolazione globale stabile e non concentrata inEuropa (Tucker e Heath, 1994), la rondine ha subito diminuzioni consistenti in diverse parti dell’areale euro-peo. Nel comprensorio in esame mantiene un presenza come specie nidificante. Presente di passo il Topino(Riparia riparia) specie tipica dei comprensori planiziali.

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MOTACILLIDAE

Tra le specie di Motacillidae, il calandro (Anthus campestris) viene segnalato come specie in declino, con popola-zione globale stabile non concentrata in Europa (Tucker e Heath, 1994). Le sue popolazioni hanno subito ampiediminuzioni in diversi Paesi europei, con particolare riferimento alla Spagna e all’Italia (Tucker e Heath, 1994).Il calandro è una specie inclusa nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE per la difesa dell’avifauna europea.Una più approfondita conoscenza sulla biologia della specie e le sue interazioni con gli usi agro-silvo-pastora-li potrebbero fornire indicazioni sulle eventuali esigenze di tutela.

TROGLODYTIDAE

Lo scricciolo (Troglodytes troglodytes) è l’unica specie della Famiglia. Le popolazioni della specie sono diffu-se e non presentano esigenze particolari di conservazione.

PRUNELLIDAE

Per la Famiglia dei Prunellidae non vengono segnalati taxa con status sfavorevole a livello europeo o nazio-nale e presenti nella Riserva.

TURDIDAE

Due specie di Turdidi presenti nel comprensorio, presentano uno status di conservazione sfavorevole a livel-lo europeo: saltimpalo (Saxicola torquata) e passero solitario (Monticola solitarius).Le specie citate sono tipiche di ambienti aperti o semiaperti, ben strutturati (alberi, cespugli, manufatti, rupi,edificato storico). Il saltimpalo è legato alle aree rurali aperte, con formazioni erbacee poco disturbate, men-tre il passero solitario agli ambienti rupestri ed alle aree edificate con tipologie costruttive tradizionali. Per entrambe il passero solitario sono opportune indagini specifiche, in quanto le cause del declino a livelloeuropeo non sono completamente note e potrebbero evidenziarsi elementi nuovi per specifiche azioni ditutela (Tucker e Heath, 1994).

SYLVIDAE

La Famiglia dei Silvidi è presente nel comprensorio della Riserva con un numero relativamente elevato dispecie. Il progressivo recupero spontaneo dei soprassuoli delle falesie a picco sul mare hanno contribuito adun progressivo incremento dei contingenti presenti. Un ripristino dei soprassuoli vegetali autoctoni, tramitel’adozione di misure specifiche, potrebbe avere effetti favorevoli per i silvidi. Tra le specie nidificanti nel comprensorio della Riserva si segnalano le seguenti specie: usignolo di fiume(Cettia cetti), beccamoschino (Cisticola juncidis), canapino (Hippolais polyglotta), sterpazzola di Sardegna(Sylvia conspicillata), sterpazzolina (Sylvia cantillans), occhiocotto (Sylvia melanocephala) e sterpazzola(Sylvia communis). Per la cannaiola (Acrocephalus scirpaceus) e la magnanina (Sylvia undata), la nidificazione all’interno della Riservaè possibile: l’eventuale presenza della magnanina potrebbe essere considerata una importante priorità di conserva-zione per il comprensorio costiero in esame, in quanto la popolazione italiana rappresenta uno dei capisaldi dellaspecie, che è attualmente interessata da un declino rapido e diffuso (in particolare nella Penisola Iberica).

MUSCICAPIDAE

Tra questi si segnala la presenza del pigliamosche, specie in moderato declino (Tucker e Heath, 1994), anchese la popolazione italiana presenta condizioni di stabilità. Alcune trasformazioni agro-silvo-pastorali tendono

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a sfavorire la specie, mentre le aree ad urbanizzazione diffusa tendono ad essere colonizzate. Non si suggeri-scono interventi sulla specie.

AEGITHALIDAE

La Famiglia degli Aegithalidae è rappresentata dal solo codibugnolo (Aegithalos caudatus), che non presen-ta priorità di conservazione o di gestione.

PARIDAE

Nella Riserva sono presenti come nidificanti due specie di Paridi: cinciarella (Parus caeruleus) e cinciallegra(Parus major). Per nessuna delle specie citate vengono rilevate emergenze di conservazione e/o di gestione,a livello italiano o europeo.

SITTIDAE

Per la Famiglia degli Sittidae e rappresentata dal solo picchio muratore (Sitta europaea), specie che non pre-senta particolari priorità di conservazione. Per contro il picchio muratore presenta un interesse gestionale edidattico per la sua stretta dipendenza dalle cavità di Picinae, che utilizza per la nidificazione dopo averristretto il foro di ingresso con del fango (da cui il nome «muratore»).

CERTHIDAE

Nella Riserva è presente come nidificanti una sola specie di Certhidae: rampichino (Certia brachydactyla). Perla specie citata non vengono rilevate emergenze di conservazione e/o di gestione, a livello italiano o europeo.

REMIZIDAE

La Famiglia dei Remizidae è rappresentata dal solo pendolino (Remiz pendulinus), presente come nidifican-te lungo tutto il basso corso del fiume Sangro, ma si tratta di una specie poco comune.

ORIOLIDAE

Anche la Famiglia degli Oriolidae è rappresentata da una sola specie, il rigogolo (Oriolus oriolus), presentedurante i passi e particolarmente diffusa come nidificante nel territorio della Riserva.

LANIIDAE

Tra le specie di Laniidae sono presenti nel comprensorio l’averla piccola (Lanius collurio), l’averla capiros-sa (Lanius senator) e l’averla cenerina (Lanius minor).Tutte le averle citate vengono segnalate da Tucker e Heath (1994) con uno status sfavorevole a livello euro-peo. L’averla piccola presenta una maggior vulnerabilità in quanto ha una popolazione concentrata inEuropa. L’averla capirossa e la cenerina vengono citate nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE per la difesadell’avifauna europea. Per l’averla piccola e l’averla capirossa non è stata confermata di recente la nidificazio-ne, mentre risultano due osservazioni, in periodo riproduttivo, dell’averla cenerina nella vallata del fiumeOsento, all’interno del territorio di Torino di Sangro e del SIC IT7140111 “Boschi ripariali del fiume Osento”.

CORVIDAE

Il popolamento di Corvidi nidificante nella Riserva è costituito da tre specie: gazza (Pica pica), taccola(Corvus monedula) e cornacchia grigia (Corvus corone). La presenza della cornacchia, a causa delle notevo-

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li densità causate sul territorio dalla presenza di fonti alimentari aggiuntive fornite dall’uomo, può richiedere(sulla base di motivate e certificate esigenze di conservazione di altre specie danneggiate) interventi di con-tenimento.

STURNIDAE

Per la Famiglia degli Sturnidae, rappresentata nella Regione dal solo storno (Sturnus vulgaris), la specie nonpresenta priorità di conservazione.

PASSERIDAE

Nella Riserva sono presenti come nidificanti due specie di Passeridae: passera d’Italia (Passer italiae) e pas-sera mattugia (Passer montanus). Entrambe le specie non presentano priorità di conservazione.

FRINGILLIDAE

Per le specie nidificanti appartenenti alla Famiglia dei Fringillidae non vengono segnalati taxa con status sfa-vorevole a livello europeo o nazionale. Tra esse il lucherino (Carduelis spinus) presenta delle popolazionicon status relativamente sfavorevole a livello regionale.

EMBERIZIDAE

Zigolo muciatto (Emberiza cia) e ortolano (Emberiza ortulana)Due specie di emberizidi di interesse conservazionistico sono presenti durante i passi e forse svernanti nelcomprensorio: zigolo muciatto (Emberiza cia) e ortolano (Emberiza ortulana). Entrambe le specie hannouno status sfavorevole in Europa, dove l’ortolano presenta la maggiore estensione del suo areale globale(Tucker e Heath, 1994). L’ortolano è incluso nell’Allegato I della Direttiva 91/241/CEE per la difesa dell’avi-fauna europea. La diminuzione dello zigolo muciatto presenta tuttora caratteristiche non completamente comprese, esoprattutto per Spagna e Italia sono necessarie indagini specifiche per comprendere quali misure eventual-mente adottare (Tucker e Heath, 1994).

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ANALISI E VALUTAZIONEPer quanto riguarda gli insettivori il popolamento dell’area include il riccio (Erinaceus europaeus) e spe-cie di Toporagni e Crocidure dei Generi Sorex e Crocidura. Per le arvicole sono probabilmente presentil’arvicola di Savi (Pitymys savii); mentre per i Muridae (Topi e Ratti) sono certamente presenti almenouna specie del Genere Apodemus (topi selvatici), il topolino delle case (Mus musculus) ed il surmolotto(Rattus norvegicus). Tra i Lagomorfi si segnala la presenza della lepre (Lepus sp.) all’interno dell’area in esame (area ad est diRipatransone - Groppali et al. 1981), è possibile che si tratti di esemplari di immissione.Per quanto concerne il popolamento di specie dell’Ordine Chiroptera (Pipistrelli), la situazione della distri-buzione di queste specie nel comprensorio è poco conosciuta. Considerando le notevoli priorità di conser-vazione del taxa, sarebbero auspicabili indagini scientifiche specifiche. Per i carnivori si segnala la presenza della donnola (Mustela nivalis), faina (Martes foina), del tasso (Melesmeles), della puzzola (Mustela putorius) e della volpe (Vulpes vulpes).

MAMMALOFAUNAMAMMALOFAUNAMario Pellegrini, Francesco Pinchera

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ANALISI DELLE SPECIENel successivi paragrafi vengono approfondite le tematiche inerenti lo status e l’habitat di alcuni gruppied alcune delle specie presenti con particolari esigenze di tutela. Vengono altresì indicate alcune misuredi gestione, specificamente per ogni gruppo o specie.

CHIROTTERI

I chirotteri sono gli unici mammiferi capaci di volo attivo. La loro ala è il risultato della trasformazionedell’arto anteriore, in particolare della mano, le cui dita, ad eccezione del pollice, si presentano estrema-mente allungate. Le specie che effettuano volo più lento e “acrobatico” hanno ali larghe; quelle che vola-no più velocemente (possono superare i 70 km/h) e in linea retta hanno ali in proporzione più strette elunghe.

Distribuzione e habitat. In Italia sono segnalate quasi tutte le specie di chirotteri presenti in Europa.Esse rappresentano oltre un quarto delle specie di mammiferi indigeni del nostro Paese. Nella Lecceta di Torino di Sangro sono potenzialmente presenti 21 specie di chirotteri (Tabella), di cuiquattro appartenenti alla famiglia dei Rinolofidi e 16 alla famiglia dei Vespertilionidi ed uno a quella deiMonossidi.

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Esistono pipistrelli di ambiente aperto e specie forestali, pipistrelli che volano al di sopra degli alberi o tra lefronde, specie che cacciano presso il suolo, sulla superficie dell’ acqua o, ancora, intorno ai lampioni dellestrade. Alcune specie, come il rinolofo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum), alternano alla ricerca delleprede in volo la caccia da appostamento: appigliati a posatoi, scandagliano l’ambiente con rotazioni del capoin ogni direzione. Per il riposo diurno, per partorire e allevare i piccoli, per accoppiarsi e per trascorrere il periodo invernale inletargo, i pipistrelli utilizzano vari tipi di siti di rifugio, generalmente denominati col termine inglese di roost.

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Varie specie si servono delle cavità arboree come rifiugi: nidi abbandonati di picchi, fessure aperte nel legno dalgelo o a seguito di nubifragi, spazi sotto lembi di corteccia sollevati. Per esse la presenza di vecchi alberi depe-rienti o di tronchi di alberi morti, ancora in piedi, è vitale. Siti di rifugio particolarmente importanti sono le grot-te: alcune specie penetrano a distanza di chilometri dall’apertura, altre si collocano nei suoi pressi. Alcuni chirot-teri utilizzano inoltre le fenditure delle pareti rocciose e, al suolo, gli interstizi delle pietraie. A sostituzione degliambienti naturali, spesso distrutti o alterati dall’uomo, molte specie si sono adattate a frequentare le cavità sotter-ranee artificiali (miniere, gallerie) e le costruzioni, utilizzando gli spazi simili (per condizioni di microclima, oscu-rità, volume e possibilità di appiglio) ai siti naturali originariamente utilizzati. Alcune specie necessitano di volu-mi ampi, bui e poco disturbati, condizioni che talora si riscontrano in chiese, castelli e altri edifici monumentali.Altre frequentano piccoli spazi, anche semplici fessure, talora sotto i ponti o nelle comuni abitazioni. Alimentazione. Tutti i chirotteri europei sono insettivori, hanno cioè un’alimentazione fondamentalmentebasata su invertebrati. Riproduzione. Nelle femmine mature, accoppiatesi a partire dalla fine dell’estate precedente, avviene l’ovu-lazione: le cellule seminali maschili, trattenute fino a questo periodo all’interno delle vie genitali femminili,possono fecondare le cellule-uovo prodotte. Fanno eccezione le femmine del miniottero (Miniopterus sch-reibersii): in esse la fecondazione avviene subito dopo l’accoppiamento, ma il successivo sviluppo embrio-nale si è comunque interrotto, per riprendere a primavera. In aprile – maggio, le femmine gravide si aggrega-no a costituire colonie riproduttive, all’interno di siti di rifugio denominati nursery. In maggio - luglio ciascu-na di esse dà alla luce un piccolo, più raramente due. Comportamento. Intorno a novembre, quando le condizioni climatiche diventano critiche e la disponibilitàdi insetti è minima, i pipistrelli vanno in letargo, all’interno di grotte o di altri ambienti con microclima adat-to. Le funzioni vitali sono rallentate, col risultato di un eccezionale risparmio energetico. L’attività viene ripresa a febbraio-marzo. I pipistrelli si portano verso i siti estivi, utilizzando spesso quartieridi transizione. In colonia i piccoli vengono accuditi e allattati; in questo modo si mantiene meglio il calorecorporeo. In questo periodo, i maschi e le femmine che non hanno partorito conducono prevalentemente vita solitariao in gruppetti isolati rispetto alle nursery. Al termine dell’estate le colonie riproduttive si sciolgono e inizia ilperiodo degli accoppiamenti, che in alcune specie può interessare anche la stagione d’ibernazione.Complessivamente, in quanto predatori notturni di insetti, i pipistrelli rivestono un ruolo importante negliecosistemi: pochissime, infatti, sono le specie di uccelli che si alimentano di insetti durante la notte. I pipi-strelli rappresentano preziosi alleati nel controllo di molti insetti “nocivi”. Vi sono specie che utilizzano lostesso territorio per tutto l’anno, specie che compiono spostamenti stagionali di qualche decina o di pochecentinaia di chilometri e specie che migrano anche a distanze di 2.000 kilometri. Minacce. Metà delle specie di mammiferi terrestri inseriti nella Lista Rossa dell’I.U.C.N. (InternationalUnion for Conservation of Nature) e presenti in Italia sono chirotteri. Dal punto di vista legislativo i chirotteri sono protetti in tutta Europa. In Italia la normativa vigente (L.11/2/92, n. 157) ne sancisce la “particolare protezione”, facendo riferimento ad accordi internazionali(Convenzione di Berna, Convenzione di Bonn, Accordo sulla conservazione dei Chirotteri europei, Direttiva92/43/CEE). Al lato pratico significa che l’uccisione, la cattura e la detenzione di pipistrelli sono perseguitepenalmente, esattamente come avviene per specie come l’orso e il lupo. E’ inoltre vietato disturbare gliesemplari e distruggere o alterare i loro siti di rifugio. Purtroppo tali disposizioni sono quasi sempre “rimastesulla carta”, ignorate in un contesto generale di scarsa attenzione ai problemi dei chirotteri. I fattori responsa-bili della riduzione dei chirotteri sono sostanzialmente due:

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- Distruzione e alterazione dei siti di alimentazioneLa maggiore causa della riduzione dei chirotteri è data dalla distruzione e alterazione degli ambienti diforaggiamento (zone umide e formazioni forestali), unitamente alla meccanizzazione dell’agricoltura, che hacondotto all’impiego irrazionale di pesticidi, che influenzano negativamente la disponibilità di insetti. Per ipipistrelli ciò significa una riduzione della propria fonte alimentare e il rischio di intossicazione a causa delconsumo di prede contaminate. Tutta l’entomofauna è stata sottoposta all’azione degli insetticidi, usati ai fini agricoli spesso in manieraassolutamente esagerata. Ciò ha portato alla scomparsa di specie di insetti, alla riduzione demografica dellespecie sopravvissute e alla presenza, nell’ambiente, di insetti contaminati, ossia di insetti che hanno assuntoquantitativi di pesticidi inferiori a quelli necessari per ucciderli e che sopravvivono portandosi appresso unpiccolo carico di veleni. Le siepi e i relitti di vegetazione spontanea, divenuti d’intralcio al movimento dellemacchine, sono stati progressivamente eliminati e con essi sono scomparse o andate incontro a drasticheriduzioni demografiche numerose specie di insetti forestali, fino ad allora sopravvissute all’interno di quellasorta di boschi in miniatura. Anche le metodologie di allevamento sono state notevolmente modificate, più orientate verso la stabulazio-ne dei capi e la loro alimentazione con mangimi. L’assenza di bestiame al pascolo ha prodotto la scomparsao la drastica riduzione degli scarabei e di molte altre specie di insetti coprofagi, che rappresentano predeimportantissime per varie specie di Chirotteri e in particolare per il rinolofo maggiore. Per produrre forag-gio, si è passati dall’utilizzo del fieno e delle leguminose (precedentemente coltivati in alternanza al grano,col sistema della rotazione), all’utilizzo preponderante del mais (piante intere trinciate), coltivato comemonocoltura su vasti appezzamenti e, grazie all’uso di prodotti chimici, con l’abbandono della rotazione. Tutto ciò ha condizionato la possibilità di alimentarsi dei pipistrelli e la “qualità” della loro dieta. I pipistrellitrovano meno prede, non trovano le loro specie-preda preferite o trovano prede contaminate e, da formida-bili insettivori quali sono, accumulano progressivamente nei loro corpi piccole quantità di insetticidi, fino araggiungere dosi dannose o addirittura letali per loro stessi. La mortalità avviene soprattutto al risveglio dalletargo, quando cospicue quantità di grasso di riserva vengono consumate in pochi minuti, per consentirela ripresa dell’attività, e i veleni che erano stati accumulati al loro interno passano nel sangue.Occorre aggiungere che per i pipistrelli la semplificazione della “struttura” del paesaggio ha significato nonsolo scomparsa o riduzione di insetti-preda associati, ma anche perdita di importanti elementi strutturaliche gli esemplari seguono durante i loro voli. La maggior parte delle specie di pipistrelli, infatti, evita diattraversare i vasti spazi aperti.

- Distruzione e alterazione dei siti di rifugioLe cavità arboree (nidi abbandonati di picchi, spazi sotto lembi di corteccia sollevati, gallerie scavate dallelarve degli insetti del legno), le grotte e le fessure delle pareti rocciose sono i siti naturali utilizzati daipipistrelli per il riposo diurno, la riproduzione e il letargo. Miniere abbandonate, interstizi o locali all’inter-no di edifici (di solito sottotetti o scantinati), spazi accessibili all’interno dei ponti possono rappresentarevalide alternative artificiali ai rifugi naturali.Sia i rifugi naturali sia quelli artificiali sono soggetti a distruzione/ alterazione da parte dell’uomo.Disboscamento ed interventi forestali come abbattimento degli alberi cavi, deperienti o “morti in piedi”,cancellano i rifugi delle specie di pipistrelli legate ai boschi lavori su edifici realizzati senza tener contodelle esigenze dei pipistrelli, disturbo ed altre forme di alterazione degli ambienti sotterranei (grotte,

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miniere abbandonate). Talora, spazi che venivano frequentati dai pipistrelli, vengono resi a loro inutilizzabi-li dall’impiego di sostanze chimiche antifungine e insetticide, usate in particolare nei trattamenti dellestrutture in legno.Le grotte vengono rese inutilizzabili dai pipistrelli da interventi di turisticizzazione o da visite troppo fre-quenti da parte degli speleologi. Durante il letargo, anche una semplice sosta prolungata davanti agli esem-plari può rivelarsi dannosa. L’innalzamento della temperatura ambientale dovuto alla presenza umanainnesca infatti il processo del risveglio e i pipistrelli consumano una parte dei loro grassi di riserva. Se ilfenomeno si ripete più volte, può capitare che a primavera gli esemplari non abbiano più riserve sufficien-ti per il risveglio definitivo e la ripresa dell’attività.Le miniere abbandonate vengono spesso destinate a nuovi usi, attrezzate a fini turistici o convertite in sitidi stoccaggio di rifiuti. Altre volte, per motivi di sicurezza, ne vengono murati completamente gli accessi,mentre basterebbe l’apposizione di griglie idonee al passaggio dei pipistrelli per ottenere lo stesso effettosenza interferire coi Chirotteri.Analogamente, edifici vengono demoliti o sottoposti a interventi di ristrutturazione o, ancora, destinati anuovi usi. Anche un intervento apparentemente innocuo, come l’illuminazione esterna degli edifici monu-mentali, può avere pesanti effetti negativi: se esso interessa gli accessi ai siti di rifugio utilizzati dai pipi-strelli può interferire sui ritmi di attività degli animali e causare il loro abbandono del sito.I fenomeni citati hanno conseguenze particolarmente gravi per quelle specie che dipendono da siti dirifugio la cui disponibilità sul territorio è limitata (ad esempio le grotte o i sottotetti bui, non disturbati econ microclima adatto) e che riutilizzano, anno dopo anno, lo stesso sito di rifugio. Per varie specie, adesempio, si è accertato che le femmine ritornano a partorire nel sito in cui sono nate.

MISURE DI GESTIONEInterventi di gestione sulla chirotterofauna in generale devono riguardare: - Studi sulla distribuzione e sulla dinamica di popolazione locale (consistenza, struttura) e sullo status (even-tuale presenza di patologie);

- Campagne di sensibilizzazione locale, di educazione ambientale e divulgazione in ambito locale.- Utilizzo controllato di erbicidi e pesticidi ed incremento dell’agricoltura biologica;- Mantenimento di cavità naturali ed artificiali potenzialmente utili alla chirotterofauna; - Protezione dei siti riproduttivi; - Riduzione dell’uso di sostanze tossiche nel trattamento effettuato sulle travi in legno da costruzione.Interventi di gestione particolari per le specie legate ad ambienti umidi, boschivi o seminaturali:- monitoraggio della qualità chimica e biologica e miglioramento della qualità delle acque; - conservazione e manutenzione di pozze; - mantenimento di zone umide, praterie igrofile e marcite;- rimboschimenti in relazione alla tipologia del bosco originario; - mantenimento di alberi vetusti e senescenti, o con cavità, di alberi morti e altri potenziali rifugi per laspecie;

- Tutela di habitat ipogei e di strutture rurali come casali, soffitte, ruderi, strutture rifugio (bat box).

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INSETTIVORI

Si tratta di piccoli mammiferi di piccole dimensioni; molti sono fossori, altri semiacquatici.Presentano caratteri primitivi, con emisferi cerebrali privi di solchi e circonvoluzioni. Hanno tutti in comuneil muso appuntito, anche se a volte più o meno tronco, denti provvisti di radici e appuntiti, tendenti ad assu-mere le più varie dimensioni, occhi piccoli, zampe piuttosto corte con cinque dita munite di unghie più omeno sviluppate. Il maggior numero di specie è plantigrada, altri sono semiplantigradi, altri infine sono semi-digitigradi.Attivi specialmente di notte, hanno fortemente sviluppato il senso dell’odorato come pure il tatto, da nonsottovalutare l’udito, nonostante le orecchie siano piccole e parzialmente o completamente coperte di pelo;la vista è ridotta. Si cibano in prevalenza di insetti e altri “invertebrati”; alcuni predano uova e nidiacei di uccelli che covanosul terreno o consumano frutti maturi caduti dalle piante.In Italia sono rappresentati da 17 specie raggruppate nelle famiglie Erinaceidi, Soricidi e Talpidi. NellaLecceta si suppone la presenza di 6 specie; di queste sicuramente presenti: il riccio, il mustiolo, il toporagnodi Miller; per le altre la presenza è solo potenziale.

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RiccioIl Riccio europeo preferisce vivere in zone con una buona copertura vegetale come i boschi, dove si rinviene piùdi frequente ai margini. È inoltre presente in aree coltivate, parchi e giardini urbani. Non disdegna anche le zonepiù aperte, a patto che possa avere la possibilità di trovare nascondigli temporanei. Sebbene preferisca le zonepianeggianti e collinari, la specie si può osservare dal livello del mare sino talvolta ad oltre 2.000 m di altitudine.Non esistono dati quantitativi sulle popolazioni. Sebbene si possano riscontrare delle diminuzioni di alcunepopolazioni a livello locale, la specie non sembra essere a rischio. Molti individui, per lo più giovani, perisco-no nei periodi di ibernazione nei luoghi dove le condizioni climatiche sono molto severe.Altre cause di riduzione delle popolazioni sono l’uso massiccio di sostanze chimiche utilizzate in agricoltura,nonché le uccisioni sulle strade da parte delle automobili.

MustioloSpecie fortemente termoxerofila che, tuttavia, può raggiungere quote relativamente elevate, nell’ambito deimicro e mesoclimi adatti. Si nutre in prevalenza di artropodi (soprattutto ortotteri) anche di dimensioni rela-tivamente grandi. È preda non infrequente di uccelli rapaci e mammiferi carnivori.I pochi dati disponibili non autorizzano ad affermare una contrazione numerica recente delle popolazioni diquesta specie. Può risentire degli effetti della diffusione dei pesticidi e di altri veleni agricoli, nonché, più ingenerale, dell’alterazione ambientale.

Crocidura ventre biancoÈ specie di macro- e mesoclima relativamente xerofilo ed in parte eliofilo od addirittura termoxerofilo, anchese meno spiccatamente di alcune congeneri. E’ ubiquitaria, anche in alcune città; risulta predata da vari uccel-li rapaci, serpenti, mammiferi carnivori, ecc.

Toporagno d’acqua di MillerIl Toporagno acquatico di Miller si rinviene in ambienti di praterie umide e sponde di corsi d’acqua ricche divegetazione eutrofica litorale, dalle basse quote sino ad oltre i 2.000 m s.l.m. Le sue abitudini ecologichesembrano essere condizionate dalla competizione con il più grande congenere Toporagno d’acqua. In assen-za di quest’ultimo, Neomys anomalus adotta abitudini più strettamente acquatiche e aumenta le propriedimensioni corporee (come sembra avvenire in Italia meridionale).La mancanza di dati sull’entità numerica delle popolazioni di questa specie non consente nessuna afferma-zione su una loro drastica riduzione. La continua perdita di ambienti idonei, quali il prosciugamento di corsidi fiumi e ruscelli, nonché la continua distruzione della vegetazione ripariale, rappresentano comunque fatto-ri limitanti per la sopravvivenza delle popolazioni di Toporagno acquatico di Miller.

Toporagno d’acqua Non esistono dati oggettivi sullo status di questa specie. Non esistono pertanto dati quantitativi che permet-tano di asserire una diminuzione recente delle popolazioni di questa specie. Il Toporagno d’acqua risultalegato ai margini dei laghi e ai corsi d’acqua, anche di modesta entità, che comunque devono avere un’ab-bondante vegetazione ripariale e presenza di tronchi d’albero.Le popolazioni del Toporagno d’acqua, al pari di quelle del congenere Toporagno acquatico di Miller, risento-no delle modifiche ambientali, quali il drenaggio e l’imbrigliamento dei corsi d’acqua, e della scarsità di cibodovuta all’acidificazione delle acque e all’inquinamento delle stesse con pesticidi e fertilizzanti.

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Toporagno italico/appenninico La distribuzione ecologica è purtroppo poco nota. Sembra presente a quote medie, pur non mancando inquelle elevate, alle quali tuttavia non sembra legato, al contrario di ciò che di norma si verifica per Sorex ara-neus in Italia. È comunque specie di macroclima relativamente mesofilo.Mancano sufficienti dati diacronici per valutare eventuali tendenze pluriennali delle popolazioni di questa spe-cie. Come tutti i consumatori di ordine superiore, il Toporagno italico risente di varie forme di inquinamento.Al pari dei congeneri, sembra inoltre meno antropofilo di alcuni Crocidurini, come attesta l’assenza di evi-denze circa casi di antropocorìa.

Misure di gestioneStudi sullo status delle popolazioni (consistenza, struttura, patologie); costituzione di siepi e filari; utilizzo con-trollato di erbicidi e pesticidi ed incremento dell’agricoltura biologica; studi particolareggiati finalizzati ad indivi-duare potenziali interventi futuri. Per le specie legate agli ambienti umidi come il toporagno d’acqua e il topora-gno di Miller: miglioramento della qualità delle acque; mantenimento di zone umide, praterie igrofile e marcite.

RODITORIMammiferi di dimensioni variabili da piccolissime a medie; si distinguono forme terrestri, con corpo robusto,zampe corte e coda lunga, specie adattate ad una vita sotterranea, con corpo cilindrico, coda corta, padiglio-ni auricolari ridotti e occhi piccoli, e forme anfibie.Caratteristica comune è la struttura dei denti, con un singolo paio di incisivi sia nella mandibola inferiore siain quella superiore, sempre ben sviluppati e robusti, privi di radici e quindi a crescita continua, generalmentedi colore giallo o aranciato; i denti canini sono sempre assenti, cosicchè gli incisivi sono separati dalla cortafila di molari da un ampio spazio libero detto diastema. I piedi anteriori e posteriori sono in genere provvistidi cinque dita munite di unghie. Sono plantigradi o semiplantigradi. Il senso dell’odorato è fortemente svilup-pato, come pure l’udito; la vista è efficiente eccetto che nelle specie sotterranee.Si cibano di semi, ma alcuni sono specificatamente erbivori e molti altri hanno un’alimentazione varia, checomprende gemme, insetti o semi a seconda delle disponibilità stagionali. Molte specie hanno la tendenza adaccumulare il cibo al fine di costituire riserve alimentari.I Roditori sono l’Ordine più ricco di specie, che sono diffuse su tutta la terra. In Italia sono rappresentati da28 specie raggruppate nelle famiglie Sciuridi, Myoxidi (o Gliridi), Muridi, Istricidi e Miocastoridi. Nella lecce-ta sono presenti 5 specie di cui 3 appartenenti ai Myoxidi, una agli Sciuridi e una agli Istricidi.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROQuercinoA causa del suo comportamento profondamente elusivo, il Quercino è un animale di difficile osservazione innatura. La sua distribuzione ecologica non è perciò conosciuta in dettaglio, dal momento che questa speciepuò facilmente passare inosservata. È certamente diffuso in tutti gli ecosistemi forestali, a partire dai boschisempreverdi dell’area mediterranea fino alle formazioni mesofile di collina e a quelle di conifere d’alta quota,ove si spinge talvolta oltre il limite superiore della vegetazione arborea. In questi contesti predilige i versantiben esposti, con ambienti rocciosi in grado di assicurare adeguati nascondigli. È il più terricolo dei Gliridi ita-liani, non risultando strettamente legato alla presenza di una folta copertura arborea.Purtroppo, anche a causa dei suoi costumi schivi ed elusivi, non si dispone di informazioni affidabili circa lostatus delle popolazioni italiane. È tuttavia ragionevole supporre che le profonde modificazioni del paesag-gio, quali soprattutto la riduzione delle siepi ed il progressivo isolamento dei boschi residui, possano averesvolto un ruolo sfavorevole sulla distribuzione della specie.

MoscardinoDescrizione e morfologia. E’ il più piccolo appartenente della famiglia ed uno dei più piccoli mammiferiitaliani. Viene chiamato anche nocciolino, mentre il nome moscardino gli deriva dal lieve odore di muschioche emana. Il moscardino ha dimensioni corporee piuttosto ridotte molto simili a quelle di un topo. Ha unalunghezza complessiva di circa 16 cm, compresi i 6 di coda. Ha lunghezza testa – corpo di 60-90 mm e codadi 55-77 mm e peso di 15-40 grammi. Il peso si aggira normalmente intorno ai 15 grammi, ma raddoppiapoco prima del letargo per l’aumento delle riserve corporee. Il colore del mantello varia dal fulvo al marronead eccezione dell’addome color crema. La testa è più tozza rispetto al topo, le orecchie sono rotonde e gliocchi molto grandi. I lunghi baffi (vibrisse) incorniciano il naso prominente e le lunghe e robuste dita prensi-li lo rendono un abile arrampicatore. Il pelame è giallo fulvo nella parte superiore e più chiaro in quella infe-riore, le orecchie sono piccole e la coda folta. Ha occhi neri sporgenti, orecchie piccole e colore del mantorosso arancio sul dorso e bianco crema sul ventre. Ha dita munite di cuscinetti plantari e coda parzialmenteprensile, adattamenti che gli consentono di aderire su ogni tipo di substrato. I denti sono in numero di 20con 1 incisivo, 1 premolare e 3 molari per emiarcata. Distribuzione e habitat. Il Moscardino è un tipico abitante delle siepi e delle zone ecotonali situate ai mar-gini del bosco, nonché di qualunque area boscata provvista di sottobosco. Frequenta anche i boschi di coni-fere con abbondante presenza di arbusti, soprattutto nelle aree più aperte e nelle radure. Predilige tuttavia iboschi decidui: il suo habitat di elezione è rappresentato dalle formazioni collinari mesofile con abbondantesottobosco, macchie fitte formate da alberi e arbusti che producono bacche e noci (noccioli, biancospini,castagni), frutteti, parchi e giardini, boschi di nocciolo, roveti, lampone e mora. Particolarmente favorevolisono i boschi cedui di querce non troppo maturi, all’interno dei quali il Moscardino trova le condizioni idealidal punto di vista alimentare e della struttura della vegetazione.È diffuso in maniera uniforme dal livello del mare fino a circa 1.500 m di quota.Alimentazione. La dieta del moscardino è prevalentemente vegetariana ma non disdegna insetti e larvemolto proteici ed energetici di cui si nutre soprattutto in previsione del lungo letargo invernale. Si nutre dinoci, ghiande, frutti succosi, germogli vari; il suo cibo preferito sono le nocciole, che apre e vuota con grandedestrezza senza nemmeno estrarle dal guscio.Riproduzione. Il periodo di accoppiamento è compreso tra maggio e settembre: dopo una gestazionemedia di 25 giorni la femmina di moscardino partorisce da 3 a 6 piccoli ciechi, nudi e sordi che svezzerà in 2mesi circa che a 13 giorni saranno rivestiti di pelo e a 18 apriranno gli occhi per poi lasciare il nido a un

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mese di vita e diventare indipendenti dopo altri 10 giorni. La maturità sessuale dei nuovi nati verrà raggiuntasolo dopo l’ibernazione. La durata media della vita è di circa 3 anni. Comportamento. Come la maggior parte dei roditori ha abitudini prevalentemente notturne e crepuscolaripreferendo riposare durante il giorno al riparo del nido costruito sugli alberi. Ritorna al nido prima dell’albadove rimane a dormire per la maggior parte del giorno.Parzialmente gregario, vive sia in famiglie che isolato e il suo nido è a forma di palla, costruito nei cespugli enel folto delle siepi. Vive in piccoli gruppi che fabbricano insieme, nelle macchie più fitte, un nido tondeg-giante, morbido e riparato dal freddo, costruito con foglie, muschio, piccole radici e peli. La caduta in letargo si verifica con i primi freddi e cioè tra ottobre e marzo. Verso la metà di ottobre si ritirain qualche luogo appartato e, dopo aver accumulato abbondanti scorte di cibo, approntano un giaciglio sferi-co posto in cavità di alberi, sotto il muschio entro il quale si raggomitolano e si addormentano. Trascorre imesi più freddi in un piccolo nido senza accesso, posto fra i rami bassi di arbusti o in cavità del suolo. Il nidoè costituito da erbe, foglie e strisce di corteccia ma può utilizzare anche le cassette nido artificiali. Il risvegliodefinitivo avviene non appena percepisce il caldo sole della primavera. Grazie agli arti molto forti, il moscardino si arrampica con estrema facilità e spesso predilige gli spostamentidi albero in albero attraverso rami contigui piuttosto che il nudo suolo dove sarebbe facile preda. Il moscardino vive fino a 6 anni e viene predato da martore, faine e gatti selvatici.Minacce. Nonostante sia del tutto assente dalle zone intensamente coltivate, lo si rinviene con discreta fre-quenza in tutte le aree boscate. Il Moscardino è comunque minacciato dalla distruzione ed alterazione delbosco in particolare dello strato arbustivo, nonché dalla generale frammentazione dell’habitat che la espone,data la sua scarsa mobilità, a rischio di estinzione locale.

IstriceL’Istrice trova particolare diffusione negli ecosistemi agro-forestali della regione mediterranea, dal pianobasale fino alla media collina. Tuttavia, la si può occasionalmente ritrovare anche nelle grandi aree verdi situa-te all’interno delle città, purché contigue a zone provviste di abbondante vegetazione.Soprattutto le rive dei corsi d’acqua e le siepi costituiscono importanti corridoi naturali e sono utilizzaticome vie di espansione.Per quanto l’Istrice sia una specie protetta, essa è sottoposta ad un’intensa attività di bracconaggio in diversezone del suo areale a causa della commestibilità delle carni. Inoltre, in alcune zone viene perseguitata per idanni che può arrecare soprattutto alle colture ortive. Non di rado nell’attraversamento delle strade è ogget-to di investimento da parte di autovetture. Non si hanno notizie certe per quanto riguarda lo status dellepopolazioni siciliane.

ScoiattoloPur non essendo disponibili dati sulle entità numeriche delle popolazioni, la specie sembra essere moltocomune nell’Appennino, mentre è in regressione o assente in molti settori planiziali. Vive soprattutto in boschi di conifere e più di rado in quelli di caducifoglie. Frequenta anche parchi urbani egiardini. Risulta assai abbondante nelle pinete litoranee naturali e artificiali, mentre è nettamente meno fre-quente nei boschi mesofili di media collina di querce e castagno. Frequente colonizzatore delle zone rupestrie ruderali. Le popolazioni della Riserva non vanno incontro a riduzioni (sino all’estinzione) per diretta competizionecome invece accade in molte aree dell’Italia settentrionale, a seguito dell’introduzione dello Scoiattolo grigio

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LECCETA DI TORINO DI SANGROdal nord Europa. La frammentazione delle aree boschive rappresenta tuttavia un fattore di impoverimentonumerico ed abbassamento di variabilità genetica per le popolazioni di questa specie.

Misure di gestioneCreazione e mantenimento di zone aperte all’interno dei boschi; mantenimento o ceazione di zone ecotonali(es. siepi tra i campi); utilizzo controllato di erbicidi e pesticidi ed incremento dell’agricoltura biologica; pro-mozione e miglioramento dell’utilizzo del set aside; realizzazione di colture annuali.Valutazione dello status delle popolazioni (consistenza, struttura, patologie); monitoraggio dell’habitat: altera-zioni fisiche ed inquinamento, modifica struttura; definizione quantitativa delle potenzialità faunistiche delterritorio (analisi della capacità portante); verifica della disponibilità di adeguate risorse trofiche.

LAGOMORFIMammiferi che hanno conservato molti caratteri primitivi e non hanno sviluppato particolari adattamentimorfologici e comportamentali differenziali tra le diverse specie, nonostante la loro origine molto antica el’ampia distribuzione. Sono animali terrestri e plantigradi, di dimensioni medie e forme slanciate, con testapiccola, occhi grandi e orecchie lunghe, zampe posteriori assai sviluppate atte alla corsa e al salto; i piedianteriori sono muniti di cinque dita, quelli posteriori di quattro. Il maggior numero di specie è plantigrada,altri sono semiplantigradi, altri infine sono semidigitigradi.Caratteristica comune è la presenza di 4 denti incisivi privi di radici nella mascella superiore, di cui due ante-riori più grandi e due posteriori più piccoli nascosti dai primi; mancano inoltre i denti canini. Il regime ali-mentare è essenzialmente vegetariano. I Lagomorfi sono distinti in due famiglie, di cui solo quella deiLeporidi è presente in Italia con 6 specie, di cui una sola presente nella Riserva.

Lepre europeaLe popolazioni italiane di Lepre comune sono attualmente oggetto di approfonditi studi di tipo genetico emorfologico, al fine di valutare le conseguenze indotte nella forma autoctona (tradizionalmente identificatacome L. e. meridiei) dalle ripetute introduzioni di altre sottospecie, quali L. e. europaeus (Pallas, 1778), L. e.hibridus (Desmarest, 1822), e L. e. transylvanicus (Matschie, 1901).Da questi studi risulta che la generalità delle popolazioni italiane presentano aplotipi comuni alle popolazionieuropee e sudamericane da cui provengono i contingenti importati per i ripopolamenti condotti a fini venatori.Negli ultimi cinquant’anni la situazione complessiva delle popolazioni di Lepre comune in Italia, come d’al-tronde in diversi altri paesi europei, è stata caratterizzata da una graduale diminuzione. Buone consistenze sisono mantenute nelle aree protette ed in quelle caratterizzate da un’attenta gestione venatoria. Le cause deldeclino vengono in genere attribuite sia alla modificazione quali-quantitativa degli ambienti adatti, dovuta aimoderni criteri di coltivazione (sensibile riduzione della diversità ambientale e delle superfici coltivate a

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foraggere, meccanizzazione, uso di pesticidi, abbandono delle zone agricole non meccanizzabili), sia all’eleva-ta pressione venatoria. Anche l’aumentato grado di antropizzazione ha favorito tale situazione, e soprattutto ilnotevole incremento del traffico stradale e della stessa rete di strade asfaltate, che originano effetti diretti(investimenti) ed indiretti (frazionamento dell’habitat). Localmente l’aumento dei predatori, e in particolaredella Volpe e dei cani randagi, può solo avere contribuito all’ulteriore rarefazione della specie.La distribuzione e la densità delle popolazioni della Lepre comune risultano decisamente condizionate dalleoperazioni di ripopolamento da un lato e dal prelievo venatorio dall’altro. Per questo, mentre la specie puòritenersi presente un po’ ovunque, la sua effettiva consistenza subisce profonde variazioni stagionali. La spe-cie necessita sostanzialmente dell’applicazione di corretti modelli di gestione venatoria, affinché il prelievovenga rapportato alla produttività naturale. Ne consegue l’abbandono della pratica del ripopolamento, chenegli ultimi cinquant’anni è stata attuata principalmente con animali importati da altri paesi ed ha determi-nato due effetti negativi: la diffusione di nuovi agenti patogeni e l’introduzione di forme alloctone.

Misure di gestioneCreazione e mantenimento di zone aperte all’interno dei boschi; mantenimento o ceazione di zone ecotonali(es. siepi tra i campi); utilizzo controllato di erbicidi e pesticidi ed incremento dell’agricoltura biologica; pro-mozione e miglioramento dell’utilizzo del set aside; realizzazione di colture annuali; monitoraggio dello sta-tus delle popolazioni (consistenza, struttura, patologie); monitoraggio dell’habitat: alterazioni fisiche ed inqui-namento, modifica struttura; definizione quantitativa delle potenzialità faunistiche del territorio (analisi dellacapacità portante). Sospensione o limitazione del prelievo.

MUSTELIDI

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Ordine: CarnivoriFamiglia: MustelidaeNome italiano: FainaNome scientifico: Martes foina (Erxleben, 1777)

Descrizione. La faina (Martes foina) ha all’incirca le stesse dimensioni della martora (Martes martes), ma è piùpesante; inoltre differisce da quest’ultima anche per la presenza di una larga macchia bianca sul petto e sulla gola,per la pelliccia più ispida e per avere la superficie plantare nuda. Molto particolari sono le orecchie a punta e lacoda pelosa. La descrizione del suo habitat principale è alquanto problematica in quanto, anche se originariamen-te era un abitante del bosco, oggi la troviamo anche in vicinanze delle case, negli ambienti agricoli e suburbani.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROHabitat. La si trova in tutta l’Europa centrale e meridionale, ma è assente in Scandinavia, in Inghilterra edIslanda. E’ presente in tutta Italia tranne che in Sicilia e Sardegna. La descrizione del suo habitat principale èalquanto problematica in quanto, anche se originariamente era un abitante del bosco, oggi la troviamo anchein vicinanze delle case, negli ambienti agricoli e suburbani. Vive nelle foreste decidue, ma anche in aree colli-nose aperte e rocciose. E’ frequente presso le aree abitate dove può incontrare facilmente le sue prede.Riproduzione. Le faine si accoppiano in tarda estate, ma lo sviluppo degli embrioni è ritardato, così che i cuc-cioli, da 3 a 5, nascono solo nella primavera successiva tra aprile e maggio. Questo adattamento particolare,presente anche in altri Mustelidi, consente di ritardare la gestazione in modo che i piccoli vengano alla lucenel periodo più adatto al loro successivo sviluppo. Comunque al momento della nascita vengono deposti inuna soffice tana ricoperta di penne, peli e fieno dove vengono curati amorevolmente dalla madre che li allat-ta per 8 settimane. Durante questo periodo, ed anche successivamente, ha luogo l’addestramento, durante ilquale la femmina difende strenuamente i suoi piccoli, che diventano indipendenti all’età di 3 mesi. Il cicloriproduttivo della faina inizia in estate con il periodo degli amori, principalmente nel mese di giugno, duran-te il quale gli animali sono molto attivi all’aperto ed emettono molte vocalizzazioni. Come in altri carnivori siosserva l’implantazione ritardata dell’uovo fecondato. Infatti, dal momento della fecondazione fino all’iniziodello sviluppo dell’uovo nell’utero possono trascorrere da alcuni giorni fino a 10 mesi. Lo sviluppo dell’uovocomincia in gennaio e i piccoli, in media 3, vengono al mondo in marzo-aprile. L’allattamento dura all’incirca8 settimane, ma già dopo 6 settimane i piccoli si muovono all’esterno della tana.Comportamento. E’ un animale principalmente solitario, ma nel periodo riproduttivo vive in piccoli gruppifamiliari che si sciolgono alla fine dell’addestramento. Spesso frequenta le abitazioni di campagna, insedian-dosi in solai, tetti, fienili e granai; altre volte si rifugia nelle cavità degli alberi, fra le rocce o nei cespugli dirovo. Si muove soprattutto al crepuscolo e di notte per dare la caccia a topi, conigli, uccelli e ghiri; ma sinutre anche di insetti, anfibi, frutti selvatici e bacche. Inoltre si introduce nei pollai e nelle conigliere, sac-cheggiandoli e uccidendo quasi sempre tutti gli animali che vi si trovano.Nella faina il territorio occupato da un singolo individuo sono inferiori a quelle della martora e possono variareda 0,5 a 20 kmq. Le escursioni notturne possono coprire distanze di alcuni chilometri. Sovente durante il perio-do invernale si rifugia sotto i tetti o nei solai nelle zone suburbane. La sua attività è concentrata nelle ore nottur-ne, mentre durante il giorno si riposa in rifugi quali sottotetti, cataste di legna, fienili, tronchi d’albero, ecc.Il nido gioca un ruolo importante nella vita sociale in quanto è li che si svolgono le relazioni sociali all’inter-no della famiglia. Particolarmente rumorosi risultano i giochi effettuati, sia dagli adulti che dai piccoli, neisolai e nei sottotetti. Al di fuori del nido e del periodo riproduttivo la faina ha tuttavia un comportamentoindividuale e, come altri Carnivori, marca il suo territori con l’urina, lo sterco o anche con le ghiandole odori-fere poste sulle zampe, sul ventre e nella regione dell’ano.

Ordine: CarnivoriFamiglia: MustelidaeNome italiano: Donnola Nome latino: Mustela nivalis (Linnaeus, 1766)

Descrizione e morfologia. La forma fisica della donnola è un adattamento quasi estremo alla caccia neicunicoli di topi ed arvicole: corpo allungato, molto snello e flessuoso, zampe molto corte e dotate di artigli,che facilitano l’arrampicata e lo scavo. Le dimensioni minuscole sono l’adattamento più evidente e sono ilpunto cruciale nella strategia di vita di questo mustelide: il corpo è lungo circa 114-260 mm, la coda è corta

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(17-78 mm). Il peso varia ampiamente: 25-250 g. Il dimorfismo sessuale è altissimo, ed è legato alle dimensio-ni: il maschio, infatti, può pesare oltre 2 volte la femmina.Il pelo è relativamente corto su tutto il corpo. Il colore del mantello è nocciola-bruno sul dorso e sulla coda;crema-bianco panna sulle zone inferiori, dall’addome alla gola, e sulle porzioni interne e terminali dellezampe. La donnola possiede un paio di ghiandole perianali il cui secreto sulfureo viene accumulato in appositisacchi controllati da muscoli volontari e rilasciato in modiche quantità, come sistema di marcatura ecomunicazione. La donnola, lunga in media 30 cm, compresi i circa 4 cm della coda, ha un corpo flessuoso coperto per tuttol’anno da pelo raso, morbido, di colore fulvo sul dorso e biancastro sul ventre, simile al mantello estivo del-l’ermellino. Le zampe sono corte, robuste e munite di unghie aguzze e taglienti. La coda, corta rispetto alcorpo, si assottiglia gradatamente dalla radice all’estremità e a differenza dell’ermellino non è mai nera allapunta. Le orecchie sono larghe e arrotondate. Nelle zone più settentrionali acquista un colore invernalecaratterizzato da macchie bruno-bianchicce. Distribuzione e habitat. In Italia è diffusa sull’intero territorio nazionale. Sono state descritte numerosesottospecie e razze locali, che sembrano sostanzialmente riconducibili a due sottospecie principali: Mustelanivalis vulgaris (di dimensioni maggiori), dell’Europa occidentale (Italia compresa) e Gran Bretagna eMustela nivalis nivalis (più piccola), della Scandinavia settentrionale, Russia e Nord America. Le donnole si trovano in un ampia varietà di habitat, dalla pianura alla montagna, in ambienti forestali, di pra-teria, di pascolo alpino e semidesertici; sono comuni anche in ambienti antropizzati, come fattorie e zonerurali, arrivando a vivere fin dentro le città. L’esigenza irrinunciabile per le donnole è la presenza nel territo-rio di aree con sufficiente copertura e ricche di micromammiferi. I microhabitat preferiti sono prati rigoglio-si, siepi fitte e muri a secco, covoni di fieno, cespugli, sottobosco fitto, fossati e margini di stagni coperti dadensa vegetazione. Vive in anfrattuosità del terreno o nelle cavità degli alberi sia in pianura che in montagnaspingendosi fino a quasi 3.000 metri di altitudine. Frequenta sia i campi liberi e aperti sia le foreste più fitteed è a suo agio sia nei luoghi deserti che in quelli abitati dall’uomo. Alimentazione. Le donnole sono predatori altamente specializzati nella caccia ai piccoli mammiferi, in spe-cial modo roditori (topi ed arvicole ma anche talpe) e altri micromammiferi (moscardini, ghiri), conigli, lepri,uccelli, nidiacei, uova, piccioni e gallinacei che catturano con formidabile efficienza, grazie alla loro abilitànell’entrare nelle tane e nelle gallerie delle prede, mordendoli con i suoi forti canini. La dieta comprendeanche lucertole ed altri piccoli rettili, orbettini, bisce d’acqua, rane oltre ad insetti. La donnola è anche un’a-bituale frequentatrice di pollai, piccionaie e conigliere, dove fa delle vere stragi. L’utilizzo di una fonte di cibofacilmente raggiungibile è irrinunciabile per un animale dal metabolismo così accelerato come la donnola.Degli animali domestici uccisi di cui non riesce a consumare il corpo lecca spesso il sangue, altamente ener-getico. Rompe con molta facilità il guscio dei granchi e se gli capita l’occasione cattura anche grossi insetti. Riproduzione. La donnola si accoppia dalla primavera alla tarda estate. L’accoppiamento inizia con unalotta tra maschio e femmina, che termina quando il maschio riesce ad afferrare la femmina per il collo. Comenegli altri Mustelidi l’ovulazione è indotta dalla copula, che deve essere prolungata (anche 1-2 ore) e vigoro-sa; per facilitare queste operazioni i maschi (di tutti i Mustelidi) possiedono un osso penico, il baculum. La gestazione dura 34-37 giorni. La donnola si fa la tana nei mucchi di pietre, nelle vecchie muraglie dirocca-te, in buche scavate lungo le sponde dei fiumi, nelle gallerie di altri animali e, durante l’inverno, pure nellecapanne, nelle stalle e nelle tettoie. Le cucciolate sono composte da 4 a 7 piccoli (con punte di 8); nasconodalla tarda primavera fino all’autunno in tane sotterranee foderate di pelo (spesso prese “in prestito” alle

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LECCETA DI TORINO DI SANGROprede abituali), con gli occhi ancora chiusi in una soffice tana ricoperta di penne, peli e fieno dove vengonocurati amorevolmente dalla madre che li allatta per 8 settimane. Il maschio non partecipa all’allevamento deipiccoli. Durante questo periodo, ed anche successivamente, ha luogo l’addestramento, durante il quale lafemmina difende strenuamente i suoi piccoli, che diventano indipendenti all’età di 3 mesi. Comportamento. Si muove prevalentemente di notte, ma se non viene disturbata si reca a caccia anchedurante le ore diurne. Animale coraggioso, non sono rari i casi in cui aggredisce l’uomo, staccandosi da luisolo dopo una lotta molto prolungata. A volte addenta le gambe dei cavalli che passano accanto al suo rifu-gio. La donnola è molto agile sia nel correre che nell’arrampicarsi e nel nuotare. L’unico rapace in grado dicatturarla senza timore è l’astore.Le impronte, classicamente “musteliformi”, sono minuscole (l’anteriore è lunga 1,4 cm e larga 1 cm). Per que-sta ragione sono spesso poco chiare, tranne che sul fango molto fine o sulla neve. Hanno la tipica formaovale con un cuscinetto semilunare in posizione posteriore e le 5 dita con gli artigli disposte ad arco, il 5°dito arretrato. La zampa posteriore presenta un 2° cuscino, dietro al 1°. Sono tipiche le piste con alternanzaregolare di balzi lunghi e corti. I roditori uccisi sono trasportati in bocca di traverso; in questo caso possonoessere visibili ai lati della pista 2 serie di segni lasciati dal corpo della vittima. Gli escrementi sono cilindrici,allungati e torti elicoidalmente. Il diametro è di circa 2 mm e la lunghezza 3-4 cm; una estremità terminatronca, l’altra molto affusolata. Hanno il caratteristico odore muschiato e spesso contengono peli e frammen-ti ossei di piccoli roditori.

Ordine: CarnivoriFamiglia: MustelidaeNome italiano: PuzzolaNome latino: Mustela putorius (Linnaeus, 1758)

Descrizione. La puzzola ha il corpo allungato e sottile, tipico del suo genere. Le zampe sono corte e dotatedi lunghi artigli. Il corpo è lungo circa 35-45 cm, la coda è relativamente corta (circa 10-16 cm). Il peso nelmaschio può raggiungere 1,7 kg. Il dimorfismo sessuale è molto pronunciato ed è legato alle dimensioni: ilmaschio, infatti, può pesare fino a 2 volte la femmina. Lunghezza dalla testa all’attaccatura della coda 31 - 45cm; coda 12 - 19 cm; peso 500 - 1500 g come tutti i mustelidi, anche questa specie presenta corpo allungatoe zampe brevi. Il colore del mantello è bruno ad esclusione di una mascherina di pelo chiaro, intorno almuso e dietro gli occhi. Il colore di fondo del mantello è in realtà crema, su questo si impiantano le setolescure, realizzando una colorazione mimetica rispetto al suolo forestale. Sul muso si osserva una sorta dimaschera, molto simile a quella del procione lavatore, caratterizzata dal contrasto tra la colorazione scura delnaso e del pelo circostante le orbite. Una banda di pelo chiaro è presente anche sulla punta delle orecchie.La pelliccia invernale è lucente, folta e compatta, ed appare più chiara dell’estiva, perché il sottopelo grigio-crema, divenendo più denso, solleva i peli più lunghi (peli di guardia), molto scuri. Caratteristica peculiare èla conformazione della testa. Il cranio si presenta poco sviluppato in lunghezza, massiccio, arrotondato edappena incavato dietro alle orbite; gli occhi ed i padiglioni auricolari sono piccoli. Come tutti i mustelidi presentano ghiandole anali in grado di secernere pungente odore. La pelliccia è com-posta da setole bruno scure o nere, tra le quali è visibile una lanugine bianco giallognola. Come molte altrespecie della famiglia dei mustelidi, anche la puzzola presenta una particolare struttura dell’articolazione tral’osso dentale ed il resto dello scheletro craniale, detta dagli autori di lingua inglese “key-lock”. La strutturaconsente una forte tenacità al morso, caratteristica particolarmente utile per la caccia, la difesa ed il combat-

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timento intraspecifico. L’odorato è il senso principale usato nella caccia; tracce olfattive al suolo vengonoseguite facilmente. Anche l’udito è buono e la localizzazione della provenienza dei suoni è accurata. Al con-trario la vista diurna è scarsa, migliore quella notturna. Distribuzione e habitat. L’areale della puzzola si estende su gran parte dell’Italia anche se in Sardegna eSicilia sono presenti popolazioni selvatiche di furetto, la forma domestica della puzzola (Mustela putoriusfuro). Vive in svariati tipi di habitat, dalla pianura alla montagna. La puzzola si spinge fino a più di 2000 m dialtitudine e vive in tutti gli ambienti in grado di fornire nascondigli e sufficiente disponibilità di cibo: boschi,prati, campi, parchi e giardini. L’habitat preferito è comunque rappresentato dai terreni prossimi ai corsi d’ac-qua, dalle radure delle foreste, dalle aree paludose e dalle praterie intervallate da boschetti. Vive inoltre inprossimità di villaggi, fattorie, case, fienili e stalle, dove caccia sia roditori che pollame domestico; nella sta-gione invernale esigenze di termoregolazione possono spingere la puzzola a selezionare rifugi opportuni,come fienili, stalle o costruzioni rurali. Alimentazione. La specie ha alimentazione prevalentemente carnivora, con preferenze legate ai piccolimammiferi terrestri, di taglia variabile dal coniglio al toporagno. Tra le specie predate dalla puzzola figuranocriceti, conigli e lepri, talpe, toporagni, rettili, artropodi, pesci e occasionalmente uccelli e le loro uova. E’comunque specializzato nella caccia agli anfibi (rospi e rane rosse), cacciati principalmente a terra o ai mar-gini di fossi, fiumi o altre raccolte d’acqua. Importante elemento della dieta sono anche i piccoli roditori. Lasua abilità nello scavo si rivela utile nella caccia ai conigli selvatici, che segue nelle tane. Tra i rettili nonfanno eccezione le vipere, che l’animale cattura con tattiche simili a quelle usate dalla mangusta. In prossi-mità di stagni e corsi d’acqua, le rane, i crostacei ed i pesci, possono costituire una parte cospicua della dieta.le puzzole si nutrono anche di invertebrati come lombrichi, ragni ed insetti. Sono state spesso osservate men-tre dissotterravano nidi di bombi terrestri per cibarsi di larve e miele. Frutti e sostanze vegetali rientrano trale preferenze alimentari della puzzola, anche se non in misura paragonabile ai canidi ed agli ursidi. Per moltotempo la specie è stata ritenuta dannosa a causa delle frequenti incursioni che effettua nei pollai e negli alle-vamenti, dove spesso uccide molti più animali di quanti effettivamente consumi.Riproduzione. Raggiunge la maturità sessuale a circa 1 anno di età. Il periodo degli accoppiamenti è incerto evariabile a seconda delle località; alle nostre latitudini si estende all’incirca da marzo a luglio. In questo periodo imaschi di territori confinanti possono scontrarsi per il diritto di accoppiamento con le femmine in estro. Il corteg-giamento appare violento, gli animali si ricorrono simulando schermaglie e, quando la femmina è disponibile, lasciache il maschio l’afferri per la collottola, sembra cadere in stato di trance e lascia che avvenga l’accoppiamento. È una specie poliestro, infatti la femmina ha la possibilità di tornare in estro 2-3 settimane dopo che si èaccoppiata o di rimanere in estro fino a metà estate se non si è accoppiata. Queste caratteristiche costituisco-no la premessa perché ci sia la possibilità di una seconda cucciolata. L’impianto dell’embrione è immediato(non c’è ritardo come nella faina, e ciò permette il secondo estro) e la gestazione dura 42 giorni. I partiavvengono tra maggio e agosto e sono partoriti normalmente 4-6 piccoli, raramente anche 12 lunghi 6 - 7 cme rivestiti di un corto e bianco pelame. Lo svezzamento si completa in circa un mese e le cure da parte dellamadre si prolungano per altri due, quando i giovani hanno raggiunto la taglia degli adulti. I piccoli restanocon la madre fino all’inizio dell’autunno successivo alla nascita. Il maschio non partecipa all’allevamentodella cucciolata. La puzzola raggiunge la maturità sessuale verso i sei mesi, anche se usualmente non si ripro-duce fino al termine del primo anno d’età.Comportamento. La puzzola è attiva di notte e al crepuscolo, mentre passa il giorno nei rifugi, può peròessere attiva anche di giorno e vive per lo più solitaria, ad eccezione del periodo dell’allevamento dellaprole, che le femmine trascorrono con i piccoli, in cui sono state sovente osservate femmine ricercare il cibo

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LECCETA DI TORINO DI SANGROdi giorno assieme ad essi. Molto coraggiosa, la puzzola non esita ad attaccare animali più grandi di lei, anchese si limita ad uccidere solamente quelli necessari alla sua alimentazione. Le prede più piccole vengono accu-mulate nella tana, che funge da vera e propria dispensa.L’attività notturna le permette di evitare il contatto con l’uomo. Si sposta e caccia esclusivamente a terra; siarrampica solo in caso di necessità, per raggiungere un rifugio adeguato o in caso di pericolo, per mettersi insalvo. É un’abile nuotatrice, com’è essenziale per spostarsi rapidamente negli habitat che frequenta. I suoi movi-menti sono buffi e al contempo eleganti: all’andatura normale il corpo è stirato, raso terra, con il bacino più inalto e la testa tenuta bassa, che annusa il suolo. Quando si muove più rapidamente assume un’andatura sinuosa,col dorso arcuato ripetutamente. Se necessario è in grado di spostarsi per lunghe distanze (fino a 35 km). La puzzola è incredibilmente agile, grazie a una colonna vertebrale molto flessibile, che le consente di infilar-si anche nei cunicoli più stretti, di arrampicarsi e di nuotare. Il suo nome è dovuto allo sgradevole odore cheemette, dovuto ad un liquido maleodorante delle ghiandole anali che utilizza per marcare il territorio e difen-dersi dai predatori. La tana della puzzola consiste in un rifugio sotterraneo scavato autonomamente, comun-que vengono anche utilizzati rifugi precedentemente abitati da tassi, volpi, conigli, criceti od arvicole. Neisuoi spostamenti la puzzola si orienta prevalentemente tramite l’olfatto e l’udito, mentre utilizza scarsamentela vista. La retina di questi animali presenta uno scarso numero di coni, per cui risulta che siano in grado dipercepire soltanto il colore rosso ed il blu. Ogni individuo manifesta comportamento sedentario, tende asvolgere la propria attività nel territorio dove ha fissato la propria residenza.Nonostante sia efficacemente protetta dalla repellenza della sua secrezione, da predatore, la puzzola si tra-sforma talvolta anche in preda: le dimensioni ridotte e forse anche la scarsa agilità la rendono vulnerabile agliattacchi di carnivori più grandi di lei, come volpi o cani e di alcuni grossi rapaci, soprattutto notturni (ad es.il gufo) e aquile. Le impronte sono molto simili a quelle di faina, sebbene più piccole. Sono ben visibili le 5dita con gli artigli: 4 formano un arco, con le 2 dita centrali allineate in avanti; il 5° dito è il più esterno edarretrato, ed è più evidente rispetto alla faina. Al centro dell’impronta è visibile un cuscinetto a mezza luna.L’impronta anteriore è lunga 3-3,5 cm e larga 2,5-4 cm. Gli escrementi sono cilindrici, allungati e torti elicoi-dalmente. Il diametro è di circa 5-9 mm e la lunghezza fino a 7 cm; una estremità termina tronca, l’altramolto affusolata. Sono quasi neri, soprattutto se freschi, anche se il colore può variare con la dieta. Hanno ilcaratteristico e forte odore muschiato e non contengono quasi mai resti di origine vegetale. É incerto sesiano usati o meno per marcare, comunque spesso sono lasciati in punti ben visibili ad altri animali. Sonodeposti anche in latrine associate ai rifugi. Il secreto perianale e le urine talvolta vengono lasciate su superfi-ci verticali (tronchi o pietre) come marcatura. Le puzzole uccidono i rospi con un morso alla testa e, a causadel secreto velenoso delle ghiandole paratoidi, non ne consumano le teste; è quindi possibile rinvenirle neiluoghi di alimentazione, con i segni della predazione. Minacce. La generale riduzione delle aree umide, rende la puzzola un animale poco comune, ed è la princi-pale ragione del suo continuo declino negli ultimi 50 anni.

Ordine: CarnivoriFamiglia: MustelidaeNome italiano: TassoNome latino: Meles meles (Linnaeus, 1758)

Descrizione e morfologia. Tozzo nelle forme e delle dimensioni di un cane di taglia media, ha unainconfondibile colorazione del capo che, bianco, è attraversato lateralmente da due strisce longitudinali nere

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dagli occhi alle orecchie; a causa di questa evidente colorazione in caso di pericolo nasconde il muso perrendersi meno visibile. La coda, anch’essa bianca, differentemente dagli altri Mustelidi è corta e larga. Lezampe sono lunghe, larghe e munite di robuste unghie che usa per scavare alla ricerca del cibo o come stru-mento di difesa. L’aspetto del tasso è caratterizzato dal suo peso (un adulto pesa dai 12 ai 14 kg, talvolta anche fino a 20),dalle unghie particolarmente sviluppate e atte allo scavo e dal muso bianco con le strisce nere. La lunghezzadel corpo varia dai 60 ai 70 cm, mentre la coda è corta (dai 15 ai 19 cm). Il colore del pelo, principalmentebruno argenteo, subisce variazioni nei fianchi (più chiari) e nelle zampe (nere). La pelliccia muta due volteall’anno, in primavera e in autunno.Distribuzione e habitat. Pianura e montagna fino a 2.000 metri di altitudine; in zone boschive con fitto sot-tobosco, incolti, con suolo ben drenato e facile da scavare.Alimentazione. Più che carnivoro può essere considerato un vero onnivoro, la qual cosa gli consente di occu-pare nella piramide alimentare una posizione decisamente strategica potendo utilizzarne tutti i componenti. E’ poco legata alla predazione e si compone principalmente di lombrichi, vegetali (frutta) e vari invertebraticome pure, anche se in misura minore, di uova, micromammiferi, nidiacei, ecc. Durante la ricerca del nutri-mento, in particolare dei lombrichi, rimuove sovente la cotica erbosa causando disagi nei prati o nei pascoli.Talvolta causa pure danni nei vigneti o in altre colture ortofrutticole (ad es. coltivazioni di fragole o mais)Riproduzione. Il ciclo riproduttivo inizia con il periodo degli accoppiamenti nei mesi estivi di luglio-ago-sto. Anche nel tasso osserviamo l’implantazione ritardata dell’uovo, che avviene circa 7-8 settimane primadella nascita. I piccoli generalmente 2-3 (massimo 5), nascono nella tana alla fine di febbraio-inizio marzo evengono allattati per un periodo di 16 settimane, anche se già dopo 8 possono cominciare ad avventurarsi.L’accoppiamento può avvenire durante tutto l’anno, ma soprattutto da febbraio a maggio; l’impianto nell’ute-ro dell’ovulo fecondato, avviene però solo in dicembre; dopo due mesi di vera gestazione nascono 1-5 piccoliricoperti di peli radi e biancastri con gli occhi chiusi. Il parto avviene nella tana in una camera-nido tappezza-ta di uno strato di vegetali continuamente rinnovato. I piccoli aprono gli occhi dopo circa 5 settimane,cominciano ad uscire dalla tana solo a 2 mesi, smettono di essere allattati ad almeno 3 mesi, si rendono indi-pendenti a 5-6 mesi. Le femmine raggiungono la maturità sessuale a 12-15 mesi, i maschi a 2 anni. In naturapuò vivere fino a 15 anni. Non ha predatori, ma competitori (soprattutto la Volpe e i cani randagi). A 5 mesi i piccoli sono indipendenti e in grado di cercare da soli il loro nutrimento. Il rapporto fra i sessi allanascita è di 1:1. La maturità sessuale è raggiunta a 12-15 mesi di età, comunque non tutte le femmine si ripro-ducono ogni anno. La durata media di vita si aggira sui 2-3 anni ma un tasso può superare anche i 10 e in cat-tività sono stati osservati individui di 19 anni. La mortalità è particolarmente alta nel primo anno di vita epuò superare il 50% dei nati, probabilmente a causa di movimenti di dispersione dei giovani che si avventu-rano in zone sconosciute o per mancanza di nutrimento. Comportamento. La superficie occupata da una famiglia è variabile a seconda delle disponibilità alimentarima i valori si aggirano sui 2 – 3,25 kmq. Le escursioni notturne possono portare i singoli individui a oltre unchilometro dalla tana e in una notte possono percorrere anche sei chilometri.Le tracce del tasso risultano inconfondibili per le loro dimensioni, per le unghie molto visibili e per il fattoche tutta la pianta del piede appoggia sul terreno durante il movimento.La sua attività è prevalentemente notturna e un tasso può rimanere attivo, senza fare ritorno alla tana durantetutta una notte. Nel periodo invernale non cade in letargo ma l’attività è notevolmente ridotta. Nel caso di unforte abbassamento della temperatura o delle condizioni atmosferiche sfavorevoli, un animale può trascorre-re anche diverse settimane nella tana. A questo scopo in autunno gli animali portano erbe secche e muschi

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LECCETA DI TORINO DI SANGROper imbottire i locali dove trascorrono le lunghe fasi di riposo. Durante questi periodi utilizzano esclusiva-mente il grasso accumulato durante la bella stagione.E’ un animale notturno, di abitudini solitarie e territoriale; il territorio viene delimitato attraverso segnaliolfattivi. La tana, profonda, viene scavata lungo i pendii boscosi o cespugliosi; presenta una complessa rete di galleriee diverse camere, delle quali ne usa prevalentemente una spaziosa ed imbottita di foglie ed erba secca; leentrate sono a scivolo e numerose, presentano nei pressi dell’imbocco depositi di terra nei quali si possonorinvenire tracce di pelo. Grazie a questa complessità di struttura la tana può essere condivisa con altri anima-li, quali Volpi ed Istrici. Solo nella stagione degli amori il Tasso ha una vita sociale, formando delle coppie checomunque non durano a lungo; infatti, la cure parentali dei nuovi nati vengono svolte unicamente dalla fem-mina che rimane con essi fino all’estate successiva. Finito l’autunno, notevolmente ingrassato, si ritira nellatana e si addormenta; non è comunque un vero letargo in quanto periodicamente durante l’inverno si svegliaper bere e mangiare. Gli escrementi essendo deposti in latrine nei pressi della tana, rappresentano un importante traccia indican-done la presenza ed attività. Grazie alle dimensioni, alle poderose unghie e per l’aggressività non ha di regolapredatori ed è un tenace avversario con i suoi competitori, fra i quali ad esempio la Volpe. Il tasso è un animale sociale e più individui vivono assieme, non c’è quindi una difesa individuale dei territo-ri. La sua vita è molto legata alla tana che può essere costantemente occupata per diverse generazioni e puòquindi svilupparsi sia in grandezza che in complessità. La presenza di una tana, generalmente posta al bordodel bosco o in zone soleggiate, si può riconoscere dalle impronte, dai sentieri che vi conducono, dalle traccedi scavo ma anche dalla presenza nelle vicinanze di piccole buche poco profonde nelle quali gli animalidepositano le loro feci.Oltre alle interazioni con le sue prede il tasso adulto è raramente predato da altri mammiferi o uccelli. Il con-tatto con la volpe, che talvolta utilizza le sue tane, ha fatti si che sovente esso sia stato distrutto per limitarel’espansione della rabbia, anche se nella specie si osservano un numero limitatissimo di casi. Più vulnerabilialla predazione, che possono anche essere uccisi da un loro simile, sono invece i piccoli.Minacce. Fattore di mortalità sono gli incidenti stradali mentre non sono segnalate malattie particolari. Altrofattore che può notevolmente influenzare la dinamica di popolazione è l’attività venatoria, specialmente sepraticata in modo troppo intensivo, con distruzione delle tane o di interi gruppi famigliari. E’ fra i carnivorieuropei uno dei più interessanti ed importanti; questo non solo per le sue abitudini di vita e posizione ecolo-gica, ma soprattutto perché è uno degli animali che ha maggiormente subito gli effetti della presenza umana,la quale ne ha ridotto considerevolmente la diffusione.

ARTIODATTILI

Ordine: ArtiodattiliFamiglia: SuidaeNome italiano: CinghialeNome latino: Sus scrofa (Linnaeus, 1758)

Si tratta probabilmente del mammifero che negli ultimi anni ha avuto la maggior diffusione nel territorio, apartire dalle montagne fino al livello del mare. Negli ultimi anni la specie è presente anche nel comprensorio

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in esame, ma fortunatamente la popolazione non è ancora particolarmente abbondante. Nel resto della valla-ta del Sangro, così come in gran parte della penisola, questa specie sta causando seri problemi per l’agricoltu-ra, nonché la concorrenza alimentare e disturbo a diverse altre popolazioni animali. Purtroppo si tratta diuna razza di origine alloctona, più grande, più prolifica e più dannosa rispetto alla specie autoctona che erapresente nell’area della bassa vallata del Sangro, come documentato in alcune citazioni storiche.

Ordine: ArtiodattiliFamiglia: CervidaeNome italiano: CaprioloNome latino: Capreolus capreolus (Linnaeus, 1758)

Il capriolo (Capreolus capreolus), può essere considerato l’ungulato degli ambienti aperti o di boscaglia o,meglio, degli ambienti di transizione tra la foresta e la prateria. È un ottimo colonizzatore dei cedui abbon-danti e dei territori degradati tra la collina e i crinali appenninici dove sono stati abbandonati la pratica agri-cola, il prato-pascolo e il trattamento del bosco ceduo. Negli ultimi anni ha ricolonizzato nella nostra regioneampi territori, in particolare le aree pedemontane ed in particolare nel nostro comprensorio la media valledel sangro e dell’Aventino.Negli ultimi 2-3 anni la specie si è diffusa anche nella bassa vallata del Sangro, prima all’interno della RiservaNaturale “Lago di Serranella”, dove si è anche riprodotto e, più recentemente ha ricolonizzato la Lecceta diTorino di Sangro, dove è stato più volte osservato. Tra gli ungulati è il più piccolo; l’altezza al garrese è di 50-70 cm, non esiste sostanziale differenza tramaschio e femmina. Come tutti i cervidi il mantello dei piccoli è, per ragioni di mimetismo, lievemente piùscuro e macchiettato di bianco sui fianchi. I palchi sono una prerogativa dei maschi e si compongono di duestanghe lunghe in media 22-30 cm, con due-tre cime di solito dal secondo anno di vita. Le abitudini di vitadel capriolo sono tipicamente crepuscolari, la sua attività si svolge al mattino presto e alla sera tardi anche sein inverno diviene attivo anche di giorno. Da un punto di vista alimentare il capriolo è un erbivoro selettivoche sceglie i suoi alimenti fra quelli più energetici. Nel periodo primaverile i maschi iniziano la loro fase diterritorialità: divengono intolleranti nei confronti degli altri maschi in un rapporto di gerarchia che si manife-sterà con la difesa di un determinato territorio detto home range. Tra il 15 luglio e il 15 agosto i capriolivanno in amore, le femmine abbandonano per qualche tempo i piccoli nati a maggio, rapporto che termina ametà marzo dell’anno dopo, per dedicarsi alla riproduzione. Ma non si formano coppie stabili, tanto menoharem. Inesistenti o scarsissime sono le lotte tra maschi, in molti casi è sufficiente l’abbaio per determinarechi è il maschio dominante. Con la fine del periodo degli amori cessa anche la territorialità che si era giàandata affievolendo. La gestazione dura 10 mesi, ma lo sviluppo embrionale resta bloccato fino a dicembre etra la metà di maggio e la metà di giugno nascono di norma due piccoli che sono allattati dalla madre piùvolte durante la giornata. All’inizio, tra una poppata e l’altra, i piccoli passano il loro tempo accovacciati, pro-gressivamente iniziano a seguire la madre intenta nella sua ricerca alimentare, ed è in questo periodo che ini-ziano a riconoscere la specie di appartenenza.

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Gli obiettivi delle proposte di piano sono sinteticamente illustrati dai punti seguenti:1. tutela ed eventuale incremento delle specie oggetto, con particolare riferimento a quelle segnalate;2. valorizzazione della fruibilità da parte del pubblico e valore didattico; 3. miglioramento ambientale finalizzato al potenziamento dell’idoneità del sito come area di sosta lungo

la rotta migratoria costiera adriatica;4. definizione di programmi di monitoraggio del popolamento ornitico che utilizza la rotta migratoria

costiera.

FRUIZIONE TURISTICA E DIDATTICADidatticaCostituisce l’attività di fruizione più importante per la Riserva. L’Ente Gestore cura le attività inerenti ladidattica, svolgerà anche un ruolo di diffusione di informazioni verso i fruitori della Riserva, con partico-lare riferimento ai visitatori in età scolastica. In tal senso possono essere agevolati progetti didattici direttamente progettati ed attuati da ricercatoricon specializzazione in campo ornitologico, aventi obiettivi anche esclusivamente didattici.

Fotografia naturalisticaLa fotografia di nidi, uova e arene di canto viene autorizzato dietro richiesta all’Ente Gestore (il quale siaccerta che vengano garantite soluzioni che tendano minimizzare i rischi per le specie selvatiche, ed inparticolare a tutelare le specie maggiormente critiche per l’area).

Sentieristica e punti di osservazioneLa sentieristica dovrebbe, come principio generale, insistere su tracciati esistenti e utilizzati, evitando laapertura di tracciati nuovi o non utilizzati da molto tempo. Si ritiene preferibile puntare alla predisposi-zione di una offerta di qualità in termini di sentieristica e punti di sosta, in modo da poter meglio con-trollare i flussi. Per la regolamentazione e la sistemazione della sentieristica si suggerisce:- disporre sentieri bene attrezzati che invoglino il pubblico ad utilizzarli;- evitare tratti di sentiero con tracciato non canalizzato e dove il pubblico può allargarsi su aree ampie(tratti con pendenza limitata su prato o sulla spiaggia);

- evitare la possibilità di «tagliare» curve e tornanti;- divieto di accesso a tratti di spiaggia interessati da nidificazioni di specie di pregio (divieto stagionale,limitato ai mesi primaverili).

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PARTE PROPOSITIVA ORNITAFAUNA E MAMMALOFAUNA

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GESTIONE AMBIENTALEAttività balneariIn generale la presenza di bagnanti può avere un impatto non trascurabile quando assume un carattere conti-nuato e ricorrente. Talvolta possono essere rilevate interferenze con la nidificazione di specie sensibili. Una regolamentazione dell’accesso tramite la disposizione di discese al mare attrezzate, e la contemporaneachiusura dei passaggi «spontanei» e la delimitazione (tramite tabelle e staccionate in legno) di eventuali areecritiche per l’avifauna possono contenere notevolmente l’effetto delle interferenze segnalate.

Attracco natantiAlla foce del Sangro si rileva la presenza di natanti attraccati lungo le rive. Sono presenti anche piccole strut-ture di attracco a carattere «spontaneo», palificate in legno, piccoli pontili, etc.Da un punto di vista faunistico la presenza dell’attracco in una delle aree più delicate dell’asta fluviale com-porta disturbo ed alterazione degli habitat di sponda. È auspicabile che si proceda ad una regolamentazionedel fenomeno, possibilmente recuperando una copertura vegetazionale autoctona sulle sponde ed allonta-nando in altra sede meglio attrezzata i natanti ivi presenti.

Attività venatoria nelle aree adiacentiL’attività venatoria in zone limitrofe costituisce sia una possibile fonte di disturbo, sia un fattore limitante perla consistenza delle popolazioni. Allo stesso tempo può essere un valido strumento in caso di necessità dicontrollo di specie presenti nella Riserva, in quanto nell’ambito degli spostamenti diverse di esse tendono aduscire dai confini. La ricerca di un coordinamento tra Riserva ed aree adiacenti (A.T.C.) dovrebbe essere inparticolare finalizzato alla definizione di una intesa gestionale per l’area della Foce del Sangro,, nella qualepassa il confine della Riserva.

Presenza di cani randagiLa presenza di cani liberi di muoversi nelle aree aperte, laddove si registrano attività riproduttiva di diversespecie ornitiche che nidificano a terra (in particolare il Fratino Charadrius alexandrinus) può avere effettimolto negativi. È necessario che il problema venga affrontato in maniera articolata, nell’ambito di un piano che segua tuttele opzioni possibili per il contenimento numerico dei cani presenti.

AgricolturaLe siepi e le aree arbustate vengono tutelate in tutto la Riserva: vengono espressamente vietati sradicamenti,tagli rasi e danneggiamenti. Sono permesse le potature con mezzi meccanici che non lacerino i rami, da effet-tuare obbligatoriamente al di fuori del periodo febbraio - agosto. Le specie non autoctone del comprensorio,non vengono tutelate e possono essere rimosse nel rispetto delle vigenti norme in materia. Le stoppie dovrebbero essere mantenute sui campi per tutti i mesi autunnali. In tutto la Riserva è auspicabileche non siano utilizzati biocidi di sintesi. In generale è auspicabile che siano applicate tecniche di coltivazio-ne che minimizzino l’impatto sull’ambiente. Alcune aree agricole sono collocate in siti particolarmente critici e potenzialmente molto adatte per progettidi recupero ambientale (in particolare le aree agricole): la Riserva può procedere all’acquisizione diretta disuperfici agricole a titolo permanente e la loro riconversione ad habitat di elevato valore per l’avifauna (zoneumide, aree boscate, etc.).

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PastoriziaPer le aree destinabili al pascolo (intese come tutte formazioni prative primarie e secondarie esistenti) vieneistituito il divieto di spietramento, decespugliamento, livellamento con mezzi meccanici e semina di misceleforaggere al posto delle associazioni spontanee. Interventi di trasformazione strutturale dei pascoli possonoessere effettuate per esigenze di tutela previste dal Piano di gestione della Riserva, e devono essere valutatigli effetti sulle popolazioni ornitiche.

Linee elettricheLe nuove linee elettriche a media e bassa tensione vengono autorizzate soltanto se completamente isolate ointerrate. Le nuove linee ad alta tensione vengono autorizzate solo se interrate.

RICERCA SCIENTIFICA E MONITORAGGIOI popolamenti ornitici svolgono un ruolo di per sé utile nel monitoraggio ambientale di un’area. In questosenso si suggerisce di effettuare indagini sia tramite osservazione e ascolto (punti di osservazione e ascolto -transetti), sia con sistemi di cattura e marcaggio (inanellamento, trappolamento micromammiferi, etc.). Il rilevamento delle dinamiche di trasformazione dei popolamenti faunistici si dimostra interessante soloquando corredati di relativa interpretazione ambientale dei risultati ottenuti. In particolare si individua l’opportunità di effettuare le seguenti indagini di monitoraggio dell’ornitofauna:cattura ed inanellamento sia in ambiente di macchia, sia lungo le rive in orari notturni;punti di osservazione e ascolto (metodo IPA) nei soprassuoli delle falesie;osservazione presenze ornitiche in mare.

INTERVENTI SPECIFICISi ritiene opportuno precedere in maniera prioritaria all’esecuzione dei seguenti interventi specifici:- ripristino ambientale della foce del Sangro;- controllo dell’accesso alla spiaggia durante i mesi primaverili;

In particolare si ritiene prioritaria la sistemazione ambientale dell’area della foce, da attuare attraverso la tra-sformazione dei terreni agricoli presenti immediatamente a sud della stessa (tra la massicciata FS dismessa, ilmare e il fiume), in zone umide idonee alla sosta ed alla riproduzione dell’avifauna acquatica. Tale intervento è da considerasi prioritario in quanto la presenza di zone umide lungo la fascia costieraabruzzese è eccessivamente limitata e manca un numero sufficiente di aree di sosta lungo la grande rottamigratoria adriatica. Le sistemazioni ambientali devono essere effettuate tenendo conto delle esigenze di habitat delle speciepotenziali. Questo intervento di conservazione, nonostante le dimensioni limitate, potrebbe comportare unnotevole incremento delle presenze faunistiche della Riserva e costituire un eccezionale punto di osservazio-ne, di grande valenza scientifica e didattica.

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LECCETA DI TORINO DI SANGRO

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ASPETTI STORICIASPETTI STORICI1

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TORINO DI SANGRO: DALLE ORIGINI ALL’INIZIO DEL XIX SECOLOLa denominazione “Torino” compare per la prima volta nel 991 nella cronaca di Santo Stefano in Rivomarescritta dal monaco Rolando. La radice del nome (tauros, monte) rimanda ad un’origine pre-romana da colle-gare alla discesa dei Taurini (popolazione di origine caucasica insediata in Crimea), che tra la fine dell’etàpaleolitica e l’inizio di quella neolitica giunsero in Italia settentrionale e si stanziarono in Piemonte nel terri-torio di Torino, nelle limitrofe zone alpine e transalpine, scendendo in seguito nel Meridione. L’attuale nomeè stato adottato saolo nel 1862 quando il Consiglio Comunale mutò “Torino” in “Torino di Sangro”.Tracce di insediamenti umani risalgono all’età del rame. Il primo nucleo dell’abitato era situato nella partepiù elevata, dove sorgeva la torre quadrangolare abbattuta alla fine degli anni ’70 e raggiungeva la Chiesa diSan Giovanni in via del Colli. La chiesa parrocchiale di S. Salvatore, costruita in seguito e rimasta per un lassodi tempo isolata, fu raggiunta successivamente dalle abitazioni. Di questa non è noto l’anno di edificazione,ma figura tra le dipendenze delle badie di S. Stefano in Rivomare e di S. Maria Arabona nel 1302. Intornoall’abitato si estendeva il bosco nel quale fu costruita la chiesa della Madonna (sec. XIV) che sorgeva nellaselva attraversata dalla via Piana (Corso Lauretano). La chiesa di S. Giovanni Evangelista (sec. XV) è postapresso le mura nella parte più antica del paese, mentre nell’abitato e fuori esistevano le chiese di S. Nicola, S.Maria di Fresina, S. Angelo, S, Pietro martire, S. Maria delle Grazie, S. Filippo Neri, S. Antonio di Padova, S.Mercurio, S. Felice, S. Ciriaco, S. Spirito, S. Maria della Porta e S. Maddalena. Il paese è circondato da mura finoal 1703. Non è rimasta traccia delle antiche mura romane, mentre alcuni reperti di quelle edificate nei secc.VIII-IX, per resistere alle incursioni ungare e saracene, erano ancora visibili alla fine degli anni ’50, comeattesta Domenico Priori nel suo libro su Torino di Sangro. Una porta di cui non si conserva il nome permette-va l’accesso alla parte più antica del paese. La sua esistenza trova conferma nella viciniore chiesa di S. Mariadella Porta. Un’altra porta denominata “Porta di Mezzo” doveva essere collocata ad oriente al termine delladiscesa di via Porta di Mezzo. Presso la porta vi era una torre di difesa collegata a quella sita nella zone di viadei Colli tramite un passaggio sotterraneo, percorribile per quasi quindici metri fino all’inizio degli anni ’50.Fuori le mura sorgevano case, chiese e l’abitazione del castellano ubicata nella zona Colpodocchio. Il castel-lano non risiedeva a Torino, ma vi soggiornava insieme ai suoi armigeri quando era tempo di riscuotere icensi. In tempi più recenti furono edificate abitazioni in Via Croce di Mare, in origine piccole case di argilla epaglia.Il paese nell’Alto Medioevo apparteneva al gastaldato di Chieti e nel 1140 compare come feudo di S. Stefanoin Rivomare. Nel 1257 il monastero di S. Stefano fu concesso dal papa Alessandro VI e dal re Manfredi a quel-lo di S. Maria Arabona, da questa data fino a quasi tutto il XV secolo Torino e Rocca d’Osento appartennero al

Dina Iezzi

1 La stesura del profilo storico si attiene al testo di Domenico Priori, Torino di Sangro, 1957.

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monastero citato. Nel 1420 Torino divenne feudo di Lanciano, passò nelle mani di Jacopo Piccinino nel 1460e nel 1477 in quelle della regina Giovanna, seconda moglie di Ferdinando II d’Aragona. Nel 1508 fu concessoa Prospero Colonna e ai suoi eredi che lo mantennero fino al 1639, quando appartenne di seguito ai d’Avalosd’Aragona, ai Carrafa e, defunto don Cesare d’Avalos senza legittimi eredi, fu acquistato per novemila ducatidal barone don Giuseppe de Stefano. Alla sua morte, nel 1761, il feudo di Torino fu ricevuto in eredità dalfiglio Alberto, che probabilmente ne fu l’ultimo intestatario. Quando la feudalità fu abolita nel 1806 daGiuseppe Bonaparte, il comune non presentò alla Commissione feudale istituita nel 1807 alcuna richiesta inquanto negli atti non se ne conserva traccia.Nello stesso periodo in cui si formò l’insediamento di Torino nelle località Uomoli e Muccoli sorgeva l’abita-to di Civita di Sangro, donato tra XI e XII secolo al monastero di S. Giovanni in Venere che lo cedette nel1411 a Torino. L’abitato fu distrutto dapprima dai Crociati nel 1194 ed in seguito da grandi alluvioni eripetute frane nel 1268. La popolazione si spostò nei castelli vicini, pur continuando il sito ad essere abitato,nel 1413 verrà abbandonato del tutto e nel 1753 risulterà completamente distrutto.Alla circoscrizione di Civita di Sangro apparteneva probabilmente Rocca di Sangro, posta sulla foce delfiume, dove si trovava il porto. Fu donata nel 1047 alla Badia di S. Giovanni in Venere insieme a metà delporto. Nel XVI secolo fu costruita a scopo difensivo una torre sulla foce del fiume Sangro, i cui resti affiora-vano negli anni ’50.Nell’attuale località Lago Dragoni, in prossimità degli scogli denominati “Le Morge”, attraversata dallaNazionale adriatica, in età altomedievale sorgeva l’abitato di Rocca d’Osento. Nel 1140 fu donato al monas-tero di S. Stefano in Rivomare e certamente subì la devastazione dei Crociati nel 1194 che investì tutto illitorale compreso tra il fiume Sangro e il Trigno. Nei medesimi anni in cui rovinò Civita di Sangro, Roccad’Osento fu distrutta da ripetute frane e dalla violenza delle onde del mare. Tuttavia il sito continuò ad esserepopolato, sebbene la maggior parte dei suoi abitanti si fosse trasferita nel vicino castello di Torino, mantenen-do l’arciprete fino al 1434 (nella località si trovavano le chiese di S. Tommaso Apostolo e quella di S. Nicola inRocca d’Osento), quando il territorio era ormai considerato un corpo unico con quello di Torino.

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NOTE STORICHE SUL PAESAGGIO AGRARIONOTE STORICHE SUL PAESAGGIO AGRARIOGiuliano Di Menna

IL BOSCO: UNA PREZIOSA RISORSA IN ETÀ MODERNADalla fine del Cinquecento, le terre boscate e civiche, erano le uniche risorse territoriali da cui i cittadinipotevano trarre la propria sussistenza. L’insieme della popolazione, costituiva quella che giuridicamente veniva chiamata “Universitas”, strettamenteconnessa al territorio e alle terre civiche da essa amministrata (Villani). L’amministrazione delle terre civicheo di quelle feudali garantiva all’Universitas la sopravvivenza e le rendite con le quali poter sopportare il pesofiscale regio, le collette feudali o i pesi ecclesiastici.L’Università – cioè l’insieme dei cittadini retta da un’amministrazione civica a controllo feudale – traeva ipropri introiti dall’affitto delle proprie “terre” ai singoli cittadini che provvedevano a coltivarle, dall’affitto deipascoli (diversificati tra loro) a cittadini o persone di altri luoghi, dalla vendita di taluni servizi, la cui privati-va era concessa dal feudatario, a persone che con l’esercizio commerciale o di amministrazione ne traevanointroiti. Altri esigui redditi derivavano dalle tasse dette del “focatico” (sulle famiglie) e della “bonatenenza”(sui beni di proprietà da cui erano esclusi, prima del 1734, tutti quelli dei nobili ed ecclesiastici).Di norma gli introiti derivanti dalle risorse territoriali erano così organizzati:

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“Ill.mo ed ecc.mo SignoreLa Università et homini della terra di Turino della Provincia di Apruzzo citra fa intendere a V.E. come essa terra distrutta,et inabitata, è ridotta a fochi cento si trova debitrice in molte migliaia di ducati à molti particolari et alla Regia Corte, etessendo impotente quelli non può pagare e del continuo è travagliata da Canerarij li quali si pigliano quello che poco cheda detta Università esigeva per le sue giurnate, et essa penerà… et in dies non crescendo il debito ha per questo fatto pub-blico Consiglio, e deliberanza nemine discrepante d’affittare et arrendare le suddette entrate per anni sei cominciando dalmese di ottobre venturo, e come meglio si potrà convenire con li affittatori adestante peso di candela che si … si allumeràquale affittatore ha obbligo fare l’infratto pagamento alla regia Corte e Creditori della medesima, et ad essa Universitàsupplica però V.C. si degni concederli il seguente decreto et assenzo et l’haverà a grazia da V.C ut deus.L’intrate d’essa università quale desidera affittare et arrendare per anni sei conforme alla capitulazione fatta per essaUniversità in pubblico Consiglio quale si provvederà … sono videlicet:

In primis il Pasculo del territorio detto del feudo del Sangro conforme alla detta Capitolazione. Il pasculo delle ghiande di dettoterritorio ripartito in doi difese con certe pene e patti espressi in detta Capitolazione.

La scafa della mità del fiume Sangro franchi li franchi con li patti concedendi ut supra e pene alli scafaroli che non possanotagliare legne di cerque et altro come in detti Capitolazioni.

Item l’esattione di carlini 15 a foco e carlini sei per sona conforme li serrami dati dalla detta Università le cedule testa per testa

LLECCETA DI TORRINO DI SANGRO

A titolo di esempio riportiamo di seguito alcuni documenti archivistici sugli introiti comunali.Il 6 settembre 1613 in Torino si stipulò un atto, nella sala pubblica, alla presenza di Petro Garlesa, AngeloMancino e dell’arciprete D. Ascanio Galante e D.Giovanni Nicolao Di Lallo. Il mastrogiurato Marco Poliderus e Francesco Vitale sindaco e Francesco Antonio de Santis, FrancescoDesideri, Giuseppe de Micario e Giovanni Giuseppe Fabrizi uomini e popolo di Torino.Obiettivo della stipula era la determinazione di un Regolamento per l’affitto delle entrate municipali, resosinecessario per il perdurante debito delle casse comunali.

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L’Università, per la “mala sorte” si trovò ridotta a 100 fuochi ed a sostenere debiti sia nei confronti di finanzia-tori privati che della Regia Corte. La soluzione trovata fu quella solita di riaffittare le “entrate” per 6 anni incambio di una rendita sufficiente ad estinguere il debito.Nonostante i propositi quasi mai l’umiliante costrizione non portava alla risoluzione del problema.Si redassero dei “capitoli” per la gestione delle entrate che sommariamente prevedevano:1 – il pascolo nel feudo detto “Feudo del Sangro”

il pascolo delle ghiande doveva essere ripartito in due difese regolamente nei capitoli2 – la scafa sul Sangro con gli scafaroli che non potevano tagliare “legne di serque”

“Capitoli dell’affitto dell’Intrate de grani, rendimento, de scafa, ghiande pascipascolo del Sangro territorio dell’Università diTorino esigenza delli pagamenti buttati ad onze et a foco fatti dal mastrogiurato et sindici di detta terra per deliberanza delpubblico Consiglio fatto --- et neimne discrepante a dì 10 del presente mese d’Aprile 1613 et che si faccia detto affitto per seianni ò come meglio saria per espediente per detta Università ad estinto di candela e liberati al più offerente per estintione dipagamenti fiscali e debito che tiene detta Università conforme di sotto vi sono notati e perciò s’habbia il regio assenso.

Item ch il compratore di detto affitto possa entrare alli 16 a settembre prossimo futuro … però in servitio dell’affittatore leghiande dalli 24 di settembre alla festa di Santo Angelo et che da detto tempo non possa niuno pascere detto feudo.

Item che al Compratore che saria li sia lecito in detto territorio di Sangr poterci ogni quantità bovi che vorrà per servitio dellacoltura in detto territorio.Item detta Università mediate li soi officiali permette far bona al detto Compratore l’infratta Capitolatione del pascipascolodelle ghiande.

con le bonatenenti per il detto affare debba pagare all’infratto l’infratte quantità.

In primis esso affittatore ha obbligo pagare al Caporale e soldato della torre del Sangro ducati settant’otto l’anno per tanti che èobbligato per cautela di S.C. e Regia Camera con recuperarne le debite cautele.

Quello che è obbligato pagare essa Università alla regia Corte co… essa e Magnifici et recuperarne scritture…Quello si deve a l’Arciduca Alberto testa per testa.

All’Istessa Università annui ducati trentasei per quelli pagare all’Abbate di San Giovanni in Venere nel giorno della sua festivitàcon li patti et convenzioni opposti in detti Capituli.

A bolla….. la candela docati cento per le teste et per tutto l’anno 1614 il capitolo di ducati 1000 con tutte le rednite et altre ….Per tutto l’anno 1615.

Alli Santelli di Lanciano ducati cento cinquanta per quello deve da essa Università per tutto lo meso di Agosto 1615.

Item quella Università predetta ducati cento acciò essa Università possa dispignare et ricattare un territorio che tiene impegna-to Cecco Saraca di Lanciano

Item possa istessa altri ducati cento cinquanta l’anno per occorrenze estraordinarie che tiene detta Università

Et mancando dalli pagamenti predetti ha tenuto a tutti … spese …Die 15 mensis maiy 1613 Neapolis.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROIn primis detto territorio di Sangro si riparta per la metà con due defenza comenza dalla Torre del Sangro tirando sempre perla strada da fin all’osente e sentenda per una defenza et l’altra metà per l’altri.

Item che li porci subito che haveranndo pascerà la prima defenza debbiano entrare a pascere l’altri defenza acciò le vacchebovi et altri animali de cittadini possano trascire à pascere da tutti comunemente.

Item che dopo saria pasciuti la seconda defenza da porci possano le bestiame predette de cittadini pascere per tutto lo territorio.

Item che li porci di detto affittatore possano trascire per tutto lo territorio.

Item che li porci subito che haveranno pascere la prima defenza debbano entrare a pascere l’altri defenza acciò le Vacche, boviet altri animali de cittadini possano uscire a pascere da tutti comunemente.

Item che dopo saria pasciata la seconda defenza da porci possano le bestiame predette de cittadini pascere per tutto lo territorio.

Item che li porci di detto affittatore possano trascire a pascere alla prima defenza dallo primo d’ottobre e debbiano uscire alloultimo di novembre et alla seconda defenza possano trascire dallo primo di decenmbro per tutto Carnevale.

Item che detto Compratore possa metterci a pascere ogni sorto d’animali tanto per uso quanto per mercanzia eccetto le pecora.

Item che … dette … per qualsivoglia animali grosso che ci trovaverà a pascere in detta defenza è per ciascheduna volta paga dipena il padrone d’esso uno carlino et per ciascheduno animale … grana cinque d’applicarsi a detto affittatore eccetto però libovi che arando detto territorio che … che s… retto tramete … riescono verso li muccoli cioè verso la … della scafa senza farci-li pascere et di la tirando fin a paese di Paglieta uscendo al Vallone dello pozzo, la quale parte si dà per il pascipascolo delli boviche ci possano andare del continuo etiam quelli de coloni frastieri che verranno a coltivare detto territorio ut sura, et che cipossano andare in detto cuccioli ongi sorte d’animali tanto essi Cittadini quanto dell’affittatore.

Item chi raccoglierà ghiande manualmente paghi pena carlini cinque per ciascheduna volta d’applicarsi a detto affittatore.

Item che nell’intrare in possesso che farà detto affittatore si debbia far estimare fra doi communi amici tutti oredegni che sonoin servitio della scafa come l’istessa scafa, pagliata, sarti et altre, uno da eligersi dall’Università et l’altro dall’istesso affittatoreet in ultimo di detto affitto debbia restituire tutte quelle cose che in essa si troveranno et mancando alcuna cosa lo debbia rifa-re ad essa niversità, et versa vece che ritrovanosi alcuno augumento detta Università lo debbia rifare ad esso affittatore.

Item che detto affittatore sia tenuto mantenere la scafa e farci passare franchi li franchi conforme al solito.

Item che li detti scafatoli non possano cogliere legna di serque verde senza per uso del ponte et non per foco ne per altro et tro-verendo incorrano in pena di docati doi d’applicarsi la mità a detta Università e l’altra mità all’Ecc.za del nostro Padrone.

Item che trovandosi alcuno di detta terra o d’esso affittatore che battesse serque o tagliasse arbori fruttiferi paghi di pena inconformità delli Capitoli generali fatti da essa Università per beneficio di detto territorio per ciascheduna volta carlini venticioè se sono persone de detta terra o altre la detta pena si paghi ad esso affittatore et se sono delle gente o persone d’esso affitta-tore la mità di detta pena ad essa Università et l’altra all’Ecc.na del padrone ut supra.

Item che detto Compratore debbia esigere ogn’anno continuando per anni sei mentre dura detto affitto carlini quindici a focoet carlini sei ad onza conforme gli hacta dati da detta Università la cedola da esigersi con tre terzi cioè il primo 3° possa esiger-si dal mese d’ottobre per tutto Gennaro, il secondo terzo da Febraro per tutto maggio, il terzo da Giugno per tutto settembreeccetto però la lista delle bonatenenze che debbia esigerle nel mese d’Agosto et mancando dette onze o fochi o essendoci personeimpotenti vadino a carico d’essa Università.Et per detta … seu affitto detto affittatore debbia sborzare et pagare le sottoscritte partite nei tempi destinati ut supra et sonovidelicet:

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In primis debbia sborzare et pagare al Caporale e soldato della reggia Torre del Sangro docati 78 l’anno per quello che que-sta Università deve alla reggia Cassa cioè pagarli in tre paghe hoc modo videlicet: che la prima paga li debbia pagare pertutto decembro, la seconda per tutto Aprile e la terza per tutto Agosto et nel’istesso giorno che saria fatto detta paga, mezzoali sopradetti Caporali et soldato debbia consegnare esso affittatore li debiti in strumenti all’Università fattaglia dalli dettiacciò subito si possano mandare da essa Università alla detta prima Cassa per farseli mandare boni et non pagandosi onon consegnando le sopradette debite cuatele et a…. sia esso affittatore tenuto ad ogni interesse de Camerarij di detta regiaCassa…d. 78Item debbia pagare all’Arciduca Alberto assegnatario docati quattrocento et cinque l’anno 3° per 3° conforme alla Regianovella pramatica et recuperando poliza de receptis et non pagando in termine sia tenuto esso affittatore ad ogni danno etinteresse de Commissarij. D. 405:00

Item debbia ogn’anno alli 15 di Gennaio pagare alli officiali di detta Università docati trentasei acciò possano pagarli per ilCannonea Santo Giovanni in Venere et non pagando in detto giorno esso affittatore sia tenuto ad ogni danno et interesse etessa Università et officiali d’essa possano pigliare detto denaro ad ogni interesse et danno d’esso. D. 36:00

Item che debbia pagare ogn’anno all’officiali d’essa Università docati cento cinquanta per l’estraordinarij d’essa che potesserooccorrere in tre terzi cioè lo primo terzo per tutto Gennaro, lo secondo per tutto Maggio, il terzo per tutto settembre eccetto que-sto anno debbia sborzare la prima recta stinta la candela. D 150:00

Item che debbia pagare subito estinto che sarà la candela docati cento … Mozzagrogni a … delle teste che sol dare da questaUniversità et docati quattrocento al Signor Santi …. Che pagò l’anni passati per detta Università alli Gesuiti. D. 500Item che debbia sborzare alla detta Signora Tolla docati centotre acciò per tutto Agosto dell’anno 1614 à ben estendere detteteste passate. D. 135

Item che debbia sborzare et pagare alli Santelli di Lanciano docati 250 per quello che deve questa Università per tutto lo mesed’Agosto dell’anno 1615. D. 250

Item debbia pagare per tutto lo mese d’Agosto dell’anno 1616 docati centotrentacinque alli sopradetti signori TollaMozzagrogna a compimento di tutti li renditi et teste passate. D. 135.

Item debbia pagare alla detta Signora Mozzagrogna per tutto lo mese d’Agosto dell’anno 1617 docati seicento a conto delliducati mille che questa Università tiene da essa una con li teste di tutte li mille che comingi dal primo del presente mesed’Agosto sino allo sborzo a ragione di ducati 7 per cento conforme alla pramatica et di tutti del pagamento debbia recuperarnepolisa de receptis. D. 600

Di più debbia pagare all’officiali d’essa Università docati cento acciò possano estinguere il debito che deve Cecco Sanaca dellaCittà di Lanciano. D. 100

Item che non pagando detto affittatore ne detti tempi destinati ut supra sia tenuto ad ogni danno et interesse che patisse dettaUniversità.

Item che subito estinto la candela debbia dare idonea pleggiaria in osservare et fare osservare ad unquam le retroscrittiCapitoli et convenzioni come versa vice essa Università et officiali d’essa promettono fa l’istesso et mantenerlo d’eccettione.

Item che nell’ultimo anno che uscerà dall’affitto non possa esso affittatore arressare ne fare arressare le restoppie conformeall’uso et consuetudine.

Li fochi che s’assegnano sono ottantatre . 83L’onze ottocento cinquanta. 850.Bonatenenze doi cento quaranta cinque 245Il di più entra all’università cioè se sarrà maggior somma vada in beneficio dell’Università.

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L’ATTUALE LECCETA: UNICA TESTIMONIANZA DELLA PROPRIETÀ MEDIEVALE BENEDETTINO DETTOFEUDO DI SANGROSino alla fine del Settecento Torino di Sangro poteva disporre di una grande estensione di territorio boscatocompreso tra il tratturo L’Aquila-Foggia e la costa adriatica in cui era compresa l’attuale Lecceta; per oltredue terzi l’altra macchia boscosa tagliata tra il 1806 e i due decenni successivi a seguito della censuazionedelle terre demaniali avviate dai governi della Repubblica partenopea.Nell’Atto del 1 marzo 1621, in Napoli si dice che per restaurare il monastero di S.Giovanni in Venere, l’a-bate Giacomo Caporosso da Sulmona concesse in affitto il feudo di Civita di Sangro all’Università diTorino ma il suo successore Antonio non volle riconoscere la predetta locazione, peraltro priva di assensoapostolico. L’Abate Antonio addivenne ad un nuovo contratto di locazione all’Università di Torino del feudo di Civitadi Sangro per il prezzo di ducati 240. Il feudo confinava con il territorio di Torino, con il mare Adriatico,con il fiume Sangro e il territorio di Rocca dell’Osento. Il castello di Civita di Sangro era tutto rovinato e ilmonastero non vi percepiva reddito. Veniva concesso all’Università di Torino a perpetua enfiteusi con l’obbligo di corrispondere un annuocanone di 7 ducati d’oro da pagarsi nella festa di S.Giovanni Battista. Questa poca chiarezza formale econtrattuale determinò indebite appropriazioni e rivendicazioni che si protrassero sino a Settecento inol-trato. La lite era inevitabile: gli abati di S.Giovanni in Venere (e poi i PP. Filippini di Roma) cercarono diriprendersi un territorio che aveva una rednita sicura per il pascolo mentre lo stesso rappresentava la sus-sistenza primaria della collettività di Torino.Nel 1739 l’Università di Torino ricorre alla Regia Udienza per invalidare la soprusa pretesa da parte diBenedetto Betti che agiva per conto del marchese D’Avalos contro l’affitto dei pascolo di ghiande nel bosco:ancora una pretesa che impegnò l’Università.

LLECCETA DI TORRINO DI SANGROItem che detto affittatore per il taglio venduto ad Alesando Morcone et Martino Fuoncies dall’Università non possa impedirlo dinesciun modo conforme alle Capitulationi di detta vendita.

A di X d’Agosto l’affitto predetto è restato ad estinto di Candela dopo fatti li pubblici banni per li soliti lochi al notar CamilloRota come ultimo licitatore di quel modo che stanno le retroscritte capitolazioni presenti Giovanni Joseppo de Fabritio,Francesco Antonio de Santolo, Giovanni Battista Ranucci, Francesco de Dero, Domenico Adario de Angelis, D. Gioseppo deDaniele et altri presenti in presenza d’Anniballe Bocchino Locotenente Capitaneo.

Anniballe Bocchini loc. del Capitano.+ segno di croce di Rotilio Vaccaio mastrogiurato+ segno di croce di Mascio Pollidoro+ segno di croce di Francesco Vitale Sindici di Torino….

Item che trovandosi alcuno di detta terra o d’esso affittatore che battesse cerque o tagliasse arbori fruttiferi paghi pena inconformità delli Capitoli generali fatti da essa Università per beneficio di detto territorio per ciascheduna volta carlini venticioè se sono persone de detta Terra ò altra , la detta pena si paghi ad esso affittatore et se sono delle gente o persone d’esso affit-tatore, la mità di detta pena ad essa Università et l’altra all’Ecc.za del padrone ut supra.

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La conservazione del bosco, quindi, rappresentava una delle preoccupazioni maggiori degli amministratoriperché risorsa sostanziale che garantiva un terzo delle le entrate degli utili comunali.Al controllo degli amministratori sui tagli o usurpazioni nonché i pericoli d’incendio si aggiungeva quella deicittadini che in esso vi trovava il sostentamento attraverso l’uso civico e la pastorizia.La disciplina della risorsa impegna gli amministratori in una serie di misure relativi al controllo dei dannisubiti2 sia per la vendita del legname; significativa, in proposito, la vendita di legname di quercia da utilizzarsi

1 A.S.CH, Doc. 1117/B1 2 A.S.CH, Doc. 1117/B2

LECCETA DI TORINO DI SANGROLA CARESTIA E L’ESPANSIONE DEI TERRENI CIVICI DATI A TERRAGGIOIl terraggioRilevante introito per le casse comunali era costituito finanche nel periodo francese dalla vendita dei cerealiricavati dal terraggio dei suoli comunali messi a coltura dai cittadini. Se nei decenni precedenti le coltivazio-ni erano finalizzate al sostentamento dei soli abitanti locali, dopo le carestie di fine Settecento (terribile quel-la del 1764) l’utilizzazione dei suoli demaniali per l’agricoltura diventò generalizzata, a volta anche eccessivae su suoli poco adatti, come accadde nei terreni montani. Dappertutto questa tendenza comportò una drasti-ca riduzione del manto boscoso e dei pascoli, cui coincise la successiva censuazione del tavoliere di Puglia,la ripartizione dei beni demaniali comunali ai privati cittadini ed una drastica riduzione dell’attività pastora-le. Negli atti comunali del 1809-18121 risultano in gran parte documentati gli interessi comunali per la vendi-ta dei soliti ed antichi prodotti derivanti dall’utilizzazione dei terreni comunali:

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3 A.S.CH, Doc. 1117 B34 A.S.CH, Doc. 1119/B15 A.S.CH. Doc. 171/B16 A.S.CH. Doc. 171/B27 A.S.CH, Doc. 1125/B18 A.S.CH, Doc. 1117 /B49 A.S.CH, Doc. 1118 /B1 10 A.S.CH, Doc. 1118/B2

LLECCETA DI TORRINO DI SANGROnella Fortezza di Pescara del 20 giugno 18093, quando quest’ultima si trovava interessata da ristrutturazioniedilizie, dopo le devastazioni subite dall’assalto francese del 1799.Il legname veniva caricato sulla foce del Sangro, dove sino agli inizia del secolo XIX si era un piccolo molo4. Nello stato discusso dell’Università del 1792 risulta che su 1565 ducati d’introito, circa 500 ducati derivava-no dalla vendita delle ghiande e circa 600 dai terraggi e altri 162 da censuarij5. L’affitto delle erbe e del bosco, stando alla fida del 1831, rendeva:- per ogni vacca o giumenta carlini4- per ogni bove aratore carlini3- per pecora, capra o negro grana 10 = 1 carlino- per vitello o annino grani 20- L’intera fida rendeva 120 ducati annui6.

L’economia privataRisulta documentato l’uso civico dei boschi sia per la raccolta di legname secco che per la raccolta delleghiande, concluso ilp eriodo di affitto. E’ interessante evidenziare che all’interno del bosco vi erano ricavatedella carbonaie mentre fuori di esso si era un forno per cuocere cenere7.

Il terraggio ottocentescoIl comune incaricava un compassatore ed un “pratico” per rilevare le terre comunali “mietute” e così stabilirela quota di terraggio che ogni singolo coltivatore doveva versare al Comune. Il grano del terraggio venivaconservato entro fosse granarie scavate nel suolo, al cui interno veniva stipata paglia e giunchi per protegge-re il seme dall’umidità8. Nella paglia veniva spesso mescolato il sale. Per tale prezioso prodotto veniva costruito un nuovo fondacoper il sale nel 1814; il mastro Filippo Covone si impegna a realizzare “cento canne di pietrata” a patto che icittadini avessero fornito il materiale.La vendita del grano consentiva al Comune di sostenere spese per la normale gestione, per finanziarsi leopere pubbliche (nel 1818 furono iniziate le costruzioni delle strade interne con selciato mentre nel 1816 siiniziò la costruzione del camposanto)9 che per le spese occasionali e d’emergenza. Il 25 maggio 1815 si ven-dette il grano comunale per sostenere le spese “urgenti” per il mantenimento delle truppe austriache stanzia-te a Torino di Sangro10. Sono ancora le risorse in cereali che permisero al Comune di fronteggiare la terribile carestia e l’epidemia difebbre petecchiale che ne conseguì nel 1817. In rispetto della circolare reale del 1 febbraio 1817, parte del

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11 A.S.CH, Doc. 1118/B3 12 A.S.CH, Doc. 1119/B1 13 A.S.CH, Doc. 1119/B2 14 A.S.CH, Doc. 1121/B1 15 A.S.CH, Doc. 171/B3 16 A.S.CH, Doc. 1120/B 17 A.S.CH. Doc. 171/B4

LECCETA DI TORINO DI SANGROgrano fu concesso in forma di sussidio giornaliero ai 97 contadini, compresi nell’elenco dei poveri, astrettidalle misere condizioni e dal pericolo di vita, sia per malnutrizione che per infermità11. Una nuova epidemia di tifo petecchiale si diffonde il 1 settembre 1821 infettando circa 500 persone12. Lacarestia si ripresentò nel suo dramma nel 1820, quando il grano “prima della fioritura” era già secco per laprobabile scarsità delle piogge13. E’ ancora nel 1829 che con lettera del 26 settembre all’Intendente, un contadino di Torino chiede di nonpagare 5 tomoli di grano di canone sul terreno che ha in possesso perché “un vizio di terra detto volgar-mente muca non potuto portare la falce alla messe già distrutta. Percui l’agrimensore non avendo trova-to traccia alcuna di ristoppia non lo ha misurato. Fa conoscere alla Giustizia di S.Eccellenza il suppli-cante che la sua famiglia è composta di circa quaranta individui, ha perduto un seminato intero, chedovea formare la sussistenza di essa; ha perduta la semina gittata alla ragione dè prezzi dell’invernoscorso di ducati sette la salma; ed ora si pretendono altri cinque tomoli di grano. Essa è nella più strettadesolazione. Le malattie che l’hanno afflitta le cagioneranno un forte disguido. E’ questo lo stato dellamedesima. E questo è l’oggetto che un padre settuagenario fa voti all’E.V. per la giustizia e La supplica,dietro un accorto suo informo sull’esposto, di dare il suo paterno provvedimento, onde il supplicantenon sia più molestato, il quale cesserà di far voti al cielo per la sua buona salute e lunga vita, mentre iltutto spera ottenere a grazia. Ut Deus. Torino ai 26 settembre 1829”.14

Altre volte era l’azione del fiume a compromettere i raccolti. “Torino li 27 luglio 1839 Pasquale Vallone agri-mensore cedolato. In occasione del compasso copme sopra formato per la corrisposta del terraggio, si è tro-vati che varie picciole estensioni di terre seminate a grano sieno rimaste in parte inondate dal fiume Sangro,ed in parte mietute a fieno, senzachè vi sia stato produzione in grano riportandosene per delicatezza dell’a-grimensore, e per dovere del suo incarico qui appresso i nomi dè coloni colle rispettive terre, rilevandosiche dal numero primo fino al numero 12 sono seguite le terre inondate e dal numero 13 al n. 38 sono segna-te le terre falciate a fieno, spiegando che il totale delle terre in tomoli 1800. 15

IL VALORE ECONOMICO DEL BOSCOScrive il guardiabosco di Torino di Sangro che il 31 luglio 1823 ha trovato reciso un “cacchione di quercia nelBosco denominato Selva di Torino in contrada detta del Caravotto in tenimento del Comune suddetto”. Ilsuddetto cacchione di quercia era dell’età di cento anni, della circonferenza di palmi sei e della lunghezza dipalmi nove16. Il valore del legno era di Ducati cinque e carlini quattro. Il valore del danno era stimabile in car-lini quindici; e complessivamente ammontava a ducati 6 e carlini nove. I tagli abusivi, di solito molto limitati,avvenivano per ricavarne legna da ardere17.

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18 A.S.CH, Doc. 171/B519 A.S.CH, Doc. 1117/B4 20 A.S.CH, Doc. 1119/B3 21 A.S.CH, Doc. 1117/B5 22 A.S.CH, Doc. 1119/B4

LLECCETA DI TORRINO DI SANGROIl 22 agosto 1841 l’Intendente autorizzò la vendita di una quercia caduta nel bosco ad azione del vento peruna base d’asta di carlini 10, venduta in rialzo a carlini 17; altri 3 alberi furono valutati ducati 1, grana 5 e ven-duti con asta a ducati 1 e grana 3018.

DEVASTAZIONI DEL SUOLO BOSCATOL’epoca del sindacato di Luigi Marinelli fu contrassegnata da due fatti gravosi: l’assalto al bosco da parte deibriganti con grave compromissione del transito nella strada litoranea, e il tragico crollo del campanile comu-nale nella mattina (ore 6,15) del 9 novembre 1808 con gravi danni anche alla chiesa. Tra le motivazioniaddotte fu richiamata l’azione delle acque metereologiche o anche un terremoto19. Passeranno cinque anniprima che si procedette alla redazione del progetto di nuova costruzione redatto dall’arch. MichelangeloTaito di Torino, comprendente anche la sistemazione di alcune strade interne ed esterne e il riparo allo “sco-scendimento dè terreni obliqui all’abitato”.A turbare l’ordine delle cose e l’attività amministrativa ci fu una “istruzione” a carico del sindaco per i “guastiavvenuti nel Bosco comunale” da parte di cittadini con sua autorizzazione. Era sindaco Domenico Cioncimentre suo padre, il chirurgo Carlo, era cancelliere (morirà il 21 novembre 1821 dopo aver retto la condottamedica per 53 anni).20 In una lettera si affermava:” la Selva intiera di quel pubblico si sta a tutta passata sbo-scando con enormi tagli e recisioni di Alberi frugiferi, ad arbitrio di quel Sindaco che dispoticamente neintroita somme non indifferenti a solo di lui profitto e non mica già di quello del Comune suddetto”; laGuardia generale il 20 novembre 1814 fece sopralluogo redigendo un processo verbale per rilevarne i danni;da esso si rileva che furono tagliati “alberi di cerro e querce in numero 24 in diverse contrade di detto bosco(…) per uso del Ponte. O’ trovato altresì nella contrada detto lago tondo un albero di cerro reciso da FedelePalombo di Fossacesia per ordine ed intelligenza del Sindaco di Torino (…) indi mi sono condotto nella Torredel Sangro in dove ho trovato numero 5 tavoloni di lunghezza palmi 24 l’uno circa, numero 7 di altri tavolonidi palmi 50 circa, numero 15 di pezzi di rocchi torti; numero 39 tavole. Tutti i suddetti legnami per uso dicostruzioni”.21

Il sindacato del Cionci rappresentò sicuramente uno dei più turbolenti vissuti dalla comunità torinese. E’ del1815, in piena restaurazione, che è il sindaco in carica Cionci a scrivere all’intendente denunciando le azionisobillatrici di alcuni suoi concittadini, compreso un ecclesiastico, miranti a destabilizzare il paese e contro lasua persona. Per questo motivo, l’anziano arciprete D. Vincenzo Ferrari, egli dice, si era appartato perchéminacciato di morte. Questa situazione indusse l’Intendente a procedere ad una indagine accurata sui fatti esull’operato dei Cionci che portò alla destituzione del sindaco; quello successivo, D. Priori, si lamenta ancoradel comportamento del predecessore, scrivendo il 30 settembre del 1815, perché i “pesantissimi legni” deitrabocchi dei tappeti dei Cionci, essendo trasportati lungo le strade comunali, rovinavano il selciato di esse.22

La comunità locale fu turbata da accadimenti raccapriccianti e soprusi denunciati da alcuni testimoni ascol-

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23 A.S.CH, Doc. 1118/B4 24 A.S.CH, Doc. 1119/B5 25 A.S.CH, Doc. 1124/B1

LECCETA DI TORINO DI SANGROtati dall’Intendente; fu noto che nel mese di agosto 1814 il fratello del sindaco sequestro 8 somari nel boscocomunale per la cui restituzione i proprietari dovettero pagare 4 carlini al sindaco, e fu ascoltata la testimo-nianza di Annamaria Cipriani di 35 anni, contadina, che si presentò con le chioma e sopraciglia recise, cosìriassunta dallo scrivano:“Signor Giudice, né primi giorni del mese di giugno del passato anno, in una mattina di mercoledìcome precisamente rammento, stando io entro la mia casa vennero in cinque gendarmi ausiliarij e miarrestarono portandomi nelle carceri sottoposte al di loro quartiero. Qualche ora dopo fu cavata e damedesimi Gendarmi condotta nel di loro quartiere ove trovai il Signor Arciprete Francesco MariaFerrari, il Sindaco Signor Domenico Cionci, il fi Signor Nicola Romanelli e il Brigadiere dè GendarmiSignor Farina. In occasione l’Arciprete con volto alquanto sdegnato mi disse queste precise parole. Ne tuda me che vuoi? Gli risposi io nulla ti ho fatto. Contemporaneamente il Brigadiere cominciò a dire dellemolte cose, che io non rammento affatto, e quindi mi fece ammanettare, e per mano d’un Gendarmeche mi fiderei di riconoscere, e che tuttora rimane in Torino, mi si fecero recidere le chioma e le ciglia emi si fece tingere a bruno la faccia. Così sfregiata ed ammanettata venni recata in giro per tutto questoabitato di Torino e poi venni trasportata di la al fiume Osento fino ai confini di Paglieta, ove venni sciol-ta e licenziata. Vedendomi io così sfregiata, ed in istato di non poter comparire pensai di retrocedereverso Torino, come feci, e venni a ricoverarmi nel Pagliario di Antonio di Loreto mio paesano e parente,un tiro di schioppo lungi dall’abitato in contrada della Tagliata. Quivi però nel mentre credevo di esseresicura ecco che circa le ventun’ora viddi venir il Brigadiere con varij altri gendarmi e fui nuovamentearrestata e portata nel medesimo carcere. Dipoi verso il tramonto del sole venne a trovarmi in carcere ilSignor beniamino Cionci, fratello del sindaco, e mi disse che stassi alegra perché sarei riuscita in quellastessa sera. Difatti passata mezz’ora di notte fui cacciata e portata nel Quartier, ove trovai il Brigadiere el’Arciprete, dà quali venni licenziata; e nel mandarmi via il Brigadiere disse queste precise parole: va chedomani se ne dovranno fare altre tre. L’Arciprete replicando disse, non signore, altre due. Me ne tornai acasa da dove non uscii per più giorni e frattando dei giorni dopo l’Arciprete venne a trovarmi in casa eparlandomi a lungo mi disse che tutto mi avessi ricevuto per amore di Dio, e mi animò a stare alegra amangiare e bere, e non pensare più a quello che mi era fatto; anzi mi regalò tre grani per farmi compra-re del vino, e lasciandomi si volle portare seco il mio ragazzo dell’età di circa dieci anni, per il qualeindi a poco mi mandò un tantino di lardo ed un poco di pasta comprata”.23 Non conosciamo bene lavicenda, ma sembra che le tensioni politiche locali, oltre che per probabili diversità ideologiche, si scatenaro-no per la diversità adottata nella gestione delle risorse pubbliche, tra le quali quella del bosco sicuramenteaveva un gran ruolo. Le tensioni dovettero perdurare nel tempo se ancora il 7 febbraio 1820, i cittadini consi-derarono un “abuso” l’utilizzazione di parte del denaro residuo raccolto per la festa di S.Rocco , dopo lespese per fuochi artificiali, Banda musicale e per acquisto di candele, per la costruzione di una nicchia neces-saria per la statua del santo24. Il quadriennio 1838–1842 l’Amministrazione comunale si trovò ad affrontare una serie di opere pubbliche, fina-lizzate alla costruzione delle nuove strade di Fontegiacomo e di quella per Paglieta e l’altra detta del Pozzo e lastrada di Capriccio; la costruzione del Camposanto e il consolidamento di terreni franosi prossimi all’abitato25.

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26 A.S.CH, Doc. 1119/B6 27 A.C. Tor., Doc. 1826 Mappa del bosco del Comune di Torino 28 A.S.CH. Intendenza, Doc. 171/B6

LLECCETA DI TORRINO DI SANGROLA RIPARTIZIONE DEL BOSCONel 1804 parte del bosco fu divisa tra i cittadini.Ognuno ebbe la sua quota, ripartita tra i cittadini, compresi quelli che momentaneamente non si trovavanoin loco. Il 20 ottobre 1808, il “pupillo” Cascio Nobile Scardapane invia una supplica al Sindaco affinché gliconceda la porzione della selva già divisa tra i cittadini che gli spettava; egli si trovava lontano da Torino permotivi di studio, ed ora reclama la sua porzione dietro pagamento di un canone26. Nel 1826 il Comune fa redigere una mappa del bosco esteso 820 moggia e passi 434 (820:434 1/3), a restitu-zione di un rilievo che, stando alle dichiarazioni dell’agrimensore Belisario Vizioli, è stato effettuato a “preto-riana a piano orizzontale”27. Dalla mappa apprendiamo che:1 moggio 0 900 passi quadrati1 passo lineare = palmi 7 1/3. Una lettera del sindaco Carlo Mazzotti al Sig. Consigliere Demaniale di Chieti dell’8 luglio 1861 chiariscemolto sulle operazioni demaniali. Egli scrive:“Signore, rispondendo al suo circolare a stampa dè 19 giugno pp. N° 1 Le dico che in questo ArchivioComunale non esistono documenti relativi a demani. Intanto da libri di esazione comunale si rileva chevi furono due divisioni delle proprietà comunali fra li cittadini, La 1a avvenuta nel 1806 come puòvedersi dagl’istrumenti che si conservano dal Notar Ciocchi di questo Comune e la 2a nel 1811, eseguitacon ordinanza del Signor Commissario Ripartitore Cavalier De Thomasis. La quale ordinanza non esistequi e potrà rinvenirsi nell’Archivio provinciale. Mi si fa sapere che quell’Ordinanza nella Disposizioneporta che per allora si fosse addivenuto ad una divisione di quota fra li cittadini miseri, salvo il dirittoa vedersi sui rimanenti terreni, se avessero a ritenersi come demaniali patrimoniali del Comune, o feu-dali, burgensatici o allodiali. Questo Comune esige i canoni in denaro e in generi colla proporzione ditre carlini a tomolo e di due tomoli per salma nelle coste, salma per salma nel piano, lordi di 5a e quan-to si semina a grano, orzo ed avena. Circa le occupazioni illegittime vi saranno state in tempi ben rimo-ti e su beni patrimoniali del Comune, il quale acquistò con citato legittimo esistente presso alcuni colonidi qui da Padri dell’Oratorio di Roma circa quattromila tomoli di terreno, concesso à medesimi Padrida Giovanna II ed oltre il denaro sborsato, questo come paga annualmente all’Amministrtaore Generaedè Padri anzidetti il canone netto di Ducati 28:80. Le osservo infine che per quanto mi sappia non visono giudici preventivi, e che Saverio Nicolucci di questo Comune sembrami il solo probo ed anzianoesperto di campagna il quale possa darle i lumi necessari. Ecco quanto le ho potuto dire al riguardo eperciò serverà s’io non le ho compilato un quadro sinottico su le domanda cadente nel suo foglio. IlSindaco – Carlo Marzotti”.28

Dalla delibera comunale del 20 maggio 1861 si rileva:- in archivio comunale non si conserva una platea dei beni comunali;- nel 1621 il Comune di Torino di Sangro acquistò dai Padri dell’Oratorio di S.Filippo Neri di Roma le spondedel fiume Sangro per il passaggio della scafa oltre un quantitativo di terra che si rileva al foglio 117 del cata-

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29 A.S.CH. Doc. 171/B730 A.S.CH. , Doc. 171/B8 31 A.S.CH, Doc. 1119/B7

LECCETA DI TORINO DI SANGROsto dei beni della Congrega dell’Abbazia di S.Giovanni in Venere e Congregazione dell’oratorio in Roma,esteso tomoli 4000.

- nel 1806 fu divisa da cittadini 1083 tomoli come si può vedere nell’istrumento del notaio Ciocchi.- nel 1811 fu divisa tra i cittadini altri tomoli 204,00 come si evince dalla piante dell’agrimensore Salerni diVillalfonsina;

- circa 900 tomoli di terreno sono a bosco di proprietà comunale;- si decide di incaricare un agrimensore per la formazione di una platea dei beni comunali. 29

Nel provvedimento di Giuseppe De Thomasis si rileva che:- furono ripartiti terreni siti nelle contrade delle Saletti e piana di Sotera di tomoli 495 con l’annuo peso dicarlini 3 a tomolo e un grano e mezzo per ogni quercia fruttifera;

- la proprietà comunale consisteva in 3 sezioni, la prima di tomoli 2.500 di cui 1.500 coltivati cioè 300 datempo antico con la corrisposta di tomoli 2 di grano sconcio per ogni tre tomoli di terreno posto sulle costee di tre tomoli per le terre site nel piano. Gli altri 1.000 erano stati messi a coltura nel 1806 con la ripartizio-ne tra i cittadini con l’annuo canone di 3 carlini per ogni tomolo di terreno e di 1,5 grano per ogni quercia.Gli altri 1.200, 300 erano idonei alla coltivazione e il rimanente 900 “è boscoso in situazione incapace di col-tivazione perché erta, lamosa e pietrosa; la seconda era di circa 2.500 tomoli interamente coltivata la cui cor-risposta era di 3 tomoli per ogni 3 tomoli di terreno in piano e di 2,5 tomoli per i terreni acclivi.

Con il provvedimento del 3 agosto 1811 si ordina la ripartizione di tomoli 300 da destinare alla coltivazione.30

LE VIE DI COMUNICAZIONE: DAL TRATTURO ALLA STRADA TURISTICA DELLA MARINALa scafaIl 2 settembre 1809 il sindaco Luigi Marinelli scrive all’Intendente:“Per rispetto alla scafa, è vero che l’estaglio riportato dietro le subaste sia mitissimo per li quattro mesidi affitto ma né tempi presenti, che per timore dè Briganti, si trova quasi interdetto il trafico, non si èpotuto trovare altro licitatore, come ne tampoco si trovano Deputati che vogliono soggiacere a tale cari-ca, ad oggetto di non porre a rischio la di loro vita in una spiaggia nuda. Oltre a che se mai si trovassechi tal carica volesse abbracciare, riuscirebbe di detrimento, e non giovamento a questo Comune, sulriflesso che nella Scafa vi vonno tre Persone addette al trafico di essa di notte, e giorno, queste meno dicarlini 4 il giorno per ciascuno, non vi vonno che sarebbe l’esito di carlini dodici al giorno; tale ritrattogiornaliero non si ha dal passaggio della scafa, ond’ecco che si andrebbe a rifondare; oltre poi il dire difurti si commetterebbero da Deputati nell’occultare il ritratto facendo. Si rifletta a tali principij e se nedia quindi gli ordini ulteriori per potersi eseguire.”La scafa del Sangro doveva essere continuamente ricostruita. Nella delibera decurionale del 25 novembre1827,31 si affrontava questo argomento, cui seguiva la Delibera decurionale del 20 aprile 1828 nella quale siaffermava: “considerando che le acque del fiume Sangro non sono a portata di sostenere la scafa a duebarchette, e che detto fiume non ha nelle opposte sponde argini tali da poter servire di sostegno e da

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32 A.S.CH, 1121/B2 33 A.S.CH, Doc. 1125/B2 34 A.S.CH, Doc. 1122/B1 35 A.S.CH, Doc. 1124/B2 36 A.S.CH, Doc. 1126/B1 37 A.S.CH, Doc. 1126/B2 38 A.S.CH, Doc. 185/B1

LLECCETA DI TORRINO DI SANGROpotervisi costruire una casa in tempo delle alluvioni per riparare essa scafa dall’impeto di quelle, poten-do una di esse ben volentieri trasportarla e perderla”. Si decise che il mastro Colsata Giacomo Loy costrui-sca la scafa ad una sola barca; e che una sola barca può “salvarsi” in caso di alluvione. Una sola barca sarebbedi facile gestione da parte degli scafatoli e non altrimenti con due barchette32. Nel 1851 il Comune dovetteacquistare un sarto per uso della scafa; il perito Andrea D’Orazio di S.Vito nell’esaminare la scafa “ha trovatoche la stessa per vetustà e perché consumata in particolare nelle colonne di sostegno non sia più attaall’uso”, si prevedeva la costruzione di una nuova scafa di d. 24.33

Nel 1833 si procedette alla costruzione di un ponte di legno sul fiume Sangro in occasione del passaggio diSua Maestà.34

A seguito dell’epidemia di colera del 1830, la foce del Sangro fu interessata dal “cordone sanitario”.Scrive il sindaco all’Intendente il 21 giugno 1838 chiedendo l’autorizzazione a restaurare una casetta comu-nale vicino il bosco danneggiata da ignoti; egli dice “Nel litorale di Torino vicino il bosco si trovà danneggiatala casetta comunale ch’ivi trovasi per uso della Deputazione Sanitaria. Si è creduto che né tempi delle conti-nuate alluvioni foss’aperta violentemente detta casetta scassandovi il muro in un punto non che la portafosse dai pastori per oggetto di prendervisi ricovero”.35 Tredici anni dopo la struttura fu divelta e i materialivenduti all’asta (vi erano 63 tavoloni di rovere, 34 tavole di abete, 12 quadroni di rovere, 12 quadroni dilegname molle, 2 lettiere di 8 tavole ciascuna, 2 aste di legno di palmi 15 l’uno, 2 foconi di legno con 4 ban-diere di lanetta rossa e 6 lanternoni e una tenda di tela incerata.36

La infrastrutturazione del territorio avvenne con la costruzione della strada che dalla piazza di Torino arriva-va sino alla sponda destra del fiume Osento ad opera dell’ing. Tommasantonio Mammarella nel 1842 mentrel’anno precedente lo stesso aveva curato la progettazione della traversa comunale di Fontegiacomo, operefinanziate dall’Intendenza di Chieti.Lo stesso ingegnere curò nel 1841 insieme all’arch. Michelangelo Taito la progettazione del cimitero. Quasicontemporaneamente, il 26 dicembre del ’42, festa di S.Stefano in una improvvisa frana sul fiume Osentoperse la vita Giovanni De Luca il cui corpo non venne più trovato.37

IL DEPAUPERAMENTODalla documentazione rinvenuta, si rileva che nel ventennio 1920 – 1940, il bosco avesse perso definitiva-mente l’antica utilizzazione e fosse ridotto a prelievo incondizionato di prodotti.Ancora nel 1914 il Comune adottava una serie di misure preventive e repressive per la difesa del pascolo nelbosco, continuando una tradizione destinata ben presto ad affievolirsi. Nel 1918, adotta un piano di gestioneforestale per il taglio controllato nel bosco Terracoste, per ricavarne legname di cerro da destinare allecostruzioni edilizie, cui seguirà il taglio successivo nel 1920.38 Probabilmente furono i tagli estesi che ali-

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39 A.S.CH, Doc. 185/B2 40 A.S.CH, Doc. 448/B1 41 A.S.CH, Doc. 448/B2 42 A.S.CH, Doc. 448/B3 43 A.S.CH, Doc. 447/B1

LECCETA DI TORINO DI SANGROmentò un’opinione contraria che arrivò il 19 febbraio 1923 ad esprimersi pubblicamente contro il tagliodelle acacie che fiancheggiavano la “Via Grande”, il cui legname fu venduto (secondo i ricorrenti) al ridottoprezzo di £ 555.39

Il 9 febbraio 1920 per un taglio di alberi (fotocopie)40

Per risolvere un pareggio in bilancio, il Commissario prefettizio, chiede al Prefetto di poter tagliare il bosconella contrada Saletti per un’estensione di ha 1,5.41

Il 16 ottobre 1941, in pieno periodo bellico, il podestà di Torino vende a due appaltatori di Ascoli Piceno la“radice di vella” per il prezzo di £ 4.800,00. Quest’ultimi si impegnavano a dotare di acqua potabile laBorgata Marina. Nella Deliberazione del 31 maggio 1941 n° 41 si scriveva: “Vista la nota in data 25 maggio 1941 n° 3426-Pos V. 2/88 del Comando Coorte della Milizia Forestale di Chieti, con la quale quel Comando in esito adanaloga istanza presentata di detta graminacea infestante e strutturante per eccellenza, costituisce unelemento negativo per la conservazione del bosco, per cui è da augurarsene la scomparsa totale ai finidi eliminare una pianta sfruttante un continuo e permanete pericolo di incendio ed ai fini di un sostan-ziale miglioramento del bosco e del pascolo; premesso che, come si rileva dalla predetta nota, ilComando della Coorte Forestale considera tale estirpazione una vera e propria pratica colturale, e per-tanto esprime parere favorevole perché l’istanza del Facchini venga presa in considerazione”. Si deliberaa queste condizioni:1 – il contratto aveva una durata di anni 2;2 – l’estirpazione doveva essere effettuata su 80 Ha (su 200 Ha) previa delimitazione della Coorte Forestale;3 – il prezzo era di £ 60 ad Ha;4 – la ditta doveva versare una cauzione di £ 500;5 – la concessione doveva riguardare la sola radice di vella mentre la restante pianta doveva essere lasciata a

disposizione del Comune;6 – doveva essere fatti salvi i diritti di pascolo e di uso delle erbe per gli animali.La ditta si impegnava inoltre ad allontanare i residui, potendo anche bruciare i cesti di rifiuti con le dovutecautele, e si impegnava ad effettuare gli scavi senza ledere le piante vicine utili del bosco; le buche dovevanoessere riempite con la terra42. Il prelievo di materiale sabbioso, con la ripresa edilizia del momento, sembra essere ancora la più proficua; ilCommissario prefettizio scrive al Prefetto il 21 febbraio 1947 lamentando il mancato pagamento degli oneridovuti dalla Ditta “Industria Laterizi G. e G. d’Innocenzo di Paglieta per la cava di sabbia dentro il boscoTerracoste. La ditta si impegnava a versare nelle asse comunali £ 15.000,00 per la sabbia e £ 1.000,00 per leceppaie divelte.Fino al 1956, nella zona Borgata marina, si prelevava breccia su terreno comunale43.

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LE NUOVE VIE DI COMUNICAZIONE COSTIERE: LA NATURALITÀ DISTRUTTAIl raddoppio stradale, apre l’intensa attività edilizia sulla costa legata all’industria vacanziera. Il 29 febbraio 1960 su finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno, si inizia a costruire la “strada turisticaLido Morge” per iniziativa della Provincia di Chieti; seguiranno poi nel 1963 le costruzioni di diverse stradeinterpoderali, ad opera del Consorzio per la costruzione di strade interpoderali in Torino di Sangro, dellastrada turistica attraverso le contrade Saletti, Sentinella, Colle Mariano e Lago dragoni, a monte della linea fer-roviaria e della Statale Adriatica n° 16, lung. Km 5, dalla foce del Sangro sino a raggiungere l’incrocio dellaSS.16 con le Provinciali 16.Ultimo e definitivo introito per il Comune è la vendita di “terreni a scopo edificatorio” siti nella “BorgataMarina”. Nel 1965 fu redatta una planimetria per la lottizzazione e tra il 1966 e 1967, previa autorizzazioneprefettizia, furono venduti i lotti a privati cittadini, non solo locali, sui quali poi avrebbero realizzato le “caseal mare” che tuttora caratterizzano il litorale44.

LA TUTELAIl Regolamento di Polizia rurale del 183645 rappresenta l’unico atto che ci tramanda la cura estrema chel’Università e poi il Comune riservava alla conservazione del territorio e del bosco. La tutela dei tempi del-l’ancièn regime scaturiva dalla necessità: meglio si conservava la risorsa e più si poteva disporre di riserve obeni di valore da mettere sul mercato per ricavarne denari (gli stessi necessari per fronteggiare le calamitànaturali e quelle più pericolose di natura feudale o militare).Con la ripartizione delle terre civiche, il bosco è soprattutto luogo da destinare alle coltivazioni agricole: ilbosco diventa “coltura” che poteva essere sostituita con altre (olivo e vite) a beneficio dei cittadini.Una mentalità che sopravvisse fino agli ai primi decenni del secolo XX. Negli anni ’20 e fino al Dopoguerra,il bosco era inteso come “bene naturale” da sfruttare incondizionatamente: solo una larvata gestione forestaleevitò il taglio a raso.Un nuovo ruolo territoriale per il bosco si afferma quando è la sua importanza scientifica ad attrarre l’atten-zione non solo degli studiosi ma anche degli abitanti abruzzesi. L’inserimento del bosco nel Censimento deibiotopi di rilevante interesse vegetazionale meritevoli di conservazione in Italia, condotto dal Gruppo dilavoro per la conservazione della natura della Società Botanica Italiana, costituita presso l’Istituto di Botanicadell’Università di Camerino, per i quali si prescriveva la conservazione integrale, dà la svolta anche per undiverso approccio dell’ente pubblico nei confronti del bosco: non più gestione delle risorse tradizionali (edormai ridotte per valore economico) quali legna, ghiande e lentisco, ma solo ed esclusivamente azioni ditutela. Il valore paesaggistico veniva finalmente riconosciuto nel 1970 con decreto ministeriale dellaPubblica Istruzione cui apponeva il vincolo ai sensi della L. 1497 del 1939. L’estate dell’anno dopo fu percor-so da un incendio cui seguì immediatamente una ripresa vegetativa.Una trasformazione che si prestò a incomprensioni da parte degli amministratori locali che, senza eccessivecautele, approvarono una richiesta di cessione di circa 3 ha di suolo comunale alla Società ITALBIT SUDS.p.a. di Treviso, pervenuta il 16 ottobre 1972, per la realizzazione di una fabbrica di materiali impermeabiliz-zanti plastici. L’offerta allettante consisteva nella promessa di occupazione immediata di 15 persone da

44 A.S.CH, Doc. 452/B1 45 A.S.CH, Doc. 1122/B2

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LECCETA DI TORINO DI SANGROampliare nei tre anni successivi a 60. L’impegno della Società comprendeva anche la restituzione dell’areaqualora l’impianto industriale non fosse stato attivato. Si seppe poi che la Società era di recente costituzione(novembre 1972) ed aveva sede in Torino di Sangro. Nella seduta di Consiglio Comunale del 14 novembre1972 n° 60 alcuni consiglieri non approvarono l’idea ipotizzando persino che l’iniziativa non avrebbe avutoeffetto duraturo perché sorretto dalla sola opportunità di poter disporre dei finanziamenti di cui alla Cassaper il Mezzogiorno. Il Consiglio comune approva concedendo il terreno allo scopo46. La scelta dell’Amministrazione, suscitò l’interesse Italia Nostra (Associazione Nazionale per la TutelaPatrimonio Storico, Artistico e Naturale). L’allora presidente avv. Antonino Di Giorgio diffonde la notizia suiquotidiani locali e lo rende promotore di una petizione contraria all’insediamento che fu inoltrata contempo-raneamente a:Comune di Torino di Sangro, Amministrazione Provinciale di Chieti, Consiglio regionale Abruzzesedell’Aquila, Ente provinciale Turismo di Chieti, Prefetto di Chieti, Sovrintendente ai Monumenti dell’Aquila,Ispettorato Dipartimentale delle Foreste dell’Aquila, Azienda di Stato per le Foreste dell’Aquila, Azienda diStato per le Foreste Demaniali di Roma, Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Chieti, MinistroAgricoltura e Foreste di Roma, Istituto Botanico dell’Università di Camerino, Società Botanica Italiana diFirenze, Istituto Botanico dell’Università dell’Aquila.Varie argomentazioni furono illustrate negli articoli “Un’industria in mezzo al bosco?” pubblicato da “IlTempo” del 27 febbraio 1973 e “tre ettari di bosco dovrebbero essere distrutti per installare una fabbrica dimaterie plastiche” pubblicato da “Il Mezzogiorno” del 28 febbraio 1973. In quest’ultimo egli scrive: “ a) ilbosco di Torno di Sangro, esteso circa 220 ettari, è tra il Conero e il Gargano, e cioè in un tratto di costalungo circa 300 chilometri, l’unico esemplare rimasto di macchia mediterranea consistente in leccete costie-re allo stato arbustivo (…) b) anche la fauna del bosco è ormai rara e meritevole di conservazione: vi vivonoancora, allo stato naturale, le tartarughe – Testudo Ernanni – c) l’interesse paesaggistico occorre sottolinearlouna volta che si è detto che è l’unica macchia di verde che si affaccia sull’Adriatico in un bellissimo tratto dicosta per lo più bassa e sabbiosa. Pertanto la zona stessa, riconosciuta di notevole interesse pubblico comebellezza d’insieme, è stata, con quelle contermini, sottoposta al vincolo paesaggistico con decreto ministeria-le del 10 giugno 1970.”

IL BOSCO: RIFUGIO E MITOIl 10 ottobre 1809 il sindaco Luigi Marinelli scrive all’Intendente: “ In occasione dell’Infestamento dè Brigantinel Bosco di questo Comune, moltissimi danni si sono cagionati in esso da questi naturali nonché di quelli diPaglieta, Fossaceca e Ville di Lanciano, tanto nerami che dal pedale, che io come sindaco per timore di essiBriganti non ho potuto vigilare su detto Bosco, ed ha custodi di esso ribellati e minacciati. Ne disponga intan-to gl’ordino corrispondenti onde i delinquenti siano castigati e tenuti all’ementa dè danni e di tale accadutocon altra mia di tre settembre ve ne passò avviso, di cui me ne viddi privo di riscontro. E con stima perfettavi saluto. Luigi Marinelli Sindaco.”47 L’azione dei briganti continuò.Un’altra lettera dei decurioni del 22 ottobre 1814 lamenta danni al bosco.“A richiamo di molti cittadini ci è pervenuta notizia che nel poco resto del nostro bosco comunale siasi

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46 A.S.CH, Doc. 449/B147 A.S.CH, Doc. 1117/B6

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48 A.S.CH, Doc. 1117/B7 49 A.S.CH, Doc. 449/B2 50 A.S.CH, Doc. 1128/B1

LLECCETA DI TORRINO DI SANGROaperta da qualche tempo in qua un taglio scandaloso di fruttifere querce da parte di parecchi Forestierie preciso da natali di Fossaceca, Ville di Lanciano e di Paglieta, autorizzati già i medesimi dall’attualesindaco Sig. Domenico Cionci”, gli stessi proseguivano chiedendo le dimissioni del sindaco.48

LE ARCHITETTURE RURALISolo in un documento, riguardante la richiesta di cessione di un terreno comunale, si accenna ad edifici diterra cruda, in cui il proprietario, per lamentare le sue condizioni di indigenza, dice di abitare in una casa diterra.49

LA FAUNANel il 3 gennaio1851 la guardia comunale uccise un lupo perlustrando il bosco comunale. “Noi abbiamodisposto che la belva fosse riconosciuta da due periti perloche dietro nostro ordine sono comparsi AndreaIezzi ed Ilario di poppo i quali han con giuramento deposto che l’animale uccisio era un lupo di sessomaschile dell’età di quattro anni o cinque anni”.50

SUI TOPONIMI: DALL’ANTICO BOSCO DI TERRECOSTE ALLA DENOMINAZIONE ARBITRARIA E “SCIENTIFI-CA” DI LECCETANel Dopoguerra la denominazione scientifica di “Lecceta di Torino di Sangro”, probabilmente coniata dallaSocietà Botanica Italiana, sostituisce quella storica di Terrecoste. L’abbandono dell’antico toponimo, oggi defi-nitivo, merita alcune considerazioni, necessarie quando si vogliono conoscere gli antefatti storici dell’areaboscata e i suoi usi.Numerosi toponimi risultano dal libretto del compasso del 1838 – 1840.“Libretto del compasso in grano, orzo ed avena lordo di ragione del Comune di Torino eseguito in questocorrente anno 1838”. Oltre ai nominativi si sono riportate le qualità di cereali relative al terratico e le contra-de in cui erano situati i terreni comunali.Esse erano: AllaRanicella (dal fico negricello)Scostarelle (di derivazione omonima, da costa)Vicende (da “campo avvicendato, cioè coltivato ogni due anni di maggese)Favaro (destinato alla semina)Fonte fasciano Colle della SentinellaVallone S.AntonioPiano de merchiLago Dragone (luogo acquitrinoso)Lentisco

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MasseriaPino della Carriera (dallo spagnolo carrera, cioè strada carrabile)TavernaScosteCoste di S.Pietro MartireRipettaValle Vruno Alla CivitaFontanelleVallone di paparelloFonte Paguro PadulaValle CaterinaPiana di CesarioAl RuzzoQuercia della MarchesaMulinelloCapriccioPasso TorchinoStrada del MolinoVallone di NanniVallone della MasseriaSovero (probabile da sotero, cioè non coltivato)ScalelleMuccoliMasciarelloPiana de VomeriTruccioColle MartinoVallone di S.AntuonoFonte MelainoAlle TaneFonte StefanoPasso del CarpinePasso GiovanniPiana di S.TomasoPetrinoSS.mo SelvottaColletto di due graniColle del termineColle MischinoColle Schiusi

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MatarazzoColle longoCasettaPiana di SangroStabile di RuzzoFocicchiaCantoniSalettoSaletti delle TanePiana di TassinaroRivoltaVerso S.AnzinoCampo grandeTerreno di CaprettiTorre pianoMartinellePiana dè monaciCrocettaLago FavaroColle MeschinoFeciaroCodavolpeTratturelloValle CastanoFonte PavoneFonte FaggianoPasso delle Vacche51.

51 A.S.CH, Doc. 171/B9

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ASPETTI SOCIOECONOMICIASPETTI SOCIOECONOMICI

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Mira Colangelo

La fascia costiera che termina il comprensorio dei fiumi Sangro e Aventino si dispiega per diversi chilometrilungo un suggestivo tratto che protende da S. Vito a Torino di Sangro, in un litorale più ampio che includel’ortonese e raggiunge San Salvo. L’oggetto di questo studio, che sarebbe ristretto alle località più strettamen-te balneari, appartenenti all’area del Basso Sangro, che sono San Vito Chietino, Fossacesia, Torino di Sangro eCasalbordino e, per similitudini di processi e dinamiche, alle zone limitrofe e più interne di Rocca SanGiovanni, Santa Maria Imbaro, Mozzagrogna, Paglieta, Villalfonsina, Pollutri, Scerni, non può muovere chedalla considerazione dell’andamento dei fenomeni nell’Abruzzo in generale e, nello specifico, nella provinciadi Chieti. Non avrebbe chiaramente senso un’analisi di scala ridotta che trascuri i rapporti con la dimensionee il contesto più complessivi in cui una realtà si inserisce e da cui prende significato.La metodologia cui si fa riferimento è quella che, muovendo dai dati statistici di alcuni principali enti e in par-ticolare dagli ultimi censimenti Istat, si sofferma a delineare un quadro qualitativo della realtà in questione.Il territorio considerato fa parte del contesto in cui si sviluppano le maggiori attività antropiche, ma nono-stante l’intervento intenso conserva elementi di spiccata naturalità, testimoniati proprio dall’area protettadella Lecceta e da siti di importanza comunitaria, ed è auspicabile pertanto che si prosegua nella tutela evalidazione della risorsa ambientale, in primo luogo per l’insito valore naturalistico, e in seconda battuta inuna logica di possibile sviluppo di quelle attitudini economiche e sociali che vadano a confermare eapprofondire lo specifico vocazionale o identitario senza il quale ogni investimento perderebbe di spessoree forza.

Tab. 1 I comuni ricadentinella fascia costiera BassoSangro in relazione allaloro caratterizzazione altimetrica e densità

abitativa (CensimentoISTAT 2001).

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LECCETA DI TORRINO DI SANGROIl tessuto abitativoIl basso Sangro, in un quadro assimilabile alla storia del sistema italiano e dell’Abruzzo nel suo complesso,rispecchia lo strutturale dualismo territoriale di una geografia sociale che è caratterizzata da aree interne esovracollinari divenute progressivamente più marginali, produttivamente destrutturate ed economicamentestagnanti o in declino, e il sistema collinare e costiero con impianti produttivi più dinamici e una crescitasocioeconomica più vivace e decisa. La configurazione economica dell’industria e del turismo, cavalcando la maggiore accessibilità e funzionalità,si è concentrata sul circondario dei litorali e sulle valli interne, dove si sono di conseguenza stanziate la mag-gior parte della popolazione urbanizzata e le principali infrastrutture di trasporto.Questo non esclude, anzi può delineare, disarmonie nell’integrazione del complesso di attività produttive con isistemi urbani non storici che mostrano i tipici tratti di realtà improvvisamente e fortemente industrializzate. E’in questi versanti, nelle zone di risulta più contigue ai comuni più grandi e lungo le principali direttrici infra-strutturali, infatti, che si accentrano i movimenti demografici più cospicui e attivi col rischio invariabile di unacrescita disordinata e sovradimensionata, di una conflittualità tra le diverse modalità di utilizzo e di convivenzadel territorio, e di un conseguente scadimento sia delle dinamiche evolutive sia della qualità della vita. A riscontro del fenomeno di dipendenza e spopolamento scontato dalle aree difficilmente raggiungibilirispetto ai territori non montani si riportano alcuni dati indicativi che cercano di quantificare il livello dimarginalità (Fonte: elaborazioni Cresa 2002) per comunità montane abruzzesi e comuni non montani. Si pre-cisa di seguito come sia stato determinato in linea di massima ogni indicatore. Indicatore demografico: variazione della popolazione dal 1981 al 2001 (data ultimo censimento ISTAT), numerodella popolazione attiva (20-64) e non attiva (>64), densità per kmq (calcolata sulla superficie territoriale infe-riore a 1400 m s.l.m.), indice di vecchiaia (pop. >65 anni/pop. <14 anni), indice di dipendenza (pop > 65 anni +pop. < 14 anni/pop. 14-65 anni, indice di dipendenza anziani (pop > 65 anni/pop 14-65 anniIndicatore del sistema produttivo: addetti all’industria manifatturiera/1000 abitanti, addetti al commercio/1000ab., addetti alberghi e ristoranti/1000 ab., unità locali artigianali/1000 ab., addetti altri servizi/1000 ab.Indicatore del sistema dei servizi: alunni scuole elementari/1000 ab., unità locali commerciali non alimenta-ri/1000 ab., unità locali commerciali totali/1000 ab., pubblici esercizi/1000 ab., unità locali istituzioniIndicatore del livello di vita: reddito pro capite, consumi Enel per utente (kwh), autovetture/100 ab., indicerelativo partita IVA per abitante

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Sulla base dei dati dell’ultimo censimento Istat in Abruzzo la popolazione residente è di 1.262.000 personecon una variazione media annua rispetto al 1991 dell’1,1% di incremento, in leggera controtendenza rispettoall’Italia centrale che in termini di valori assoluti perde 4727 unità di popolazione censita tra il 1991 e il2001; l’andamento conferma un generale rafforzamento dei comuni interessati da ritmi di sviluppo più signi-ficativi, come tutti i comuni costieri ed in parte i comuni capoluogo, e un indebolimento dei centri menovicini all’aggregazione industriale. Torino di Sangro mostra una situazione demografica di generale stabilità demografica. Il Cresa (Indicatori dimarginalità, 2002) lo classifica come un comune dinamico, con un sistema produttivo vivace, un livello divita alto e una dotazione di servizi media. Il pendolarismo scolastico di Torino di Sangro gravita principalmente su Lanciano e Ortona, quindi su Chieti,Vasto, Scerni e Casalbordino; di un certo rilievo è anche lo spostamento dei residenti, per lo svolgimento del-l’attività lavorativa, nelle aree industriali di valle. A Torino di Sangro 1335 unità di popolazione residente sispostano giornalmente (Istat, censimento 2001), di queste 738 (quasi il 24%) hanno come luogo di destina-zione lo stesso comune di dimora abituale e 597 (20% ca.) sono dirette fuori comune.

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Tab. 2 Andamento della popolazione residente nei comuni del Basso Sangro (Elaborazioni CRESA 2002).

La dimensione economica L’evoluzione delle sinergie economiche del Basso Sangro va inserita nel quadro più vasto del divarioterritoriale già ricordato tra le aree costiere e le aree collinari pedemontane e montane accentuatosinel corso degli anni come scarto tra i comprensori più e meno sviluppati, e il progressivo conseguenteallargamento del ritardo delle aree interne già contrassegnate da condizioni di svantaggio per il siste-matico crollo demografico subito a causa di processi di esodo migratorio e di urbanesimo. Nella provincia di Chieti questo fenomeno di sviluppo “delle formazioni vallive che si dipartono acascata o a pettine dalla fascia costiera” (C. Lefebvre) segue un duplice “schema idrico”, quello dellavalle del Sangro-Aventino e quella del Sinello-Treste-Trigno o Vastese, con configurazioni per moltiaspetti simili.Fino al 1971, periodo in cui si attivò il processo di industrializzazione, il territorio Sangro-Aventino eracontrassegnato dalle caratteristiche di un’area sottosviluppata (Piano Territoriale di Coordinamento,Provincia di Chieti). Era in atto un consistente processo di spopolamento determinato soprattutto da

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una struttura produttiva inadeguata, di forte polverizzazione artigianale.Con la creazione dei consorzi ASI e l’erogazione degli incentivi per il Mezzogiorno, si è avuto il primoforte impulso ai grandi stabilimenti industriali che, però, specializzandosi nel settore manifatturiero, esoprattutto della meccanica, della gomma e plastica, degli estrusi e dei prodotti alimentari (fonte:www.sangroaventino.it), sono rimasti avulsi dalla tradizione locale che non comprende una specializza-zione merceologica di questo tipo. Inoltre, a seguire un modello di sviluppo di “tipo meridionale”, lepoche grandi industrie insediatesi, già polarizzate geograficamente ed economicamente, si conservanoversate ai meccanismi del mercato oligopolistico internazionale, con sinergie di impianto verticale everticistico e con indotto locale circoscritto rispetto al potenziale, seppure non per questo menoimportante, confermando una sostanziale spaccatura tra medie e grandi imprese e piccole. Analizzandogli impianti per classi di addetti, infatti, si desume una maggioranza di imprese di piccole dimensioni. Delle 8.017 imprese presenti in tutta l’area del Sangro-Aventino, Alto, Medio e Basso (di cui il 17% sitrova nella zona di Castel di Sangro, il 22% tra Alto e Medio Sangro e il 61% ruota su Lanciano e la BassaVal di Sangro, soprattutto su Atessa) circa il 78% sono costituite da uno o due addetti, il 18% impiega datre a nove unità, il 3,6% può essere considerato come media impresa, e solo sei imprese sono composteda un numero compreso tra 200 e 500 addetti e due di dimensioni ancora maggiori (analisi Patto). In effetti il territorio Sangro-Aventino dal punto di vista produttivo presenta una articolazione significa-tiva di grandi imprese, alcune delle quali appartenenti a gruppi multinazionali, un considerevole nume-ro di piccole e medie imprese, di cui diverse operanti nel mercato della subfornitura, e una polverizza-zione di imprese artigiane.L’azione di trascinamento è partita da investimenti di gruppi esterni che hanno dato luogo a grandi polidell’industria di base che per lo più dipendono da aziende la cui casa madre è esterna alla regione, dun-que con risvolti occupazionali sicuramente positivi, ma con ridotte integrazioni con il tessuto delleimprese locali.La spaccatura del tessuto industriale tra le piccole e piccolissime imprese da una parte e le medie egrandi dall'altra è manifesta nella minore dinamicità, relativa alla nascita di imprese locali nell'interaarea, tipica di tutte le zone caratterizzate da grande impresa e aggravate dalla insufficiente creazione diindotto locale. Nella grande impresa è infatti netta la tendenza a creare stabilimenti dipendenti da cen-tri di decisione localizzati altrove con approvvigionamenti gestiti in maniera centralizzata per la garan-zia di evidenti economie nel costo degli acquisti. Il deficit di servizi per le imprese (ad esempio del marketing, della pubblicità, dell’organizzazione azien-dale o della formazione), seppure il settore sia in crescita, presente quasi paradossalmente nella zonadipende, in buona misura, da una ridotta domanda. Difatti, i grandi impianti industriali non indirizzanole richieste di servizi, soprattutto di tipo strategico e di assetto, alle imprese locali, piuttosto le funzionidi direzione, gestione e controllo sono prevalentemente localizzate altrove, presso la casa madre. In questo contesto si è andato intessendo un quadro industriale locale di significative dimensioni, carat-terizzato, però, da una non sottovalutabile fragilità legata sia alla recente costituzione delle imprese, ein un medesimo circondario, che alla loro collocazione nell’ambito della sub fornitura.Le PMI hanno una struttura finanziaria generalmente inadeguata, carenze organizzative e gestionali (ilknow how stesso delle grandi aziende non viene trasferito), la sub fornitura generalmente è rivolta soloa quei pochi clienti delle multinazionali e non c’è allargamento del mercato; il fatto di lavorare nellasubfornitura fa sì che molte pmi operino in un mercato in cui non sono necessari servizi orientati allosviluppo ed alle strategie aziendali.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROPer contro, oltre all’insufficiente investimento nel settore dei servizi alle imprese, in prospettiva, non va sotta-ciuto il rischio di un sostegno inadeguato alla vivibilità delle zone industriali e non ultimo il danno di unacrescita incoerente e non accorta in termini paesaggistici. Soltanto nel corso degli ultimi anni il comparto di minori dimensioni si sta adeguando a moderni standardproduttivi e qualitativi; un modello di industrializzazione diffusa di piccola e media impresa, che ha trovatosostegno nei movimenti che gravitano nelle aree industriali o a ridosso di queste e anche nella discreta reddi-tività del settore agricolo e nella presenza di un settore turistico in espansione sulla costa.Senza dubbio, dunque, il versante costiero e la collina litoranea presentano un accettabile grado di dinami-smo e capacità autopropulsiva. In queste aree risultano evidenti la presenza di risorse e redditività in agricol-tura, la maggiore intensità del processo di industrializzazione insieme ad una certa vivacità imprenditorialeed un discreto sviluppo del turismo balneare. Fa comunque riflettere l’accentramento dell’espansione inprossimità delle zone ormai tipicamente industrializzate potendo penalizzare i paesi non direttamente coin-volti - anche quelli del circondario, senza bisogno di spostarsi nel versante montano - svuotandoli di interessiall’investimento e sociali, e riversando la forza lavoro all’esterno.Se dal secondo semestre 2001 l’industria teatina, come quella italiana in genere, aveva scontato un andamen-to abbastanza altalenante, caratterizzato da un certo rallentamento del quadro produttivo, dovuto ai pesantiavvenimenti internazionali legati al terrorismo (generale caduta di fiducia della domanda dei servizi al tempolibero provocata dai fatti dell’11 settembre), per poi ritornare a un lento processo di ripresa e a un climaimprontato a un cauto ottimismo, negli ultimi anni a pesare in maniera significativa in tutta Italia è stata ladiminuzione dei consumi delle famiglie per le difficoltà determinate dal passaggio all’euro, e la conseguentesvalutazione dell’incisività del potere di acquisto.L’economia abruzzese, pur mantenendo un andamento migliore di quanto non si sia verificato per l’econo-mia italiana, ha tuttavia registrato un progressivo rallentamento sia sul piano della produzione che sul frontedegli impieghi delle risorse, ottenendo un risultato che nel complesso è stato meno brillante di quanto nonsi potesse preannunciare. I migliori risultati si sono conseguiti in quei comparti tradizionali che tra l’altro sono quelli che costituisconola parte solida delle componenti strutturali del sistema produttivo regionale.L’andamento sotto tono conseguito a livello regionale è dipeso in misura significativa dal rallentamentodella produzione dell’industria chietina dovuto al permanere di taluni fattori di incertezza relativi al mer-cato estero.In effetti, tra le quattro province d’Abruzzo, quella di Chieti ha un innegabile ruolo traino sulle esportazionise si considera che il suo contributo è di circa il 55%, accresciuto dal 1993 al 2000 dello 0,4% soprattutto peri comparti degli autoveicoli, dei minerali non metalliferi e degli apparecchi meccanici (Patto).

Imprese attiveper provincia e per settore -

Infocamere 2003

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Relativamente alle importazioni la provincia di Chieti non spicca in modo tanto netto. Col 39% sul totaledella quota contribuisce per i due terzi col settore della meccanica e del trasporto, col 5,6% per i prodot-ti della chimica e delle fibre sintetiche e col 5,2% con i macchinari elettrici. Il fatto che la maggior partedelle importazioni riguardi il settore manifatturiero implica che la rete delle imprese presenti nel chieti-no per l’approvvigionamento si rivolga al mercato nazionale, tralasciando quello locale e non consenten-do l’attingimento e il rafforzamento di risorse e capacità endogene.

Tab. 4 Indice di specializzazione delle imprese attive della provincia di Chieti per attività economica (Cresa, 2000).

Unità locale delle imprese per settore di attività economica e comune (8° Censimento dell’Industria Istat - 2001)

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La localizzazione delle imprese è concentrata in prevalenza nella fascia a ridosso della costa, il chietino con-tribuisce con un 37,8% di unità produttive, il Sangro-Aventino con il 29,8%, seguito dal vastese con il 20,9% el’ortonese con l’11,5%.I poli di maggior peso nel Sangro-Aventino, oltre ai già citati Lanciano e Atessa, sono Casoli, Fossacesia, SanVito Chietino e Paglieta.Nella fascia litoranea e pre-litoranea non occupata dalla grande industria, le attività economiche di maggiorrilievo sono quelle relative all’agricoltura e agli allevamenti (in numero di 1200 e costituenti il 63.7% delle atti-vità produttive); una quota di un certo interesse è rappresentata dal commercio, dalle attività manifatturiere eda quelle che puntano al turismo.

Tab. 5 Suddivisione delle attività produttive nell’area litoranea del Basso Sangro (Fonte: Stato dell’ambiente Comune diTorino di Sangro, 2002 – Società Sagrus).

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Tab. 6 Suddivisione delle attività manifatturiere nell’area litoranea del Basso Sangro in relazione al numero di impresee di addetti (Fonte: Stato dell’ambiente Comune di Torino di Sangro, 2002 – Società Sagrus).

Tra le industrie manifatturiere un certo peso hanno le industrie alimentari per la diffusione di frantoi e laconfezione di articoli di abbigliamento per il numero di addetti; di una certa importanza anche il settoremetalmeccanico.

Tab 7 Imprese artigiane operanti nel territorio del Basso Sangro (Fonte: Documento di analisi del comparto industriale –Patto territoriale Sangro-Aventino – 1999)

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Tab. 9 Attività industriali presenti nella fascia costiera del Basso Sangro (Fonte: Annuario delle industrie abruzzesi 2001– Cresa)

L’AGRICOLTURA La provincia di Chieti risulta caratterizzata da un rilevante numero di imprese agricole: in effetti quasi lametà di tutte le imprese provinciali (il 46,9%) appartiene a questo settore. Il fatto che esse occupino soloil 9,8% di addetti evidenzia che si tratta di imprese poco rilevanti dal punto di vista dimensionale, ma que-sta è caratteristica di tutto l’Abruzzo. La distribuzione delle aziende e le relative superfici per classe diSAU dall’ultimo censimento Istat sull’agricoltura (il quinto) va a confermare la già prevalente presenza nelsettore agricolo abruzzese di microaziende. Il settore ha dunque una specificità, sia a livello regionale chelocale (coefficienti di localizzazione con valori superiori all’unità).Dalla stessa analisi si evince come in Abruzzo si sia verificato, rispetto al censimento del 1990, un consoli-damento delle aziende più grandi (la quota di SAU delle aziende con più di 20 ha è aumentata) e una

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROsignificativa marginalizzazione delle aziende di minori dimensioni che sono diminuite nel numero (laquota SAU appartenente ad aziende con meno di 10 ettari è scesa dal 41,9% al 37,7%). A prevalere sonoancora le aziende a conduzione diretta e, tra queste, quelle a conduzione familiare (solo l’8% ricorre amanodopera extrafamiliare), ma la meccanizzazione riguarda ormai l’89,9% del totale delle imprese.In Abruzzo i terreni vengono prevalentemente utilizzati a seminativi (42,6% della SAU), sebbene il numerodelle aziende coltivatrici si sia ridotto del 30% circa, e a legnose agrarie, soprattutto l’olivo e in secondabattuta la vite. Rispetto al 1990 le aziende olivicole sono diminuite del 3,8% ma con aumento della superfi-cie media aziendale; sono diminuite anche le aziende viticole ma non quelle destinate alla produzione divini di qualità, né la superficie che, anzi, si è notevolmente accresciuta.In flessione anche la superficie coltivata a fruttiferi, a prati e pascoli e a boschi.La provincia di Chieti non si discosta da questi andamenti.

Ripartizione delle superfici aziendali per provincia, classe di superficie agricola utilizzata e forma di conduzione. Anno2000. Fonte Istat V Censimento Agricoltura

Ripartizione delle superfici aziendali per provincia, classe di superficie agricola utilizzata e forma di conduzione.Variazioni percentuali 2000-1990. Fonte Istat V Censimento Agricoltura

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LECCETA DI TORINO DI SANGROLa maggiore superficie a seminativo risulta concentrata (16.284,79 ha, 55% del totale a seminativo) in soli 8comuni (Atessa, Casoli, Paglieta, Lanciano, Torricella Peligna, S. Eusanio del Sangro, Torino di Sangro eRoccascalegna). Il 55% circa del seminativo è impegnato da cereali, tra questi il grano è la coltura preponde-rante (tali coltivazioni sono diffuse principalmente nei seminativi non irrigui della collina interna, nei comu-ni ‘bassi’ della valle dell’Aventino da Castel Frentano a Montenerodomo e le aree non immediatamente aridosso del fiume della Valle del Sangro: Paglieta, Atessa, Tornareccio, ecc.). La rimanente quota è investita aforaggere da avvicendamento (27% della SAU) seguite da colture industriali (soprattutto tabacco). La presen-za delle colture ortive è degna di nota quasi esclusivamente nei comuni che presentano aree irrigue di valla-ta (Fossacesia, Torino di Sangro, Lanciano, Paglieta, ecc.)Le coltivazioni legnose occupano il 21,6% della SAU dell’area, si tratta soprattutto di superficie investita aulivo e vite (10,81% e 9,26% della SAU; la coltivazione degli altri fruttiferi si ha in piccole aree specializzate difondovalle e in zone collinari dove il clima è favorevole).

Tab. 10 Caratteristiche strutturali della aziende agricolenella zona costiera - ISTAT 4° Censimento generale del-

l'agricoltura (1990 -1991) (superficie in ettari).

Tab. 11 Suddivisione dellaSAU nel comune di Torino

di Sangro (Fonte ISTAT1990).

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROI territori della fascia prelitoranea e litoranea, nello specifico, sono vocati all’agricoltura, sebbene si tratti diun settore problematico per via di un andamento discendente (l’Abruzzo, in base ai risultati definitivi del VCensimento ISTAT dell’Agricoltura, dal 1990 al 2000 avrebbe perso un 22,4%, seppure le aziende agricolesiano in flessione più al Nord che nel Mezzogiorno).Le colture più tipiche sono quelle dell’olivo e della vite, insieme ai frutteti, che hanno nella zona costiera ecollinare una concentrazione significativa e che con le relative aziende di trasformazione rappresentano unacomponente importante del PIL agricolo.Per la superficie investita a vigneto, la distribuzione territoriale evidenza una larga prevalenza nella collinalitoranea, e in particolare in 5 comuni situati nella parte settentrionale dell’area: S. Vito, Rocca S. Giovanni,Treglio, Frisa e Lanciano. Qui la superficie vitata supera il 30% della SAU (con una punta del 77% a Frisa). Atale nucleo si aggiunge un’area più vasta che comprende la rimanente fascia costiera, la collina a ridosso dellafascia litoranea e si spinge lungo la Valle del Sangro fino al lago di Bomba.

Lo sviluppo del comparto vitivinicolo appare rallentato, insieme ad altri problemi aziendali ed extraziendali,in modo particolare da alti costi di produzione e ridotto valore di mercato che determinano bassa redditività.L’offerta, poi, è caratterizzata da estrema polverizzazione a causa dell’alto numero di operatori e la quotamaggiore di vino, circa il 70% (50% venduto sfuso a altri imbottigliatori, 20% inviato alla distillazione), vienecommercializzato in forma anonima; un prezioso patrimonio in termini di immagine viene dunque dissipatosenza che se ne tragga alcun vantaggio per i produttori e l’area considerata. Le produzioni olivicole sono presenti in una larga fascia di territorio che si estende dalla costa alla collinainterna fino alla collina pedemontana.Anche in questo caso, difatti, la maggior parte del prodotto, circa il 91%, viene commercializzato in forma

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Tab . 12 Descrizionedel peso in termini diSAU del comparto viti-colo nei comuni delBasso Sangro (FonteISTAT 1990).

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LECCETA DI TORINO DI SANGROanonima, di questo circa il 44% utilizzato dai produttori per autoconsumo o vendita, il 26% venduto diretta-mente dai frantoi ai consumatori, il 21% venduto sfuso a imbottigliatori fuori regione. Ancora, dunque, uncapitale materiale e immateriale, soprattutto per uno sperpero di immagine locale, non viene investito.

Tab. 13 Descrizione delpeso intermini di SAU delcomparto olivicolo neicomuni del Basso Sangro(Fonte ISTAT 1990).

Il comparto ortofrutticolo è limitato a pochi comuni, tuttavia in queste zone rappresenta una fonte di reddi-to importante. L’80% della superficie coltivata a ortive ricade nel territorio di Fossacesia, Paglieta, Atessa,Torino di Sangro (129 aziende ortive), Lanciano, Altino, Casoli, Mozzagrogna; nel settore frutticolo piùdell’85% della superficie coltivata ricade nei comuni di Atessa, Lanciano, Fossacesia, Altino, Mozzagrogna,Casoli, Paglieta, Torino di Sangro (87 aziende fruttiferi), Perano, Gessopalena, S. Vito Chietino, Palombaro.Riguardo agli allevamenti va rilevato nell’Abruzzo un generale abbandono della zootecnia da parte di nume-rose aziende, sebbene interessando quelle di minore estensione; oltre i 20 ettari, per contro, il numero delleaziende allevatrici aumenta in modo considerevole. La riduzione interessa anche il numero dei capi di bestia-me rimasto però invariato nelle aziende con meno di 20 ettari.Gli allevamenti più diffusi sono quello avicolo (con le minori perdite nel numero di aziende) e quello deisuini), a seguire, e in senso decrescente, gli ovini, i bovini e i caprini (V Censimento Agricoltura, Istat, 2000).

IL TURISMODal dopoguerra agli anni ’70 il Sangro-Aventino ha scontato disarmonie di fondo fortemente squilibranti alivello ambientale, produttivo, di tenore di vita e dunque di fenomeni migratori. Squilibri interni, depaupe-ramento delle risorse, abbandono da parte della popolazione le sono valsi il nome di valle della morte inun’area che oggi è tra le più vitali e produttive del Mezzogiorno, non senza i problemi di una rapida moder-nizzazione, grazie agli investimenti di grandi industrie, la creazione di infrastrutture più adeguate e, non

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROultima, l’incentivazione del turismo come presa di coscienza e valorizzazione delle proprie risorse ambien-tali e culturali.Il litorale che va da Ortona a San Salvo, in particolare, è ricco di aspetti di grande interesse naturalistico,tuttavia, per essere incisiva, l’offerta turistica non dovrebbe esaurirsi negli aspetti di fruizione della costa,che è fortemente influenzata dalla stagionalità, ma approfondirsi sul piano qualitativo e nel ventaglio deitipi di servizi, strutture e interconnessioni - storiche, culturali, ambientali, artigianali, folcloristiche – offertial turista, in un percorso di integrazione territoriale e nella creazione di un sistema turistico unitario e piùcomplesso.Il turismo del mare, seppure forte del suo primato nei flussi turistici, deve trovare nuovi contenuti diofferta integrata, un valore aggiunto di attrazione che parta dalla valorizzazione del proprio patrimoniopiù vasto di riferimento per offrire un mix di elementi materiali ma anche immateriali (fascino, attrazione,identità). Il discorso è valido per tutta la regione Abruzzo, visto che quello balneare continua a essere,come mostra il grafico che segue, il punto di forza del nostro turismo: il 70% delle presenze regionali èrilevato nelle strutture ricettive del litorale, il 20% in quelle dei parchi e di riserve naturali, solo l’8% nelrestante territorio regionale.

Presenze turistiche in Abruzzo nell’anno 2000(Fonte CRESA).

Attualmente le attività connesse al turismo nel Basso Sangro sono il 3.4% delle attività economiche, anco-ra poco rispetto al potenziale; le strutture ricettive alberghiere presenti nell’area costiera sono pari a 27unità, con 657 camere e 1239 posti letto, più 4891 posti letto in campeggi e 23 in agriturismi. In riferi-mento all’utilizzazione media dei posti letti è chiara una sottoutilizzazione della capacità ricettiva nel baci-no della costa, anche tenendo conto dell’apertura annuale delle strutture. Nella costa in senso stretto (SanVito, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino di Sangro) le strutture ricettive sono pari a 11 unità, con 256camere e 396 posti letto, ma la capacità ricettiva è limitata.Dai dati forniti dalla Regione Abruzzo sul movimento turistico in provincia di Chieti, relativamente al2001, si evidenzia un bilancio favorevole con un considerevole incremento, rispetto all’anno precedente,sia del numero degli arrivi (+10,3%) che delle presenze (+18,6%). Il turismo è prevalentemente di italiani e non estero, tuttavia anche la componente straniera risulta accre-sciuta e con tempi di soggiorno in aumento.La distribuzione dei flussi per tipologia ricettiva evidenzia un discreto andamento del settore alberghiero,in crescita del 18,1% nelle presenze e del 9,2% negli arrivi.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROLA DINAMICA OCCUPAZIONALENella provincia di Chieti i settori preminenti dal punto di vista occupazionale sono quelli della fabbrica-zione di autoveicoli (6,6% addetti), quello della lavorazione dei prodotti in metallo (6%) e quello dellalavorazione dei minerali non metalliferi (4,7%) poiché in questi settori la dimensione delle aziende è tipi-camente maggiore. Il settore alimentare si è confermato uno dei più solidi del comparto manifatturieroteatino, riuscendo a mantenere la buona evoluzione degli anni precedenti. Anche il settore del tabacco(2,9% degli addetti della provincia) è caratterizzante la provincia di Chieti rispetto al resto del territorioregionale (coefficiente di localizzazione > dell’unità). Il settore delle costruzioni concentra l’8,6% degliaddetti, dunque ha un certo risalto, ma solo a livello assoluto, perché il coefficiente di localizzazione èinferiore all’unità e indica come non si tratti di uno dei settori più rappresentativi della provincia. Il set-tore del commercio, con un discreto numero di imprese, assorbe un numero di addetti dal 3,2 al 9,7%. Ilsettore dei servizi non è rappresentativo della provincia, seppure si vada potenziando, ad esclusionedelle attività ausiliarie dei trasporti e del trasporto aereo (per la presenza di una nota compagnia).Le imprese fino a 2 dipendenti rappresentano l’80% con un numero di addetti pari al 26%, fino a 10 il17% con un numero di addetti pari al 20%, le altre solo il 3% del totale ma con un numero di addetti parial 54%.La percentuale di occupati nel settore agricolo si riduce pur rimanendo superiore alla media regionale,la percentuale di occupati nell’industria si accresce, il settore dei servizi è in una fase riorganizzativa.La lettura dei dati relativi alla consistenza delle imprese artigiane teatine consente di evidenziare il pesosempre rilevante che questo settore ricopre nella realtà produttiva locale: a fine dicembre 2001 l’artigia-nato provinciale conta 9.031 imprese, pari al 38,8% del totale delle imprese; le costruzioni e le attivitàmanifatturiere, infatti, si confermano i settori in cui la presenza delle imprese artigiane è maggiore.Questi sono dati al netto del settore agricolo che nella zona considerata, e in particolare quella di collinalitoranea, è un comparto particolarmente vitale.

Tab. 3 Unità locali e numero di addettinel comparto agricolo e industriale aTorino di Sangro e nell’area del BassoSangro (Fonte Stato dell’ambienteComune di Torino di Sangro, 2002 –Società Sagrus).

INFRASTRUTTURE E SERVIZI SOCIALITutto il territorio del Sangro-Aventino lamenta una certa carenza di servizi - sanitari, nei trasporti, nellafornitura di energia, metano e acqua, nelle comunicazioni - soprattutto in considerazione dell’entità degliagglomerati industriali che non vedono proporzionalmente rafforzare le infrastrutture al crescere delmovimento di persone e merci comportato.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROLe infrastrutture sono localizzate prevalentemente lungo la fascia costiera, anche se presentano limiti,scarsa integrazione tra le diverse modalità di trasporto e modesti collegamenti con le aree interne accen-tuandone i caratteri periferici.In particolare il sistema dei trasporti e delle comunicazioni sta rapidamente diventando obsoleto ed ilnotevole aumento dei traffici passeggeri e merci registrato, soprattutto nei centri costieri, rischia dideterminare dei rallentamenti a discapito della snellezza e fruibilità, con consistenti conseguenze sulsistema industriale e produttivo in genere. Tutti i comuni della fascia costiera hanno attivato i servizi basilari, quali il trasporto scolastico, un centrodiurno per anziani e per giovani, alcuni hanno il servizio di mensa scolastica e di assistenza ai bambinidisabili.I servizi socio-sanitari e quelli per il tempo libero e quelli culturali, invece, risultano poco diffusi, discarsa portata o in via di realizzazione. Sportelli bancari sono presenti in tutti i paesi del litorale.Il reddito e i consumi sono superiori alla media dell’area (che è comunque superiore a quella relativaalle zone interne), ma rimangono inferiori alla media della regione Abruzzo (a Torino di Sangro il redditonel 1998 (CRESA) era di 18.409 su 20.648 regionale, i consumi 12.608 su 15.801 a livello regionale).

CONCLUSIONIIl concetto di sviluppo sostenibile è ormai parte integrante di ogni amministrazione oculata ed etica-mente impegnata. D’altro canto si stanno quanto meno comprendendo le enormi potenzialità che ildiscorso ambientale contiene per uno sviluppo del grado di attrattività di un territorio, tanto che l’am-biente si va delineando, seppure spesso a livello ancora embrionale o, per converso, poco conservati-vo e troppo funzionale al mero sviluppo, non freno ma opportunità. La sua valenza investe ogni conte-sto, e le politiche ambientali sono a tutto diritto componente basilare delle politiche economiche esociali.Ancor più, attenzioni del genere sono di vitale importanza in ambiti, come quello del Basso Sangro,dove il processo di industrializzazione è avvenuto velocemente e senza tante mediazioni e in queipaesi tutto sommato fuori dal processo in senso stretto. Là dove secoli di lenta evoluzione avevanopermesso una sistemazione e successivi adattamenti di carattere spontaneo, la rudezza delle decisionie la rapidità degli sviluppi che si manifestano nell’epoca contemporanea rischiano di dar luogo a con-traddizioni violente e costose qualora non intervenga alcun coordinamento e almeno ripensamentomeditato. Il territorio considerato è caratterizzato da un ambiente di pregio che si integra con realtàindustriali e turistiche anche forti. Ma un territorio riesce a ‘vendersi’, e a non restare ‘terra di conqui-sta’, se sa, in un discorso di rete operativa tra le varie Amministrazioni e le diverse realtà locali, conser-vare e valorizzare la sua spinta vocativa, in termini di inclinazioni materiali e di immagine, e quantopiù la tanto menzionata globalizzazione si fa esperienza quotidiana tanto più torna forte il desiderio dilinguaggi distintivi e propri di un territorio, dove, non solo si colga un legame con la storia e le testi-monianze specifiche del luogo, magari per chi lo visita da fuori, ma anche gli spazi vitali per chi abi-tualmente lo frequenta determinino relazioni di benessere e di qualità della vita, contro agenti social-mente inquinanti e creatori di disagio. In sostanza, un equilibrio di pregresso e progresso sociale chenon è più pensabile leggere solo in termini meramente economici. Il versante litoraneo della Val di Sangro contribuisce in buona misura al valore aggiunto della zona con

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LECCETA DI TORINO DI SANGROcaratteri dinamici e ben strutturati, ma svariati sono i limiti che deve ancora superare, non ultimo losforzo di non investire in un turismo balneare privo di altri contenuti, da quelli culturali e tradizionalia quelli sociali e ambientali, l’attuazione di una politica di reale sostegno alle aree protette e l’attiva-zione di sinergie di rete tra i diversi soggetti attivi in ogni ambito. In questa prospettiva la Riserva diTorino di Sangro è una buona occasione di innalzamento della profondità e dello spessore del siste-ma, di integrazione con altri contesti, da cui potrebbero partire anche altri discorsi che sanno renderepiù completa e complessa l’individualizzazione e la qualificazione del territorio.

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L’USO SOSTENIBILE DELLE RISORSEL’USO SOSTENIBILE DELLE RISORSEDEL TERRITORIODEL TERRITORIO

INTRODUZIONEL’uso sostenibile delle risorse del territorio è legato ai vincoli legislativi e normativi presenti a vari livelli(comunitario con i sic, nazionale attraverso le aree di rispetto fluviale, regionale con le aree a richio inonda-zione, le aree naturali protette, il piano regionale paesistico) e alle opportunità offerte dal territorio stesso edalla legislazione vigente. È opportuno quindi analizzare quali sono le risorse naturali, intese in risorse idriche e risorsa suolo perdiverse destinazioni d’uso, e verificare quali sono gli usi sostenibili, alla luce della presenza della riserva.Si analizzano quindi le risorse idriche, l’agricoltura, l’industria e le attività produttive in una ottica di sosteni-bilità e di opportunità offerte alla popolazione locale.

INQUADRAMENTO TERRITORIALEL’area considerata nell’analisi comprende il Comune di Torino di Sangro.

Daniela Spoltore

Popolazione e caratteristiche territoriali 1998

Nel territorio considerato si concentrano molte attività umane, dai trasporti (ferrovia, autostrada e un'impor-tante strada statale, con connessi svincoli e strade di collegamento con l’entroterra), alle attività industriali,all’agricoltura e al turismo balneare. Le attività umane presenti generano pressioni sull’ambiente. Sui corsid’acqua e sulle risorse idriche influiscono anche attività antropiche di zone limitrofe. Questo territorio nono-stante sia intensamente sfruttato riesce a mantenere elementi di forte naturalità, quali un’area protetta e deisiti di importanza comunitaria per la diversità. Gli elementi di degrado sono tuttora presenti e non trascurabili, e possono essere identificati dalla rete viariae da alcuni corsi d’acqua fortemente degradati.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGRO

Caratteristiche demografichePer inquadrare correttamente gli aspetti ambientali della zona costiera occorre identificare in via preliminarela popolazione e le attività economiche presenti, per poter identificare le possibili pressioni sull’ambiente ele possibili risposte.Nel territorio nel 1998 sono presenti 3142 abitanti per un territorio di 32.31 km2, con una densità media di96.75 ab/km2. L’andamento demografico della popolazione mostra una tendenza all’aumento.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROLe attività economicheLa maggior parte delle attività economiche sono costituite dall’agricoltura, allevamenti e servizi connessi, innumero di 1200 e costituenti il 63.7% delle attività economiche. Il territorio, infatti, da tempo è a vocazioneagricola. Le attività manufatturiere costituiscono il 8% delle attività. Le attività connesse al turismo sono il3.3%.

L’agricolturaLe attività economiche legate all’agricoltura costituiscono il 61% delle attività del territorio.Le colture tipiche sono l’olivo e la vite, ma altrettanto importanti sono i frutteti. Attualmente è in fase diattuazione il 5 Censimento generale dell’agricoltura, che può dare indicazioni sulle tendenze nel settore. C’èinfatti una diffusa consapevolezza dell’abbandono dell’agricoltura, ma è necessario avere dati più precisi.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGRO

Industrie manifatturiereTra le industrie manifatturiere hanno particolare importanza le industrie alimentari, per la diffusione di fran-toi. È inoltre importante il settore metalmeccanico.

ISTAT Caratteristiche strutturali dellaaziende agricole 4° Censimento gen-

erale dell'agricoltura (21 ott. 1990 -22feb 1991) superficie in ettari

Insediamenti produttiviL’uso del territorio a fini produttivi e artigianali è regolamentato dallo strumento urbanistico comunale ed èdeterminato da diversi fattori.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROIl turismoLe attività connesse al turismo sono il 3.4% delle attività economiche. I flussi turistici sono legati al periodoestivo e alla balneazione. È da osservare che sul territorio ha grossa incidenza la diffusione delle secondecase per il periodo estivo.

LA QUALITA’ DELLA VITADal Rapporto Cresa 1998 è possibile osservare le previsioni demografiche nei comuni considerati.

Fonte: Rapporto CRESA 1998

L’Osservatorio sul sistema dei servizi socio-assistenziali della Regione Abruzzo e i Centri di documentazionee analisi sull'infanzia e l'adolescenza delle Province di Chieti, L'Aquila, Pescara e Teramo hanno effettuato laPrima rilevazione sull'infanzia e l'adolescenza in Abruzzo. Nella rilevazione sono stati indagati vari aspetti deiservizi ai minori presenti nei comuni della Regione Abruzzo. Si ritiene che alcuni dati rilevati in tale studiopossano essere considerati come indicatori della qualità della vita nel presente lavoro.In particolare è utile osservare la presenza di anziani e minori, e i relativi indici definiti come:- indice di presenza dei minori, definito dal rapporto, in termini percentuali, del numero della popolazioneche ha età minore di 14anni rispetto alla popolazione totale;

- l’indice di vecchiaia, definito dal rapporto, in termini percentuali, del numero della popolazione che ha etàsuperiore a 65 anni rispetto alla popolazione totale.

Nel territorio considerato l’indice di presenza dei minori è dell’15%, mentre l’indice di vecchiaia è del 22%.

Fonte: Prima rilevazione sull'infanzia e l'adolescenza in Abruzzo - Osservatorio sul sistema dei servizi socio-assistenzialidella Regione Abruzzo e Centri di documentazione e analisi sull'infanzia e l'adolescenza delle Province di Chieti,L'Aquila, Pescara e Teramo.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROReddito e consumiDal Rapporto Cresa 1998 è possibile osservare anche il reddito e i consumi dei comuni considerati, che sonoentrambi inferiori alla media regionale.

I serviziNella Prima rilevazione sull'infanzia e l'adolescenza in Abruzzo, già citata, sono stati rilevati i servizi per ibambini e dei ragazzi. Dall’indagine risulta che tutti i comuni hanno attivato un sistema di trasporto scolastico, quasi tutti i comunihanno un centro diurno per i giovani e alcuni comuni hanno attivato il servizio di mensa scolastica e di assi-stenza ai bambini disabili.

Fonte : Prima rilevazione sull'infanzia e l'adolescenza in Abruzzo -Osservatorio sul sistema dei servizi socio-assistenzialidella Regione Abruzzo e Centri di documentazione e analisi sull'infanzia e l'adolescenza delle Province di Chieti,L'Aquila, Pescara e Teramo.

SERVIZI AGLI ANZIANISono presenti in tutti 5 comuni i centri diurni per gli anziani. Sono carenti invece i servizi socio-sanitari.

SERVIZI PER IL TEMPO LIBEROSono scadenti i servizi per il tempo libero e i servizi culturali.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROIL PATRIMONIO CULTURALESul territorio esiste un sito di interesse archeologico, individuato e tutelati dalla sovrintendenza ai BCA dellaprovincia di Chieti, a testimonianza della storia dei luoghi.

INIZIATIVE DI MIGLIORAMENTONel settore della qualità della vita è poco significativo parlare di pressioni stato e risposta.È semplice effettuare un quadro della problematica ed individuare le risposte, ma le pressioni possono esse-re intese come assenza di servizi.Nella Prima rilevazione sull'infanzia e l'adolescenza in Abruzzo, già citata, sono state rilevate le iniziative permigliorare la qualità della vita in favore dei bambini e dei ragazzi.

Impegno su agenda 21Il comune ha aderito alla carta di Aalborg.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROLA CONSERVAZIONE DELLA NATURALa tutela della biodiversità è attuata attraverso le aree protette previste a livello nazionale, regionale e locale, isiti di importanza comunitaria (direttiva habitat-Natura 2000).

La conservazione della natura in ambito internazionaleLe aree umide previste nella Convenzione di RamsarL’articolo 2.1 della Convenzione sulle Aree umide "The Convention on Wetlands of International Importanceespecially as Waterfowl Habitat “(Ramsar, Iran, 1971) prevede di realizzare una lista di aree umide di interesseinternazionale. Nella Lista compaiono i siti di interesse internazionale di ogni paese che ha aderito. In parti-colare in Italia sono identificati 46 siti per 57136 ha. In Abruzzo è stato identificata una sola area umida diinteresse internazionale e coincide con il lago di Barrea (303 ha).Le aree umide sono costituite da aree acquitrinose, paludi, torbiere oppure zone naturali o artificali d'acqua,permanenti o transitorie comprese zone di acqua marina la cui profondità, quando c'è bassa marea, nonsuperi i sei metri che, per le loro caratteristiche, possono essere considerate di importanza internazionale aisensi della convenzione di Ramsar.

Altre aree umideLa foce del F. Sangro è un’area umida di interesse comunitario, individuata nel SIC.- La direttiva Habitat, la direttiva Uccelli, I siti di interesse comunitario (SIC) e le zone di protezione speciale (Zps)La direttiva europea n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla "conservazione degli habitatnaturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche", comunemente denominata direttiva "Habitat" ha l'o-biettivo di contribuire a salvaguardare la biodiversità, tutelando direttamente le specie individuate nell’allegatoalla direttiva e realizzando una rete in cui vengono realizzate attività di conservazione. Natura 2000 è il nome cheil Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea ha assegnato ad un sistema coordinato e coerente (una "rete") diaree destinate alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell'Unione stessa ed in partico-lare alla tutela di una serie di habitat e specie animali e vegetali indicati negli allegati I e II della direttiva"Habitat". Secondo la direttiva Habitat gli Stati membri dell’unione Europea devono definire sulla base di criteri chiari(riportati nell'allegato III della direttiva stessa), la propria lista di Siti di Importanza Comunitaria proposti(pSIC). I siti vengono individuati sulla base della presenza degli habitat e delle specie animali e vegetali elen-cate negli allegati I e II della direttiva Habitat, ritenuti perciò di importanza comunitaria.Il recepimento della direttiva è avvenuto in Italia nel 1997 attraverso il Regolamento D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357.La direttiva Habitat ha l'obiettivo di conservare non solo gli habitat naturali (quelli meno modificati dall'uo-mo) ma anche quelli seminaturali (come le aree ad agricoltura tradizionale, i boschi utilizzati, i pascoli, ecc.).Con ciò viene riconosciuto il valore, per la conservazione della biodiversità a livello europeo, di tutte quellearee nelle quali la secolare presenza dell'uomo e delle sue attività tradizionali ha permesso il mantenimentodi un equilibrio tra uomo e natura. Alle aree agricole ad esempio sono legate numerose specie animali evegetali ormai rare e minacciate per la cui sopravvivenza è necessaria la prosecuzione e la valorizzazionedelle attività tradizionali, come il pascolo o l'agricoltura non intensiva.E' del 1979 un'altra importante direttiva, che rimane in vigore e si integra all'interno delle previsioni delladirettiva Habitat, la cosiddetta direttiva "Uccelli" (79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli sel-vatici). Anche questa prevede da una parte una serie di azioni per la conservazione di numerose specie diuccelli, indicate negli allegati della direttiva stessa, e dall'altra l'individuazione da parte degli Stati membri

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LECCETA DI TORINO DI SANGROdell'Unione di aree da destinarsi alla loro conservazione, le cosiddette Zone di Protezione Speciale (ZPS). Giàa suo tempo dunque la direttiva Uccelli ha posto le basi per la creazione di una prima rete europea di areeprotette, in quel caso specificamente destinata alla tutela delle specie minacciate di uccelli e dei loro habitat.In considerazione dell'esistenza di questa rete e della relativa normativa la direttiva Habitat non comprendenei suoi allegati gli uccelli ma rimanda alla direttiva omonima, stabilendo chiaramente però che le Zone diProtezione Speciale fanno anche loro parte della rete.Natura 2000 è composta perciò di due tipi di aree che possono avere diverse relazioni spaziali tra loro, dallatotale sovrapposizione alla completa separazione a seconda dei casi: le Zone di Protezione Speciale previstedalla direttiva Uccelli e le Zone Speciali di Conservazione previste dalla direttiva Habitat. Queste ultime assu-mono tale denominazione solo al termine del processo di selezione e designazione. Fino ad allora vengonoindicate come Siti di Importanza Comunitaria proposti (pSIC).Nel territorio del Patto Territoriale Sangro Aventino sono stati individuati, ai sensi delle Direttive 92/43/CEE“Habitat2 e 79/409/CEE “Uccelli”, 2 Zone di Protezione Speciale e 38 Siti di Importanza Comunitaria, tuttiriconosciuti con Decreto Ministeriale del 3 aprile 2000 (pubbl. suppl. ord. Del 22 aprile 2000).Nel territorio del comune di Torino di Sangro è presente un sic: IT7140107 Lecceta litoranea di Torino diSangro e foce Fiume Sangro (380 ha)In zone limitrofe si trovano inoltre altre aree di interesse comunitario:1. IT7140111 Boschi riparali sul Fiume Osento (640 ha)2. IT7140112 Bosco di Mozzagrogna (130 ha).

La conservazione della natura in ambito nazionaleI Parchi NazionaliProposta di realizzazione del Parco della Costa Teatina. L. 23 marzo 2001, n. 93. Disposizioni in campo ambientale.

Il DPR di adozione della Direttiva Habitat

La conservazione della natura in ambito regionaleIl Piano paesisticoLe zone a più elevato valore naturalistico, caratterizzate dalla loro rarità e importanza nel contesto territoria-le e classificate di categoria A1 di tutela conservativa in base al Piano Regionale Paesistico sono le seguenti:- Delta del f. Sangro- Lecceta Litoranea di Torino di SangroLungo l’ultimo tratto del corso del Sangro si rinvengono lembi di vegetazione ripariale che benchè esiguisono importanti per la rarità con cui si presentano sul territorio. In questo ambiente è stato ritrovato ilLinum maritinum che raggiunge qui il limite meridionale di distribuzione lungo l’Adriatico. Le leccete diTorino di Sangro rappresentano un patrimonio vegetale di enorme rilevanza sia dal punto di vista paesaggi-stico che per l’oggettiva importanza fitogeografica.

Le riserve naturaliLa gestione delle riserve regionaliLe Riserve naturali regionali sono costituite da zone del territorio regionale, anche di limitata estensione, chepresentano, unitariamente considerate, particolare interesse naturalistico in funzione di una speciale tutela di

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROemergenze geomorfologiche, floristiche, faunistiche, paleontologiche e archeologiche o di altri valori ambientaliLe riserve devono realizzare il piano di assetto naturalistico e il piano di gestione.Il piano di assetto naturalistico della riserva deve prevedere: a) l'identificazione e la localizzazione delle emergenze naturali (geologiche, floristiche, faunistiche, paesaggi-

stiche) da proteggere e delle risorse naturali da valorizzare anche con il riferimento ad interventi di rias-setto e risanamento;

b) l'utilizzazione delle risorse presenti compatibilmente con le finalità della riserva; c) i modi diversi di accessibilità e fruibilità della Riserva; d) le attività compatibili con le finalità della Riserva stessa; e) i sistemi di attrezzature ed impianti e servizi; f) le possibili connessioni funzionali e naturalistiche con eventuali altri ambiti di tutela limitrofi; g) norme di attuazione. Le previsioni e le prescrizioni del Piano di assetto naturalistico e le conseguenti norme applicative costitui-scono vincolo per la pianificazione urbanistica a livello comunale e sovracomunale.

1. LECCETE LITORANEE DI TORINO DI SANGROLEGGE REGIONALE 19.12.2001, n. 67Istituzione della riserva naturale guidata "Lecceta di Torino di Sangro"BURA n. 28 del 24 dicembre 2001.E' istituita la Riserva Naturale Guidata "Lecceta di Torino di Sangro", nel territorio del Comune omonimo.

La conservazione della natura in ambito comunaleIl piano regolatore generale- Progetti proposti per la tutela dell’ambiente e della biodiversità- Le reti ecologiche

Attualmente le aree protette presenti sul territorio non sono interconnesse tra loro da opportuni corridoiecologici protetti. Tuttavia il fiume può costituire uno strumento di connessione tra la costa e le aree protet-te interne, quali i parchi nazionali.

- Progetti per l’interconnessione della rete ecologicaSono in atto a livello regionale importanti progetti per la connessione delle aree protette, quali APE(Appennino Parco d’Europa). Proposta di realizzazione del parco fluviale del Sangro.

LE RISORSE IDRICHELe risorse idriche costituiscono un importante aspetto ambientale sul territorio e vanno analizzate conside-rando da una parte gli aspetti quantitativi e dall’altra gli aspetti qualitativi.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROAspetti quantitativi: il ciclo dell’acqua e il bilancio idricoLe pressioniLe pressioni sugli aspetti quantitativi della risorsa idrica possono essere sintetizzati nei diversi tipi di utilizzo.In particolare si analizzano gli usi potabili, irrigui, idroelettrici e industriali.

Uso potabileL’approvvigionamento idrico sul territorio è garantito in parte da acquedotti comunali, dagli acquedotti delConsorzio Comprensoriale del Chietino per le opere acquedottistiche e in parte dal Consorzio comprenso-riale Peligno per la gestione delle opere acquedottistiche.Il Consorzio Comprensoriale del Chietino per la gestione delle opere acquedottistiche serve anche altricomuni della provincia di Chieti, quindi esiste vendita di acqua ad altri comuni.Il totale dell’acqua fornita dagli acquedotti del Consorzio Comprensoriale del Chietino per le opere acquedotti-stiche nel 1999 è stato di 38.544.907 m3, quindi con la portata media 1222 l/s. Le principali sorgenti captate peruso potabile sono la sorgente del Verde a Fara S. Martino, le sorgenti delle Acque Vive di Taranta Pelinga, le sorgen-ti della Castelletta a Palena, le sorgenti di Atessa e molte piccole sorgenti che alimentano acquedotti comunali.Da una stima effettuata, sono pari a 567 l/s le portate prelevate dagli acquedotti comunali e dei Consorziacquedottistici per l’approvvigionamento idrico dei comuni dell’area patto.Portate da fornire da parte del Consorzio acquedottistico del chietino per ogni comune secondo la leggeregionale BURA.

Consumo (1999) – fonte: Consorzio comprensoriale del chietino per la gestione delle opere acquedottistiche

La media italiana del consumo potabile è di 140 m3/ab l’anno. Localmente invece il consumo potabile è di 154m3/ab l’anno, ed è quindi superiore del 10% rispetto alla media nazionale e del 4% rispetto alla media del Centro.

Usi irriguiSul territorio sono presenti derivazioni per uso irriguo per un totale di 9.341 m3/s di portata dal fiume edesiste una rete di canali per l’irrigazione dei territori della val di Sangro.

Tabella Incidenza della superfi-cie irrigabile sulla SAU (esclusi

prati e pascoli) 1990 - Fonte:ARSSA "Atlante del territorio

rurale abruzzese"

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROUsi industrialiSul territorio non sono presenti derivazioni per uso industriale di portata significativa dal fiume. Le areeindustriali sono servite dall’acquedotto del Verde che fornisce acqua potabile. È probabile che alcune attivitàproduttive prelevino acque da pozzi.

Caratteristiche della rete idricaIl comune considerato è servito dalla rete acquedottistica (Acquedotto del Verde) del ConsorzioComprensoriale per le opere acquedottistiche del Chietino. L’acquedotto preleva acqua dalle sorgenti delVerde e serve 46 comuni del Comprensorio. Il consorzio fornisce l’acqua ai comuni fino ai serbatoi di accu-mulo, presenti su tutto il territorio. La distribuzione è invece gestita dai singoli comuni. Alcune frazioni diTorino di Sangro hanno la distribuzione gestita dal consorzio acquedottistico, per una vecchia convenzionecon il Consorzio di Bonifica Frentana (ora consorzio di Bonifica Sud). Le reti idriche sono attualmente vec-chie e da rimodernare e risistemare. Nel territorio del comune di Torino di Sango è presente anche un canale per l’irrigazione.

Idrologia Il clima Sul territorio non sono presenti stazioni pluviometriche del servizio idrografico. Le stazioni più vicine sonoquelle di Lanciano E Montazzoli, i cui parametri climatici medi annui sono riportati nella tabella seguente.

Fonte: Stato dell’Ambiente dellaProvincia di Chieti 1997

Portate dei corsi d’acquaIl F. Sangro a Guastacconcio ha una portata media di circa 28 mc/s. il regime giornaliero e stagionale delleportate è fortemente condizionato dalle derivazioni per uso idroelettrico dell’ACEA a Bomba e a Casoli. Il territorio è attraversato anche dal F. Osento.

Il rischio idraulicoInquadramento normativoLa legge de 18/5/89 n.183 “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale per la difesa del suolo” si pro-pone come obiettivi, in campo di dissesto idrogeologico e tutela delle acque, la difesa da inondazioni e dalluvioni, ed in genere da un’errata gestione delle acque, la tutela delle acque come risorsa fondamentaleper le comunità.Il DL 11 giugno 1998 n. 180 emanato all’indomani della catastrofe di Sarno e convertito in legge 3/8/1998n. 267, contiene oltre alle misure di emergenza per le zone colpite dalle frane in campania, anche impor-tanti novità per la prevenzione del dissesto e la difesa delle aree a maggior rischio di frane e alluvioni.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROL’art. 1, comma 3 del Decreto Sarno ha ribadito la necessità di redigere il Piano di Bacino e in via urgentela redazione dei Piani Stralcio di Bacino, ovvero in via più urgente la redazione dei Piani Stralcio di bacinoper l’assetto idrogeologico, ovvero per l’adozione delle misure di salvaguardia per le aree di rischio e laprogrammazione della mitigazione del rischio idrogeologico. L’ultima modifica del Decreto Sarno, il DPCM 29-9-1998 “atto di indirizzo e coordinamento per l’individua-zione dei criteri relativi agli adempimenti di cui all’art. 1 commi 1e 2 del decreto legge 11-6-1998 n.180”propone:ß una metodologia speditiva per l’individuazione e perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico; ß misure di salvaguardia da adottare nelle aree a rischio idrogeologico individuate etc.Nel caso di rischio idraulico tale decreto fornisce le indicazioni per la realizzazione della “Carta delle areeinondabili” caratterizzando le aree a rischio in funzione di tre diverse probabilità di evento e conseguente-mente, con diversa rilevanza di piena “fasce di pertinenza fluviale”:- aree ad alta probabilità di inondazione (con tempo di ritorno Tr di 20-50 anni);- aree a moderata probabilità di inondazione (con tempo di ritorno Tr di 100-200 anni)- aree a bassa probabilità di inondazione (con tempo di ritorno Tr di 300-500 anni).Tali aree vanno caratterizzate anche in funzione dei livelli di rischio, che sono valutati in base alla presen-za di elementi a rischio.La Regione Abruzzo ha individuato le aree a rischio idraulico medio ed elevato nel “Piano Straordinarioper la rimozione delle situazioni di rischio idrogeologico elevato” pubblicato sul BURA n. 30 straordinarioe n.31 straordinario del 22/09/2000. Le previsioni del piano straordinario sono già state modificate in suc-cessive circolari della regione.

Le aree inondabili nel territorio del comune di Torino di SangroNella bassa val di Sangro si sono verificati numerosi eventi di inondazione, sia in passato (prima dellacostruzione delle dighe sul sangro) sia in tempi recenti. Infatti, l’evento alluvionale dell’aprile del 1992 hafatto registrare numerose esondazioni.La mappatura delle aree indondabili individua una fascia attorno al F. Sangro anche nel comune di Torinodi Sangro e in una parte del territorio della riserva.

Analisi idrologicaÈ stata considerata come portata con tempo di ritorno pari a 200 anni la portata di 2054 mc/s, in base alleindicazioni fornite dal Servizio Idrografico e Mareografico di Pescara e da altri studi precedentementeeffettuati sul territorio (indagine effettuata dal Comune di Atessa).

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROIl rischio idraulico e le misure per la mitigazione del rischio Il territorio è già stato oggetto di sistemazioni idrauliche in passato. Sono presenti infatti un’arginatura e deipennelli sulla riva destra del fiume, anche all’interno dell’area interessata dalla riserva.Attualmente il f. Sangro è interessato da diversi invasi artificiali che regolano il rilascio dell’acqua, e che inqualche modo determinano la variazione del deflusso naturale.

Gli impattiL’abbassamento della faldaNella bassa piana del F. Sangro in alcune zone è possibile notare dal 1994 al 2000 un rilevante abbassamento dellaquota piezometrica della falda di subalveo, probabilmente dovuta ad intensi prelievi per uso agricolo ed industriale.

Le risposteIn campo di tutela quantitativa della risorsa idrica le risposte consistono in:- Programmi per la corretta utilizzazione delle risorse idriche e per il risparmio idrico- Rilascio del DMV a valle di grandi derivazioni.- Ammodernamento della rete idricaAttualmente non esistono programmi per la corretta utilizzazione delle risorse idriche e il risparmio idrico. In riferimento agli impianti di derivazione delle acque non è ancora stata prevista la definizione del DeflussoMinimo Vitale da rilasciare.

Ammodernamento rete idricaAl fine di ottimizzare il servizio idrico e limitare le perdite, il comune ha intrapreso iniziative per migliorarela rete idrica comunale.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROLA RISORSA SUOLO E L’AGRICOLTURALe pressioniLa pressione sul suolo si esercita, in generale, principalmente attraverso l’attività agricola, che riveste unruolo significativo in funzione dei regimi di lavorazione del suolo e del suo utilizzo per spandimenti di liqua-mi zootecnici.Un aspetto da tenere sotto controllo è la perdita di pratiche di agricoltura tradizionale.L’agricoltura è considerata come una forma di presidio del territorio e difesa del territorio dai dissesti. Il pro-gressivo abbandono dell’agricoltura rende il territorio più vulnerabile ai dissesti. Inoltre si diffondono semprepiù forme di allevamento intensivo piuttosto che estensivo in un territorio da sempre vocato alla zootecnia.

AgricolturaAttualmente sono disponibili i dati delle superfici utilizzate per i diversi usi del suolo rilevati nel 1991 nel 4°Censimento generale dell'agricoltura. Sono disponibili solo dati parziali del 5° Censimento dell’agricoltura.Analizzando nel passare degli anni le superfici utilizzate per l’agricoltura si può notare un progressivo abban-dono dell’agricoltura.

ISTAT Caratteristiche strutturali della aziende agricole 4° Censimento generale dell'agricoltura (1990 -1991) superficie in ettari

Dati comunali anno 2001

Indice di boscositàLa copertura boschiva contribuisce a stabilizzare in modo naturale il terreno, riducendo così l’azione erosivadelle acque. Nel 1991 la copertura boschiva costituiva circa il 4% del territorio. Non è possibile conoscere lasuperficie attuale boscata.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROUso di fitofarmaci e concimi chimiciIn generale le colture arboree hanno un consumo di antiparassitari superiore di circa 4 volte rispetto alle col-ture erbacee. Nel complesso si ha un consumo medio totale di antiparassitari di 14.4 Kg/ha, (media naziona-le: 7-8 Kg/ha).

Uso di fitofarmaci Nel complesso si ha un consumo medio totale nella provincia di Chieti di antiparassitari di 13,8 Kg/ha nel1997 e 14,4 Kg/ha nel 1998. (media nazionale: 7-8 Kg/ha). In generale le colture arboree hanno un consumodi antiparassitari superiore di circa 4 volte rispetto alle colture erbacee. Sul territorio sono diffusi l’ulivo, la vite e i frutteti. La vite in particolare richiede un elevato consumo di fito-farmaci.Per carico inquinante potenziale si intende la sommatoria dei relativi quantitativi delle suddette sostanze uti-lizzati annualmente nelle attività agricole che insistono sul territorio considerato.Le sostanze utilizzate per le colture che interessano la piana sono essenzialmente fertilizzanti azotati, fosfaticie potassici, anticrittogamici (ossicloruri di Zn e Cu e composti contenenti zolfo), antiparassitari (Carbraril edesteri fosforici) e diserbanti (Atrazina, 2.4-D, Glifosate). Le quantità utilizzate dipendono dal tipo di coltura. Sicalcolano i kg / Ha delle suddette sostanze utilizzate ogni anno in agricoltura. Le quantità medie annue diprincipi attivi organici ed inorganici utilizzati sul territorio indagato costituiscono il carico potenziale inqui-nante da fitofarmaci che grava su di esso.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROL’agricoltura biologica

Al fine di ridurre il consumo di fitofarmaci si stanno gradualmente diffondendo sistemi di agricoltura biologi-ca. È interessante quindi osservare la diffusione dei programmi (Programmi per l’incentivazione di agricoltu-ra biologica) e la variazione delle superfici destinate ad agricoltura biologica (Superfici destinate ad agricol-tura biologica Percentuale sul totale della sau).

Le attività accessorie per l’integrazione dei redditi agricoli

L’uso del suoloAttività estrattiveUn ulteriore fattore significativo di pressione è associato alle attività estrattive. Nel territorio consideratosono presenti ALMENO 3 cave in prossimità del F. Sangro, di cui una all’interno della riserva.

IncendiFra gli altri fattori di pressione vi è quello costituito dagli incendi. La lecceta in passato è stata oggetto dinumerosi incendi.

Fonte: corpo forestale dello Stato –servizio antincendio boschivo

Nella provincia di Chieti, nel 2000 ciascun incendio ha avuto un’estensione media di 69,4 ettari, di granlunga superiore a tutte le altre province italiane. Il dato merita attenzione considerato che il numero d’incen-di a Chieti è stato contenuto (42).

Le aree dismesseCome aree dismesse si intendono sedi non più attive di attività industriali, artigianali, di servizi, infrastrutture,ecc., che possono costituire un rischio ambientale legato alla presenza di rifiuti o di materiali pericolosiabbandonati e connessi all’attività dismessa o successivamente introdotti nell’area. E’ altrettanto ovvio chequeste aree costituiscono una potenziale risorsa, in quanto sono spesso dislocate nei centri urbani e dunquedi grande interesse da un punto di vista urbanistico.Nonostante la rilevanza del problema e degli interessi che esso coagula, non si può al momento contare su diun quadro conoscitivo adeguato; le conoscenze infatti si limitano a studi di situazioni locali, senza che si siaperò arrivati a produrre una rilevazione sistematica del fenomeno.È possibile distinguere- aree prive di rifiuti e di contaminazione del suolo e della falda; - aree con rifiuti ma senza contaminazione del suolo e della falda;

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGRO

Attività industriali Il Decreto legislativo 17.08.1999, n. 334 (Seveso bis) “Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllodei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose” recepisce la direttiva CEE96/82/CE relativa alla prevenzione dei rischi di incidente rilevanti connessi con l’uso, il deposito ed il tra-sporto di sostanze pericolose, definite come esplosive, infiammabili, comburenti, tossiche, molto tossiche, ecancerogene dalla legge vigente.Il decreto definisce le industrie ad alto rischio di incidente rilevante, come attività che utilizzano deter-minate sostanze pericolose. Sul territorio considerato non esistono industrie ad alto rischio di incidenterilevante.

- aree con rifiuti e con almeno un tipo, o tutti, di contaminazione del suolo o della falda; - aree senza rifiuti ma con contaminazione; - aree con situazione ambientale sconosciuta. Dal punto di vista urbanistico si ritiene necessario uno studio sistematico su queste aree, attraverso un censi-mento nazionale e la creazione di un osservatorio dell’evoluzione, cioè del formarsi, trasformarsi ed esaurirsidi questa risorsa, in modo che gli operatori possano cogliere le opportunità che essa offre alla riqualificazio-ne delle città, che solo grazie a queste aree, in molti casi, riescono ancora a disporre di quei margini di flessi-bilità urbanistica che altrimenti sarebbero loro già del tutto preclusi.Da un punto di vista ambientale, queste aree sarebbero dunque da indagare per valutarne l’eventuale stato dicontaminazione. Quindi, da un punto di vista generale, dovrebbero essere considerati dei siti potenzialmentecontaminati e, prima di un loro riutilizzo, sarebbe quanto mai opportuno condurre indagini specifiche atte acaratterizzare lo stato ambientale degli stessi in relazione ai limiti di contaminazione presenti nelle bozze dinormativa nazionale.

Le previsioni insediativeDalle previsioni del PRG del Comune di Torino di Sangro si evince che nel territorio della riserva la destina-zione d’uso è prevalentemente F5: parco Sangro;una parte della lecceta è destinata a Campeggio D3; è già individuata sul prg una zona di verde di rispetto F4.

Superfici destinate dagli stumenti urbanistici ad attività produttive È stato effettuato, da parte del Patto Territoriale Sangro Aventino, un censimento delle superfici produttivedestinate dagli strumenti urbanistici comunali per ogni comune.Ogni comune prevede una certa superficie ad attività artigianali, commerciali e industriali.

Aree destinate a insediameni produttivi

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LECCETA DI TORINO DI SANGROSiti contaminatiL’eventuale presenza di siti contaminati influisce sulla qualità ambientale di un territorio. Sul territorio nonesistono situazioni accertate di siti contaminati.Nel 1990 è stato effettuato un CENSIMENTO DELLE DISCARICHE delle Provincie Abruzzesi. Nell’elenco delle discariche censite non compaiono discariche nel territorio considerato. Approfondendol’indagine da altre fonti (Studio di Fattibilità del Parco Culturale del Sangro – Aventino e degli AltopianiMaggiori), sono state individuate delle discariche dismesse. Attualmente tali discariche non sono più utilizza-te e possono essere considerate come siti potenzialmente inquinati, poiché la maggior parte delle discarichenon erano controllate.

Le discariche attive e chiuseLe discariche in uso sul terriorio e già chiuse non possono essere considerate come siti contaminati, a menoche non vengano rilevati parametri fuori norma. Sono però strutture su cui porre attenzione per i rischiambientali che possono portare se non correttamente gestiti.

I VINCOLI E LE OPPORTUNITA’Il quadro legislativo regionale individua misure finanziarie e vincolistiche per le aree appartenenti alle areeprotette.

VincoliFascia di rispetto del fiumeFascia di rispetto litoraneaZona di piano paesistico

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LECCETA DI TORINO DI SANGROOpportunitàLe direttive comunitarie incoraggiano un’agricoltura ecocompatibie, e attività accessorie per l’integrazionedei redditi e per evitare l’abbandono delle aree agricole. Il piano di sviluppo rurale (PSR) regionale adotta taliprincipi e finanzia misure agroambientali, quali misure per l’agricoltura biologica, misure per l’imboschimen-to di superfici agricole e quindi per creare siepi, misure per la silvicoltura e i rimboschimenti. Il PRS Finanziainoltre attività accessorie, quali la formazione degli agricoltori.Altre leggi regionali finanziano infrastrutture per le aziende agricole, per il miglioramento fondiario, per leattività di agriturismo e di commercializzazione dei prodotti tipici.Il piano di sviluppo rurale, in accordo con il regolamento CE 1257/99 prevede anche misure compensativenelle aree soggette a vincoli ambientali.Il piano forestale regionale non prevede le leccete, ma parla di fruizione turistica degli ambienti boschivilitoranei.Il tratturo offre la possibilità di far parte di un sistema interregionale.

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGRO

Le aree ricadenti in zone sic sono avvantaggiate nei seguenti piani:PSR, DOCUP. LEADER?ZONE AGRICOLEAGRITURISMO, FINANZIAMENTI STRUTTURALI, INFRASTRUTTURALIAGRICOLTURA BIOLOGICAETC

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LECCETA DI TORINO DI SANGROLE PROPOSTE OPERATIVE E PROGETTUALIL’agricoltura biologica nelle riserveNelle aree interessate da riserve naturali, e nelle aree protette in generale, sono incoraggiate da sempre atti-vità ecocompatibili. In generale sono incoraggiate le attività agricole tradizionali, sia per il ruolo di presidiodel territorio che ha l’agricoltura, sia per la tutela del paesaggio agrario, nonchè per un corretto rapportoambiente uomo.In particolare sono da incoraggiare tutte le attività agricole in corretto rapporto con l’ambiente, quali le atti-vità di agricoltura biologica e le fasce di rispetto per incoraggiare una continuità ambientale, quali siepi, albe-ri etc ai confini delle proprietà e tra diversi tipi di coltura. Il territorio è a vocazione agricola a ulivi e vite,come tutta la fascia litoranea abruzzese, con zone interessate a orti e frutteti.

L’agricolua nelle aree SICIl territorio della riserva e le aree limitrofe sono interessate da un’area sic. Nei piani di gestione delle aree sice nelle misure di conservazione sono incoraggiate tutte le attività orientate ad un’agricoltura sostenibile.

Il turismo verde e l’ecoturismoIl piano di sviluppo turistico della regione abruzzo, in linea con le direttive comunitarie, vede nella regioneabruzzo un offerta di turismo legato ai parchi e alla natura. La particolare posizione del territorio della riser-va, su una collina litoranea, in prossimità di una zona balnerare vede buone prospettive di sviluppo nel setto-re dell’ecoturismo. È necessaria però la creazione di infrastrutture adeguate per rendere la riserva fruibile al turista.Inoltre è necessario incoraggiare la piccola ricettività, quali bed&breakfast, agriturismi, per supportare larichiesta turistica.

L’agriturismo, le cascine didatticheL’offerta di turismo verde si completa attraverso l’agriturismo, che ben coniuga la nuova visione del territo-rio rurale regionale e le cascine didattiche, con percorsi turistici, attività di educazione ambientale a temaanche nei periodi invernali.

I prodotti tipiciI prodotti tipici del territorio sono l’olivo e la vite.

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FRUIZIONE ED EDUCAZIONEFRUIZIONE ED EDUCAZIONE

L’Educazione ambientale: premessa Negli ultimi anni si parla sempre più di educazione ambientale, spesso senza avere idee chiare sui suoi prin-cipi guida, sui suoi obiettivi e sugli strumenti necessari per attuarla. La situazione ambientale globale è taleda suscitare allarmanti preoccupazioni non solo negli esperti ma in tutti i cittadini ed è ormai chiara a tutti lalimitatezza delle risorse del nostro pianeta e la insostenibilità del modello di sviluppo finora attuato. Tantoche negli ultimi tempi l’educazione ambientale viene sempre più spesso associata al concetto di svilupposostenibile che è correlato al “bisogno di una conciliazione fra lo sviluppo economico e la conservazionedell’ambiente, all’esigenza di porre qualsiasi comprensione del problema ecologico in un contestosocioeconomico e politico e all’esigenza di combinare le problematiche dello sviluppo con quelle dell’am-biente” (Rapporto Brudtland, World Commission on Environment and Development, 1987). Mentre neglianni ’70 l’ambiente assumeva il significato quasi esclusivo di natura e quindi l’educazione ambientale volevadire essenzialmente educazione naturalistica volta alla conoscenza degli ecosistemi, man mano si è acquisitauna diversa consapevolezza che ha indotto l’educazione ambientale ad allargare i suoi interessi dagli aspettidi conservazione e protezione della natura a tutto lo spazio in cui l’uomo vive. Negli anni ’90 è diventatochiaro che il fulcro dell’E.A. è lo sviluppo sostenibile e che esso può essere studiato in relazione ad un sin-golo problema o ambiente ma tenendo ben presente che questi sono comunque riconducibili a tematicheche investono nel loro complesso i modelli di sviluppo delle società umane.Il nuovo approccio fu fatto proprio dalla conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite tenutasi aRio nel 1990 dove fu proposta l’Agenda 21, un programma ambizioso che mira allo sviluppo sostenibile nel 21°secolo. Nell’Agenda 21 viene esplicitamente richiesto di ri-orientare l’educazione ambientale verso la sostenibi-lità. Questa chiave di lettura è anche sintetizzata nella Carta dei Principi “Per l’educazione ambientale orientataallo sviluppo sostenibile e consapevole” proposta a Fiuggi nel 1997. L’educazione ambientale non è più quindi“circoscrivibile, come fino a qualche anno fa, entro i confini di una nuova materia scolastica né si puòidentificare con qualche contenuto preferenziale; l’educazione ambientale è interdisciplinare e trasversale,lavora sui tempi lunghi e si esprime attraverso l’agire educativo e l’educare agendo” (Carta di Fiuggi).

IL CONTESTO NAZIONALE Il Ministero dell’Ambiente ha promosso un’azione di indirizzo per la realizzazione di un “Sistema nazionaleper l’informazione, la formazione e l’educazione ambientale” avviato già con i due Programmi Triennali del1989-91 e 1994-96. Il programma – denominato INFEA - è finalizzato a diffondere sul territorio strutture edinterventi sia a livello locale che in sede nazionale ma le cui finalità siano comunque riconducibili ad unastrategia comune centrata su:- Rafforzamento delle conoscenze specifiche su temi ambientali;- Crescita complessiva della sensibilità e consapevolezza individuale e collettiva verso l’ambiente;- Esplicitazione di bisogni e di proposte orientati al miglioramento della qualità ambientale anche attraversoil cambiamento dei comportamenti;

Angela Natale

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGRO- Promozione della partecipazione dei diversi soggetti sociali per la realizzazione di uno sviluppo sostenibiledell’ambiente naturale (Fonte: Educazione Ambientale – I Conferenza Regione Abruzzo, 2000).

L’impegno ministeriale si è orientato soprattutto verso la costruzione di un quadro di riferimento comune edi strutture per l’interazione fra i diversi soggetti, a vario titolo coinvolti nei processi di conoscenza, valoriz-zazione, conservazione e difesa dell’ambiente (vedi la banca dati ANFORA, la banca dati ANDREA, il progettoLABNET).Il secondo Piano Triennale per l’Ambiente 1994-96 ha avuto come obiettivi dichiarati l’educazione, la sensibi-lizzazione e l’informazione. In questo caso sono state anche con chiarezza individuate le azioni regionali checomprendono la creazione ed il potenziamento di strutture apposite, i Centri di Educazione Ambientale, chesono stati successivamente divisi in due tipologie di riferimento:Laboratori territoriali come luoghi di raccolta e diffusione delle informazioni, di incontro per gli operato-ri, di consulenza e di scambio rivolti quindi ai giovani, agli insegnanti, agli amministratori, ecc. I laboratori siindividuano quindi come strutture urbane che hanno rapporti diffusi e continui con l’utenzaCentri di esperienza come luoghi in cui si associa all’attività didattica e di ricerca, anche quella di espe-rienze significative in campo ambientale. Tali centri appaiono quindi come strutture più decentrate solita-mente lontane dai centri urbani; è il caso ad es. delle strutture delle aree protette.

IL CONTESTO REGIONALELa Regione Abruzzo ha promulgato una apposita legge in materia, la L.R. n. 122 del 29.11.1999 dal titolo“Disciplina degli interventi in materia di Educazione Ambientale”. Anche in questo provvedimento è evi-dente il tentativo di passare da un approccio di tipo fondamentalmente conservazionistico -che fa riferimen-to quindi ad elementi ancora integri del patrimonio naturale - ad un modello innovativo in grado di valoriz-zare le risorse disponibili che metta l’ambiente come fulcro della nuova programmazione economica e terri-toriale nell’ottica, appunto, dei parametri di riferimento dello sviluppo sostenibile e di Agenda 21. La regioneha inteso affiancare alla pratica della tutela e della valorizzazione quella dello sviluppo di una coscienza fra icittadini, gli amministratori e gli imprenditori che sia di sostegno ad un atteggiamento responsabile nei con-fronti dell’ambiente. Le finalità e gli obiettivi del programma regionale si richiamano quindi in modo chiaroai principi ispiratori dell’Agenda 21: l’educazione ambientale è uno strumento strategico ed indispensabileper orientare e costruire in modo condiviso e partecipato le scelte per un futuro di sviluppo sostenibile.Per il triennio 2001-2003 è stato elaborato un apposito programma di riferimento e di raccordo che opera alivello regionale facendo da telaio del sistema formativo ed informativo, connettendo i progetti e gli operato-ri, stabilendo le linee generali di promozione che sono i temi di interesse strategico su cui la regione ha legi-ferato, predisposto o avviato procedure di intervento. Sono state parimenti articolate strategie di promozio-ne che trovano uno dei loro cardini nello sviluppo di relazioni e soprattutto nella promozione e partecipa-zione ad un sistema di rete dell’E.A. che lasci spazi di collaborazione agli altri sistemi (mondo della scuola,della ricerca scientifica, delle aree protette, dell’informazione, ecc.) mediante la stipula di accordi e protocol-li di intesa. Altro punto nodale delle strategie è costituito dalla promozione di processi formativi, di monito-raggio e di validazione delle procedure.Nel programma regionale si fa inoltre riferimento alle finalità della legge sull’educazione ambientale n.122/99 (art. 3) che risultano:1. promuovere la cultura della tutela e della valorizzazione delle risorse ambientali;2. collaborare alla raccolta e alla diffusione di dati e informazioni sullo stato dell’ambiente della Regione,

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LECCETA DI TORINO DI SANGROfavorendo l’accesso e l’acquisizione da parte dei cittadini;

3. favorire un approccio sistemico dei cittadini alla conoscenza del proprio territorio, delle relative risorse edelle tematiche ambientali di riferimento globale;

4. promuovere comportamenti individuali e sociali atti a favorire una gestione dell’ambiente e delle relativerisorse ispirata ai principi della sostenibilità.

La Regione prevede in questa fase anche i seguenti organi e strumenti:1. Il Comitato Regionale per l’Educazione Ambientale;2. Il Programma Regionale per l’Educazione Ambientale;3. Il Sistema Regionale per l’Educazione Ambientale.

Nel programma regionale si individuano poi obiettivi di ricaduta rivolti a:1. costituire un sistema di riferimento riconosciuto autorevole, valido e visibile;2. richiamare l’attenzione degli osservatori esterni: mass.media, amministrazioni, cittadini in merito ai temi

oggetto di intervento con un interesse che non sia di curiosità bensì di partecipazione attiva alle iniziative;3. sottolineare la trasversalità del sistema rispetto al complesso delle politiche regionali (nella direzione già

ricordata a livello generale in cui l’educazione ambientale è inscindibilmente unita all’educazione allo svi-luppo sostenibile nel richiamo ai principi della sostenibilità ed al tema della qualità totale).

Il programma regionale ha infine individuato i riferimenti di ordine finanziario dei progetti di educazioneambientale considerati nella loro completezza elaborativi ed attuativa articolandoli in quattro classi di fondi:comunitari, statali, regionali e privati:Fondi comunitari: DOCUP, Life Ambiente, Life Natura, Programma Comunitario Energia e TrasportiFondi statali: Ministero Ambiente – Accordo di Programma in corso di definizione e di prossima approva-zione in sede di Conferenza Stato – RegioniFondi Regionali: L.R. n. 83/2000, (“Testo Unico in materia di gestione dei rifiuti contenente l’approvazio-ne del piano regionale dei rifiuti”), art. 34Privati: soggetti pubblici e privati.

A seguito dell’approvazione da parte della Conferenza Stato Regioni delle nuove linee di indirizzo con D.G.R.n. 474 del 10 agosto 2002 si è poi aggiornato il programma regionale stabilendo anche le seguenti prioritàtematiche nell’ambito dello sviluppo sostenibile: Gestione dei rifiutiInquinamento dell’ariaInquinamento delle acqueInquinamento acusticoInquinamento del suoloInquinamento elettromagneticoBiodiversità ed aree protetteConsumi sostenibiliEnergie alternative.

La programmazione relativa a questo periodo si chiude nella regione Abruzzo con la creazione di un sistemaI.N.F.E.A. che riconosce 31 Centri di Educazione Ambientale di interesse regionale, la formazione del perso-

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LLECCETA DI TORRINO DI SANGROnale impiegato negli stessi CEA e la realizzazione del Sito Web “InfeAbruzzo” nonché con progetti ed iniziati-ve in campo scolastico e bandi rivolti ai CEA e a terzi.

Il programma regionale di educazione ambientale 2008-2010Con Deliberazione n. 1386 del 28.12.2007 pubblicata sul numero 19 del Bollettino Ufficiale della RegioneAbruzzo il 22 febbraio 2008 è stato approvato il nuovo programma di educazione ambientale regionale che fariferimento al triennio 2008-2010. Nella premessa si dice testualmente che la Regione Abruzzo, che vanta ormaiuna serie di Centri e di strutture che promuovono progetti e azioni di educazione ambientale, tenendo contodelle esperienze maturate decide di intervenire nella materia con un approccio nuovo finalizzato ad attivareinterventi “tali da portare ad un cambiamento e una responsabilità verso l’ambiente locale e globale”.Anche in questo caso si ribadisce il superamento del concetto di educazione ambientale come disciplinanaturalistica a favore di un approccio socio-sistemico di studio dell’ambiente rappresentabile come un siste-ma reticolare di segni naturali e sociali interconnessi fra di loro. Introduce altresì nella riflessione introdutti-va il concetto interessante di glocale per individuare una cittadinanza che agisce localmente confrontando leproprie azioni con il globale (concetto mutuato da UNESCO – Santiago di Compostela 2000). Alla luce diquesto concetto l’educazione ambientale deve stabilire connessioni tra le problematiche territoriali cheaffronta e le implicazioni globali che comporta. E’ necessario inoltre ricordare che l’Assemblea delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2005-2014 “Decennio del-l’educazione alla sostenibilità” individuando nell’UNESCO il promotore del decennio stesso secondo il prin-cipio “di avere un mondo in cui tutti abbiano la possibilità di beneficiare dell’educazione e di apprende-re i valori, i comportamenti e gli stili di vita necessari per un futuro sostenibile e per una positiva tra-sformazione della società.”A questo proposito anche la Commissione Nazionale Italiana ha elaborato un programma di azione al qualeanche la Regione Abruzzo ha aderito.Il nuovo programma individua quindi i seguenti obiettivi che i processi di educazione ambientale devonoperseguire:1. stimolare e favorire forme educative basate sullo sviluppo di capacità di elaborazione, lettura, organizza-

zione e problematizzazione dei segni dell’ambiente, tali da indurre a collegamenti e connessioni deifenomeni;

2. superare il nozionismo, incentivare il metodo;3. sviluppare nella persona una concezione dell’ambiente quale entità varia, complessa, interdipendente in

una visione dinamica e in continua evoluzione;4. portare a prendere coscienza dei rapporti che ognuno, come singolo, e l’intera comunità possono instaura-

re con l’ambiente in quanto parte di questo in un sistema di relazioni interconnesse fra di loro;5. sviluppare l’idea di ambiente come modello di democraticità poiché ogni nodo della rete è di uguale

importanza e di imprescindibile presenza;6. promuovere azioni di buone pratiche e processi di responsabilizzazione per educare al cambiamento;7. considerare l’oggetto dell’educazione ambientale non l’ambiente ma le relazioni umane con l’ambiente;8. costruire una durevole, critica e creativa mentalità ecologica, superando l’idea di immediato indottrina-

mento per allontanare un’emergenza ambientale;9. favorire metodologie partecipative fondate sulla scoperta, sulla relazione, sull’interpretazione, sulla proble-

matizzazione.

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LECCETA DI TORINO DI SANGROLe azioni che la Regione Abruzzo intende quindi perseguire sono:

1. Sviluppo, consolidamento e coordinamento della rete I.N.F.E.A.;2. Formazione permanente agli operatori e Istituzione di un Gruppo di ricerca;3.Definizione di un sistema di valutazione della qualità delle strutture, dei progetti e delle iniziative ricondu-cibili al sistema I.N.F.E.A.;4. Sostegno alla progettualità interna ed esterna al sistema I.N.F.E.A.;5. Iniziative, progetti e reti internazionali, nazionali e con altri sistemi I.N.F.E.A. regionali;6. Informazione e comunicazione;7. Servizi e supporti.

Il contesto della Riserva Regionale Lecceta di Torino di SangroLa Riserva Regionale Lecceta di Torino di Sangro è stata istituita con L. R. n. 67/2001 per tutelare una dellepoche formazioni forestali situate a ridosso della costa che non a caso era già stata oggetto di attenzione daparte della Società Botanica Italiana ed era stata inserita nell’elenco dei biotopi della L.R,. n. 45 per la prote-zione della flora nella regione Abruzzo.L’area è divenuta poi parte di un Sito di Importanza Comunitaria con codice IT7140107 denominato“Lecceta di Torino di Sangro e foce del fiume Sangro”. Questo breve iter riassuntivo dei vincoli più significativi apposti all’area fa ben comprendere la sua impor-tanza dal punto di vista conservazionistico ma rende merito anche alla posizione strategica che l’area assumelungo la costa teatina. Negli ultimi tempi infatti, soprattutto a seguito dell’arretramento della ferrovia e con-seguentemente della disponibilità dei vecchi tracciati recuperati, si è aperto un dibattito sulla necessità ditutelare la costa della provincia di Chieti che va da Francavilla a San Salvo e per la quale sono state formulatediverse ipotesi di tutela che vanno dall’istituzione di un parco nazionale di dimensioni alquanto rilevanti aquella di una riserva di carattere provinciale ben più limitata. Di recente l’Amministrazione Provinciale di Chieti ha avviato lo studio la realizzazione del Parco della CostaTeatina.Non si vuole in questa sede entrare in merito sull’argomento vista la complessità che esso riveste in terminidi pianificazione territoriale e di problematiche della conservazione, si vuole però sottolineare che la riservadi Torino di Sangro ha comunque assunto un’importanza strategica nel suo contesto ed un ruolo decisamen-te di avanguardia nel panorama della tutela della costa teatina.Il territorio di Torino di Sangro risulta inoltre di notevole interesse sotto il profilo paesaggistico e soprattuttoper quanto riguarda il paesaggio rurale che è ancora ben conservato pur essendo largamente coltivato.L’importanza dello stesso è del resto confermata anche dalla presenza di un altro Sito di Interesse Comunitariodenominato “Boschi ripariali del fiume Osento” che prosegue poi nei territori di Paglieta e Scerni e che tutelaestese formazioni forestali ripariali e planiziari con presenza di frassino meridionale e farnia.La qualità dell’ambiente rurale si può riscontrare anche nella presenza delle ultime testimonianze di architet-tura in terra cruda presenti nella vallata del Sangro; i resti di pochi manufatti rimandano infatti ad una diffu-sione un tempo molto più ampia la cui tecnologia sarebbe quanto meno da documentare in relazione adesperienze analoghe maturate nella regione, nel contesto nazionale ed in quello europeo, ad esempio con ilcollegamento alle “Città della terra cruda” che riunisce enti, università e centri di ricerca che lavorano su que-sto tema.

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Gli interventi già avviati e quelli in corso da parte dell’ente gestore e della società alla quale è stata affidata lagestione operativa sono volti a dotare l’area protetta delle strutture necessarie alla fruizione e all’educazioneambientale ma consentono altresì di sperimentare un modello di gestione sostenibile incentrato sulla collabora-zione dei diversi portatori di interesse. Nella riserva inoltre è impiegato personale stabile coadiuvato da colla-boratori a progetto in alcuni periodi dell’anno o per l’attuazione di particolari interventi: detto personale haquindi consolidato una fattiva esperienza nel settore della didattica, dell’educazione ambientale e dell’assistenzaai visitatori ma anche nella manutenzione delle strutture e negli interventi di carattere più spiccatamente natu-ralistico. Si tratta pertanto di risorse umane adeguatamente formate che possono rappresentare un valoreaggiunto per la gestione più ampia del territorio della costa teatina e per le iniziative ad esso collegate.

Le strutture ed i servizi della RiservaPur essendo di recente costituzione la riserva di Torino di Sangro si è già dotata di alcune strutture di interes-se didattico e turistico ed altre sono in fase di realizzazione unitamente a progetti di valorizzazione e di ricer-ca scientifica.Le strutture si possono brevemente riassumere come di seguito:

- Percorso natura;- Percorso escursionistico;- Punti di osservazione;- Area faunistica della testuggine terrestre Testudo hermannii;- Area faunistica dell’istrice;- Centro Visite in c.da Saletti;- Area pic nic in limitrofa al Centro Visite;- Ufficio della Riserva nei locali del Comune.

La Riserva di Torino di Sangro offre al momento i seguenti servizi:

- Accoglienza dei visitatori in tutti i periodi dell’anno;- Apertura del Centro Visite all’interno della riserva nel periodo primaverile ed estivo;- Servizio di informazioni turistiche nel periodo estivo;- Visite guidate su prenotazione nell’intero territorio della riserva;- Visite per i più piccoli di tipo ludico – sensoriale ed esperienze con l’Educazione alla terra (EarthEducation),

- Visite tematiche con riferimento alla vegetazione e alla fauna del bosco, alla storia del paesaggio e del terri-torio, al tema della memoria con visita guidata al Cimitero Inglese, alla foce del Sangro;

- Visite tematiche sulla costa teatina in collaborazione con enti e privati;- Inserimento delle attività didattiche della riserva nela Catalogo Regionale dei CEA per il Centro diEducazione Ambientale del Fiume della Riserva Naturale Regionale Lago di Serranella;

- Progetti di educazione ambientale legati all’evoluzione storica del paesaggio, allo studio della flora e dellafauna, all’agricoltura e alle cultivar locali;

- Accoglienza di tirocinanti in collaborazione con Università ed Enti di Formazione (sono già attivate collabo-razioni con le Università di L’Aquila, Viterbo, Bologna, Chieti, Roma e con numerosi enti di formazione ascala regionale);

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- Inserimento dell’area protetta nei progetti di rete volti alla valorizzazione del comprensorio (ad es. Sangro –Aventino Card, progetto Equal del Patto Sangro Aventino) e alle attività di collaborazione con la rete regio-nale delle riserve;

- Servizi di informazione e di comunicazione attraverso il Sito Web www.leccetatorinodisangro.it con la pre-sentazione dell’area, delle strutture, dei progetti in corso e la redazione di newsletter periodiche che vengo-no inviate ad un indirizzario selezionato;

- Produzione di materiali didattici editoriali quali depliant, poster, quaderni didattici, pubblicazioni, ecc.

LE PROPOSTELe proposte di seguito riportate non hanno la pretesa di essere complete ed esaustive rispetto al patrimoniodella riserva anche in considerazione del particolare contesto in fase di continua evoluzione che comporta ilprogetto di tutela futura della costa teatina. Si ritiene comunque che gli interventi proposti possano andare nellacomune direzione della valorizzazione dell’area protetta ma anche del suo inserimento in un territorio che èoggetto di attenzione e di ipotesi sempre più concrete di tutela che si indirizzano verso uno sviluppo sostenibile.Le proposte si possono brevemente riassumere in:- Ampliamento della rete dei percorsi con il collegamento di quelli della riserva con il mare e la foce delSangro;

- Realizzazione di un percorso didattico attrezzato per l’esperienza sensoriale e le attività di educazione alla terra;- Creazione di una rete di punti informativi che colleghino la riserva con la costa e con il centro abitato;- Creazione di un percorso della memoria in collaborazione con il Cimitero Inglese limitrofo alla riserva;- Acquisizione di un edificio nella piana limitrofa alla riserva per la ricostruzione di un ambiente rurale conpagliaio e orto didattico;

- Azioni di recupero e riproposizione dell’architettura in terra cruda in collaborazione con l’associazione deicomuni della “Città della Terra Cruda” di carattere nazionale, con enti di ricerca e con l’associazione“Terrae” di Casalincontrada;

- Ricostruzione del trabocco nel tratto di costa torinese ed allestimento della struttura per fini didattici e pro-mozionali;

- Creazione di un Centro di Educazione Ambientale dedicato alla costa e/o all’agricoltura locale con appositilocali ed attrezzature atti ad ottenere il riconoscimento di struttura di interesse regionale ai sensi dell’art. 5della Legge Regionale n. 122/99;

- Creazione ed animazione di una rete di portatori di interesse nel settore agricolo – ambientale per la pro-mozione dei prodotti locali e di itinerari del gusto che valorizzano gli stessi (eventuale creazione di un“marchio” dei prodotti della riserva e di una “vetrina” degli stessi);

- Collegamento con le aree protette ed i Centri di Educazione Ambientale della vallata del Sangro ed in parti-colare con le Riserve Regionali “Lago di Serranella” e “Abetina di Rosello” ed i Cea del Fiume e delle Abetineper la promozione di pacchetti turistici e di attività didattiche dal mare alla montagna;

- Collegamento dell’area protetta con le strutture produttive del territorio ed in particolare del basso Sangroper il miglioramento complessivo della qualità della vita e le opportunità di ricreazione nella natura;

- Promozione di azioni di sensibilizzazione per la tutela del basso Sangro e della sua foce che presentanovalori ambientali di tutto rilievo;

- Formazione del personale relativamente ai requisiti previsti dalle leggi vigenti per l’accompagnamento deivisitatori e le attività didattiche.

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STUDIO DELLA GRAFICASTUDIO DELLA GRAFICA

Nella comunicazione, tanto più in quella visiva, l’informazione viene proposta sotto una forma codificataa cui viene affidato il compito di esprimere una serie di messaggi che l’emittente vuole far arrivare a uncerto pubblico. La grafica, proprio nel suo dar forma ai messaggi, risponde al compito della comuni-cazione più efficace nella direzione di una buona leggibilità, coerenza formale e semantica e ripro-ducibilità.Nella scelta e realizzazione del simbolo della Riserva e del cartello perimetrale si è dunque seguito l’in-tento di un efficace raggiungimento della comunicazione, di un’immagine inizialmente vista e percepitae successivamente letta e compresa.Tutto ha una funzione per esprimere le varie tonalità della comunicazione, dalla scelta del formato, deicaratteri, della disposizione, dei colori.A rappresentare la Riserva di Torino di Sangro è stata scelta la testuggine terrestre, in quanto indicativadi una peculiarità naturalistica di rilievo nell’area, la presenza, per questa specie, dell’unica popolazionespontanea di una certa consistenza in Abruzzo e nella costa adriatica. La testuggine è stata riprodotta graficamente solo nei tratti salienti attraverso il programma di graficavettoriale di Illustrator. I segni ben marcati, netti ed essenziali garantiscono che il simbolo possa essereriprodotto a seconda delle esigenze, per diverse grandezze e su differenti supporti. La prevalenza del colore giallo è solo indicativa di una identità realistica, molto di più della volontà ditrasmettere un significato di vitalità, solarità e rivitalizzazione rispondendo alla proprietà dell’armoniacromatica di provocare sensazioni e precisare un certo clima affettivo. La tinta verde delle scritte ricon-duce con evidenza alla volontà di farsi segno di naturalità, nel richiamare la trasparenza dell’oggetto,cioè l’ambiente naturale e la sua protezione.Anche nello studio minimo di quello che può essere un semplice cartello di perimetrazione si è cercatodi rafforzare e rispettare l’idea di espressione primaria, cosicché il gioco delle costanti tipografiche(spessori, corpi, inclinazioni, disposizioni, ecc.) fosse tutto nella direzione della funzione e della comu-nicazione dell’oggetto, in questo caso principalmente informativa, e solo in seconda battuta pro-mozionale. In effetti anche l’indicazione della legge di riferimento è stata posta ben in evidenza, in con-siderazione del fatto che il cartello ha anche una funzione di richiamo al rispetto legislativo e dei limitid’azione nell’ambito specifico.Ed ecco quindi la scelta di calcare il colore solare per fortificare la comunicazione identitaria tra simbo-lo, caratteri della Riserva e identificazione dei confini costitutivi.Seguendo lo stesso principio si è dato risalto alla denominazione in modo che venisse ben percepita,anche da una certa distanza e nel passaggio fuggevole lungo le vie transitabili.Medesima centralità è stata data al simbolo, riprodotto in posizione dominante e con una buona visibil-ità per valorizzare l’equivalenza conduttrice nel processo di individuazione, in una costante auspicabileanche nelle comunicazioni future in modo da continuare nell’evidenziazione di una coerenza comu-nicativa e di immediatezza di riconoscimento.Questa rispondenza è tanto più augurabile quanto più il moltiplicarsi di segni grafici nello spazio

Mira Colangelo

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sociale circostante rende satura la nostra attenzione, e la labilitàdel passaggio, spesso rapido, caratterizzato dal movimento

e dalla velocità, ci ha abituato a percepire infrazioni di istanti i segni grafici nuovi e a nonvedere ciò che abbiamo già visto.L’immagine di una forma è il supporto delle

sensazioni sperimentate nella realtà, nell’incon-tro f is ico con l ’oggetto. Le sensazioni del

momento, divenute ricordi di colore, di materia, diodore, di movimento, di misura, si amalgano in un

unico ricordo visivo, caratteristico di tutti gli elementistorici, naturalistici e topografici sperimentati nella

conoscenza, in questo caso, dell’area protetta. Si compren-derà quindi che l’uso di una forma organica e coerente nella

costruzione di un messaggio visivo significa non solo rivolgersi allamemoria visiva del fruitore – del visitatore – ma anche fargli ritrovare tutte le sensazioni provate nellaconoscenza vissuta dell’oggetto rappresentato. Infine, il simbolo visivo abbraccia un concetto diaccezione più propriamente culturale e di senso, la testuggine porta con sé anche il concetto di lentez-za e di longevità, di una natura che ha ritmi e tempi suoi, di un possibile ritorno, almeno a tratti, in unadimensione più umana, invogliando al ritorno nella visita e al rispetto di una zona franca, naturalistica-mente e socialmente parlando.

LLECCETA DI TORRINO DI SANGRO

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LECCETA DI TORINO DI SANGRO

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Inquadramento geograficoAspetti geologici e geomorfologiciAspetti floristiciAspetti vegetazionaliAspetti fitopatologiciAspetti faunistici

LepidotterofaunaInvertebrati-ArtropodiIttiofaunaErpetofaunaOrnitofaunaMammalofauna

Aspetti storiciNote storiche sul paesaggio agrarioAspetti socio-economiciL’uso sostenibile delle risorse del territorioFruizione ed educazioneStudio della grafica

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