Rischi lavorativi da agenti fisici - Medicina del Lavoro lavorativi da... · 4 se il rumore è...

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1 Rischi lavorativi da agenti fisici IL RUMORE L’ipoacusia da rumore occupa il primo posto per frequenza tra le malattie professionali, costituendo circa il 50% di tutte le malattie professionali indennizzate dall’INAIL. Suono e rumore sono, dal punto di vista fisico, perfettamente equivalenti in quanto possono essere descritti mediante le stesse grandezze, ma al rumore si attribuisce normalmente il significato di suono non desiderato. Descrizione fisica e misura del suono Il suono è una propagazione di energia meccanica, sotto forma di onde cicliche, attraverso mezzi elastici; suoni possono essere propagati nei gas, nei liquidi e nei solidi, ma non nel vuoto. Dal punto di vista fisico un onda sonora ha determinate caratteristiche, sia spaziali che temporali, che è utile descrivere mediante alcune grandezze fisiche. periodo: tempo necessario per completare un ciclo(in secondi) lunghezza d’onda: distanza percorsa durante un intervallo di tempo uguale al periodo frequenza: numero di cicli per secondo, misurato in Hertz(Hz) potenza sonora: energia sonora generata in un secondo, misurata in Watt(W) intensità sonora: quantità media di potenza sonora per unità di superficie, misurata in Decibel(dB). Di questi parametri sono di particolare interesse: la frequenza che rappresenta il numero di cicli per unità di tempo (secondo), viene misurata in Hz e determina le caratteristiche di suono basso o suono acuto. Una bassa frequenza corrisponde a suoni bassi, mentre una frequenza molto elevata corrisponde a suoni acuti. L’orecchio percepisce suoni che sono compresi tra 20 e 20000 Hz; al di sotto dei 20 Hz si parla di infrasuoni, mentre al di sopra dei 20000 Hz di ultrasuoni. L’intensità sonora che è la quantità di energia sonora per unità di superficie, viene misurata in Decibel(dB). Il Decibel è una quantità che ha delle caratteristiche particolari: è adimensionale e non lineare. Se prendiamo la frequenza di riferimento(1000 Hz), tra la soglia di udibilità e la soglia del dolore l’intensità del suono percepibile dal nostro orecchio varia di circa 1000 miliardi di volte; se si utilizzasse una scala di misura che tenesse conto della pressione sonora le difficoltà pratiche sarebbero notevoli e, pertanto, si è pensato di utilizzare una scala logaritmica che consente di servirsi di misure di grandezza più piccole ed in un intervallo più ristretto. E’ stato quindi introdotto il Decibel, che è il logaritmo in base10 del rapporto tra la pressione sonora misurata e la pressione sonora di riferimento. La pressione sonora di riferimento è uguale al livello minimo che noi possiamo sentire ed è 0 dB a 1000 Hz. Il Decibel non è più, quindi, una misura lineare, ma è adimensionale ed il raddoppio del livello sonoro corrisponde ad un aumento di 3 dB. Per esempio, se in un ambiente lavorativo il livello sonoro è stato ridotto da 80 dB a 77 dB, significa che è stato dimezzato, oppure un rumore che aumenta da 80 a 89, significa che è triplicato. Ciò si riflette anche nell’ambiente del lavoro , quando sono presenti sorgenti di rumore diverse; in questo caso, non è possibile effettuare una media aritmetica, ma bensì una media logaritmica ponderata. Se in un ambiente di lavoro è presente un ventilatore che produce un suono di 80 dB e se ne aggiunge un altro identico, il risultato finale è un raddoppio del livello sonoro, cioè un aumento di 3 dB (80 + 3=83 dB).

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Rischi lavorativi da agenti fisici

IL RUMORE

L’ipoacusia da rumore occupa il primo posto per frequenza tra le malattie professionali, costituendo circa il 50% di tutte le malattie professionali indennizzate dall’INAIL.

Suono e rumore sono, dal punto di vista fisico, perfettamente equivalenti in quanto possono essere descritti mediante le stesse grandezze, ma al rumore si attribuisce normalmente il significato di suono non desiderato.

Descrizione fisica e misura del suono

Il suono è una propagazione di energia meccanica, sotto forma di onde cicliche, attraverso mezzi elastici; suoni possono essere propagati nei gas, nei liquidi e nei solidi, ma non nel vuoto.

Dal punto di vista fisico un onda sonora ha determinate caratteristiche, sia spaziali che temporali,

che è utile descrivere mediante alcune grandezze fisiche.

• periodo: tempo necessario per completare un ciclo(in secondi)

• lunghezza d’onda: distanza percorsa durante un intervallo di tempo uguale al periodo

• frequenza: numero di cicli per secondo, misurato in Hertz(Hz)

• potenza sonora: energia sonora generata in un secondo, misurata in Watt(W)

• intensità sonora: quantità media di potenza sonora per unità di superficie, misurata in Decibel(dB).

Di questi parametri sono di particolare interesse:

la frequenza che rappresenta il numero di cicli per unità di tempo (secondo), viene misurata in Hz e determina le caratteristiche di suono basso o suono acuto. Una bassa frequenza corrisponde a suoni bassi, mentre una frequenza molto elevata corrisponde a suoni acuti.

L’orecchio percepisce suoni che sono compresi tra 20 e 20000 Hz; al di sotto dei 20 Hz si parla di infrasuoni, mentre al di sopra dei 20000 Hz di ultrasuoni.

L’intensità sonora che è la quantità di energia sonora per unità di superficie, viene misurata in Decibel(dB).

Il Decibel è una quantità che ha delle caratteristiche particolari: è adimensionale e non lineare. Se prendiamo la frequenza di riferimento(1000 Hz), tra la soglia di udibilità e la soglia del dolore l’intensità del suono percepibile dal nostro orecchio varia di circa 1000 miliardi di volte; se si utilizzasse una scala di misura che tenesse conto della pressione sonora le difficoltà pratiche sarebbero notevoli e, pertanto, si è pensato di utilizzare una scala logaritmica che consente di servirsi di misure di grandezza più piccole ed in un intervallo più ristretto.

E’ stato quindi introdotto il Decibel, che è il logaritmo in base10 del rapporto tra la pressione sonora misurata e la pressione sonora di riferimento. La pressione sonora di riferimento è uguale al livello minimo che noi possiamo sentire ed è 0 dB a 1000 Hz.

Il Decibel non è più, quindi, una misura lineare, ma è adimensionale ed il raddoppio del livello sonoro corrisponde ad un aumento di 3 dB.

Per esempio, se in un ambiente lavorativo il livello sonoro è stato ridotto da 80 dB a 77 dB, significa che è stato dimezzato, oppure un rumore che aumenta da 80 a 89, significa che è triplicato.

Ciò si riflette anche nell’ambiente del lavoro , quando sono presenti sorgenti di rumore diverse; in questo caso, non è possibile effettuare una media aritmetica, ma bensì una media logaritmica ponderata. Se in un ambiente di lavoro è presente un ventilatore che produce un suono di 80 dB e se ne aggiunge un altro identico, il risultato finale è un raddoppio del livello sonoro, cioè un aumento di 3 dB (80 + 3=83 dB).

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Se, invece, è presente una macchina che produce un suono di 85 dB e un’altra che ne produce 80, il risultato finale sarà uguale al logaritmo in base 10 della somma dei due suoni, secondo la formula: SPL ( sound pressure level): = 10 log (I1 + I2) I1= 10 log (10 8.5 + I0 8)= 86dB

Il risultato finale, in questo caso, è di 86 dB

E’ utile conoscere, anche, come si propaga il suono: mentre in un ambiente aperto il suono si diffonde in maniera sferica a partire dalla sorgente rumorosa, senza alcuna riflessione diminuendo d’intensità sonora con il quadrato della distanza, negli ambienti di lavoro, confinati per la presenza di pareti, l’energia sonora può essere in parte assorbita, in parte riflessa e in parte, se le pareti hanno determinate caratteristiche, può essere trasmessa nel locale adiacente; quindi, negli ambienti di lavoro, normalmente confinati, non si deve tenere conto solo dell’intensità sonora che viene prodotta dalla sorgente rumorosa, ma anche del rumore riflesso che andrà a sommarsi a quello della sorgente sonora. L’insonorizzazione delle pareti, con l’uso di pannelli fono-assorbenti, che riducono la riflessione, rappresentano un intervento preventivo utile per ridurre la rumorosità negli ambienti di lavoro.

In ambienti chiusi, diversamente dall’aperto, l’intensità sonora diminuisce direttamente con la distanza: se una macchina posta a 25m produce un rumore pari a 85dB, a 50m il rumore si dimezzerà, passando da 85 a 82 dB.

Composizione in frequenza, filtri e bande di frequenza

Un tono è definito puro quando è composto da una sola frequenza

In ambiente lavorativo il campo sonoro è caratterizzato da frequenze diverse. L’orecchio umano ha una sensibilità diversa rispetto alle frequenze e, pertanto, è di estrema importanza caratterizzare il rumore di un ambiente dal punto di vista delle frequenze componenti. L’analisi della pressione sonora per ogni singola componente in frequenza risulterebbe, però, estremamente lunga, costosa e forse inutile dal punto di vista del danno uditivo.

In pratica, per risalire alla composizione in frequenza del rumore vengono utilizzati filtri che lasciano passare un certo intervallo di frequenze; tipicamente viene effettuata un’analisi per banda d’ottava, analizzando una fascia di frequenze per volta ( per esempio quella tra 1 e 32 Hz, indicata con frequenza nominale 16) e cosi di seguito. Ogni banda è caratterizzata da una propria frequenza nominale (16, 32, 63, 125…..16000 Hz) che è indicata alla base degli audiogrammi.

Caratteristiche del rumore

Oltre al suo contenuto in frequenza il rumore può anche essere caratterizzato in relazione alle specifiche modalità di emissione della sorgente; un rumore può quindi essere definito:

� continuo: se dura per tutto il turno di lavoro;

� discontinuo: se sono presenti delle pause di durata significativa;

� fluttuante: se caratterizzato da variazioni del livello di pressione sonora superiori a + 1 dB;

� impulsivo: se ha una durata compresa tra 1millisec ed 1 sec; questo tipo di rumore è frequente negli ambienti di lavoro e può essere più lesivo di quello continuo, a causa di una mancata protezione svolta dal riflesso stapediale. Il riflesso stapediale è dovuto alla contrazione riflessa del muscolo stapedio, che riducendo il grado di affondamento della platina della staffa nella finestra ovale, protegge le strutture dell'orecchio interno da stimolazioni acustiche troppo intense. Per attivarsi il riflesso stapediale necessita di un tempo di latenza di circa 10 millisec., che è più lungo del tempo di salita del livello di picco del rumore impulsivo, non potendo così svolgere la sua funzione protettiva.

La sensazione sonora

Per essere uditi i suoni devono raggiungere l'orecchio con una intensità superiore ad un valore minimo detto soglia uditiva, cioè il valore minimo di pressione sonora in grado di determinare una sensazione sonora. La sensibilità dell'orecchio non è costante al variare della frequenza e, quindi, la soglia uditiva ha valori diversi lungo tutto il campo delle frequenze comprese tra 20 e 20.000 Hz. La soglia uditiva è stata determinata sulla base delle risposte soggettive di individui giovani, di udito normale, in condizioni normalizzate di generazione e

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propagazione del suono e di ascolto. Livelli di pressione sonora pari a 130-140 Db determinano una sensazione fisica di dolore e tale valore viene definito soglia di dolore ed è indipendente dalla frequenza.

La misura del rumore: il dBA, il livello equivalente, il valore limite soglia(TLV)

Il fonometro è lo strumento utilizzato per la misura del livello di pressione sonora. Come già precedentemente accennato il nostro orecchio ha una sensibilità diversa per le varie frequenze; infatti, la sensibilità è maggiore alle frequenze intorno ai 4000 Hz e diminuisce all'aumentare ed al diminuire della frequenza. Per la valutazione del rumore rispetto ai suoi effetti sull'uomo, pertanto, è opportuno fare riferimento più che al livello di pressione sonora, alla sensazione sonora. Ciò lo si ottiene inserendo nel fonometro appositi circuiti di attenuazione, che provvedono a tagliare il rumore misurato per simulare il comportamento dell'orecchio umano. Sono stati proposti nella normativa internazionale filtri basati su curve di attenuazione di tipo A, B, C, D. Indagini epidemiologiche hanno evidenziato una migliore correlazione tra il rischio di danno uditivo e misure effettuate con il filtro A rispetto alle misure effettuate con gli altri filtri e, pertanto, la curva di attenuazione del filtro A è, in pratica, l'unica utilizzata nelle misure di rumore che si propongono di prevedere i possibili effetti sull'uomo.

La misura del rumore effettuata dal fonometro con filtro A viene espressa in dBA.

In ambiente lavorativo i rumori presenti non sono mai di un solo tipo, ma sono estremamente variabili; allo scopo di poter caratterizzare con un solo dato di misura un rumore variabile è stato introdotto il livello sonoro equivalente, espresso in dBA, che rappresenta il livello di un ipotetico rumore costante che, se sostituito al rumore reale per lo stesso intervallo di tempo, comporterebbe la stessa quantità di energia sonora e viene indicato con la sigla Leq. L'aggettivo equivalente sottolinea il fatto che l'energia di un ipotetico rumore costante e quella del rumore reale sono uguali. Da un punto di vista fisico, il Leq è un integrale nel tempo di misure di livelli sonori. Per la misura di tali Leq si utilizzano dei fonometri integratori che hanno la possibilità di integrare nel tempo le varie energie sonore e di effettuare i calcoli matematici richiesti dalla formula del Leq. Se, per esempio, in un ambiente lavorativo è presente per 4 ore un rumore di 100 dBA, e per altre 4 ore un rumore di 80 dBA, il livello equivalente verrà calcolato secondo la formula del Leq, e fornirà il risultato di 97dBA, corrispondente all'energia sonora di un ipotetico suono continuo di 8 ore di durata, identica a quella emessa da un suono di 100 dBA di durata di 4 ore, sommata a quella di un suono di 80 dBA di durata di 4 ore.

Il valore limite soglia(TLV) di esposizione al rumore, cioè il valore al di sotto del quale non si dovrebbero verificare danni uditivi, è stato fissato a 85 dBA. Questo valore limite vale per esposizioni di 8h al giorno per 5 giorni alla settimana per tutta la vita lavorativa e per persone sane. E' possibile calcolare il tempo massimo di esposizione ad intensità di rumore superiori od inferiori al TLV applicando un fattore di scambio di 3 dBA: 85 dBA per una esposizione di 8 ore equivalgono ad 88 dBA per una esposizione di 4 ore.

Conoscendo i livelli equivalenti delle diverse aree dove si sposta un lavoratore nelle 8h, possiamo calcolare il livello di esposizione personale giornaliera(Lep,d). In alternativa il lavoratore può essere dotato di un fonometro integratore(dosimetro) che è in grado di integrare i livelli di intensità sonora rilevati in tutto il turno lavorativo.

Normativa sul rumore

Nel 1991 è stato emesso il decreto legislativo n. 277, che fa riferimento a tre fattori di rischio: piombo, amianto e rumore. Per quanto riguarda il rumore prevede che:

� il datore di lavoro faccia sempre la valutazione del rischio lavorativo da rumore, sia attraverso misure dirette, o per autocertificazione.

� se il rumore è inferiore ad 80dBA il rischio è considerato nullo;

� se il rumore è compreso tra 80 ed 85 dBA va effettuata l'informazione dei lavoratori sul rischio da rumore, e la visita medica su richiesta;

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� se il rumore è compreso tra 85 e 90 dBA è obbligatoria l'informazione e la formazione dei lavoratori sul rischio da rumore, la visita medica e l'esame audiometrico a cadenza biennale, mettere a disposizione dei lavoratore i dispositivi di protezione individuali(cuffie, inserti auricolari); inoltre, le cartelle sanitarie devono essere custodite, coperte dal segreto professionale, presso il luogo di lavoro;

� se il rumore è superiore a 90 dBA è obbligatoria l'informazione e la formazione dei lavoratori sul rischio da rumore, la visita medica e l'esame audiometrico a cadenza annuale, uso obbligatorio da parte dei lavoratore dei dispositivi di protezione individuali(cuffie, inserti auricolari); le cartelle sanitarie devono essere custodite, coperte dal segreto professionale, presso il luogo di lavoro; inoltre, è obbligatorio comunicare alla ASL le misure da adottare per abbattere il rischio, tenere il registro degli esposti e perimetrare l'area di lavoro.

Dal 15 Febbraio 2006 è entrata in vigore la normativa CE 2003/10 che ha modificato i valori limite di

esposizione introducendo il valore LEX8h indicante il livello di esposizione giornaliera (valore medio

ponderato per turno di 8 ore come definito da norma ISO 1999:90)

I nuovi valori limite sono riassunti di seguito

1) Valore limite di esposizione

*LEX8h = 87 dB(A) : Il valore di 87 dB(A) non deve mai essere superato e viene misurato tenendo conto della

attenuazione prodotta dai DPI indossati

2)Valori superiori di esposizione che fanno scattare l'azione:

*LEX8h = 85 dB(A): azioni: informazione e formazione, diritto al controllo dell’udito

Il valore di 85 dB(A) viene misurato senza tener conto della attenuazione prodotta dai DPI indossati

3)Valori inferiori di esposizione che fanno scattare l'azione:

*LEX8h = 80 dB(A) : azioni: informazione e formazione, disponibilità al controllo dell’udito

Il valore di 80 dB(A) viene misurato senza tener conto della attenuazione prodotta dai DPI indossati.

Ipoacusia da rumore

L'esposizione a rumore può causare delle alterazioni a carico dell'apparato uditivo, che si manifestano diversamente a seconda delle modalità e dei tempi di esposizione.La prima alterazione causata dal rumore è il cosiddetto spostamento temporaneo della soglia uditiva (STS): l'esposizione di un soggetto normoudente ad un rumore di una certa entità provoca un innalzamento della sua soglia uditiva, transitorio nel tempo e quantificabile come differenza in dB tra la soglia uditiva in condizioni di riposo acustico e quella dopo stimolazione sonora. L'eziopatogenesi del fenomeno risiederebbe in una sorta di meccanismo di difesa dell’orecchio legato ad un rilasciamento dei filamenti di actina delle ciglia e della parte apicale delle cellule acustiche che diventando meno rigide diventano meno sensibili all’energia sonora che le colpisce, determinando un innalzamento della soglia uditiva. Il fenomeno passa sotto il nome di fatica uditiva fisiologica se il recupero uditivo avviene entro le 16 ore dopo la stimolazione sonora e di fatica uditiva patologica se la durata è superiore alle 16 ore. Il termine patologico sta ad indicare il possibile rischio di trasformazione in danno irreversibile: Tenuto conto che, in generale, l'esposizione a rumore per motivi di lavoro dura mediamente 8 ore e che a queste seguono 16 ore di riposo, se tra una esposizione al rumore e la seguente non vi è tempo sufficiente per un completo recupero delle capacità uditive è probabile che a lungo termine si instaurerà un danno uditivo irreversibile.

L'ipoacusia da rumore è, invece, un danno uditivo irreversibile e può essere di tipo cronico, quando evolve lentamente nello spazio di anni a seguito di una esposizione protratta e di tipo acuto quando si realizza in un tempo breve, provocata da una stimolazione acustica particolarmente intensa.

La forma cronica insorge in maniera subdola ed inavvertita e nel suo decorso è possibile distinguere quattro fasi:

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prima fase: sensazione di orecchio pieno, sono presenti degli acufeni, l’esame audiometrico può essere normale o può presentare un lieve innalzamento della soglia uditiva ; è una fase ancora reversibile che non comporta perdita dell’udito, se la persona viene allontanata dal lavoro;

seconda fase: oltre agli acufeni la sintomatologia soggettiva è completamente muta, ma all’esame audiometrico si possono rilevare compaiono aumenti della soglia uditiva di 30-40dB, attorno ai 4000Hz.

Terza fase: non sente il ticchettio dell’orologio, alza il volume della radio o della televisione; intorno ai 4000Hz c’è un innalzamento della soglia di 60dB e incominciano ad essere interessate le frequenze vicine (3000-5000Hz ).

Quarta fase: è il quadro classico della sordità da rumore; si ha difficoltà a udire la voce parlata con compromissione, quindi, della comoda udibilità sociale. E' presente il fenomeno del recruitment, causato dal reclutamento delle cellule laterali con conseguente minor caratterizzazione del suono, associato ad un improvviso aumento della sensazione uditiva per piccoli aumenti di intensità dello stimolo sonoro.

Dal punto di vista eziopatogenetico le modalità d'azione del rumore non sono ancora ben conosciute; è presente una degenerazione delle cellule acustiche, con sostituzione delle cellule cigliate con un epitelio monostratificato; nei casi più gravi è osservabile anche una degenerazione delle cellule nervose dell’organo del Corti. Il danno uditivo inizia tipicamente sulle cellule che rispondono alle frequenze nella zona dei 4000 Hz; una ipotesi interpretativa spiega questo riscontro col fatto che le cellule di tale zona sono meno vascolarizzate e quindi, più sensibili all’azione dell’energia sonora.

Le caratteristiche audiologiche dell’ipoacusia da rumore e criteri diagnostici

Il danno uditivo si sviluppa secondo un modello relativamente costante e l'andamento della lesione condiziona la comparsa di un tracciato audiometrico molto caratteristico e l'insorgenza di un deficit uditivo di tipo

� percettivo

� simmetrico

� bilaterale

� irreversibile

Porre una diagnosi audiometrica di ipoacusia percettiva non costituisce in linea di massima un problema; più difficile è formulare una diagnosi eziologica ed in particolare una diagnosi di ipoacusia da rumore. Il procedimento diagnostico si basa sui seguenti punti:

• anamnesi lavorativa indicante una esposizione al rischio con livelli di rumore superiori a 85 dB

• presenza anamnestica e soggettiva di acufeni e del fenomeno del recruitment

• caratteristiche del tracciato audiometrico, con andamento della curva audiometrica del deficit percettivo tipicamente a "cucchiaio" a causa della deflessione sui 4000 Hz, che nelle forme più gravi si estende alle frequenze vicine.

E' possibile una classificazione rapida dell'esame audiometrico facendo riferimento alle figure di seguito riportate( metodo Merluzzi-Klockoff ).

• bisogna escludere:

l’uso di farmaci ototossici, quali l’ASA, il chinino, gli aminoglicosidi, alcuni diuretici,.etc.;

malattie pregresse , quali traumi cranici, otiti, labirintiti, etc .

la presbiacusia,che presenta un tracciato audiometrico sovrapponibile La presbiacusia è un danno su base vascolare legato all’invecchiamento e ha caratteristiche molto simili all’ipoacusia da rumore; per discriminare tra ipoacusia da rumore e presbiacusia si confronta la curva audiometrica del soggetto con i percentili delle soglie acustiche della popolazione normale, per sesso ed età definite dalla norma ISO 1999;se la curva del soggetto si pone oltre il 5° percentile è molto verosimile che il danno sia da imputare al rumore anziché alla presbiacusia

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La valutazione obiettiva della tecnopatia da rumore assume carattere fortemente indicativo e probativo mediante la registrazione dei potenziali evocati uditivi del tronco encefalico. L’esame consente di valutare gli eventi bioelettrici che si realizzano nel nervo acustico e nel tronco encefalico, registrando la variazione dei potenziali elettrici di riposo in potenziali di attività nervosa ogni volta che l’orecchio umano viene raggiunto da stimoli acustici.

I potenziali evocati uditivi del tronco encefalico sono espressi essenzialmente da 5 onde (I, II, III, IV, V), che riflettono l’attività generatrice di diverse stazioni neurali.

Nello specifico sono generate:

l’onda I a livello del nervo acustico,

l’onda II dai nuclei cocleari,

l’onda III dal complesso olivare superiore

l’onda IV e V e dai nuclei del lemnisco laterale e collicolo inferiore.

L’esame si dimostra particolarmente utile ai fini topodiagnostici, in quanto consente di valutare in maniera alquanto obbiettiva le ipoacusie neurosensoriali cocleari.

L’esame positivo è caratterizzato da un innalzamento della soglia dell’onda V, direttamente proporzionale all’entità della ipoacusia, con valori di latenza e morfologia normali.

Prevenzione del rumore

Se la sorgente di rumore è una macchina, per evitare la propagazione per via solida, è possibile collocare sistemi antivibranti sotto il basamento della macchina od in alternativa dotare di isolamento antivibrante i singoli posti di lavoro; anche il ridurre la concentrazione delle macchine, l'utilizzare macchinari sempre più silenziosi o il diminuire i ritmi di funzionamento rappresentano validi interventi antirumore . Per intervenire sulla propagazione per via aerea diretta è possibile utilizzare barriere poste tra la macchina e l’ambiente di lavoro o, meglio, incapsulare la sorgente rumorosa. La propagazione per via aerea riflessa viene, invece, controllata con l'utilizzo di pannelli fonoassorbenti. Sull'uomo gli interventi preventivi si possono attuare attraverso la riduzione dei tempi di esposizione, dell'orario di lavoro,con l'aumento delle pause e con la rotazione del personale. Da ultimo, l'utilizzo dei dispositivi di protezione individuale permette di permette di abbattere di circa 40 dB il rumore ambientale, se vengono forniti cuffie e caschi, e di circa 10 dB se vengono forniti inserti auricolari. Una drastica riduzione dell'esposizione può essere ottenuta quando è possibile far svolgere l'attività lavorativa in cabina silente.

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Classificazione rapida dell'esame audiometrico ( metodo Merluzzi-Klockoff ).

-100

102030405060708090

100110120

250 500 1000 2000 4000 8000750 1500 3000 6000

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102030405060708090

100110120

250 500 1000 2000 4000 8000750 1500 3000 6000

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102030405060708090

100110120

Normale Ipoacusia rumore 1°

voce

dB

Hz

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100110120

250 500 1000 2000 4000 8000750 1500 3000 6000

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102030405060708090

100110120

250 500 1000 2000 4000 8000750 1500 3000 6000

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102030405060708090

100110120

Ipoacusia rumore 2° Ipoacusia rumore 3°

Rumore - audiometria Ipoacusia darumore

forma a cucchiaioinizio a 4000 Hzriduzione sogliauditiva > -25 dB

percettivabilateralesimmetricairreversibile

renditaNon sento

la voce

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102030405060708090

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250 500 1000 2000 4000 8000750 1500 3000 6000

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102030405060708090

100110120

250 500 1000 2000 4000 8000750 1500 3000 6000

-100

102030405060708090

100110120

Ipoacusia rumore 4° Ipoacusia rumore 5°

-100

102030405060708090

100110120

250 500 1000 2000 4000 8000750 1500 3000 6000

-100

102030405060708090

100110120

250 500 1000 2000 4000 8000750 1500 3000 6000

-100

102030405060708090

100110120

Ipoacusia 6° rumore+altro Ipoacusia 7° altra causa

Via OsseaVia Aerea

rum orealtracausa

altracausa

percettivotrasmissivo

Non sento la voce

rendita rendita

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Rischi lavorativi da agenti fisici

PATOLOGIA DA VIBRAZIONI

Le vibrazioni, definite come un moto periodico di un corpo intorno a una posizione di equilibrio, costituiscono un rilevante agente lesivo, sia per la varietà e l'importanza degli effetti sulla salute, sia per il numero di lavoratori esposti.

Schematicamente possono essere classificate, in base alla frequenza, in tre classi:

� -basse frequenze (0-2Hz): si generano sui mezzi di trasporto, come auto, navi e aerei; sono responsabili della cinetosi ( mal di mare, mal d'auto);.

� -medie frequenze (2-20Hz): sono generate da macchine ed impianti industriali (mulini, frantoi) o da mezzi di trasporto (autobus e metropolitane): determinano effetti su tutto il corpo, in particolare sull'apparato otovestibolare ed osteoarticolare..

� -alte frequenze (>20Hz):generate da strumenti vibranti a percussione (scalpello), a rotazione (motosega, frese, avvitatrici), a movimento misto (martello pneumatico, ribattitrice): agiscono a livello degli arti superiori e sono responsabili di manifestazioni a carico dell’apparato vascolare, nervoso periferico ed osteoarticolare.

Patologia da vibrazioni trasmesse a tutto il corpo

Determinano effetti su tutto il corpo, in particolare sull'apparato otovestibolare ed osteoarticolare.

L'iperstimolazione del vestibolo e dei canali semicircolari determina la comparsa del quadro sintomatologico noto come cinetosi o mal dei trasporti, mentre, per quanto riguarda l'apparato osteoarticolare è riferita una alta incidenza di lombalgia in autisti di mezzi pesanti ed agricoli, anche se sembra giocare un ruolo importante nella comparsa delle manifestazioni lombalgiche la posizione seduta coatta ed il lavoro pesante con movimentazione manuale di carichi.

Patologia da vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio

L'esposizione a vibrazioni mano-braccio è associata ad un aumentato rischio d'insorgenza di lesioni neurologiche, osteoarticolari e vascolari a carico del sistema mano-braccio. L'insieme di tali lesioni è definito come Sindrome da Vibrazioni Mano-Braccio.

La neuropatia da strumenti vibranti

Vi è evidenza epidemiologica di : ipo-parestesie, riduzione della sensibilità termica e tattile, riduzione della capacità di manipolazione fine nei lavoratori esposti a vibrazioni mano-braccio.. La sensibilità vibrotattile sembra essere particolarmente compromessa nei soggetti che usano utensili che generano vibrazioni a media ed alta frequenza, quali smerigliatrici, motoseghe,e strumenti odontoiatrici.

L’eziopatogenesi sembra essere legata ad alterazioni di diversi tipi di fibre mieliniche e amieliniche e di 2 classi di meccanocettori cutanei, definiti rispettivamente "Slow Adapting" e "Fast Adapting".Il quadro clinico è caratterizzato da turbe sensitive alle estremità distali degli arti superiori che interessano soprattutto i rami distali del mediano e ulnare.

La diagnosi viene posta sulla base di un'anamnesi positiva per esposizioni a vibrazioni e della valutazione del deterioramento della soglia estesiometrica, termica e vibrotattile; la riduzione di queste sensibilità porta alla diagnosi di neuropatia da strumenti vibranti.Negli esposti a vibrazioni mano-braccio è stata, spesso, segnalata anche la sindrome del tunnel carpale; è, però, più probabile che la sindrome del tunnel carpale, per chi usa strumenti vibranti, sia più legata ai movimenti frequenti e ripetitivi e alle posizioni incongrue che assume il polso durante l'uso dello strumento vibrante, piuttosto che all’azione diretta delle vibrazioni.

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L’osteoartropatia da strumenti vibranti

Le possibili alterazioni osteoarticolari rappresentano un tema controverso, in quanto trattasi di lesioni aspecifiche ,simili a quelle le che si riscontrano con i normali processi di invecchiamento, o a quelle riscontrabili negli esposti a lavoro manuale pesante. Le lesioni si presentano sotto forma di cisti e vacuoli delle ossa carpali e metacarpali, di alterazioni artrosiche ai polsi e ai gomiti e di alterazioni osteofitosiche a livelli del gomito.

La necrosi del semilunare ( malattia di Kienböck) era ritenuta patognomonica, unitamente alla entesopatia del gomito (sperone olecranico) in quanto frequentemente osservata negli esposti a vibrazioni.

I dati epidemiologici sembrano mettere in evidenza una aumentata prevalenza di queste alterazioni negli esposti a vibrazioni di bassa frequenza ed elevata ampiezza, generate da utensili a movimento percussorio e percussorio-rotatorio (martello pneumatico).

L'angiopatia da strumenti vibranti

E' una malattia dell’apparato vascolare, conosciuta anche come fenomeno di Raynoud secondario, caratterizzata da attacchi di pallore locale e ben delimitato, che si manifestano in corrispondenza delle dita delle mani maggiormente esposte al microtraumatismo vibratorio. L'attacco di pallore ischemico digitale è, di solito, scatenato dall’esposizione al freddo.

Il ruolo eziopatogenetico delle vibrazioni sembra esplicarsi attraverso meccanismi centrali (iperreattività del sistema nervoso simpatico) o locali ( disfunzione dello strato endoteliale, ipertrofia della tunica media muscolare delle arterie digitali), che portano ad una compromissione della circolazione sanguigna.

La diagnosi differenziale va fatta con il fenomeno di Raynoud primitivo, che è caratterizzato da un pallore più diffuso e omogeneo, simmetrico nelle due mani e talvolta esteso anche alle dita dei piedi e, sovente, sulla presenza di un'anamnesi familiare positiva per sindromi vasospastiche acrali.

La classificazione clinica dell'angiopatia da strumenti vibranti consiste di quattro stadi sintomatologici,dal grado lieve a molto severo in rapporto alla frequenza degli episodi vasospastici ed al numero di dita e falangi colpite; il quarto stadio è riservato ai rari casi di vasculopatia con associate alterazioni trofiche cutanee alle estremità delle dita.

La diagnosi si pone attraverso una accurata anamnesi che comprenda i seguenti requisiti minimi:

� anamnesi positiva per episodi di pallore ben demarcato ad una o più dita provocati dall'esposizione al freddo;

� comparsa del primo episodio di pallore digitale dopo l'inizio dell'esposizione a vibrazione;

� assenza di elementi clinico-anamnestici suggestivi per familiarità positiva per sindromi vasospastiche o per fenomeno di Raynoud primitivo o secondario ad altre patologie locali o sistemiche;

� presenza di episodi di pallore digitale negli ultimi due anni durante i quali vi sia stata esposizione a vibrazioni mano-braccio (fenomeno di Raynaud in fase attiva).

� La valutazione obiettiva del fenomeno di Raynaud si avvale di diverse procedure di perfrigerazione locale: il Cold test, che consiste nell'esposizione delle mani al freddo (10-15°C), con comparsa del pallore alle dita delle mani e riduzione del valore della pressione digitale inferiore al 60% di quella misurata a 30°C e l'esame fotopletismografico , prima e dopo prova termica: si lascia la mano in acqua e ghiaccio per qualche minuto e dopo la comparsa del fenomeno di Raynoud si valuta l’onda sfigmica, che risulta appiattita.

Vanno, inoltre eseguiti tutti quegli esami bioumorali atti ad escludere eventuali malattie sistemiche, quali VES, PCR, glicemia, uricemia, fattore reumatoide, crioglobuline e marker di malattie autoimmuni.

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Rischi lavorativi da agenti fisici

LE RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI

Con il termine radiazione si intende l'emissione di entità fisiche che trasportano energia: tali entità possono essere costituite da particelle (radiazioni corpuscolate) o da onde elettromagnetiche e vengono distinte in radiazioni ionizzanti e non ionizzanti.

Le radiazioni ionizzanti producono ionizzazione nel corpo che attraversano, con la formazione di una coppia di ioni, allontanando un elettrone orbitale dal nucleo atomico cui è legato; ciò si può verificare solo quando l'energia veicolata dalla radiazione è maggiore di quella di legame dell'elettrone.

Le non ionizzanti trasferiscono energia al corpo che attraversano, ma non sono in grado di indurre ionizzazione.

Radiazioni ionizzanti

Le radiazioni ionizzanti corpuscolate sono principalmente rappresentate da particelle α, β+, e β-, dotate di carica. Le α e le β hanno una velocità molto bassa, si arrestano facilmente sulla superficie cutanea (le β riescono a penetrare al massimo per un cm) con lesività biologica da irradiazione esterna bassa. I neutroni (corpuscoli senza carica), prodotti artificialmente, hanno un alto potere di penetrazione con conseguente lesività biologica da irradiazione esterna molto elevata.

Le radiazioni ionizzanti elettromagnetiche, senza carica, sono rappresentate dai raggi X e raggi γ. Hanno una velocità pari a quella della luce, penetrano in maniera notevole e quindi hanno una elevata lesività da irradiazione esterna, perché possono raggiungere i tessuti più radiosensibili del corpo anche in profondità

Dosimetria radiobiologica e unità di misura

Tra le grandezze fondamentali della dosimetria radiobiologica e le relative unità di misura va segnalata quella di esposizione(X), che misura la quantità di ionizzazione prodotta in una massa unitaria, storicamente misurata in Rontgen, ora in fase di progressiva sostituzione nell'attuale Sistema Internazionale di misura (SI)con il Coulomb; quella di dose assorbita(D), che misura la quantità di energia ceduta in una massa unitaria di tessuto ed è espressa in Gray e quella di dose efficace(DE), espressa in sievert, che indica la probabilità che un organo irradiato possa subire un danno stocastico(leucemie, tumori, mutazioni genetiche) rispetto al corpo intero e che tiene conto di fattori di ponderazione specifici per organi. La dose equivalente(H),che si ottiene moltiplicando la dose assorbita(D) per un fattore di ponderazione, esprime la capacita della radiazione di generare effetti biologici nei tessuti, non solo in rapporto all'energia ceduta ma anche in rapporto al tipo di radiazione; l'unità di misura nel SI è il sievert, mentre quella storica, ma ancor oggi talvolta usata è il Rem.

La dose collettiva, infine, esprime la dose assorbita da una popolazione irradiata e l'unità di misura è il sievert-uomo (Sv-uomo).

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Meccanismo d’azione delle radiazioni ionizzanti

Le radiazioni ionizzanti hanno un duplice meccanismo d’azione:

� le radiazioni corpuscolate, dotate di carica (α, β+, e β-) agiscono con un meccanismo diretto, dando luogo ad una elevata produzione di ioni che sono in grado di ledere la membrana cellulare, di determinare alterazioni a livello dei ribosomi e dei mitocondri, di dar luogo a mutazioni geniche di tipo stabile (trasmibili anche ai discendenti) o instabili (morte della cellula);

� Le radiazioni ionizzanti elettromagnetiche (raggi X e raggi γ) e i neutroni, entrambi non dotati di carica e che danno luogo ad una limitata produzione di ioni primari, agiscono con un meccanismo indiretto: le molecole d'acqua, sottoposte a irradiazione, danno luogo alla produzione di radicali liberi (H2 e H2O2), che modificano e distruggono le macromolecole biologiche ( acidi nucleici, proteine, ecc.).

L'effetto biologico dipende dalla dose assorbita e dalla radiosensibilità dell'organo colpito, che è condizionata dalla velocità di ricambio cellulare del tessuto stesso.

La massima sensibilità è a carico del tessuto ematopoietico, seguito da gonadi, midollo osseo, strato basale della cute, cristallino, epitelio intestinale, fegato, alveoli polmonari, dotti biliari, tubuli renali, endoteli, connettivo e ossa muscoli e sistema nervoso.

Sindromi cliniche da irradiazione

In relazione alle modalità di esposizione, l'organismo umano può essere colpito dalle radiazioni dall'esterno, su tutto il corpo o in sedi localizzate, oppure dall'interno, per contaminazione interna. A seconda della dose si potranno manifestare effetti acuti o cronici

Pertanto è possibile distinguere le seguenti sindromi:

sindrome acuta da irradiazione esterna globale (incidenti in centrali nucleari):

• - per dosi elevate si manifesta come Sindrome cerebrale: evolve in poche ore o giorni con nausea, vomito, tremori, convulsioni, coma, morte. Il tessuto nervoso è tra i meno sensibili alle radiazioni e, pertanto, sono necessarie dosi molto elevate per provocare danni cerebrali;

• per dosi alte si manifesta come Sindrome gastrointestinale: compare dal 3° al 20° giorno dall’esposizione ed è sempre fatale, con vomito, diarrea ematica non trattabile, che porta a disidratazione, collasso circolatorio e morte;

• - per dosi medio basse si manifesta come Sindrome emopoietica: vengono colpiti i tessuti più sensibili, compare tra l’8° e il 50° giorno dall’esposizione, è caratterizzata, in prima istanza da linfopenia seguita da neutropenia e piastrinopenia, con conseguenti manifestazioni emorragiche ed infezioni. La terapia è prevalentemente sintomatica, ma l'esito è quasi sempre fatale.

sindrome acuta da irradiazione esterna locale:

• avviene per azione di sorgenti distanti o per deposito di sostanze radioattive sulla superficie cutanea. Le strutture più sensibili sono la cute e le gonadi e si manifesta, sulla cute, con perdita di peli, arrossamento, bolle e flittene, ed , al crescere della dose, con il quadro di radiodermite necrosante caratterizzato da ulcere poco tendenti alla guarigione e con tendenza formazione di tumori cutanei ed a carico delle gonadi con azospermia transitoria nell'uomo, per una esposizione lieve, mentre, per esposizioni più elevate, compare sia per l’uomo che per la donna, sterilità permanente.

Sindrome cronica da irradiazione esterna globale:

• colpisce prevalentemente i lavoratori che sono addetti alle manipolazioni di sostanze radioattive, alla conduzione di impianti radiogeni, ad estrazioni minerarie in aree radiogene; la sintomatologia è molto sfumata, con ipotrofia cutanea, ipoplasia midollare, deperimento organico con un accorciamento della vita.

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Sindrome cronica da irradiazione esterna locale:

• frequente in passato in radiologi ed ortopedici; riguarda soprattutto la cute di mani e avambraccio, con quadri di cute arrossata, bolle e delle ulcere e, soprattutto, frequente sviluppo di epiteliomi.

Sindrome cronica da irradiazione interna :

può avvenire per errore o incidente, attraverso la via digerente, respiratoria (radionuclidi gassosi come il radon nei minatori) e cutanea. La distribuzione è condizionata dalla affinità metabolica per i diversi tessuti dell'elemento radioattivo che viene introdotto: il radio ha un’affinità molto elevata per il tessuto osseo, lo iodio per la tiroide, il cesio per i muscoli. Gli effetti più gravi sono legati alla cancerogenesi, per cui negli esposti, in genere, sono frequenti le leucemie, i carcinomi polmonari nei minatori esposti al radon, gli osteosarcomi della mascella, frequenti negli addetti alla verniciatura di quadranti fosforescenti degli orologi, utilizzando radio.

• Nelle contaminazioni locali è possibile lo sviluppo di cataratta e radiodermite, complicata dalla evoluzione in epitelioma.

Radiazioni non ionizzanti (NIR)

Con il termine radiazioni non ionizzanti si indicano, in genere, tutte quelle forme di radiazioni elettromagnetiche il cui meccanismo primario di interazione con gli organismi viventi si diversifica da quello della ionizzazione, non possedendo energia sufficiente a provocare ionizzazione nella materia colpita.

Lo spettro elettromagnetico può essere suddiviso in funzione della lunghezza d’onda e della frequenza in:

radiazioni ottiche: infrarosso, visibile, ultravioletto (luce, lampade a raggi infrarossi per produzione di calore, lampade germicide, lettini solari);

onde radio, microonde (radar, telefonini cellulari, radio, televisione, radar terapia, marconi terapia, incollaggio industriale, microonde);

campi a frequenza estremamente bassa( ELF, Extremely Low Frequenciesy) (telefonia, linee elettriche ad alta tensione, risonanza magnetica).

Effetti biologici delle radiazioni non ionizzanti

Per quanto concerne gli effetti biologici dei campi elettromagnetici a frequenze estremamente basse (ELF) occorre tenere presente che in ogni organismo esistono campi e correnti elettriche che svolgono un ruolo in complessi meccanismi di controllo fisiologico, quali l'attività neuromuscolare, le funzioni della membrana cellulare, nonché lo sviluppo, la crescita e la riparazione dei tessuti.

Studi epidemiologici ben controllati sullo stato di salute in generale di lavoratori addetti a linee e sottostazioni elettriche non avrebbero rilevato alcuna differenza statisticamente significativa tra gruppi di esposti e gruppi di controllo. Al contrario, studi epidemiologici più recenti avrebbero fornito un sostegno circa l'associazione tra leucemia infantile ed esposizione a deboli campi elettrici.

Lo studio Lagorio (1998) eseguito dall’Istituto Superiore della Sanità lascia delle incertezze circa la possibilità di insorgenza di tumori in seguito all’esposizione a campi ELF e conclude che i dati epidemiologici, oggi disponibili non possono essere assunti a base di processi decisionali e di sanità pubblica.

Lo studio NIEHS, eseguito nel 1998 National Institute of Environment, Health and Science, mette in luce una limitata cancerogenicità rispetto alla leucemia infantile ed una evidenza relativa per i tumori cerebrali e per i linfomi infantili da considerarsi inadeguata. Nella valutazione complessiva, comunque, i campi elettromagnetici ELF vengono classificati come possibili cancerogeni per l’uomo.

Lo studio SETIL (ASL-Università di Milano,1999-2001), appena terminato, sta valutando il rapporto tra esposizione a campi magnetici a bassissima frequenza e sviluppo di leucemie, linfoma non Hodgkin e neuroblastomi nei bambini.

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Il settore delle radiofrequenze e microonde è il più studiato fra le radiazioni non ionizzanti e gli effetti sanitari accertati o ipotizzati si dividono in due grandi categorie:

-effetti termici:gli organi più colpiti sono il cristallino e i testicoli. Le manifestazioni patologiche sono rispettivamente la cataratta e l’oligo- e azospermia. Il cristallino è particolarmente sensibile al calore in quanto non vascolarizzato (il trasferimento veloce del calore dai tessuti interni alla superficie avviene tramite la corrente sanguigna). .

-effetti non termici: di non univoca accettazione a livello del sistema nervoso centrale e neurovegetativo, studiati e riconosciuti dagli autori russi, ma messi in discussione dagli autori occidentali, quali,bradicardia, ipotensione alterazioni ECG (allungamento del tratto PQ), linfocitosi, monocitosi, iperattività tiroidea, caduta dei capelli, fragilità ungueale, alterazioni ECG con onde lente e diminuita ampiezza delle onde α , cefalea, diminuzione della libido, riduzione della attività sessuale, disturbi della memoria.

Rischio di esposizione a radiazioni non ionizzanti e ionizzanti in ambiente ospedaliero

Radiazioni non ionizzanti Accanto agli apparati per diaterma a radiofrequenze (RF) e microonde (MW), esistono varie sorgenti di radiazione visibile ed ultravioletta, laser, campi magnetici statici connessi ad apparecchi di risonanza magnetica (NMR). In Italia non esistono normative nazionali: in particolare il decreto annunciato da anni per la protezione dei lavoratori dai campi elettromagnetici a radiofrequenze e microonde non è stato ancora emanato. Vi è però da rilevare che la nuova tabella delle malattie professionali (DPR 336/94) prevede alla voce n°51.02 le malattie causate da laser ed onde elettromagnetiche e le loro conseguenze dirette.

Radiazioni ionizzanti La materia inerente la tutela della salute dei lavoratori radioesposti ed il controllo sulle apparecchiature radiogene( radioscopia, radiografia, TAC, radioterapia, impiego di isotopi radioattivi) è attualmente normato da decreti di adeguamento alle Direttive Europee (230/95 et all.). La sorveglianza sanitaria dei lavoratori radioesposti è sempre esercitata a pieno titolo dal Medico Autorizzato ( per lavoratori esposti di Categoria A, con esposizione annuale superiore a 6 miliSievert)e per quanto riguarda i lavoratori esposti di Categoria B (esposizione annuale tra 1 e 6 miliSievert )può essere esercitata dal Medico Competente. Il controllo sanitario viene effettuato con visita medica periodica (semestrale/Categoria A, annuale/Categoria B) ed esami integrativi con registrazione di tutti i dati su documento sanitario personale.

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Rischi lavorativi da agenti fisici

IL MICROCLIMA

Il microclima può essere definito come il complesso di parametri ambientali che condizionano gli scambi termici tra uomo ed ambiente. All’interno di un ambiente confinato, tale complesso di parametri è determinato dal clima esterno, dalle caratteristiche strutturali dell’edificio, dalle caratteristiche degli impianti di riscaldamento e condizionamento e dal numero e tipo di attività degli occupanti. Ciascuno di questi fattori è governato da un grande numero di variabili, con la conseguenza che ciascun singolo ambiente confinato è caratterizzato da un proprio microclima. Sarebbe presuntuoso tentare una definizione comprensiva di tutte le diverse situazioni microclimatiche; invece, è possibile mettere a fuoco i fondamenti di termofisiologia umana con i requisiti di benessere termico ed i criteri generali di valutazione delle condizioni microclimatiche, allo scopo di facilitare il raggiungimento di benessere microclimatico in tutti quegli ambienti civili, come le scuole e gli uffici, ove un sempre crescente numero di persone trascorre gran parte della giornata e della vita lavorativa.

Il controllo della temperatura corporea

L’uomo, come tutti i mammiferi, è “animale omeotermo” e a differenza degli animali poichilotermi, nei quali la temperatura varia direttamente con la temperatura ambiente, è in grado di mantenere costante la propria temperatura interna in una vasta fascia di situazioni microclimatiche (Lucido n.1). Tuttavia, il mantenimento di una temperatura interna costante è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per il raggiungimento e il mantenimento dello stato di benessere termico inteso come quella condizione in cui il soggetto non avverte sensazioni di caldo o di freddo e, contemporaneamente, dimostra uno stato di soddisfazione psichica per le condizioni microclimatiche ambientali. L’organismo umano, in termofisiologia, viene distinto in una zona interna o “core” ove sono collocati gli apparati “vitali” come quello nervoso, cardiocircolatorio ed intestinale, ed in una superficiale o “shell”, costituita dalla cute e dai tessuti sottocutanei. Le due zone sono caratterizzate da valori di temperatura differenti, per cui si rende necessario distinguere una temperatura interna ed una temperatura esterna o cutanea. La temperatura interna, in condizioni di equilibrio termico e tanto più in quelle di benessere, deve rimanere costante. Deviazioni dalla norma verso valori maggiori o minori, come conseguenza di accumulo o dissipazione di calore, possono comportare gravi rischi per l’organismo. La temperatura cutanea, in ambiente clinico misurata comunemente come temperatura ascellare, è, contrariamente a quella interna, variabile a seconda delle diverse superfici corporee. Essa presenta le maggiori variazioni in ambienti freddi e le minori. invece, in ambienti caldi e durante il processo della sudorazione. Le sue variazioni possono raggiungere limiti massimi di 45°C e minimi diversi per varie zone del corpo, di 17°C per la fronte e di 4°C per le dita. Questi limiti massimi e minimi rappresentano valori di temperatura oltre i quali si ha insorgenza di manifestazioni dolorose.

I meccanismi di termoregolazione

Per mantenere costante la temperatura interna è necessario che il calore, prodotto o incamerato dall’organismo, possa essere dissipato nell’ambiente. Viceversa, quando le condizioni ambientali sono tali da sottrarre in continuazione calore all’organismo devono essere messe in atto reazioni fisiologiche che impediscano una diminuzione della temperatura interna. Ciò significa che l’organismo umano deve essere dotato di sistemi di difesa sia per contrastare le condizioni ambientali caratterizzate da alte temperature, che quelle caratterizzate da basse temperature. Questa capacità dell’organismo umano che può vivere o sopravvivere in situazioni, sia di estremo caldo che di estremo freddo, è quella che caratterizza fondamentalmente la differenza tra esseri omeotermi ed esseri poichilotermi. Ciò rappresenta un evento notevole nella storia dell’evoluzione degli esseri omeotermi o “a sangue caldo” ma, sotto un altro aspetto, va tenuto presente che un prolungato funzionamento del sistema di termoregolazione nel

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tempo può condurre ad alterare l’equilibrio omeostatico dell’organismo umano, con la comparsa di manifestazioni patologiche acute o croniche da calore. I meccanismi di difesa contro il caldo prevedono, in primo luogo un aumento del flusso ematico cutaneo; il flusso può aumentare rispetto alle condizioni di benessere termico di circo 25 volte modificando, così, notevolmente la temperatura e la capacità di dissipazione della cute. Se il meccanismo di difesa, rappresentato dalla vasodilatazione cutanea non è sufficiente a mantenere costante la temperatura corporea interna interviene, allora, un secondo meccanismo rappresentato dalla produzione di sudore e dalla sua successiva evaporazione. Tale meccanismo è estremamente efficace essendo in grado di dissipare circa 600 Kcal/ora per litro di sudore evaporato. In condizioni di benessere termico la dispersione termica si verifica attraverso la cosiddetta “perspiratio insensibilis”. Se anche il meccanismo della sudorazione risulta inefficace, al fine di mantenere costante la temperatura interna, viene, allora, attivato un ultimo meccanismo di difesa di tipo comportamentale, rappresentato dalla diminuzione dell’attività motoria nel tentativo di ridurre la produzione endogena di calore. Fallito questo ultimo meccanismo, la temperatura corporea interna è destinata ad innalzarsi. Esattamente opposti sono i meccanismi di difesa verso il freddo, essendo rappresentati, in primo luogo, da un ridotto afflusso di sangue alla cute mediato da un riflesso di vasocostrizione. Nel caso in cui la termoregolazione vasomotoria non risulti efficace nell’assicurare il mantenimento della temperatura interna interviene, allora, il meccanismo del brivido che attivando tutti i gruppi muscolari, anche per l’assenza di lavoro meccanico, è in grado di aumentare la produzione di calore endogeno fino a 6 volte rispetto a quello prodotto dal metabolismo basale. Il fallimento di questo tentativo determina l’attivazione di un meccanismo di tipo comportamentale rappresentato dall’aumento dell’attività motoria, con lo scopo di incrementare ulteriormente la produzione di calore endogeno al fine di evitare un abbassamento della temperatura corporea interna (Lucido n.2).

Il bilancio termico

Il bilancio termico dell’organismo è il risultato della differenza tra calore prodotto od accumulato dall’organismo e calore dissipato nell’ambiente. L’obbiettivo dei meccanismi di termoregolazione è di fare in modo che il risultato dell’equazione di bilancio termico risulti uguale a zero, così da mantenere invariata la temperatura corporea interna(Lucido n.3). Stante i numerosi fattori che intervengono nel determinare il risultato finale, l’equazione di bilancio termico risulta molto complessa ma, al fine di mettere in evidenza i fattori principali e più rilevanti può essere sinteticamente espressa come segue

S = M – W ±±±± C ±±±± R ±±±± Cx - E

Ove:

S = energia termica a cumulata o ceduta dal corpo, nell’entità di tempo

M = potenza termica d’origine metabolica

W = potenza meccanica scambiata con l’esterno

C = potenza termica scambiata con l’ambiente per convezione

R = potenza termica scambiata con l’ambiente per irraggiamento

Cx = potenza termica scambiata con l’ambiente per conduzione

E = potenza termica dissipata attraverso l’evaporazione del sudore

Il calore metabolico

La principale sorgente di calore per l’organismo umano è rappresentata dai processi ossidativi dei carboidrati, grassi e proteine. Alla costituzione del calore metabolico totale contribuiscono il calore metabolico basale ed il calore metabolico energetico, ai quali va aggiunto il non trascurabile calore prodotto

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durante la digestione e l’assorbimento dei cibi in relazione alla cosiddetta azione dinamico specifica degli alimenti. Il calore metabolico basale è quello prodotto da un soggetto in condizioni di riposo standardizzate, a 12-18 ore di distanza dall’ultimo pasto, in ambiente termico confortevole con abbigliamento leggero. In queste condizioni una parte dell’energia liberata è utilizzata per mantenere gli organi vitali, mentre la maggior parte è trasformata in calore per mantenere la temperatura corporea costante. L’apporto del calore metabolico basale è pari, se misurato nell’unità incoerente “met”, a 0.8 (1 met= 50 Kcal/hm2 = 58.2 W/m2). Al di fuori delle condizioni basali, in ogni attività muscolare, l’energia derivante dalla combustione chimica degli alimenti viene trasformata in lavoro meccanico ed in calore, denominato calore metabolico energetico che, in definitiva, rappresenta il principale apporto di calore dell’organismo. Infatti l’uomo è essenzialmente una macchina termica , avendo un rendimento meccanico molto basso e variabile attorno a valori che, in relazione alle condizioni ambientali ed all’allenamento, sono generalmente compresi tra il 10 ed il 20%. Ciò significa che l’80-90% dell’energia chimica viene trasformata in calore che deve essere dissipato nell’ambiente per non innalzare la temperatura interna, mentre solo il 10-20% viene trasformato in lavoro.

La dissipazione del calore

Il calore prodotto od accumulato dall'organismo, al fine di mantenere le condizioni di benessere, deve essere dissipato facilmente nell'ambiente. Le principali vie di dissipazione sono rappresentate dagli scambi termici tra la cute e l'ambiente per conduzione, convezione per irraggiamento e dalla produzione di sudore, che successivamente viene evaporato. Gli scambi termici che utilizzano la via conduttiva sono generalmente di modeste entità e tali da poter essere trascurati nel calcolo del bilancio termico. In effetti, le superfici corporee, come mani, piedi, in contatto con elementi solidi sono generalmente piccole rispetto alla superficie corporea totale e, nei casi in cui le temperature dei solidi siano molto differenti dal punto di contatto cutaneo, di norma, vengono adottati indumenti protettivi. Gli scambi termici con l'ambiente, per convezione ed irraggiamento rappresentano, invece, una via molto efficace per dissipare il calore. L'entità degli scambi è in rapporto ai valori di temperatura cutanea ed ai valori sia della temperatura dell'aria che della temperatura radiante media dell'ambiente. Maggiore è la differenza tra la temperatura cutanea e quella dell'ambiente, maggiore è la quantità di calore dissipato. Ciò significa che il controllo dei valori della temperatura ambientale è indispensabile per il raggiungimento di condizioni di benessere. Tuttavia, l'abbigliamento costituisce una barriera tra la cute e l'ambiente modificando, con modalità estremamente complesse in rapporto alla resistenza termica dei vestiti, gli scambi termici uomo-ambiente. Per questo motivo nella valutazione delle condizioni microclimatiche non si può prescindere dalla conoscenza, oltre che dell'entità del calore metabolico e dei valori dei parametri fisici ambientali, delle caratteristiche dell'abbigliamento (Lucido n.4). Quindi, nella valutazione delle condizioni microclimatiche dovranno essere tenuti presenti: quattro parametri fisici: e due parametri personali: 1. temperatura dell'aria 1.dispendio metabolico 2. temperatura media radiante 2.isolamento del vestiario 3. temperatura bulbo umido 4. velocità dell'aria Quando i meccanismi fisici di dissipazione del calore non sono sufficienti a mantenere costante la temperatura interna interviene la produzione di sudore, che rappresenta il meccanismo fisiologico più efficace per il mantenimento dell'omeotermia, essendo in grado di dissipare circa 600 Kcal per litro di sudore evaporato. La secrezione di sudore è un processo attivo legato alla entrata in azione delle ghiandole sudoripare endocrine (le ghiandole apocrine situate nelle ascelle e nella regione pubica, non svolgono funzione di termoregolazione) che sono presenti in numero variabile da due a cinque milioni in prevalenza sul tronco ed in parte minore sugli arti inferiori e superiori.

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Esse reagiscono a stimoli provenienti dai recettori termici profondi della cute ed a stimoli simpatici mediati del centro termoregolatore ipotalamico. Il sudore è costituito da una debole soluzione di cloruro di sodio leggermente acida ed ipotonica rispetto ai liquidi extracellulari e contiene, anche tracce di potassio e di magnesio. La produzione e la quota di sudore evaporato sono in funzione prevalentemente della temperatura, dell'umidità e velocità dell'aria, della temperatura della pelle, della percentuale di pelle bagnata dal sudore e dell'abbigliamento. Parametri fisici e fisiologici: strumenti e metodi di misura

Da quanto fino ad ora esposto relativamente al bilancio termico, risulta evidente che per poter valutare le condizioni microclimatiche di un determinato ambiente ove vengono svolte attività lavorative è necessaria la conoscenza delle sei variabili sopra citate, delle quali quattro fisiche e, cioè, temperatura, velocità, umidità dell'aria e temperatura media radiante e di due variabili fisiologiche, rappresentate dal metabolismo energetico e dall'isolamento del vestiario. La temperatura dell'aria può essere misurata con termometri ad espansione, a resistenza e a termocoppia. In ogni caso la precauzione principale è quella di proteggere la parte sensibile del termometro dall'irraggiamento. Ciò può essere ottenuto sia schermando la parte sensibile mantenendo, però, una adeguata circolazione dell'aria attorno ad essa, che dotando la stessa di un elevato coefficiente di riflessione della radiazione termica. L'utilizzo di sonde di piccole dimensioni e di un flusso d'aria sufficientemente elevato attorno alla parte sensibile, che rendono irrilevante lo scambio termico per irraggiamento rispetto a quello per convenzione contribuiscono alla riduzione degli errori di misura (Lucido n.5). Il globotermometro nero viene utilizzato per la misura della temperatura media radiante. Esso consiste di una sfera di rame dipinta in nero opaco,che ha,quindi la capacità di assorbire tutte le radiazioni termiche,riflesse, invece dai normali termometri che hanno una superficie riflettente, con pareti i minimo spessore al cui centro è posto un sensore termometrico. Il globotermometro classico ha un diametro di 15 cm (l'utilizzo di globotermometri di diametro inferiore che risentono maggiormente dell'effetto della temperatura e velocità dell'aria da luogo a risultati meno accurati). Il tempo di risposta del globotermometro classico è di 20-30 minuti e va tenuto presente che il suo utilizzo per determinare la temperatura media radiante ai fini di valutarne l'effetto sull'uomo da luogo a risultati approssimativi a causa della differenza di forma rispetto all'organismo umano. In particolare, le radiazioni provenienti dal soffitto e dal pavimento vengono sovrastimate dal globotermometro ed una sua configurazione ellissoidale, più vicina alla forma del corpo umano, ridurrebbe il margine d'errore(Lucido n.6). La velocità dell'aria può essere misurata con anemometri a paletta, utili però solo nel caso di presenza di correnti d'aria unidirezionali; più frequentemente viene misurata con l'anemometro a filo caldo che è caratterizzato da tempi di risposta molto brevi e che è in gradi di apprezzare le oscillazioni della velocità dell'aria sempre presenti negli ambienti di lavoro. Va segnalato che se la temperatura del filo caldo è troppo elevata, i moti di naturale convezione dell'aria che si generano possono introdurre margini d'errore quando la velocità dell'aria ambiente è bassa (Lucido n.7). L'umidità dell'aria, che può essere espressa come umidità assoluta o relativa, viene misurata con lo psicrometro costituito da due termometri identici cui uno ha il bulbo ricoperto da una mussola di cotone mantenuta umida con acqua distillata. Entrambi i bulbi devono essere protetti contro l'irraggiamento e, preferibilmente, esposti ad una corrente d'aria per assicurare un veloce raggiungimento dell'equilibrio. I dati ricavati dallo psicrometro riportati su carta psicrometriche permettono il calcolo dell'umidità assoluta, relativa e della pressione parziale di vapore acqueo. Per quanto riguarda la misura del calore metabolico, già si è detto in precedenza che può essere misurato sia direttamente che ricavato da apposite tabelle. A titolo esemplificativo nella tabella 1 vengono riportati i costi energetici relativi a diverse attività.

Metabolismo Energetico

(w/m2) (met)

Disteso 46 0.8

Seduto, rilassato 58 1.0

In piedi, rilassato 70 1.2

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Attività sedentaria (ufficio, casa scuola, laboratorio) 70 1.2

Attività in piedi (compere, laboratorio, industria leggera) 93 1.6

Attività in piedi (commesso, lavori domestici, lavori a macchina) 116 2.0

Attività moderata (lavoro pesante a macchina, lavoro in garage) 165 2.8

Tabella 1. Metabolismo energetico corrispondente ad alcune attività. La resistenza termica dell'abbigliamento viene generalmente misurata in unità incoerenti "clo" (dall'abbreviazione del termine inglese clothing = vestito) ed in tal caso, la resistenza termica unitaria dell'abbigliamento viene indicata con Icl. La resistenza termica dell'abbigliamento dipende soprattutto dallo spessore e dalla porosità di ogni singolo strato che lo compone ed agisce ostacolando gli scambi termici per convezione, irraggiamento ed evaporazione. La resistenza termica dell'abbigliamento può essere ricavata dalla tabella 2 od in alternativa, quando si conosca esattamente da quali capi è composto l'abbigliamento, utilizzando i dati illustrati nella tabella 3, con la

somma delle resistenze dei singoli capi (∑ I Cli) secondo la seguente formula:

Icl = 0,82 ∑ I cli

Abbigliamento Icl (clo)

Nudo 0

Tipico abbigliamento tropicale: mutande, pantaloncini, camicia a maniche corte con collo sbottonato, calzini leggeri e sandali.

0.3

Abbigliamento leggero estivo: mutande, pantalone leggero, camicia a maniche corte con collo sbottonato, calzini leggeri e scarpe.

0.5

Abbigliamento da lavoro leggero: mutande, maglia intima leggera, camicia da lavoro di cotone a maniche lunghe, pantaloni da lavoro, calzini di lana, scarpe.

0.7

Tipico abbigliamento invernale per ambienti chiusi: mutande, maglia intima, camicia a maniche lunghe, pantaloni, giacca pullover a maniche lunghe, calzini pesanti, scarpe.

1.0

Abito tradizionale pesante all'europea: biancheria intima di cotone con maglia a maniche lunghe e mutande lunghe, camicia, vestito completo, soprabito con cintura, calzini di lana e scarpe pesanti.

1.5

Tabella 2 - Valori della resistenza termica di alcuni abbigliamenti tipici

.

Capo di abbigliamento Icli (clo)

Collant 0.21

Calzini Leggeri 0.03 Pesanti 0.04

Abbigliamento intimo slip e reggiseno 0.05 sottoveste corta 0.13 sottoveste lunga 0.19 Mutande 0.05 maglia intima 0.06

Camicia T shirt 0.09 leggera, maniche corte 0.20

19

leggera, maniche lunghe 0.28 pesante, maniche corte 0.25

Gonna Pesante 0.22

Abito Leggero 0.17 Pesante 0.63

Pullover leggero a maniche corte 0.17 leggero a maniche lunghe 0.37 Pesante 0.49

Pantaloni Leggeri 0.26 Medi 0.32

Scarpe Pesanti 0.44 Leggere 0.04

Tabella 3 - Resistenza termica di singoli capi di abbigliamento. L'indice del benessere termico: il PMV( Predicted Mean Vote = Voto Medio Predetto) Una volta noti tutti i parametri sia fisici che fisiologici, si pone il problema di come utilizzare tali dati al fine di valutare le condizioni microclimatiche ambientali tenendo presente , come obiettivo, quello di raggiungere il benessere termico. Già in precedenza il benessere termico è stato definito come quella condizione in cui il soggetto non solo non avverte sensazione di caldo o di freddo, ma contemporaneamente esprime una sensazione psichica di gradimento nei confronti delle condizioni microclimatiche ambientali. Quando il soggetto non svolge attività lavorativa, nelle condizioni di benessere il sistema di termoregolazione è attivato al minimo; se, invece, svolge attività lavorative leggere o moderate entrano in azione i meccanismi vasomotori e della sudorazione, ma anche in questi casi è possibile creare negli ambienti, condizioni di benessere, agendo opportunamente sui parametri fisici ambientali. Numerosi fattori, oltre a quelli già descritti, sono in grado di influenzare la sensazione termica individuale. In primo luogo le differenze d'età, sesso e costituzione fisica, secondariamente alcune caratteristiche fisiologiche e comportamentali, come le preferenze individuali per ambienti leggermente più caldi o più freschi e, da ultimo, fattori psicologici individuali e di gruppo come l'insoddisfazione del proprio lavoro, la monotonia, la ripetitività e lo scarso contenuto delle diverse attività lavorative che tendono a rendere i soggetti critici verso il proprio lavoro e verso il microclima in maniera particolare. Inoltre, negli ambienti di lavoro, possono essere svolte attività che comportano un dispendio energetico diverso e non tutti i posti di lavoro si trovano nelle stesse condizioni, alcuni potendo essere collocati vicino a fonti di calore ed altri essere maggiormente esposti alla radiazione solare. Tutto ciò fa emergere la constatazione, confermata anche dall'esperienza pratica, che non esistono condizioni microclimatiche ambientali ottimali in grado di soddisfare contemporaneamente tutti i soggetti anche se è possibile identificare condizioni microclimatiche ambientali tali da soddisfare le esigenze di benessere della maggior parte dei soggetti. Un'integrazione di tutti i parametri fisici e fisiologici in unico numero in grado di stimare il grado di benessere, cioè l'utilizzo di indici termici, è risultata in pratica un tentativo estremamente valido per fornire criteri di riferimento validi nella identificazione e realizzazione di condizioni microclimatiche di benessere. Naturalmente un buon indice termico deve contenere tutte le variabili fisiche e fisiologiche che regolano lo scambio termico tra un uomo ed ambiente, essere semplice e razionale ed, infine, ben correlato con le sensazioni di benessere o disagio termico dei soggetti. La difficoltà di raggiungere tale obiettivo è documentata da un elevato numero di indici termici fino ad oggi proposti, non tutti in grado di soddisfare completamente i requisiti sopracitati. Tra gli indici più adatti a valutare le condizioni di benessere negli ambienti civili sicuramente si colloca il PMV (Predicted Mean Vote o Voto Medio Predetto). Esso si basa sul presupposto, tratto da studi sperimentali, che la condizione di benessere termico per la maggior parte degli individui si ottiene quando il bilancio termico è in

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equilibrio e la temperatura cutanea media ed il calore dissipato per evaporazione del sudore variano entro limiti ben ristretti corrispondenti, di fatto, ad una sollecitazione moderata del sistema di termoregolazione. Al di fuori del benessere termico, la sensazione di caldo o di freddo è proporzionale al carico termico inteso come la differenza tra la potenza termica generata all'interno del corpo umano e quella che, invece, dovrebbe disperdere se fosse in condizioni di benessere, con valori quindi di temperatura cutanea e di evaporazione di sudore contenuta entro precisi e ristretti limiti. Il carico termico, così definito, sperimentalmente si è dimostrato correlabile, in vaste popolazioni, con il voto che può essere espresso dai soggetti sulla scala di sensazione termica illustrata nella tabella 4 a pag. seguente. Sulla base di questa ipotesi è stato sperimentalmente determinato il voto medio che vaste popolazioni esposte a diverse combinazioni di vestiario, attività fisica e parametri ambientali hanno espresso sulla scala di sensazione termica a sette punti.

+3 Molto caldo

+2 Caldo

+1 Leggermente caldo

0 Neutro

-1 Leggermente freddo

-2 Freddo

-3 Molto freddo

Tabella 4. Scala di sensazione termica a 7 punti, modificata da Fanger. Naturalmente il PMV rappresenta la media dei voti di una popolazione esposta alle stesse condizioni di microclima, abbigliamento e dispendio energetico. Poiché le variabili individuali giocano un ruolo importante per quanto riguarda la sensazione di benessere e di disagio termico, attorno al valore del voto medio si ha, normalmente, una dispersione di valori. Assunto che i soggetti sicuramente insoddisfatti avrebbero espresso un valore sulla scala di sensazione termica di ± 2 o ± 3 è stata elaborata, sulla base di ricerche sperimentali su circa 1300 soggetti, una correlazione tra l'indice PMV e la percentuale predetta di insoddisfatti (Predicted Percentage of Dissatisfied o indice PPD). Non tutti sono d'accordo su questo assunto di base in quanto, anche i soggetti che esprimono un voto di -1 o di + 1 indicano una situazione di disagio; tuttavia, va sottolineato che i voti inferiori a -1 o superiori a + 1 indicano sicuramente i gradi di disagio sicuramente più elevati.

Figura 1 - Percentuale prevista di insoddisfatti (PPD) in funzione del voto medio predetto (PMV) (da Fanger,1970) Dall'osservazione della figura 1 emerge che anche in corrispondenza di un PMV di 0 esiste un certo numero di soggetti insoddisfatti pari al 5% della popolazione e che la percentuale di insoddisfatti cresce rapidamente per

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valori di PMV superiori a ± 0,5.Tutto ciò fa presupporre che in normali ambienti di lavoro ove operano soggetti di diverse età, con abbigliamento diverso e che svolgono attività che richiedono un diverso dispendio energetico si possa riscontrare una percentuale maggiore di insoddisfatti rispetto a quella teorica, ricavabile dal diagramma della figura 1. Nella realtà, è possibile trovare percentuali di insoddisfatti che possono arrivare a valori del 15-20%, anche in ambienti perfettamente condizionati. Quest'ultimo aspetto va tenuto presente in maniera particolare, in modo da evitare che lamentele da parte di pochi, rispetto alle condizioni microclimatiche ambientali, determinino interventi sull'impianto di condizionamento che possono aumentare il numero degli insoddisfatti. Le considerazioni sopra esposte unitamente a quelle di natura economica, hanno indirizzato l'Organizzazione Internazionale di Standardizzazione a ritenere accettabili valori di PMV compresi tra ± 0,5, corrispondenti ad un valore di PPD non superiore al 10%. Dal punto di vista pratico è possibile fissare delle condizioni standard, entro le quali bisogna restare, per assicurare il benessere termico per almeno 1'80% dei soggetti. Prendendo come esempio il lavoro d'ufficio con attività di tipo sedentario (1,2 met), abbigliamento tipico estivo (0,5 clo) ed invernale (1,2 clo), utilizzando, se la velocità dell'aria è inferiore a 0,4 m/s e la differenza tra temperatura radiante media e la temperatura dell'aria è inferiore a 4°C, la temperatura operativa, intesa come media aritmetica delle due temperature sopra citate, si possono stabilire le condizioni microclimatiche di benessere estivo ed invernale. Per l'estate la temperatura operativa deve essere compresa tra 23 c 26°C, la velocità dell'aria deve essere minore di 0,15 m/s e l'umidità relativa compresa tra il 40 e 60%; per l'inverno, la temperatura operativa deve essere compresa tra 20 e 24°C con velocità dell'aria inferiore a 0,15 m/s ed umidità relativa compresa tra il 40 e 60%. La patologia da calore Come già accennato in precedenza un prolungato funzionamento del sistema di termoregolazione nel tempo può condurre ad alterare l’equilibrio omeostatico dell’organismo umano, con la comparsa di manifestazioni patologiche acute o croniche da calore. I quadri clinici più noti sono, di seguito ricordati (Lucido n.8) Crampi da calore: la sudorazione comporta la perdita di circa 4g per litro di sudore prodotto, rappresentati prevalentemente da cloruro di sodio; nel caso di sudorazione eccessiva e protratta si può facilmente superare la quota di sali introdotta giornalmente con la dieta ( circa 10 g. ), determinando una deplezione salina, causa di alterazione dell'eccitabilità neuromuscolare. Questa condizione si manifesta clinicamente con l'insorgenza di crampi muscolari, che interessano soprattutto i gruppi muscolari sottoposti a maggior carico lavorativo, in genere gli arti superiori ed inferiori; problemi di diagnosi differenziale con l'addome acuto si può porre quando i crampi colpiscono la muscolatura addominale La somministrazione di cloruro di sodio risolve rapidamente la sintomatologia, mentre la somministrazione di quote aggiuntive di sali durante i pasti rimane l'indicazione preventiva. Collasso da calore: è dovuto ad insufficienza dell'apparato cardiocircolatorio a causa della vasodilatazione periferica. Si manifesta con cefalea, nausea, spossatezza ed, infine, lipotimia: la pelle risulta fredda e umida. Il collasso si risolve mantenendo il soggetto disteso in ambiente fresco e con l'uso di vasocostrittori. Colpo di calore: è dovuto all'arresto dei meccanismi di termoregolazione, in particolare della sudorazione; si manifesta con confusione mentale, delirio e lipotimia, accompagnati da un rapido innalzamento della temperatura corporea fino a 42 oC ed oltre, con possibilità di danni cerebrali irreversibili, in caso di ripresa, e morte.Per la terapia è necessario abbassare rapidamente la temperatura del corpo,prima che si manifestino i danni cerebrali, immergendo il soggetto in un bagno di acqua e ghiaccio. Il soggetto va sempre ospedalizzato.