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Convegno annuale SISP 2016
Panel 10.2 Convergenza o divergenza?
La riorganizzazione degli enti locali italiani tra policy e politics
RIORGANIZZARE LE AUTONOMIE LOCALI IN UN CONTESTO IPER-FRAMMENTATO:
L’ESPERIENZA LOMBARDA.
Martino Mazzoleni
Università Cattolica del Sacro Cuore
ABSTRACT
Nel contesto dei mutamenti istituzionali in atto negli “enti autonomi” della Repubblica (art. 114 co. 2 Cost.),
sulla spinta della legge 56/2014 e della legge di revisione costituzionale sottoposta a referendum
confermativo, gli attori politici ed istituzionali lombardi hanno avviato un ripensamento dell’assetto
organizzativo e funzionale degli enti territoriali della regione, con particolare riguardo ai Comuni, alle loro
aggregazioni e alle Province in transizione verso i futuri enti di area vasta. Il quadro lombardo, infatti, si
caratterizza – oltre che per la numerosità degli enti comunali (oltre 1500) e provinciali (11 più la Città
metropolitana milanese) – per l’estrema frammentazione e articolazione degli ambiti territoriali ottimali
per la pianificazione e l’esercizio dei servizi pubblici locali e per la gestione delle policies regionali.
In assenza di decisioni strutturali di riorganizzazione degli enti locali assunte in occasione dell’attuazione
della legge ‘Delrio’ – che ha preso forma con la lr 19/2015 (sulle funzioni non fondamentali delle Province) e
la lr 32/2015 (sulla Città Metropolitana di Milano) – anche per l’opposizione politica alla ‘Delrio’ da parte
della maggioranza al governo in regione, la presidenza Maroni ha da qualche mese avviato con decisione un
processo finalizzato al riordino del sistema delle autonomie nella più popolosa regione italiana.
L’obiettivo del paper è ricostruire, grazie ad un’analisi documentale e ad interviste ad alcuni protagonisti
del processo, il network politico-istituzionale che sta governando il cambiamento in atto, gli interessi ed
obiettivi degli attori e le dinamiche che li attraversano, anche per evidenziare eventuali peculiarità nel
panorama nazionale. Facendo difetto una vera leadership dei partiti politici regionali su questo tema,
attenzione particolare nel paper sarà dedicata al posizionamento della Giunta regionale e delle associazioni
di rappresentanza dei livelli comunale e provinciale, nonché al disegno organizzativo emergente circa i
medesimi livelli.
NOTA: il paper è l’esito parziale di un lavoro in itinere. Si chiede quindi di non utilizzarlo per
citazioni senza l’autorizzazione dell’autore. Grazie
2
INDICE
1. Introduzione
2. Il caso Lombardo: frammentazione di enti e ‘geometria variabile’ degli ambiti ottimali
3. Attuare la riforma: una soluzione attendista e conservatrice
4. Il processo di revisione in corso
5. Conclusioni
6. Bibliografia
1. INTRODUZIONE
Il dibattito sul riordino del sistema delle autonomie locali in Lombardia, alla luce dell’attuazione
della legge 56/2014 e della revisione costituzionale approvata dal Parlamento, ha interessato una
molteplicità di attori, anche al di fuori delle istituzioni pubbliche, e ha sin qui seguito un percorso
che questo paper intende illustrare. La finalità non è proporre un quadro esaustivo delle vicende
inerenti l’attuazione della l.Delrio in Lombardia, né fornire risposte conclusive ad interrogativi di
natura teorica. L’obiettivo è invece quello di ricostruire il sottosistema di policy attualmente
interessato alla revisione degli enti territoriali lombardi, le attività svolte e le posizioni espresse a
tale riguardo, per generare alcune ipotesi sul policy process stesso1, anche alla luce del processo
legislativo conclusosi nel 2015 con l’approvazione di due leggi regionali di attuazione della l.
56/2014.
Il paper prende avvio con una sintetica illustrazione del quadro attuale degli enti locali in
Lombardia, che ne manifesta l’estrema frammentazione e complessità. Segue un rapido resoconto
della prima fase di attuazione della riforma dell’ente Provincia seguita alla l. 56/2014. Ci si focalizza
poi sul processo di revisione in atto, avviato a inizio 2016 per fornire, nelle conclusioni, un primo
quadro del sottosistema di policy – con particolare riguardo agli attori istituzionali, protagonisti del
processo – e del ciclo di policy descritto, alla luce di un consolidato schema analitico nell’ambito
dei policy studies (Howlett et al. 2009).
2. IL CASO LOMBARDO: FRAMMENTAZIONE DI ENTI E ‘GEOMETRIA VARIABILE’ DEGLI
AMBITI OTTIMALI
2.1 Gli enti locali
1 Considerando i cambiamenti istituzionali come una policy ‘costituente’ (Lowi 1972)
3
Nel contesto italiano, la Lombardia – la regione più popolosa con circa dieci milioni di abitanti e tra
le più ampie con una superficie di 23.861 km² – si caratterizza per la numerosità degli enti locali e
la complessità e frammentarietà delle loro articolazioni organizzative.
Cominciando dalla dimensione comunale, il caso lombardo è esemplificativo della frammentazione
che caratterizza buona parte del territorio nazionale. Vi sono, infatti, 1530 Comuni (al 31.12.2014),
dei quali buona parte di piccola dimensione, come mostra la Tabella 1, tanto che – come per il
caso piemontese – è frequente trovare in letteratura la metafora della ‘polverizzazione’ degli enti
locali per descriverne la numerosità associata alle modeste dimensioni.
Tab. 1 – Il numero dei Comuni lombardi e la popolazione residente, per classe demografica, 2015
Abitanti Comuni Popolazione
N % N %
Fino a 1000 325 21,2% 175.939 1,8%
Da 1000 a 5000 736 48,1% 1.925.094 19,2%
PICCOLI COMUNI 1061 69,3% 2.101.033 21,0%
oltre 5.000 abitanti 469 30,7% 7.901.582 79,0%
TOT. 1530 100,0%% 10.002.615 100,0%
Fonte: adattamento da IFEL (2015, 3).
In molte Provincie la dimensione demografica media del comune è sotto i 5000 abitanti: Como
(3810), Cremona (3110), Bergamo (4489), Lecco (3822), Lodi (3668) e Sondrio (2318).
Naturalmente, nella regione sono da tempo attive aggregazioni tra comuni. L’IFEL (2015, 9)
censisce a dicembre 2014 solo 61 Unioni di Comuni, interessanti il 15% circa degli enti, come
illustra la tabella 2.
Tab. 2 – Composizione delle Unioni di Comuni lombarde
Classe demografica N. Comuni in Unione % Comuni in Unione
Fino a 1.000 abitanti 90 27,7%
Tra 1.001 e 2.500 abitanti 79 20,5%
Tra 2.501 e 5.000 abitanti 42 12,0%
Piccoli Comuni 211 19,9%
Oltre 5.000 abitanti 15 3,2%
Totale 226 14,8%
Italia 1.983 24,6%
Fonte: adattamento da IFEL (2015, 9)
4
Quanto alla gestione associata di funzioni comunali, essa interessa oltre quattrocento Comuni
(compresi quelli in Unione)2 e vede come ente capofila per il 58% un Comune, per il 27%
un’Unione e per il restante 15% una Comunità montana.
Un’analisi di Éupolis Lombardia, l’istituto di ricerca e formazione della Regione, sulla situazione
dell’associazionismo nei piccoli Comuni rivela come la Lombardia è la Regione con “il primato
nazionale dei Comuni in obbligo GAO” (gestione associata obbligatoria delle funzioni) ma “dopo
cinque anni di tentativi e di proroghe i vincoli normativi, pensati per altri contesti, faticano ad
essere applicati” (Éupolis Lombardia 2015, 12). Analogamente agli altri territori d’Italia, esiste
infatti un ostacolo culturale ad avviare processi aggregativi laddove non vi sono tra enti locali
esperienze precedenti di cooperazione o legami significativi. In aggiunta, specialmente nel caso
delle Unioni di Comuni vi sono oggettive difficoltà sia dal punto di vista gestionale che sostanziale,
giacché – a differenza delle fusioni – esse non eliminano enti, anzi ne creano di nuovi (i Comuni
non scompaiono ma continuano ad esistere affianco all’Unione stessa), perciò gli iter burocratici e
i processi amministrativi non diminuiscono. Il vantaggio economico derivante dall’aggregazione in
Unioni, in altri termini, è ancora tutto da dimostrare. Dal punto di vista politico-amministrativo,
inoltre, l’Unione spesso rappresenta (rispetto al proprio Consiglio comunale) un’ulteriore sede di
negoziazione politica per uni sindaco ed una maggioranza innanzitutto desiderosi di attuare il
proprio programma senza troppi ostacoli. In sintesi, i sindaci e, a volte, i Consigli comunali non
hanno ravvisato l’opportunità né l’utilità delle Unioni e delle convenzioni per l’esercizio associato
di funzioni in termini di risparmi o efficacia nel produrre beni pubblici e collettivi. Per ricapitolare,
in tema di aggregazioni comunali anche in Lombardia si evidenzia Il rischio di insufficienti risultati
(in termini di efficienza) o addirittura di aggregazioni puramente formalistiche.
Nell’ambito del processo di revisione e riduzione degli enti non costituzionali operato da
Parlamento e Governo nell’ultimo decennio3, la Regione Lombardia ha deciso di proseguire
l’esperienza ultratrentennale delle Comunità montane come soggetti in grado di contribuire alla
coesione, lo sviluppo e la valorizzazione del territorio montano, che costituisce circa un terzo della
superficie della regione, soprattutto concorrendo all’attuazione delle politiche regionali negli
ambiti sociale, territoriale ed economico. Le odierne Comunità montane sono enti che associano
Comuni montani in base alla lr 19/2008, più volte modificata4, ma che non esauriscono né
2 Come nel resto del Paese, i principali servizi gestiti in forma associata mediante Unione o convenzione sono:
protezione civile, catasto, servizi sociali, polizia locale, trasporto pubblico locale, rifiuti, edilizia scolastica, pianificazione urbanistica, organizzazione generale dell’amministrazione. 3 Si ricorda a tal proposito il tentativo di abrogazione delle Comunità montane con la legge finanziaria del 2008,
cassato dalla Corte costituzionale con sentenza 237/2009 in quanto la materia rientra tra le competenze residuali delle regioni in base all’art. 117 Cost. 4 In base all’art 1, obiettivo delle Comunità è : “conseguire l'ottimizzazione dei livelli di governo e delle caratteristiche
dimensionali, demografiche e strutturali, nonché il superamento della frammentazione, assicurando l'efficienza, la continuità dei servizi, l'efficacia delle politiche locali, la razionalizzazione e la semplificazione.”
5
coincidono con le esperienze delle Unioni o delle gestioni associate5. 519 Comuni lombardi
costituiscono 23 Comunità montane, illustrate nella Figura 1.
Fig. 1 – Mappa delle Comunità montane della Lombardia
Fonte: Regione Lombardia (2016a, 26)
Quella del territorio montano è, ovviamente, una caratteristica non esclusiva della Lombardia. La
Regione, comunque, nel suo apparato legislativo ed amministrativo vi ha sempre riservato
un’attenzione particolare. L’ultimo esempio riguarda proprio la riforma degli enti territoriali
seguita alla l. 56/2014, che ha visto attribuire alla Provincia di Sondrio, a territorio interamente
montano, uno speciale riconoscimento di funzioni e ruoli nella governance regionale, come si
illustrerà nel paragrafo 3.
Passando ad una dimensione più ampia, si ricorda che gli enti provinciali lombardi sono oggi 11.
Accanto alle ‘storiche’ Province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova, Pavia, Sondrio e
Varese, nel 1992 sono state istituite le Province di Lecco e Lodi e la l. 146/2004 ha istituito quella
di Monza e Brianza. Tutte le amministrazioni provinciali sono state interessate dall’elezione di
secondo grado prevista dalla l. 56/2014, ad eccezione di quelle di Mantova e Pavia, rinnovate poco
prima dell’approvazione della legge. Come noto, infine, la l.56/2014 ha definitivamente istituito la
Città Metropolitana di Milano in luogo della vecchia Provincia del capoluogo
5 Vi sono, pertanto, comuni in obbligo normativo di GAO e Unioni di Comuni che fanno parte di Comunità montane.
6
2.2 Gli ambiti territoriali ottimali
Per tracciare, ancorché sinteticamente, il quadro della governance territoriale lombarda, occorre
ricordare accanto agli enti locali come la normativa settoriale lombarda, nelle materie di
competenza legislativa regionale, individua una serie di ‘ambiti territoriali ottimali’ per la gestione
di funzioni pubbliche. Come per gli enti locali, il disegno che ne emerge è alquanto complesso e
frammentato. Quello che segue è un elenco dei principali ambiti introdotti negli ultimi anni, divisi
per settori di policy, dai quali si escludono solo per economia di spazio quelli consolidati, come i
distretti socio-sanitari, e quelli di dimensione prettamente locale come i Gruppi di Azione Locale
(GAL):
nell’ambito del servizio socio-sanitario, in sostituzione delle vecchie 15 Aziende Sanitarie
Locali (ASL) di dimensione provinciale6, la lr 23/2015 “Evoluzione del sistema sociosanitario
lombardo: modifiche al titolo I e II della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo
unico delle leggi regionali in materia di sanità)” ha istituito (peraltro, in via sperimentale) 8
Agenzie di Tutela della Salute (ATS) procedendo ad una serie di accorpamenti: Cremona è
stata unita a Mantova; Lodi a Milano; Lecco a Monza; Varese a Como ad eccezione della
zona dell’Alto Lario; questa è stata a sua volta aggregata con Sondrio e con la Valcamonica
(BS), mentre il resto della provincia bresciana ha una sua ATS, così come le province di
Bergamo e Pavia. L’erogazione delle prestazioni avviene attraverso 22 Aziende
sociosanitarie territoriali (ASST), a fronte delle precedenti 29 Aziende ospedaliere (AO).
Nel settore dell’edilizia residenziale pubblica, oggi esistono 5 Aziende Lombarde Edilizia
Residenziale (ALER), frutto degli accorpamenti tra le precedenti 12 ALER di dimensione
provinciale (più quella cittadina di Milano) dettati dalla lr 17/2013 “Modifiche alla lr
27/2009 - Testo unico delle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica”, sotto
la spinta del taglio ai costi della politica7. Oggi solo la Città metropolitana milanese ha una
sua ALER, mentre sul resto del territorio opera un’azienda per i territori delle Province di:
a) Varese, Como e Monza-Brianza; b) Bergamo, Lecco e Sondrio; c) Brescia, Cremona e
Mantova; d) Pavia e Lodi.
Nell’ambito del trasporto pubblico locale, la lr 6/2012 “Disciplina del settore dei trasporti”
(art. 7, modificato dalla lr 19/2015) ha istituito 6 bacini territoriali nei quali Province e
Comuni capoluogo, associati in apposite Agenzie di TPL, svolgono compiti di
programmazione e assegnazione del servizio di trasporto e relativi controlli. I bacini sono
6 ad eccezione della città di Milano, separata dalla sua provincia e divisa in due ASL, e dalla Valcamonica dotata di
propria azienda. 7 Le vecchie ALER erano rette da CdA con numerosi componenti, mentre le attuali ALER hanno solo un presidente
nominato dalla Giunta regionale, oltre ad un Consiglio territoriale con compiti consultivi composto da sindaci del territorio a titolo onorifico.
7
costituiti dai territori provinciali di: a) Varese, Como e Lecco; b) Sondrio; c) Bergamo; d)
Brescia; e) Cremona e Mantova; f) Milano, Monza-Brianza, Pavia e Lodi.
La figura 2 illustra il quadro ‘a geometria variabile’ degli ambiti territoriali appena illustrati. Il
disegno che ne traspare è quello di un intreccio di connessioni piuttosto complicato, con poche
regolarità (Cremona con Mantova, Varese con Como) che si innesta sulle circoscrizioni provinciali
che restano ambiti ottimali per altre funzioni.
Figura 2 – Ambiti territoriali di alcune politiche regionali in Lombardia
Legenda: linea rossa: aziende di edilizia residenziale pubblica (ALER); linea grigia: agenzie di TPL; linea
arancione: aziende sanitarie (ATS).
In altri ambiti, invece, si ricalca la storica ripartizione amministrativa del territorio regionale. Ad
esempio, nel settore dell’ambiente, la programmazione della gestione dei rifiuti è tuttora
organizzata per piani provinciali. Idem per il settore del turismo (lr 27/2015, art. 6) dove
permangono alcune funzioni amministrative provinciali.
A ciò si aggiunga l’esistenza di ambiti territoriali ottimali per la gestione di materie di competenza
statale o concorrente, ad esempio nel campo dei servizi di pubblica utilità. Solo per citarne due di
forte interesse per gli enti e le comunità locali, per il servizio idrico integrato gli ATO8 in Lombardia
sono stati mantenuti nel consolidato alveo dei confini provinciali, con l’eccezione di Milano città
8 ai sensi dell’art. 147 co. del d.lgs. n. 152 del 2006
8
che costituisce un ATO a sé9, mentre sono stati individuati ben 36 ambiti territoriali per la
distribuzione del gas naturale (ATEM)10.
2.3 Gli altri soggetti territoriali
Ricapitolando, il sistema di governance territoriale lombardo si caratterizza per una trama assai
intricata di enti locali, esperienze della cooperazione tra essi, e spazi di programmazione ed
attuazione delle politiche. In tale frammentazione e complessità i singoli enti, specialmente quelli
(i Comuni) di più piccole dimensioni e capacità, possono faticare a cogliere tutti i processi
decisionali per riuscire a governarli senza esserne, invece, governati. Specialmente considerando
che buona parte del territorio lombardo è altresì interessato dalla presenza di ulteriori soggetti
gestori di politiche e servizi pubblici: esistono infatti 24 Enti parco, 10 bacini imbriferi montani
(BIM) e 11 comprensori di bonifica ed irrigazione.
L’intreccio che abbiamo sinteticamente descritto, peraltro, è limitato ad attori e politiche
pubbliche. Il quadro si fa ancora più intricato se si considera che anche gli stakeholder e le
autonomie funzionali, partner della governance locale insieme a Comuni, Province e Regione, si
sono recentemente organizzati secondo una altrettanto complicata ‘geometria variabile’. Essa, più
che di scelte sistemiche e di una strategia univoca da parte di questi attori, pare il frutto di
esigenze di razionalizzazione che hanno portato i vari attori a scegliere opzioni di riorganizzazione
e accorpamenti caso per caso. Citiamo solo alcuni esempi, correndo il rischio di non essere
esaustivi. Il mondo delle associazioni di categoria industriale ha visto l’aggregazione di
Confindustria Lecco e Sondrio e la fusione di Confindustria Monza con Assolombarda (la
Confindustria milanese). In Api (Associazione Piccole Imprese), Mantova è unita a Brescia e
Sondrio a Lecco. Anche l’associazione dei costruttori ANCE di Sondrio si è unita a quella lecchese.
Quanto al mondo sindacale, mentre la UIL lecchese si è aggregata a quella comasca, la CISL di
Lecco si è fusa con quella di Monza, come hanno fatto quelle di Cremona, Lodi e Mantova tra loro;
esistono, infine, strutture territoriali della CGIL a Legnano (MI) e in Valcamonica (BS).
Menzioniamo infine, senza entrare nei dettagli giacché materia in divenire, già oggetto di
molteplici rinvii, la rivisitazione del sistema camerale in atto in seguito alla c.d. legge ‘Madia’ di
riforma della pubblica amministrazione, che pure comporterà tagli alle prefetture anche in
Lombardia, con accorpamenti tra le strutture esistenti.
3. ATTUARE LA RIFORMA DELRIO: UNA SOLUZIONE ATTENDISTA E CONSERVATRICE
9 fino al subentro alle Autorità d’Ambito da parte delle amministrazioni provinciali e comunale di Milano ai sensi del
D.L. n. 2 del 25/1/2010 convertito in L. 26/3/2010 n. 42. 10
Per i dettagli si veda: www.reti.regione.lombardia.it
9
Il percorso di attuazione della l. 56/2014 in Regione Lombardia si caratterizza decisamente per
l’inerzia. La Regione, come quasi tutte le altre, non rispetta la prima scadenza fissata dalla legge
(dicembre 2014) per la presentazione di un progetto legislativo a cura della Giunta. Giunta e
Consiglio riusciranno a portare a termine il processo con la lr 19/201511 dell’8/7/201512 seguita
dalla lr 3213 del 12/10/2015 per la Città metropolitana di Milano.
Le motivazioni sono innanzitutto politiche: fatta eccezione per NCD, la maggioranza che governa in
regione si compone di quelle forze politiche che si sono opposte in parlamento alla l. Delrio. La
Regione a giugno 2014 muove ricorso alla Corte Costituzionale, come Veneto, Campania e Puglia,
su svariati commi dell’unico articolo della legge 56/2014. La sentenza n. 50 si attende fino a marzo
2015. Riconosciuta dalla Corte la legittimità costituzionale delle norme, il processo di attuazione
della Delrio quindi prosegue anche in Lombardia.
L’esito di tale inerzia è una legge, la 19/2015, votata il 30 giugno 2015, intesa da tutti gli attori
regionali come ‘legge ponte’ verso un futuro assetto da meglio definire attraverso un ulteriore
processo politico-istituzionale, sul quale ci si concentra nel paragrafo successivo. La lr 19, infatti,
non definisce un nuovo assetto istituzionale, come invece cercano di fare altre leggi regionali, in
primis la lr 13/2015 dell’Emilia-Romagna. Essa è invece ispirata alla conservazione dell’assetto
provinciale (numero e funzioni di enti) esistente, cui vengono apportate modifiche marginali. La
legge consta di 11 articoli dei quali, oltre a quello introduttivo e a quelli di natura tecnica, solo due
(art. 2 e l’art. 5) concernono la vera e propria attuazione della l. 56/2014, mentre lo scarno art. 3
conferma in capo alla Città metropolitana milanese tutte le funzioni precedentemente attribuite
alla Provincia di Milano. L’art. 214, in particolare, rialloca alla Regione una serie di funzioni
provinciali in materia di caccia e pesca, agricoltura e foreste e alcune attività relative ad ambiente
ed energia (concessioni idriche, le dighe, la destinazione transfrontaliera di rifiuti e le risorse
geotermiche), con allegata una serie analitica delle funzioni. Per le restanti funzioni non
fondamentali delle Province, essa si limita a riconfermare, senza citarle in modo esplicito, le
funzioni già delegate dalle leggi regionali. Resta quindi vigente una pletora di norme che nel tempo
hanno delegato o trasferito alle Province una serie di funzioni e attività in numerose materie15. Per
11 Legge Regionale 8 luglio 2015, n. 19 “Riforma del sistema delle autonomie della Regione e disposizioni per il
riconoscimento della specificità dei territori montani in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)” pubblicata sul BURL n. 28, suppl. del 10 Luglio 2015. 12
la Lombardia sarà preceduta solo da Toscana, Umbria, Marche, Liguria e Calabria, comunque oltre l’iniziale scadenza del 30 aprile 2015 13
Legge Regionale 12 ottobre 2015, n. 32 “Disposizioni per la valorizzazione del ruolo istituzionale della Città metropolitana di Milano e modifiche alla legge regionale 8 luglio 2015, n. 19 (Riforma del sistema delle autonomie della Regione e disposizioni per il riconoscimento della specificità dei Territori montani in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 'Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di comuni'”, pubblicata sul BURL n. 42, suppl. del 16 Ottobre 2015. 14
“Funzioni confermate in capo alle province e funzioni trasferite alla Regione” 15
istruzione scolastica superiore, formazione professionale, biblioteche, cultura, turismo, sport e tempo libero, trasporti pubblici e privati, viabilità (trasporti e concessioni, competizioni sportive, assetto del territorio), polizia
10
garantire l'attuazione della riforma, la legge (art. 10) prevede lo stanziamento di risorse pari a 195
milioni all'anno da mettere a disposizione delle Province lombarde e della città metropolitana di
Milano. A queste risorse si aggiunge, per il solo 2015, un ulteriore stanziamento di 10 milioni di
euro per il servizio di trasporto dei disabili.
Forse la maggiore innovazione introdotta riguarda i profili di autonomia e differenziazione
concessi alla Provincia di Sondrio. Cogliendo l’opportunità per le Province interamente montane,
del resto inserita nel testo di legge grazie ad un efficace lobbying dei soggetti interessati, prevista
dal comma 86 dell’unico articolo della l. Delrio, la lr 19/2015 (art. 516) ha previsto un ruolo
‘rafforzato’ per la Provincia di Sondrio, riconoscendola, ai sensi dell'art. 1 co. 3 della legge
56/2014, quale Provincia con territorio interamente montano. In particolare, oltre alle funzioni già
attribuite in passato, a Sondrio ne vengono assegnate ulteriori17 e, insieme, si prevede che le
future leggi regionale di settore contengano disposizioni particolari per quel territorio che, quindi,
assurge ad un rango di autonomia particolare nella governance regionale18.
provinciale, pianificazione territoriale e urbanistica, valutazione di impatto ambientale, edilizia Zona sismica, difesa del suolo (risorse minerali e termali, risorse geotermiche, tutela e valorizzazione ambientale (iniziative ambientali, industrie a rischio, complessi ippc, verifica assoggettabilità alla via), rifiuti, inquinamento acque, inquinamento aria, inquinamento acustico, caccia e pesca, parchi (parchi sovracomunali, polizia amministrativa riserva naturali), valorizzazione risorse idriche ed energetiche, protezione civile, servizi alla persone e alla Comunità, sistema integrato dei servizi sociali, autorizzazione all’esercizio di strutture sociali, registro del volontariato e dell’associazionismo, beneficenza pubblica, politiche per i minori, industria. 16
“Riconoscimento, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 56/2014, della specificità della Provincia di Sondrio quale provincia con territorio interamente montano” 17
a) di approvazione del piano provinciale delle cave di cui agli articoli 7 e 8 della legge regionale 8 agosto 1998, n. 14 (Nuove norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava); b) di concessione o di autorizzazione riferite alle grandi derivazioni d'acqua pubblica ai sensi del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), compresa l'applicazione delle procedure previste dall'articolo 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica), per le grandi derivazioni ad uso idroelettrico di cui all'articolo 53 bis della legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche); l'esercizio delle funzioni amministrative di cui alla presente lettera è effettuato d'intesa con la Regione; c) di partecipazione nella definizione e programmazione dei servizi educativi di istruzione e formazione, di cui alla legge regionale 6 agosto 2007, n. 19 (Norme sul sistema educativo di istruzione e formazione della Regione Lombardia). In base al comma 6 del medesimo articolo, ulteriori funzioni potranno essere trasferite, previa intesa, dalle Comunità montane alla Provincia. 18
Si pensi che l’art. 5 della lr 19/2015 istituisce anche (comma 10) un “comitato paritetico per la specificità della Provincia di Sondrio, composto da tre rappresentanti della Regione e da tre rappresentanti della provincia stessa. Il comitato svolge funzioni consultive, di raccordo e di concertazione ai fini del conseguimento delle forme particolari di autonomia di cui al comma 3. Inoltre, il comma 12 prevede che “Il Presidente della Provincia di Sondrio partecipa, su invito del Presidente della Regione e senza oneri a carico del bilancio regionale, alle sedute della Giunta regionale in cui si trattano atti di interesse della stessa provincia. Le modalità di tale partecipazione sono definite dal regolamento di funzionamento delle sedute della Giunta regionale.
11
Ricapitolando, la legge lombarda di attuazione (parziale, poiché ne seguirà una apposita per la
Città metropolitana) della l.Delrio offre un’immagine di sostanziale conservazione, con alcuni
aggiustamenti nell’ottica di una centralizzazione di alcune funzioni, fatta eccezione per Sondrio19.
La lr 19 viene votata dalla sola maggioranza di centro-destra, che non manca l’occasione dei
dibattiti di Consiglio per scagliarsi contro la legge Delrio, accusata di essere una riforma di facciata
mentre i tagli dello Stato a Regioni ed enti locali si accentuano. Contrario il Movimento 5 Stelle,
paladino dell’abolizione delle Province, che vede nella legge una riconferma delle stesse e, anzi, un
ruolo accresciuto per la Provincia di Sondrio. Il PD e gli alleati della lista civica di centrosinistra non
partecipano al voto, lamentando la riconferma di oltre 200 attività alle Province senza adeguate
coperture economiche.
Contemporaneamente (il 29 giugno 2015) la Giunta delibera un progetto di legge sulle funzioni
della Città metropolitana, che con qualche modifica il 29 settembre viene approvato come lr
32/2015. Anche in questo caso, la legge arriva con qualche ritardo anche per l’assenza di
protagonismo della Giunta così come il relativo disinteresse del Sindaco metropolitano. La lr 32
prende atto del ruolo unico della Città metropolitana rispetto al resto del territorio, definendone
nel dettaglio funzioni e rapporto con Regione e Comuni. Viene quindi istituita (art. 1) la Conferenza
permanente Regione - Città metropolitana, “quale sede istituzionale paritetica di concertazione
degli obiettivi di comune interesse”, in particolare per raccordare il Programma Regione di
Sviluppo (documento di programmazione strategica pluriennale) con il Piano strategico della Città
e si dà attuazione alla previsione della l. Delrio sulla costituzione di zone omogenee (art. 4).
Inoltre, si istituisce il Piano territoriale metropolitano (in sostituzione del PTCP provinciale) per la
pianificazione territoriale dell’area, che viene quindi rafforzata e, per alcuni aspetti, diventa
sovraordinata agli strumenti urbanistici comunali. La legge, inoltre, ridefinisce alla Città funzioni
già della Provincia per la programmazione del TPL nel bacino già esistente (art. 7) e di sviluppo
economico (art. 8)20. Ciononostante, la legge rialloca alla Regione quelle attività in materia di
caccia e pesca, agricoltura e ambiente che già la lr 19/2015 aveva trasferito dalle Province alla
Regione stessa.
Come in altre regioni, frattanto, si apre la partita del finanziamento delle funzioni rimaste in capo
alle amministrazioni provinciali, a fronte delle ulteriori difficoltà finanziarie delle Province, e del
relativo personale. Dopo intense negoziazioni, si giunge solo il 15 dicembre 2015 ad un’intesa “per
19 Dissentiamo in parte, quindi, dalla lettura di Bolgherini et al. (2015, 39) che interpretano come “settoriale” sotto il
profilo della portata e “neo-centralista” sotto il profilo della strategia di riallocazione delle funzioni provinciali la lr 19/2015 che, a nostro parere, si qualifica più come un provvedimento di portata “adempimentale/attendista” varato in una strategia “conservativa” da una maggioranza di governo ostile alla riforma Delrio e quindi non desiderosa di sconvolgere il quadro di funzioni e ruoli delle autonomie lombarde, anzi approfittando per assegnare un nuovo ruolo alla provincia sondriese. 20
In aggiunta, in tema di servizio idrico integrato, l’art. 6 apporta una serie di modifiche alla lr 26/2003, procedendo da una parte alla ridefinizione di un unico ambito territoriale per tutto il territorio corrispondente ai confini amministrativi della nuova Città metropolitana, dall’altra all’individuazione, da qui a otto mesi, di un corrispondente unico ente di governo per tutto l’ambito.
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la funzione delle funzioni regionali delegate e del personale soprannumerario in attuazione della
legge 56/2014 e della l.r. 19/2015 e l.r. 32/2015”, firmata tra Regione Lombardia, UPL (Unione
delle Province Lombarde), i Presidenti delle Province, Città Metropolitana e ANCI (Associazione
Nazionale dei Comuni Italiani) Lombardia, che alloca ulteriori risorse regionali alle Province e Città
metropolitana per svolgere le funzioni delegate e per il personale ad esse collegate.
4. IL PROCESSO DI REVISIONE IN CORSO
Archiviata l’ottemperanza all’obbligo di attuazione della l.56/2014, Regione Lombardia si attiva
sollecitamente per superare la condizione di stallo ed incertezza normativi (non ci occupiamo in
questa sede delle problematiche di ordine finanziario) nella quale gli enti locali si trovano ad
operare. L’idea-chiave è quella di ridisegnare il sistema delle relazioni tra gli enti locali lombardi
nel tentativo di anticipare le novità che entreranno a regime una volta approvata la riforma
costituzionale in itinere, anche “anche al fine di non cadere nelle incertezze subite negli ultimi due
anni a seguito dell’attuazione della riforma Delrio” (ANCI Lombardia-UPL 2016, 5). Obiettivo della
Presidenza regionale è, quindi, quello di costruire il progetto di un nuovo assetto istituzionale, con
una rivisitazione delle attribuzioni di funzioni e delle relazioni istituzionali tra gli enti, in grado di
trovare il consenso tra tutti i partner, con la finalità di proporre al Governo un modello da seguire
una volta approvata la riforma costituzionale. In concreto, il progetto da configurare, a valle di un
ampio percorso di confronto con gli stakeholder, si declinerebbe in una “proposta di legge
regionale di riordino degli Enti di Area vasta e delle Autonomie locali in Lombardia” oppure “come
Documento con proposte ed orientamenti da sottoporre al Governo e quindi al Parlamento,
all’esito della eventuale approvazione e conferma referendaria del d.d.l. di riforma costituzionale,
per legiferare sui profili ordinamentali generali degli Enti di area vasta in termini rispettosi degli
spazi di intervento delle Regioni.” (Regione Lombardia 2016a, 16).
Nel gennaio 2016 Roberto Maroni fornisce l’input al processo, lanciando pubblicamente l’idea di
razionalizzare gli enti territoriali lombardi in otto Cantoni, in sostituzione delle Province esistenti,
con una ‘sforbiciata’ anche a tutti i vari enti intermedi21. Maroni avvia quindi formalmente il
processo di consultazione e dibattito, che interesserà gli attori territoriali e una parte della
stampa, sulla parola d’ordine della semplificazione e con l’obiettivo di “essere pronto, tra fine
2016 e inizio 2017, con un Sistema delle autonomie, che, attuando la riforma costituzionale, innovi
il nostro sistema”22. Il primo momento è la costituzione e insediamento, il 19 gennaio, di un
Comitato riforme che funge da cabina di regia del processo, composto, oltre che da Maroni, dal
21 Il Cittadino MB, Riforma delle province in Lombardia, il piano Maroni: ecco gli otto Cantoni, 15/1/2016.
22 Lombardia Notizie, 19/1/2016
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sottosegretario regionale alle Riforme istituzionali Daniele Nava, dai presidenti delle Commissioni
del Consiglio regionale interessate e dai presidenti di ANCI, UPL e Unioncamere23.
Il processo è articolato su più livelli e in più tappe. La roadmap della Giunta prevede l’elaborazione
di un documento di lavoro sulla base del quale sviluppare la riflessione in appositi tavoli territoriali
da convocare con la partecipazione, oltre che degli attori istituzionali locali, degli stakehloder
socio-economici. I tavoli, dopo due sedute, dovrebbero fornire entro fine maggio 2016 le proprie
proposte di riassetto istituzionale, in base alle quali la presidenza della Giunta entro fine giugno
formulerebbe una proposta di riordino, coinvolgendo pure il Consiglio regionale.
La Giunta, quindi, con delibera n. 4879 del 7 marzo apre un processo partecipato costituendo,
sulla base dell’art. 7 co. 1 della lr 19/201524, tavoli istituzionali di confronto in ognuna delle
Province e, ai sensi dell’art. 1 co. 2 della lr 32/2015, il Tavolo per la Città metropolitana nell’ambito
della Conferenza permanente Regione-Città metropolitana25. Partecipano ai tavoli, in ogni
Provincia, i seguenti attori istituzionali:
a) il sottosegretario alla Presidenza con delega alle riforme istituzionali, Daniele Nava
b) eventuali assessori e sottosegretari
c) i consiglieri regionali eletti nel territorio
d) il Sindaco del capoluogo
23 In coerenza, la maggioranza del Consiglio regionale promuove ed approva lo stesso giorno un apposito ordine del
giorno (deliberazione n.X/989) che impegna il Presidente e la Giunta regionale “ad avviare un percorso di interlocuzione con gli enti locali e le loro rappresentanze, ivi incluso il Consiglio delle autonomie locali, che coinvolga le autonomie funzionali e sociali e le rappresentanze del mondo del lavoro e dell’impresa, con lo scopo di dare corpo ad una proposta condivisa di definizione in Lombardia degli assetti istituzionali capace di rispondere in modo efficace ed efficiente ai bisogni dei cittadini lombardi”. L’odg impegna altresì la Giunta a “favorire momenti di discussione e dibattito nelle diverse realtà territoriali e provinciali che consentano di far emergere peculiarità, valori, sensibilità ed esperienze espressione più autentica delle aspettative e volontà delle singole comunità locali” e “a individuare e proporre al Consiglio regionale, al termine di questo percorso che confermi in capo alla Lombardia il ruolo di protagonista attivo del riordino istituzionale, un modello originale di rivisitazione del sistema delle autonomie adeguato alla realtà lombarda che sappia far sintesi delle proposte e delle esigenze del territorio e definire, altresì, i contorni di un ente di livello intermedio adeguato alla richiesta di governance efficiente ed efficace della realtà territoriale, produttiva e sociale lombarda”. 24
Art. 7 – Tavoli istituzionali di confronto sugli ambiti territoriali ottimali e omogenei e per la promozione della specificità dei territori montani 1. È istituito, per ogni provincia, un tavolo istituzionale di confronto, al fine di indicare, in via sperimentale e in accordo con la Regione, le zone omogenee eventualmente individuate dagli statuti provinciali quali ambiti territoriali ottimali per lo svolgimento in forma associata, da parte dei comuni ricompresi negli stessi ambiti, di specifiche funzioni e servizi comunali. Il tavolo può altresì considerare, in via sperimentale, le zone omogenee quali ambiti territoriali ottimali per l'esercizio di specifiche funzioni, conferite o confermate dalla Regione alle province, con il concorso di comuni, forme associative intercomunali o comunità montane. Con convenzione tra gli enti interessati e la Regione sono disciplinate le modalità di esercizio delle funzioni di cui al presente comma, nell'ambito delle zone omogenee, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica. 25
“sede istituzionale paritetica di concertazione degli obiettivi di comune interesse, la cui composizione e le cui modalità di funzionamento sono stabilite di concerto con la Città metropolitana, con deliberazione della Giunta regionale, previo protocollo d'intesa sottoscritto dal Presidente della Giunta regionale e dal Sindaco della Città metropolitana di Milano, prevedendo forme di consultazione con le autonomie funzionali e le associazioni di rappresentanza degli interessi socio-economici maggiormente rappresentative”, art. 1 co. 2 della lr 32/2015.
14
e) il Prefetto o un suo delegato
f) il Presidente della CCIAA
g) i rappresentanti delle Comunità montane
h) un rappresentante di ANCI ed altre associazioni di enti locali
i) il Presidente della Provincia.
Essi sono affiancati dai Parlamentari del territorio (invitati) e dagli stakeholder socio-economici
(associazioni di categoria e del Terzo settore). Analoga composizione ha il tavolo per la Città
metropolitana.
La Giunta (nello specifico, l’ufficio del Sottosegretario Nava) propone al confronto di tutti questi
attori un documento (Regione Lombardia 2016a) che, oltre ad offrire una diagnosi dettagliata
dello stato della governance multilivello lombarda e dei suoi attori, indica gli obiettivi che il
processo di “ripensamento complessivo” del sistema dovrebbe avere: “semplificazione della vita
dei cittadini; riordino dei livelli di governo (livello comunale, in forma singola o associata, livello
intermedio di area vasta e livello regionale); riduzione di tempi e costi della PA; sussidiarietà per
l’attuazione delle politiche”. Il tutto per “migliorare la qualità dei servizi resi a cittadini” e
“assicurare un contesto maggiormente competitivo per le imprese” (ibi, 9). Per declinare questi
obiettivi in scelte precise, il documento lancia una serie di questioni aperte all’attenzione degli
stakeholder inerenti numero, circoscrizioni e funzioni dei futuri enti di area vasta. Attenzione
particolare è riservata – oltre che alle Province – agli Enti parco, ai Bacini Imbriferi Montani, ai
Consorzi di bonifica e alle Comunità montane, sul cui futuro ci si interroga. Circa le Province,
l’elemento di principale novità è l’idea, già lanciata da Maroni, dei Cantoni, termine
evidentemente evocativo di autonomia territoriale per una regione confinante con la
Confederazione elvetica. I Cantoni ricalcherebbero sostanzialmente le aree vaste già previste nel
settore socio-sanitario in seguito alla definizione, da parte della lr 23/2015, di otto Aziende di
tutela della salute in sostituzione delle ASL. La Figura 3 illustra l’ipotesi.
Figura 3 – Ipotesi di Cantoni di Regione Lombardia (ATS esistenti)
Fonte: Regione Lombardia (2016a, 23)
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Subito si attivano i rappresentanti degli enti territoriali. L’ANCI regionale ha già formato un
apposito gruppo di lavoro e ipotizza una proposta con due punti-chiave. Da un lato, Enti di area
vasta ridotti al minimo (sia come numero che come funzioni), partendo dal presupposto di una
loro evidente delegittimazione politica, già sancita dalla l. Delrio e dalla scomparsa delle garanzie
costituzionali delle Province, ora “case dei Comuni”, contenuta nel ddl di revisione costituzionale:
“in questo quadro istituzionale, le Aree Vaste saranno orientate al coordinamento, alla
pianificazione, alla regolazione e alla programmazione di politiche specifiche oltre alle funzioni
definite nella normativa nazionale e avranno il compito di rappresentare le esigenze dei territori
nei confronti di Regione in tema di programmazione di reti e di destinazione di risorse.” (ANCI
Lombardia-UPL 2016, 4). Dall’altro, il rafforzamento della cooperazione intercomunale attraverso
Zone omogenee26 pensate non come nuovi livelli istituzionali o enti, bensì come “semplici forme di
aggregazione e condivisione delle modalità di erogazione dei servizi propri da parte dei Comuni,
che organizzano e governano direttamente le strutture erogative dei servizi, definite in base ai
principi di sussidiarietà, adeguatezza ed economicità” (ibi, 9). Tali zone potrebbero consentire di
superare limiti e fallimenti dell’esperienza della gestione associata obbligatoria (GAO) di funzioni
comunali, finalità che ANCI da tempo persegue. Il riproporsi di proroghe annuali per l’attuazione
della GAO, infatti, testimonia lo scollamento tra il dettato normativo e la realtà sul territorio dei
processi aggregativi, tanto da farla descrivere come una “politica simbolica” (Casula 2016)27.
L’UPL, tuttavia, con la quale ANCI condivide proposte e documenti già dall’avvio del processo di
attuazione della l. Delrio due anni or sono, si oppone a tale visione, cercando di mantenere un
ruolo per il livello intermedio degli Enti di area vasta non solo con proprie funzioni ma anche con il
compito di supportare le funzioni e le aggregazioni comunali, come peraltro previsto dalla l. Delrio
stessa. Alla fine ANCI e UPL redigono un documento comune, presentato il 26 aprile 2016, nel
quale l’idea di Zone omogenee come spazio aggregativo di funzioni comunali da istituire ‘dal
basso’, sulla spinta di processi di aggregazione tra enti locali in tutto il territorio regionale, convive
con la proposta di Enti di area vasta deputati a svolgere le attività di:
“1. pianificazione e gestione di infrastrutture e servizi nelle materie di competenza (es. viabilità,
edilizia scolastica, ambiente, servizi pubblici locali a rilevanza economica in coerenza con quanto
verrà previsto nell’attuazione della L. 125/2015);
26 benché le Zone omogenee introdotte dalla legge 56/2014 siano da questa concepiti come articolazioni “per
specifiche funzioni” delle sole Province montane (art. 1 co. 57) nonché delle Città metropolitane (art. 1, co. 11 lett. c). 27
Riprendendo le osservazioni di Éupolis Lombardia (2015, 32), i problemi emersi alla gestione associata di funzioni comunali, brevemente richiamati anche nel par. 2, “richiedono agli attori istituzionali (Governo, Regione, Comuni) di confrontarsi con storie associative e contesti differenti e di verificare gli obiettivi realmente raggiungibili” superando l’associazionismo forzoso (ibidem), come peraltro più volte richiesto da ANCI in sedi ufficiali. Il tema delle Zone omogenee, quindi, viene sollevato anche in funzione del superamento dei limiti di efficacia evidenziati dalla cosiddetta GAO.
16
2. coordinamento delle politiche di sviluppo degli enti locali per favorirne l’armonizzazione e la
coesione dei territori
3. servizi di back-office (stazioni appaltanti, avvocatura, gestione dei concorsi, sistemi informativi…)
in base alla scelta delle assemblee dei sindaci che possono essere gestiti unitariamente dall’ente di
area vasta in modo ottimale per tutti gli enti locali secondo un criterio di specializzazione;
4. programmazione delle strategie territoriali, nell’ambito della programmazione strategica e di
settore della Regione nonché della programmazione europea e sostegno dello sviluppo
dell’economia digitale per permettere lo sviluppo socio-economico anche nei territori lontani dalle
aree ad elevato livello di urbanizzazione (…).
5. regolazione degli standard dei livelli di servizio declinati a livello locale a favore dei Comuni
appartenenti ai confini definiti dall’Area Vasta con legge nazionale/regionale e secondo quanto
stabilito dal nuovo art. 40 della riforma costituzionale in atto e da quanto stabilito dalla normativa
nazionale di riferimento in vigore.” (ibi, 9).
Preoccupazione comune dei rappresentanti comunali e provinciali è che con lo sviluppo della Città
Metropolitana, che già costituisce polo di attrazione per alcuni territori (Vigevano e Lodi ma anche
Monza, dove le associazioni industriali premono per un accorpamento tra la CCIAA brianzola e
quella milanese), rischia di lasciare i Comuni del resto del territorio lombardo – fatta eccezione per
Sondrio – in una situazione di evidente debolezza, una volta che le Province dovessero scomparire
definitivamente, nei rapporti con la Regione e lo Stato.
Nel frattempo si apre la fase dei tavoli territoriali, che vengono effettivamente frequentati dagli
attori convocati ma dove, tuttavia, non emerge un quadro chiaro del futuro assetto istituzionale. Il
dibattito nei tavoli, e soprattutto sulla stampa, assume toni paradossali laddove quasi tutti gli
attori, istituzionali ed economici, esprimono proprie preferenze sulle aggregazioni provinciali, pur
affermando che la questione principale di cui dibattere dovrebbe essere quella di ruoli e funzioni
degli Enti di area vasta, sui quali tuttavia non offrono molte proposte concrete.
Gli attori economici paiono ben più preoccupati dell’assetto futuro del sistema delle Camere di
Commercio, oggetto di accorpamenti in attuazione della cosiddetta ‘legge Madia’; attori che,
quando si esprimono pubblicamente sulle aree vaste, lo fanno per sottolineare contiguità tra
territori su temi e profili di interesse economico, come il sistema della viabilità o la presenza di
distretti turistici comuni. Scarsa attenzione è dedicata al tema delle aggregazioni comunali.
Nel disegnare o, meglio, ipotizzare il nuovo assetto delle aree vaste, la vera partita la svolgono gli
attori leader nei territori, i Sindaci dei Comuni capoluogo e, in qualche caso, i Presidenti di
Provincia e la stampa locale (come il quotidiano comasco La Provincia). Non senza problemi e
polemiche. Pare consolidata la conferma del passaggio ‘naturale’ da province ad aree vaste a
Bergamo e Brescia, territori con dimensioni demografiche ed economiche adeguate, oltre che
connotati da forte identità locale. Ma nei territori piccoli (Lodi e Lecco in particolare) si discute sui
possibili accorpamenti in un déjà vu dei dibattiti seguiti alla proposta del Governo Monti di
eliminare le Province piccole. In Valcamonica si preferisce rimanere con Brescia (dove l’idea è
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condivisa) piuttosto che andare con Sondrio. Il territorio comasco sembra rifiutare nettamente lo
smembramento, ipotizzato dalla Regione in coerenza con i confini delle ATS, e chiede di aggregarsi
a Lecco, che invece guarda con preferenza a Monza, almeno così come si esprimono l’Assemblea
dei Sindaci e vari Consigli comunali. In primavera i Presidenti delle Province di Como, Lecco e
Monza siglano un protocollo d’intesa finalizzato alla condivisione di prassi ed esperienze tra le
rispettive amministrazioni, per promuovere il futuro esercizio delle funzioni di area vasta in forma
collaborativa.
Non mancano, inoltre, spinte centrifughe: nel Cremasco vi è chi non guarda di buon occhio la
fusione della Provincia cremonese con Mantova e si fanno strada idee di sinergia con Lodi28. Nei
Comuni della Valle San Martino (LC) prende piede una raccolta firme, molto partecipata, in favore
di un ‘ritorno’ alla Provincia bergamasca, dalla quale la valle fu staccata nel 199229. Infine, come
sopra accennato, la città di Vigevano, secondo centro urbano della Provincia pavese, ha avviato un
processo di adesione alla Città metropolitana di Milano30. Dove, naturalmente, le questioni
oggetto di dibattito sono altre e muovono, sostanzialmente, sul ridisegno istituzionale dell’ente
(elezione diretta del Sindaco metropolitano e degli amministratori metropolitani, conferimento
agli organi della città di un proprio status autonomo rispetto ai Comuni così da evitare duplicazioni
di arene deliberative e iter amministrativi farraginosi)31 e sulle risorse finanziarie da destinare ai
progetti di sviluppo, per i quali l’interlocutore primario è ovviamente lo Stato, oltre che sul
rapporto tra documenti di programmazione con le politiche regionali. Ma, naturalmente,
l’attenzione degli attori è sulla campagna elettorale nel capoluogo, che diviene il perno di tutte le
prese di posizioni pubbliche degli attori politici32.
Frattanto, il Parlamento ad aprile approva definitivamente la legge di revisione costituzionale in
cui si conferma la scelta del governo di eliminare ogni riferimento alla Province dalla Carta
fondamentale, mentre restano enti costituzionali le Città Metropolitane, e nell’art. 40 co. 4 della
legge si mantiene l’idea di Enti di area vasta, ancora da precisare33.
28 Il Cittadino, «Andare con Crema, l’idea ci piace», 22/7/2016.
29 Nel principale Comune, Calolziocorte (14mila abitanti) è in programma un referendum consultivo.
30 Nell’autunno 2015 il Consiglio comunale vigevanese si è espresso unanimemente sull’iniziativa, motivata con la
migliore connessione logistica e infrastrutturale con Milano, rispetto a Pavia, e con i possibili vantaggi finanziari derivanti dall’ingresso nell’ente metropolitano. In coerenza con quanto disposto dalla l. 56/2014, l’art. 9 (Richieste di adesione alla Città metropolitana di Milano da parte dei comuni appartenenti ad altre circoscrizioni provinciali) della lr 32/2015 prevede, previa richiesta correlata di apposita relazione d’impatto da parte degli enti interessati, la Regione si esprima iul procedimento per acquisire il parere della Città metropolitana. È atteso il pronunciamento del Consiglio regionale, e a seguire della Giunta, il prossimo ottobre. 31
Comincini (Vicesindaco Città metropolitana): no allo spezzatino di competenze, la legge Delrio va cambiata, www.ilsussidiario.net, 21/3/2016. 32
Ad es: Il Giorno, Città metropolitana, Pisapia: “Più autonomia, è necessaria allo sviluppo del Milanese”, 14/4/2016; Libero Quotidiano.it, Milano: Passera, città metropolitana scatola vuota, Pisapia fuori luogo, 10/5/2016. 33
L’art. 40 (Disposizioni finali), co. 4 della legge di revisione recita: «Per gli enti di area vasta, tenuto conto anche delle aree montane, fatti salvi i profili ordinamentali generali relativi agli enti di area vasta definiti con legge dello Stato, le ulteriori disposizioni in materia sono adottate con legge regionale».
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Avvicinandosi il traguardo del percorso istituzionale di confronto, disegnato da Maroni a gennaio, i
nodi vengono al pettine e, in definitiva, le posizioni più radicali si smussano.
ANCI Lombardia prende atto dell’inesistenza delle condizioni politiche per un’imposizione in tutto
il territorio di di Zone omogenee come ambiti di gestione associata di funzioni comunali.
A luglio, Maroni innesta la retromarcia circa i Cantoni. La Giunta fa sintesi del dibattito in un breve
documento (Regione Lombardia 2016b) che ancora una volta ha esplicitamente per obiettivo
quello di “semplificare ed eliminare i livelli di governo egli enti intermedi (tra Comuni e Regione)
per razionalizzare la spesa e limitare l’eccesso di burocrazia” e tuttavia ribadisce la necessità di una
governance di area vasta attraverso i Cantoni per creare “un equilibrio tra i diversi territori”. A
questi nuovi Enti di area vasta andrebbero attribuite, insieme a Regione e Comuni, le funzioni già
di livello intermedio ed attualmente esercitate da Comunità montane, enti parco, consorzi di
bonifica e BIM34. Inoltre, in questo disegno i Cantoni si vedrebbero attribuire funzioni di
pianificazione territoriale e tutela dell’ambiente; pianificazione dei servizi di trasporto; costruzione
e gestione delle strade provinciali; programmazione della rete scolastica e gestione dell’edilizia
scolastica; elaborazione di strategie di sviluppo economico e politiche attive per il lavoro;
formazione professionale. La delimitazione dei Cantoni conferma quella già proposta (Regione
Lombardia 2016a), con la conservazione delle circoscrizioni provinciali esistenti a Bergamo e Pavia
e con l’aggregazione di Lecco con Monza, di Como con Varese, di Mantova con Cremona, delle
zone settentrionali delle Province di Como e Brescia con Sondrio nel ‘Cantone Montagna’ e di Lodi
con la Città metropolitana milanese, come da orientamento emerso nel tavolo territoriale
lodigiano. In sintesi, il disegno emergente dalla proposta regionale è tutto sommato conservatore
per quanto attiene alle funzioni di area vasta, mentre comporta rilevanti novità circa la
delimitazione (con riduzione nel numero) degli enti.
Quanto alla dimensione comunale, il documento riprende la richiesta, da più parti sostenuta, per
una rivisitazione della disciplina sulla gestione associata obbligatoria, nella linea di ridurre le
funzioni oggetto di obbligo e innalzare a 15.000 abitanti la soglia demografica per i Comuni in
obbligo, opponendosi ad una eventuale futura legislazione statale di dettaglio (alla luce del nuovo
art. 117, co. 2, lettera p Cost.35) che non lasci spazio alle diversità regionali. Il documento riprende
inoltre la possibilità di costituzione di Zone omogenee da intendersi non come nuovi enti, bensì
come articolazioni organizzative dei Comuni per lo sviluppo di sinergie e l’eventuale “erogazione di
alcuni servizi sovracomunali” (p. 7). Infine, la Regione insiste sulla particolarità dell’area montana,
proponendo di salvaguardare l’esperienza positiva delle Comunità montane nel nuovo assetto,
magari come Zone omogenee, per la condivisione di funzioni comunali in aree caratterizzate da
34 Naturalmente, “ove l’ambito d’intervento su tali Enti sia riconducibile alla potestà legislativa esclusiva statale, la
Regione Lombardia si farà portatrice degli interessi del territorio e richiederà l’intervento dello stato per uniformare le scelte intraprese” (Regione Lombardia 2016b, 3). 35
che annovera tra le materie di esclusiva legislazione statale: “ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane; disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni”.
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forte frammentazione degli enti comunali stessi. Ma a fine luglio Maroni fa dietrofront. Di fronte a
un coro di critiche36, provenienti anche da esponenti del suo partito37, il Presidente rinvia la
discussione sul nuovo assetto territoriale prevista in Consiglio regionale ed invia una lettera ai
Sindaci dei Comuni capoluogo e ai Presidenti di Provincia, prefetti, consiglieri regionali e
parlamentari locali, nella quale dichiara che “la Regione non ha preso alcuna decisione sui nuovi
Cantoni” e che la fase di dialogo coi territori proseguirà, in attesa di conoscere l’esito del
referendum costituzionale38. Svolto il quale, Maroni si impegna a presentare al Consiglio regionale
un nuovo documento con nuove ipotesi.
5. CONCLUSIONI
5.1 Il sottosistema di policy: gli attori
Volendo individuare il ‘sottosistema di policy’ attivatosi in questa fase, cioè l’insieme degli attori e
delle istituzioni direttamente o indirettamente interessate (Howlett et al. 209, 81), rileviamo i
seguenti soggetti:
Attori istituzionali: Giunta regionale (Presidente, Sottosegretari alle riforme e alla città
metropolitana), Città metropolitana, UPL, ANCI, (alcuni) Presidenti di Provincia e di CCIAA.
Stakeholder: attori non istituzionali partecipanti ai tavoli territoriali (associazioni di
categoria economiche)
Stampa locale
Non si riscontrano contributi di rilievo pubblico del mondo accademico o degli esperti in generale,
sebbene l’oggetto della policy possa essere di forte interesse, ad esempio, per geografi, studiosi di
economia regionale, urbanisti.
Concentrandoci in dettaglio sugli attori istituzionali e i ruoli da essi esercitati39, il presidente
Maroni si propone come promotore di policy nel tentativo di riformare un sistema frammentato e
complesso. Egli ha un evidente obiettivo di contenuto, quello di portare a termine una riforma
36 Si veda, ad es.: Corriere di Como, Livio: “Così prende in giro il nostro territorio”, 22/7/2016; La Provincia ed. Varese,
"Varese con Como? No, grazie", 22/7/2016; La Prealpina, «Giù le mani dalle Comunità montane». I vertici di Verbano e Piambello respingono l’ipotesi di soppressione, 22/7/2016. 37
La Provincia di Lecco, Arrigoni: «colpa di Piazza, Nava e Pd: ignorati i cittadini», 22/7/2016. 38
Corriere di Como, Ora Maroni ci ripensa "non divido il lago", 22/7/2016; Il Giorno Lecco-Como, Cantone Lario dietrofront. Maroni: “nulla è deciso”, 22/7/2016. 39
per i quali ci si rifà allo schema proposto da Dente (2011, 86-91)
20
strutturale e funzionale del sistema delle autonomie, cioè inerenti la struttura (numero degli enti
di area vasta, ad esempio) e gli aspetti decisionali (funzioni ed attività) dei vari enti territoriali,
nonché organizzativa, cioè inerente l’organizzazione interna degli enti (Dente e Kjellberg 1988, 11).
La finalità esplicita e ripetutamente dichiarata è quella di semplificare e risparmiare. Il suo
obiettivo di processo è coinvolgere partner e stakeholder per creare consenso sull’obiettivo di
contenuto. Ma questi due obiettivi sembrano collidere, poiché non consentono di raggiungere il
risultato atteso e, in ultima analisi, non permettono a Maroni di giocare il ruolo del regista. Le
resistenze che Maroni si trova dinanzi, specialmente in quei territori la cui autonomia è stata
messa in discussione (ad esempio Varese e Como) sono state forti. È risultato quindi impossibile al
Presidente giocare fino in fondo il ruolo di regista o imprenditore di policy a causa dei veti
reciproci tra attori territoriali40, nonché della mancata coesione della sua Giunta. Aprendo infatti
una fase di formulazione delle ipotesi di riforma molto partecipata, egli si trova sostanzialmente
‘intrappolato’ nella parte dell’innovatore che, a livello nazionale, per anni hanno giocato altri
schieramenti politici al Governo e in Parlamento, trovando l’opposizione proprio di alcune regioni
e molti enti locali soprattutto a guida leghista (la Lombardia ha mosso ricorso alla Corte
costituzionale contro la l. 56/2014), nonché dei gruppi parlamentari leghisti e forzisti. Si pensi ala
battaglia della Lega Nord in difesa degli enti provinciali. Del resto, lo stesso Maroni ha più volte
dichiarato la propria contrarietà alla revisione costituzionale oggetto del prossimo referendum41,
anche se non soprattutto per le consistenti modifiche al Titolo V. Il Presidente resta pertanto
confinato in un ruolo, tutt’altro che marginale, di agenda-setter, mostrando comunque un
evidente cambiamento dallo stile inizialmente reattivo nei confronti della l. Delrio, con il ricorso
Corte cost. contro 56/2014 e leggi regionali di attuazione ‘adempimentali’, ad uno stile
decisamente anticipatorio e propositivo.
Il Consiglio regionali si rivela invece sostanzialmente inerte, in un sistema presidenziale dove è la
Giunta a fissare l’agenda di policy. Peraltro, con la convocazione dei tavoli territoriali, il Consiglio
diviene un attore ancora più marginale del confronto. La Commissione speciale per il riordino delle
Autonomie non fornisce alcun contributo di rilievo e l’odg votato dal Consiglio il 19 gennaio 2016 è
evidentemente strumentale all’avvio del processo guidato dalla Giunta, che parte appunto il
giorno stesso.
Sul fronte delle rappresentanze degli enti locali, l’UPL assume una posizione piuttosto
conservatrice, con un forte obiettivo di processo ad essere pienamente coinvolta nel ridisegno
istituzionale (pur essendosi ridimensionate la legittimazione politica e la rappresentatività
popolare da parte delle ‘nuove’ amministrazioni provinciali indirettamente elette) ed uno di
40 Emblematiche le dichiarazioni di Maroni alla stampa, citate nelle note precedenti, dove si ricostruisce la volontà
(non unanime) di Varese di unirsi a Como, di Como di aggregarsi a Lecco, di Lecco di rivolgersi a Monza (dopo aver dapprima guardato anche a Sondrio). Ma analoga situazione si ritrova nella Bassa. 41
Corriere di Como, Ora Maroni ci ripensa "non divido il lago", 22/7/2016; Il Giorno Lecco-Como, Cantone Lario dietrofront. Maroni: “nulla è deciso”, 22/7/2016.
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contenuto a mantenere il massimo di funzioni e risorse in capo al livello intermedio, giocando il
ruolo di oppositore ad alcune delle alternative proposte da altri attori42.
ANCI si propone invece come innovatore di policy43. Come del resto ANCI nazionale, l’associazione
è da tempo alla ricerca di una strada per individuare un mix di opportunità e obbligatorietà per la
gestione associata di funzioni comunali. Opportunità sui costi, dimostrando che ci possono essere
risparmi nell’aggregare l’esercizio di funzioni; e obbligatorietà affinché le convenzioni per gestioni
associate, ma anche le stesse Unioni di Comuni, non corrano il rischio di essere paralizzate dai veti
di anche solo un sindaco e di sciogliersi al cambiare delle maggioranze politiche nei Comuni44.
Perciò l’ANCI lombarda coglie la finestra di opportunità offerta dall’iniziativa del Presidente
Maroni del percorso indirizzato ad elaborare una proposta di riordino da offrire al Governo in
previsione della futura revisione della normativa sulle GAO e sugli Enti di area vasta dopo
l’eventuale approvazione per via referendaria della revisione costituzionale. Tuttavia, non solo
ANCI al proprio interno vede infine prevalere una tendenza più prudente, ma non trova nemmeno
alleati, poiché UPL boicotterà le principali innovazioni proposte dall’associazione dei Comuni. ANCI
e UPL vivono infatti un rapporto di alleanza quasi forzata, mossa dall’obiettivo di difendere gli enti
periferici da ogni tentativo di neocentralismo regionale – oltre a far fronte ai ripetuti tagli ai
trasferimenti in una fase di incertezza istituzionale come quella in corso – ma in preda ad una
dialettica sul ruolo da assegnare ai futuri Enti di area vasta45.
I singoli Comuni, con qualche eccezione, non utilizzano questi mesi per promuovere una maggiore
integrazione nella gestione di servizi in zone omogenee né paiono vivere con entusiasmo il tema
delle aree vaste, probabilmente in fatalistica attesa di una futura legislazione che obblighi a nuove
forme di aggregazione gli enti comunali, per i quali in molti casi l’attenzione prevalente è rivolta
alla sopravvivenza finanziaria, posta in gioco quasi quotidianamente.
Concludendo, per proporre una sintetica descrizione del sottosistema, pare che la rete degli attori
sia poco strutturata e sia possibile dunque rifarsi all’idea di issue network¸ notoriamente
introdotta da Heclo (1974) per cogliere sistemi non istituzionalizzati di rappresentanza degli
interessi. Gli attori emergenti sono, da un lato, quelli istituzionali. Tra costoro la rete è
42 A livello individuale, si segnala che il Presidente della Provincia di Bergamo si attiva per facilitare l’ingresso dei
Comuni della Valle San Martino (LC) nell’area vasta bergamasca e, seguito da altri, promuove l’individuazione di zone omogenee tra Comuni del territorio. 43
Come visto, ANCI promuove un’operazione di rescaling istituzionale a favore dell’aggregazione dell’esercizio di funzioni e servizi comunali in un quadro di aree vaste di dimensioni molto ampie. In esse i futuri Enti di area vasta, privati di garanzie costituzionali, non dovrebbero esercitare molte funzioni operative, mentre conserverebbero un ruolo di programmazione, coordinamento degli enti locali e sostegno strategico ai territori. 44
Intervista a funzionario ANCI Lombardia (13.7.2016) 45
Nulla di nuovo, se si considerano – ad esempio – le posizione differenziate che nel tempo (anni Novanta-Duemila) le due associazioni hanno avuto sulle Città metropolitane, l’ANCI favorevole alla istituzione e l’UPI favorevole ad un mantenimento del ruolo delle Amministrazioni provinciali e una riduzione del numero delle aree metropolitane. Per non citare il favore di ANCI a fare delle Province degli enti controllati dai, anziché sovraordinati ai Comuni, ciò che è stato uno dei motori della riforma Delrio (Pizzetti 2015).
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naturalmente integrata, poiché gli attori fanno parte di altri network consolidati in tutti gli ambiti
di policy. Per riprendere le dimensioni di una delle classiche descrizioni dei policy network (Wilks e
Wright 1987), i membri di questa rete sono quindi stabili, con relazioni consolidate, ed
interdipendenti a causa del l’intreccio multi-livello di competenze tra enti territoriali; tuttavia, la
rete su cui ci siamo concentrati in questo lavoro è tutt’altro che isolata dalle altre, poiché gli attori
del governo locale sono sempre gli stessi. Dall’altro lato, ed è questo che ci fa propendere per
l’ipotesi di issue network, vi partecipano degli stakeholder i cui principali interessi ed attività non
hanno a che vedere con la policy in discussione, cioè il ridisegno istituzionale, e che vengono
coinvolti nel processo (come partecipanti ai tavoli territoriali) o si affacciano allo stesso (la stampa)
per fornire il proprio contributo più di consenso che di informazione tecnica, con rare eccezioni46.
Concentrandoci sui contenuti delle proposte di policy degli attori, mancano, come visto, paradigmi
di fondo condivisi dagli attori. Vi sono infatti (poche) idee tra loro in competizione: una visione
riformatrice, portata avanti dal presidente regionale e da una parte dei rappresentanti comunali
sulla base di un discorso tendente alla razionalizzazione e al risparmio di risorse pubbliche, che
fronteggia una tendenza conservatrice di una parte dei partiti di maggioranza in regione e degli
enti locali, che difendono una narrativa in favore della sussidiarietà e del ‘piccolo è bello’. Una
contested discourse community, quindi, con poche idee in competizione in assenza di una opzione
in grado di affermarsi chiaramente sulle altre (Howlett et al. 2009, 84).
5.2 Il policy cycle: il processo
Il processo che abbiamo descritto pare corrispondere a quanto tipicamente si riscontra nelle
analisi di cicli di policy (Howlett et al. 2009, 13-14): un processo non univoco e lineare, bensì
circolare, nel quale tra le diverse fasi esistono molteplici feedback e, anzi, si possono individuare
molteplici ‘sotto-cicli’ che aggregano solo alcune fasi47. Nel caso in esame, se si prende in
considerazione l’intera revisione dell’assetto degli enti territoriali lombardi a partire
dall’approvazione della l. 56/2014, pare evidente come la maggioranza di governo in regione abbia
preferito dapprima una “non decisione” (Bachrach e Baratz 1962), limitandosi ad approvare due
leggi ‘attendiste’ e conservatrici in presenza di un obbligo normativo a legiferare, che quindi ha
dall’esterno fissato l’agenda di policy regionale. Le lr 19 e 32/2015 hanno prodotto un
cambiamento frutto non della ricerca di un esito ottimale, ma di un processo incrementale,
laddove la volontà politica di mantenere lo status quo senza stravolgere l’assetto territoriale ha
46 Per esempio, i Comuni dell’Area omogenea del Cremasco hanno commissionato ai consulenti Vitale Novello Zane &
Co. uno studio sulle prospettive dell’area nell’ipotizzata area vasta Cremona-Mantova. Confindustria Milano-Monza e Pavia hanno commissionato uno studio su Vigevano nella Città Metropolitana. 47
Per citare Lindblom (1959, 86), una policy non è “fatta una volta per tutte. È fatta e rifatta in continuazione. Il policymaking è un processo di approssimazioni successive a alcuni obiettivi desiderati nei quali anche ciò che è desiderato continua a essere riconsiderato e a cambiare”.
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prevalso sulla eventuale desiderabilità tecnica (Lindblom 1959) di possibili cambiamenti all’assetto
delle funzioni provinciali, che in realtà non è stata sondata a fondo. L’attuazione è stata poi
complicata dai noti problemi inerenti finanze e personale che hanno interessato le Province di
tutte le altre regioni. Essa non è stata oggetto di approfondita valutazione, né pare abbia dato vita
ad un vero e proprio apprendimento giacché non vi sono stati i tempi per valutare i prodotti delle
due leggi regionali citate. Si è comunque generato un feedback del quale tutti gli attori coinvolti
(Regione, Province e Comuni) hanno preso coscienza: comune è la volontà, espressa nei
documenti che abbiamo analizzato, di non ripercorrere l’incertezza e confusione sperimentate in
occasione dell’attuazione della l. Delrio nel corso del 2015.
Dopo l’implementazione, però il processo non si è concluso. In coerenza con la logica circolare del
policy cycle, come visto il presidente Maroni ha riproposto in agenda il tema ad inizio anno ed il
ciclo è pertanto ripartito. Concentrandoci sul processo tuttora in corso, è agevole distinguere
almeno tre fasi, riprendendo le canoniche configurazioni dei cicli di policy.
1) Per quanto riguarda l’agenda-setting, di indubbio protagonismo è il ruolo di Roberto
Maroni. Egli coglie l’opportunità di sfruttare la prevedibile finestra di opportunità per la revisione
del sistema delle autonomie in Lombardia, nel caso di una vittoria del ‘sì’ al rerefendum sulla
riforma costituzionale dell’autunno48. Il modello di creazione dell’agenda pare assolutamente top-
down, diretta dalla leadership politica, finalizzata a produrre un cambiamento di policy.
2) Il resto del processo che abbiamo illustrato consiste sostanzialmente nella fase di
formulazione, cioè il momento in cui “si generano opzioni su cosa fare in merito ad un problema
pubblico”, opzioni che vengono “identificate, raffinate e formalizzate” (Howlett et al. 2009, 110).
La formulazione vede indubbiamente come protagonisti la Presidenza regionale, supportata
dall’ufficio del sottosegretario competente, ed ANCI in sinergia con UPL. I primi, in realtà, non
formulano una proposta univoca e strutturata. La principale innovazione della proposta regionale
consiste nella riduzione degli enti intermedi e nell’ipotesi dei Cantoni; ma quanto alle funzioni
provinciali, così come successo per la lr 19/2015, la Regione si dimostra assai conservatrice. Dopo
la proposta, essa apre la fase dei tavoli territoriali più per cercare il consenso anziché proposte
alternative. E infatti il documento di luglio, a valle della fase di consultazione dei partner nei tavoli
territoriali, non cambia sostanzialmente nulla alla proposta originaria sulle aree vaste, mentre è
più ricettivo circa le proposte su aggregazioni e sinergie tra enti comunali. L’impressione è che la
‘vera’ partita sulle leadership territoriali e il ridisegno delle aree vaste, nonché sulla governance di
interi settori di policy si giochino su altri tavoli. Ad esempio, nel riassetto del sistema camerale, per
il quale la Regione (Regione Lombardia 2016b, 8) auspica una “coerenza” col nuovo disegno
territoriale regionale e sul quale gli attori economici si sono mobilitati da tempo. Oppure nel
ridisegno degli Enti parco, proposto dalla Giunta attraverso il pdl “Riorganizzazione del sistema
48 Si tratta di una evidente “routinized political window”, in cui degli eventi istituzionali previsti da specifiche
procedure producono delle prevedibili aperture di finestre di opportunità (Cobb e Primo 2003).
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lombardo di gestione e tutela delle aree regionali protette e delle altre forme di tutela presenti sul
territorio” il 9 giugno 2016, che prevede l’aggregazione dei diversi parchi esistenti in medesimi
ambiti territoriali; per non citare la già attuata riforma del sistema socio-sanitario lombardo
avviata nel 201549.
Ricapitolando, la formulazione ha visto la presenza di almeno due gruppi di attori che hanno
proposto idee (più complementari che alternative), cioè la Giunta e le rappresentanze degli enti
locali. Essa ha seguito un percorso di dialogo strutturato tra gli attori, nella fattispecie dei tavoli
territoriali sopra descritti. La fase della formulazione è stata dunque “aperta” (Howlett et al. 2009,
137), con nuove idee (come i Cantoni di Maroni o le zone omogenee di ANCI) e nuovi attori (gli
stakeholder convocati ai tavoli). Forse troppo aperta, tanto da non consentire la costruzione di un
sostegno politico sufficiente per una proposta in grado di soddisfare tutti i partecipanti, mentre
anche dal punto di vista tecnico non vi sono stati approfondimenti risolutivi per creare le premesse
di una decisione.
3) Infine, la fase decisionale è stata sospesa a causa dello scetticismo di vari attori (Lega Nord
e amministrazioni provinciali in primis) in attesa di conoscere l’esito del referendum
costituzionale. Il ciclo di policy si è perciò interrotto sulla formulazione degli obiettivi della policy di
revisione istituzionale, prima ancora che sui suoi strumenti. Non è quindi possibile analizzarne le
dinamiche e razionalità50, né è possibile definire quale tipo di cambiamento di policy si sia
effettuato.
Si rimandano quindi le conclusioni definitive a dopo il varo di una nuova legge lombarda sugli enti
territoriali che, a questo punto, si immagina avverrà dopo una nuova legge statale di revisione
della l. 56/2014, che inevitabilmente seguirà la linea tracciata dall’atteso esito referendario. Legge
che si troverà di fronte almeno due sfide rilevanti.
Da un lato, razionalizzare la ‘geometria variabile’ degli ambiti ottimali sopra descritti, sia
semplificando le diverse zonizzazioni che dando loro una coerenza col nuovo assetto del sistema
camerale e delle Prefetture, cosa che l’idea di Cantoni come aree vaste di ampie dimensioni
potrebbe facilitare. Una partita tutt’altro che semplice vista la complessità del sistema lombardo di
enti e di servizi pubblici. Ma il rischio che comporterebbe il permanere della frammentazione e
complessità che abbiamo descritto sarebbe quello di consegnare i sindaci, intrappolati in un
sistema di governance spezzettato a seconda delle attività degli enti e dei servizi pubblici coinvolti,
ad una perenne e strutturale debolezza nell’interlocuzione tanto con la Regione (in assenza di
Province in grado di fare sintesi tra i territori), che dello Stato (poiché i rappresentanti dei territori
49 Tutte partite tra loro non coordinate, tanto da far parlare di ‘improvvisazione’ un sindaco di capoluogo intervistato
(2.9.2016). 50
Anche se, vista l’estrema incertezza tanto sui problemi (come e perché definire nuove aree vaste e nuove modalità di collaborazione tra Comuni) che sulle soluzioni proposte, nonché la presenza di più partecipanti con diverso interesse, ci pare possibile ipotizzare che la decisione si stesse indirizzando verso il modello del “bidone della spazzatura” (Cohen et al. 1972).
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in Parlamento saranno designati da collegi elettorali diversi dai vari ambiti territoriali sopra
illustrati51). Nonché di continuare a patire le conseguenze in termini di accountability di farraginosi
processi decisionali multi-livello solo perché gli interlocutori più prossimi dei cittadini.
Dall’altro, razionalizzare anche i canali finanziari dedicati alle funzioni comunali, a quelle regionali
ereditate dalle Province e a quelle dei futuri Enti di area vasta (fondamentali e non), così da
assicurare una maggiore responsabilità e trasparenza dei processi decisionali.
Vista la complessità del policy process che abbiano illustrato, il superamento di tali sfide sembra
tutt’altro che scontato.
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51 I collegi elettorali dell’Italicum ricalcano gli attuali confini provinciali solamente a Como e Pavia. Lecco e Sondrio
sono accorpate. Bergamo e Brescia hanno due collegi ciascuna. In tutti gli altri territori i collegi coprono solo una parte di una provincia e/o sono ‘a scavalco’ tra più province.
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