RIFLESSIONI SULLA MOSTRA DELLA MINIATURA BIZANTINA A PARIGI - Bollettino d'Arte · 2016. 12....

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capo una fototeca accogliente già circa 1300 negative ; di un archivio dei disegni, nel quale si conservano quasi 3 00 rilievi di edifici monumentali della Sicilia sud- orientale. Rimangono purtroppo insoluti ancora vari problemi, e non solo per ragioni finanziarie: oltre ad una sala al pianter- reno, della quale si è fatto cenno, restano ancora da com- pletare i due saloni dell'ala settecentesca, in cui troveranno posto un' importante collezione di ceramiche, argenterie, prodotti di arte applicata e di artigianato. Ma più di questo preoccupa l'impossibilità di creare, per mancanza di lo- cali, depositi idonei che consentano l'adeguata conserva- zione e lo stud io del materiale non esposto, il quale giace tuttora ammassato e per di più frazionato tra un piccolo magazzino annesso al Museo e l'ex chiesa paleocristiana di S. Pietro, distante dall'Istitut o. È problema questo di particolare gravità, anche perchè non consente la reda- zione dei necessari cataloghi descrittivi delle opere d'arte. Il primo notevole passo è st ato comunque compiuto, ma non poco resta ancora da fare perchè l'ordina mento acquisti carattere di completezza e sia in tutto rispondente alle esigenze imposte dai moderni criteri museografici. È da augurarsi quindi che gli aiuti della Cassa per il Mez- zogiorno (cui devesi, in gran parte, la rinascita di palazzo Bellomo) siano integrati da nuove provvidenze che per- mettano di dare, ai non pochi problemi rimasti in sospeso, una definitiva soluzione. S. L. AGNELLO I) S. L. AGNELLO. Il restauro de l palazzo Bellomo a Sir acusa. in Palladio. 1955. pp. 167-7 5. 2) art . cit .• p. 175. nota 7. 3) P er maggiore pr ecauzione, i dipinti ad dossati all e pareti sono sostenuti da appositi supporti a staffa che ne impediscono il contatto diretto col muro. 4) Altre opere, di interesse minore, sono es poste nel cortile e nell e sale deWala trecentesca del palazzo, dove sono sistemati gli uffi ci. 5) Cfr. G. AGNELLO, L'architettura aragonese- catalana in Siracusa, Ti- voli. 1942. pp . 3- 6. 6) Anal oghe difficoltà ha pr ese nt ato la sistemazione dei dipinti nell e tr e sale successive, difficoltà all e quali si è ovviato con solu zioni similari ; ne ll a sala VI , per la I T rinit à' di Marco di Costanzo sono stati installati due riflettori che illuminano convenientemente l'importante tavola. 7) G . F IOCCO. Introduzione al .. Catalogo dell a M os tr a di Ant one ll o da Messina e della pittura del '400 in Sicilia " , 2 !l ed., Venezia, 1953, p. 13. RIFLESSIONI SULLA MOSTRA DELLA MINIATURA BIZANTINA A PARIGI L A MOSTRA del 1958-59 della Bibliothèque Na tionale di Parigi, dedicata ai manoscritti miniati bizantini, ha avuto il grande successo che meritava e chi ha potuto allungare il viaggio con una puntata fino a Londra , dove, al Victoria and Albert, era allestita la doviziosissima mo- stra dell'arte bizantina e la sala biblica del British Mu- seum esibiva una sceltissima raccolta di manoscritti bi- zantini, I) ha avuto la rarissima occasione di poter con- templare quasi nella sua interezza lo svolgimento di quella arte che, così legata ad una città ben precisa, nessuna città oggi più conserva se non in frammenti ed episodi. Ma di tanto le mostre britanniche erano caute e selettive - ci riferiamo soprattutto a quella ammirevole del British Museum, nella quale il libro bizantino era presentato sobriamente e acutamente in tutti i suoi aspetti, pur attra- verso un numero limitatissimo di esempi di eccezione - di quanto la mostra parigina era piena, spalancata su esplicite proposte, avvalorate da grosse e imponenti presenze : codici carolingi e romanici, avori di diversa origine, affreschi romani e, quando il trasporto sa rebbe stato eccessivo, fotografie di affreschi e di architetture e calchi di sculture. L'aver mantenuto la misura e, soprat- tutto, il senso non equivoco del discorso in una mostra di tali proporzioni e di tanta varietà, è un merito non piccolo del suo appassionato organizzatore, M. Jean Por- cher, il conservatore capo dei manoscritti della Biblio- thèque Nationale a cui dobbiamo le celebri mostre degli anni scorsi: Les manuscrits à peintures du VIlème au XIl ème siècle; Les manuscrits à peintures du XIll ème au XVl ème siècle. A questo punto, registrato il ricordo di un anno ecce- zionale per i bizantinologi e per chiunque abbia potuto percepire così qualcosa di un'arte che rimane insistente- mente misteriosa, nessuno ce ne vorrà se ci limiteremo a parlare solamente della mostra di Parigi, poichè va da sè che un più ampio resoconto finirebbe col coinci- dere con un disegno generale dell'arte bizantina, come sempre insoddisfacente e ambizioso. E poi perchè la mostra di Parigi presentava problemi più comprensibili a coloro, come chi scrive, che non si sentono tra gli specialisti. La mostra era articolata organicamente in più sezioni : la prima, dedicata all'arte della capitale, si apriva con un accenno a quelle che sono le fonti riconosciute dell'arte bizantina: l'Oriente mesopotamico e la tradizione classica. Naturalmente un' apertura puramente indicativa, poichè per l'Oriente l'esempio esposto, il frammento sinopense (" Syrie ou Mésopotamie, Vl ème siècle II)' è notoriamente imbevuto di spirito ellenistico ed è comunque di un'età in cui l'arte di Bisanzio era già definita. In quanto ai testi classici prescelti, è stata una gioia poter vedere alcuni dei codici più famosi: i due foglietti di " Teocrito " (Simmia di Rodi) i cui technopaignia sollevano tanti problemi sul- l'origine dell'illustrazione del codice (come immaginare questi eleganti calligrammi in un rotulo? Dobbiamo supporli in piccole tavolette separate, in dittici o in codi- cilli, oggetti di regalo raffinato e colto? E precedono i "capricci" di un Publilio Ottaziano Porfirio o sono addirittura invenzioni fiorite nell'ambiente sofisticato dei Paleologi ?), la Teriaca di Nicandro, le cui animate illu- strazioni mitologiche vengono però, come ha dimostrato bene il Weitzmann, almeno in parte da altrove, da ro- manzi come quello, perduto, di Conone (storia di Canopo a fol. 12) e infine una stupenda miniatura staccata pro- veniente dalla •• École des Beaux Arts ", il cui tocco leg- gero e rapido, evocativo di morbide lontananze, è giusta- mente dal Porcher ravvicinato alla lontana tradizione ellenistica, ma è soprattutto il segno individuale della sorprendente libertà degli inizi del periodo dei Paleologi. Altro "pezzo " eccezionale è il rotulo di papiro Suppl. gr. 1294, con le figurine - schizzate con una sicurezza che non può sottrarsi al confronto, del tutto esteriore, con l'arte cinese - intercalate entro la colonna dello scritto. Ci si chiede tuttavia se queste manifestazioni dell' im- pressionismo ellenistico siano mai giunte ai miniatori ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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capo una fototeca accogliente già circa 1300 negative ; di un archivio dei disegni, nel quale si conservano quasi 3 00 rilievi di edifici monumentali della Sicilia sud­orientale.

Rimangono purtroppo insoluti ancora vari problemi, e non solo per ragioni finanziarie : oltre ad una sala al pianter­reno, della quale si è fatto cenno, restano ancora da com­pletare i due saloni dell'ala settecentesca, in cui troveranno posto un' importante collezione di ceramiche, argenterie, prodotti di arte applicata e di artigianato. Ma più di questo preoccupa l' impossibilità di creare, per mancanza di lo­cali, depositi idonei che consentano l'adeguata conserva­zione e lo studio del materiale non esposto, il quale giace tuttora ammassato e per di più frazionato tra un piccolo magazzino annesso al Museo e l'ex chiesa paleocristiana di S. Pietro, distante dall'Istituto. È problema questo di particolare gravità, anche perchè non consente la reda­zione dei necessari cataloghi descrittivi delle opere d 'arte.

Il primo notevole passo è stato comunque compiuto, ma non poco resta ancora da fare perchè l'ordinamento acquisti carattere di completezza e sia in tutto rispondente alle esigenze imposte dai moderni criteri museografici. È da augurarsi quindi che gli aiuti della Cassa per il Mez­zogiorno (cui devesi, in gran parte, la rinascita di palazzo Bellomo) siano integrati da nuove provvidenze che per­mettano di dare, ai non pochi problemi rimasti in sospeso, una definitiva soluzione. S. L. AGNELLO

I) S . L. AG NELLO. Il restauro del palazzo Bellomo a Siracusa. in Palladio. 1955. pp. 167-75.

2) art . cit .• p . 175. nota 7. 3) Per maggiore precauzione, i dipinti addossati all e pareti sono sostenuti

da appositi supporti a staffa che ne impediscono il contatto diretto col muro. 4) Altre opere, di interesse minore, sono esposte nel cortile e nelle sale

deWala trecentesca del palazzo, dove sono s istemati gli uffici. 5) Cfr. G. AGNELLO, L'architettura aragonese- catalana in Siracusa, Ti­

voli. 1942. pp. 3- 6. 6) Analoghe d ifficoltà ha presentato la sistemazione dei dipinti nelle tre

sale successive, difficoltà alle quali si è ovviato con soluzioni similari ; nella sala VI, per la I T rinità' di Marco di Costanzo sono stati installati due riflettori che ill uminano convenientemente l'importante tavola.

7) G . F I OCCO. Introduzione al .. Catalogo della M ostra di Antonello da M essina e della pittura del ' 400 in Sici lia " , 2 !l ed., Venezia, 1953, p. 13.

RIFLESSIONI SULLA MOSTRA DELLA MINIATURA BIZANTINA A PARIGI

L A MOSTRA del 1958-59 della Bibliothèque Nationale di Parigi, dedicata ai manoscritti miniati bizantini,

ha avuto il grande successo che meritava e chi ha potuto allungare il viaggio con una puntata fino a Londra, dove, al Victoria and Albert, era allestita la doviziosissima mo­stra dell'arte bizantina e la sala biblica del British Mu­seum esibiva una sceltissima raccolta di manoscritti bi­zantini, I) ha avuto la rarissima occasione di poter con­templare quasi nella sua interezza lo svolgimento di quella arte che, così legata ad una città ben precisa, nessuna città oggi più conserva se non in frammenti ed episodi. Ma di tanto le mostre britanniche erano caute e selettive - ci riferiamo soprattutto a quella ammirevole del British Museum, nella quale il libro bizantino era presentato sobriamente e acutamente in tutti i suoi aspetti, pur attra-

verso un numero limitatissimo di esempi di eccezione -di quanto la mostra parigina era piena, spalancata su esplicite proposte, avvalorate da grosse e imponenti presenze : codici carolingi e romanici, avori di diversa origine, affreschi romani e, quando il trasporto sarebbe stato eccessivo, fotografie di affreschi e di architetture e calchi di sculture. L'aver mantenuto la misura e, soprat­tutto, il senso non equivoco del discorso in una mostra di tali proporzioni e di tanta varietà, è un merito non piccolo del suo appassionato organizzatore, M. Jean Por­cher, il conservatore capo dei manoscritti della Biblio­thèque Nationale a cui dobbiamo le celebri mostre degli anni scorsi: Les manuscrits à peintures du VIlème au XIlème siècle; Les manuscrits à peintures du XIllème au XVl ème siècle.

A questo punto, registrato il ricordo di un anno ecce­zionale per i bizantinologi e per chiunque abbia potuto percepire così qualcosa di un'arte che rimane insistente­mente misteriosa, nessuno ce ne vorrà se ci limiteremo a parlare solamente della mostra di Parigi, poichè va da sè che un più ampio resoconto finirebbe col coinci­dere con un disegno generale dell'arte bizantina, come sempre insoddisfacente e ambizioso. E poi perchè la mostra di Parigi presentava problemi più comprensibili a coloro, come chi scrive, che non si sentono tra gli specialisti.

La mostra era articolata organicamente in più sezioni : la prima, dedicata all'arte della capitale, si apriva con un accenno a quelle che sono le fonti riconosciute dell'arte bizantina: l'Oriente mesopotamico e la tradizione classica. Naturalmente un' apertura puramente indicativa, poichè per l'Oriente l'esempio esposto, il frammento sinopense (" Syrie ou Mésopotamie, Vlème siècle II)' è notoriamente imbevuto di spirito ellenistico ed è comunque di un'età in cui l'arte di Bisanzio era già definita. In quanto ai testi classici prescelti, è stata una gioia poter vedere alcuni dei codici più famosi: i due foglietti di " Teocrito " (Simmia di Rodi) i cui technopaignia sollevano tanti problemi sul­l'origine dell'illustrazione del codice (come immaginare questi eleganti calligrammi in un rotulo? Dobbiamo supporli in piccole tavolette separate, in dittici o in codi­cilli, oggetti di regalo raffinato e colto? E precedono i "capricci" di un Publilio Ottaziano Porfirio o sono addirittura invenzioni fiorite nell'ambiente sofisticato dei Paleologi ?), la Teriaca di Nicandro, le cui animate illu­strazioni mitologiche vengono però, come ha dimostrato bene il Weitzmann, almeno in parte da altrove, da ro­manzi come quello, perduto, di Conone (storia di Canopo a fol. 12) e infine una stupenda miniatura staccata pro­veniente dalla •• École des Beaux Arts ", il cui tocco leg­gero e rapido, evocativo di morbide lontananze, è giusta­mente dal Porcher ravvicinato alla lontana tradizione ellenistica, ma è soprattutto il segno individuale della sorprendente libertà degli inizi del periodo dei Paleologi. Altro "pezzo " eccezionale è il rotulo di papiro Suppl. gr. 1294, con le figurine - schizzate con una sicurezza che non può sottrarsi al confronto, del tutto esteriore, con l'arte cinese - intercalate entro la colonna dello scritto. Ci si chiede tuttavia se queste manifestazioni dell'im­pressionismo ellenistico siano mai giunte ai miniatori

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FIG. I - PARIGI, BIBLIOTHÈQUE NATIONALE, GR. 533, FOL. 34 V (MOSTRA, N. 22) •

bizantini in una redazione così antica; infatti in ognuno dei codici bizantini di soggetto profano l'intermediario di una recensione sotto forma di codice sembra debba essere quasi sempre sottinteso. In quanto poi alle edizioni dei testi scientifici o letterari (Nicandro o Teocrito, per insistere sugli esempi offerti dalla mostra), queste hanno avuto una storia tutt'affatto particolare nel contesto della miniatura bizantina, così scrupolosamente volta alla illustrazione di determinati libri soltanto, per CUi

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difficilmente poterono esercitare quella funzione di legame con la tradizione antica che fu loro nell'arte occidentale. A Bisanzio non occorrevano apporti straordinari per ri­prendere un contatto con la cultura antica che non era stato mai effettivamente del tutto perduto, e nei rari casi - la mostra, come vedremo, ha il merito di documentarne almeno uno, cod. gr. 533 - di passaggio dell'illustrazione antica di un testo scientifico-letterario in uno sacro, si tratterà di qualche citazione di più dall'antico, non di episodi determinanti. Alla fine, gli esempi di produzione libraria di argomento profano presentati dalla mostra finiscono con l'essere apprezzati ancor meglio se conside­rati accanto ai codici contemporanei, anzichè se posti come punto di partenza di uno svolgimento.

Venendo alla presentazione della miniatura bizantina nel suo svolgimento storico, la mostra ha inizio con l'E­vangelario Suppl. gr. g05 che contiene alcuni fogli che già il Weitzmann datava all'VIII-IX secolo, cioè in piena crisi iconoclastica. I ritratti di Evangelisti che vi appaiono (ecco subito uno schema illustrativo antico che ha una impressionante continuità in tutta la illustrazione sacra bizantina) sono tra le rarissime miniature che si pos­sano confrontare, con qualche approssimazione, ad alcune figure negli affreschi del presbiterio di Santa Maria Antiqua.

Il trionfo dell'ortodossia sull'iconoclasmo è ricordato dal Gregorio di Nazianze gr. 510, in cui l'addensarsi delle raffigurazioni, talora ricordo prezioso dei programmi della pittura monumentale contemporanea, e il desiderio di riempire il racconto di citazioni da cicli di illustrazione biblica di veneranda antichità, sono il sintomo di una vera sete di immagini, anche se queste sembrano in alcuni casi realizzate quasi con sforzo. È notevole che mentre i mi­niatori si trovano in imbarazzo nel trattare temi nuovi ela­borati dalla pittura monumentale (si ricordino le incertezze nella raffigurazione del Cristo morto messe in luce da J. R. Martin), 2) d'altro canto nella riesumazione di cicli narrativi essi siano assolutamente "all'avanguardia" in quella rinascita dell'ellenismo che è il grande fatto nuovo del periodo macedone, di cui questo codice, eseguito per Basilio I tra 1'880 e 1'886, è documento fondamentale. Il catalogo mantiene giustamente la datazione al secolo X del " Salterio di Parigi" , respingendo quella più alta propo­sta alcuni anni or sono, e che in verità sembra un circuito assai complicato tracciato per costringere alcuni binari a passare ugualmente per Castelseprio, scambiando le date. È stata rilevata in questo codice celebratissimo la confluenza di un ciclo di illustrazione simbolica e di un altro chiaramente narrativo; ora è da vedere quanto in questa compresenza influisse il fatto che almeno alcune delle illustrazioni "narrative" probabilmente erano già state dotate di significato rappresentativo in età pre-ico­no clastica, se, ad esempio, la miniatura di Giuditta nell'af­fine codice Vat. Reg. gr. I è così vicina alla raffigurazione della stessa storia in un affresco di Santa Maria Antiqua, in un ciclo che è quasi una riproduzione monumentale di un salterio.

Allo stesso tempo appartengono i Vangeli gr. II5, esem­pio famosissimo di illustrazione marginale - quasi postille figurate al testo -, tipica, per la sua sistematicità e il suo

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impegno dottrinale, comunque meglio avvertibili nella illustrazione dei Sal­teri che non qui, di questa età. Le cattive condizioni delle miniature del Salterio liturgico suppl. gr. 610, an­ch' esse dell' XI secolo (le loro pro­porzioni minuscole stupiscono chi era abituato, attraverso le riproduzioni, ad ammirarne l'impianto grandioso) suggeriscono al Porcher alcune con­siderazioni sulla technique détestable della miniatura bizantina rispetto alla occidentale, curiosamente in contrasto con quanto sembra avvenisse con la pittura da cavalletto, ed interessanti da un punto di vista generale, se si pensa, ad esempio, che alcuni degli argomenti per escludere l'esistenza di vere e proprie miniature nei rotuli di papiro antichi sono, appunto, di op­portunità tecnica.

Il secolo XI è rappresentato da splendidi manoscritti: il Gregorio di Nazianze gr. 533, le cui scene bucoli­che, sovrapposte in più registri, come nei mosaisci e nei rilievi (e in alcune miniature) della tarda antichità, sono una fresca testimonianza della rina­scita del mondo "classico" nel suo aspetto così peculiare del " racconto" (fig. I), quasi un ripercuotersi sul­l'illustrazione biblica della "scientia desultoria ", per usare il termine di Apuleio, cioè del gusto delle avventure e dei piccoli e grandi incidenti, presi per quello che sono, delle storie " mi­lesie". Che era stato l'atteggiamento dell'illustrazione della Bibbia alle ori- FIG. ~ - PARIGI, BIBLIOTHÈQUE NA.TIONALE, GR. 550, FOL. 4 (MOSTRA, N. 40) gini. Ma è ben avvertire che qui si tratta, come già si è notato sopra, di una antichità reinven­tata, e non di una ripresa di antichi cicli, tanto è vero che alcune scene sono tolte direttamente dalla Cinegetica di Oppiano. Ugualmente le spiritatissime storie evangeliche intercalate nel testo di gr. 74 (Vangeli) sono uno spon­taneo abbandono al gusto ellenistico del racconto e al virtuosismo calligrafo del pennello, talora con annota­zioni divertenti, come nelle figurine nere dei demoni cac­ciati nello stagno. Alcuni espedienti pittorici di queste miniature, ad esempio un certo modo di accartocciare le rocce e di infilarvi nelle fessure i cauli filiformi di ama­tissimi cespi d'acanto, ritornano con precisione esatta in almeno una delle figure di Evangelisti di gr. 64 (Van­geli), forse già degli inizi del secolo successivo, se con i suoi elaboratori manierismi - il tortuoso sviluppo delle lumeggiature, il paese ornato e sistemato - si allontana dalla nobile e spoglia naturalezza delle redazioni più an­tiche del tema e si avvicina piuttosto, come è stato rile­vato 3) all'Urb. gr. 2, che è datato II28, nonchè alle stesse Omelie di Giacomo Kokkinobaphos, una delle delizie della mostra e, tra l'altro, con il suo esatto parallelo della

Biblioteca Vaticana, uno dei più impressionanti esempi di perizia "editoriale" nella storia della miniatura (tra i due codici vi sono lievi differenze che indicano un tono più narrativo in quello di Parigi). Le Omelie di Gregorio di Nazianze gr. 550 sembrano quasi un'esemplificazione di ciò che debba intendersi per "libro bizantino" in generale. Un'impressionante progressione nella succes­sione delle figure che ricorda quasi il procedere all'interno di un tempio: la Crocefissione sul verso del foglio e, di fronte, sotto la grande porta che è insieme porta della chiesa e del Paradiso (si ricordi il precedente monumen­tale e più illustre delle porte di Santa Sofia), l'icona di San Basilio posta al centro della grande croce, con intorno altre due immagini clipeate ugualmente perentorie, ha un appello immediato sul riguardante (fig. 2). Il resto della decorazione, dopo la successiva figura dell'autore, indi­spensabile a un manoscritto, ha quasi una proporzione architettonica, nella distribuzione degli elementi orna­mentali (tappeti decorativi in cui gli animali di discen­denza orientale sono vivi e ciascuno individuato), le iscri­zioni, le iniziali e le vere e proprie scene storiche, sempre

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viste attraverso le cortine di questo sontuoso apparato. Sorprendente, in ogni momento, l'immediata trasporta­:z;ione di un'invenzione episodica in un ordito decorativo cui fa riscontro la freschezza e l'animazione degli ele­menti decorativi, esemplificazione, anche questa, dell'in­tima vitalità naturalistica dell'arte bizantina in ogni suo aspetto. Codici come questo, forse palestinese, 4) e il Gre­gorio di Nazianze gr. 543, che presenta alcuni dei più bei titoli di tutta la miniatura bizantina, sembrano contenere già tutti gli elementi dell'arte dei Paleologi. In quest'ul­timo codice la tensione interna delle raffigurazioni, che porta a far rivivere i singoli episodi come un trascorrere continuo dell'uno nell'altro, è tale che gruppi interi di figure, singoli episodi, sfuggono al di là della cornice per invadere il margine immacolato del foglio di pergamena. L'orientamento che allora e sino alla conquista del 1204 prevalse fu però diverso ed è documentato, tra l'altro, dal n. 41 della mostra (Suppl. gr. 27), le cui sintesi decise e le cui figure gravi saranno appunto uno degli aspetti del" bizantino" più immediatamente comprese dai Bolognesi e dai Veneti.

sembrano in alcuni casi del tutto convincenti, tuttavia si dirà sempre che era valso, e molto, tentare.

L'origine mediterranea di alcuni motivi della decora­zione dei libri merovingici è ormai quasi generalmente riconosciuta, e il catalogo conferma giustamente i risultati delle indagini a proposito del Sacramentario di Gellone e del Lezionario di Luxeuil (n. 99 della mostra). È vero che in questo secondo caso "origine mediterranea" non significa direttamente bizantina, poichè un intermediario in quel monastero di Vivarium in cui, si ricordi, lo stesso

La mostra è assai ben documentata per il periodo dei Paleologi: prima la miniatura della École des Beaux-Arts, che a noi sembra così vicina ai nu­meri 735 e 736 della mostra di Balti­mora; poi il Giovanni Cantacuzeno (1370-1375), che già più volte è stato paragonato alla più antica Kariye Camii; infine i patetici ritratti de­gli ultimi sovrani di Bisanzio (Ema­nuele II, Orazione funebre per il fra­

FIG. 3 - PARIGI, BIBLIOTHÈQUE NAZIONALE LAT. 4884, FOL. 1 (MOSTRA, N. 103)

Cassiodoro ci fa sapere che non tutti i monaci conoscevano bene il greco (De inst. divino Zitt. , 31), è stato segna­lato e altri punti di contatto sono stati cercati per la miniatura merovingica più a Oriente, specialmente nell'arte copta. Ma questo è un facile appunto a tutta la mostra che in genere, pun­tando su un incontro diretto tra la Francia e Bisanzio, ha lasciato in di­sparte tramiti fondamentali (più avanti la mancanza di codici ottoniani si fa sentire ed è, in un certo senso, av­vertita anche dal catalogo: V. n. IlO).

Tuttavia per i manoscritti merovingici un contatto non soltanto può essere supposto, ma ci aiuta forse anche a comprendere qualcosa della stessa miniatura bizantina, così scarsamente documentata per questa età. Più am­pio e profondo l'incontro con le forme bizantine degli artisti di Carlo Magno e dei suoi successori, ma non per que­sto più sicuramente definibile nei suoi termini precisi, se ogni anno da qual­che tempo vengono proposte tesi nuo­ve e contraddittorie per individuarne

tello Teodoro, despota della Morea, Suppl. gr. 309, dopo il 1407; e un'altro ritratto di Emanuele II con tutta la famiglia, in un codice di Dionigi l'Areopagita dal Louvre). Malgrado la solennità d'apparato e di costume, questi ritratti sono assai più toccanti e personali di quelli perfetti e impassibili di quasi quattro secoli prima, nelle miniature (Coislinianus 79, n. 29 della mostra), o negli stessi mosaici del matroneo di Santa Sofia (secoli XI e XII).

Terminata la rassegna di opere dovute prevalentemente alla capitale, si inizia la parte meno splendida ma di maggiore responsabilità critica della mostra. Prima le opere dell'Italia del Sud, poi quelle di diversa provenienza e infine i codici carolingi e romanici; poichè l'assunto della mostra, dichiarato sin dal titolo, Byzance et la France Médiévale, è di un confronto tra le due culture, oltrechè di stabilire un bilancio della parte che a Bisanzio spetta nell'arte carolingia e romanica in Francia. Il compito era arduo, e il Porcher lo ha affrontato con un impegno vera­mente ammirevole, quasi "decrittando" l'elemento bi­zantino anche laddove esso è per lo meno così "cifrato" da essere difficilmente riconoscibile. Donde l'originalità e l'interesse della mostra, e anche se i risultati non

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gli aspetti diversi. Sicchè si crea a questo punto una situazione curiosa, poichè quei manoscritti che dovreb­bero essere quasi un commento alla mostra, o un suo complemento, illuminando i riflessi della sua parte cen­trale - la miniatura bizantina - sull'arte dell'Occidente, risultano in realtà quelli più bisognosi di chiarimenti, di punti di appoggio e di dimostrazioni e, alla fine, gli stessi volumi tolti dagli scaffali della Bibliothèque Nationale non bastano e la mostra si carica per via di altri testimoni, talora inopportuni, come una serie di placche d'avorio del VI secolo di probabile origine gallica (copertura dei Vangeli di St-Lupicin, Bacco e le Muse del Cabinet des Médailles, Cristo tra gli Apostoli di Digione), oppure, se bizantini, carichi di allusioni troppo coperte, come ad esem­pio la riproduzione di un gruppo equestre nel Dittico Barberini, 5) che, anche se per avventura fosse stata nota a qualche artista bizantino, certamente non avrebbe po­tuto rivaleggiare con il prestigio delle statue equestri di Roma e di Ravenna; mentre d'altra parte si lamenta l'as­senza di alcune categorie di oggetti, ad esempio le stoffe, che molto avrebbero potuto aiutare. Complica ancora le cose la presenza di altri codici carolingi, come il celebre Salterio di Stoccarda (n. 104 della mostra), per il quale

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non ci sentiremmo di dire che Si

tratta di un miniatore "occidental qui s'inspire de mo( fs byzantins", dati i molti riferimenti stilisti ci e iconografici (" Maria Regina", e in un contesto che ha riscontro nei mo­saici di Santa Maria Maggiore!) a fonti occidentali, del V e del VI se­colo (il Nordenfalk suggeriva anche in questo caso un prototipo nel mo­nastero di Cassiodoro).

Il problema è, del resto, soprat­tutto qui: come distinguere un con­tributo direttamente bizantino da uno bizantineggiante - proveniente da Roma o comunque dall' Italia - o addirittura da uno antico, di quella antichità cristiana che era il grande esempio della "renovatio" carolin­gia ? La risposta può venire, eviden­temente, soltanto da una plU ap­profondita conoscenza della pittura " bizantina" anteriore alla crisi ico­noclastica e da un esame interno degli stessi codici carolingi. Purtroppo nella prima direzione la mostra non poteva materialmente darci altri lumi oltre a quelli indicati; rimaneva dunque la seconda, e in questa il Porcher ha compiuto un sondaggio veramente geniale (questa parte della mostra sembra preannunciare alcuni aspetti della ricerca sulla pittura carolingia che egli è in procinto di pubblicare). L'apporto più nuovo, limitatamente al materiale messo a disposizione dalla mostra, ci sembra l'accostamento al celebre Salterio di Corbie (Amiens, ms. 18), uno dei più antichi, dei più straordinari e dei più giustamente celebrati manoscritti carolingi, della traduzione della Cronaca Alessandrina

FIG. 4 - ROMA, BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, PAL. GR. 199, FOL. 191 v

(Lat. 4884) che una iscrizione di poco posteriore di­chiara "Cronica georgii ambianensis episcopi", cioè di quel Giorgio che fu vescovo di Amiens nel 798 e che il Porcher suppone, per la conoscenza del greco e per il nome insolito in Occidente, di origine greca. È vero che una seconda iscrizione corregge: "uel sicut alii dicunt uictoris turonensis episcopi,,; resta il fatto di una tra­duzione dal greco di cui questo è l'unico esemplare noto e della affinità di questo esemplare, nella sua unica ini­ziale istoriata (fig. 3), con il Salterio di Corbie. Il Porcher suppone addirittura che i due codici siano entrambi della stessa mano, una ipotesi ardita ma probabile, che spie­gherebbe davvero molto. Vorremmo ancora ricordare un codice di altra mano, il Salterio Gallicano Lat. 13159, eseguito alcuni anni prima in un'altra diocesi, che con la sua Venere Anadiomene, così vicina nella sua nitida e grave circoscrizione alle monumentali figure di Corbie, sembra dimostrare la circolazione nel Nord della Francia

di motivi di origine mediterranea già prima e pro­babilmente indipendentemente da una presenza fisica a noi nota. 6)

L'indagine ritorna quindi allo stesso Salterio di Corbie da cui era partita. E qui veramente è difficile individuare le fonti bizantine contemporanee nell'inesauribile intrec­cio di motivi orientali, insulari, paleocristiani che si rin­novano in una metamorfosi continua, potentemente im­maginosa. I molti punti di contatto cOn il Salterio di Utrecht e con quello di Stoccarda, messi in luce acutamente dal Porcher,7) farebbero pensare appunto a un'influenza pre­valente di fonti cristiane antiche in una rielaborazione, anzi in una creazione, originale. Ma è vero che si tratta di inten­dersi, poichè recentemente abbiamo letto che anche il Salterio di Utrecht e il Physiologus e infine lo stesso Filocalo 8) debbono essere riguardati come portatori di influssi" bizantini" . Tornando al Salterio di Corbie, nella stessa illustrazione del Cantico di Abacuc, la sola per

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Metz, la cour de Charles le Chauve, une bonne parti e de la Gaule du IXème sièc1e". Senonchè l'avvicina­mento di un affresco di Boscoreale all'Evangeliario di Ebbone ripropone il problema che si dava per chiarito, e così la proposta di risalire alle fonti bizantine attraverso opere come il Physiologus di Berna e il Salterio di Utrecht ci riporta su un cammino difficile e ipotetico. Sembra infatti che all'aspetto anticheggiante della miniatura carolingia con corrano, in­trecciandosi in vario modo, tre cor­renti fondamentali: il greco-latino dell'Italia, forse conosciuto attraverso Paolo Diacono e i pittori dell'Italia Settentrionale, oltrechè a Roma ; 12)

la stimolante, colta e umana pittura bizantina contemporanea (il miste­rioso Demetrio del Libro dell' Inco­ronazione) ; il ritorno, quasi certa­mente per suggestione della umani­stica pittura di Bisanzio, allo studio dei valori pittorici dell'arte cristiana più antica.

FIG. 5 - PARIGI, BIBLIOTHÈQUE NATIONALE, ' ~R. 2243, FOL. IO V (MOSTRA, N . 84)

Ma è ben improbabile poter rin­chiudere un' esperienza così nuova e sconvolgente in uno schema, sia pure larghissimo. La mostra sembra pro­prio darci a questo proposito un av­vertimento inatteso e interessante che potrebbe riguardare, forse, la stessa Roma. Mitigando l'attribuzione con un punto interrogativo, il catalogo ci propone di assegnare di nuovo al­l'Italia (forse all'Italia Meridionale) il celebre codice dei Sacra Parallela di Giovanni Damasceno, gr. 922. Ora la cosa straordinaria di questo co­dice, decorato da due miniatori di cultura del tutto diversa, forse di di­versa origine, quali potremmo aspet­tarci, appunto, in un monastero di lingua e di rito greci all'" estero" , è che uno dei suoi miniatori ci ricorda

la quale sembrava di poter identificare una fonte greca, 9)

è pur curioso trovare quell'associazione della croce I O)

al timone del carro o all'albero della nave (perchè vexil­lume d'un légionnaire romain?) che risale a Minucio Felice e a Tertulliano.

Il Boeckler, in un saggio ammirevole e cautissimo, se­gnalava la pittura bizantina contemporanea tra le fonti della scuola carolingia "di Ada" (di cui la mostra espone il testo più autorevole: l'Evangeliario di Gode­scalco); II) la mostra ripresenta il problema per la miniatura di Reims e di qui per tutto il seguito della pittura carolingia.

Per il Porcher l'apporto bizantino è straordinariamente fecondo: " par Reims, Byzance imprigne peu à peu Tours,

go

contemporaneamente sia alcuni affreschi copti, sia, più vagamente, celebri pitture monumentali di Roma, dagli affreschi di Leone in San Clemente, agli affreschi di Santa Maria de Gradellis (Egiziaca), ad alcune parti dei mosaici di Pasquale.

Se si riuscisse quindi a stabilire su basi più sicure l'ap­partenenza all'Italia di questo codice, la cui iconografia fa pensare a un'antica origine palestinese, 13) e di quelli correlati, si raccoglierebbero elementi assai significativi sul carattere e sul tono del "bizantinismo" italiano, e forse romano, del secolo IX. È un merito notevolissimo della mostra aver riproposto il problema con tanta decisione.

All'Italia Meridio:1ale il catalogo attribuisce, in linea generale, quasi tutte le opere di argomento medico, tra

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cui il celebre Dioscuride gr. 2179, di origine diversa dal Costantinopolitanus, che ora il Weitzmann ritiene piut­tosto egiziano e che ha affinità paleografiche con il gruppo dei Sacra Parallela. Soltanto la filigrana può far ritenere italiano il trattato sulle malattie dei cavalli di Ierode, in cui il Weitzmann e il Buchthal videro le tracce di una illustrazione che influenzò le edizioni scientifiche islami­che; nè tutte nuove invenzioni del periodo dei Paleologi sembrano le elaborate composizioni del trattato di Nicola Myrepsos (gr. 2243), per una delle quali, applicata a un testo diverso, esiste un precedente quasi perfetto nella Biblioteca Vatican a (pal. gr. 199) (figg. 4-5). Sono italiani, ma non necessariamente meridionali, gli Estratti bi­blici, gr. 36, dove l'unione di temi occidentali e di motivi tradizionali di Bisanzio e l'interesse per la raffigurazione astrologica sono documenti interessanti dell'incipiente umanesimo italiano e del rapporto con esso della cultura bizantina (si ricordi il brillante saggio del Kristeller, ma il problema dovrebbe essere approfondito anche dal punto di vista delle arti figurative). Allo stesso giro di problemi rimanda l' Ippocrate gr. 2144, che la mostra non include tra i manoscritti costantinopolitani, probabilmente per una certa gracilità di esecuzione, ma che tuttavia, con il suo impressionante trompe-l'adl della cornice con la ten­dina scostata nel ritratto di Alessio Apocaupo, cerche­rebbe forse invano un parallelo in Occidente a questa data (1341). Ma la cornice, a veder bene, è di un tipo ben noto nell'antichità, e così da un tipo antico, già noto, indipendentemente, anche in un manoscritto caro­lingio, deriva il ritratto di Ippocrate con il manto sul capo. 14) Le novità di Bisanzio, cioè, ~ono "antiche", appunto nella direzione in cui si muovevano già gli artisti italiani.

Torniamo alla Francia. La difficoltà di metodo nel definire i bilanci con Bisan­

zio dell'età romanica, l'età delle crociate e quindi del­l'incontro diretto, con il triste risultato che ne seguì, dell'Occidente latino e dell'Oriente bizantino, sono ben esemplificate dalla Bibbia di Souvigny (n. 130), il cui bi­zantinismo è così sfuggente che mentre qui alla mostra il libro è presentato come testo capitale del debito dell'arte francese con Bisanzio, recentemente il Buchthal 15) lo citava proprio come punto di riferimento "francese" rispetto a codici eseguiti nel regno latino di Gerusalemme. Mentre è ormai generalmente riconosciuto l'intermediario ottoniano nel bizantinismo della Francia romanica - gli stessi racemi entro le iniziali della Bibbia di Souvigny hanno in un'ultima istanza quell'origine, ed hanno ri­scontro nella miniatura italiana contemporanea -, an­cora pochi anni or sono si è discusso con veemenza del­l'apporto italiano. 16) La mostra, proponendo di avvici­nare alle figure dei Vangeli di Liessies (Avesnes, Société Archéologique) un avorio della collezione Cote di Lione con il profeta Gioele (Volbach n. 245) sembrerebbe quasi ripresenta re la questione, poichè quell'avorio è, con ogni probabilità, malgrado la iscrizione greca, italiano, affine ai cosiddetti pannelli della cattedra di Grado, sui quali esiste una discussIOne senza fine. 17)

Con questo esempio ci piace chiudere, perchè è indi­cativo di una mostra che, priva delle pretese e dei

mezzi delle grandi rassegne, spesso inutili anche se appariscenti, si rivela stimolante e intelligente in ogni oggetto presentato. C. BERTELLI

I) Catalogo della mostra del Victoria and Albert: D. TALBOT RICE, By­zantine Art, Edimburgo-Londra 1958. Manca un catalogo della piccola esposizione del British Museum. Catalogo della mostra di Parigi : Byzance et la France Médiévale, a cura di Jean Porcher, Parigi 1958. Le mostre del Vic­toria and Albert e della Bibliothèque Nationale sono state recensite da John Beckwith , in Burl. Mag. 1958, pp.

2) In Studies in Honor 0/ A . M . Friend lr., Princeton '955, p. 191. 3) Cfr. Early Christian and Byzantine Art, Baltimora '947, n. 718. 4) H. BUCHTHÀL. Miniature Painting in the Latin Kingdom 0/ lerusalom,

Oxford 1947, p. 29, n. 4. 5) Nessun dubbio, naturalmente, che il dittico riproduca un celebre mo­

numento equestre : la sua iconografia sembra accompagnare bene i versi che erano incisi sul piedistallo della statua di Teodosio a Costantinopoli (Anch . Poi. , XIV, 65) .

6) Riprodotto in LOWE, Codices Latini Antiquiores, 7) L a Revue des Arts, VII, '957, 2, p. 51 e ss. 8) D. TSELos, in Art Blllletin, v. ultimamente D. TRELOS, in Art. B ull.,

38. '956, I, p . 4. Ma v. A. FERMÀ, in Civ. Catt. '939, p. 4-1. 9) J. PORCHER, in Revue des Arts, già citata, pp. 56- 57. Ma il miniatore

poteva anche ispirarsi direttamente al testo di Abacuc, III, 15. lO) Per il tipo di questa croce si veda ] . BERADER-M. LEGLAY, in Cahiers

Archéol., IX, '957, p. 73 sS. II) A. BOECKLER, in Abhandlungen der Bayer. Akad., Phi/. Nachkl., N. F.

42, Monaco, Bayer. Akad . d. Wiss., 1956, 30; ma v. K . WEITZ;MANN, in Byz. Zeitschr., LI 1958, 2, p. 410 SS.

12) Il Torp (in Atti del IV Congr . lnt. di studi sull'A. M., Spoleto '953, pa­gine 81-93) aveva proposto alcuni rapporti stilisti ci tra gli affreschi del Tem­pieno di Cividale e la Scuola di Ada, che il Nordenfalk (Early Medieval Pain­ting, Ginevra 1957, p. 137) aveva trovato convincenti, suggerendo appunto il nome di Paolo Diacono come possibile tramite tra i pittori della corte lon­gobarda e quelli della corte imperiale; ma ora il De Francovich avverte che tali rapporti non esistono, Il come ognuno può convincersi" (Problemi dell' Europa Post-Carolingia, Spoleto '955, p. 315).

13) K. WEIHMANN, in Miinchner lahrb., III-IV, '952- 53, p . 96 sS. J. Lafontaine ha trovato punti di incontro per l'iconografia tra gli affreschi di S. Maria Egiziaca e quelli di Kizil çukur in Cappadocia (Byzantion, T. XXV-XXV I-XXVII, 1955-1956, 57, fase. 2). Influssi orientali furono già rilevati dal TOESCA, in Riv. 1st. Arch. e St. dell 'Arte, 1929, p . 96 sS.

14) Wurzburg, Universitatsbibliothek, MP Theol. FaI. 66 (S. L uca). Su questo particolare dell'abbigliamento di Ippocrate, v. Sorano, nella Vita di lppocrate, 3.

15) Miniature Painting in the Latin Kingdom 0/ lerusalem, Oxford 1957. Il libro sarà prossimamente recensito in questa stessa rivista.

16) G . DE FRANCOVICH, op. cit ., p. 507 sS. 17) V. la bibliografia raccolta in G . BOVINI e L. B. OTTOLENGHI, CataI.

della Mostra degli Avori dell' Alto Medioevo, 1956, pp. II 3- 20. Sul loro supposto rapporto con la miniatura iberno-sassone: C. NORDENFALK, in Acta Archaeologica, XIII, '942, pp. 157- 169.

UDINE - MOSTRA DEI CROCEFISSI E DELLE PIETÀ MEDIOEVALI

S I SONO INAUGURATE contemporaneamente a Udine due mostre complementari, entrambe organizzate dalla

Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie della Venezia Giulia e del Friuli. La prima di esse si è aperta alla presenza delle più alte autorità della Provincia per solen­nizzare il restauro dell'antico Battistero di Udine che così rientra nella vita cittadina riassumendovi il posto d'onore tra i monumenti più rappresentativi della città. La cerimonia ha avuto inizio con l'inaugurazione della Mostra delle Pietà e dei Crocifissi medievali del Friuli, allestita dalla Soprintendenza ai Monumenti e alle Gal­lerie all'interno della bellissima aula ottagonale dell'an­tico Battistero. Vi figuravano i pezzi più notevoli della

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