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RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO LOGISTICO * Roberto Vona ** Abstract I processi di outsourcing e la globalizzazione dell’economia, hanno richiesto innovazioni radicali nei sistemi di gestione delle operazioni logistiche, al fine di conciliare rapidità, regolarità e flessibilità nei cicli di produzione. Ciò ha generato una forte domanda di imprenditorialità in grado di sviluppare capacità e competenze specialistiche nei processi di attrazione dei flussi di traffico e di gestione delle attività logistiche a maggior valore aggiunto. Nell’articolo si sostiene la tesi che le aggregazioni spaziali di imprese di servizi logistici, se progettate guardando all’esperienza dei distretti industriali, dispongano delle condizioni di vantaggio per poter attivare con successo le sinergie e le economie di sistema necessarie per operare con successo nel business della logistica merci. Il lavoro è articolato in due parti. La prima dedicata alla concettualizzazione del fenomeno dei distretti logistici. La seconda, invece, prende spunto dai risultati di un’indagine empirica condotta su alcune realtà operative di particolare rilievo, per supportare con esemplificazioni più dettagliate le schematizzazioni e le considerazioni teoriche. Keywords: distretti logistici, sistemi di logistica integrata, outsourcing logistico. In the last years it has been creating the sector of logistic services, that presents competitive and managerial problems typical of the "classic" industrial sectors. In particular, the outsourcing fenomena and the globalization process are developing great business opportunity for firms specialized in management of logistics services. The article presents some theoretical reflections about the economics of spatial concentration in the same location of firms supplying logistics operations. On this subject, there is a part of the article dedicated to the conceptualization of the Logistics Districts and a second one reporting the results of a focused empirical research, aimed to analyze relevant case of logistics supplying systems. Keywords: Logistics Districts, Logistics Supplying Systems, Logistics Outsourcing * Contributo realizzato rielaborando ed integrando alcune parti curate dall’autore in un volume di recente pubblicazione (Ottimo, Vona, 2001). ** Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese e Docente di Gestione della Produzione e dei Materiali - Università degli Studi di Napoli Federico II. e-mail: [email protected] sinergie n. 56/01

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RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO LOGISTICO *

Roberto Vona**

Abstract

I processi di outsourcing e la globalizzazione dell’economia, hanno richiesto innovazioni radicali nei sistemi di gestione delle operazioni logistiche, al fine di conciliare rapidità, regolarità e flessibilità nei cicli di produzione. Ciò ha generato una forte domanda di imprenditorialità in grado di sviluppare capacità e competenze specialistiche nei processi di attrazione dei flussi di traffico e di gestione delle attività logistiche a maggior valore aggiunto. Nell’articolo si sostiene la tesi che le aggregazioni spaziali di imprese di servizi logistici, se progettate guardando all’esperienza dei distretti industriali, dispongano delle condizioni di vantaggio per poter attivare con successo le sinergie e le economie di sistema necessarie per operare con successo nel business della logistica merci. Il lavoro è articolato in due parti. La prima dedicata alla concettualizzazione del fenomeno dei distretti logistici. La seconda, invece, prende spunto dai risultati di un’indagine empirica condotta su alcune realtà operative di particolare rilievo, per supportare con esemplificazioni più dettagliate le schematizzazioni e le considerazioni teoriche.

Keywords: distretti logistici, sistemi di logistica integrata, outsourcing logistico.

In the last years it has been creating the sector of logistic services, that presents

competitive and managerial problems typical of the "classic" industrial sectors. In particular, the outsourcing fenomena and the globalization process are developing great business opportunity for firms specialized in management of logistics services.

The article presents some theoretical reflections about the economics of spatial concentration in the same location of firms supplying logistics operations. On this subject, there is a part of the article dedicated to the conceptualization of the Logistics Districts and a second one reporting the results of a focused empirical research, aimed to analyze relevant case of logistics supplying systems.

Keywords: Logistics Districts, Logistics Supplying Systems, Logistics Outsourcing * Contributo realizzato rielaborando ed integrando alcune parti curate dall’autore in un

volume di recente pubblicazione (Ottimo, Vona, 2001). ** Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese e Docente di Gestione della

Produzione e dei Materiali - Università degli Studi di Napoli Federico II. e-mail: [email protected]

sinergie n. 56/01

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1. Premessa Nei Paesi industrialmente più avanzati lo sviluppo dei fenomeni di

polverizzazione dei sistemi di produzione ha creato nuove opportunità di business per gli operatori della logistica, sia nelle attività di gestione dei flussi di materiali e componenti dai luoghi di produzione (industriale o agricola) agli stabilimenti di trasformazione o assemblaggio, sia in quelle di gestione dei flussi distributivi di prodotti finiti. Si tratta, in particolare, di quelle attività di stoccaggio, movimentazione, manipolazione, confezionamento, distribuzione, che un numero crescente di imprese industriali e commerciali non ritengono più strategicamente funzionale al proprio core business (Borghesi, Buffa, Canteri, 1997).

Per poter assumere un ruolo di rilievo nel settore dei servizi logistici ed aspirare a gestire i grandi flussi di merci attivati dai processi di outsourcing e dalla globalizzazione dei mercati e delle produzioni, è necessario realizzare sistemi di gestione in grado di conciliare la rapidità (contenimento dei tempi di gestione delle operazioni logistiche), la regolarità (a ritmi o “frequenze” crescenti) e la flessibilità nella produzione del servizio (capacità di adattare le caratteristiche dei flussi alle esigenze del mercato finale sia sulla base delle molteplici destinazioni geografiche verso cui essi sono diretti, sia per quanto riguarda le dimensioni dei carichi). Diventa, pertanto, indispensabile sviluppare capacità e competenze specialistiche nei processi di attrazione dei flussi di traffico e di gestione delle attività logistiche a maggior valore aggiunto. A tal riguardo, si ritiene che le aggregazioni spaziali di imprese di servizi logistici, se progettate guardando all’esperienza dei distretti industriali, dispongano delle condizioni di vantaggio per poter attivare con successo le sinergie e le economie di sistema necessarie per operare con successo nel business della logistica merci.

Si è pensato di dividere il lavoro in due parti. La prima dedicata alla concettualizzazione del fenomeno dei distretti logistici. La seconda, invece, prende spunto dai risultati di un’indagine empirica condotta su alcune realtà operative di rilievo nazionale ed internazionale, per supportare, con esemplificazioni più dettagliate, le schematizzazioni e le considerazioni teoriche presentate nella parte iniziale dell’articolo; e per avviare, nel contempo, una riflessione sui possibili percorsi da seguire per stimolare l’attenzione e l’interesse delle imprese di logistica verso modelli di gestione delle operation in grado di realizzare “prodotti” innovativi e flessibili, che presuppongono la volontà e la capacità di istituzionalizzare sistemi di relazione e di partnership di diverso livello di complessità ed integrazione tra operatori specializzati indipendenti.

2. Logistica conto terzi e logiche distrettuali Lo studio dei fondamenti economici e delle traiettorie di sviluppo specifiche del

business dei servizi logistici conto terzi non può prescindere da una rilettura dei fenomeni di reingegnerizzazione del “nocciolo duro” delle attività operative

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aziendali, cui sempre più spesso si associano processi di riconfigurazione dei confini organizzativi dell’impresa. E’ noto, infatti, che dall’aumento della pressione competitiva, dalla compressione dei tempi di recupero dell’investimento e dalla contestuale crescita della rischiosità operativa, sono venuti i principali stimoli per dar vita ad un radicale ripensamento strategico delle iniziative imprenditoriali e per cercare soluzioni manageriali ed organizzative più flessibili (Sciarelli, 1987).

Si intuisce facilmente, pertanto, come in uno scenario competitivo caratterizzato dai suddetti mutamenti le attività logistiche, e non solo dunque quelle trasportistiche, siano state tra le prime ad essere assoggettate ad approfondite analisi del tipo “make or buy”, guidate dalla necessità di snellire al massimo l’impegno produttivo diretto tramite la cessione a terzi specializzati di parti del ciclo di lavorazione o di interi rami d’azienda giudicati non più allineati agli standard di produttività ed efficienza richiesti dal mercato. Là dove si è riusciti a trovare imprenditori convinti di gestire con migliori risultati la rigidità dei fattori produttivi, i possibili “sprechi” di risorse e i relativi rischi economico-finanziari, si è potuto percorrere la strada della progressiva scomposizione fisica del nucleo originario d’impresa; anche se, contestualmente, si sperimentavano nuovi meccanismi di coordinamento e controllo, in grado di assicurare la necessaria sincronia alle diverse fasi del ciclo produttivo e il rispetto degli accordi pattuiti.

Da queste operazioni di riassetto aziendale sono nate delle vere e proprie costellazioni di imprese indipendenti, che, però, per esigenze di “squadra”, continuano a lavorare in stretta simbiosi con le necessità e le indicazioni dell’azienda “madre”, ed alla quale affidano la leadership e la responsabilità generale del governo della nuova forma d’impresa. In questi casi può succedere che una parte rilevante delle attività esternalizzate continui ad essere gestita in prossimità dell’azienda “committente” e, talvolta, all’interno del sito industriale originario e senza sostanziali stravolgimenti nella dotazione di risorse fisiche ed umane, anch’esse “cedute” nel processo di outsourcing. Ciò accade, evidentemente, quando le necessità di maggiore efficienza e flessibilità debbono conciliarsi con la difficoltà di assicurare sincronia alle diverse fasi del ciclo produttivo ed affidabilità qualitativa ed organizzativa all’innovazione nei modelli di management, che non sempre trova soluzioni praticabili ed economicamente vantaggiose al di fuori della classica concentrazione spaziale di attività.

Chiaramente, nell’esprimere tali considerazioni, non si vuole in alcun modo né negare che attraverso la delocalizzazione di alcune attività operative in altri contesti territoriali sia possibile recuperare, senza particolari sforzi, ampi margini di redditività per effetto di politiche fiscali e finanziarie incentivanti, ovvero grazie alle robuste convenienze sul versante dei costi di gestione della manodopera e della tutela ambientale; né nascondere che ciò abbia trovato condizioni favorevoli di implementazione nello sviluppo dei sistemi di trasporto merci in direzione di una sempre maggiore velocità, affidabilità e competitività, e nella diffusione, a scala mondiale, dell’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche per lo scambio in tempo reale di conoscenze, che ha dato impulso alla creazione di reti di imprese proiettate verso una dimensione cosiddetta virtuale. E’ pur vero, però, che in presenza di

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processi di outsourcing estesi a fasi del ciclo produttivo con output molto “problematici” - come, ad esempio, le merci pesanti ed ingombranti dal valore aggiunto modesto, per le quali l’incidenza dei costi logistici è particolarmente elevata - associati a necessità di coordinamento organizzativo complesse ed impegnative, si possono raggiungere standard di competitività migliori evitando di estendere oltre certi limiti anche i confini geografici del nuovo sistema d’impresa nato a seguito del “big bang” post-fordista.

L’importanza e la rilevanza strategica delle economie derivanti dalla contiguità spaziale è testimoniata dallo sviluppo degli agglomerati distrettuali. E’ fuor di dubbio, infatti, che dalla vicinanza possa venire un aiuto essenziale per poter effettuare un’efficace e tempestiva verifica in progress del rispetto degli accordi contrattuali di sub-fornitura, con riferimento principalmente alla qualità delle lavorazioni e dei materiali impiegati, o anche per assicurare il giusto grado di fluidità, sincronia e regolarità ai meccanismi di funzionamento dell’operatività aziendale; obiettivi tutt’altro che semplici da gestire, specie quando si adottano modelli di gestione cosiddetti a flusso teso1.

Schematizzando il ragionamento fatto in precedenza, le variabili che risultano

determinanti nell’analisi dei fattori di vantaggio competitivo specifici delle forme distrettuali, rispetto ad altri sistemi di governance della disintegrazione dei processi produttivi meno incentrati sulla “fisicità” delle relazioni, possono essere sintetizzate nelle due condizioni sopra menzionate della problematicità dell’output produttivo e della importanza strategica e complessità del coordinamento organizzativo (Tabella 1). Se i beni da realizzare presentano oneri logistici elevati, a monte e/o a valle del ciclo operativo, e se le necessità di integrazione tra le diverse fasi della lavorazione sono particolarmente stringenti e difficilmente demandabili a strumenti di management ad elevato contenuto di “virtualità”, alla disgregazione economica dell’iniziativa imprenditoriale non conviene associare anche una contestuale separazione fisica delle attività cedute in outsourcing. Accade, infatti, in special modo nei casi in cui il programma di esternalizzazione viene promosso e gestito da imprese di grandi dimensioni, che molte delle operazioni cedute a terzi continuino ad essere svolte nell’àmbito dello stesso sito industriale - se non addirittura nel medesimo stabilimento di produzione - e senza mutamenti radicali sul piano della quantità e qualità delle risorse impiegate. E’ evidente il riferimento ai fenomeni di concentrazione spaziale di grandi aziende manifatturiere che, da un lato, sono state costrette a destrutturarsi per rispondere alla crescente domanda di efficienza e flessibilità, ma che, dall’altro, continuano a mantenere la leadership del coordinamento organizzativo prima citato. 1 Oltre ai vantaggi indicati nel testo, nelle aggregazioni spaziali di imprese sono favorite:

la generazione e il trasferimento delle conoscenze-informazioni; l’iniziativa di mercato e l’emulazione competitiva; la condivisione di investimenti e costi comuni, quali ad esempio quelli di sicurezza, pulizia, manutenzione strade e segnaletica, adeguamento a normative speciali; lo sviluppo di risorse fiduciarie e la sperimentazione di progetti di partnership.

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B Importanza e complessità del coordinamento organizzativo A

IMPRESE EXTRADISTRETTUALI Coordinamento “out of site” realizzato nelle aree distrettuali specializzate nell’offerta di servizi logistici integrati

IMPRESE DISTRETTUALI Coordinamento “on site” realizzato nelle aree distrettuali di produzione

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IMPRESE VIRTUALI

Coordinamento “out of site” realizzato tramite lo sviluppo di tecnologie e sistemi informativi evoluti

IMPRESE MULTIDISTRETTUALI

Coordinamento “on site” realizzato tramite lo sviluppo di sistemi di trasporto evoluti in grado di collegare più aree distrettuali di produzione

Tab. 1: Modelli di imprese reticolari a confronto

Esistono, però, anche esempi di aggregazioni industriali createsi spontaneamente

senza la regia di un’impresa promotrice dominante - dei quali molti distretti italiani rappresentano un caso di specie - che, seguendo un percorso inverso a quello accennato per spiegare la nascita dei poli distrettuali monocentrici, sono riusciti, in talune realtà con risultati particolarmente brillanti, a coniugare in modo equilibrato obiettivi notoriamente incompatibili se gestiti a livello di singola azienda. La massimizzazione dei vantaggi derivanti dalla crescita della scala degli impianti di produzione contrasta, infatti, con la necessità di mantenere al di sotto di certi limiti la rischiosità operativa del business, che risponde all’obiettivo fondamentale di aumentare la velocità di reazione al cambiamento tecnologico e di mercato.

Entrambe le configurazioni agglomerative, comunque, se le variabili considerate nello schema di classificazione proposto evidenziano ognuna valori elevati, riescono a garantire le migliori performance competitive soprattutto grazie alla “contiguità” dei processi produttivi2. Ciò indipendentemente dalla circostanza che la responsabilità del coordinamento dell’intero ciclo di approvvigionamento, trasformazione e distribuzione rimanga in capo all’azienda “madre”, ovvero venga

2 Autorevoli studiosi dell’economia distrettuale (Becattini, 1999) sostengono che i sistemi

locali saranno ancora in futuro “una struttura portante dell’economia italiana anche (e soprattutto) in un mondo caratterizzato da concorrenza globale e da crescente variabilità delle tecnologie della produzione e del consumo”. E la politica industriale italiana degli ultimi anni sembra orientata a favorire il rafforzamento delle realtà distrettuali tradizionali e ampiamente conosciute, incentivando nel contempo la progressiva legalizzazione del cosiddetto sommerso (Meldolesi, 1998), tradizionalmente molto diffuso nelle aree economicamente meno sviluppate del nostro Paese.

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anch’essa affidata all’esterno ad altre imprese industriali; oppure, come sempre più spesso accade, ad operatori specializzati nell’offerta di servizi logistici integrati.

Tornando allo schema di classificazione proposto nella Tabella 1, nel quadrante

in basso a sinistra sono state collocate le forme d’impresa che presentano caratteristiche opposte a quelle definite distrettuali, con riferimento sia al livello di problematicità dell’output produttivo realizzato sia al grado di importanza e complessità dei meccanismi di coordinamento organizzativo. In questi casi lo sviluppo delle tecnologie e dei sistemi informativi e di telecomunicazione può favorire l’adozione da parte delle imprese industriali di modelli di management iperdestrutturati, gli unici in grado di assicurare, in teoria, massima reattività ed efficacia competitiva, senza sacrificare le fondamentali esigenze di produttività ed efficienza. E’ fuor di dubbio, infatti, che per gestire processi di trasformazione per i quali le problematiche “hardware” (ad esempio, macchinari, impianti, materiali e componentistica) assumono un’importanza assolutamente marginale rispetto a quelle di tipo “software” (progettazione, competenze, informazioni, ecc.), potranno essere implementati, con risultati sempre più soddisfacenti, coordinazioni produttive sostanzialmente libere dal condizionamento, dalle rigidità e dai rischi della fabbrica, governabili anche senza seguire direttamente on site il ciclo operativo grazie al supporto delle cosiddette reti virtuali3. Ciò consentirà di modificare più rapidamente i confini e la morfologia del sistema d’impresa, facendo leva sulla possibilità di creare servizi logistici di supporto al funzionamento della rete non particolarmente complessi ed onerosi, specie se rapportati al valore della produzione.

Nel quadrante in basso a destra della matrice sono state invece raggruppate quelle tipologie aziendali che, sulla spinta dei mutamenti dello scenario competitivo, stanno sperimentando modelli di management più flessibili, senza però potere prescindere dall’istituzione di meccanismi di coordinamento e controllo dell’attività manifatturiera basati sulla contiguità delle fasi produttive e sulla verifica “fisica” degli standard qualitativi raggiunti dai processi operativi e dagli output realizzati. In questi casi può accadere che il ciclo di lavorazione di un determinato prodotto ricada sotto la responsabilità di un’impresa reticolare definita multidistrettuale, poiché il sistema di relazioni industriali posto in essere non è circoscritto ad un unico distretto; ciò in quanto la complessità del business gestito richiede l’apporto di competenze non presenti solo in un determinato territorio. Nasce, quindi, la necessità di parcellizzare l’iter produttivo seguendo una logica di specializzazione per processo e/o per prodotto, per poi governarlo tramite una rete nella quale le singole “parti” siano realizzate nell’àmbito di più di una realtà distrettuale di matrice industriale4. Naturalmente in queste circostanze diventa essenziale poter disporre di servizi di trasporto evoluti, che garantiscano affidabilità, frequenza ed economicità 3 E’ intuibile, che tali fenomeni investiranno prevalentemente i settori dell’economia per i

quali la “digitalizzazione” di processi operativi e gamme di prodotto rappresenta una prospettiva con concrete ed immediate possibilità di attuazione e significative opportunità di sviluppo (si pensi ad esempio al business dell’editoria).

4 Questi fenomeni contraddistinguono ad esempio il settore aerospaziale.

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ad iniziative d’impresa dai confini anche geografici talvolta molto ampi; iniziative caratterizzate da considerevoli problematiche organizzative e di coordinamento, per le quali la logica multi site rappresenta una strategia di sviluppo percorribile, specie quando l’incidenza degli oneri logistici in rapporto al valore dell’output realizzato non raggiunge livelli particolarmente elevati.

Resta infine da analizzare il cluster aziendale riportato nel quadrante in alto a sinistra dello schema di classificazione proposto. In questo raggruppamento sono state collocate quelle imprese manifatturiere definite extradistrettuali, differenti rispetto a quelle esaminate in precedenza per le maggiori possibilità che esse hanno di procedere ad una progressiva frammentazione e gestione out of site delle attività produttive. Si fa riferimento a quelle realtà imprenditoriali alla ricerca di soluzioni per la gestione della produzione meno strutturate, che nel contempo siano anche compatibili con le specificità e le problematiche derivanti dalla natura dei beni trattati. In questi casi la vera e propria esplosione dell’impresa integrata verticalmente e regolata da meccanismi di controllo gerarchico, ha fatto scaturire la necessità di riaggregare in modo innovativo fasi e processi dell’intero ciclo acquisti-trasformazione-distribuzione, creando nuove opportunità di business per gli operatori tradizionalmente specializzati nella gestione di attività di trasporto (ad esempio, trasportatori, spedizionieri, terminalisti). Sono loro, infatti, i soggetti meglio “attrezzati” per recitare un ruolo da protagonista nell’àmbito del più ampio settore della logistica integrata conto terzi, che in questi anni va arricchendosi di contenuti per effetto dei fenomeni di outsourcing.

Sta accadendo, dunque, che l’esigenza di coordinamento organizzativo e di integrazione, che evidentemente permane, seppur con connotazioni modificate, anche a seguito di iniziative di ristrutturazione industriale del tipo di quelle accennate in precedenza, viene assicurata - per quanto concerne le attività considerate esterne al core business - da nuove figure imprenditoriali (i cosiddetti integratori logistici); ciò avviene riportando on site, all’interno però di apposite concentrazioni territoriali specializzate nell’offerta di servizi logistici, determinate operazioni collocabili al confine tra le operation manifatturiere “classiche” e quelle di supporto alla produzione materiale.

In sostanza, il successo e la diffusione, nel settore della logistica merci, dei modelli di gestione incentrati sull’applicazione della logica Hub & Spoke, costituisce un segnale chiaro ed inequivocabile dell’importanza e, dunque, della insostituibilità del coordinamento organizzativo definito poc’anzi on site che, in determinati settori industriali5, vede avvantaggiate le imprese reticolari supportate da operatori specializzati nel governo dell’integrazione logistica anche al di fuori delle aree distrettuali di produzione (in questo senso out of site). 5 Di particolare rilievo sono i distretti logistici esistenti a Brema e a Rotterdam,

specializzati nella concentrazione, “lavorazione” e distribuzione conto terzi di prodotti ortofrutticoli. In questo business in particolare, ma anche in settori meno specifici come quello dell’elettronica di consumo, dell’abbigliamento sportivo o della distribuzione di automobili, nei prossimi anni si assisterà ad un grande sviluppo dell’offerta di servizi logistici specializzati concentrati nell’àmbito di pochi grandi hub distrettuali.

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A tal proposito, l’esperienza sta dimostrando che in futuro chi avrà creato le condizioni per operare nell’àmbito di quelle grandi concentrazioni spaziali di imprese focalizzate sulla logistica, potrà godere di una posizione di vantaggio competitivo (v. infra). Le suddette aggregazioni territoriali dovranno però con il tempo acquisire una propria individualità ed autonomia strategica, al fine di sviluppare la capacità di generare flussi di traffico aggiuntivi per l’intero sistema, esplorando nel contempo nuove opportunità imprenditoriali a più elevato valore aggiunto e promovendo la sperimentazione di iniziative operative di partnership intra ed interdistrettuali. Soltanto in questo modo, infatti, sarà possibile perseguire un maggior presidio sulla movimentazione delle merci, stimolando i processi di riaggregazione di investimenti e competenze intorno a parti del ciclo operativo.

I punti di forza di questi poli, concettualmente paragonabili alle realtà distrettuali manifatturiere6, possono essere riassunti nello schema riportato nella Tabella 2. In particolare, i distretti logistici possono attivare le sinergie necessarie per acquisire e gestire, con maggiori probabilità di successo, una quota significativa del business logistico legato “a doppio filo” al trasporto stradale, facendo leva sulla vis attrattiva del sistema di imprese fondata sulla specializzazione, sull’ampiezza dell’”assortimento” di servizi offerti e, non ultimo, sulla possibilità di concentrare determinate attività nel medesimo territorio. Si tratta solitamente di un mercato generato da una domanda con esigenze particolari che, essendo molto frammentata e dispersa sul territorio, non può essere facilmente oggetto di politiche di one to one marketing.

Polarizzazione della domanda Vantaggi localizzativi Specializzazione ed emulazione competitiva Condivisione di rilevanti investimenti in infrastrutture e nella formazione

professionale Stimolo alla revisione dei modelli d’impresa e sviluppo nuove opportunità di

business Composizione quantitativa e qualitativa del mix di servizi Coordinamento organizzativo e integrazione dell’offerta

Tab. 2: I vantaggi di un distretto logistico L’aggregazione crea, dunque, le condizioni economiche basilari per attivare

iniziative imprenditoriali finalizzate al soddisfacimento di bisogni specifici che, per essere gestiti con standard di qualità ed efficienza competitivi, richiedono investimenti a scala industriale e personale direttivo ed operativo dedicati; l’avviamento distrettuale costituisce infatti una risorsa preziosa per affrontare e governare con maggiori probabilità di successo - in virtù dell’allargamento del bacino di utenza potenziale - i rischi operativi connessi al grado di impiego dei

6 Sul concetto di distretto logistico si veda il contributo di Sergio Bologna, pp. 160-165, in

Perulli, 1998.

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fattori produttivi disponibili e, quindi, uno stimolo importante alla nascita di nuove imprese o al riposizionamento strategico di quelle già esistenti, per effetto di fenomeni di emulazione competitiva7. Ciò permette di arricchire ulteriormente il portafoglio prodotti del distretto, adeguandolo alle necessità della clientela ed attivando un circolo virtuoso d’importanza fondamentale per il successo di queste iniziative.

E’ innegabile, comunque, che i processi agglomerativi in oggetto non si possono innescare senza creare, là dove sussistono le necessarie convenienze localizzative di natura geografica8, una dotazione minima di infrastrutture di supporto alle attività trasportistiche di base, essenziali per qualsiasi politica di traffic building che voglia catturare davvero l’interesse del mercato e per le quali occorrono evidentemente ingenti risorse finanziarie. In particolare, si fa riferimento ad un pacchetto di investimenti che vanno dalla realizzazione di idonei collegamenti stradali e ferroviari, alla costruzione di spazi ed impianti indispensabili per implementare l’opzione intermodale (ad esempio, piazzali attrezzati, fasci di binari, elettrificazione di linee ferroviarie, adeguamento della morfologia del territorio, sistemi informativi e di telecomunicazioni) o per consentire l’ingresso in determinati business ad elevato valore aggiunto (ad esempio, stoccaggio e manipolazione prodotti refrigerati e ad atmosfera controllata) per i quali sussistono concrete opportunità di sviluppo.

Si tratta, evidentemente, di asset operativi la cui scala dimensionale minima è talmente elevata in rapporto al grado di concentrazione della domanda da rendere eccessivamente rischiosa l’iniziativa imprenditoriale privata pura. Per questa ragione, dunque, ed in considerazione del fatto che l’attività di trasporto merci può essere, a giusta ragione, per certi versi assimilabile ad un servizio di pubblica utilità, i governi nazionali, locali e la stessa Unione Europea, tramite il finanziamento di specifici programmi di investimento, hanno accresciuto i fondi destinati al potenziamento delle reti infrastrutturali per l’interscambio dei prodotti agricoli e industriali. Stesso discorso vale per la formazione del personale, che non sempre vede gli organi istituzionalmente preposti a quest’attività distinguersi riguardo la capacità di fornire stabilmente professionalità adeguate alle reali richieste delle imprese.

Per superare queste barriere, che ostacolano di fatto l’esercizio dell’attività 7 La possibilità/necessità per le imprese che decidono di entrare nel settore della logistica

conto terzi, di percorrere la strada dell’estensione del mercato potenziale di sbocco, presenta evidentemente difficoltà talvolta insormontabili nell’àmbito delle realtà distrettuali di matrice industriale definite nel testo monocentriche. In questi casi, infatti, il legame con l’impresa “madre”, che ha dato vita al processo di outsourcing, è talmente forte da impedire di fatto ogni iniziativa finalizzata alla compressione del rischio operativo cui si associa inevitabilmente una condivisione, non sempre senza effetti sul piano concorrenziale, di know-how e competenze tecnologiche e/o di marketing.

8 Sono tali quelle aree territoriali baricentriche rispetto ai grandi flussi di merci di tipo inbound e/o outbound, per le quali sia realizzabile, senza particolari difficoltà, l’inserimento nei circuiti logistici internazionali, che hanno investito risorse, competenze e relazioni nell’applicazione della logica Hub & Spoke per lo sviluppo del business nella logistica merci.

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aziendale con capitale privato in condizioni di “normale” efficienza e profittabilità, una politica economica specifica per la logistica appare quanto mai opportuna e necessaria, almeno fino a quando il settore non avrà raggiunto quello stock di risorse strutturali, imprenditoriali e tecnico-professionali giudicato dagli operatori adeguato per consolidarne lo sviluppo. Naturalmente, trattandosi di investimenti pubblici, esiste il rischio che le decisioni di finanziamento siano guidate dall’applicazione di criteri non sempre oggettivi ed omogenei da cui possono scaturire sprechi di risorse o anche realizzazioni sovradimensionate rispetto alle reali esigenze di mercato, ovvero prive di alcun genere di coordinamento funzionale.

Si intuisce, pertanto, la necessità di istituire appositi organismi di regia di emanazione istituzionale con competenze specialistiche nel business logistico ed un raggio d’azione spazialmente delimitato9, che abbiano il compito di fornire un supporto tecnico alle sopra indicate scelte di politica settoriale e alle iniziative di promozione e sviluppo di una nuova cultura delle relazioni inter-imprenditoriali nelle attività di servizi logistici di un determinato territorio, al fine di ottenere performance soddisfacenti con riferimento sia al grado di sfruttamento della capacità produttiva installata sia al livello qualitativo dei servizi offerti.

Ma se le problematiche derivanti dalla realizzazione dell’”impianto”, che rappresenta lo strumento di lavoro, possono ritrovare nelle esperienze esistenti un valido supporto ed una guida operativa, nell’àmbito, invece, delle relazioni collaborative tra imprese della logistica e del trasporto intermodale la sperimentazione è ancora nelle sue fasi iniziali. Ciò spiega perché la grande parcellizzazione del settore e la conseguente disomogeneità culturale in materia di problematiche di gestione aziendale, rendono estremamente difficile la progettazione e l’attuazione di servizi innovativi incentrati sulla cooperazione finalizzata ad ottenere sinergie ed economie d’interrelazione. Da questo punto di vista, l’incapacità di proporre soluzioni chiare, credibili ed affidabili ad un mercato potenziale ancora vergine e privo di punti di riferimento, rappresenta il principale ostacolo alla più ampia diffusione dei processi di revisione dei modelli di management adottati dalle imprese nell’ottica dell’outsourcing, da cui, si è visto, nascono le opportunità di business più interessanti per gli operatori del settore in esame.

9 Nell’esperienza di Gioia Tauro (Ottimo, Vona, 2001, pag. 289 e seguenti) si è visto che

la necessità di coordinamento e regia delle iniziative d’intervento pubblico cui si fa riferimento nel testo possono essere soddisfatte pur in mancanza di un apposito organismo istituzionale grazie alla collaborazione del privato. Nel caso specifico, però, non vi era il problema di scegliere tra progetti d’impresa differenti ovvero sostanzialmente sovrapponibili; così come determinate decisioni di investimento riguardanti una parte rilevante delle dotazioni infrastrutturali dell’area erano state prese ed in buona parte già attuate, in un’epoca in cui non si pensava certamente ad una destinazione logistica del territorio.

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3. Distretti logistici: tipologie e scenario competitivo Bisogna chiarire, comunque, che un’aggregazione spaziale di imprese di servizi

logistici rappresenta un’entità economica complessa dai contenuti mutevoli e difficilmente tipizzabili. Nella realtà, infatti, esiste una grande varietà di configurazioni agglomerative; lo spettro delle possibili differenze spazia dalle piattaforme gestite da pochi operatori indipendenti ai più sofisticati poli della logistica, in cui sono già state accumulate esperienze di successo nel campo della partnership inter-aziendale tra imprese presenti nel distretto, consapevoli delle grandi opportunità strategiche derivanti dal coordinamento sistemico di vocazioni, risorse e competenze specialistiche complementari.

Al fine di semplificare l’analisi, sono stati definiti quattro raggruppamenti tipologici, rappresentati nella Tabella 3, costruiti sulle peculiarità morfologiche e le caratteristiche competitive differenziali derivanti dall’ampiezza della gamma di servizi offerti e dalla quantità di iniziative specialistiche autonome facenti parte del contesto distrettuale. Chiaramente, la crescita della partecipazione imprenditoriale e, quindi, l’apporto di nuove energie manageriali possono senz’altro dare un contributo fondamentale affinché il business logistico di un determinato territorio possa acquisire il know-how tecnico e di mercato necessario per accreditarsi nei mercati più complessi. Ciò nondimeno, come si accennava poc’anzi, il panorama dell’offerta distrettuale di servizi logistici è particolarmente variegato e non sempre vede premiare gli sforzi fatti in direzione di una sempre maggiore specializzazione. D’altronde, la domanda manifesta esigenze ancora in larga parte banali e polverizzate, che possono essere gestite, con risultati altrettanto soddisfacenti, nell’àmbito di aggregazioni spaziali di imprese con connotazioni tipicamente generaliste, facendo leva sulla maggior forza di attrazione e di penetrazione di mercato derivante dall’ampiezza del portafoglio servizi attivati.

B Ampiezza della gamma di servizi offerti A

DISTRETTI FOCALIZZATI

DISTRETTI MULTISPECIALIZZATI

B N

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A

PIATTAFORME LOGISTICHE

DISTRETTI GENERALISTI

Tab. 3: Le tipologie di distretti logistici

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Nella realtà, dunque, coesistono le tipologie di distretto logistico qui di seguito elencate. Alcune iniziative distrettuali sono talmente in embrione da poter essere considerate delle “semplici” piattaforme logistiche, come il terminal container di Gioia Tauro (Ottimo, Vona, 2001, pp. 289-318), caratterizzate dalla presenza di un nucleo operativo molto ristretto, in alcuni casi composto da un’unica impresa, dedicato essenzialmente alla produzione di un solo servizio logistico: nella fattispecie calabrese, il transhipment di contenitori.

Altri distretti possono essere definiti focalizzati, come ad esempio il caso dei distripark olandesi. Nell’àmbito del medesimo segmento di attività - ad esempio, lo stoccaggio di prodotti ortofrutticoli - ma con il contributo indispensabile di un numero generalmente più elevato di operatori specializzati, tali strutture riescono ad approfondire la gamma di servizi offerti e a diventare un concreto punto di riferimento attrezzato a soddisfare, e, se serve, a stimolare, una domanda esigente e realmente orientata verso soluzioni di outsourcing evoluto.

Altre realtà distrettuali possono essere definite multi-specializzate, come ad esempio quella di Rotterdam, poiché hanno deciso di estendere il proprio raggio di azione adottando una tipica strategia di marketing differenziato, incentrata sull’ampliamento dei campi di specializzazione nel tentativo di attrarre sempre nuovi segmenti di clientela10. In questi casi, lo sviluppo dimensionale dell’iniziativa determina, evidentemente, un progressivo allargamento dei confini geografici del distretto, che, a sua volta, crea le condizioni per un ulteriore irrobustimento quantitativo e qualitativo della presenza imprenditoriale. Si tratta di iniziative che hanno raggiunto un apprezzabile livello di integrazione all’interno di ognuna delle linee di servizio realizzate e che si avviano a sperimentare alleanze su progetti specifici, con l’obiettivo di cogliere tutte le possibili opportunità derivanti dalla diffusione, in un tessuto economico composto da numerose individualità operative, delle logiche e dei valori della cultura manageriale sistemica11.

Altri distretti, infine, hanno una natura generalista, come ad esempio quello di Bologna12. Essi ambiscono, infatti, a coprire un ampio ventaglio di bisogni logistici (ad esempio, intermodalità, stoccaggio), ma non riescono, nonostante siano sovente dotati di rilevanti asset strutturali, a raggiungere, per tutti i business gestiti, gli standard di approfondimento specialistico necessari per operare in mercati con esigenze complesse.

Da questa breve analisi si intuisce facilmente, che in futuro la competizione nel

settore dei servizi logistici non si limiterà al classico confronto tra imprese appartenenti al medesimo raggruppamento strategico. La condotta degli operatori in

10 Sulla realtà di Rotterdam si veda l’analisi di Jarach (Ottimo, Vona, 2001, pp.242-272). 11 Sull’argomento in generale si veda il contributo di Rullani e Vicari (1999). Spunti di

riflessione interessanti su questi temi sono venuti dalle ricerche empiriche svolte sulle attività logistiche operanti nel polo napoletano, definito “sistema incompiuto dalle potenzialità inespresse” (Ottimo, Vona, 2001, pp. 318-357).

12 Sulla realtà di Bologna si veda il contributo di Ottimo e Cresta (Ottimo, Vona, 2001, pp. 272-289).

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gioco, infatti, sarà sempre più condizionata dalle scelte fatte in merito alla localizzazione degli impianti produttivi e, ancor più, dall’efficacia delle iniziative di coordinamento e di partnership sviluppate dal distretto di appartenenza; con il tempo, l’aggregazione di soggettività indipendenti dovrà assurgere al ruolo di meta-sistema di imprese, autonomo dalle sue componenti operative per quanto riguarda le decisioni di marketing territoriale e, soprattutto, capace di competere o di avviare politiche di networking con altre realtà distrettuali con un approccio macro-aziendale. Ed a tal riguardo, un polo logistico rappresenta, già solo dal punto di vista puramente immobiliare, un primo momento di avvicinamento, che potrebbe favorire ulteriori e più evolute forme di associazionismo imprenditoriale. La convivenza di natura prettamente condominiale, infatti, può aiutare a far crescere, attraverso la frequentazione e lo scambio di idee ed esperienze, la cultura della ricerca e della condivisione di risorse, finalizzata alla sperimentazione di innovazione tecnologiche e di gestione, creando i presupposti per la creazione delle risorse fiduciarie necessarie a supportare il processo di integrazione dell’offerta logistica13.

Il successo di iniziative di questo genere dipende, quindi, in primo luogo dalla

qualità imprenditoriale degli operatori specializzati chiamati a far parte della “squadra” e dalla loro capacità di attrarre nel distretto la domanda di servizi logistici esistente in un determinato mercato spaziale, il più delle volte tanto polverizzata da poter essere gestita efficacemente soltanto da operatori specializzati di piccole dimensioni. Se, poi, queste concentrazioni di imprese sapranno evolvere ed operare anche adottando una logica sistemica, potranno aspirare a ruoli di rilievo nella filiera produttiva, assumendo la responsabilità del coordinamento di una parte rilevante del processo di creazione del valore e fungendo da stimolo per un allargamento dei confini dell’outsourcing logistico e per una migliore valorizzazione del tessuto economico locale.

Molto dipenderà, evidentemente, dal comportamento di chi ha avuto il mandato di promuovere e gestire le attività infrastrutturali e d’impianto, dalla sua visione strategica e di marketing, dal suo senso di equilibrio durante tutta la fase di commercializzazione degli spazi e nei momenti di start up delle diverse attività operative. E’ fuor di dubbio, infatti, che a questo livello scelte sbagliate e carenze di coordinamento inter-imprenditoriale potrebbero compromettere la qualità generale di un progetto finalizzato a dar vita ad un distretto logistico.

In conclusione, un’efficace politica di rafforzamento della capacità aziendale di

“stare sul mercato”, in particolare nei settori ad elevata pressione concorrenziale, non può prescindere dalla ricerca continua di fonti di vantaggio competitivo sia sul fronte dei costi sia sul piano della differenziazione. E’ evidente, pertanto, che in queste circostanze la gestione coordinata delle attività logistiche tramite operatori professionali in grado di accompagnare l’evoluzione degli scenari competitivi, non può che crescere continuamente di importanza. Lo sviluppo di sinergie incentrate sul 13 Un esempio concreto in tal senso potrebbe essere l’istituzione di una borsa noli per

ovviare al “classico” problema del bilanciamento dei carichi.

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potenziamento della qualità imprenditoriale dei distretti logistici può rappresentare un’opportunità foriera di significativi e durevoli effetti benefici per tutte le componenti del tessuto economico e sociale.

4. I sistemi logistici nel Mezzogiorno d’Italia Alla luce delle analisi empiriche compiute di recente sulla realtà di Gioia Tauro e

su quelle appartenenti al cosiddetto polo logistico napoletano (Ottimo, Vona, 2001, pp. 289-359), è possibile trasferire in un àmbito operativo le riflessioni concettuali presentate nei paragrafi precedenti, sviluppando nuove considerazioni di carattere più generale con riferimento in particolare al Mezzogiorno d’Italia.

Partendo dalla prima delle esperienze poc’anzi menzionate, si è visto che lo scalo può assurgere al ruolo di hub primario del traffico marittimo gravitante sul mare Mediterraneo, anche se sconta alcuni limiti da non sottovalutare, derivanti dall’inesistenza di un sistema economico e infrastrutturale locale in grado di avvalersi e di completare l’attuale offerta di servizi logistici. Questo per non accennare all’emergere di nuovi concorrenti, quali ad esempio il porto di Taranto, favorito dal timore delle grandi compagnie di navigazione di dovere in futuro sottostare alle politiche monopolistiche del gestore dello scalo di Gioia Tauro.

Per incentivare il “feederaggio” terrestre (su ferro e su gomma) rispetto a quello marittimo, Gioia Tauro dovrà dotarsi di nuove infrastrutture e dovrà collegarsi meglio all’area napoletana o a quella pugliese. Ciò al fine di consolidare tutti i flussi di merce del Sud con quelli internazionali sbarcati a Gioia Tauro, creando i presupposti per un bilanciamento dei traffici provenienti dal Nord industrializzato. Evidentemente, questo scenario presuppone la costruzione di un network in grado di fornire servizi intermodali terrestri più competitivi di quelli marittimi in termini di efficienza, frequenza ed affidabilità; in caso contrario, per l’intero Mezzogiorno non rimane che fornire spazi, mezzi e servizi, a basso valore aggiunto e a scarsa intensità di manodopera, di supporto a Gioia Tauro, a Cagliari o a Taranto, che effettuano semplici attività di trasbordo contenitori, immediatamente reimbarcati verso altre destinazioni.

E’ necessario creare, innanzi tutto, un clima di fiducia tra i soggetti interessati, rafforzato dalla piena condivisione dei successi di un processo di sperimentazione che, per essere avviato nonostante le inevitabili diffidenze e resistenze, potrebbe richiedere l’istituzione di un’unità operativa di coordinamento e garanzia affidata ad un organismo “super partes”, scelto con il consenso di tutti gli attori del nuovo sistema reticolare. L’obiettivo ultimo dovrebbe essere quello di favorire la nascita ed il consolidamento di una rete di relazioni professionali tra operatori indipendenti con diversa specializzazione, mossi dal comune interesse di sviluppare il proprio business, sfruttando la capacità di attrazione esercitabile sul mercato dall’insieme delle infrastrutture logistiche di un determinato territorio. L’approccio sistemico (Golinelli, 2000), pertanto, rappresenta di fatto l’unica strada da seguire per creare le condizioni di scala necessarie al fine di operare con standard di efficienza

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soddisfacenti nel business logistico, caratterizzato da comportamenti molto aggressivi da parte della concorrenza e da elevata rischiosità operativa.

E’ chiaro, dunque, che l’attuazione di un progetto imprenditoriale di ampio respiro, incentrato sullo sviluppo della cooperazione a livello regionale, il cui scopo sia quello di dar vita ad un polo logistico accreditato a livello nazionale e internazionale, oltre a richiedere i necessari interventi strutturali di completamento e di raccordo, dovrà innanzi tutto favorire ed incentivare (anche con mezzi finanziari) l’avvio di iniziative di partnership commerciale, anche se parziali e temporanee. Soltanto sul terreno pratico delle convenienze operative delle singole imprese interessate, infatti, e non mediante la retorica politica, è possibile costruire una strategia di marketing territoriale, che esalti con successo le vocazioni e le potenzialità dell’offerta logistica esistenti nel Paese, avviando nel contempo, in modo graduale, il difficile processo di avvicinamento alla cultura del “fare insieme”. E a tal fine, competenze specialistiche, credibilità e avviamento relazionale rappresentano il presupposto necessario per poter avviare una politica di networking realmente efficace e, soprattutto, calibrata rispetto alle specificità infrastrutturali e imprenditoriali dei diversi contesti locali.

Ad esempio, il sistema logistico campano, per poter aspirare ad acquisire una posizione di rilievo su scala nazionale e internazionale, non può guardare soltanto al mercato dell’immediato hinterland di riferimento, ma deve farsi promotore di iniziative mirate a sviluppare business nel bacino del Mediterraneo come in tutto il Sud dell’Europa continentale, Italia settentrionale compresa. Ciò presuppone, evidentemente, collegamenti infrastrutturali ed operativi efficienti ed affidabili con le realtà portuali di Gioia Tauro e un domani di Taranto, con le relative reti di relazioni e con gli operatori interportuali di Bologna, Verona e Padova, in modo da accreditare l’intero distretto logistico regionale sul mercato quale polo di concentrazione e smistamento d’importanza strategica. A tal riguardo, un contributo decisivo allo sviluppo di un importante network logistico in Campania potrà venire dal funzionamento efficiente ed affidabile delle free-way mediterranee, tirrenica e adriatica, se si riuscirà a spostare una parte consistente del traffico dal classico transhipment via feeder verso l’interscambio ferroviario, traendo vantaggio dalla leadership di mercato di Gioia Tauro.

5. La logistica dei prodotti agro-alimentari non trasformati: il progetto “Freshlog”14 e l’esperienza francese di SNCF “Chronofroid”

Nel grande comparto dei prodotti agro-alimentari (Stampacchia, 1998),

l’ortofrutta destinata ai mercati di consumo “allo stato fresco”, senza cioè essere

14 Le informazioni relative al progetto denominato Freshlog contenute in questo paragrafo,

sono state fornite da alcune società promotrici dell’iniziativa (Interporto Campano, Magazzini Generali di Verona e Clerici Logistic Group), alle quali si rivolge un sentito ringraziamento per la collaborazione gentilmente data durante le attività di ricerca.

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sottoposta a processi di trasformazione industriale15, occupa per molti Paesi una posizione di particolare rilievo economico. In particolare, l’Italia è il secondo produttore ortofrutticolo europeo (superata dalla Spagna nel corso del 1999) e terzo al mondo dopo gli Stati Uniti; il business in questione nel 1998 ha prodotto circa 9 milioni di euro, pari al 26% della produzione lorda vendibile agricola italiana nel suo complesso, e rappresenta il primo settore agricolo del Paese, con alcune specialità (mele, pere, pesche, agrumi, patate, pomodori, nocciole) che da sole sviluppano quasi la metà della PLV nazionale di ortofrutta, in gran parte concentrata nelle regioni del Centro-Sud. Ciò nonostante, negli ultimi anni si è avuta una crescita consistente delle importazioni, ed in special modo di quelle provenienti dalla Spagna e dall’America Latina (rispettivamente da 79.000 a 114.000 e da 441.000 a 477.000 tonnellate dal ‘94 al ‘98; fonte: Istituto Tagliacarne), ed in futuro sarà verosimilmente il bacino del Mediterraneo a dare il maggiore contributo allo sviluppo dei traffici internazionali, con riferimento sia alle più semplici operazioni di transito sia alle attività di produzione vere e proprie16.

In Italia i mercati all’ingrosso concentrano circa il 30% della vendita complessiva di prodotti ortofrutticoli (Pilotti, 1987), che in altri Paesi europei (Germania, Olanda e Inghilterra) raggiunge quote ben più consistenti grazie alla presenza sul territorio di strutture moderne, localizzate in prossimità di nodi logistici integrati, capaci di soddisfare le richieste delle imprese commerciali più evolute (Pellegrini, 1987), particolarmente esigenti sul piano della continuità nelle forniture, dell’uniformità delle qualità, della stabilità dei prezzi. In molti mercati italiani, infatti, specie al Sud, il prodotto viene sottoposto soltanto a semplice condizionamento refrigerato, per essere poi rapidamente consegnato ad operatori specializzati, sovente localizzati molto lontano dalle zone di produzione, in grado di gestire professionalmente le attività di selezione, calibratura, confezionamento e trasporto, con gravi conseguenze negative sulla produzione di valore aggiunto e sulla “brand awareness” della regione di provenienza delle merci, di cui in buona sostanza si finisce per perdere traccia (Ersac, 2000).

5.1 Il progetto “Freshlog”.

Al termine Freshlog corrisponde un progetto17 pensato per dar vita ad una catena

15 Le lavorazioni cui sono sottoposti i prodotti in questione immediatamente dopo la

materiale attività di raccolta dal campo, consistono essenzialmente in operazioni di selezione, lavaggio, calibratura e confezionamento, tradizionalmente gestite all’interno delle imprese agricole, che sempre più spesso vengono delegate ad operatori specializzati, meglio “attrezzati” per avere rapporti con i grandi succursalisti del grocery (Vona, 1998) e per “fasare” la produzione agricola con i mutamenti del mercato.

16 Attualmente, due terzi delle importazioni ortofrutticole italiane provengono da Paesi europei (24% Spagna, 19% Francia, 24% altri UE), così come oltre l’80% delle esportazioni nazionali è destinato a mercati continentali (46% Germania, 11% Francia, 26% altri UE).

17 L’iniziativa Freshlog è stata anche oggetto di una domanda di finanziamento a valere sui fondi della Comunità Europea destinati allo sviluppo di progetti pilota nel settore della

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logistica dedicata alla razionalizzazione e allo sviluppo dei flussi distributivi di prodotti ortofrutticoli deperibili originati e collocati nell’area meridionale dell’Europa. L’idea alla base di questa iniziativa scaturisce dalle “anomalie” che oggi caratterizzano il mercato e i percorsi fisici delle merci cosiddette fresche ed in particolare i sistemi di approvvigionamento e distribuzione. Più in dettaglio, i promotori di Freshlog18 si sono posti i seguenti obiettivi:

- bilanciamento dei flussi logistici di alimentazione dei mercati di consumo; - supporti logistici innovativi ed efficienti ai processi di valorizzazione della

produzione ortofrutticola italiana; - incanalamento dei flussi logistici dei prodotti ortofrutticoli verso la portualità

italiana; - riequilibrio tra le modalità di trasporto a favore delle opzioni a minore impatto

sociale ed ambientale; - migliore utilizzo delle potenzialità infrastrutturali e professionali del territorio.

In sintesi, si vuole proporre un’alternativa ai porti del Northern Range per i

traffici transoceanici di provenienza americana ed asiatica, costruendo rapporti

logistica e del trasporto combinato (PACT), di cui però non si conosce l’esito del procedimento istruttorio. Ci è stato riferito, invece, che, al momento, all’idea di business, seppur definita nei suoi aspetti concettuali ed istituzionali, non è seguito ancora né un piano esecutivo, con tutti i relativi dettagli economici e finanziari riferiti alle attività operative da porre in essere, né una vera e propria fase implementativa con delle ipotesi in ordine ai tempi di attuazione del progetto.

18 Partner dell’iniziativa sono: i Magazzini Generali di Verona, la cui sede operativa si trova presso uno dei terminal interportuali italiani di maggiore rilievo (Verona Quadrante Europa), punto focale di collegamenti ferroviari ad alto valore strategico per i prodotti deperibili; il gruppo logistico Clerici, specializzato nella gestione di terminal portuali dedicati allo stoccaggio e alla movimentazione di prodotti refrigerati (reefer); la società tedesca di trasporto combinato strada-rotaia BTZ, già da anni impegnata insieme ai Magazzini in attività di promozione e sviluppo di traffici di prodotti freschi tra Italia e Germania con base a Verona, mediante un sistema bimodale innovativo flessibile ed economico che utilizza oltre 200 veicoli stradali reefer direttamente trasformabili in vagoni ferroviari; la società di gestione dell’interporto di Nola, che costituisce un nodo logistico di rilevanza strategica nell’economia generale dell’iniziativa, in virtù della sua posizione geografica e delle sue dotazioni strutturali; l’ente che gestisce il mercato ortofrutticolo di Verona, diventato in questi anni uno dei principali punti di riferimento italiani per la concentrazione e commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli; il consorzio italiano di produttori di ortofrutta Conerpo; la società di consulenza di direzione Intistudio (associata Consiel); ed, infine, l’Autorità Portuale di Venezia, ente pubblico cui sono affidati i compiti di indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali e industriali esercitate nel porto di Venezia, che, per meglio rispondere alle esigenze di servizi logistici espresse dalla clientela portuale e per favorire l’utilizzo del trasporto ferroviario, ha promosso la costituzione di una società, denominata Servizi Ferroviari e Logistici, alla quale è stata affidata la gestione del servizio ferroviario svolto nel porto.

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istituzionalizzati di partnership tra operatori in possesso di kwow-how tecnico e commerciale specifico, che hanno scelto di concentrare i propri flussi nel distretto logistico di Verona; quest’ultimo, infatti, già da tempo si è accreditato sul mercato quale valida piattaforma di concentrazione e smistamento, per i bacini tedeschi di Monaco, Colonia ed Amburgo, di prodotti ortofrutticoli trasportati via ferrovia mediante “relazioni” a cadenza regolare.

Con l’implementazione del progetto si mira a dar vita ad un nuovo soggetto imprenditoriale dotato di maggior potere contrattuale e delle risorse finanziarie e manageriali necessarie per avviare un dialogo paritetico con tutti gli operatori coinvolti nelle attività logistiche di supporto alla distribuzione fisica di prodotti agro-alimentari non trasformati, assumendo la veste professionale di integratore (general contractor) di segmenti di operation ad elevato contenuto di specializzazione, unico responsabile nei confronti della clientela finale della qualità del servizio logistico fornito. L’obiettivo è, dunque, quello di rendere complementari le competenze e le strutture dei singoli partner in modo da sviluppare sinergie ed efficienza nell’àmbito del processo distributivo delle merceologie alimentari “fresche” di produzione agricola.

Il perno territoriale del progetto è il Veneto, che d’altronde ospita la maggioranza

delle sedi operative dei promotori dell’iniziativa, con le relative dotazioni infrastrutturali. A tal riguardo, bisogna sottolineare che la collocazione geopolitica di questa regione ha favorito lo sviluppo in questa parte del Paese di importanti traffici commerciali a scala sia nazionale sia internazionale. Il Veneto, infatti, è ben collegato con il sistema dei trasporti europeo19 e, pertanto, risulta particolarmente adatto per costruire un sistema a rete finalizzato ad assumere una posizione di rilievo nel business distributivo dell’ortofrutta, puntando soprattutto sui volumi prodotti dalle regioni meridionali dell’Europa, e cercando di valorizzare al meglio le risorse (infrastrutturali, tecnologiche, finanziarie) e le competenze gestionali sia dei partner di Freshlog sia - mediante accordi ed alleanze su progetti specifici - di altri importanti operatori logistici e commerciali complementari o comunque sinergici all’iniziativa.

L’iniziativa sul piano operativo potrà fare leva sulla tecnologia utilizzata da BTZ per i trasporti refrigerati, che costituisce senza dubbio un’innovazione rilevante rispetto alle soluzioni adottate dalla maggioranza degli operatori europei. La possibilità di trasformare con estrema semplicità e velocità i semitrailer stradali in vagoni ferroviari e viceversa, permette di ottenere sia i vantaggi in termini di

19 Difatti, il Veneto fornisce risorse strategiche al corridoio adriatico, che connette a Sud le

regioni del Mediterraneo centro orientale ed il “Far East” mediante i porti hub di Gioia Tauro e Taranto, a Nord i Paesi dell’Europa centrale, attraverso il valico del Brennero, e a Nord-Est i paesi dell’Est europeo via valico di Tarvisio e via Villa Opicina; alla direttrice che dai porti della Spagna, passando per la Francia meridionale attraversa l’Alto Tirreno e l’Alto Adriatico; alla linea che, transitando per Trieste e Tarvisio, mette in collegamento la costa atlantica dell’Europa ed i Paesi dell’Est; ed, infine, al corridoio che utilizza la portualità albanese e greca per connettere i Balcani al Mar Nero.

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flessibilità e capillarità del trasporto su strada nelle consegne minute e disperse sul territorio sia gli spunti di efficienza della ferrovia per i carichi e le percorrenze rispettivamente di maggiore entità e lunghezza. Il sistema bimodale, inoltre, rispetto al combinato strada-ferrovia tradizionale, oltre a ridurre le rotture di carico, con evidenti economie sul versante dei costi delle operation terminalistiche, rende disponibile capacità di carico aggiuntiva a parità di numero di “vagoni ferroviari” impiegati, in quanto le particolari caratteristiche delle unità di carico eliminano la necessità di materiale rotabile di supporto. Il parco veicoli di BTZ rappresenta un apporto tecnologico prezioso per il sistema logistico che Freshlog intende creare, considerate le carenze (di mezzi, di relazioni e di volumi di attività) degli operatori ferroviari tradizionali nel particolare segmento del trasporto di prodotti deperibili, di fatto rassegnati di fronte ai plus competitivi “classici” (rapidità, flessibilità, capillarità) del tutto strada.

In sostanza, si mira a diminuire l’utilizzo del trasporto su strada nelle importazioni di prodotti agro-alimentari “freschi” dall’America meridionale destinate in gran parte alle regioni del Centro Europa e del Nord Italia, che solitamente transitano attraverso i porti del Northern Range (Rotterdam, Amburgo, Brema). Si parte dalla semplice constatazione che la distanza tra Amburgo (o Rotterdam) e Verona è all’incirca 2.000 Km, mentre quella tra Venezia e Verona supera a malapena i 100 Km; il confronto evidenzia differenze meno eclatanti, ma comunque significative quando si misurano le distanze tra Amburgo (o Rotterdam) e Monaco di Baviera (circa 800 Km), e tra Venezia (o Verona) e Monaco di Baviera (poco più di 500 Km). Per concretizzare questi vantaggi potenziali di natura territoriale i partner di Freshlog hanno deciso di puntare sulle strutture portuali di Genova e Verona, per “catturare” anche i flussi di traffico provenienti via mare dall’Est europeo, dal Far East e dalla Grecia, dando invece all’Interporto di Nola il compito di presidiare e gestire i volumi prodotti nel Mezzogiorno e quelli sviluppati dal collegamento ferroviario con l’hub portuale di Gioia Tauro (Ottimo, Vona, 2001, pp. 272-357).

5.2 L’esperienza “Chronofroid”

Chronofroid è stata concepita dalle Ferrovie francesi, che hanno sentito la

necessità di creare una nuova entità, autonoma sul piano gestionale, per cogliere nel modo più efficace le opportunità presentate dal mercato per le spedizioni door to door di ortofrutta e di prodotti alimentari deperibili; pertanto, il suo core business è stato circoscritto alla produzione di servizi di trasporto e stoccaggio a temperatura controllata incentrati sull’intermodalità strada-ferrovia, specie per le percorrenze più lunghe. L’iniziativa può essere senz’altro considerata un esempio concreto particolarmente significativo di network, nell’àmbito del quale strutture logistiche di concentrazione e smistamento localizzate a Nord della Francia in aree territoriali ad elevata intensità di consumo di ortofrutta (Paris e Lille) vengono alimentate da hub a vocazione essenzialmente produttiva (Lyon, Nancy, Avignon, Perpignan, Tolouse) presenti a Sud del Paese che, a loro volta, diventano luoghi di destinazione finale di

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beni deperibili realizzati dall’industria alimentare di trasformazione del Nord. Più in dettaglio, Chronofroid si era attrezzata per convogliare le merci appena

raccolte “dal campo” presso le proprie piattaforme intermodali più vicine, sottoporle ad operazioni di magazzinaggio condizionato e, successivamente, spedirle mediante appositi treni “bloccati” ai poli distributivi per la preparazione e la consegna a destinazione. Tutto ciò affidando il trasporto su strada ad imprese di trasporto esterne, che, fatta eccezione per i lavori più minuti, dovevano mettere a disposizione del sistema solo il proprio “parco motrici”, in quanto le unità di carico (essenzialmente casse mobili reefer) dovevano essere di proprietà Chronofroid (20).

Dal punto di vista manageriale, per riuscire ad ottenere performance in linea con le attese del mercato, la società ha dovuto risolvere numerosi problemi legati a fenomeni strutturali quali la stagionalità della produzione e dei consumi di prodotti ortofrutticoli e lo sbilanciamento nei flussi di traffico lungo le direttrici Nord-Sud del Paese21. A tal riguardo, si è puntato alla differenziazione della politica tariffaria in funzione della natura del carico e della sua destinazione, e al warehousing di prodotti agricoli per fronteggiarne la domanda “fuori stagione”; anche se la penetrazione e il successivo consolidamento dell’iniziativa nel mercato si devono essenzialmente al pricing particolarmente aggressivo adottato da Chronofroid per attrarre segmenti di clientela normalmente serviti dal “tutto strada”, avversario molto difficile da affrontare e combattere sul terreno della puntualità e della flessibilità, dove da sempre è leader incontrastato. Anche se, va detto, l’impresa ha potuto godere del sostegno tecnico (apporto di piazzali, terminal intermodali, attrezzature di movimentazione e know-how di gestione), economico (tariffe di favore nella fase di lancio del servizio) e finanziario (cash-flow disponibile per il potenziamento dei mezzi e delle strutture di supporto al business del reefer) delle Ferrovie francesi, che hanno consentito alla loro partecipata di essere immediatamente competitiva già dalle fasi di start up sotto la “copertura” totale dal rischio scioperi e ritardi in generale.

E’ intuibile, dunque, che l’esperienza Chronofroid potrebbe essere un punto di

riferimento da seguire qualora ad esempio l’idea Freshlog, le cui linee generali sono state descritte in precedenza, dovesse passare dal momento progettuale a quello attuativo. L’hub intermodale di Nola potrebbe giocare un ruolo di grande importanza, diventando sia polo di concentrazione per le produzioni ortofrutticole

20 Per avere un’idea dei volumi di attività prodotti dall’iniziativa, il centro di Avignone in

poco tempo è riuscito da solo a gestire circa 80 casse mobili al giorno tra arrivi e partenze, utilizzando 26 motrici (in c/terzi) per la raccolta e la distribuzione dei carichi. Sempre tramite l’hub di Avignone si potevano spedire 35 casse mobili al giorno di prodotti freschi verso le strutture di Parigi e Lille formando 5 treni quotidiani (per 6 giorni a settimana) per un totale medio di 900 tonnellate al giorno. Il range di carico di una cassa mobile oscilla tra le 17 e le 26 tonnellate.

21 Flussi regolari con prevalenza di merci ad elevato valore aggiunto da Nord a Sud; viceversa, nel tragitto opposto, maggiori oscillazioni nei carichi trasportati, composti generalmente da prodotti più poveri.

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del Mezzogiorno destinate alle piazze italiane ed estere servite dalla logistica veronese sia terminal naturale per lo smistamento delle merci industriali deperibili provenienti dalle industrie del Nord e dirette ai mercati meridionali, favorendo l’impiego del vettore ferroviario in competizione con l’autotrasporto. Freshlog, infatti, attraverso i due partner di matrice interportuale può contare sulle dotazioni di spazio e di attrezzature necessarie per una movimentazione efficiente, regolare, veloce e puntuale delle casse mobili e di altri analoghe “tecnologie” trasportistiche adatte al business della logistica dei prodotti deperibili; ciò non di meno, la componente trasporto, ed in particolare la vezione ferroviaria, pur avendo senza dubbio una valenza strategica, va integrata con la produzione di servizi di supporto al ciclo di raccolta, magazzinaggio, condizionamento e “lavorazione” delle merci deperibili, che deve vedere la partecipazione attiva di operatori specializzati in grado di sviluppare politiche commerciali e “industriali” in linea con gli standard richiesti dal mercato.

6. Considerazioni conclusive In conclusione, non si può non riconoscere agli hub logistici una funzione

essenziale nell’àmbito dei processi di razionalizzazione dei flussi di trasporto; né si può pensare che operatori del settore di livello internazionale possano dar vita ad un’efficace strategia di sviluppo ignorando i principali poli di consolidamento/smistamento di traffico esistenti nei bacini di loro interesse. La disponibilità di elevate dotazioni infrastrutturali e di attrezzature, però, di per sé rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente per poter operare sul mercato. In sostanza, bisognerà affidare la gestione di questi asset ad imprese capaci di valorizzarli al meglio. In futuro, infatti, la competizione nel cargo business continuerà a crescere, rendendo la sopravvivenza e lo sviluppo un obiettivo percorribile soltanto dalle migliori energie imprenditoriali; da coloro che sapranno mettere a frutto il consistente capitale infrastrutturale ed umano di cui dispone il territorio, conquistando, in tal modo, un ruolo ed uno spazio di mercato adeguati rispetto alle capacità “messe in campo”. Soltanto partendo dall’integrazione delle intelligenze e dei saperi e non dalla semplice sommatoria delle “macchine”, è possibile incamminarsi sul sentiero impervio, ma ineluttabile, della cooperazione, alla ricerca di un vantaggio competitivo di sistema concretamente percepibile dalla clientela potenziale.

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