O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

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1. Introduzione 1.1 Le specie attivate dell’ossigeno e lo stress ossidativo L’ossigeno, pur essendo assolutamente necessario per la vita degli organismi aerobi, si dimostra tossico quando la sua concentrazione supera anche di poco quella presente nell’aria atmosferica. Di per sé l’ossigeno non è tossico, poiché è scarsamente reattivo, ma lo diventa a causa dei vari intermedi di riduzione molto più reattivi dell’ossigeno molecolare. L’ossigeno nel suo stato fondamentale (stato di tripletto) contiene due elettroni spaiati e sistemati in orbitali diversi, quindi è un diradicale e possiede proprietà paramagnetiche. I due elettroni spaiati dell’ossigeno, avendo spin paralleli, formano una barriera all’inserimento di coppie di elettroni nella molecola di ossigeno in quanto, per il principio di esclusione di Pauli, un orbitale può contenere al massimo due elettroni aventi spin antiparalleli (Bindoli e Cavallini, 1980). La restrizione di spin può essere superata mediante l’aggiunta di un elettrone alla volta all’ossigeno molecolare. La completa riduzione dell’ossigeno ad acqua nella catena respiratoria richiede 4 elettroni. Questo processo si realizza mediante tappe

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1. Introduzione

1.1 Le specie attivate dell’ossigeno e lo stress ossidativo

L’ossigeno, pur essendo assolutamente necessario per la vita degli

organismi aerobi, si dimostra tossico quando la sua concentrazione

supera anche di poco quella presente nell’aria atmosferica. Di per sé

l’ossigeno non è tossico, poiché è scarsamente reattivo, ma lo diventa

a causa dei vari intermedi di riduzione molto più reattivi dell’ossigeno

molecolare.

L’ossigeno nel suo stato fondamentale (stato di tripletto) contiene due

elettroni spaiati e sistemati in orbitali diversi, quindi è un diradicale e

possiede proprietà paramagnetiche. I due elettroni spaiati

dell’ossigeno, avendo spin paralleli, formano una barriera

all’inserimento di coppie di elettroni nella molecola di ossigeno in

quanto, per il principio di esclusione di Pauli, un orbitale può

contenere al massimo due elettroni aventi spin antiparalleli (Bindoli e

Cavallini, 1980). La restrizione di spin può essere superata mediante

l’aggiunta di un elettrone alla volta all’ossigeno molecolare.

La completa riduzione dell’ossigeno ad acqua nella catena respiratoria

richiede 4 elettroni. Questo processo si realizza mediante tappe

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successive di un solo elettrone ed in questo caso si formano 3

intermedi: il radicale anione superossido, (O2.-), l’acqua ossigenata

(H2O2) ed il radicale idrossile (OH.). Inoltre, lo spin di un elettrone

dell’ossigeno molecolare può essere invertito con la conseguente

conversione dell’ossigeno tripletto allo stato attivato di singoletto.

Queste sono le cosiddette “specie attivate dell’ossigeno” (ROS).

L’ossigeno ridotto univalentemente, detto anione superossido,

subisce una reazione di ossido-riduzione intermolecolare

(dismutazione) dipendente dal pH, la quale è rapida in soluzioni acide,

è ancora più veloce in soluzioni debolmente acide, mentre diventa

progressivamente più lenta mano a mano che il pH cresce sopra 4,8, a

causa della repulsione elettrostatica tra cariche uguali. Il superossido

può comportarsi sia da agente riducente, trasformandosi in ossigeno

molecolare:

X + O2.- + H+ → XH + O2

oppure da ossidante, formando acqua ossigenata:

YH + O2.- + H+ → Y. + H2O2

Il superossido può formarsi nell’autoossidazione spontanea di flavine

ridotte, idrochinoni, ferredossina ridotta, glutatione ridotto,

catecolamine, tetraidropterina, rubredossina, emoproteine ridotte.

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Parecchi enzimi ossidativi producono superossido, oppure nei

leucociti fagocitanti e nelle catene trasportatrici di elettroni

mitocondriale e microsomiale, e nei cloroplasti illuminati.

Il superossido reagisce con proteine, lipidi, polisaccaridi e acidi

nucleici; la sua tossicità dipende soprattutto dalla sua interazione con

l’acqua ossigenata (reazione di Haber-Weiss), formata dalla sua

stessa dismutazione; in questo modo si genera il radicale idrossile, che

è una specie estremamente ossidante:

O2.- + H2O2 → OH- + OH. + O2

Il radicale idrossile si genera anche nella radiolisi dell’acqua:

H2O → H2O+. + e-

H2O+. → H+ + OH.

La sua estrema reattività fa sì che esso venga praticamente eliminato

nel suo stesso sito di formazione in quanto è probabile che reagisca

con la prima molecola che incontra, prima ancora di avere il tempo di

diffondere nel mezzo circostante.

Sebbene la reazione di Haber-Weiss non proceda a velocità

significative, è stato però osservato che l’aggiunta di complessi

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metallici (es. Fe 3+ chelato con EDTA) ad un sistema che produce

superossido accelera la formazione del radicale idrossile (reazione di

Fenton):

H2O2+ Fe2+ → OH. + OH- + Fe3+

L’acqua ossigenata, H2O2, è il più stabile degli intermedi della

riduzione dell’ossigeno e può essere generata direttamente mediante

riduzione bivalente dell’ossigeno:

O2 + 2e- + 2H+ → H2O2

oppure indirettamente mediante riduzione univalente dell’ossigeno a

superossido seguita da dismutazione:

O2.- + O2

.- +2H+ → H2O2+ O2

Nelle cellule si forma come prodotto primario della riduzione

dell’ossigeno da parte di numerose ossidasi, la maggior parte delle

quali localizzata nei perossisomi, che utilizzano l’ossigeno

trasformandolo in acqua ossigenata, mentre quest’ultima viene

successivamente ridotta ad acqua dalla catalasi:

O2→ OSSIDASI → H2O2 → CATALASI → H2O

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Altri enzimi che producono acqua ossigenata, ma non presenti nei

perossisomi, sono la xantina ossidasi, le monoamino ossidasi del

fegato e la glucosio ossidasi dei funghi.

L’acqua ossigenata causa l’ossidazione di numerose sostanze, tra cui i

composti sulfidrilici e i residui metionilici delle proteine. È tossica

soprattutto in quanto può generare il radicale idrossile mediante

reazione con il superossido (reazione di Haber-Weiss) o con ioni

ferrosi (reazione di Fenton).

Infine, lo spin di un elettrone dell’ossigeno tripletto può essere

invertito con la formazione dello stato attivato di ossigeno singoletto

che è molto più reattivo dello stato fondamentale. In questo caso i due

elettroni, sia che si trovino nello stesso orbitale, sia che si trovino in

orbitali differenti, presentano spin antiparalleli.

Nei sistemi biologici l’ossigeno singoletto può formarsi per

dismutazione spontanea dell’anione superossido, oppure per

interazione di quest’ultimo con il radicale idrossile o con l’acqua

ossigenata (reazione di Haber-Weiss). L’ossigeno singoletto può

formarsi durante il processo di perossidazione lipidica, in cui i radicali

perossilici intermedi reagiscono tra loro formando un tetrossido che,

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decomponendosi, produce, oltre ad un composto carbonilico e ad un

alcool, ossigeno singoletto.

L’ossigeno singoletto, non avendo nessuna restrizione di spin, è in

grado di reagire con diversi composti di notevole interesse biologico.

A livello di acidi grassi poliinsaturi e del colesterolo causa la

formazione degli idroperossidi, promuovendo il processo di

perossidazione lipidica, con conseguente danneggiamento

dell’integrità della struttura delle membrane cellulari.

L’ossigeno singoletto, pur non essendo in grado di rompere il legame

carboamidico o disolfurico è in grado di interagire con numerosi

amminoacidi: metionina, istidina, triptofano, tirosina e cisteina. Le

basi puriniche e pirimidiniche degli acidi nucleici vengono ossidate

dall’ossigeno singoletto con conseguente apertura dell’anello.

Per quanto illustrato sopra, l’ossigeno, che è indispensabile per

mantenere la vita, diventa paradossalmente anche la più importante

fonte di produzione di radicali liberi, che possono danneggiare le

strutture biologiche, ed in particolare:

1. I lipidi delle membrane cellulari, con alterazioni funzionali delle

cellule e di conseguenza, dei tessuti di appartenenza.

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2. Le lipoproteine a bassa densità (LDL), di conseguenza

inducendo lo sviluppo e la progressione delle lesioni

arterosclerotiche e quindi delle malattie cardio-vascolari.

3. Gli acidi nucleici (DNA ed RNA), con conseguente

danneggiamento del materiale genetico.

4. Le proteine, sia quelle strutturali (acido ialuronico, collagene,

etc.) che quelle regolatorie (enzimi, ormoni, emoglobina,

nucleoproteine, etc.), con conseguenti danni strutturali e

funzionali della cellula.

Occorre infine sottolineare che i radicali liberi, oltre ad essere spesso

estremamente reattivi, sono capaci di dar luogo a “reazioni a catena”,

cioè reazioni che implicano una serie di passaggi, ciascuno dei quali

forma un radicale libero che innesca il passaggio successivo: ciò

potenzia enormemente la loro capacità di danno biologico. Nelle

catene di reazioni radicaliche sono coinvolte tre fasi: inizio,

propagazione e terminazione. Nella prima fase (inizio della catena)

viene assorbita energia che porta alla formazione della particella

reattiva. La seconda fase, o di propagazione della catena, è

caratterizzata da reazioni in ciascuna delle quali si consuma un

radicale libero e se ne forma un altro, per cui si ha la conversione dei

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reagenti a prodotti senza consumo netto di radicali. Infine nei passaggi

di terminazione della catena i radicali liberi vengono consumati senza

che se ne formino degli altri (Bindoli e Cavallini, 1980).

1.2 Difese antiossidanti contro le specie reattive dell’ossigeno

Per quanto visto sopra, è quindi importante che nell'organismo sia

sotto controllo la produzione e la reattività dei radicali liberi, ed infatti

gli organismi aerobi hanno sviluppato, fin da fasi molto precoci

dell’evoluzione, vari sistemi difensivi per proteggersi dalla

reattività dei radicali liberi, sia di natura enzimatica che di natura non

enzimatica. Viene definita come “stress ossidativo” la condizione

nella quale, per una insufficienza delle difese antiossidanti o per una

eccessiva produzione di radicali, la cellula subisce l’attacco delle

specie ossidanti ai propri costituenti.

1.2.1 Meccanismi di difesa enzimatici

Sebbene numerosissimi enzimi siano coinvolti in modo diretto od

indiretto nella difesa della cellula contro il danno ossidativo, possono

essere assunti come esempi di enzimi chiave nella difesa antiossidante

la catalasi, la superossido dismutasi (SOD) e la glutatione perossidasi.

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La catalasi è una cromoproteina di PM 250.000 contenente 4 gruppi

eme con il ferro trivalente. Possiede una velocità di turnover altissima

(44.000 moli di H2O2 per secondo per mole di enzima), che previene

l’accumulo cellulare di H2O2. La catalasi demolisce l’H2O2

utilizzandone due molecole, di cui una funge da substrato riducente e

l’altra da accettore di elettroni:

2 H2O2 → 2 H2O + O2

Questo meccanismo è simile a quello descritto per le perossidasi, in

cui, al posto di una molecola di H2O2, vi è un substrato ridotto che

fornisce gli equivalenti riducenti per la formazione dell’H2O.

La GSH perossidasi è in grado di eliminare sia l’H2O2 sia gli

idroperossidi organici, utilizzando come cofattore il GSH ridotto.

2 GSH + H2O2 → GSSG + 2 H2O

2 GSH + ROOH → ROH + GSSG + H2O

Il glutatione ossidato (GSSG) è poi ripristinato a GSH ad opera di un

altro enzima, la glutatione redattasi NADPH dipendente:

GSSG + NADPH + H+ → 2 GSH + NADP+

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Il NADPH proviene dalla ossidazione del glucosio 6-P ad opera della

glucosio 6-P-deidrogenasi.

La superossido dismutasi (SOD) ha la capacità di trasformare l’O2.- in

H2O2 e O2:

O2.- + O2

.- + 2H+ → H2O2 + O2

Questa reazione è simile a quella della dismutazione spontanea del

superossido, però in questo caso non si forma l’ossigeno singoletto,

tossico, ma l’O2 nello stato fondamentale di tripletto. La superossido

dismutasi, la catalasi e le perossidasi, mantenendo basse le

concentrazioni rispettivamente di superossido e di acqua ossigenata,

minimizzano la reazione di Haber-Weiss. Questi enzimi perciò

costituiscono la prima linea di difesa contro la tossicità dell’ossigeno

(Bindoli e Cavallini, 1980).

1.2.2 Difese antiossidanti non enzimatiche

I sistemi antiossidanti non enzimatici sono costituiti da molecole, dette

“scavenger”, tra cui l’acido ascorbico, la vitamina E o i composti

tiolici, che, interagendo direttamente con le specie attivate

dell’ossigeno, ne prevengono l’azione deleteria su altri componenti

cellulari.

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I tocoferoli, tra cui il maggiormente attivo è l’alfa-tocoferolo

(vitamina E), sono dei donatori reversibili di idrogeno in processi

coinvolgenti radicali liberi, trasformandosi a loro volta in una specie

radicalica, il radicale tocoferile (TO.), che può interagire con qualsiasi

radicale libero ossidandosi, oppure convertendosi in idroperossido in

presenza di ossigeno e di un donatore di idrogeno. Quest’ultima

reazione si verifica raramente in vivo grazie all’intervento di agenti

riducenti, come il GSH e l’acido ascorbico. La vitamina E e gli altri

tocoferoli inoltre posseggono un’azione detossificante nei confronti

dell’ossigeno singoletto. La vitamina E può reagire con l’ossigeno

singoletto, formando un idroperossidienone, il quale successivamente

si decompone in vari sottoprodotti. Oppure, in un secondo processo,

(“quenching”), che è quello predominante, la vitamina E, come fanno

anche i carotenoidi presenti nei vegetali, è in grado di deattivare

l’ossigeno singoletto senza subire modifiche ad una velocità

estremamente elevata, per cui si tratta di un processo limitato solo

dalla diffusione.

L’acido ascorbico, o vitamina C, svolge un’azione di “scavenging” nei

confronti di un’ampia varietà di agenti ossidanti e la sua forma

ossidata ( acido didroasorbico) viene di nuovo ridotta ad acido

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ascorbico grazie all’enzima deidroascorbato reduttasi, che utilizza

come cofattore il GSH. L’acido ascorbico, ossidandosi ad acido

deidroascorbico, funziona da efficace agente riducente, ristabilendo la

forma ridotta e attiva di altri composti antiossidanti.

Anche i composti tiolici, grazie al gruppo sulfidrilico (-SH), sono in

grado di proteggere la cellula dalle specie reattive dell’ossigeno,

interagendo direttamente con esse:

O2.- + R-SH + H+ → R-S. + H2O2

H2O2 + 2R-SH → 2 H2O + 2 R-S

OH. + R-SH → R-S. + H2O

oppure con le altre specie radicaliche da queste generate. In queste

reazioni si originano i tiol-radicali, anch’esse specie molto reattive,

che la cellula cerca di neutralizzare mediante una reazione di

dimerizzazione con formazione del disolfuro corrispondente:

R-S. + R-S. → R-SS-R

I disolfuri in seguito possono essere ridotti allo stato di tiolo dai vari

sistemi reduttasici della cellula.

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1.3 Il glutatione

Il glutatione è un tripeptide contenente un gruppo sulfidrilico (γ-

glutammil – L- cisteinilglicina), costituito da 3 amminoacidi, l’acido

glutammico, la cisteina e la glicina. La sintesi del GSH avviene nella

cellula mediante due reazioni ATP-dipendenti, la prima delle quali è

catalizzata dall’enzima γ-glutammilcisteina sintetasi, che porta alla

formazione di γ-glutammilcisteina a partire da glutammato e cisteina.

Nella seconda reazione, catalizzata dall’enzima glutatione sintetasi, si

realizza la formazione dell’ulteriore legame peptidico con la glicina,

che porta alla costituzione definitiva del glutatione (Meister, 1974).

Nel GSH i residui di acido glutammico (Glu) e di cisteina (Cys) non

sono uniti da un normale legame peptidico, infatti è il gruppo

carbossilico (-COOH) sul carbonio γ del Glu ad essere legato al

gruppo amminico (-NH2) sul carbonio α della Cys.

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Questa caratteristica rende il GSH resistente alle peptidasi, ma non

alla γ- glutammil-transpeptidasi (GGT), capace di idrolizzare il

legame γ- glutammilico o di trasferire la porzione γ- glutammilica su

un amminoacido accettore o su un dipeptide.

Poiché la GGT è una proteina della membrana cellulare, ed il suo sito

catalitico è rivolto verso l’esterno della cellula (Griffith & Meister,

1979), il suo ruolo fisiologico sembra essere quello di facilitare la

formazione extracellulare di γ- glutammil-amminoacidi (Tate &

Meister, 1974). Il γ-glutamil amminoacido viene convertito in 5-

oxoprolina e amminoacido libero dall’enzima γ-glutammil

ciclotransferasi. La 5-oxoprolina, tramite una reazione ATP-

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dipendente, catalizzata dall’enzima 5-oxoprolinasi, viene scissa a dare

glutammato.

Dunque, nell’ambito del metabolismo del GSH, la GGT è

responsabile della scissione della porzione γ-glutammilica del

tripeptide con liberazione di γ-glutammato e cisteinil-glicina.

Quest’ultima è poi scissa a sua volta in cisteina e glicina dalla

cisteinilglicinasi. Questi due amminoacidi possono essere utilizzati

dalla cellula in vario modo o reinseriti nel ciclo di degradazione e

sintesi del glutatione.

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La concentrazione del GSH nelle cellule di mammifero è dell’ordine

delle millimoli (5-10 mmoli /litro ) nell’ambiente intracellulare,

mentre scende scende all’ordine di grandezza delle micromoli (5-10

µmoli/litro ) nell’ambiente extracellulare.

La funzionalità del GSH è condizionata dall’equilibrio tra la sua forma

ridotta (GSH) e la sua forma ossidata (GSSG), che deriva dall’unione

con un ponte disolfuro di due molecole di GSH. All’interno della

cellula il rapporto tra la forma ridotta e la forma ossidata in condizioni

normali è dell’ordine di 1:10/ 1:100 (Reed et al. 1983). La forma

ridotta possiede un gruppo sulfidrilico (SH), che può essere ossidato

da agenti elettrofili, fungendo quindi da bersaglio preferenziale a

difesa di strutture più critiche, quali i lipidi poliinsaturi delle

membrane cellulari, le proteine e gli acidi nucleici. Il GSSG che si

forma durante queste reazioni viene ridotto a GSH dall’enzima

glutatione reduttasi che, utilizzando come donatore di elettroni il

NADPH, riduce ogni molecola di GSSG a due molecole di GSH,

prevenendone in tal modo la perdita cellulare (Sagara et al., 1997).

Il GSH, inoltre, è utilizzato come cofattore da alcuni enzimi ad azione

protettiva all’interno della cellula, quali la glutatione perossidasi e la

glutatione transferasi.

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Il GSH partecipa attivamente ai processi di detossificazione nei

confronti di farmaci e di xenobiotici in generale, in quanto si comporta

sia da nucleofilo che da riducente, quindi reagendo con composti

elettrofili oppure ossidando molecole prima che queste interagiscano

con importanti componenti cellulari, come le proteine e gli acidi

nucleici (Pompella et al. 2003). Questa funzione del GSH viene

esplicata per mezzo di un’attività enzimatica, la glutatione transferasi,

che ha la funzione di coniugare il GSH intracellulare ai composti

“tossici” presenti all’interno della cellula. L’attività della GSH-

transferasi si pensa possa essere implicata nella risposta individuale ai

farmaci antitumorali, quindi nella resistenza nei confronti di

trattamenti chemioterapici ( Coles B. et al. 2003).

Il GSH inoltre è in grado di modificare lo stato redox delle proteine

cellulari, legandosi a residui di cisteina accessibili sulle suddette, in un

meccanismo noto come S- glutatiolazione. In questo modo il GSH

modula l’attività di una notevole varietà di proteine, tra cui

trasportatori e canali di membrana, proteine Kinasi e fosfatasi,

trasduttori e fattori di trascrizione, il che attribuisce al GSH un

importante ruolo fisiopatologico nella modulazione dell’espressione di

determinati geni (Sen CK. 1998). Alcuni target della S-glutatiolazione

è stato identificato essere proteine di membrana e citosoliche (Sies H.

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et al. 2002). La S-glutatiolazione può, infatti, interessare componenti

cellulari implicati nella trasduzione di segnali implicati nella

proliferazione cellulare, come H-ras (Mallis RJ et al. 2001), la chinasi

p59 delle cellule T (Hehner FP et al. 2000), la fosfatasi PTP1B

(Barrett WC et al. 1999), c-jun (Klatt P. et al. 1999), NF-Kb/p50

(Pineda-Molina E. et al. 2001), e la caspasi 3, implicata nei processi

apoptotici (Davis DA, et al. 1997). I residui di cisteina, presenti sul

dominio di legame al DNA di p53 possono subire modificazioni

derivanti dall’ossidazione, con effetti specifici sulla capacità di legare

il DNA (Parks D. et al. 1997).

1.3.1 Azione pro-ossidante della gamma-glutamiltranseptidasi

In presenza di GGT, il GSH è stato dimostrato poter giocare, insieme

al suo ruolo antiossidante, un ruolo pro-ossidante, portando alla

produzione di radicali liberi, specie reattive dell’ossigeno e causando

conseguenze che vanno fino all’ossidazione delle proteine ed alla

perossidazione dei lipidi poiinsaturi della membrana plasmatica.

Questi eventi, che possono innescarsi esclusivamente all’esterno della

membrana plasmatica, ma le cui conseguenze si ripercuotono su tutta

la cellula, sono basati sulla capacità dei tioli, quali il GSH, ma anche i

prodotti derivanti dalla sua idrolisi da parte della GGT (Cys-Gly e

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Cys), di interagire con i metalli di transizione, ed in particolare con il

Fe3+ (Stark et al. 1993). Infatti, la dissociazione del gruppo tiolico SH

ad anione tiolato S- consente la cessione da parte di quest’ultimo di un

elettrone al Fe3+, che viene ridotto a Fe2+, dando luogo

contemporaneamente alla formazione di un radicale tiile S. (Paolicchi

et al. 2003). Il radicale tiile ed il Fe2+ sono in grado di innescare una

cascata di eventi che portano alla produzione di anione superossido e

quindi di acqua ossigenata nella reazione catalizzata dall’enzima

superossido dismutasi. L’anione superossido e l’acqua ossigenata, in

presenza di Fe3+, chelato dall’ADP (reazione di Haber-Weiss

catalizzata da metalli) o libero (reazione di Fenton), generano radicali

idrossili, i quali, insieme al radicale tiile, possono dare inizio alle

reazioni a catena della perossidazione lipidica, con conseguente

perdita della struttura e della stabilità della membrana cellulare,

nonché delle sue importanti funzioni (Zalit et al., 1996). Tutti questi

fenomeni, avvenendo all’esterno della cellula, sono al di fuori della

portata dei sistemi di difesa antiossidanti in essa contenuti ( Maellaro

et al. 2002).

Non tutti i tioli però hanno la stessa capacità di interagire con il Fe3+,

che nei tessuti biologici si trova legato a chelanti fisiologici, quali

transferrina, ADP, citrato. Il GSH sarebbe di per sé un riducente del

Page 20: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

complesso ADP-Fe3+, ma la riduzione è limitata dal gruppo α-

carbossilico dell’acido glutammico, la cui azione chelante è in grado

di bloccare l’interazione tra SH e Fe3+. La presenza della GGT sul lato

esterno della membrana plasmatica però , consentendo la rimozione

del residuo di glutammato dal GSH, permette l’avvio degli eventi

ossidativi dovuti all’interazione tra il Fe3+ ed il tiolo del residuo di

cisteina (Paolicchi et al., 1999).

Essendo inoltre la cisteinilglicina, derivata dall’attività della GGT, un

agente nucleofilo molto più attivo del GSH, ed essendo in grado di

coniugarsi a composti elettrofili, le cellule esprimenti alti livelli di

GGT sulla loro superficie esterna sono in grado di attuare una sorta di

“detossificazione extracellulare” delle molecole elettrofile (Pompella

et al.2003).

Gli eventi ossidativi extracellulari dipendenti dall’interazione tra GGT

e GSH partecipano ad una serie di fenomeni di notevole interesse

biopatologico, quali:

- l’ossidazione Fe-dipendente delle lipoproteine LDL (Paolicchi

et al, 1999)

- l’ossidazione reversibile dei tioli proteici presenti sulle proteine

cellulari (Dominici et al., 1999), inclusi recettori cellulari

(Paolicchi et al., 2004)

Page 21: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

La S-tiolazione, GGT-dipendente, può assumere due significati. In

primo luogo, può essere interpretata come una difesa nei confronti dei

danni irreversibili causati dall’ossidazione. In quest’ottica la GGT,

essendo spesso espressa ad alti livelli nelle metastasi tumorali,

potrebbe contribuire alla resistenza delle cellule cancerogene nei

confronti degli effetti citotossici dello stress ossidativi, come nel caso

di molti importanti farmaci antitumorali ad attività proossidante (

Corti et al., 2005).

In secondo luogo, un’altrettanto interessante possibilità è che la GGT,

inducendo la formazione di disolfuri misti tra la CysGly e le proteine

(in un processo noto come S-cisteinilglicilazione), possa svolgere

un’azione regolatoria sulla funzionalità delle proteine stesse, come

succede nel caso della S-glutatiolazione. Dunque, la S-tiolazione delle

proteine extracellulari, promossa dalla GGT, potrebbe rappresentare

un meccanismo mediante il quale le cellule esprimenti attività di

GGT, come le cellule tumorali (Monks A. et al., 1996), riescono a

modulare lo stato redox e la funzione di proteine importanti presenti

nella matrice extracellulare e sulla superficie di altri tipi cellulari,

quali per es. le cellule del sistema immunitario o endoteliali.

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1.4 Lo stress ossidativo in coltura

I composti contenenti gruppi tiolici (-SH) sono, come già sopra

descritto, in grado di svolgere in vivo, ed all’interno della cellula,

un’intensa attività antiossidante, essendo in grado di ridurre le specie

reattive dell’ossigeno, limitandone la reattività prima che queste

vengano a contatto con importanti strutture cellulari, danneggiandole.

Tra i tioli, sicuramente il GSH è quello che contribuisce

maggiormente a svolgere un ruolo antiossidante nel difendere la

cellula da molecole altamente reattive, quali i radicali liberi (Meister,

1995; Sies, 1999). Paradossalmente, in vitro sono stati invece

documentati effetti dannosi dei tioli presenti nella composizione dei

terreni di coltura. Per esempio, la cisteina risulta tossica per gli

epatociti di ratto isolati (Saez., 1982), l’omocisteina accelera i processi

di senescenza nelle colture di cellule endoteliali (Xu et al., 2000). La

tossicità della cisteina risulta provocata dalla produzione di acqua

ossigenata conseguente alla sua autoossidazione. È stato anche

dimostrato che il GSH extracellulare è in grado di danneggiare cellule

esprimenti livelli elevati di GGT, tramite la generazione di H2O2

(Maellaro et al., 2000; Enoiu et al., 2000).

Non sono ancora del tutto chiare le reazioni dei tioli con i componenti

presenti nei mezzi di coltura standard utilizzati, ma, per esempio, è

Page 23: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

stato di recente dimostrato che l’ascorbato (Clement et al., 2001) e

molti composti polifenolici (Long. L.H. et al., 2000) reagiscono nei

mezzi di coltura più comunemente impiegati, generando acqua

ossigenata e che la produzione di H2O2 è responsabile di molti degli

effetti tossici di questi composti sulle cellule in coltura.

I tioli tendono rapidamente a scomparire dall’ambiente in vitro, con

un contemporaneo accumulo di acqua ossigenata. Questo può essere

dovuto all’interazione e successiva riduzione, da parte dei tioli, dei

metalli di transizione che, reagendo con l’ossigeno presente ad elevate

concentrazioni in vitro, generano specie reattive dell’ossigeno. In

aggiunta a questo, è inoltre possibile che i gruppi –SH formino dei

disolfuri misti con le proteine presenti nel siero e che quindi non siano

più disponibili come potere riducente nei confronti di molecole

reattive (Halliwell et al., 2001). A seconda del tipo cellulare, la

produzione di acqua ossigenata nell’ambiente di coltura può esercitare

effetti tossici, e questo fenomeno è alla base proprio della citotossicità

di certi composti tiolici (Saez, 1982; Takagi, 1974; Paolicchi et al.,

2000, Nicotera et al., 1986). In alcune cellule, paradossalmente, i

livelli di acqua ossigenata esistenti nell’ambiente di coltura sembrano

stimolare le difese antiossidanti e favorire determinate attività

cellulari (Halliwell et al., 1999; Powers et al., 1999; Chua et al.,

Page 24: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

1998). Sono stati dimostrati effetti dei composti tiolici sulla

trasduzione di segnali (Li et al., 2000), che potrebbero coinvolgere

anche l’acqua ossigenata, che risulta essere implicata nella

segnalazione redox di molti sistemi cellulari (Suzuki et al., 1998; Sen,

C.K., 2000; Accaoui et al., 2000), nella stimolazione della

proliferazione cellulare a bassi livelli, e della sua inibizione a

concentrazioni ancora più elevate (Burdon, R.H., 1995).

1.5 Il sangue del cordone ombelicale

1.5.1 La raccolta

Il cordone ombelicale, o funicolo, e’ una formazione anatomica che

mette in comunicazione la placenta con il feto. Dalla placenta origina

il sangue arterioso ossigenato, che in senso centrifugo raggiunge il

feto e da questo origina il sangue venoso non ossigenato, che in senso

centripeto raggiunge la placenta per essere ossigenato e ripetere

nuovamente il ciclo.

Page 25: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

Salvo rari casi di malformazioni, il cordone ombelicale e’ costituito da

due arterie ombelicali, dalla vena ombelicale e da una sostanza

gelatinosa (gelatina di Wharton). La raccolta di sangue del cordone

ombelicale è effettuata dopo il taglio del cordone e quindi non

comporta nessun rischio nè per la madre nè per il neonato.

Al termine del parto, dopo che il cordone ombelicale del neonato è

stato reciso, nei vasi placentari e cordonali residua una quota di

sangue, generalmente considerata prodotto di scarto.

La raccolta di sangue placentare viene effettuata in un sistema chiuso

dopo il taglio del cordone ombelicale, senza alcun rischio per la madre

Page 26: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

e il neonato, sia in caso di parto vaginale che cesareo La raccolta,

infatti, avviene quando il cordone è già stato reciso ed il neonato è

stato allontanato dal campo operativo ed è, pertanto, indolore e non

invasiva.

La raccolta viene eseguita da personale addestrato secondo metodiche

standard, mediante puntura del cordone ombelicale, in apposite sacche

monouso Le sacche sono dotate di dispositivi di sicurezza per

l'operatore e di sistemi a circuito chiuso per il campionamento, per

assicurare l'integrità della sacca e la sterilità del prodotto.

Dopo la raccolta le unità di sangue placentare vengono trasportate

presso la Banca e sottoposte a controlli biologici e microbiologici di

sterilità; aliquote di sangue vengono inviate al Centro di Tipizzazione

Tissutale per la caratterizzazione del sistema antigenico HLA. Le

unità che rispecchiano i requisiti richiesti per la conservazione nella

banca del sangue di cordone ombelicale, vengono sottoposte ad un

processo di concentrazione cellulare per centrifugazione, che consente

di abbattere i volumi delle unità, eliminando la maggior parte dei

globuli rossi e del plasma. L'abbattimento dei volumi permette,

inoltre, di risparmiare notevolmente gli spazi freddi necessari allo

Page 27: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

stoccaggio a lungo termine dei prodotti criopreservati. L’unità di

sangue placentare viene successivamente congelata in vapori di azoto

liquido in un congelatore a discesa programmata della temperatura (-

1°C/minuto) e poi stoccata a –196°C, in modo tale da garantire le

condizioni ottimali per una conservazione a lungo termine (almeno 10

anni). Il congelamento viene effettuato entro 48 ore dalla raccolta.

1.5.2 Le cellule del sangue di cordone ombelicale

Il sangue placentare, in virtù del numero di cellule contenute in una

singola unità, non consente ordinariamente di trapiantare pazienti con

peso corporeo superiore a quello di un adolescente o di un giovane

adulto. Uno scarso contenuto di cellule staminali emopoietiche ne

condiziona necessariamente l'utilizzo a scopi prevalentemente

pediatrici. Questo spiega il motivo per il quale i pazienti pediatrici

rappresentino oltre l’80% della casistica (anche se le eccezioni non

mancano, come indicato da alcuni trapianti eseguiti con successo in

pazienti di peso corporeo superiore a 100 kg). I dati della

sopravvivenza, che non sembrano differire sostanzialmente da quanto

atteso in un analogo gruppo di pazienti trapiantati con il midollo

osseo, sono incoraggianti, in particolare considerando la tipologia

Page 28: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

della casistica e l'esordio relativamente recente della pratica di

trapianto di sangue placentare.

Il prelievo del sangue placentare può essere eseguito in qualsiasi

ospedale, che sia tuttavia in grado di fare riferimento a una struttura

specializzata, dove la sacca di sangue venga elaborata e preparata per

l'utilizzo (una cioè delle cosiddette banche del sangue). In Italia le

banche di sangue placentare sono ancora poche, ma sono presenti in

diverse regioni, come quella sede del tirocinio.

1.5.3 Caratteristiche delle cellule staminali di sangue cordonale: le

cellule mesenchimali

Le cellule staminali presenti nel sangue di cordone ombelicale

risultano essere per la maggior parte appartenenti alla linea

emopoietica, ovvero cellule indifferenziate, in grado di dare origine ad

elementi di natura ematica. Di recente però è stata identificata,

sebbene costituisca solo un’esigua percentuale del totale, accanto alla

linea emopoietica, una popolazione di cellule staminali, questa volta

di natura mesenchimale, cellule staminali adulte, identificate nel

midollo osseo in maniera più accurata, in grado non solo di supportare

il processo emopoietico (T.M. Dexter et al., 1976; C.Friedrich et al.,

1996), ma anche di differenziare in altri tipi cellulari diversi da quelli

Page 29: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

ematici, quali adipociti, condrociti, osteociti (Friedenstein AJ et al.,

1974; Deans RJ et al., 2000; Minguell JJ et al., 2000). Questa loro

capacità è stata confermata dai risultati ottenuti da esperimenti in vitro

(Filvaroff EH et al., 1996; Pittenger MF et al., 1999; Makino S. et al.,

1999; Schwartz RE et al., 2002) e da studi in vivo (Toma K et al.,

2002; Orlic D. et al., 2001; Zhao LR et al., 2002). Attualmente il

midollo osseo rappresenta la maggior risorsa di cellule staminali

mesenchimali, anche se è stato osservato che il numero delle suddette

diminuisce drasticamente all’aumentare dell’età del soggetto (Rao MS

et al., 2001), oltre alle difficoltà tecniche per il paziente, dovute

all’invasività del prelievo, ed alla possibilità di contaminazione virale

del campione. Questo ha fatto spostare l’attenzione verso fonti

alternative di cellule staminali mesenchimali da utilizzare in caso di

trapianti autologhi ed allogenici, e tra queste gli annessi embrionali.

Il sangue del cordone ombelicale rappresenta una promettente risorsa

di cellule staminali e di progenitori emopoietici utili in applicazioni

cliniche ( Huss R., 2000; Hows JM, 2001). Sulla presenza, invece, di

cellule mesenchimali nel sangue cordonale si è dibattuto a lungo;

molti, infatti, hanno negato questa ipotesi, in quanto non sono riusciti

ad isolare con successo queste cellule dal sangue in coltura (Mareschi

K., 2001). Contemporaneamente, però, i risultati ottenuti da

Page 30: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

Campagnoli et al., (2001) e da Erices et al. (2000), hanno suggerito

che le cellule staminali della linea mesenchimale sono in realtà

presenti in molti organi fetali e circolano nel sangue fetale insieme ai

precursori emopoietici; in seguito sembrerebbero abbandonare il

circolo sanguigno per depositarsi nella placenta e a livello dello

stroma del cordone ombelicale. Inoltre, analisi immunofenotipiche

hanno confermato che le cellule costituenti i cloni presenti in colture

ottenute da sangue fresco di cordone ombelicale sono caratterizzate

dai medesimi antigeni di superficie, quali per esempio SH2, SH3,

SH4, presenti a livello delle cellule mesenchimali isolate da colture di

midollo osseo di adulto ( O.K. Lee et al., 2004).

Osservando le cellule del sangue cordonale in coltura, dopo circa una

settimana ne sono presenti alcune dalla caratteristica morfologia

simile a quella fibroblastica, che hanno poi la tendenza a formare

colonie e, dalla terza settimana in poi, a costituire uno strato

omogeneo di cellule aderenti al substrato, presentanti la tipica

caratterizzazione immunofenotipica delle cellule mesenchimali (CD

73+, CD105+, CD166+) (Lee et al., 2004; Romanov et al., 2003),

CD34- e CD45-.

Nelle colture primarie di cellule mononucleate di sangue di cordone

ombelicale si osservano due diverse popolazioni cellulari, aventi una

Page 31: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

forma tipicamente ovale o sferica e una di tipo più allungato, dalla

morfologia fusiforme (M. W. Lee et al., 2004; Romanov et al., 2003).

Le cellule dalla forma sferica risultano positive per gli antigeni CD14

(linea monocitica- macrofagica), CD31 (monociti-granulociti) e CD45

(cellule emopoietiche), ma tendono gradualmente a scomparire dalla

coltura dopo la seconda settimana (Lee et al., 2004). Al contrario, le

cellule dalla morfologia fusiforme tendono nel tempo a costituire uno

strato uniforme e a formare dei cloni omogenei dal punto di vista

morfologico e mostrano positività agli antigeni tipici delle cellule

della linea mesenchimale, quali il CD73 (SH3, SH4), tipico delle

sottopopolazioni T e B, CD105 (SH2), tipico delle cellule endoteliali e

dei macrofagi attivati; CD166 (ALCAM), tipico dei fibroblasti e

molecola di adesione cellulare dei leucociti attivati (Lee et al., 2004);

esse sono inoltre negative per l’antigene CD34, tipico dei precursori

emopoietici (Romanov et al., 2003). L’aspetto fusiforme,

fibroblastoide, è simile a quello delle colture di cellule mesenchimali

ottenute dal midollo osseo di adulto (Deans RJ et al., 2000; Minguell

JJ et al., 2000; Campagnoli C. et al., 2001; Erices A. et al., 2000; Zuk

PA et al., 2001).

Queste cellule presentano una duratura capacità proliferativa in coltura

senza evidenti modificazioni morfologiche per più di sei passaggi

Page 32: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

(oltre tre mesi) e sono dotate di capacità differenziativi, tipica delle

cellule mesenchimali, in senso osteoblastico, adipocitico e

condrocitico (Lee et al., 2004), simile a quella evidenziata nelle

cellule mesenchimali ottenute dal midollo osseo di adulto (Fridenstein

et al., 1976), ed è stata dimostrata la possibilità di utilizzarle per dare

origine a tessuti di natura muscolare scheletrica, epatocitica, neurale

ed endoteliale (S.J. Morrison, 2001).

Le cellule ottenute dal sangue del cordone ombelicale in coltura,

inoltre, risultano esprimere l’mRNA di geni caratteristici di diverse

linee differenziative, come SDF-1, NeuroD e VEGF-R1 (Lee et al.,

2004), come le cellule mesenchimali isolate dal midollo osseo. Queste

osservazioni permettono di concludere che, essendo espressi i suddetti

geni anche a livello delle cellule isolate dal sangue cordonale, queste

cellule sembrano, in effetti, essere dotate di un notevole potenziale

differenziativo, come quello riconosciuto alle cellule appartenenti alla

linea mesenchimale.

È stato inoltre osservato che le cellule mesenchimali del sangue di

cordone ombelicale umano risultano dotate di una maggiore capacità

proliferativa nei primi passaggi in coltura, rispetto alle medesime

cellule ottenute dal midollo osseo (Lee et al., 2004). Questo potrebbe

essere dovuto al fatto che nel sangue cordonale è presente una quantità

Page 33: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

maggiore di cellule allo stato indifferenziato, rispetto al midollo osseo

(L. Lu et al., 1996), che quindi sono in grado di proliferare in coltura a

ritmi più elevati durante le prime fasi (Lee et al., 2004). Il fatto che nel

complesso il numero totale di cellule ottenute nelle fasi tardive della

coltura sia diverso tra il sangue cordonale e il midollo osseo, è da

ricercarsi in particolare nella frequenza stessa di queste cellule nei due

tipi di campione che stiamo analizzando. Infatti, è noto che la

frequenza di cellule della linea mesenchimale nel midollo osseo di

adulto si aggira intorno a 1/ 3.4 * 104 cellule, in termini di unità di

fibroblasti formanti colonie (CFU-F) (S.A. Wexler et al., 2003;

M.Gutierrez-Rodriguez et al., 2000), mentre nel sangue di cordone

ombelicale la frequenza di cellule staminali mesenchimali è

nettamente inferiore e risulta variare tra 0 e 2.3 cloni su 108 cellule

mononucleate (Bieback et al., 2004). La bassa resa cellulare in coltura

del sangue cordonale rispetto al midollo osseo è da ricercarsi

probabilmente anche nelle differenze relative alle condizioni di coltura

richieste per i due diversi campioni. Potrebbero infatti influire la

composizione del mezzo di coltura, del siero, il pH, gli effetti della

tripsinizzazione e, ovviamente, l’errore dell’operatore. Si pensa che un

punto fondamentale a tal proposito sia rappresentato dal periodo di

tempo che intercorre tra la raccolta ed il processamento del sangue

Page 34: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

cordonale, che non dovrebbe mai superare le 15 ore. Il volume netto di

sangue, dal quale tentare l’isolamento di cellule staminali, inoltre,

dovrebbe essere pari circa a 33 ml, se non addirittura superiore. Infine,

nel campione ematico non deve essere presente alcun segno evidente

di avvenuta coagulazione o di emolisi. (Bieback et al., 2004).

In ogni caso, questo è tuttora oggetto di studio da parte di molti

ricercatori.

Quella che è stata però definitivamente dimostrata è la presenza, nel

sangue di cordone ombelicale umano, di cellule staminali circolanti,

non di natura emopoietica, assimilabili a cellule mesenchimali (Lee et

al., 2004; Erices et al., 2000; Rosada et al., 2003).

Page 35: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

1.6 La citofluorimetria

1.6.1Generalità

La comparsa della citometria a flusso avviene negli anni 60 e

determina un veloce ed intenso sviluppo delle tecniche istologiche e

citochimiche. Lo scopo di questa procedura è quello di misurare

proprietà multiple di singole cellule ad elevata velocità, con

conseguente dettagliata analisi quali/quantitativa. La diffusione

capillare avviene a partire dagli anni 80, con la messa a punto di nuovi

fluorocromi, facilmente coniugabili con anticorpi monoclonali (mAb).

Oggi sono disponibili mAb diretti contro una larghissima varietà di

antigeni (Ag) di membrana o intracellulari.

1.6.2 Funzionamento del citofluorimetro

In sintesi, nello strumento una sospensione di cellule, eventualmente

marcate con fluorocromi, viene trasportata dal sistema di distribuzione

alla cella di flusso, dove viene iniettata nell’unità di lettura. La

focalizzazione idrodinamica fa in modo che singole cellule

attraversino una dietro l’altra il punto di intersezione con il laser. Si

creano perciò 2 flussi coassiali : quello interno, contenente le cellule e

quello esterno, che le mantiene lungo l’asse del flusso laminare.

Page 36: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

Agendo sul sistema pneumatico di trasporto che regola la differenza

di pressione tra i due si regola la velocità di efflusso delle cellule ,

valutata in eventi/secondo” (200-2000/sec.). Come detto sopra, nello

strumento circola una soluzione isotonica che inguaina laminarmente

la sospensione cellulare, mantenendola allineata al centro della camera

di flusso. Nel punto di misura ogni singola cellula interagisce con un

fascio di luce del sistema di eccitazione (lampada o laser) generando

segnali che dipendono dalle caratteristiche fisiche (diametro, volume,

rapporto nucleo/citoplasma, granulosità interna, rugosità di superficie)

e dalla presenza di marcatori fluorescenti sulla superficie, nel

citoplasma o nel nucleo della cellula. Quando una cellula viene colpita

dal fascio luminoso emette quindi segnali relativi alle sue

caratteristiche fisiche e morfologiche. Il segnale generato dalla

diffrazione è in funzione del diametro cellulare (Forward scatter,

FSC); a parità di energia luminosa fornita, quanto più grande è la

cellula tanto più elevato è il valore di emissione del FSC.

Ortogonalmente al fascio si misura un segnale legato alla riflessione

ed alla rifrazione che sono in funzione della granulosità interna e di

superficie, del rapporto nucleo/citoplasma e del diametro della cellula

(Side scatter, SSC). Dalla combinazione di questi 2 segnali ha origine

un diagramma di dispersione (citogramma).Il campo applicativo di

Page 37: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

questa tecnica è praticamente limitato solo dalla quantità di reagenti

fluorescenti specifici, che sono in numero sempre crescente e

permettono di studiare caratteristiche funzionali e strutturali di cellule

sia normali che neoplastiche. Oltre ad essere una metodica essenziale

per l’analisi citologica qualitativa e quantitativa, permette anche di

separare fisicamente da una sospensione eterogenea sottopopolazioni

di cellule sulla cui membrana è presente una struttura riconosciuta da

un anticorpo monoclonale specifico. Questa procedura è chiamata

‘cell sorting’ e permette di ottenere popolazioni cellulari con una

purezza maggiore del 95%.

Page 38: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

I segnali emessi vengono raccolti da un sistema di lenti, specchi, filtri

ed inviati ai sensori (fotomoltiplicatori) che ne amplificano e misurano

l’intensità. Questi segnali elettrici sono inviati ad un elaboratore ed

analizzati statisticamente. Uno dei più significativi aspetti è

rappresentato dall’analisi multiparametrica, attuabile grazie alla

possibilità di attuare una “separazione elettronica” (GATING) o

“fisica” (SORTING). Come sorgente luminosa si utilizza una sorgente

luminosa a ioni argon, centrata su una lunghezza d’onda di 488 nm.

Esistono anche lampade a mercurio o xenon; la lampada a Hg ha uno

spettro complesso, con picchi massimi in ultravioletto (UV), nel blu e

nel verde; quella allo xenon ha spettro a banda larga e continua.

Rispetto al laser, le lampade hanno scarsa stabilità della luce di

emissione che decade rapidamente. I campi di applicazione della

citometria di flusso sono moltissimi: ematologia, immunologia,

microbiologia, oncologia, farmacologia, botanica e citologia. Si

possono comunque individuare due scopi fondamentali per cui è

impiegata questa metodica: l’immunofenotipizzazione (attraverso la

valutazione di antigeni presenti sulla membrana cellulare o

intracitoplasmatici) e la misura del DNA cellulare.

Page 39: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

1.6.3 Emissione di segnali generati da composti fluorescenti

La luce diffratta, rifratta e riflessa fornisce informazioni sulle

caratteristiche fisiche della cellula (volume, granularità, rugosità,

forma). Grazie alla emissione di fluorescenza da parte di fluorocromi

legati alla superficie, al citoplasma od al nucleo cellulare, è possibile

evidenziare la presenza, ed eventualmente la quantità, di specifici

costituenti della cellula. La fluorescenza è un fenomeno dovuto a

molecole dette fluorocromi che, quando vengono colpite (eccitate) da

una luce di una certa lunghezza d’onda, emettono luce di lunghezza

d’onda maggiore. Cio’ permette di separare la luce di eccitazione da

quella emessa usando dei filtri ottici. Poichè ogni fluorocromo

possiede una precisa lunghezza d’onda di eccitazione e di emissione,

per poter osservare il segnale emesso il fluorimetro deve essere dotato

di un gruppo di filtri di eccitazione e di emissione compatibili con le

caratteristiche del fluorocromo prescelto. Un fluorocromo è una

molecola la cui brillantezza è particolarmente elevata. Le

caratteristiche spettrali devono essere adeguate allo strumento

utilizzato; il coefficiente di estinzione deve essere elevato alla

lunghezza d’onda impiegata. Gli spettri di emissione dei vari

fluorocromi impiegati devono essere il più possibile separati. I

Page 40: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

fluorocromi devono essere compatibili con la biologia

dell’esperimento (il legame deve essere specifico, proporzionale al

numero dei siti da riconoscere, deve poter raggiungere il bersaglio).

Quanto più intensa è la luce utilizzata per illuminare un campione,

tanto maggiore è il numero di molecole di fluorocromo che vengono

eccitate e quindi il numero di fotoni emessi. Se l’illuminazione è

molto intensa, però, tutte le molecole di fluorocromo saranno allo

stato eccitato per la maggior parte del tempo (saturazione). Se la luce

di eccitazione ha una lunghezza d’onda e una intensità costanti, (per

esempio quando si usa un laser come sorgente luminosa) il numero di

fotoni emessi, e quindi l’intensità della luce fluorescente prodotta, è

funzione lineare del numero di molecole di fluorocromo presenti. I

traccianti fluorescenti più usati in immunochimica sono: fluoresceina

isotiocianato (FITC), le rodamine, le ficobiline e alcuni umbelliferoni,

mentre tra gli ioni di terre rare o lantanidi quelli di impiego comune

sono Europio, Samario e Terbio. Tra i fluorocromi la FITC è la

molecola d’elezione per studi di immunofluorescenza, dato che la

procedura di coniugazione è estremamente semplice ed il segnale

emesso è relativamente forte. In caso di analisi a due colori, sono

ampiamente utilizzati anche i fluorocromi tetrametilrodamina

isotiocianato (TRITC), il Texas Red (TR) e la ficoeritrina (PE). Gli

Page 41: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

anticorpi coniugati a fluorocromi sono utilizzati in saggi di

immunofluorescenza (Immunofluorescent Iassays - IFA), nella

colorazione di cellule e tessuti (rilevabile con la microscopia in

fluorescenza), in immunoblotting e nella marcatura di cellule per

separazione (cell sorting). Oltre all’enorme scelta di fluorocromi, un

altro vantaggio della fluorescenza, rispetto ad altri metodi, è

rappresentato dalla stabilità degli stessi. Infatti, si possono conservare

per oltre sei mesi anticorpi, sonde oligonucleotidiche e primers PCR

coniugati a fluorocromi, senza il problema del decadimento che si

verifica per i materiali radioattivi. La marcatura fluorescente permette

così di ridurre le spese ed elimina la necessità di una frequente

preparazione. La fluorescenza è influenzata da fenomeni locali (pH,

ioni, fase acquosa/lipidica, concentrazione dei fluorocromi), e questo

obbliga ad un accurato controllo delle condizioni del saggio.La

marcatura fluorescente di antigeni di superficie permette di analizzare,

ed eventualmente separare, diverse popolazioni di leucociti a seconda

dell’ intensità di fluorescenza e delle proprietà di scattering della luce.

Gli anticorpi commerciali ottimizzati per analisi in citofluorimetria di

flusso includono anticorpi contro i numerosi antigeni della superficie

cellulare (CD) umani. La fluorescenza può essere letta in scala lineare

o logaritmica. I segnali emessi vengono raccolti da un sistema di lenti,

Page 42: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

specchi semitrasparenti e filtri ottici ed inviati ai relativi

fotomoltiplicatori e fotodiodi che ne misurano l'ampiezza. I segnali

provenienti da ogni sensore vengono digitalizzati ed inviati ad un

sistema elettronico per l'acquisizione, elaborazione e stampa dei dati.

La visualizzazione dei dati può essere espressa con tre diverse

rappresentazioni grafiche:

1) Istogramma: i segnali digitalizzati si accumulano in base al loro

valore nei rispettivi canali creando un diagramma di distribuzione di

frequenza ad istogrammi. I canali sono molto ravvicinati tra loro, il

calcolatore ne mostra solo gli apici ottenendo così un grafico

caratterizzato da picchi in ognuno dei quali si può computare il

numero degli eventi.

2) Dot plot : correlando due parametri a scelta tra i quattro disponibili,

si ottiene una visualizzazione per punti o diagramma di dispersione.

Nei diagrammi di questo tipo possono essere individuate nuvole di

particolare aggregazione dei punti, relative a popolazioni delimitate

(cluster).

3) Contour plot : diagramma a contorni, è un perfezionamento del

diagramma a due parametri correlati (dot plot). Visualizza le aree

Page 43: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

aventi la stessa densità di probabilità mediante linee chiuse

concentriche (Parks et al., 1989).

Un campione di cellule non trattate con alcun fluorocromo rimane

comunque misurabile dal citofluorimetro non solo per quanto riguarda

i valori di FCS e SSC, ma anche rispetto ai corrispondenti valori di

fluorescenza, questo perché qualunque oggetto colpito da luce ad una

appropriata lunghezza d’onda può emettere un segnale di fluorescenza

quantificabile, che nel caso delle cellule viene definito

“autofluorescenza”.

1.7 La marcatura fluorescente del glutatione

La 5-clorometilfluoresceina diacetata (CMFDA) è un reagente

derivato della fluoresceina, che diffonde liberamente attraverso le

membrane cellulari, e, una volta all’interno della cellula, viene

idrolizzato dalle strasi citosoliche e convertito così in un composto

fluorescente, la 5-clorometilfluoresceina. Questo composto è in grado

di reagire con il glutatione intracellulare attraverso una reazione

catalizzata dall’enzima Glutatione – S- transferasi, dando luogo così

ad un complesso non più capace di attraversare la membrana cellulare

e che si accumula quindi all’interno della cellula; occorre aggiungere

Page 44: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

che è stato suggerito che la molecola potrebbe reagire anche con altri

componenti cellulari come ad esempio i residui di cisteina delle

proteine.

La CMFDA può essere eccitata da un laser ad Argon ed è compatibile

con la citometria di flusso e la microscopia confocale. Questa

proprietà della CMFDA è stata utilizzata per procedure di

determinazione citifluorimetrica del GSH intracellulare (Ueha-

Ishibashi T et al, 2004; Tauskela JS et al., 2000; Coates A. et al.,

1995), anche se in alcuni studi la specificità della CMFDA per il GSH

è stata messa in dubbio (Sebastia J et al., 2003). Nel nostro caso il

tracciante è stato impiegato allo scopo di marcare il glutatione

intracellulare delle cellule nucleate del sangue cordonale, al fine di

determinarne le condizioni iniziali dello stato redox e di confrontarle

con quelle delle cellule circolanti di sangue di adulto.

Page 45: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

Si suppone che il reagente fluorescente non coniugato al gruppo

tiolico (-SH) del glutatione intracellulare venga comunque espulso

(sebbene a velocità molto ridotta rispetto a quella di formazione)

attivamente dalla cellula mediante una glicoproteina della membrana

plasmatica di 170 kD, nota come glicoproteina-P o MDR ATPasi.

(Van Luyn MJ et al., 1998). La MDR ATPasi è costituita da due metà

identiche legate tra di loro, ognuna delle quali è costituita da una

sequenza idrofobica con sei segmenti transmembrana, seguiti da una

sequenza citoplasmatica idrofilica, che contiene una sequenza di

consenso per un sito di legame per l’ATP. La proteina utilizza

l’energia liberata dall’idrolisi dell’ATP per trasportare attivamente

Page 46: O2 e Meccanismi Di Difesa Attivati Dalle Cellule

fuori dalla cellula un’ampia varietà di farmaci. Molecole organiche

diverse per tipologia e struttura, in grado di diffondere attraverso la

membrana plasmatica, sono verosimilmente riconosciute da questa

proteina ed attivamente espulse dalla cellula. Nonostante la funzione

antitumorale degli agenti chemioterapici, la MDR ATP-asi li

riconosce come intrusi cellulari e li espelle rapidamente. Non è ancora

chiaro come questa grossa proteina possa riconoscere, legare e

trasportare un gruppo così ampio di molecole diverse, ma è noto che

la MDR ATPasi , insieme al trasportatore del fattore-a del lievito,

rappresenta un componente di una superfamiglia di proteine di

trasporto, di cui molte funzioni non sono ancora note.

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