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Poesie di Calogero Puzzanghera LA CANZUNA DI LU NANNU Raccolta a cura di Rosario Riggio

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Poesie di Calogero Puzzanghera

LA CANZUNA DI LU NANNU

Raccolta a cura di Rosario Riggio

RiesiArt

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INDICE

Introduzione

Calogero Puzzanghera

Critica al libro Poesie

LIBRO – ALTRA VITA SOGNAMMO

CAPITOLO – TERRE LONTANE

Altra vita sognammo Sulcis Vecchi e ricordi Il mio passato non c’è più Noi due soli Mietitura

LIBRO - AL CORSO LENTO DELL’IMERA

CAPITOLO - NELLA MIA TERRA

Dormono un sonno senz’età Antiche tristezze Le ore martellano i giorni Nella mia terra Il vento piange Estate Scorre lento il fiume Un carro nella piana

CAPITOLO - OGNI COSA SOSPIRA

Ogni cosa sospira l’anima trasale Elegia Pasqua Vele stanche Ti ho cercato, Signore

CAPITOLO – SULCIS

Arcobaleno Tristezza Oblio

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LIBRO – POESIE

CAPITOLO - SOMMARIO

Tamburi di latta La zolfara Madrigale La clessidra Al Dott. Gaetano Azzolina Ora è primavera Monte Sirai Come un fiume Solitudine Farfalla morta A pensieri tristi Agitava rami d’ulivo Soliloquio di un pastore barbaricino Non dirmi All’ombra del “sicomoro” La porta rossa Non sono un albatro Sulle ali del vento Nostalgia Insonnia Tu che hai memoria … e volevo essere Petulano vita alla mia Un giorno a Selinunte

CAPITOLO - POESIE IN IDIOMA SICILIANO

La canzuna di lu nannu Sira La vicchiaia Pari l’Eden Timor mortis Paroli a un figliu

LIBRO - ECHI DI MEMORIA (di prossima pubblicazione)

CAPITOLO - POESIE INEDITE

Quasi un epigramma Autunno nel parco Affondo passi L’orologio di pietra Farfalli senz’ali Nni li matinati d’autunnu

Conclusioni

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Ringraziamenti

Bibliografia e sitografia

Il dipinto pubblicato in prima pagina è di Davide Puzzanghera.

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INTRODUZIONE

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Per capire la poesia di Calogero Puzzanghera è necessario ricostruire i luoghi, il percorso e le esperienze. Due sono le tappe fondamentali: l’infanzia e l’adolescenza vissuta a Riesi dove matura la coscienza poetica, grazie anche allo zio Ernesto; l’emigrazione, con la famiglia, nel Sulcis facendo propria la Terra di Sardegna. Due realtà diverse e allo stesso tempo simili: due isole -Sicilia e Sardegna; due zone minerarie -zolfo degli Erei e carbone del Sulcis; due territori collinari che si affacciano sul mare in cui è possibile vedere fichidindia, distese di grano, pastori con le greggi, masserie, stradine e muretti. Due territori diversi per lingua e cultura, ma allo stesso tempo simili nella identità tipica degli isolani.Calogero matura le prime esperienze in terra di Sicilia che memorizza e trasforma in poesia del ricordo e degli affetti, ma anche la terra e le genti del Sulcis, che tante similitudini hanno richiamato alla mente del poeta, sono fonte di ispirazione.

Titolo - La canzuna di lu nannu, prende spunto dalla poesia che Calogero dedica alla memoria del fratello Stefano dove coniuga ricordi, affetti familiari e solitudine. Il poeta vive il sentimento verso la famiglia, che è fondamentale per la ricerca interiore di Calogero: il Significato più profondo della sua poesia.

Sulcis – È un territorio conosciuto fin dall'antichità per la sua fertilità e per le ricchezze minerarie, si estende, nella Sardegna sud-occidentale, dalla valle del fiume Cixerri fino alla costa, caratterizzata dall'ampio Golfo di Palmas. Alla fine del 1936, l’Azienda Carboni Italiani individuò il bacino Sirai-Serbariu di eccezionale vastità. La previsione di una intensa attività mineraria e il conseguente afflusso di emigranti (e non solo…), in cerca di lavoro, suggerirono il progetto di una nuova città operaia. La nuova città -Carbonia- fu progettata e costruita in poco tempo ed inaugurata da Mussolini il 18 dicembre del 1938. Dal punto di vista architettonico è caratterizzata dai tipici elementi della città fascista: la Piazza Roma, la Torre littoria (alta 27.5 m ed oggi Torre civica), il Municipio, la Chiesa, il Dopolavoro, il Cinema-Teatro e due grandi fontane.

Riesi - La famiglia di Rosario Puzzanghera (padre) abitava in via Roma al civico 95, tra la Piazza del Municipio e via Crispi (di fronte a li scaliddri, come ricorda Calogero, attuale via Capitano D’Antona).Una famiglia numerosa, quella di Rosario Puzzanghera, composta dalla moglie Enrica Puzzanghera e dai figli Stefano, Calogero, Giosuè, Ernesto e Davide.In seguito alla Grande crisi economica, che attanagliava l’Italia degli anni trenta, il fascismo, attraverso le grandi opere, cercò di porre rimedio alla disoccupazione. La costruzione delle nuove città -Carbonia, Arborea (Mussolinia) e Latina- facevano parte del piano delle grandi opere e molti disoccupati, prigionieri, comunisti, socialisti (motivi politici….), furono reclutati per costruire le nuove città fasciste. Tra questi anche molti riesini tra cui figurano i cognati Rosario Puzzanghera come assistente ai lavori edili, Luigi Di Legami come capo cantiere e responsabile del reclutamento del personale e Pietro Puzzanghera come assistente ai lavori, emigrati nel Sulcis nel dicembre del 1937.

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La famiglia di Rosario Puzzanghera si ricongiunge al completo alcuni anni dopo: nel 1939 la moglie Enrica e il figlio Davide, nel 1940 il figlio Stefano, nel 1941 il figlio Calogero, nel 1942 il figlio Giosuè e infine nel 1947 il figlio Ernesto dopo una permanenza a Reggio Calabria con gli zii.

Calogero, influenzato dallo zio Ernesto Puzzanghera (poeta), comincia a scrivere le prime poesie a Riesi sui pezzi di carta (i quaderni erano una chimera…) già a undici anni. Poesie intime dedicate ai genitori, emigrati a Carbonia, soprattutto alla madre. Anche Davide, sulla scia dello zio Pietro Puzzanghera (pittore), si dedica alla pittura. Alcuni quadri di Davide sono inseriti nei libretti di poesie pubblicati dal fratello Calogero.

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Note storiche

Luigi Di Legami e Pietro Puzzanghera

Luigi Di Legami, come Capo cantiere era responsabile del reclutamento del personale. Alcune migliaia di persone, da tutta Italia, sono state reclutate per la costruzione di Carbonia.Come riesino si impegnò a reclutare anche compaesani che nel giro di pochi anni (fine anni trenta, inizio anni quaranta) formarono una piccola comunità riesina, di qualche centinaio di persone, nella nascente cittadina carbonifera. La Famiglia di Luigi Di Legami nel 1943, in seguito ai bombardamenti di Carbonia, per tutelare i figli rientrò a Riesi, poco prima dello sbarco degli alleati.

Pietro Puzzanghera, oltre che muratore, era un valente e riconosciuto pittore che il Partito fascista locale incaricò, pur essendo comunista riconosciuto, di realizzare, nella sala della Torre littoria, un’opera che esprimesse l’Italia vittoriosa. Pietro Puzzanghera come pittore accettò l’incarico, ma alla fine del lavoro gli proibirono di firmarlo perché di idee comuniste (alla fine…); infine, quando arrivò Mussolini, Pietro Puzzanghera fu internato per tre giorni, in un paese vicino, per evitare problemi durante la permanenza del Duce per l’inaugurazione di Carbonia. L’opera realizzata da Pietro Puzzanghera (di circa 5 x 5 metri) era nella parete della sala della Torre littoria, di fronte al balcone in cui si affacciò il Duce (un vezzo…) per il discorso augurale. Con la caduta del fascismo l’opera di Pietro Puzzanghera è stata coperta (o forse cancellata) e attualmente c’è una parete bianca. Pietro Puzzanghera in seguito ad un infortunio alla mano smise quasi del tutto con la pittura se non per realizzare quadri per se stesso e la famiglia.

Note di piccole storie nel percorso della “Grande storia”.

CALOGERO PUZZANGHERA

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Calogero Puzzanghera è nato a Riesi (CL) il 19 maggio 1928, e a soli 13 anni lascia il paese con la famiglia per trasferirsi nel Sulcis. Una nuova vita, con la sola esperienza di appena adolescente, attende Calogero. L’esperienza adolescenziale si trasforma in un bagaglio di ricordi che più avanti riverserà nelle poesie. Non solo ricordi, nella poesia di Calogero, ma anche il vissuto nel Sulcis che tante similitudini presenta con la terra di origine.Conseguita, a Carbonia, la licenza delle scuole medie da privatista, interruppe gli studi per impiegarsi presso un ufficio amministrativo della Carbosarda, senza che ciò gli impedisse di coltivare gli studi e quelle letture a lui congeniali, soprattutto quelle dei poeti, di cui sente dentro di sé affinità e magìa: Giovanni Pascoli, Salvatore Quasimodo, Garcia Lorca, Giovanni Meli, eccetera.

Dediche

IL POETA SOLITARIO

Verso…

una dolce nota, sol una,ch'io canto tra me solo solo,nella sera, al lume di luna.

… Giovanni Pascoli

*****************************QUASI UN MADRIGALE

Verso…

E l'uomo che in silenzio s'avvicina non nasconde un coltello fra le mani,

ma un fiore di geranio.…

Salvatore Quasimodo

****************************GARCIA LORCA

Verso...

Come son pesanti i giorni, a nessun fuoco posso riscaldarmi,

non mi ride ormai nessun sole, tutto è vuoto,

…da quando ho appreso nel mio cuore,

che anche l'amore può morire. …

Federico Garcia Lorca

Politicamente è sempre stato un attivista socialista, fin dal 1958 iscritto nel Partito socialista italiano (Psi). Di area demartiniana è stato segretario negli

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anni settanta della Sezione del Psi locale di Carbonia. Politicamente è polemico e pungente, non rinnega ma rimprovera gli anni dell’ultimo periodo del craxismo (periodo politico di Bettino Craxi, anni settanta, ottanta e inizio del novanta).

Poetica - Calogero è una persona introversa e dalla penna gentile, un poeta che ha dedicato a Riesi gran parte delle sue opere. Molte delle poesie descrivono Riesi sotto tanti punti di vista: la sofferenza degli zolfatai e degli agricoltori, l’incuria del territorio, i ricordi personali e gli affetti familiari.Scrive poesie anche in dialetto riesino: un dialetto in forma elegante per esprimere la bellezza e la sofferenza della nostra terra.L’autore, quando scrive, si lascia cadere nel dolce oblio, lasciando nelle poesie una leggera venatura di tristezza tipica di quegli artisti capaci di cogliere aspetti della vita che sfuggono ai caratteri più estroversi e superficiali: una poesia melanconica.Attraverso i componimenti il poeta analizza se stesso, descrive i suoi sentimenti d’amore verso la madre, i familiari, l’amata e Dio; analizza i suoi sogni e scolpisce i ricordi: una poesia soggettiva ed elegiaca.

Melanconico, soggettivo, elegiaco

Il ricordo del fiume Salso (l’Imera): Antiche tristezze -Al corso lento dell’Imera, / un giorno, affidammo il nostro futuro / in barche fragili di carta. / Ora tutto troviamo disfatto / tra giunchi, stoppie, sassi. I minatori: La Zolfara -Un ponte di legno traballante / valicava le torbide / acque del Salso. / I minatori, ogni giorno / l’attraversavano / e si perdevano poi / negli oscuri / profondi cunicoli / della zolfara.I contadini: Nella mia terra -Ma il cielo sembra muto / mentre mira le prone schiene / dei contadini / e i capi altezzosi dei massari. Lo zio Ernesto: La clessidra -Lettera allo zio Ernesto. Un giorno le chiesi (ricorda?): / “Che cos'è il tempo?”. / Sollevò gli occhi cerulei e sorridenti da un ponderoso libro e: “Il tempo -mi rispose- / è un granello di sabbia / d'una immensa clessidra / chiamata eternità”. La madre: Ora è primavera - Madre, / il sonno che ti coglieva per incanto / non era per virtù / dei papaveri / che insanguinavano le tanche, / ma era la morte che lenta ti rapiva. L’esistenza: Farfalla morta -Hai visto mai una farfalla morta? / nelle sue ali / immote, friabili / v’è un’esistenza vissuta / senza speranza / d’un lontano domani.Il fratello: La canzuna di lu nannu -A la memoria di mâ frati Stefanu. “Hiùri di primavera / hiuri di qualità…”. / T'arricuordi, Ste', di 'sta canzuna? Il nipote: Palori a un figliu - A mâ niputi Robertu. Famm'appuiari a la tô spaddra, figliu / ora ca li mâ passi si su’ fatti ncerti / e li mâ uocchi sunu cummigliati / da un biancu velu.

Nella poesia di Calogero c’è amore, emozione, ricordo e critica sociale. Molte sono le poesie dedicate alla madre, dalla lontananza temporanea del 1938 ad oggi, e ai familiari: sempre con lo stesso Pathos. Qua e là si riscontra il tono dell’anima socialista con una pungente critica sociale.

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Pubblicazioni - Le sue prime poesie, anni cinquanta, sono state pubblicate nei giornali e riviste locali in Sardegna.Nel 1960, per le edizioni de La Procellaria, il suo primo libretto di poesie, Altra vita sognammo, dove sono avvertibili misure e accenti dei poeti preferiti dall’autore; Nel 1975, sempre per le edizioni de La Procellaria, il secondo libretto di poesie, Al corso lento dell’Imera.Nel 2003, per la CUEC (Cooperativa Universitaria Editrice Cagliari), il terzo libretto, Poesie; Nel corso degli anni le sue poesie sono state pubblicate su periodici anche nazionali e sull’antologia Poeti del 2000, del premio il Maestrale (Genova);Il quarto libretto di poesie, Echi di memoria, uscirà con la prossima pubblicazione e alcuni di questi componimenti sono presenti –come Poesie inedite- nella presente raccolta.

Prof. Rosario Riggio

CRITICA AL LIBRO POESIE

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Sempre le cose più belle e più vere scendono nel mondo su ali di colomba, con la voce del poeta e dell’artista, fuori dal frastuono e dal chiasso del nostro tempo in autentico, silenziose, invisibili, e interiori, eterne come un urlo inascoltato. Leggera come un battito d’ali la poesia di Calogero Puzzanghera. Una scrittura apparentemente facile, familiare, così piacevolmente esaustiva nella forma e priva di difficoltà linguistiche e lessicali come la sua, nasconde nel tessuto testuale pieghe, riferimenti, valenze imprevisti e profondi, suggeriti in sottinteso con sottile abilità di provocazione o lucidamente impostati al di là del senso letterale.Il significato umano e il risultato felice di questa poesia sono nell’invito al lettore a leggersi dentro, invito portato sul filo di una intensa sincerità di tensione, nell’approccio così sommesso e sotterraneo.Puzzanghera cerca con noi l’accessibilità possibile (e impossibile) ai problemi e alle incognite vitali dell’esistenza. Uno dei temi più importanti è quello del tempo come memoria di un paradiso perduto o come attesa del “niente”. Ed ad esso è collegato il tema del sogno come evasione “da ogni cosa reale che diviene nulla” e quello della morte verso la quale ci conduce inesorabilmente questo “reo tempo”. E allora il poeta ci conduce per mano fin dove il mistero subentra alle ipotesi conoscitive: Dio riempie il vuoto, la vanitas, con la sua ineludibile e sfolgorante presenza.È il bagliore dell’Essere che si è assentato per far posto all’inutile sforzo umano di una pienezza impossibile. Questa folgore è presente in un attimo non coglibile da una umanità distratta e illumina i luoghi, i fiumi, i destrieri, le pietre, i diamanti, il buio…Puzzanghera è come un fanciullo, nella vasta trama delle esperienze comuni, sa cogliere e isolare le sensazioni e le imprecisioni più fuggevoli, le fissa in parole e le illumina con la sua sensibilità intatta, acuta, fresca. Qualunque soggetto, anche il più semplice, si aureola di meraviglia, anche la più tenue cosa diventa importante e appare enorme. E di cose piccole è fatta la poesia, che consiste nella visione di un particolare inavvertito fuori e dentro di noi. E perciò la poesia del Puzzanghera rifiuta sia le vaste e complesse architetture, sia la ricerca di un tono alto e di un linguaggio indeterminato e stilizzato. La parola di Puzzanghera bussa timidamente alla porta di ognuno di noi e chiede udienza perché sa che “ogni cosa sospira”. E allora vivere è come guardare la vita, come guardarsi vivere senza farsi notare. È pudore e orgoglio dell’albatros, che dalle alte vette tutto contempla e ha paura solo di essere catturato dai marinai sulla tolda della nave. No. In ogni caso, il poeta vuole partecipare della sofferenza e del destino oscuro-lucente degli uomini e a essi si rivolge -a noi tutti- come credente del supremo valore della Parola. E la sua parola di poeta diventa dialogica -Il logos diventa Diàlogos.

Prof. Giovanni Cancedda

LIBRO

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ALTRA VITA SOGNAMMO

Pubblicato nel 1960

CAPITOLO – TERRE LONTANE

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ALTRA VITA SOGNAMMO

Nelle nostre povere case,amici, sognammo la gloria,e la speranza ci nasceva in cuore.Fanciulli, mangiammoil pane nero-i l pane del dolore dei nostri padri -e altra vita sognammoin terre lontane.Sperammo…Ora, sul duro giaciglioche ci ospitò fanciulli,nel buio vediamoi frantumi delle nostre speranze,dei nostri poveri sognie sentiamo il peso -che tanto travagliòi nostri p a d r i -della secolare miseria.

SULCIS

Il silenzio tristedei campi aridiha la sua gente.Invano il solesplende sui tettidelle misere case di fango.Perdura il dolore.Sparsi pei colli(consunti dal sole,rosi dalla tramontana)muti greggi rodonogli aggrovigliatirovi e mirtetiOh, fino a quandoinvano il sole splenderàsu questa terrasenza speranza?!

VECCHI E RICORDI

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Hanno una luce trasognatai loro occhie qualche lacrima.Le loro mani bianches'agitano lentecome stanche farfalle,e seguono il passaredi lontani ricordi:tutta una vitad'ansie e di dolori.Pure nell'età tardaè balsamo al loro travaglioi l ricordo.

I L MIO PASSATO NON C’È PIÙ

Tu hai posto sul mio passatouna lapide senza epitaffio.Un oceano di nuova vitahai trasfuso in mefacendo rinverdire le fibredell’arido mio cuore.I l mio passato non c'è più.Ora marcisce col tempo,nel tempo scompare,così come la morte confondel a nostra carne, le nostre ossacon madre terra:polvere nella polvere . . .Tu fai vibrare la voce di Dionell'anima mia da tempo sopita.Ora luce di innumerevoli soliillumina i miei passinella breve notte di mia vita,amore.

NOI DUE S O L I

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Soli al mondo…Noi due soli sotto le stellevagar pel mondo silente,non più come anime in pena-peccatori scacciati dall'Eden-ma anime desiderose d'amore.Soli; noi due soli,senza che affannoci turbi l'esistenza,sentire il respiro della terra redentae il palpito dei nostri cuoriuniti in un canto di gioia.

M I E T I T U R A

Una pace profonda è nel l'ariain quest'ora che il solepar che accende fuochi lontanifra le stoppie dei campi.I massai sonnecchiano sosto l'ulivo,mentre cicale e grilli nascostiimpazziscono in un canto freneticonella calura.E' ora di siesta per chi può.Ma il caldo vento che spirareca un canto di penae narra i tormentidella mia povera gente del Sud:"L'arba ancora 'un lucivae già l a spica tua j ' mitiva.Signuri, ppi un tuozzu di pani durujè tuttu un juornu ca faticu e suru.

LIBRO

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AL CORSO LENTO DELL’IMERA

Pubblicato nel 1975

Dedicato alla memoria del padre

CAPITOLO - NELLA MIA TERRA

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Alla memoria di mio padre

DORMONO UN SONNO SENZA ETÀ

S’udivano neniedalle aie del mio paese.Io bimbo sognavo…Dalle strade assonnatedella periferiaIl grido degli ambulantifiltrava con dolcezzatra le mura delle casenei caldi meriggi d’estate.Ora tutto tacesotto quest’angolo di cielo!Dormono un sonno senza etàgli ulivi, i mandorli,i bruni tettiimpregnati di lacrime di morte.I lontani sogni di bimbo si frangononella solitudine amara dei ricordi.

ANTICHE TRISTEZZE

Antiche tristezze convergono al nostro pianto, fratello:tempo e speranze che il cuoreha sofferto nei lunghi momentid’attesa,curati con sogni irrealianche nell’aria fragrantedi nugoli di zolfo.

Al corso lento dell’Imera,un giorno, affidammo il nostro futuroin barche fragili di carta.Ora tutto troviamo disfattotra giunchi, stoppie, sassi.

LE ORE MARTELLERANNO I GIORNI

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Non mi dire piangendo altre parole.Le grotte saracene le inghiottirannoPrim’ancora che l’aria le rapisca.Credimi, cara: non vi sono paroleO lamenti che colmino il vuotod’un addio, che spezzino le tramedel destino.

Lasciamo che il tempo macinio lasci intatta ogni cosa.Le ore martelleranno i giorni,mentre agili, invisibili maniplasmeranno la nostra vita avvenire.

NELLA MIA TERRA

Di sudore e di piantoè bagnata ogni zolladella mia terra.

I solchi attendono le sementie implorano al cielopietà e amoreper la mia gentecon i rami spogli degli alberi.Ma il cielo sembra mutomentre mira le prone schienedei contadinie i capi altezzosi dei massari.

Stasera flebile lucebrillerà sul duro panee sull’amara cicoriadi chi bagnò la terra di sudore,mentre lampada lucentescintillerà sui succulenti cibi del padrone.Ma tu, vita,fino a quando permetterai tanto?

IL VENTO PIANGE

“Io ridomanderò conto

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della vita dell’uomo a qualunque suo fratello” (Genesi: Ix-5)

Voce umana ha il ventoche passa e singhiozza tra le canne palustri.Voce di pianto il vento trasporta.

Chi piange?

Un uomo esamine giace nel pantano.Lo piangono i parenti tra le canne.Il vento sembra scagliare l’irata voce di Diosulla terra.

Sotterrate, fratelli, in antri profondiil vostro odio, questa sete di sangue.Fondete con fuoco d’amore ogni arma d’offesa,che il signore ogni istante ci chiede: - Dov’è tuo fratello?

ESTATE

Cade dal cielopioggia di sole cocentein questo meriggio d’estate.

Ansimano le case e le stradee ogni voce si smorzacome preghiera sommessa.Cani randagi - piaghecosparse di mosche -sostano esausti nella polvere.

Braccianti disoccupatis’attardano sonnacchiosisui levigati gradini della chiesa,fumano fiori di cardo selvaticoinseguendo pensieripiù volte affiorati nella mente.In tutto la millenaria indolenza della mia gente,che attente chissà qual miracolo per destarsi.

SCORRE LENTO IL FIUME

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Scorre lento il fiume Salsotra canne e giunchi.Vengono donne a sbattere pannicantando canti d’amore.L’aria impregnata di zolfo le rapiscee le trasporta al mio cuoresolitario in ascolto.

UN CARRO NELLA PIANA

La terra, gli alberi della pianaSonnecchiano al sole cocente d’agosto.

Oasi d’ombra e di silenzioè il bianco cimitero,ma il carro che naviga in polverosa trazzera non s’arresta:lontana è la meta,l’ora del riposo.

Traina il carro il sudato cavallo -che scuote i sonaglia ritmo sempreguale -cullando i sogni del carrettiere stancosperduto nella piana.

CAPITOLO - OGNI COSA SOSPIRA

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OGNI COSA SOSPIRA

Se di notte tu senti un ignoto sospiri,cuore, non temere.

Non è l’ansia del ladroche attende nell’ombra,né cane in cerca di cibo.

Ascolta sereno:nella quiete della notte,come te, ogni cosa respira.

L’ANIMA TRASALE

Com’è crudele questo tic-tacNella notte. Smania l’anima confusain meandri di dubbioe a ogni sospiro del corpotrasale e freme

Immensa solitudine m’assale:ogni cosa reale diviene nulla.Sicché il pensiero d’esser soloal mondo mi fa morire.

ELEGIA

Alla tua finestra fioritadi rosso geranio e di bàlacoogni sera venivoa donarti la gioia del mio cuore.Ora non più.

Appassisce il geraniodietro l’imposta chiusa:da tempo sei morta, amica,e con te un poco della mia gioia.

PASQUA

Storia antica, divina

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che si rinnova nel sanguee nella gloriada secoli.

Olocausto divinoche nuovo suonaai cuori ogni volta,che il mondo dimenticadopo un giorno,ogni anno.

VELE STANCHE

Vele stanchesono i nostri pensieri.Navigano sospinti da speranzeappassite senza più fede.

Abbiamo a lungo sperato,a lungo sognatoapprodi felici,ma ovunque trovammoe troviamo scogli di dolore.

Chi isserà queste veledisfatte nel cuore?Chi porterà nei lidi promessiqueste stanche prore?Tu Signore?Oh, fa che quel giornoNon sia lontano.

TI HO CERCATO, SIGNORE

Ti ho cercato, Signore,

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nei templi odoranti d’incenso,nei bui tabernacolidelle strade.Invano.L’eco ha ripetuto la mia vocee l’ha dispersa nell’aria.

Ora m’aggirotra questi luoghidi miseria e di dolore.Tu mi parli, Signore,da una parete affumicatadi questa casa.

E la tua voceè pietà e pianto.

CAPITOLO – SULCIS

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ARCOBALENO

L’arcobalenoha fiocchi di stellealoni di luna.La sua casaè sui mari di specchisui turgidi seni dei monti.Odeinfinite melodiedalle cordedi fumi e di brinemosse dal vento.Riposa su tappetisoffici di nuvole.

Arcobalenodi fiocchi di stelle,nel mio cuorev’è iride di speranze.

TRISTEZZA

“Fugit inreparabile tempus,singula dum capti circumvectamur amore”(Virgilio: georgiche 3°-vv. 284-5)

Dai vetri appannati dai respiriseguivo il lento scorrere della bruma:voli di passeroscrivevano sfumati pensieri.

Isole di nuvole sul mareQuasi immobileTrascinavano memorie d’angoscia,mentre il vento tra i rami spoglidi primavera tardivaintonava canti melanconici.

E tu amore, non c’eri.

OBLIO

Oasi dolcenel deserto nell’anima affranta,oppio che stordisce e acquieta.

LIBRO

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POESIE

Pubblicato nel 2003

Alla memoria dei genitori e del fratello Stefano

Con il contributo dell’Amministrazione Comunale di Carbonia, Assessorato alla Cultura.

CAPITOLO - SOMMARIO

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TAMBURI DI LATTAAll'amico J. S.

Tamburi di latta e flauti di sambucoper cortili senz'eco e strade assolatenoi ragazzi suonavamo.Dinanzi ad asmatici dammusipazienti vecchiette rattoppavanoindumenti lisie al nostro frastuono sorridevano....

Sì amicofatto di minime gioie erail nostro vivere allorae teatro della nostra età brevefu la strada che ogni giornolastricavamo di rosei sogni:sogni che -come polvere al vento-pian piano si sono dispersinel lento, amaro scorrere del tempo.

TRA IMMOTI MANDORLI

Per polverose trazzere-tra immoti mandorli ed ulivi-lenti carri rotolavano;

su stoppie riarse il sole a piccoil canto delle cicale tramortivae un profondo silenzio ammantava alloradella Purità l’intera valle:

immagine stupendache, benché io sia negli anni avanti,in petto ancora mi si annida.

LA ZOLFARA

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Un ponte di legno traballantevalicava le torbideacque del Salso.I minatori, ogni giornol’attraversavanoe si perdevano poinegli oscuriprofondi cunicolidella zolfara.…

Da tempo quel ponte non c’è piùné lo zolfo, che dai calcaroniammorbava l’ariae tossire facevai macilenti carusigravati di cofani di ganga.Ora in quel luogorestano soltanto le dirute vestigiee il ricordo d’un passatocostellato d’immani fatiched’infinite miseriee di tragiche morti.

MADRIGALE

Di notte, fanciullo, le stellesollevavano esili cordedi chiare chitarre.

Il loro suono alloras’univa alle vocie ai cuori trepidantidegli amanti:dietro imposte trafitte di luceprocaci fanciulle sognavano.

Con questo canto, mia caradolcemente busso al tuo cuore,ma la mia voce tristemente muorenel tuo persistente silenzio.

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LA CLESSIDRA

Lettera allo zio Ernesto

Un giorno le chiesi (ricorda?):“Che cos'è il tempo?”.Sollevò gli occhi cerulei e sorridentida un ponderoso libro e: “Il tempo -mi rispose-è un granello di sabbiad'una immensa clessidrachiamata eternità” ....Il passar dei giorni oratraguarda miei lontani ricordiche scorrono nella memoriacome acqua negli accosti dei basolatiod ombre sui muri abbrunitidei dammusi del nostro lontano paese.Quanti ricordi!In essi mi rivedo fanciullointento a fantasticare-il volto poggiatosui vetri d'una finestra

guardando i passeri sostaresui fili della lucecome crome o biscromesul pentagramma della vita-o le nuvole, al tramonto,in un subito cangiarsi nelle iridescenti sembianzeora d'Orlando ora di Rinaldoo del perfido Gano di Magonza,ridicoli eroi dell'opera dei Pupi.Tempo passato. Eppure,se chiudo gli occhi,mi par di sentire ancoranegli assolati meriggiil lungo lamentosogrido degli ambulantisimile all'adhàn del muezzinda uno sperduto minaretoo, nelle gelide notti d'inverno,il vento a volte zufolarea volte ulularecome famelico lupo alle portedelle case terragne,o ancora, al morir del giorno,gli accordi dolenti del suovecchio violino.…Tempo remoto, mio caro:grani scorsi nella clessidra...Di questi per me non so quantiancora attraverserannola strettoia.Non lo voglio sapere:la morte mi colgaquando Dio vuole.Nient'altro.Vossia mi benedica.

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DISTICO

Al Dott. GAETANO AZZOLINA

Per me rubasti alla mortesereni anni di vita.

ORA È PRIMAVERA

Madre,il sonno che ti coglieva per incantonon era per virtùdei papaveriche insanguinavano le tanche,ma era la morte che lenta ti rapiva.E mi dicevo guardandoti:“Dorme, forse sogna”.

Il tuo viso era sereno,tremula la tua boccacome se recitasse preghiereper i figli; per i tuoi figli,invece era la morteche ti stava accanto.

Ora è primavera,e mentre di rosso si tinge la terra,mi ritorna più acuto il desideriodella tua immagine,Mamma.

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L’ONDA DEL TEMPO

Felicecorrevi sulla battigiaa piedi nudisfuggendo all’ondache incontro a te veniva.Mi dicevi (ricordi?):“Vieni anche tu”.Seduto sulla renarispondevo al tuo invito:“Fra un po’, amore”.

Ora,provati dall’ambasce,dallo scoglio della vitaguardiamo l’onda del temporitmare le ore e i giorniche mesti si posanosulle nostre teste ingrigite.

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MONTE SIRAI

…“candidaque adducta collum percussa securi victima purpureo sanguine pulset humum”… (OVIDIO: Tristia IV 2 vv. 5-6)

Mary, mia cara amica,quando vorraisaliremo sul montedove un tempodimorò Tanit,degli dei la più crudele.Sulla sua ara, adombrata da antica quercia,scorreva il sanguedei primi natia lei immolati.

I lamenti straziantidelle madri,che il vento portavaal dimenticatocupo e pensosoSardus Pater,non la mossero a pietà.

A lei la credula genteinnalzò templi che,più che il tempoil Dio d’amore distrusse.Da allora, ogni anno,amica mia,ai piè di quell’arache al primo sole si volge,quasi a ricordarciquelle candide vittime,esili purpurei fiorisbocciano a primavera.

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COME UN FIUME

Non stacco i giornidal calendarioe m’illudo cheil temponon passa mai.

No, cuore mionon credere a questa fola:il temponon è una statica velain un tranquillo marema un indomitodestriero che correcorrenella vasta prateria della vita.

Il tempo, anima miaè come un fiume impetuosoche riversaanche i più miserivacui umani eventinell’infinito mare dell’eternità.

SOLITUDINE

Sala d’aspetto di terza classed’una stazione ferroviaria deserta.Notte.Un uomo solo attende, fumando,un treno che non passerà mai.

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FARFALLA MORTA

Hai visto mai una farfalla morta?Nelle sue ali immotequasi diafanev’è tutta la levitàla trasparenza azzurra dell’arial’acre odore del papavero;v’è tutto il profumo soavedel rosso garofanodella delicata rosache a sera – come infanteaddormentato –reclina la corolla sullo stelo;v’è la gioia di mani tesetrepide di bimbi;v’è infine l’odore amarodei crisantemiabbandonati sulle tombe.

Hai visto mai una farfalla morta?nelle sue ali immote, friabiliv’è un’esistenza vissutasenza speranzad’un lontano domani.

A PENSIERI TRISTI

A pensieri tristi invoglial’upupa che si quereladella solitudinetra i pini silvestriimmobili nella verde collina.

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AGITAVA RAMI D‘ULIVO

Agitava rami d'ulivola folla festanteal passaggio del Cristo pensoso.Fanciulli gioiosi infioravanoi passi dell'Untoe cantavano in coro:“Gloria al Figliuol di Davide”.Oh potessi anch'io agitareper le vie del mondocol ramo d'ulivo il mio cuore!e gridare:“Dimora in me, Signoreora e sempre”.

Alleluia.

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SOLILOQUIO D'UN PASTORE BARBARICINO

Orain questo triangolo imperfettooffuscato da caligine leggerae cosparso di mirti ed asfodelisi risentono, non più inascoltati,pianti di madricanti di solitudinee d'intima speranza.Ma tu, notte, vuoi che per questile stelle timide e lontanee l'impassibile lunafremanoe che il lento scorreredel fiumes'arresti lungo gli addiacci?Oh no!Se ciò accadessedomani lo sparviero-al primo albore -i dirupi vicini sorvolando,potrebbe credere cheun demone potente,chissà per quale intentoe per quale perverso giocole cose secolari ha mutato.Si sbalordirebbe; ma poiper consolarsi si direbbeche quest'imperfettotriangolo esistenteè soltanto pura fantasiae che, di contro,sin dal tempo dei tempiè tutto un imperfetto-perfetto.

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NON DIRMI Parlando in sogno a mio Padre

Ti prego non dirmiche i sognisono fatui fuochigenerati dal cuoreche, poi, il sole cancella,caduche speranze.

Ti prego non dirmiche vivereè immane impegno(è come mano artigliatache invano cerca di graffiareil volto gelido della lunache inutilmente s'affannaa far sciogliere le nuvolesull'acacie e gli eucalipti del monte).

Ti prego non dirmiche i ricordisono spine nel cuoreche, poi, non sanguema lacrime stilla:lacrime amare come fieleche forano persinoi duri ciottoli dei fiumi.

Non dirmi, ti prego,che il tramonto della vita è lievecome il respiro d'un bimboaddormentato. E non dirmi che,in quell'attimo fatale, sfortunatonon è colui che a sé dintornopiangenti non ha consorte e prole.Dici che, in quell’istante, ognunoè solo, infinitamente solocolto da un sonno senza fine?...Sì hai ragione tu: i sognisono fatui fuochigenerati dal cuore:vane caduche speranze.Ma dimmi: la vita è forseuna lunga agonia?L'uomo è forse una velasdrucita che naviga lentanell'orride acque d'Acheronte?

Perché non mi rispondi?Oh i sogni!...

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ALL’OMBRA DEL "SICOMORO"

Alla memoria del poeta D. Calafiore

Al sicomoro -cenacolo di poeti -s'intersecavano quel giornoconfusamenteversi, lazzie discorsi ameni.Tu m'eri accantoe dolente mi parlavidell'uomo che inclinava al peggio.

Allora non seppi intendere le tue parole.

...Oggi rileggo la tua “Terra rossa”e mi sgomenta, mi commuove ancorail modo che avevidi sentire, di vivere la vita.

Demetrio, amicodal recondito angolo di cieloove dimori dimmi:placate si sono le tue irecontro i falsigli ingiustigli ingrati che, oracome allora, camminano la terra?

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LA PORTA ROSSA

A mia cugina Rosamaria

Non bussate alla porta rossa.Dentro vasi di coccioappassiscono fiori variopinti.Sul tavolo di ferro smaltatogiacciono briciole di ricorditra ali recise di farfalle.Alle pareti della stanza semioscurascialli neri piangono il tempo passatomentre brune donzelledanzano una canzone sottovoceche gli alcioni dello stagnorapiscono in un baleno;danzano e aspettano parole d’amoreda teneri amanti....E intanto il tempo passa. Ma“Il tempo ha parole, come l'amore”dice il poeta.Danzate dunque danzatefanciulle ma non apritela porta rossa ché oltrev'è la morte degli umani sognidell'umane illusioni.

NON SONO UN ALBATRO

Non reco profumi di primavere lontaneo salsedine di mari tempestosi:non sono un albatro.

Io reco pensieri malinconiciricordi che s'avvinghiano e si perdonoin tortuose vie del cuoresu pinnacoli di gotiche chiesesu silenti recinti claustrali.

Non sono un albatrofelice di volare e di gridare:

io sono una rondine feritache invano si dibatte nei marosiche al cielo grida la sua grande pena.

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SULLE ALI DEL VENTO

Madrigale

Volge ad occidentela corolla il girasole.La notte accende le stellee zittisce i passeri sui rovi.

(E’ tempodi trepide attese.)

Tu non m'aspettaresul limitar della tua casa.Dormi serena.Io verrò sulle ali del vento:il mio passo perciò sarà lievecome il bacio che poseròsulle tue labbra socchiuse.

(E poi?)

Sosterò ancora per pocoal tuo capezzalesfiorerò con le dita i tuoi capellie poi(oh potessi fermare il tempo!)sulle ali del ventome ne andrò viaper sempre...

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NOSTALGIA

Non chiederti chi ci sarà ad aspettarti.Certo ci saranno tetti brunidove la notte accoglie luna e stelle.Estive brezze in zufoli d'erbesuoneranno per te antiche melodieche rintroneranno in dismesse latomie.

Non chiederti chi ci sarà ad aspettarti.Certo nei cortili -cimeli del passato -vedrai vecchi carri (le stanghe puntateal cielo: braccia rinsecchiteimploranti) e cani sonnacchiosi...

Non chiederti chi ci sarà ad aspettarti.Certo non ci saranno spettri di trapassatima balconi di bàlaco infioratie trazzere odoranti di cedronella.Nient'altro.

...

Credimi non t'aspetterà nessunoe perciò il tuo cuore (ancora)sfilerà un lungo struggenterosario di ricordi.

(E poi?)

Poi l’epilogo di questa insana nostalgia.

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INSONNIA

A Lia Locci Sairu

Nel presente si frange il passato.

Tu invece malinconia di sempreti rinnovi in una combinataassenza di memoria che percorrequesto cielo lastricato di stelleche sbriciola ogni certezza.

Forse il giorno che verrànella luce solare farà caderela polvere di questi pensieriche feriscono il cuoree farà cessare quest'angosciosotic tac che il cervello martella...

...Sfinite da inutili voli, domaniforse cadranno tutte le chimeree noi (tu ed io, cara, così cometutti gli esseri umaniincontratisi per caso)saremo sepolti nell'oblio...

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TU CHE HAI MEMORIA

Preghiera -Al Pastore G. Miglio

Signoretu che hai memoria del tempo dei tempi;tu che illumini e riscaldile opere tue compiutecon lo sguardo tuo divino;tu che acquieti i turbamentidelle anime col silenziodei cieli e delle stelle;tu che a tutti e a tutto parlicol soave alito dei zefirie ammonisci col fragoredelle tempeste e con l'impetodei flutti dei mari;tu che sei il Padre dei padrid'ogni tempo,ti prego “crea in me un cuor puro”e donami la forza e il coraggiodi percorrere le perigliosevie della vita.E poi, Signorequando il pollice e l'indicedella tua mano pietosa smorzerannola fioca fiammella della mia esistenza,ti prego dammi -in quell'istante -il tempo di chiederti ancora perdonoper i miei peccati e dirti:“Grazie dell' amor tuo, mio Dio”.

Amen

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... E VOLEVO ESSERE

... e volevo essere aironee lieve volgere a lidied a stagioni quieti.Per contro, Signorem'hai fatto uomo;uomo che lentamente volvea pietoso sitoove al vento fremono alberi cupie volano innocenti alati.

Dimmi, Signorecome airone inconscioche, distese l'ali su onde quiete,dispare all'orizzonte,anch'io andrò là dovetutto è luce e pace?

PETULANO VITA ALLA MIA

Divago su memorie lontane.

Dal profondo emergonoindimenticati cantiin uno col rumor di carrie suoni di marranzaniper strade nel torpòre immerse.

E così brandellidi lieta passata stagionepetulano vita alla miache ora volge a serae a vicina notte fonda.

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UN GIORNO A SELINUNTE

Non strapiomba su affollata spiaggiail tempio G di Selinunte.

Seduto s'un capitello capovoltoun bimbo stranito dalla caluramirava i gabbiani planare sull'ondeturchine del mare per poi ascendereal cielo infuocato d'Agosto.

Tu, povera anima, con gli omeri nudi,appoggiata ad una colonna del pronaocantavi una canzone a mezza voce:cantavi e piangevi, sorridevi e piangevichissà quali tormentirecenti o passati....

Ora ottuso silenzio e il Nullaopprimono l'essere tuomentre mi chiedo se da quel giornoè trascorso o no il tempo.

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CAPITOLO - POESIE IN IDIOMA SICILIANO

LA CANZUNA DI LU NANNU

A la memoria di mâ frati Stefanu

“Hiùri di primaverahiuri di qualità…”.T'arricuordi, Ste', di 'sta canzuna?Allegru lu nannu la cantavaquann'avia quasi ottant'anni.I' ca ora n'àiu di menu assaidi quant'avi ca mi lassasti sulunun cantu cchiù 'un arridu cchiùma in ogn'agnuni di la casa nostrami chianciu li pochi iorna di la mâ vita,in solitutini.

SIRA

L'unni di lu hiùmi pateticu silenziusu-tra junchi giummarri e canni 'mpinnacchiati-accarizzanu la pallida luna.Un viecchiu sprufunnatu in tristi pinzeratrascina li sô lienti passinni lu stierru di la diserta ripafumannu 'na sicaretta di scuoddru.Luntanu da 'na radiu ca 'un si sapidunna iè si senti un spiritualmalinconicu di Aretha Franklin.Ma all'impruvvisu grida di gabbianicuomu li gritos de novia asesinada**

rumpinu lu silenziu di la siraca si trascina nni la nottie nni l'incantu di lu nulla:lu stessu dunna si perdi chianu chianufumannu 'na sicaretta di scuoddrulu viecchiu ccu li sô pinzera angustiati.

** P. Neruda: “Desependiente” v .4145

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LA VICCHIAIA

Chi ci arrimani a 'n omuquann'è viecchiu?Sulamenti du' manu chini di solitutinie lu senziu straviatuinchiutu di luochi sbiaduti da lu tiempue genti divintatanent'autru ca fantasimi parlanti.

Chi ci arrimani a 'n omuquann'è viecchiu?Sulamenti rimpianti nni lu cori affrittue la nustargia d'un tiempu filicica ora si ni stà mpiccicatua 'na canzuna ca la tv-ppi scuornu a la sô vita-quarchi vota ci fa sentiri.

Ma poi un iuornu a l'astrasattu'na forti vintatalu scupa da la terracuomu foglia d'autunnu:accussì sprisci da 'sta vitapurtannusi appriessu suluvientu nni li manu mpatiddruti.

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PARI L'EDEN

A mâ cuscinu Lilly Di Legami

Pari l'Eden 'stu iardinu.

Stinnicchiata nni l'erba sempri virdi'na picciutteddra ccu la panza nudaaccarizza 'na palumma tutta bianca.Lacrimi russi di granatu cadinunni lu puzzu ddra vicinuammucciatu da l'addraurue da la menta sirbaggia.Ncapu lu tettu di la casa vecchiavigila 'n aciddrazzu mentri suttaassittatu supra la ticchienalu viecchiu sulitariu s'intristiscisintiennu 'na campana luntanae taliannu lu suli mentri coddradarrieri a la Purità.

...

Luntanu silenziusuversu la Muntagna ora si vidispriri l'aciddrazzuccu la palumma morta tra li granfi.Leggia leggia e cuomu un rannipiletu niùru cala la nottie pari c'ogni cosa sprisci:casi arbuli muntagni: tuttu:puru li sonna l'illusionie... la spiranza.

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TIMOR MORTIS

Quannu iera picciliddrumi pariva ca lu tiempu nun passava maiinveci sciddricava duci ducida li tetta e da li mura di li casi.Poi, carusu, accussì cuomul'asta di 'na meridianaccu la mâ ùmmira nni lu basulatumisurava lu tiempu ca mi mancavappi addivintari ranni.

...

Ora sugnu viecchiue mi sicca lu cori quannu viucuddrari lu suli e scinniri la notti:“Cu lu sapi -attirrutu mi dumannu -si dumani mi sdrivigliu”.

Timor mortis conturbat mihi.

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PALORI A UN FIGLIU

A mâ niputi Robertu

Famm'appuiari a la tô spaddra, figliuora ca li mâ passi si su’ fatti ncertie li mâ uocchi sunu cummigliatida un biancu velu.

(Quant’è tristi la vicchiaia!Penza, li cani m'abbaianu darrierie li carusi mi buffunianu di luntanu.)

Stammi vicinu, figliu, sin'a quannu puae cuntami chiddru c’avveni nni ‘sta terraspeciarmenti ora ca leggiri 'un puozzucuomu prima.

(Leggiri un tiempu iera lu mâ sbiue mi faciva vulari ccu la fantasiain tutti l’agnuna di la terra.)

Abbannunami, figliu, sulu quannuncapu a 'na seggia o dintra a un liettu friddufermu cuomu a un pupu

(Cridimi, nni ‘sta vitasiemmu tutti pupi: pupu i’, pupu tu,pupi tutti ppi vuluntà divina.)*

mi si prisintirà davanti la cummari siccae mi dirà: “Iè tiempu, cumpari...”.Allura tu, figliu, àbbruvicami 'n terrae mintimi ncapu un garofanu russu .

A lu capizzu ncarcami 'na crucie poi… sia chiddru ca Diu voli.

(Ma i’ ‘un àiu un figliu.E allura?…)

* L. Pirandello: “Il berretto a sonagli”49

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LIBRO

ECHI DI MEMORIA

Il quarto libretto di poesie, Echi di memoria, uscirà con la prossima pubblicazione e alcuni di questi componimenti sono presenti –come Poesie inedite- nella presente raccolta.

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CAPITOLO – POESIE INEDITE

QUASI UN EPIGRAMMA

Quand’era primavera, ragazzialle piccole rogge rubavamocicerbita e acetosella.Con queste era più dolcedei taralli il pane raffermo.

Non dite queste cose oggiai ragazzi: all’istantefallire farebbero tuttigli snack-bar della terra.

AUTUNNO NEL PARCO

Aleggia nel parco un intenso profumod’erbe e foglie marcesospinto dal vento dell’estche porta un tepore d’estate già morta.

Ma tu, cara, non ti lagnaredi questa dolce stagione:sull’erba della primavera venturasappi noi qui torneremo ad amarci.

Ottobre 1959

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AFFONDO PASSI

Affondo passi nella renaladdove l’onda par che muoiacon suono sempre uguale.

Dei pini il bosco si duole al fortevento di libeccio e piange, piangeresina odorosa.

Il gabbiano s’uno scoglio gridae si riposa; non tu, cuore:il tempo scorrendolentamente ti rode…

L’OROLOGIO DI PIETRA

Nel campanilel’orologio di pietra-senza numeri e frecce-con le stelle in sintoniascandisce il silenziodell’eternità.

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FARFALLI SENZ’ALI

Stralunatu tra l’arbuliassicutavafarfalli senz’ali:

ieranu pinsieri ca cadivanuda li rami di cirasihiùruti ca s’incuddruriavanu

ccu l’ulivi. Iera un suonnu:i’ stralunatu tra l’arbuliassicutava farfalli senz’ali.

NNI LI MATINATI D’AUTUNNU

Nni li matinati d’autunnuli vuddrani ncapu mula ati

assunnati cantavanu canzunipinsannu a li muglieri

nni li calli letta, suli,ca hiaùriavanu di pani fumanti.

Li viddrani ncapu mula atinni li matinati d’autunnu

assunnati cantavanu canzuni.

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CONCLUSIONI

La conclusione a questa raccolta non può che essere la critica che il lettore vorrà esprimere sulla poesia di Calogero.In ogni caso, una conclusione è doverosa farla, e per far comprendere meglio il carattere del personaggio chiudo questa raccolta con un considerazione fatta da Calogero a proposito dei professori, cito a memoria: che cosa fanno tutti questi professori… invece di discutere sempre di aumento di stipendio, perché non si danno da fare e aprono dei Circoli culturali dove poter discutere (…). Calogero lamenta una scarsa propensione dei professori alla vita sociale o per meglio dire alla socializzazione della professionalità e delle esperienze. Si è professori dentro le mura della scuola, e maggior ragione bisogna esserlo fuori. Questa considerazione vale soprattutto nei piccoli paesi dove c’è maggior bisogno di “Educazione alla cultura e all’arte”.

RINGRAZIAMENTI Per i suggerimenti e il materiale necessario, per questa raccolta, ringrazio Lilli Di Legami, il prof. Roberto Puzzanghera e l’avv. Giuseppe Di Legami,. Infine un ringraziamento a Calogero Puzzanghera per i racconti, che sono parte integrante della raccolta, e per aver concesso la pubblicazione on line delle poesie.

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Bibliografia

Calogero Puzzanghera, Altra vita sognammo. Edizioni La Procellaria di Reggio Calabria 1960Calogero Puzzanghera, Al corso lento dell’Imera. Tipografia La Rocca, Edizioni La Procellaria di Reggio Calabria 1975.Calogero Puzzanghera, Poesie. CUEC (Cooperativa Universitaria Editrice Cagliari) 2003.

Sitografia

www.comune.carbonia.ca.it

PUBBLICAZIONE

25 LUGLIO 2008

Portale Città di Riesi

www.riesi.com

Forum RiesiArt

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