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E dei caduti di Lumezzane per la libertà ANPI RICORDO DI GIIUSEPPE VERGINELLA

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E dei caduti di Lumezzane per la libertà

ANPI RICORDO DI GIIUSEPPE

VERGINELLA

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COMUNE DI LUMEZZANE

COMUNITA MONTANA DELLA VAL TROMPIA

Ricordo

del comandante partigiano

GIUSEPPE VERGINELLA

e dei caduti di Lumezzane

per la Libertà

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- ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D'ITALIA BRESCIA

- ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D'ITALIA LUMEZZANE

- ASSOCIAZIONE PROVINCIALE PARTIGIANI FIAMME VERDI - BRESCIA

- COMITATO UNITARIO PROVINCIALE ANTIFASCISTA BRESCIA

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PRESENTAZIONE

Con la riedizione di questo ricordo di coloro che sono caduti per la

libertà in Lumezzane, commemoriamo il 50° Anniversario della

morte di un partigiano, Giuseppe Verginella, Comandante della

122a Brigata d'assalto Garibaldi, che operò in Vatrompia durante la

Resistenza.

E' un Anniversario che cade in un momento particolare della storia

della nostra democrazia, che si sta faticosamente rinnovando proprio

sulla scorta dei valori per cui hanno combattuto e sono morti molti

giovani come Verginella.

In un momento così delicato per tutta la nostra collettività, diviene

profondamente significativo rileggere fatti e documenti che ci

immergono in quel periodo che ci ha lasciato forti idealità, per capire

cosa muoveva tanti italiani a mettere in gioco la propria vita,

superando divisioni ed ideologie per un unico ideale, la libertà.

E' doveroso un ringraziamento a quanti si sono adoperati per la

celebrazione di questo Anniversario, che si pone come momento

prezioso di riflessione per tutti i cittadini e in particolare per le nuova

generazione.

IL SINDACO

Massimo Botti

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Lumezzane, 12 febbraio 1995

AL LETTORE

Si è cercato in queste pagine di tracciare una significativa biografia

di Giuseppe Verginella («Alberto» per gli uomini della Resistenza),

Comandante della 122° brigata d'assalto Garibaldi che operativa in

Val Trompia e ucciso proditoriamente a Lumezzane, dai fascisti,

nella notte del 10 gennaio 1945.

Per la sua partecipazione alla guerra di Spagna contro il fascismo e

per la lotta resistenziale prima nel «Maquis» francese e infine in

Italia, Verginella lo si può definire senz'altro partigiano europeo.

E con Verginella, in questo 40° anniversario della Liberazione,

abbiamo voluto ricordare i caduti per la Libertà di Lumezzane, da

Bianchi a Marelli, da Brugnolotti a Bonzi, da Bonomi a Gnali ad

altri e tutti i patrioti caduti nella provincia di Brescia.

Questa mini-ricerca è frutto di un attento studio di fonti documentali

avversarie, in parte inedite, avallata da testimonianze orali di

partigiani e persone dei luoghi, per ottenere una ricostruzione

storiografico-memorialistica degli avvenimenti narrati, più aderente

alla realtà.

Così nello stendere queste righe, non abbiamo trascurato di ampliare

il già ridotto testo, con numerose note esplicative a piè di pagina,

utili al lettore e al docente che vuole inquadrare in modo più

omogeneo e completo, il periodo della Resistenza di questa parte

della nostra provincia.

Tra cronaca e storia, potremmo definire il contenuto di questa

pubblicazione, quasi fossero degli appunti necessari per l'avvio ad

uno studio di più ampio impegno sull'argomento.

Nel conoscere come sono caduti i patrioti di Lumezzane, è evidente

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come tutti, sia pur per vie diverse, abbiano teso alla medesima meta:

la Libertà; bene supremo che dobbiamo sempre presentare e

difendere.

Scriveva prima della fucilazione, un giovane partigiano caduto per

lo Libertà: «No, non dite di non volerne più sapere, di essere

scoraggiati. Ricordate che tutto è successo perché non avete più

voluto saperne!». Sulla scia di queste frasi ci sembra di udire l'eco

delle ultime parole di Giancarlo Brugnolotti che - legato su una sedia

e stretto da un filo spinato arrugginito che gli martoriava le carni -

gridò, poco prima della fucilazione: «Viva i partigiani, compagni

andate avanti».

Sembrano frasi, queste, ricostruite nella leggenda - testimonia il suo

comandante Giovanni Pesce - invece Giancarlo è proprio morto così.

Aldo Gamba

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GIUSEPPE VERGINELLA

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LA GIOVENTÙ DI GIUSEPPE VERGINELLA

Giuseppe Verginella, che nella lotta clandestina assunse il nome di

«Alberto», era nato il 17.8.1908 a Santa Croce di Trieste, piccolo

paese che allora contava 1250 abitanti. Collocato sul ripido ciglione

dell'altopiano Carsico, ad 11 Km. da Trieste, sorgeva presso le

sorgenti dell'Aurisina.

Figlio di operai (Giovanni e Maria Cossutta i genitori) di mestiere

scalpellino, provò fin dalla giovane età la durezza di quel lavoro

poco gratificante e pesante. Di temperamento vivace e dotato di

notevole carattere e intelligenza, crebbe naturalmente in una

atmosfera di irredentismo slavo, che costituì fino al 1918 l'essenza

della lotta nazionale anti-austriaca, tanto che, allo scoppio della l°

guerra mondiale nel 1915, Trieste benché facente parte dell'imperial

regio governo, fu considerata dal governo austriaco, térra nemica.

Fin dall'età di quattordici anni, subito dopo la marcia su Roma e

l'avvento del fascismo, Verginella abbracciò concretamente gli

ideali dell'antifascismo, tanto che nel 1925, non ancora diciottenne,

venne arrestato dalla polizia fascista come agitatore «bolscevico».

Dopo un periodo di detenzione venne liberato e diffidato. Ma

Verginella continuò imperterrito, clandestinamente e con

irriducibile entusiasmo la sua battaglia quale dirigente della

federazione giovanile comunista di Trieste, sino al 1930. Nel

frattempo si sposò con Riponuva dalla quale ebbe un figlio. Fu in

quest'anno che, ormai individuato e prossimo all'arresto da parte

dell’O.V.R.A. (polizia segreta fascista) si rifugiò in Francia.

Qui, dopo aver a lungo frequentato i compagni comunisti esuli e

non, data la sua giovane età e la sua viva intelligenza e decisione,

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venne inviato a Mosca, per frequentare la scuola marxistaleninista.

Alla direzione del partito comunista sovietico, le sue doti di versatile

organizzatore vennero subito prese in considerazione e, nel 1933, a

soli 25 anni, viene nominato Deputato al Soviet di Mosca (Consiglio

comunale).

Nel 1936 è volontario nella guerra di Spagna, con le brigate

internazionali «Garibaldi» contro i fascisti spagnoli ed europei.

Partecipò a numerosi combattimenti sui fronti di Barcellona e di

Ternel in Estremadura, in Tarragona e nella grande battaglia del-

l'Ebro, nel settembre del 1938, nella quale rimase ferito2.

Fu in Spagna che affinò la sua preparazione militare e che metterà

poi a frutto quale comandante della 122° brigata garibaldina nel

bresciano.

Terminata nel 1939 la guerra civile spagnola, Verginella si rifugia

nuovamente in Francia dove viene arrestato con altri comunisti e

socialisti reduci dalla Spagna. Il 3 settembre 1939, il presidente

francese Deladier dichiarò guerra alla Germania.

NEL «MAQUIS» FRANCESE

Il governo francese inizia così una politica repressiva-antide-

mocratica sciogliendo nel 1940, oltre 300 consigli comunali comu-

nisti e tutte le organizzazioni democratiche, facendo dichiarare de-

caduti i deputati comunisti, inviandone ben 27 in campo di con-

centramento e sopprimendo i due quotidiani del P.C.F. l' «Umanité»

e «Ce Soir».

Verginella è da mesi internato nei campi di concentramento di S.

Cyprien prima e successivamente in quelli di Gurs e Vernet, e questo

campo racchiude, oltre a Francesi e Polacchi, un considerevole

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numero di italiani, tra i quali anche Speziale, che hanno partecipato

nelle brigate internazionali alla guerra contro il fascismo spagnolo.

Non essendo ancora scoppiate le ostilità con l'Italia, le autorità

francesi, con decreto del presidente Deladier, espellono gli indesi-

derabili comunisti, consegnandoli alle autorità italiane fasciste di

frontiera. Anche Verginella segue questa sorte. Per lui sembra finita.

Invece con abile stratagemma riesce a sfuggire ai carabinieri italiani,

ancora nei pressi della frontiera e si rifugia in Francia. Per sentieri di

montagna, raggiunge la vallata del Rodano, unendosi al Maquis

(Resistenza) francese, sulle montagne nel Dipartimento di Lione.

Rimarrà nelle formazioni locali per alcuni mesi. Alla fine del

settembre 1943 - subito dopo l'armistizio italiano - rientra in Italia, a

Torino, dove riprende contatto col P.C.I. ormai clandestino, dopo i

45 giorni di Badoglio, e milita per qualche tempo nelle brigate

garibaldine in Piemonte. Ormai Verginella ha 35 anni, una solida

esperienza di partito e di guerriglia e viene riconosciuto come

valoroso dirigente, organizzatore e combattente antifascista.

Frattanto la Delegazione regionale clandestina delle Brigate

garibaldine di Milano, riceve una richiesta dal Comando della 54a

Brigata Garibaldi (Comandante Nino) operante in Valle Camonica,

per l'invio di un compagno, che sia in grado di rafforzare

politicamente la brigata.

La scelta cade così su Verginella, che dovrà ricoprire l'incarico di

commissario politico della brigata e - se del caso - in seguito,

assumerne il comando. Ma la cosa si rivelerà, nell'interno gerarchico

della «Brigata Garibaldi», tutt'altro che possibile e Verginella avrà

diversi duri scontri verbali con «Nino».

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DALLA 54a ALLA 122

a BRIGATA GARIBALDI

È nel mese di luglio del 1944 che «Alberto» (nome di battaglia di

Verginella), accompagnato dall'Ispettore delle Brigate Garibaldi per

la provincia di Brescia, Egidio Robustelli (Oscar) e in attesa di una

definitiva destinazione» raggiunge la 54° Brigata a Valsaviore e

sostituisce Forini nella carica di commissario politico. Suo vice,

Leonida Bogarelli (Leo). Ma Verginella, che si era formato alla

guerriglia oltre che in Spagna, anche nei pochi mesi che si mosse con

la Resistenza francese, nel dipartimento di Lione, dove quale

«gappista» aveva affinato la sua esperienza, non può né vuole

rimanere inoperoso e sonnecchiare. Certe volte compie delle azioni

senza interpellare il comandante «Nino», il che fa nascere spesso -

come detto - tra i due, battibecchi ed accese discussioni.

Così Verginella dal l ottobre 1944 viene trasferito in Val Trompia, a

Gardone dove è operante fin dal 1943 la 122° che è stata ristrutturata

da Speziale, Gheda, Guitti e Ragazzoni, che, erano evasi con un

centinaio di altri detenuti dal Carcere di Canton Mombello di

Brescia il 13 luglio 1944, durante il massiccio bombardamento

alleato della città (oltre 200 vittime).

Il suo incarico di commissario di guerra presso la 54° verrà coperto

da «Marco Zeta», inviato appositamente da Milano, Alla 122°,

Gheda, ricoprirà l'incarico di vice comandante.

Il 4 ottobre 1944, la 122° Brigata Garibaldi che ha avuto da pochi

giorni un furioso combattimento contro i fascisti con brillanti

risultati, nello scontro di Mura, viene formalmente incorporata nel

comando generale delle Brigate d'assalto Garibaldi e,

successivamente, nel C.V.L. (Corpo Volontario della Libertà).

Ed è proprio in questo periodo che a Giuseppe Verginella viene

affidato il comando della nuova unità d'assalto, che accetta entu-

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siasticamente.

Verginella - così lo ricordano i suoi partigiani - era di statura media,

non molto robusto apparentemente, occhi azzurri, barba e capelli

biondo-rossicci.

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Parlava correttamente oltre l'italiano, cinque lingue: il francese, il

tedesco, il russo, lo spagnolo e lo sloveno. La padronanza della

lingua tedesca gli sarà utile quando in diversi colpi di mano, si

presenta in divisa tedesca o sotto le mentite spoglie di un tecnico

germanico (come fece la prima volta che entrò alla fabbrica d'armi

«Beretta»).

Il suo primo incontro con la 122a Brigata Garibaldi che conta oltre

100 uomini - come attesta il comandante partigiano Mario Zoli -

avviene in località Visalla dove, in due distinte cascine è radunata la

brigata. È accompagnato dalla staffetta Adler Timpini e da

Robustelli.

Saluta personalmente i giovani' partigiani e poi li fa radunare in un

ampio fienile. Poiché in brigata militano anche alcuni polacchi,

sfuggiti ai tedeschi, «Alberto» - è sempre Zoli che rammenta - non

perde l'occasione, nel porgere il saluto ufficiale alla 122a, di rendere

omaggio al valoroso popolo di Varsavia che, dal 10 agosto era

insorto contro i nazisti e stava combattendo eroicamente proprio in

quei giorni. (I superstiti si arresero il 20 ottobre 1944 e vennero tutti

deportati nei campi di sterminio nazisti. Varsavia fu distrutta per

1'85%).

Verginella continuò poi il suo discorso, pressappoco con queste

parole: «La guerra partigiana non è da fare solo in montagna:

bisogna attaccare il nemico anche in città, dove si sente più sicuro.

A noi servono scarpe più adatte alla montagna e alla vita che fac-

ciamo, armi automatiche, in quanto il numero degli uomini che si

uniscono a noi va sempre aumentando, inoltre ci servono soldi per

pagare i contadini che ci forniscono i vettovagliamenti».

E non perde tempo «Alberto», conferma provvisoriamente il suo

comando a Visalla, tra Irma e Marmentino, in Valle Trompia e viene

deciso di comune accordo coi suoi collaboratori, che la 122a opererà

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nella media e bassa Valtrompia, mentre la Brigata «Margheriti»

delle «Fiamme Verdi» comandata dai fratelli Gerola, opererà nella

alta Valle Trompia e con valli vicine.

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Già il giorno 6 ottobre del 1944 il primo obiettivo: recupero armi.

Scelti 26 uomini (tra i quali Gheda, Zoli, Nello, i fratelli Tanghetti,

Paci, Lino Belleri, Spartaco, Moreni, Elio Frasci ed altri), scende nei

pressi di Gardone V.T. dove lascia ben nascosti in posto sicuro i suoi

partigiani.

Per agire necessita conoscere perfettamente il luogo dell'azione; è

una delle prime regole dei GAP. Verginella da solo, in pieno giorno,

raggiunge Gardone V.T.

Onde aver più dettagliate informazioni, penetra nella fabbrica d'armi

automatiche Giandosa- Visconti, che è ubicata nei pressi del vecchio

fabbricato delle scuole professionali, nelle quali è accantonato un

reparto tedesco. Indossando una tuta da lavoro, Verginella si

mescola agli operai dei turni, riesce ad entrare in fabbrica e a rilevare

dislocazioni dei reparti e luogo esalto dove si trovano le armi.

Prende accordi con l'operaio Angelo Marocchi. che sarà il regista

interno dell'operazione, unitamente ad un gruppo di altri compagni.

«Alberto» ritorna dai suoi uomini che lo attendono con ansia, dà loro

precise istruzioni per il colpo. Dodici uomini rimangono di scorta e

14, in quella serataccia infame di pioggia e vento, partecipano

all'azione. Scatta l'operazione: viene disarmata con facilità la

guardia tedesca e poi con l'aiuto di Marocchi ed altri operai

partigiani, vengono velocemente prelevate una ottantina di

«machine-pistole» (tipo di mitra) con un notevole munizionamento.

Le armi sono ormai fuori dalla fabbrica. Il grosso dei partigiani, al

comando di Nello e Franco con il mulo carico d'armi, si dirige verso

Irma, mentre Verginella con 6 uomini, prosegue per Brescia. È

urgente completare il piano organizzativo. Le armi ormai ci sono;

occorrono ora danari e scarpe.

I soldi, circa 390.000, li preleva con le armi in pugno negli uffici

amministrativi della Società Elettrica Bresciana, in via Leonardo da

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Vinci. Erano le paghe preparate per i dipendenti.

Mancano le scarpe. Non c'è a S. Eufemia, in via S. Orsola 14 il

calzaturificio «Brixia» che lavora per i tedeschi? Verso le 19 dell'11

ottobre, Verginella con un altro gruppo di partigiani locali, in tutto

una quindicina di uomini, indossanti tute da lavoro, entrano con un

camioncino nel cortile della fabbrica «Alberti». Sono tutti armati di

mitra, bombe a mano e pistole. Rinchiudono i proprietari e altre 3

persone in cucina, prelevano, senza colpo ferire, scatoloni e sacchi

con ben 500 paia di scarpe tipo lavoratori, che dovevano essere a

disposizione del comando germanico R.V.K. di Milano, caricano

tutto sul camioncino e via di corsa nella notte, mentre una decina di

partigiani si eclissa a piedi nell'oscurità.

Occorrono ancora indumenti per l'inverno: Verginella compie coi

suoi fedeli uomini un ennesimo colpo alla Tadini e Verza. Vengono

prelevati senza tanti preamboli, 300 abiti completi di varie taglie.

Sono troppi per il numero dei partigiani della 122a e per i fian-

cheggiatori. Nessun problema: l'eccedenza viene distribuita gratui-

tamente alla popolazione. Tutti questi colpi, messi a segno in pochi

giorni, gettano naturalmente un serio allarme tra fascisti e tedeschi.

«Bisogna continuare con questo metodo». Dice Verginella a

Speziale: che nel rapporto da loro inviato alla delegazione della

Lombardia del PC! alla fine di ottobre 1944, così si esprime: «Esa-

minando la situazione geografica: piccole e basse montagne; mili-

tare: concentramento degli obiettivi militari nelle vicinanze della

città; politica: probabilità di una avanzata rapida dei nostri alleati e

la necessità della nostra presenza al fianco degli operai industriali;

abbiamo deciso: 1) di spostarci nelle vicinanze di Brescia; 2)

dividere la brigata in tre distaccamenti di tre gruppi; 3) occupare le

seguenti posizioni: gruppo A 14 km a nord-est di Brescia; gruppo B,

14 km a nord di Brescia: gruppo C, 18 km a ovest di Brescia; e un

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gruppo da noi diretto dei gappisti a Brescia ( ... ). Questa forma di

riorganizzazione è stata necessaria per poter sfuggire ai

rastrellamenti e per essere più mobili nei nostri spostamenti che

sono indispensabili nelle circostanze attuali. Crediamo che il nostro

compito attuale sia quello di attaccare il nemico ed i suoi obiettivi,

di sorpresa, poiché noi non siamo in grado di tenere una posizione

con il nostro effettivo».

SEGNALE DI RICONOSCIMENTO:

L'OTTO DI BASTONI SPEZZATO IN DUE PARTI

Vengono poi compiute altre numerose e rischiose azioni che sono

scrupolosamente annotate nella relazione ufficiale della 122 a

brigata Garibaldi. Ma queste originano una reazione negativa nella

delegazione regionale delle Brigate Garibaldi, tanto che «Fabio»

della delegazione lombarda scrive 1'8 novembre 1944 a Verginella -

tra l'altro - quanto segue: «Dobbiamo farti alcune osservazioni. Ci

sembra che tu coi tuoi uomini stai diventando più un gappista, che

un partigiano, ci sembra che tu trascuri il rafforzamento della 122 a

Brigata di cui sei comandante. Dalla Federazione di Brescia ci sono

giunte lamentele che troppo spesso ti si vede in città ... ».

Ma «Alberto» prende in poca considerazione quanto sopra e

continua la lotta secondo i propri intendimenti. Sistemata logisti-

camente con armi, danaro e vesti menti la brigata, questa, anche se

suddivisa in distaccamenti, opera egregiamente sotto la respon-

sabilità dei rispettivi comandanti. Da buon stratega, Verginella sente

la necessità di rinforzare una linea di sbarramento avanzata di par-

tigiani, allo sbocco della Val Trompia. È una linea difensiva e di

attacco tra i gruppi in montagna e quelli in città.

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Il gruppo lo trova già formato nelle strutture essenziali, a Provezze e

si estende da Iseo, sino a Provaglio, Monticelli Brusati e Ome.

Sono partigiani che fanno parte ormai della 122° Garibaldi, e di cui è

commissario «Firmo». Costoro sono in stretto contatto con Angelo

Zatti di Iseo che fin dall'8 settembre 1943 è un assiduo organizzatore

e fiancheggiatore della Resistenza. È in questo periodo che

Verginella prende contatto a Iseo con Angelo Zatti alla Trattoria con

stallo «Tesor», sulla provinciale di Iseo.

L'organizzazione di Zatti è funzionante e pratica. Ne prende atto

Verginella che, legato agli schemi delle operazioni dei Gap, trova in

«Angelì» la persona ideale, per fede, tenacia e capacità e che tiene a

disposizione, per le azioni dell 122°, un folto gruppo di uomini i

quali, per giustificare la loro presenza in paese, stanno nelle

vicinanze a scavare trincee.

Il primo incontro tra Zatti e Verginella risale alla fine di ottobre

1944. Non' essendosi mai visti, viene usato il noto mezzo del

riconoscimento, mediante una carta da gioco spezzata in due parti.

Una parte la tiene lo Zatti, l'altra la consegnerà Verginella per farsi

riconoscere, quando si presenterà alla osteria con stallo «Tesor» di

Iseo. Sarà il partigiano Maffezoni del PCI lombardo che si trovava

presso il gruppo partigiano di Provezze, dove era capo Vianelli che,

conoscendo lo Zatti, gli consegna una mezza carta da gioco

bresciana (8 di bastoni), comunicandogli che tra qualche giorno, si

sarebbe presentata una persona con l'altra metà della carta da gioco:

quella persona sarebbe stata Verginella (Alberto), comandante della

l22a Brigata Garibaldi. Difatti, qualche tempo dopo, con grande

batticuore di Zatti, Verginella si presenta al «Tesor», accompagnato

dalla staffetta Bruna Berardi (Bruna). Avviene il riconoscimento con

lo Zatti e ambedue si ritirano presso il camino e cominciano a

parlare.

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In poche parole Verginella, nel lodare il lavoro dello Zatti, dice che

ha fiducia in lui e che ha bisogno di uomini per diverse azioni contro

i nazifascisti, azioni già programmate. Chiede dei giovani che sono

sfuggiti agli ultimi rastrellamenti. Questi sono una decina e si

trovano ad un centinaio di metri di distanza, scavando buche

antimitragliamento. Verginella prega Zatti di farli radunare in casa al

mattino successivo, cosa che avviene e il comandante della 122a si

intrattiene con i giovani e spiega i vari compiti che verranno loro

affidati. Poi se ne parte.

«Alberto» ritorna dopo un paio di giorni a chiedere due giovani in

gamba. Vianelli Egidio ed un altro vengono armati dallo Zatti e se ne

vanno con Verginella per una azione. I due ritorneranno a notte

tarda, riconsegnando i mitra e se ne vanno a dormire. Così nei mesi

di novembre-dicembre '44, Verginella - tramite Zatti - attinge più

volte provvisoriamente, uomini per le azioni gappiste, a gruppi di

tre, di quattro e anche di sei per volta. Era un lavoro prezioso e

pericoloso per la Resistenza, quello che svolgeva Angelo. «Proprio

il 23 dicembre 1944 - racconta lo Zatti - al «Tesor» alla presenza di

una decina di miei uomini, Verginella insistette perché io accettassi

la nomina di suo commissario. Dopo aver tergiversato accetto e

«Alberto» mi soggiunge anche che, d'ora in avanti, lui si rivolgerà

sempre a me, e che gli uomini che mi sono d'attorno, mi devono

riconoscere tale».

Stretti contatti avrà Verginella anche con i gruppi dei partigiani di

Ome: tramite, saranno gli esponenti del gruppo di Provezze,

Provaglio d'Iseo e Iseo.

Infatti verso la fine del 1944 (mese di novembre) i partigiani di Ome

si incontrano con Verginella alla stalla «Tesor» di proprietà dei

fratelli Zatti in località Val Gemella.

Successivamente, verso la fine di novembre, Verginella si recherà

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nuovamente a Ome dove rimarrà per sei giorni in casa Vanoglio.

Questo suo spericolato modo di agire e di esporsi, lo ha fatto

individuare dai fascisti e ad alcune persone che gli stanno attorno.

COSA ACCADDE A CREMIGNANE D'ISEO

A metà dicembre un certo Perla (nome naturalmente di copertura)

del PCI di Cremona, giunge ad Iseo per contattare la 54° Brigata

Garibaldi, il cui comando di Nino Parisi si trova in Val Camonica.

Perla vuoi chiedere uomini per una azione importante (il rapimento

di Farinacci?) da svolgersi in Cremona. Si mette in contatto con la

staffetta della 54°, Lina Pezzotti, che conosceva. Ma dalla 54

° non

potrà avere aiuti: troppo lontana la zona di azione. Il Perla cerca

allora di contattare il comandante dell 122°. Si offre ancora la Lina

che si rivolge allo Zatti onde avere un incontro con Verginella. Zatti

la trattiene sul cancello della trattoria «Teson» e essa gli chiede

testualmente «se conosce il comandante della 122°, un certo Tito

Tobegia» (Luigi Guitti «Tito» era in quel tempo vice comandante

della 122a. Ne diventerà comandante dopo l'assassinio di

Verginella). Zatti le risponde genericamente che non gli risulta, ma

se vuole saperne di più, si rivolga a Giacomo (Giacomo Maffezzoni)

di Provezze.

La Pezzotti si reca a Provaglio d'Iseo e riesce a stabilire l'incontro

Verginella-Perla, per il 24 dicembre, vero le 11, in una stradina delle

Torbiere di Iseo, presso Cremignane e la Pezzotti mette al corrente

della cosa il maestro Seccia, influente comunista del luogo. La sera

del 23 dicembre Verginella la trascorre al «Tesor» e passa la notte a

Iseo, in casa di Angelo Savoldi. Al mattino, visto che non era ancora

giunta la sua staffetta «Berta» (Santina Damonti), che doveva

accompagnarlo, come sempre per precauzione, si fa imprestare la

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bicicletta da «Gioanéla» (Giovanni Belotti). «Alberto» rifiuta i due

partigiani che vogliono accompagnarlo, saluta lo Zatti (che è la

prima volta che sente dell'appuntamento) dicendogli di sei persone

che doveva incontrare a Cremignane. Se tante erano le persone

dell'incontro ne mancano sempre due: Verginella, Perla, la Gina, la

Berta (che si è presentata tardi a Iseo perché attardata da un

contrattempo a Provaglio) e sono quattro. Chi erano le altre due, cui

accennava numericamente Verginella? In seguito venne scoperto chi

tradi Verginella.

Comunque, tranquillo, con la sua rivoltella in tasca, «Alberto»

pedala verso Cremignane, si avvicina al piccolo borgo e si dirige al

luogo dell'appuntamento: un breve spiazzo circondato dalla cam-

pagna e da siepi e nascosto da una curva del viottolo. Appena giunto

sul luogo - sono circa le 11 - viene improvvisamente circondato e

ammanettato da 5 agenti della Questura fascista in borghese .

LA CATTURA

Dalle siepi d'intorno sbucano poi una decina di brigatisti neri armati

e in divisa, che erano appostati da tempo. Frattanto da una cascina

poco distante, due agenti accompagnano verso Verginella un uomo

di media corporatura, leggermente tarchiato, la testa ricoperta da un

sacco con due buchi per gli occhi. Lo sconosciuto viene fermato a un

paio di metri dal Verginella. Un attimo di titubanza poi un chiaro

gesto di assenso muove la testa incappucciata. È lui, è proprio

«Alberto», Giuseppe Verginella, il comandante della 122° Brigata

Garibaldi, l'uomo al quale i nazifascisti davano la caccia fin

dall'ottobre del 1944. Sono le 11,30 del 24 dicembre 1944, vigilia

dell'ultimo Natale di guerra. Il Giuda di Verginella lo ha venduto per

aver salva la vita! Così, ammanettato e scortato da fascisti,

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Verginella incrociò poco dopo la Pezzotti, che ignara di quanto

accaduto procedeva per il luogo dell'incontro. Ecco la recente

testimonianza della «staffetta» Orsolina Pezzotti di Iseo.

«Il Perla conosceva perfettamente il luogo dell'incontro a Cre-

mignane per averlo individuato con me. /I Perla mi chiese por di

incontrarlo presso la stazione ferroviaria di Provaglio di Iseo alle ore

9 del 24 dicembre. Da lì, attraverso una strada consorzia le,

raggiungere la località «Violino» o « Violini» dove allora esisteva

un 'osteria.

Il Perla mi fece osservare che nella zona si notava un certo

movimento di fascisti e che sarebbe stato prudente, anziché per-

correre in bicicletta la strada consorziale, passare a piedi attraverso i

campi.

Arrivati al «Violino», si constatò che effettivamente dentro e fuori

dell'osteria vi era un andirivieni di militi in divisa e armati. Ciò ci

mise naturalmente in allarme. Io proseguii da sola in bicicletta per

accertarmi della situazione e per eventualmente segnalare a Perla

che mi seguiva a una distanza di una ventina di metri, se era il caso di

proseguire. Nulla avendo rilevato, proseguii sino all'imbocco della

curva di Cremignane, da dove vidi avanzare un gruppo di fascisti in

armi con al centro di essi «Alberto», ammanettato. Facendomi forza

proseguii in bicicletta dopo aver fatto un significativo cenno di

allontanarsi a Perla, cosa che egli fece sollecitamente, riparando poi

dalla famiglia Peponini, mentre io rientravo ad Iseo. Nel pomeriggio

dello stesso giorno 24 dicembre mi incontrai con Perla dai Peponini,

ove, commentando l'accaduto, non sapemmo darcene ragione».

Il mattinale della Questura fascista in data 25 dicembre '44 così reca:

«Il vice commissario Gaetano Quartararo, capo della squadra

politica della questura, il sottotenente della polizia Remo Spinelli,

validamente coadiuvati dagli agenti di detta squadra, sono testé

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riusciti a catturare due pericolosissimi capi di bande armate che

erano da tempo ricercati e cioè:

l) Romelli Luigi, alias Bigio, fu Pietro, classe 1902 da Sonico,

commerciante ivi domiciliato, (vice) comandante della 54a brigata

d'assalto Garibaldi operante nella Valle Camonica e Val Trompia.

Egli è stato arrestato alle ore 16,40 del 23 dicembre in Comune di

Quinzano dopo abile servizio di ricerche e di appostamenti.

2) Verginella Giuseppe, alias Alberto, fu Giovanni, classe 1908 da

Trieste, scalpellino, comunista. Già commissario politico in Russia,

in Spagna e successivamente in Francia da dove è rientrato in Italia

assumendo il comando della 122a Brigata Garibaldi. Gli esecutori

dell'uccisione dei due agenti di polizia Bizzetti e Rossini di questa

Questura agirono ai suoi diretti ordini. È stato arrestato alle ore

11,30 del 24 dicembre in località di campagna del comune di Iseo.

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Al momento dell'arresto egli portava nella tasca della giacca una

rivoltella carica con la sicurezza tolta e pronta pertanto ad essere

adoperata. Era anche in possesso di vari documenti di identità

falsificati».

15 GIORNI DI SEVIZIE E TORTURE

IL PRODITORIO ASSASSINIO A LUMEZZANE

Comincia così il breve ma terribile calvario di Verginella, che dopo

una sosta alla caserma della G.N.R. di Iseo viene tradotto in questura

a Brescia, dove verrà torturato e seviziato. Il 31 dicembre '44 viene

isolato nel carcere di Brescia e in questo luogo di sofferenze nasce

una gara di solidarietà tra prigionieri antifascisti. Luigi Gatta,

«rastrellato» e arrestato in città nella famosa lunga notte del 13

novembre del '43 che è culminata con l'eccidio di piazza Rovetta,

invia dal carcere, clandestinamente - il 5 gennaio 1945 - questo

biglietto alla moglie Maddalena Berardi: «Porta questo biglietto a

Gianni nostro cognato. Gianni fate questo piacere a raccogliere tra

compagni un po' da mangiare per i nostri compagni che si trovano

qua in prigione con me, anche il capo della brigata «Alberto», che

essendo lontano ha da mangiare solo un pezzo di pane e acqua. Fate

ciò che potete, mandatelo a Gatta Luigi, io lo faccio passare a lui».

Questa commovente solidarietà non sarà goduta da Verginella che il

10 gennaio 45 viene definitivamente prelevato dal carcere -

irriconoscibile per le torture subite - e, accompagnato dal vice

commissario aggiunto Quartararo e da altri poliziotti fascisti, a

Lumezzane per indurlo ad indicare ipotetici depositi di armi.

Nonostante le torture nemmeno una parola esce dalla sua bocca. Nei

«confronti» non riconosce nessuno. Solo si prende su di sé tutte le

responsabilità di quanto è accaduto u è imputato agli uomini della

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122a. Mentre, a piedi, nell'oscurità, circondato dai suoi aguzzini, si

incammina sulla strada di Lumezzane, oltre Mezzaluna, al bivio dei

morti di Carone, i fascisti lo assassinano sparandogli alle spalle. Il

suo corpo rimarrà abbandonato tra la neve sul ciglio della strada,

sadico gesto della vendetta fascista.

Al mattino dello stesso 10 gennaio 1945, mani pietose (sarà un

falegname di Pieve, certo «Bigiotto» aiutato da alcune donne che

portavano del pane) trasporteranno il cadavere martoriato di

Verginella, su di una carriola, sino .al cimitero, distante circa 2 Km.

Qui il falegname deporrà il povero corpo in una grezza cassa che

verrà interrata con l'aiuto del becchino. I fascisti locali che sanno - si

disinteressano della cosa. Alla fine del 1945 riesumazione della

salma e funerali solenni di Giuseppe Verginella celebrati a Santa

Croce di Trieste.

Così Giuseppe Verginella, dopo decine di anni di fedeltà alla causa

della libertà e di lotta contro l'oppressione, viene a morire a 36 anni

in Valle Trompia, combattendo nella Resistenza Bresciana.

I fascisti diffondono un comunicato affermando che Verginella è

stato ucciso mentre tentava di fuggire. Niente di più falso. «Alberto»

dopo tutte le sevizie subite, col volto tumefatto e quasi sfinito dalla

inedia, camminava trascinandosi faticosamente e non poteva

sicuramente fuggire.

Dal carcere di Brescia un certo D.P. non meglio identificato, invia

all'esterno ad amici questo biglietto: «riguardo ad Alberto qui corre

voce che 7-8 giorni or sono è stato portato in Questura e di là in

Valle Camonica per trovare un deposito di armi. Qui, in un tentativo

di fuga venne ucciso. Voci non fondate, ma qui non è più tornato».

Un ordine interno della 3a compagnia Valle Trompia della Brigata

alpina fascista «Tognù» con sede a Lumezzane, a firma del

comandante Gianni Con tessi reca: «Ordine interno n. 3 - operazioni

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giorno 10-1-45 - alle prime ore dell'alba, nei pressi della caserma è

stato ucciso da reparti della questura il capobanda Verginella detto

«Alberto» il quale, mentre veniva tradotto a Lumezzane per delle

informazioni, aveva tentato di fuggire».

La Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza ha conferito al

comandante partigiano Giuseppe Verginella, la medaglia d'argento

al valor militare «alla memoria» con la seguente motivazione, che

racchiude, come una gloriosa epigrafe, le gesta di «Alberto»:

«Dopo aver valorosamente partecipato alla guerra di Liberazione,

otteneva nell'ottobre del 1944, il comando di una brigata partigiana

operante in quel di Brescia, distinguendosi per decisione ed

ardimento nell'effettuare numerose azioni di guerriglia. Caduto nelle

mani nemiche, manteneva sino alla morte, tra sevizie e torture,

contegno fiero ed esemplare, coprendo la responsabilità dei

dipendenti e rivendicando la nobiltà della lotta di Liberazione. Lu-

mezzane (Brescia) 10 gennaio 1945».

I fascisti menarono gran vanto per l'arresto di Verginella e sul

quotidiano «Brescia Repubblicana» del 9 gennaio 1945 (un giorno

prima che fosse ammazzato) fecero pubblicare il seguente comu-

nicato.

BRILLANTE OPERAZIONE DELLA POLIZIA

REPUBBLICANA

Il Capo della squadra politica della Questura repubblicana di

Brescia, coadiuvato dal Comandante del reparto Arditi di Polizia

della stessa Questura e dagli instancabili e fedeli agenti della

squadra, dopo aver operato in questi ultimi tempi l'arresto di quasi

tutti i componenti della 54° brigata d'assalto «Garibaldi» respon-

sabile di gravi misfatti commessi in Brescia e Provincia, è riuscito in

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questi giorni a catturare in due distinte località della provincia, il

pericolosissimo commissario politico comunista, da tempo invano

ricercato, Verginella Giuseppe, detto «Alberto», fu Giovanni di anni

36 da S. Croce di Trieste ed il non meno pericoloso bandito Romelli

Luigi detto «Bigio» di anni 42 da Rino di Edolo.

Il Verginella, già iscritto al partito giovanile comunista di Trieste,

nel 1932 aveva clandestinamente lasciato l'Italia recandosi nella

Russia Sovietica dove, iscrittosi al partito comunista, era diventato

commissario politico.

Nel 1936, raggiunta la Spagna, aveva ivi combattuto nell'esercito

repubblicano rosso contro le forze del generalissimo Franco, come

sergente della brigata internazionale «Garibaldi».

Dalla Spagna, nel 1937, era passato in Francia ave era rimasto fino

al febbraio del decorso anno in qualità di alto componente del

partito comunista.

Rientrato successivamente in Italia ed assegnato quale commissario

politico alla 54 a brigata d'assalto «Garibaldi» il Verginella,

lasciato dopo parecchio tempo tale reparto, adunava ~ulle monta-

gne della Valle Camonica e della Valle Trompia diversi fuorilegge e

con essi costituiva la 122 a brigata d'assalto «Garibaldi» assu-

mendone il comando.

Dopo aver operato in montagna con la sua banda, in seguito al

secondo decreto di amnistia emanato dal Duce ed ai rastrellamenti

operati, era disceso con i suoi uomini a Brescia dove aveva

costituito il suo quartiere generale.

La vigilia di Natale egli veniva arrestato in località prossima ad

Iseo dal capo della squadra politica della Questura.

Tutti gli arrestati, confessi, sono stati denunciati al Tribunale

speciale per la difesa dello Stato.

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Dopo la Liberazione la Questura democratica di Brescia, tramite il

questore del C.L.N. dr. Alfonso Bonora invia al Procuratore

generale presso la corte di Assise Straordinaria di Brescia in data 30

maggio 1945, la seguente comunicazione alla quale erano allegati

anche i verbali di interrogatorio degli inquisiti, verbali che,

purtroppo, sono stati sottratti o smarriti e non se ne trova traccia.

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GIANCARLO

BRUGNOLOTTI

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RICORDO DI GIANCARLO BRUGNOLOTTI

Brugnolotti Gian Carlo (Gianni) nato a Cremona il 6.8.1921, figlio

di un operaio di Lumezzane - impiegato - già operante nelle brigate

milanesi dei GAP, nell'estate del 1944 si trasferì in Valsabbia

collaborando con la 122a brigata «Garibaldi». Ricercato dalle

Brigate Nere, ritornò a Milano tra i compagni della 3 a GAP di

Giovanni Pesce.

«Aveva 24 anni - scrive G. Valzelli - l'occhio pieno di ardore, un

fascino del tulto concreto, un impeto trascinatore. Giancarlo

Brugnolotti, «Gianni», per gli amici della montagna. Veniva da

Cremona ma era già stato gappista a Torino e a Milano e lo

braccavano quelli delle Brigate Nere. Passò l'estate del 1944 a sca-

vallare tra la Val Trompia e la Val Sabbia, nella 122a Garibaldi. Per

lui fu come una vacanza premio, la rischiosa peregrinazione da una

baita all'altra. Vi attinse quella forza che, della innata arditezza, farà

un esempio spartano di eroismo».

La medaglia d'oro al valor militare Giovanni Pesce, di cui il

Brugnolotti era alle dirette dipendenze nel 3° GAP a Milano, così

descrive nel suo libro, la fine di ·«Gianni» avvenuta all'alba della

Liberazione.

«In una delle ultime azioni cade Giancarlo, un gappista giova-

nissimo. Giancarlo, minuto, magro, dall'aspetto insignificante, lento

nell'esprimersi, era molto astuto, pieno di sensibilità e di coraggio».

LEGATO AD UNA SEDIA COL FILO SPINATO

«Giancarlo e Mantovani avevano attaccato in pieno giorno, il 21

aprile 1945, la caserma di Via Cadomosto, tirando bombe a mano e

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sparando raffiche di sten contro i briganti neri che Stavano davanti

alla porta, dietro sacchetti di sabbia, Continuano a sparare anche

quando i fascisti reagiscono; bloccano col fuoco chi tenta di uscire o

si affaccia alle finestre, Poi i due ragazzi tentano la fuga in bicicletta,

Mantovani si allontana. A Giancarlo si rompe la calena. Circondato,

continua a sparare fino a quando è colpito. Cade a terra e con lo

"sten" costringe ancora gli inseguitori a rifugiarsi nei portoni, si

rialza, riprende a correre; si lascia di nuovo cadere a terra, fingendosi

morto. Nelle mani stringe una "sipe" a cui ha già tolto la sicura.

Quando il gruppo dei fascisti gli è vicino lancia la bomba».

Catturato. subito dopo, viene trascinalo in caserma e seviziato per

farlo parlare, per fargli dire il nome dei compagni.

«Lo legano a una sedia in mezzo alla strada – scrive ancora Valzelli

– con il filo spinato che gli stringe le carni, lo colpiscono con bastoni

acuminati, lo fanno bersaglio delle loro rivoltelle: una pallottola gli

perfora il ginocchio ed entra nella seggiola, un 'altra gli trapassa la

spalla. Lo stanno torturando e svenando».

Dopo tre ore di interrogatorio e torture, Brugnolotti, ridotto ad un

ammasso informe di sangue viene trascinato oltre la strada e

appoggiato. al muro di fronte alla caserma per la fucilazione.

Nell'attimo in cui i fascisti puntano il fucile, Giancarlo, raccolte le

sue ultime forze, grida «Viva i partigiani! Compagni, andate avanti».

«Sembrano frasi ricostruite dalla leggenda - sottolinea Pesce -

invece Giancarlo è proprio morto così. Lo abbiamo saputo dai

medesimi briganti neri che lo hanno ucciso, quando, poche ore dopo,

abbiamo dato l'assalto alla caserma di via Cadamosto e i responsabili

della fucilazione di Giancarlo, prima di morire, ci hanno restituito la

statura ideale del nostro compagno».

Così è morto Giancarlo Brugnolotti. ribelle tra Marcheno e Mura,

«soldato senza uniforme di un esercito che si merita tutti gli onori

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dalla Patria».

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BIANCHI TRANQUILLO

L'ATTIVITÀ CLANDESTINA E LA SUA PRODITORIA

UCCISIONE

Bianchi Tranquillo, artigiano, socialista. Nato a Lumezzane il

29.6.1905, coniugato con Bossini Elfi Domenica, 2 figli. Catturato,

seviziato e fucilato dai fascisti in località Binzago di Agnosine, il 14

maggio 1944. Era collegamento, per aiuto ai partigiani e agli ex

prigionieri alleati, col curato don Fabiano Bianchi e con Cecco

Bertussi di Marcheno. Infatti il Bianchi riforniva di viveri, armi,

munizioni e medicinali il gruppetto dei russi e dei primi resistenti,

formatisi a Caregno, Cesovo e sul Guglielmo e nelle montagne di

Agnosine.

Su queste ultime, nel maggio del 1944 era presente un gruppo di ex

militari alleati, particolarmente russi, con qualche italiano. Si ricorda

un certo Alberto di Ospitaletto.

Il 13 maggio, questo gruppo eterogeneo e armato (8 erano russi),

stremato da una lunga e faticosa marcia attraverso terreni impervi,

giunse in località «Gabbiole» di Agnosine. Non parve vero a questi

uomini braccati, di trovare il «cascinotto» da caccia, composto di

una sola stanza, a «Gabbiole», disabitato e che sorgeva sul ciglio di

una ripida vallata ricoperta di fitta boscaglia. Alle spalle della

modesta abitazione contadina, più in alto di circa 50 m., un roccolo,

come tanti ce ne erano e ce ne sono tuttora in Valsabbia. Era quasi

notte e gli uomini si rifugiarono dentro, sprangando l'unica porta e si

addormentarono pesantemente, senza preoccuparsi di porre una

sentinella di guardia.

Ma evidentemente il gruppo era stato individuato e seguito dai

fascisti. Nella stessa notte dal 13 al 14 maggio un plotone di 21 militi

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comandati da un ufficiale, circondò il «casino» gridando: «figli di

cani, siamo repubblicani» (testimonianza Michele Ivanoff).

Dall'interno, dopo ripetuti richiami, qualcuno rispose in lingua russa.

Fu quello l'inizio da parte della G.N.R. di una fitta sparatoria contro

porta, finestra, e muri della cascina, diventata un fortilizio

ermeticamente chiuso. Dal di dentro, attraverso la finestra con in-

ferriate, nessuno sparava. L'unica via di salvezza per gli assediati era

la sola porta che si apriva sul breve spiano, spazzato dalle raffiche

fasciste.

Dopo alcune ore di tale situazione, verso l'alba, quando ancora le

ombre della notte si confondevano col primo chiarore, gli assediati -

dopo aver deciso concordamente il comportamento - tentarono il

tutto per tutto onde uscire da quella trappola.

IL COMBATIIMENTO DEI RUSSI A «GABBIOLE»

Stefano, un russo atletico, con una pedata spalancò la porta,

iniziando immediatamente un fitto rosario di scariche di mitra contro

i fascisti, onde coprire i compagni che, dietro di lui sgattaiolavano

velocemente.

l fascisti, sorpresi da quel fuoco rabbioso, improvviso e violento,

perdettero nel primo disorientamento, una manciata di secondi. Ciò

permise l'operazione salvezza ai russi e ai loro compagni.

Solo Nicolino, un russo, steso a terra poco fuori dalla porta, gemeva

e invocava aiuto, per una ferita, che gli immobilizzava la gamba.

In un battibaleno i compagni lo sollevarono e, sempre coperti dal

mitra crepitante di Stefano, portarono il compagno in salvo,

dileguandosi verso la vallata. I fascisti che in un primo momento si

dispersero, ritornarono sul posto, quando venne accertato che non

c'era più alcun pericolo.

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I russi intanto - che avevano improvvisato una barella coi moschetti

per trasportare il compagno ferito - si diressero da fondo valle, alla

località «Costa» di Lumezzane, sostando successivamente nella

cascina «del Buco», dove trovarono provvisoria ospitalità presso la

famiglia Paterlini, in località «Lemb».

Dai documenti del Comando di Battaglione della G. N. R., a firma

maggiore Spadini Ferruccio (archivio ISRB) che riporta sin-

teticamente l'operazione di Gabbiole, risulta che i fascisti ebbero due

morti: il milite Eugenio Zanardelli e il brigadiere Fermo Raccagni.

Due i feriti: gli allievi militi Giuseppe Gottardi e Andrea Facchetti.

Poco dopo il termine del combattimento, Tranquillo Bianchi, ignaro

di tutto, con in spalla uno zaino con viveri e medicinali, venne

sorpreso nella zona dai fascisti. Inutilmente cercò scampo nella fuga.

Fu inseguito, catturato e bastonato, affinché rivelasse i nomi dei

partigiani.

L'ufficiale fascista obbligò, sotto la minaccia delle armi spianate, il

Bianchi a trasportare i cadaveri dei due militi uccisi, a Binzago di

Agnosine. Qui Bianchi venne rinchiuso nelle scuole e nuovamente

seviziato: gli aguzzini volevano conoscere oltre ai nomi dei ribelli,

anche il loro nascondiglio.

Bianchi non parlò. Anzi, approfittando di un momento di di-

sattenzione dei fascisti, riuscì ad evadere da una finestra, ma fu

subito scoperto, rincorso e ucciso con una scarica di mitra, dai militi

stessi, il 14 maggio 1944, in località Binzago di Agnosine.

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IL «LAGER» DI LUMEZZANE

Simpatica figura di patriota il questore dot!. Rosario Caruso

siciliano. sfuggito dopo l'8 settembre 1943 alla cattura dei tedeschi e

capitato a Brescia da Livorno dove era ufficiale di Marina. Già a

Roma faceva parte di un gruppo di antifascisti e patrioti, organizzati

dal Capitano di vascello Ginocchio.

Tra le varie azioni gappiste di Roma, fece saltare in aria un

automezzo tedesco, carico di munizioni e quindi iniziava la sua fuga

verso il nord. Giunto a Brescia nell'aprile del 1944, entra di

proposito nelle file della Questura di Candrilli e nel frattempo

prende contatto col C. L. N. clandestino e si fa assegnare dal Que-

store la sorvegliare del campo di concentramento di Lumezzane,

nell'ex albergo Gnutti nel villaggio omonimo, ora sede dell'ITIS. Gli

internati son guardati a vista da agenti della Questura di Brescia, da

cui dipende il campo. Sono circa una trentina i rinchiusi: nobili

figure di ribelli e di antifascisti quali il Conte dott. Ernesto Arrighi

ex console d'Italia a Nizza, la signora Maria Pia Franzero

Sciacealunga, sorella del famoso «Candidus» che trasmetteva da

Londra propaganda antifascista.

L'ambasciatore Carlo Galli, ministro della cultura popolare durante

il governo Badoglio, il generale Trionfi. comandante di una

divisione di fanteria in Grecia, il conte D'Acquarone, fratello del

ministro di Casa Savoia. defenestrato da Vittorio Emanuele nel

1943, dopo la morte del padre Umberto. E ancora: tutti i componenti

della Legazione Italiana del governo badogliano di Budapest;

l'avvocato Guido Rangozzi, comandante dei patrioti nella zona

Toscolano-Salò, Antonio Astolfi e Fortina, due giovani comandanti

partigiani del pavese. Giancarlo Matteotti, figlio del martire

socialista Maneo Matleotti e tanti altri. Il Caruso ottiene stima e

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benevolenza dagli internati. Stringe rapporti col comandante la

piazza partigiana di Brescia e col capo partigiano «Giacomino

l'inglese» (era il canadese James Dakan Victh), facendogli pervenire

rifornimenti e munizioni per i suoi partigiani.

Il 7 marzo 1945 un gruppo di bravacci dei battaglioni «M» di stanza

presso Lumezzane, con un pretesto, cercano di prendere d'assalto il

«Lager» di Lumezzane, prelevare i confinati politici e passarli per le

armi.

Sarà la ferma e dura reazione del dotto Rosario Caruso che, con le

poche armi e i pochi uomini a disposizione, sventa questo attacco.

Alla Liberazione i prigionieri si autoliberano e, con gli insurrezionali

locali, trattano la resa del battaglione «S. Marco» - accontonato nella

Scuola «Serafino Gnutti» a San Sebastiano catturando il comandante

col. Zingarelli e i suoi ufficiali, senza spargimento di sangue.

Portandosi a Brescia, il Caruso, ancora il 24 sera, con la complicità

del brigadiere Baule, libera dal carcere 148 detenuti politici e 5

generali, sottraendo li alle violenze dei fascisti. Partecipa il 25 e il 26

aprile '45 all'insurrezione della città, difendendo la Caserma della

Questura, procedendo alla occupazione della Kommandatur tedesca

e assalendo con un gruppo di giovani, all'altezza di via Milano, una

colonna tedesca che tentava di fuggire. Si muove quindi, unitamente

al comandante della piazza, incontro alla prima colonna alleata,

verso S. Eufemia, fornendo preziose informazioni sulla situazione

interna della città.

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ALTRI CADUTI

PER LA LIBERTÀ DI LUMEZZANE

Bonsi Umberto - Lumezzane 31.7.1924, ma residente a

Gardone V.T., celibe, una sorella, meccanico.

È stato uno dei primi ad accorrere nelle file di Resistenza. Durante lo

scontro nella 13 battaglia di Croce di Marone, il 9 novembre 1943

contro i nazifascisti, non riuscì ~ sganciarsi tempestivamente e

venne catturato con altri sette partigiani. Ristretto nelle carceri di

Brescia subisce il processo davanti al Tribunale Speciale fascista che

allora si trovava nel requisito palazzo Lechi, In corso Magenta a

Brescia.

Condannato a morte è fucilato il 6 gennaio 1944. Non aveva ancora

20 anni.

Gnali Carlo Biagio - Lumezzane 12.1.1886, armaiolo, della

1223 Garibaldi. Venne catturato dai fascisti il 13 settembre 1944 e

rinchiuso nelle carceri di Brescia e sottoposto a sevizie durante gli

interrogatori. Fu rilasciato il 15 dicembre 1944 ormai debilitato in

modo irreversibile per i maltrattamenti subiti, tanto che dovette

essere ricoverato,. nel marzo del 1945 ali 'ospedale della Torricella

di Brescia, dove morì dopo qualche giorno, il 28 marzo 1945.

Ghidini Angelo - Lumezzane 15.2.1925, operaio, della 1223

Garibaldi. Catturato dalla GNR durante un rastrellamento e subito

passato alle armi a Cimmo (Rocco lo Fausti il 1 settembre 1944),

Ghidini Narciso - Lumezzane 31.10.1925, operaio, della 122 a

Garibaldi. Catturato in rastrellamento dalle Brigate Nere di Lu-

mezzane e fucilato in località Passo della Brocca il 16.10.1944.

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Moretti Bernardo - Lumezzane 1921. Durante un'operazione

di rastrellamento in località «Grassi» veniva fermato dalla GNR.

All'atto di applicargli le manette il Moretti tentava la fuga ma veniva

abbattuto da una scarica di mitra dai fascisti il 27 agosto 1944.

Marelli Ulisse - Lumezzane, 28.4.1920, sarto. Prelevato nella

propria abitazione a Lumezzane da elementi della Brigata Nera

«Tognù» il 15 gennaio 1945. Inviato nel lager di Gusen (Germania).

Morì per malattie e stenti il 15 aprile 1945.

Medaglia Giuseppe - Nato a Marmentino ma residente a Lu-

mezzane, 27.3.1923. Fucilato con altri tre compagni al casermone

Rondò di Monza il 9 aprile 1944 per ordine del Tribunale militare

germanico, perché sorpreso a cantare con altri commilitoni «Ban-

diera rossa».

Zubani Giovanni Faustino - Lumezzane 27 .1.1926,

operaio. Appartenente alla 122" Brigata Garibaldi. Catturato nel

corso di un rastrellamento da militi della Brigata nera «Marche»,

trovato in . possesso di armi e bombe a mano, veniva fucilato sul

posto in località Passo della Brocca il 16.10.1944.

Cameri Primo - Internato militare. Deceduto nel lager di

Montuar.

Mori Pietro - Internato militare. Deceduto nel lager di Falling-

Boste1.

Bonomi Silvio - Appartenente alla Divisione Acqui, fucilato

dai tcdeschi alla «Casetta rossa» di Cefalonia (Egeo) 24.9.1943,

Zani Battista - Appartenente alla Divisione Acqui. Deceduto

per le ferite infertegli dai tedeschi, a Salonicco (Grecia) il

10.12.1943.

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