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CENTRO STUDI SULL’IMPRESA DI FAMIGLIA “DI PADRE IN FIGLIO” Ricerca sulle imprese di famiglia della provincia di Frosinone GENITORI E FIGLI IN AZIENDA: COMPETIZIONI, SFIDE, CONFLITTI E SINERGIESintesi dei risultati Aprile 2006

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Sintesi dei risultati Aprile 2006 Ricerca sulle imprese di famiglia della provincia di Frosinone CENTRO STUDI SULL’IMPRESA DI FAMIGLIA “DI PADRE IN FIGLIO” Centro Studi sull’Impresa di Famiglia “DI PADRE IN FIGLIO” [email protected] – www.familybusinessoffice.it CENTRO STUDI SULL’IMPRESA DI FAMIGLIA “DI PADRE IN FIGLIO” Via Santa Radegonda, 8 - 20121 Milano – Tel. 02.87398380 – Fax 02.87398387 – P.IVA/Cod. Fisc. 12632330150

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CENTRO STUDI SULL’IMPRESA DI FAMIGLIA “DI PADRE IN FIGLIO”

Ricerca sulle imprese di famiglia della provincia di Frosinone

“GENITORI E FIGLI IN AZIENDA: COMPETIZIONI, SFIDE, CONFLITTI E

SINERGIE”

Sintesi dei risultati

Aprile 2006

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CENTRO STUDI SULL’IMPRESA DI FAMIGLIA

“DI PADRE IN FIGLIO”

Centro Studi sull’Impresa di Famiglia “DI PADRE IN FIGLIO” Via Santa Radegonda, 8 - 20121 Milano – Tel. 02.87398380 – Fax 02.87398387 – P.IVA/Cod. Fisc. 12632330150

[email protected] – www.familybusinessoffice.it

1. Le finalità dell’indagine

L’indagine in oggetto, svolta dal Centro Studi sull’impresa di famiglia “Di Padre in Figlio” per conto

del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriale della Provincia di Frosinone si è prefissa

l’obiettivo di riflettere sul complesso tema delle modalità dei processi di continuità generazionale

con particolare enfasi sulla comunicazione, organizzazione e strategia in azienda e in famiglia,

partendo dalle seguenti considerazioni:

• Impresa di famiglia è valore; le imprese di famiglia costituiscono la spina dorsale del

sistema produttivo italiano e apportano un patrimonio di valori organizzativi, strategici e

d’innovazione; patrimonio che è oggi scarsamente valorizzato.

• Fare sistema: il vero problema; i limiti delle imprese di famiglia sono l’eccessivo

individualismo, la scarsa propensione all’aggregazione, all’apertura del capitale (“sindrome del

51%”) ed ai manager esterni. Fare sistema consente, invece, di trarre indubbi vantaggi in

termini di economie di scala, pur conservando la flessibilità sui mercati e l’autonomia della

proprietà.

• Le fasi di crisi o di cambiamento enfatizzano i limiti delle imprese di famiglia; solo il

14% delle imprese di famiglia europee giunge alla terza generazione, il 20% negli Usa, il 13%

in Asia. La transizione imprenditoriale rappresenta, dunque, un momento particolarmente

critico nella vita dell’impresa, suscettibile di trasformarsi in una iniezione di nuove energie

come di costituire un nefasto fattore destabilizzante.

• Ruoli, regole, informazione e comunicazione: elementi sottovalutati; spesso questi

aspetti aziendali non sono vissuti dagli imprenditori come strategici, né vengono orientati alla

creazione di valore dell'impresa, mentre la chiara definizione e rispetto dei ruoli, la

regolamentazione dell’ingresso e del trattamento dei familiari in azienda, la comunicazione

strategica, organizzata e formalizzata sono fattori imprescindibili per una governance di qualità,

divenendo strumento di continuità aziendale e di competitività.

• “Sinergia” generazionale è processo, da progettare; il passaggio tra generazioni va

sfruttato come occasione per ripensare e modificare l’assetto proprietario, di governo,

organizzativo e strategico dell’impresa.

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2. La metodologia dell’indagine

La ricerca si è articolata su due livelli complementari. Un campione di aziende familiari della

provincia di Frosinone è stato esaminato sotto un duplice aspetto, quantitativo e qualitativo. Una

rilevazione statistica condotta sui 650 associati all’Unione Industriale della Provincia di Frosinone

attraverso un questionario postale e telefonico di tipo strutturato, che richiedeva interviste

autocompilate, ha consentito di misurare con precisione la vastità delle problematiche in gioco e di

cogliere l’importanza relativa di ciascuna di esse.

A complemento di ciò ed al fine di esaminare più in profondità i vissuti, le motivazioni e gli

atteggiamenti – anche non verbali – che caratterizzano genitori e figli in azienda, si sono svolti una

serie di colloqui individuali e di coppia (senior/junior) di tipo motivazionale che hanno permesso di

arricchire sul piano qualitativo molte delle informazioni quantitative disponibili, ottenendo così un

quadro più accurato sulle tematiche oggetto di indagine.

3. Il profilo delle imprese intervistate

La morfologia settoriale non appare marcatamente differenziata. Trattasi in larga misura di aziende

di piccole dimensioni, l’80% delle quali non arriva a superare le 50 unità in termini di addetti.

Marcata è inoltre la presenza di microimprese: quasi una su tre.

Tre quarti delle aziende coinvolte registrano un fatturato inferiore ai 10 milioni di Euro, operano nel

settore terziario ed hanno carattere “recente” (ossia sono state fondate posteriormente agli anni

Settanta), a conferma della precisa identità socio-economica del territorio frusinate. Fortissimo è il

grado di controllo esercitato dalle famiglie sul capitale sociale: ben quattro aziende su cinque sono

infatti di proprietà esclusiva di soggetti legati da vincoli familiari (l’85,7% delle aziende con oltre 50

addetti ed il 56% di quelle fondate dopo gli anni Settanta).

Un’impresa su due è attualmente gestita da un senior (over 50) e non si avvale di alcun manager

esterno alla famiglia; il 32% del campione risulta guidato da un leader appartenente alla giovane

generazione (under 40), sebbene in un terzo dei casi questi sia affiancato nella conduzione

aziendale da un esponente senior. Il 23% delle imprese hanno già affrontato il ricambio

generazionale nella proprietà e/o negli organi di gestione; metà di esse sono attualmente gestite

dalla generazione successiva a quella del fondatore; solo l’8% del campione, tuttavia, risulta aver

varcato indenne la soglia del quinto passaggio generazionale, a riprova della criticità del processo

di transizione per questa categoria di aziende. Nella pressoché totalità dei casi vi sono un certo

numero di familiari dell’imprenditore che prestano la loro attività nell’azienda; in media si oscilla

intorno alle tre unità. Il 62% dei familiari attivamente coinvolti in azienda sono anche soci della

stessa.

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4. La struttura proprietaria e gestionale

I timonieri delle innumerevoli aziende di famiglia che sostengono il made in Italy corrispondono

realmente al ritratto dell’imprenditore influente, accentratore ed autoritario che viene

tradizionalmente proposto, oppure sono facilmente influenzabili? Già nel 2001 i dati di una ricerca

condotta dal nostro Centro Studi avevano evidenziato che solo nel 36% dei casi è l’imprenditore in

prima persona a prendere le decisioni più importanti. Abbiamo dunque cercato di andare oltre, per

capire chi effettivamente assiste l’imprenditore, su quali temi e con che peso.

Le scelte relative all’internazionalizzazione produttiva e commerciale emergono come gli ambiti

aziendali in cui l’imprenditore appare relativamente più debole e tende a lasciarsi consigliare tanto

dai familiari che lo circondano, specie dalle figure genitoriali (la cui scelta si spiega in ragione

dell’età media dei rispondenti inferiore ai 40 anni), quanto da eventuali manager esterni presenti in

azienda. Prevedibile è il ruolo giocato dai professionisti, registi di molte imprese di famiglia, che ad

essi affidano la gestione di tutte le questioni legate alla pianificazione fiscale-societaria (nel 66%

dei casi) ed agli eventi straordinari (nel 45% dei casi). E’ naturale, del resto, che l’imprenditore, a

fronte di circostanze eccezionali che minacciano la sopravvivenza dell’azienda o ne modificano gli

uomini e la cultura, scelga di condividere il bastone del comando con altri soggetti deputati a

sostenerlo affettivamente (genitori) oppure tecnicamente e professionalmente (professionisti). Su

queste stesse tematiche non del tutto scontato, invece, ma in linea con quanto emerso dalla fase

qualitativa della presente indagine, è il ruolo giocato dalle figure non familiari ma interne

all’azienda, vissute come assimilabili al nucleo familiare in ragione del lungo rapporto di

collaborazione e della condivisione di valori ed atteggiamenti comuni verso il lavoro. C’è da

chiedersi se si premia la fedeltà o la professionalità.

Interessante, invece, è notare come la definizione della governance aziendale (nomina del Cda,

passaggio generazionale) sia e resti saldamente in mano alla cerchia familiare, che sarebbe assai

poco condizionabile su questa materia.

Queste le considerazioni sull’azienda, ma family business è anche famiglia e patrimonio. Trend

similare nei risultati concernenti le questioni patrimoniali: l’imprenditore tende a gestire in modo

pressoché esclusivo il proprio patrimonio immobiliare, ma si appoggia tanto all’esperienza maturata

dai capi famiglia (padre/madre) quanto al sostegno affettivo del coniuge per le decisioni relative a

polizze assicurative, titoli, liquidità e soprattutto valori mobiliari. Da notare altresì che la gestione

della sfera ereditaria e del luxury è delegata all’esclusiva competenza dei senior e che i consulenti

non incidono particolarmente sulle problematiche patrimoniali.

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5. I meccanismi di relazione aziendale-familiare

Fattori spesso sottovalutati nelle aziende familiari sono la formazione e lo sviluppo della cultura

aziendale. Infatti, il contesto in cui si sviluppa la cultura aziendale di un’azienda familiare è

tipicamente quello della famiglia, non quello dell’azienda. La cultura dell’azienda coincide, dunque,

con la cultura della famiglia e il sistema umano chiamato a recepire e gestire lo sviluppo aziendale

è quello della famiglia, non già quello dell’azienda. Almeno per un certo arco temporale, non esiste

nelle aziende familiari una “cultura aziendale” avulsa da quella della famiglia proprietaria.

La cosa è di non poco conto e si riflette in modo significativo su tutti gli aspetti gestionali

dell’azienda familiare. Se la famiglia non riesce a darsi delle regole suscettibili di creare valore in

termini di benessere per la famiglia e di economicità per l’azienda, qualsiasi iniziativa finalizzata al

rafforzamento delle condizioni di esistenza e al miglioramento delle manifestazioni di vita

dell’impresa risulterà vana.

Strettamente connesse alla questione culturale sono dunque le modalità di gestione della

comunicazione in azienda e al suo esterno. L’eccessiva informalità di tale comunicazione

caratterizza tuttora molte aziende familiari italiane, dal nord al sud, indistintamente, come

confermano anche i dati della nostra ricerca: nel 65.6% delle aziende del frusinate interpellate i

familiari comunicano tra loro prevalentemente nell’ambito di incontri informali; circa 1 imprenditore

su 2 è incline a ritenere che una comunicazione più strutturata e formalizzata sarebbe di ostacolo

alla rapidità del processo decisionale, fautrice di rigidità, portatrice di ulteriori oneri; il 39.7% del

campione si dice concorde con l’affermazione secondo cui “non occorre fare tante riunioni,

soprattutto quando si comunica tra padri e figli…ci si capisce così…a pelle…”. Non da ultimo, un

buon 30% di famiglie imprenditoriali dichiara di non aver mai proceduto alla elaborazione di alcuna

norma che disciplini i rapporti tra famiglia e azienda, mentre un ulteriore 30% afferma di aver

stipulato degli accordi chiari e condivisi tra familiari sebbene di natura puramente verbale, con gli

evidenti rischi che ciò comporta.

Sembra dunque non essere assai diffusa nel campione sondato la consapevolezza delle possibili

ripercussioni negative che simili prassi sono suscettibili di comportare: le debolezze sul piano della

governance facenti seguito ad una comunicazione inefficiente e alla assenza di una cultura

aziendale che sancisca regole, abitudini, valori e stili si riflettono negativamente, infatti, tanto sulla

strategia quanto sull’organizzazione aziendale, da sempre cardini di ogni realtà imprenditoriale e

determinanti fondamentali del suo valore. In linea con i più recenti sviluppi della letteratura, è

proprio questa la fondamentale ipotesi che la presente ricerca si propone di testare, nella

convinzione che il graduale emergere di sinergie generazionali dovute alla compresenza di genitori

e figli in azienda possa fungere da occasione per ripensare l’assetto proprietario, gestionale,

organizzativo e strategico dell’impresa nel senso di una maggiore attenzione alla governance di

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qualità, con ovvi benefici sulla competitività aziendale. Forse ripensare alla comunicazione interna

prendendo spunto dal modello delle big family business consentirebbe una qualche crescita interna

di valore anche per le persone.

6. La formazione e i percorsi di carriera

A fronte di un dato nazionale secondo cui in Italia la percentuale della popolazione in possesso di

un titolo di studio universitario sarebbe pari all’11.5%, non può non rimarcarsi il grado di

acculturazione del campione di indagine, in cui ben il 43.4% dei soggetti risulta laureato e/o in

possesso di una specializzazione post-laurea. Conseguentemente, la gran parte degli intervistati ha

fatto il proprio ingresso nell’azienda di famiglia dopo i 25 anni e, nel 53% dei casi, a seguito di

un’esperienza di lavoro presso terzi, in controtendenza con recenti dati nazionali.

Tuttavia, il quadro che emerge dall’indagine si caratterizza per una forte leadership dei padri in

azienda; leadership che per oltre 1 giovane imprenditore su 2 implica la necessità di profondere un

considerevole impegno nel tentativo di individuare un giusto ed equilibrato ruolo per sé all’interno

dell’impresa. La definizione di compiti, mansioni e responsabilità spettanti ai junior permane,

infatti, scarsa o generica il larga parte delle aziende del frusinate: quasi sempre, il potenziale erede

viene infatti inserito in azienda con un ruolo indeterminato, è spesso relegato in posizioni di

secondo piano, subalterne rispetto ad altri dipendenti e svolge prevalentemente compiti

amministrativi o di supporto tecnico. Analogamente, il 68% degli intervistati segnala rapporti

gerarchici, sistemi retributivi e di carriera non esplicitamente individuati, una crescita delle

responsabilità non definita da una chiara programmazione temporale e non accompagnata dalla

predisposizione di atti formali. Alla luce di tale senso di disorientamento vanno dunque interpretate

le risposte alla domanda “come si percepisce lei oggi in azienda?”, che vede il 41.5% degli

intervistati optare per una figura ibrida, dai contorni indefiniti, metà manager e metà padrone

(“mandrone”). Significativo, comunque, è il fatto che oltre il 50% si dica soddisfatto della propria

scelta professionale e non aspiri né a cambiare attività né a cedere le proprie quote/azioni

nell’azienda di famiglia.

7. Genitori e figli in azienda: la continuità generazionale

Un’impresa frusinate su due sta attualmente sperimentando un processo di transizione al vertice,

mentre un ulteriore 26.4% lo sta programmando. Nel 53% dei casi la successione riguarderà tanto

la cura degli interessi della proprietà quanto la gestione operativa e la figura designata al comando

sarà di emanazione del nucleo familiare in tre imprese su quattro.

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Solo il 3.8% degli imprenditori intervistati manifesta la ferma intenzione di aprire il capitale

dell’impresa a nuovi soci imprenditori non familiari, confermando quanto emerso in sede

qualitativa. L’ipotetico ingresso di un soggetto esterno all’azienda è visto come uno strumento

suscettibile di rivelarsi utile e rassicurante solo nell’eventualità di un figlio che non si dimostri

all’altezza del compito riservatogli, oppure nel caso non vi siano eredi nell’ambito della cerchia

familiare o ancora – più remotamente - qualora ciò possa essere funzionale ad una crescita

dell’impresa. Nondimeno, va rilevato come, allorquando il discorso si fa più possibilistico, un buon

40% degli intervistati si dica tendenzialmente in disaccordo con il perfetto mantenimento della

struttura familiare dell’impresa.

Resta comunque il fatto che la difficoltà psicologica e culturale cui l’imprenditore si trova in

generale confrontato nel separare l’azienda da se stesso e dalla propria famiglia, nel rinunciare a

porzioni di controllo, quantomeno nelle sfere gestionali, nel promuovere la crescita professionale

dei suoi collaboratori, gioca un ruolo preponderante e finisce con il precludere all’impresa familiare

tanto la crescita che fa leva sulla finanza, quanto quella che fa leva sull’assetto organizzativo. La

prima si sostanzia, appunto, nell’apporto di capitale da parte di soci esterni, in fusioni, acquisizioni,

alleanze con scambio di quote proprietarie, ecc., ed è intimamente connessa alla seconda.

Conditio sine qua non per il successo di tali operazioni finanziarie è, innanzitutto, che l’azienda

abbia dapprima “fatto ordine” al suo interno. Se i compiti assegnati a ciascuno sono chiari, se la

struttura di corporate governance distingue nettamente la famiglia dall’impresa, se l’intento

strategico che si vuole raggiungere è ben delineato, allora l’apertura a soci esterni può

effettivamente diventare condizione per un salto di qualità dell’azienda. Anche l’autonomia del

patrimonio familiare da quello aziendale dovrà essere perseguita.

Gli imprenditori del frusinate, tuttavia, non paiono esserne troppo convinti. Sebbene il 66% degli

intervistati convengano sulla eccessiva informalità con cui vengono gestite le comunicazioni tra

familiari in azienda, solo tre imprenditori su sette avallano l’idea che in assenza di una disciplina

della comunicazione rigida e formale gli organi che dirigono e controllano l’azienda (Cda,

assemblee e collegi sindacali) finiscano per non funzionare adeguatamente o per funzionare solo

“sulla carta”, così come l’idea che una governance inefficace, a sua volta, impedisca poi sia

all’esterno (banche, clienti, fornitori, dipendenti e tutti gli altri stakeholder) che all’interno (membri

della famiglia proprietaria, eventuali manager) di percepire la strategia aziendale e,

conseguentemente, di credere nell’impresa. O ancora, l’idea che una governance poco efficace

costituisca un fattore di rischio anche in quanto suscettibile di tradursi nell’impossibilità di costruire

un organigramma aziendale, che definisca con precisione compiti e responsabilità individuali e

possa rappresentare il punto di partenza per una maggiore attenzione alla crescita e

all’investimento nella cultura aziendale e nella formazione del personale.

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In altri termini, la maggioranza del campione non pare aver raggiunto la consapevolezza che una

strategia approssimata ed una organizzazione indefinita concorrono alla diminuzione del valore

economico della propria azienda e, di riflesso (poiché le imprese familiari in Italia sono oltre 5

milioni), dell’intero sistema imprenditoriale. In presenza di questi due limiti, le nostre imprese

avranno sempre modesto valore e difficilmente troveranno soggetti disposti ad investirvi dei fondi.

Responsabilità dell’imprenditore, specie del giovane imprenditore destinato a traghettare l’azienda

nel futuro, è anche fermarsi a riflettere su questi temi ed agire di conseguenza. Ciò richiederà del

tempo, ma soprattutto esigerà una formazione particolare e ben programmata, nonché una

educazione alla pratica della comunicazione scritta tra familiari ed una severa disciplina della

comunicazione tra familiari in azienda e loro collaboratori e dipendenti. Auspicabile, infine, anche

l’inserimento di chiare regole per la proprietà e per la gestione dell’azienda e del patrimonio

personale. Chiara deve essere la distinzione tra azionista, amministratore e dipendente, con debita

consapevolezza delle relative responsabilità e diritti. Si eviterebbero in tal modo tanti conflitti

familiari-aziendali-patrimoniali, oggi purtroppo sempre più all’ordine del giorno.

Dunque, la ricerca condotta ha consentito di evidenziare il prevalere nell’area analizzata di un

modello di capitalismo familiare essenzialmente fondato su processi generazionali sinergici;

modello la cui continuità, tuttavia, può essere assicurata – scongiurando il rischio che si tramuti in

un modello competitivo, di sfida o di conflittualità familiare-aziendale-patrimoniale - solo

perseverando nel promuovere la crescita del capitale umano aziendale e familiare attraverso la

trasmissione della cultura e conoscenza della materia del family business. Ricerca, diffusione dei

risultati, confronto e corsi di formazione sono senz’altro il primo passo per colmare questo gap di

conoscenza. L’intervento delle associazioni di categoria è dunque di fondamentale importanza,

specie nell’ambito della formazione, dell’aggiornamento professionale e dello scambio di

informazioni volto ad allargare i propri orizzonti, rispondendo quindi ad un bisogno di tipo culturale

più che gestionale. Studiare per conoscere, conoscere per deliberare.

Walter Zocchi, Presidente Sara Lelli, Direttore