RIASSUNTO La Conoscenza Del Vero

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Il testo raccoglie corsi monografici del Prof. Vincieri che hanno come filo conduttore il pensiero antidogmatico nella ricerca del vero: Lucrezio, Montaigne, Schopenhauer e Leopardi hanno affrontato errori e pregiudizi diversi, tutti alla ricerca di una risposta che forse non siamo destinati a raggiungere, ma che l'alto sentire della nostra mente non può fare altro che cercare. Schopenhauer e la storia Il pensatore di origini prussiane (1788-1860) nella sua filosofia storica si oppone alla concezione hegeliana, affermando che "il mondo stesso è il tribunale del mondo ", non la storia. Rifiuta l'idea dell'umanità come un tutto e anche un ruolo positivo della storia (Mandeville, Kant, Hegel) in quanto per lui non c'è giustificazione alcuna al male. Egli va contro la filosofia del suo tempo, contrastando anche Spinoza nell'idea che Dio sia il mondo (mondo e male sono sinonimi), in quanto non spiega cosa sia il mondo, così come che la storia abbia un qualche disegno divino; solo l'individuo è reale, il resto sono astrazioni, come lo spirito hegeliano. Illuminista e antidogmatico, crede nel progresso ma non in un futuro roseo: nel suo pensiero, discordia e dolore sono ineliminabili. È la stessa espressione, oggettivazione della volontà che porta allo scontro , tanto che per lui è inutile aspettare una pace che sarebbe già dovuta arrivare; certo l'egoismo si può vincere con la compassione, ma essa è merce rara e destinata a pochi. In lui avviene quindi uno scontro interiore tra il pessimismo metafisico descritto e la lotta continua al male e alla menzogna. Tornando alla storia, egli non la definisce una scienza in quanto questa è un sistema di concetti, che trattano di ciò che è sempre, e inoltre passa dal generale al particolare; la storia invece tratta di ciò che è stato una volta sola, e tratta dell'individuo , non su può parlare di conoscenza generale in quanto essa è soggettiva, quindi superficiale. Allo stesso modo, la conoscenza filosofica si eleva al di sopra di quella storica poichè è la più generale ed importante , che parla di ciò che è sempre uguale, nelle sue diverse manifestazioni, dà le conclusioni. La storia invece si riduce a storia del singolo, di un intreccio transitorio del mondo umano in continuo movimento , nulla quindi di assoluto o generale. Per Schopenhauer la stessa storia dei popoli varia solo in nomi e date, il contenuto è lo stesso ovunque: per questo dice che chi legge Erodoto ha già studiato abbastanza storia. La filosofia

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Il testo raccoglie corsi monografici del Prof. Vincieri che hanno come filo conduttore il pensiero antidogmatico nella ricerca del vero: Lucrezio, Montaigne, Schopenhauer e Leopardi hanno affrontato errori e pregiudizi diversi, tutti alla ricerca di una risposta che forse non siamo destinati a raggiungere, ma che l'alto sentire della nostra mente non può fare altro che cercare.

Schopenhauer e la storia

Il pensatore di origini prussiane (1788-1860) nella sua filosofia storica si oppone alla concezione hegeliana, affermando che "il mondo stesso è il tribunale del mondo", non la storia. Rifiuta l'idea dell'umanità come un tutto e anche un ruolo positivo della storia (Mandeville, Kant, Hegel) in quanto per lui non c'è giustificazione alcuna al male.Egli va contro la filosofia del suo tempo, contrastando anche Spinoza nell'idea che Dio sia il mondo (mondo e male sono sinonimi), in quanto non spiega cosa sia il mondo, così come che la storia abbia un qualche disegno divino; solo l'individuo è reale, il resto sono astrazioni, come lo spirito hegeliano.Illuminista e antidogmatico, crede nel progresso ma non in un futuro roseo: nel suo pensiero, discordia e dolore sono ineliminabili. È la stessa espressione, oggettivazione della volontà che porta allo scontro , tanto che per lui è inutile aspettare una pace che sarebbe già dovuta arrivare; certo l'egoismo si può vincere con la compassione, ma essa è merce rara e destinata a pochi. In lui avviene quindi uno scontro interiore tra il pessimismo metafisico descritto e la lotta continua al male e alla menzogna.

Tornando alla storia, egli non la definisce una scienza in quanto questa è un sistema di concetti, che trattano di ciò che è sempre, e inoltre passa dal generale al particolare; la storia invece tratta di ciò che è stato una volta sola, e tratta dell'individuo, non su può parlare di conoscenza generale in quanto essa è soggettiva, quindi superficiale.Allo stesso modo, la conoscenza filosofica si eleva al di sopra di quella storica poichè è la più generale ed importante, che parla di ciò che è sempre uguale, nelle sue diverse manifestazioni, dà le conclusioni. La storia invece si riduce a storia del singolo, di un intreccio transitorio del mondo umano in continuo movimento, nulla quindi di assoluto o generale.Per Schopenhauer la stessa storia dei popoli varia solo in nomi e date, il contenuto è lo stesso ovunque: per questo dice che chi legge Erodoto ha già studiato abbastanza storia. La filosofia ricerca la profondità dunque, va oltre il racconto dei fatti. La storia ci fa conoscere più gli uomini che l'uomo, non entra nell'essenza di quest'ultimo; in questo senso è preferibile l'arte alla storia.Negli eventi storici, tolto ogni disegno divino, è dunque determinante il caso; lo scorrere delle vicende umane è solo un fenomeno , una forma esteriore casuale della vera idea che c'è sotto, come casuali e indifferenti sono le forme che le nubi assumono in confronto alle nubi stesse.Detto ciò, critica dunque la tendenza folosofica del suo tempo che culmina in Hegel, la quale confonde l'essenza con il fenomeno, l'essere con la manifestazione. Cita poi Platone, dicendo come l'idea sia eterna, oggettivazione della volontà, e lo stesso uomo singolo è da considerare come reale, ben definito nella sua singolarità.Il suo pensiero pone al centro di tutto l'individuo, che è reale rispetto al genere umano, a quella molteplicità che non è reale, ma mero fenomeno; la vita di ogni singolo ha significato, è un insegnamento morale, un microcosmo che rappresenta il macrocosmo .Sono i processi interni, guidati dalla volontà, ad essere reali, quelli esterni sono solo manifestazione di questi. Ecco perchè va contro chi vede la storia come un tutto prestabilito; parlare di genere umano, di popoli o spirito del popolo è solo astrazione, finzione.

Facciamo un breve salto alla filosofia di Kant, Hegel e Marx per meglio capire il pensiero di Schopenhauer.Kant dice che sarebbe sconfortante pensare che non ci sia un fine per l'uomo, una provvidenza; per quanto giudichi temerario per la mente umana comprendere il disegno divino, è possibile (per lui auspicabile) pensare che ci sia, pur rimanendo nel piano della possibilità, sostenendo l'autonomia della

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morale e della buona volontà rispetto alla natura. Attua così una visione storica che va dal peggio al meglio, con l'effetto tanto odiato da Schopenhauer di giustificare il male e la guerra stessa. Come Mandeville, vede antagonismo e conflittualità come positivi per il progresso, mentre al suo tempo la guerra sarebbe talmente distruttiva da obbligare l'uomo ad intraprendere la pace, ecco l'occasione offerta dalla natura. (concetto noumenico della libertà per Kant. Noumeno è idea, concetto, la specie intelligibile non tangibile.)Le obiezioni riguardano il fatto che, ammettendo l'esistenza della provvidenza, essa debba per forza prevedere il bene finale, e poi come ci possa essere progresso se questo non si estende al cuore dell'uomo, qui sembra di sentire Rousseau.La morale per Schopenhauer è un fatto del tutto individuale, radicata nell'essere , pertanto non si può insegnare; lo Stato avrebbe dunque la funzione di evitare gli effetti più dannosi dell'egoismo. Ciò si accorda con la visione storica di Platone, che nella Repubblica delinea proprio uno sviluppo dal meglio al peggio attraverso le generazioni, pensa alla descrizione della città e dei diversi tipi di governo.Hegel fa un passo avanti, dato che per lui vi è una ragione divina che governa il mondo e nella storia si manifesta; va oltre Kant affermando che la mente umana può capire il disegno divino. La coscienza si realizza in assoluto quando comprende che la storia stessa è un concetenarsi logico di momenti, tutti ugualmente necessari (la dialettica del divenire, insieme al concetto di negazione spirito).Schopenhauer è un forte oppositore di Hegel, in quanto dice proprio il contrario, come non ci sia nulla di nuovo e che la filosofia della storia debba cogliere l'identico nel "guazzabuglio degli avvenimenti".Teniamo presente che comunque Schopenhauer conferisce alla storia un ruolo importante in quanto, non essendo ne scienza ne arte, si afferma in un campo tutto suo, ossia quello della memoria dei popoli; è mediante di essa che un popolo diviene completamente consapevole di se stesso, così come l'uomo fa tramite la coscienza (storia sta ai popoli, come coscienza all'individuo). Nonostante tale importanza, non bisogna però fare l'errore di sostituire come soggetto lo spirito del popolo ai singoli.Vediamo allora come critica Marx; sappiamo che il tedesco affida la liberazione dell'uomo al superamento dei rapporti di produzione capitalistici, superamento effettuato dal socialismo. Per lui il problema è quindi tutto economico, il lavoro estraniato non permette all'uomo di realizzarsi, il male risiede dunque nelle forze esterne (ricorda Spinoza) indentificate per Marx nelle condizioni storiche: l'uomo di per sè è buono. La differenza con Spinoza è che per il tedesco la soluzione risiede in quelle stesse condizioni materiali esterne che dipendono dalla natura, l'uomo con la sua volontà così come le sue passioni ha scarso rilievo.Nella realtà per Schopenhauer ci sono solo i singoli, che si rendono conto dell'universalità, mantenendo però dentro essa la propria identità; così la critica di Marx al lavoro estraniato è giustissima, però sbaglia non tenendo conto dell'irrazionalismo (passionalità) che è sempre parte della vita dell'uomo. Così la soluzione, per quanto parziale, verso una società migliore non può prescindere dalla natura umana immutabile. (Schopenhauer vede nella sovrappopolazione terribile male futuro).Ecco che Schopenhauer fa un passo indietro verso una visione storica più ciclica, per quanto non prevedibile nelle sue oscillazioni, allontanandosi da quella teleologica che va verso una pace perpetua; se la speranza è ridimensionata, non bisogna per questo rinunciare ad agire per il bene , intendendolo come una meta per i singoli; l'umanità è per il prussiano un qualcosa di troppo vago.In realtà, il prof ben spiega come la visione ciclica basata sull' alternanza tra bene e male , dipinta come sconfortante da Kant, non è così malvagia: ciò perchè essa si può coniugare con una visione teleologica per quanto riguarda l'armonia del mondo, che si può quindi vedere come segno di una divina perfezione; ma ben altra cosa è, come fa lui, calare il divino nella storia, che è opera esclusivamente umana e per lo più "il risultato, in circostanze date, della sua anima concupiscibile e della sua limitata visione degli eventi".[il prof dice come la stessa unione tra essere e idea si può vedere come una perfezione verso cui tendere, concepita dall'anima razionale che rappresenta l'armonia del cosmo nell'uomo.]Lo stesso Platone, che ha una visione pessimistica della specie umana e vede la decadenza come necessaria, parla di provvidenza e dell'intervento divino, ma come effetto esterno; la sua visione della storia non è quindi sconfortante, nel senso che prospetta il bene per l'anima razionale, ma solo per

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il singolo in quanto la virtù necessaria è rara e non si può insegnare .Schopenhauer a suo dire si ispira a Platone per la dottrina delle idee, la differenza è che la presenza del bene in Platone, in lui diventa un orizzonte di speranza visto il suo rifiuto del mondo.

Montaigne (1533-1592)

L'aspetto più controverso del francese sta nell'attribuire o meno il suo scetticismo verso la ragione, che pretende di conoscere il vero, anche verso la fede; alcuni pensano di no, dato che egli seguiva i principi cristiani, mentre Pascal nella critica ai Saggi ritiene la fede lontana dal pensatore, dicendo che Montaigne descrive l'uomo naturale.Se parla di grazia come di dono divino, quindi tralascia la fase relativa all'iniziativa umana, l'oggetto del suo studio è la natura, vista come unica realtà, dunque anche come unico oggetto di conoscenza e riflessione, che porta comunque ad una conoscenza vana, non completa.Pascal, suo grande critico, se condivide con lui la sfiducia nella ragione (tipica della religione, anche riformata) vede comunque una finalità nella vita dell'uomo, la redenzione tramite la fede e la grazia, altro non potrebbe essere il senso della vita. Montaigne invece considera Dio troppo nascosto, tanto che l'uomo non è in grado di ascoltare la sua parola, bisogna cercare il significato della vita: sarebbe questo, in caso di successo, il capolavoro dell'uomo.Allo stesso modo, la morale è qualcosa di profondamente umano, non deriva dal divino come pensa Pascal. Montaigne considera fortuna e sorte come elementi ben presenti, che influenzano la libertà nella vita morale dell'uomo; egli parla della saggezza come padronanza di sè, come "capacità dell'uomo di porsi in modo vigile e cosciente nei confronti delle passioni per moderarle" dice Vincieri, così come verso le forze esterne per controllarle il più possibile.Si nota il suo debito verso la tradizione classica, ancora di più quando parla di moderazione come giusto mezzo per vivere bene, ideale derivato dalla ragione e dall'esperienza. Se questa è la base dei Saggi, l'obiettivo è analizzare la realtà, e capire la natura di pensieri ed azioni. Per fare ciò, oltre a fornire casi reali come esempi, osserva se stesso, in quanto per Montaigne "ogni uomo porta in sè la forma dell'umana condizione".Questo ideale della moderazione va in crisi nell'esame della realtà, perchè essa è caratterizzata da diversità e movimento; ciò non è da vedersi come una contraddizione, in quanto Montaigne non definisce mai, ma saggia la realtà. La stessa ragione che è sempre presente in modo positivo, è cmq qualcosa di vago: egli esamina, analizza, distingue, osserva.Vuole andare alla radice dell'io proprio tramite l'osservazione di se stesso , anche perchè solo chi conosce il proprio io è padrone di sè; i Saggi sono dunque un suo viaggio personale dentro se stesso, per capire cosa dà vita a certi pensieri e ci spinge a certe azioni: solo così si può capire come siamo.È importante capire che egli si osserva in movimento, in quanto la realtà esteriore come quella dell'anima è in costante cambiamento, nulla è stabile, fisso; la conclusione cui giunge sarà però che non si può avere una chiara conoscenza di noi stessi, in quanto siamo formati da tanti pezzetti, dunque diversi al nostro interno.Presentando i suoi Saggi come utili solo a se stesso, quasi futili e vili, in realtà scoverà conferme contro la concezione comunemente accettata di essenza.

Nel particolare, vediamo cosa ci spinge ad agire per Montaigne; egli analizza 3 elementi.L'indole naturale, ossia le inclinazioni possedute dall'individuo per natura, sue proprie.L'abitudine, che plasma la prima e si intreccia con essa, tanto che viene difficile separarle; abitudine, consuetudine, sono una sorta di seconda natura, molto importante sul piano politico e sociale. Da lui Rousseau prende il concetto di lontananza dallo stato naturale , tanto che diviene difficile distinguere elementi naturali e acquisiti. Infine la ragione, che come detto non definisce, ma considera come un qualcosa di più raffinato e astratto di ciò che era nella semplicità naturale, una ragione metafisica.Egli però gli affibia una valenza positiva in quanto permette, se ben usata, la padronanza di sè; in questo senso, contrappone la presunzione alla dotta ignoranza .

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Attacca le impalcature costruite dai metafisici, contestando l'eccessivo potere attribuito alla ragione; per lui la filosofia è "poesia sofisticata". Montaigne dice come la nostra malattia naturale sia la presunzione, che ci fa credere di aver capito tutto, mentre invece bisogna sempre agire con umiltà poichè non c'è verità della ragione che prima o poi non venga contraddetta. Ecco perchè ad essa contrappone la dotta ignoranza, poichè la maggior parte degli uomini pensa di sapere e conoscere, quando invece non comprendono nemmeno se stessi.Anche lui vede lo stato umano miserabile e meschino, quindi in fondo nota il ruolo positivo della presunzione (esattamente come Hobbes vede la stima di sè) che ci consola; il prezzo da pagare per la ragione sarebbe il soccombere alle infinite passioni. Si pensi ai danni che il potere di ragionare ci ha conferito, ad esempio in merito ai mali come la morte, che l'immaginazione e la sfrenatezza di pensieri aumenta a dismisura. Immaginazione e fantasia, strettamente legati alla ragione, sono causa prima dei mali umani, gli animali infatti soffrono e vivono in modo molto più naturale, sopportabile.È chiaro che per lui non c'è retta ragione in natura, come dirà Hobbes.

Per il discorso del scetticismo, non si trova in Montaigne un legame tra esso e fede religiosa; per quanto ammetta la fede in Dio, non c'è traccia nei Saggi di una presenza divina in noi, tanto che la coscienza è cosa del tutto umana. Allo stesso modo, quando descrive il pentimento (distinguendo, non insegnando, con discorso ricco e articolato, pieno di aggiunte) dice come sia certo possibile, anche se molto difficile in quanto il vizio è radicato in noi, e più che toglierlo la coscienza lo tollera: questo a causa della consuetudine sovrapposta all'indole naturale.Quando però arriva alla descrizione di sè, prende una posizione più netta; qui pone infine il nostro operare con il nostro essere, quindi ciò che si chiedeva, il cosa smuove pensieri e azioni, non ha una risposta precisa, ma risiede in noi. Dice infatti che se dovesse rivivere, lo farebbe come ha già vissuto. Per lui non ci conosciamo mai del tutto, essendo formati da pezzettini diversi ed in movimento; solo per presunzione possiamo pensare di essere privilegiati per natura, riportando come esempio la presunta felicità perduta prima del peccato, che lui chiama fantasticheria.Nel suo caso particolare parla di indole mite, buona educazione quindi buona consuetudine e fortuna.Montaigne pone attenzione al male artificiale, quello che l'uomo fa a se stesso ed agli altri, piuttosto che a quello naturale, che è tollerabile; esso non deriva da una impurità di cuore, bensì dalla nostra misera condizione, parla di follia e stoltezza. Ciò è dimostrato dalle stravaganze stesse della storia, la nostra stessa vita è risibile e paragonabile ad una commedia (simile a Schopenhauer; dice anche M che sarebbe una sproporzione iniqua ricompensa eterna per vita così breve).Lega intimamente morale con psicologia, dicendo come la ragione soggettiva non possa il più delle volte distinguere oggettivamente male e bene; dice che è meglio affidarsi a Dio, vedendolo però come lontano a causa della nostra mancata comunicazione col nostro stesso essere, quindi non possiamo avvertire il suo tocco se non ci conosciamo.Si cerca di capire, studiando Montaigne, come mai egli nonostante la sua sfiducia nella ragione conservi una speranza di un suo buon uso; ciò si può spiegare sia con l'influenza dei classici, da cui ha assimilato i valori dell'umanità, sia dalla sua indole moderata, che odia la guerra e la violenza. Così si può vedere Montaigne come uno che non si rassegna all'idea che la ragionevolezza non possa prevalere , nonostante la storia lo smentisca di continuo ; anzi forse proprio dalla storia e dalla guerra civile-religiosa deriva la sua sfiducia nella ragione e la convinzione sulla presunzione dell'uomo.Facciamo allora una sintesi del ragionamento che lo porta a definire l'uomo: essendo noi parte della natura, abbiamo al nostro interno tutte le passioni contrarie tra loro , la natura stessa nel suo ordine comprende tutti i contrari. Essendo guidati in direzioni diverse da esse, è difficile stabilire quali siano le regole naturali da seguire, tanto siamo lontani dalla condizione naturale, in cui invece vi erano semplici e poche regole da seguire.Essendo quindi la vita stessa movimento, ecco che rispetto alla nozione aristotelica di essenza Montaigne parla di condizione umana, definizione meno rigida che meglio chiarisce una esistenza come la nostra, così varia e turbolenta. Nel particolare, parla di misera condizione.

L'esperienza però gli ha insengato un altra verità, ossia che ciò cui gli uomini aspirano, come essere naturali, è la conservazione della vita; è questa in primis che da vita alla lotta , che va risolta poi con

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le leggi . Allo stesso modo, definisce una necessità quella di unirsi per gli uomini, unione che diventa legge essendo gli uomini dotati di socievolezza ed insocievolezza.Quindi il fondamento del diritto è proprio questo, conservare la vita; da qui parte la critica alla società (ripresa da Rousseau), in quanto i mali maggiori sono quelli che produciamo con l'arte; i bisogni di oggi sono superflui, al progresso necessariamente si accompagna la corruzione. Già in lui appare la scissione derivata dalla società moderna tra essere ed apparire , centrale in Rousseau; non è quindi con l'arte che miglioriamo la nostra vita.Con l'esempio dei selvaggi d'America mostra come ognuno giudichi barbarie in base a ciò che è estraneo ai propri usi, impone dunque il problema dei nostri artefici che anteponiamo alle opere di madre natura, tanto da soffocarla; descrive come frivole imprese le nostre rispetto alle sue, si pensi come sia attuale e come abbia anticipato i tempi.Egli dice che se i selvaggi sono cannibali, noi invece ci mangiamo vivi; pensa al loro stupore riguardo la disuguaglianza sociale della nostra società, che per loro non ha senso.Ecco che appare quindi lo Stato come elemento funzionale per la conservazione della vita; si dimostra un pensatore politico moderno quando afferma che le leggi sono sovrane non in quanto giuste, ma in quanto leggi. È contro la tirannia e la guerra, ama la liberà intesa come movimento e di coscienza, ma politicamente è contro partiti e fazioni politiche che disgregano lo stato.Si capisce perchè egli dallo Stato desideri sicurezza, perchè vuole vivere libero e tranquillo senza tensioni; non ha ambizioni, si accontenta di ciò che la fortuna gli consegna, la cosa più grande del mondo è per lui saper essere per sè.La sua sfiducia come detto deriva quindi dalla stoltezza dell'uomo che infrange il diritto di tutti alla conservazione della vita con le guerre, un giudizio il suo che tiene conto della storia. Vede però in una forma più alta di ragione la padronanza di sè e la libertà di giudizio in funzione antidogmatica; tutto è riferito, bisogna ricordarlo, all'individuo, e in questo caso a lui medesimo. Le vera libertà per lui è potere qualsiasi cosa su se stesso, quindi si rende conto che non può aspettarsi che gli uomini vivano bene, ma nonostante ciò egli prova a farlo, senza prescriverlo agli altri, in modo conforme alla sua indole.Per fare ciò, oltre a seguire la propria indole ed a una discreta dose di fortuna (la sorte quindi ha un certo peso), deve poi perseguire questo obiettivo convivendo in mezzo alle persone, che spesso definisce gente o folla. Come fare allora a vivere da saggio in mezzo ai passi? Dato che lo Stato garantisce sicurezza, non volendo egli sottrarsi al dovere di cittadino, la soluzione è cercare uno spazio proprio per salvare la sua interiorità. La sua è una posizione di difesa.Precisiamo bene, egli non lo fa per un risentimento personale, dato che è sempre grato e contento della vita che ha ricevuto in sorte (ben diversa sarà la solitudine di Roussea); eppure notando come gli uomini nel quotidiano perdano la loro autenticità, di come si "diano in affitto", preferisce quando può stare con se stesso.In definitiva per vivere la vita nel modo migliore si deve perseguire la salute di corpo e anima; quest'ultima si raggiunge con la conoscenza di sè, valorizzando la propria interiorità e anche in una relazione con gli altri di vera amicizia.Ma rara è la vera amicizia, così come la virtù che non è facilmente insegnabile: ecco perchè il pernsiero di Montaigne non è prescrittivo, la sua è una considerazione su cosa sia meglio fare almeno per limitare la nostra passività agli eventi; è un invito a non abbandonarsi, che ricorda il Macchiavelli quando nel cap 25 del Principe mostra tutta la sua convinzione sull'arbitrarietà dell'uomo, quando dice che la fortuna guida solo metà della nostra vita, e va imbrigliata con la virtù; cosi come nel cap 9 del terzo libro dei Discorsi considera che per vivere bene l'uomo deve sapersi adattare ai tempi.Il progresso si ottiene attraverso la singolarità per lui ; solo chi sa intrattenersi con se stesso, sa farlo come si deve anche con gli altri. Si noti come ancora anticipasse i tempi nel dire che le regole ed i precetti del mondo sono fatti per spingerci fuori di noi, per l'utile della società. Interiorità, vivere per la conoscenza, giusto senso e misura, tutto ciò porta a superare non noi, ma la natura stessa: l'idea dell'eternità, dice Vincieri, è un dono degli dèi per far sentire gli uomini meno mortali.

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Lucrezio e Leopardi: Ragione

Per entrambi la ragione ha una ruolo centrale; Lucrezio nel suo poema vede la conoscenza del vero necessario per sopportare il male, mentre Leopardi le conferisce un ruolo liberatorio e antidogmatico. Il secondo riprende il primo, avvicinando la ragione alla poesia, anche lui scopre l'abisso nella ricerca del male, divenendo quindi per entrambi una certezza la distanza tra il vero ed il bene.Poeta e filosofo vedono questa aridità, e non possono sfuggire a tale comprensione.

Lucrezio

Filosofo romano legato alla dottrina di Epicuro (sensismo, atomismo, semi-ateismo), Lucrezio vede la ragione come lume che libera l'uomo da ansie ed inquietudini; il suo metodo consiste nel legare pensiero ed azione, l'ambito teoretico-metafisico con quello pratico. Si trova in lui una connessione tra metafisica, etica e politica che lo allontana da Aristotele , il quale affermava nell'Etica che ogni cosa in natura mira ad un fine e quello è il suo bene. Lucrezio esclude la felicità, parlando invece di pace dell'animo, la serenità raggiungibile comunque sempre con la conoscenza del vero. Rispetto allo Stagirita allarga la visione al genere umano, alla sua sofferenza causata da una falsa conoscenza.Il suo è anche un progetto politico che però si esprime nell'utopia di raggiungere la pace, rasserenando gli animi, attraverso la vera conoscenza, obiettivo che va ben oltre il mondo romano.Partiamo dal punto focale della sua filosofia: nulla nasce dal nulla. Ponendo poi la materia come eterna, vediamo le due scuole di pensiero che da sempre si fronteggiano: finalistico e meccanicistico.Lucrezio appartiene al filone di Democrito ed Epicuro, in contrasto con quello di Platone e Socrate, per i quali non esiste intenzionalità alcuna nella materia, composta da atomi eterni. Ma detto ciò, il problema è capire il perchè tali atomi si aggregano e danno vita alle forme presenti in natura, quindi ci si chiede perchè il cosmo e non il caos?Nel trattare questo tema, il prof si attiene alla posizione espressa da Kant nella critica del Giudizio: ossia che non avendo un intelleto archetipo, si dovranno ritenere formalismo e meccanicismo come possibilità entrambe valide . [chiarisce come il dibattito non verta sul dubbio essere o nulla, dato che le cose esistono e come tali sono; il dibattito sarà sul perchè e modo di aggregazione degli atomi].Lucrezio come detto vuole dimostrare come non esista intenzionalità nella formazione del cosmo.Lo scontro dunque è prima tra Democrito e Platone, quindi tra Epicuro ed Aristotele.Per Aristotele il cosmo è eterno, non c'è nemmeno il passaggio da caos a ordine che invece Platone ammette e cmq giustifica; l'idea platonica del bene è resa immanente, quindi il bene è il fine ultimo.Gli atomisti invece parlano di aggregazioni di atomi senza uno scopo, in pratica considerando l'ordine che è venuto come una possibile variante del caos, quindi non è da considerare per forza come bene.Essi affermano che solo gli atomi, detti anche semina rerum, sono eterni ed infiniti, mentre la materia ha forme determinate in base a leggi fisse; gli aggregati quindi si formano in base ad una sorta di predisposizione della materia: come forme geometriche, devono avere giusto peso, forma e posizione. Quindi tale giusta posizione è ciò che sostituisce nella visione meccanicistica il bene di quella finalistica.Tornando a Lucrezio, l'universo esiste perchè esiste, non c'è un motivo scatenante; la nostra mente però può capire l'essenza delle cose, dunque possiamo vivere bene usando il lume, non le menzogne.Il prof sembra poi appoggiare la tesi di Lucrezio, che ben indaga sull'origine del cosmo, chiedendosi perchè gli dei immortali e beati avrebbero poi dovuto creare noi, se da tempi remoti erano sempre vissuti in pace e armonia; quindi dice come l'idea di un volere superiore sia non solo falsa ma dannosa, perchè porta ad un timore degli dei che poi è gestito dai potenti che si fanno portatori della loro volontà. Egli confuta la religione stessa poichè basata su una visione nel mondo priva di riscontri nella ragione, che contrasta la relazione tra ragione e serenità.Lucrezio propone poi l'esempio degli organi, creati a suo dire prima del loro utilizzo; per lui l'animo tende a credere ciò che spera, mentre solo la conoscenza del vero poggia su solide basi e fornisce

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quindi il conforto più autentico.Il mondo non si crea dal nulla, ne per mescolanza casuale di atomi; il caso certo interviene, ma le forme in cui si possono aggregare sono sempre le stesse, quindi nel tempo e spazio infinito prima o po si creano. La sua è una visione ciclica di vita e morte, ponendo come attacco a quella finalistica il fatto che non ci sia da stupirsi che il mondo si sia formato, ricorda il concetto di necessità di Spinoza.Il mondo per Lucrezio è solo un aggregazione che si mantiene senza scopo.

L'analisi continua esaltando Epicuro che ha scacciato i mostri dalle menti dell'uomo; si afferma che non c'è nulla oltre al divenire ed il capolavoro dell'uomo, che ad es per Montaigne è capire il senso della vita, per lui è non lasciarsi travolgere, vivendo in serenità.Il mondo ha avuto un inizio, non è eterno, tanto che la situazione attuale è derivata dal progredire del tempo e delle cose; per lui non ci fu nessuna età dell'oro, ne tantomeno i mostri dei miti. Quindi arrivò la scoperta più grande di tutte, quella del vero da parte del divino Epicuro. L'uomo quindi altro non era che bestia, afflitta dall'insicurezza e sofferenza tanto come al suo tempo; anche lui un pò come Montaigne dice che all'inzio tutto era basato sulla sopravvivenza, non c'era il desiderio fine a se stesso di dominare: non erano buoni ne malvagi; e come il francese dice che poi l'accresciuto potere aumento cmq i pericoli ed i mali.Lo stesso incivilimento non ha nulla a che fare con una volontà, dato che le scoperte che l'hanno prodotto sono frutto di caso ed esperienza. Ciò però presuppone che le società progrediscano, per quanto lentamente, verso il meglio, mutando anche i giudizi sulle cose a mano a mano che se ne scoprono di nuove e migliori. Si arriva così alla scoperta dell'oro e a quella brama di possesso che per Lucrezio supera per estensione la voglia di dominare. È da essa che deriva la corruzione che colpisce cilcicamente le civiltà; lo stesso Platone la cita nel decadere della timocrazia verso l'oligarchia, il regno dei ricchi. Tale decadenza porterà alla sottomissione spontanea ad uno Stato, per la sicurezza comune.Egli mostra con immagini molto forti di guerre e violenze la bellezza della vita frugale come scelta della ragione, quindi evoluta rispetto a quella primitiva descritta, rispetto invece alla società caratterizzata dalla sete di potere. La pace così realizzata renderebbe quasi superflue le leggi ed altri principi classici come la giustizia stessa.Essendo per lui la paura della morte motivo principale di turbamento, la chiara coscienza lo mette di fronte ad essa consegnandogli gli strumenti per combattere angoscia e malinconia; la serenità deriva proprio dai suggerimenti della ragione. Il farmaco di Epicuro diventa necessario per non far sprofondare l'uomo nelle tenebre.Lucrezio però differisce da Epicuro poichè introduce un sentimento cupo, desolato della vita, immagini di morte che prendono il posto della serenità che la ragione vera dovrebbe apportare. Si tratta allora di capire se ciò deriva dalla dottrina stessa, o se sia dovuto ad un carattere particolare dell'autore (Schopenhauer ricorda come a volte ci si stupisca di noi stessi, come sia difficile conoscere il nostro carattere intelligibile).

Poichè solo gli atomi sono eterni, non gli aggregati, l'universo potrebbe disgregarsi da un momento all'altro; ma gli argomenti della ragione, per quanto possiamo ritenere veri, non è detto che siano così efficaci contro la malinconia del pensiero di lasciare la vita, anzi appaiono come mere consolazioni.Queste sono le motivazioni per la presunta serenità: se la vita è stata favorevole, non c'è da lamentarsi, in caso contrario la morte è una liberazione. Considera egoismo il fatto di rifiutare il nostro destino, che è quello di sparire e lasciare il posto ad altri; la nostra è una comparsa senza scopo, che forse sarebbe stato meglio non fosse avvenuta, Lucrezio infatti si chiede "che male sarebbe stato per noi non essere nati?".Eppure Epicuro insegna che si può avere stabilità in vita attraverso la saggezza, evitando i turbamenti. Lucrezio sembra andare fuori dalla dottrina, quando invece dice che non bisonga lamentarci perchè l'inferno è qui sulla terra; come scritto nelle note, molto si è detto sulla differenza tra maestro e discepolo, e si coglie nei critici una maggior ansia e angoscia in Lucrezio, che gli deriva quindi dal carattere suo proprio.

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Epicuro evidenzia l'imperfezione della natura e la dura realtà dell'uomo, quindi si concentra su ciò che può rendere la vita sopportabile, serenità e tranquillità tramite la ragione.Lucrezio punta invece più alla conoscenza del vero, che però si accompagna anche al dolore per l'abisso che è stato rivelato. In lui quindi contrastano un immensa gioia per aver visto l'essenza intima delle cose, l'ebbrezza suprema del conoscere, con la profonda comprensione della miseria dell'uomo. Lucrezio non riesce a non vedere che il mondo non è fatto per noi. Si spezza così il legame tra il bene ed il vero; dovendo noi tornare al nulla necessariamente, meglio per Lucrezio attendere la morte serenamente piuttosto che affidarsi a beni effimeri, falsi. La gioia della mente per la conoscenza non si trasmette alla prassi, smorzata dallo stesso oggetto svelato.Il problema è che persino lui rimane sopraffatto dalla scoperta, da non riuscire egli stesso a vivere sereno, la ragione ha visto troppo; è forse meglio vivere nell'ignoranza, senza chiedersi il perchè della vita.

Leopardi (1798-1837)

Il poeta-filosofo fa un uso critico della ragione, sfruttandone le potenzialità per scandagliare il reale, in ottica antidogmatica. Per notare la vicinanza a Lucrezio, si citano due opere precedenti quello Zibaldone che esprime il pensiero leopardiano, ossia Storia dell'astronomia e Saggio sopra gli errori popolari degli antichi.Opere di un giovane Leopardi che esalta la ragione come capacità di comprendere la cause delle cose; egli ammira Copernico, Galileo, Newton per la loro razionalità, mentre da Cartesio carpisce quella metodologia di mettere sempre tutto in dubbio. Accosta l'ignoranza alla follia, tipiche caratteristiche del genere umano, poi rischiarato nel secolo illuminato.Questi saggi già denotano l'uso critico della ragione di stampo illuministico, con richiami a Lucrezio per facilità con cui la mente umana si lascia ingannare; la grande differenza mai colmata tra i due sta nel fatto che il Leopardi vede la ragione come propedeutica alla comprensione del vero, che risiede nella religione . Come per Newton, scienza e religione non sono in contrasto, anzi la prima è oggetto della ragione, che poi porta allo sbocco della religione, a quell'ordine che è espressione della sapienza divina.Ma nello sviluppo del suo pensiero, la ragione è messa poi sotto accusa perchè coglie una realtà che appare brutta; essa va oltre i limiti impostati dalla natura stessa e come Lucrezio vede troppo. Precisiamo che Leopardi per ragione intende sia la parte calcolante, che la mente intuitiva. Egli in particolare attacca la ragione matematica, calcolatrice, perchè esclude la visione poetica della vita, e tende ad imporsi come assoluta. Si è visto che Lucrezio rimane nella dimensione del vero, anche quando coglie la distanza tra il bene ed il vero; la ragione quindi, visto l'abisso, cerca di adattare la vita a tale consapevolezza indicando la strada della serenità, che poi non ci si riesca è un altro discorso che esula dalla dottrina. Leopardi dopo aver scoperto l'abisso, reagisce a modo proprio: esalta la facoltà immaginativa a discapito di quella razionale, perchè è nella prima che risiede il lato poetico, bello, della vita. Arriva cioè a dire che le illusioni sono necessarie per la vita, in quanto la conoscenza del vero inaridisce tutto.Pensando all'immaginazione degli antichi, cita Omero, arriva alla modernità che ha distrutto le favole poetiche, in quanto la ragione ha fatto strage di illusioni. Ecco che arriva alla conclusione per cui l'uomo non era destinato a conoscere il vero. Lo mostra il nesso tra verità e disperazione.Sviluppa così la teoria del piacere, per cui la felicità è il fine dell'uomo (Aristotele), dicendo che l'uomo era prima felice, poi diverse cause occasionali (Rousseau) hanno sviluppato la ragione, ponendoci di fronte al vero.Più che ammettere una sorta di contraddizione, per cui l'uomo è destinato ad essere infelice, Leopardi parla di perfezione relativa delle cose, ammettendo solo una sorta di decadenza dell'uomo da una perfezione originaria. Egli applica la teoria della illusioni, dicendo come l'uomo si perde se vede troppo, si pensi al peccato originale in cui ha mangiato i frutti della conoscenza; la natura interviene dunque fornendo le illusioni necessarie a noi mortali per sopportare la vita.Leopardi vede quindi nella ragione puramente calcolatrice la causa di decadenza, identificata

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anche nella storia, che altri filosofi vedevano nelle passioni; la situazione al suo tempo impedirebbe una risalita all'entusiasmo, essendo stata confutata l'illusione più grande, quella religiosa.Si vedrà però che il vero nemico da contrastare sarà proprio la ragione lucreziana, quella che coglie il vero.

Dallo Zibaldone si vede come egli dica chiaramente che la natura è grande, la ragione piccola; i grandi uomini per agire devono prendere spunto dalla prima, quindi dalle sue illusioni, perchè sennò la ragione ferma tutto. La natura come sorgente di entusiasmo, genera le illusioni e permette di sopportare la vita nonchè di compiere le grandi azioni, mentre la ragione matematica non comprende i sentimenti, il bello, il poetico, l'armonia. Leopardi stabilisce un nesso sottile tra immaginazione e ragione, dicendo come anche il filosofo necessiti della prima per capire il tutto naturale; sostenendo che tutto si alimenta dal suo contrario, così è necessario il falso al vero. Attenzione al sottile passaggio: l'immaginazione ci vuole per arricchire la vita, ma dobbiamo sapere che essa è tale; Leopardi infatti dice che i poeti ingannano l'immaginazione dell'uomo, non il suo intelletto (ciò che diceva anche Spinoza nel trattato finale, L'Etica: immaginazione è una potenza della mente, diventa difetto se la si confonde con la realtà).La ragione ha quindi bisogno di lasciarsi trasportare dall'immaginare, rimanendo consapevole di questo, per non essere sopraffatta dal troppo vero che vede.L'uomo dunque per lui è corruttibile, non perfettibile, poichè era perfetto prima (perfezione relativa); ragione è acquisita, l'immaginazione è naturale, la natura è superiore. La soluzione è la compenetrazione tra ragione ed immaginazione, quindi il filosofo deve anche essere poeta, usando la parte intuitiva della mente.Se dunque identifica diversi tipi di ragione, primitiva, riflessiva (illumina, scova errori), matematica-utilitaria, il culmine è il cosidetto genio poetico e filosofico; essa è al facoltà intuitiva proprio del genio, Leopardi la chiama inventiva (ci ricorda Spinoza), che riesce a cogliere i rapporti del sistema naturale.La sua conclusione è che immaginazione ed intelletto sono un tutt'uno, che privilegia l'una o l'altra parte a seconda delle circostanze. Ai filosofi serve quindi l'intuizione propria dei poeti, cita Platone e Pindaro. In una nota evidenzia come sia mirabile che poesia e filosofia, l'una che ricerca il bello, l'altra il vero, cioè due cose contrarie, siano così affini tanto che il grande filosofo debba essere anche poeta e viceversa.Da questo sviluppo arriva al rapporto tra poesia e vero, chiedendosi se è ancora possibile essere poeti; poichè per tutto ciò che è stato detto, sia il grande poeta che il grande filosofo si rendono conto della scissione tra il vero ed il bello/bene, Leopardi finalmente ammette l'esistenza di contraddizioni in natura, proprio come questa.

Sempre nello Zibaldone, dice che la mente è di una potenza estrema, si innalza a dio, gli si avvicina; eppure va oltre, vede ciò che non doveva, svela l'abisso e il mistero che il Leopardi non sa spiegare: la natura nega la felicità, che però per l'uomo è l'essenza della vita, quindi è come se negasse la vita stessa. Questa è la contraddizione che ammette, ma non spiega (stessa conclusione cui arriva Schopenhauer).Il suo pensiero è quindi che l'esistenza dovrebbe coincidere con il bene, se così non fosse la vita è una assurdità. Si arriva così al supremo interrogavito metafisico, qual'è il senso dell'essere, senza perciò trovare risposta.L'interrogativo esprime l'uso critico della ragione, che per Leopardi differenzia la filosofia moderna da quella antica: la prima infatti tende a scovare gli errori accumulati, senza sostituirli: risultato, una realtà vera che però non porta da nessuna parte.L'immensa potenza della mente porta al nulla, perchè tutto appare per quello che è, dunque si demolisce il bello ed il grande; essenziale per il processo conoscitivo è il dubbio, lo si è detto, che si esprime nell'assunto per cui chi dubita sa; vi è un solo assoluto, che tutto è relativo. Uomo e cosmo sono solo grandezze evanescenti, che nascono e muoiono, ecco Lucrezio in Leopardi.L'infelicità è il sentimento di fondo di tutte le Operette Morali, ed è significativo che il Dialogo della Natura con un Islandese termini con una domanda di quest'ultimo lasciata senza risposta, chi è

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felice cioè di questo ciclo di produzione e distruzione. La differenza tra i due sta proprio qui, Lucrezio risponde dicendo che così è , e ci si deve accontentare . Leopardi pensa invece che l'uomo non ama la vita in sè, ma la felicità che essa dovrebbe portare, e se così non è, meglio non esistere . Per lui non è desiderabile il semplice essere, ma l'essere felice, da qui si definisce il fine dell'uomo con il bene, la felicità, altrimenti la morte supera la vita in pregio (conclusione del Dialogo tra fisico e metafisico).Lucrezio è portato verso la fine delle cose, mentre per Leopardi esse tornano da dove sono venute, cioè nel nulla, passando così ad un piano metafisico. Scopo del Leopardi, nella critica alle idee platoniche, sarà conciliare la sua dottrina, per cui tutto è relativo, con il ruolo di Dio.Se nelle Operetta morali si parla di infelicità, nei Canti si parla di beltà, ed ecco anche qui esplicato il pensiero leopardiano: la mente si fa un idea della beltà, che però non corrisponde alla materia, al vero.La filosofia leopardiana si concentra tutta sul domandare (ricorda Montaigne che distingue, più che definire precisamente, allontanandosi quindi dal determinismo), che è colmo di risentimento per quello che all'uomo dovrebbe essere dovuto. Sempre si chiede le cose, e sempre finisce per pensare che non comprende come l'essere possa coincidere con l'infelicità . Come si legge nelle note, se Leopardi confuta le idee platoniche, troppo assolute, e dio stesso, cosa dà forma agli aggregati atomici? Ecco ancora la domanda senza risposta; qui si dice, tramite la critica di Severino, che Leopardi rappresenta la punta estrema del nichilismo, ossia il pensiero occidentale moderno. Teniamo presente però che la contraddizione nasce in Leopardi perchè lui pone come base di partenza il fatto che il fine dell'uomo sia la felicità, se si contesta tale concetto allora non c'è quella contraddizione tra natura e ragione.Citando Heidegger, noi possiamo solo restare col pensiero in attesa, ben disposti ad accogliere la luce che proviene dall'essere, mentre Leopardi ha il risentimento che deriva dalla pretesa di una risposta alla nostra domanda, proprio perchè deriva dalla tradizione metafisica che vedeva un fine nelle cose.

Schopenhauer e Leopardi: dottrina platonica delle idee

Entrambi visti dai più come autori pessimisti, in realtà questo è un luogo comune che potrebbe essere sfatato, ma non è questo il tema. Qui Vincieri vuole riproporre il platonismo di Schopenhauer e Leopardi, per mostrare come ogni filosofia va sempre oltre i confini del proprio tempo; non solo, per mantenere anche viva la potenza della mente in contrasto con quelle verità rivelate che si è cercato di imporre a tutti. La dottrina platonica è parte integrante del pensiero di Schopenhauer (il mondo come volontà e rappresentazione), così come in Leopardi, che sopratutto nei Canti parla dell'arte come di quell'immagine che, sola, può appagare la mente di questi uomini; usando l'espressione di Vincieri, "capitati in un astro sperduto nell'immenso universo, spendiamo la vita a indovinare il senso della nostra comparsa". Il pessimiso tanto decantato e criticato come visione perniciosa della vita, al prof altro non sembra che una normale sensazione dovuta alla nostra condizione.

Schopenhauer

La sua filosofia basata sulla rappresentazione si pone in contrasto con le tradizioni precedenti, l'idealismo ma sopratutto quel materialismo che trova la massima espressione nell'atomismo; sembra di rivivere lo scontro tra Platone e Democrito. Attraverso la materia egli introduce l'altra nozione fondamentale di volontà, che è conosciuta come cosa in sè; il mondo resta comunque rappresentazione.Si rifa a Kant nel voler dimostrare la coesistenza tra realtà empirica e idealità trascendentale, si pensi alla Critica del giudizio in cui lega necessità/mondo naturale con libertà/morale metafisica; definisce l'essenza della materia nell'unione dello spazio e del tempo: allo spazio è legata la forma, al tempo l'attività, il cambiamento continuo.La materia risiede dunque nel rapporto di causa ed effetto, ma non applicato tra soggetto ed oggetto,

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poichè ciò porta allo scetticismo; per lui la causalità è legata all'intelletto, che condiziona il mondo reale, esterno. Teniamo presente che durante la sua opera il concetto di realtà si evolve.Dunque in Schopenhauer la sensibilità è il punto di partenza, l'intelletto ha un ruolo determinante nel processo conoscitivo, lo distingue dalla ragione che è propria solo dell'uomo . (gli animali avrebbero un certo grado di intelletto). È stessa tripartizione di Kant nella Critica alla ragion pura.È l'intelletto a stabilire i rapporti di causa-effetto agli oggetti, rappresenta la conoscenza intuitiva e immediata (Aristotele); la ragione poi forma i concetti astratti e di conseguenza i giudizi.Sembra dare un ruolo secondario alla ragione, in realtà non è così; essa forma una conoscenza riflessa, diversa da quella intuitiva, propria degli uomini che legano appunto la ragione con il linguaggio che porta alla consapevolezza della propria morte. Restando ancorato all'esperienza dell'uomo, critica tutta la filosofia che ha come base concetti astratti (essenza, dio, infinito...); il suo attacco ad un certo uso della ragione non diminuisce l'importanza per lui della conoscenza riflessa, che permette l'autocoscienza : il senso interno proprio dell'uomo.Questo senso interno carpisce il corpo come volontà, e il senso effimero di tutte le cose, come l'esperienza insegna.L'importanza della filosofia, che non deve cadere nella mistica e nella rivelazione di veritù assolute, è quella di elevare a concetto partecipabile a tutti ciò che a noi è noto in concreto , tramite sensibilità ed intuizione. È questa la capacità unica nell'uomo di guardare il mondo come spettatore, come dice Vincieri "per sopportare la vita l'uomo si pone di fronte ad essa come se non gli appartenesse"; è proprio tale distanza che va a costituire, in una delle sue forme, il miracolo dell'arte, quelle illusioni di cui parla anche Leopardi.

Vediamo la critica al materialismo di cui si è detto; di coloro cioè che tentano di indagare la natura, da Talete primo filosofo a Democrito ed Epicuro, a Giordano Bruno.Il materialismo parte dallo stato primitivo della materia, pervenendo poi di passaggio in passaggio allo stato attuale, in cui la conoscenza è ultimo anello, ma dando per presupposto di partenza, come dato, il principio di causalità, senza spiegarlo. Tale modo scientifico di procedere (ricorda Aristotele, in cui scienza è disposizione per le dimostrazioni, che parte da principi noti a tutti o cmq dati), che coglie le relazioni tra le cose, non ne coglie però l'essenza intima, non spiega il come si è passati da uno stato all'altro.Per cogliere tale intima essenza si deve andare oltre la rappresenazione, allargare la nostra conoscenza tramite quel senso interno di autocoscienza che fa percepire il corpo come oggettità della volontà. Quindi l'azione altro non è che il nostro volere oggettivato; corpo e volontà sono un tutt'uno, il primo ci fa conoscere la volontà nel suo velo più tenue, propria del senso interno.Ciò che si percepisce, tramite coscienza e sentimento, diventa oggetto di riflessione; la conoscenza riflessa quindi, del ragionamento, si basa su quella diretta. Allo stesso modo, si dice che è in virtù del corpo che il soggetto si sa come individuo.Egli quindi si conforma a Platone in quanto solo le idee sono vero e proprio essere, mentre gli oggetti nel tempo e nello spazio che noi pensiamo come reali sono solo esistenza apparente, una sorta di sogno/rappresentazione.Si pensi alla critica ironica di Leopardi che ritiene inaudito porre lo spirito hegeliano, che non si sa bene cosa sia, alla base di tutto, della materia stessa; perchè allora non il pensiero? Il compito della filosofia è quindi rispondere al "che cosa", trovare l'essenza dei fenomeni, non tanto al "perchè".La volontà è cieca per Schopenhauer, irragiovevole; si capisce che egli vuole dimostrare l'esistenza di un disegno in natura (contro determinismo), sebbene non intenzionale.Vediamo ancora come critica l'atomismo meccanicistico; meccanica, fisica, chimica sono scienze che mostrano le leggi/regole con cui le forze agiscono, si manifestano. Ma non riescono a definire l'essenza di tali forze, cosa esse sono. Per capire COSA SONO si deve ricondurre il concetto di forza naturale sotto quello di volontà , cosicchè esse appaiono come manifestazioni immediate della volontà nel suo oggettivarsi. Il fenomeno dunque è manifestazione di volontà; l'ipotesi da cui parte per dire ciò è che la causa non si può chiedere, così come non si può capire il senso della vita , ma si può capire la sua essenza.Per lui il materialismo è un rozzo sistema che nega la forza vitale, fa risalire tutto al movimento di

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atomi, riducendo la domanda "che cosa" al come appare. Il suo è un finalismo interno che critica l'atomistico antico e moderno, per Schopenhauer per noi è impercrutabile il perchè il mondo esista , ecco la base di tutto il suo ragionamento, così distante da quell'Hegel che tanto critica, il quale diceva possibile comprenderlo tramite però assunzioni contestabili.L'abisso rivelato è il fatto che per noi non c'è ragione perchè il mondo ci sia , si può dunque solo passare alla metafisica spiegando le forze naturali con la nozione di volontà , che rimane però distinta dalla ragione.Tale pensiero porterà alla identificazione delle forze naturali con le idee platoniche, quali oggettivazione della realtà; è facile capire il passaggio del filosofo, se consideriamo la precisazione per cui per assegnare la realtà ai fenomeni, va loro assegnata quella realtà che sperimentiamo del nostro corpo. Si capisce come lui spieghi alla fine la natura partendo dall'individuo , il microcosmo che racchiude tutte le caratteristiche del macrocosmo.Ecco che l'idea che è ogni grado di oggettivazione della volontà, e costituisce la forma eterna dei singoli soggetti, non cambia nel divenire.

[PRESUPPOSTI: -da Kant prende tripartizione conoscenza, coesistenza realtà e metafisica; -tutto parte dal corpo/sensazione, dalla conoscenza diretta si arriva alla riflessa; -intelletto e ragione sono diversi, entrambi fondamentali; -sofferenza e dolore dipendono dal divenire, ineliminabili; -per capire essenza cose, allargare conoscenza, ci porta a dire che corpo è oggettità volontà, dunque estende tale consapevolezza individuo a tutta la natura, cosicchè tutto è manifestazione della volontà, rappresentazione. -compito Filosofia è capire il CHE COSA; il PERCHè non si può sapere, è abisso rivelato, la consapevolezza che per l'uomo il mondo non ha senso.]

Detto ciò, vediamo qual è il suo sistema, antiatomistico.L'atomismo è errato in quanto cercando le cause, resta fermo alla rappresentazione; concepisce il mondo come risultato di urti e colpi. Schopenhauer a ciò oppone le cause occasionali , che permettono all'idea di balzare fuori. Pensa alle idee come forze onnipresenti fuori dal tempo, che entrano nella realtà quando si presentano le circostanze (Kant), scostando la forza precedente; contrasta così ogni teoria evoluzionistica.L'origine del male sta nell'ingresso delle idee nel tempo, che però in quanto da noi contemplabili procurano il piacere estetico. La volontà è una in senso metafisico, e si oggettiva nelle forze originarie.Si richiama dunque a Kant, che fa valere la teleologia del mondo organico, per quanto Schopenhauer rimanga al di fuori dal suo sistema (Kant vede progresso, passaggio dal male al bene come Mandeville), ed anche ad Aristotele, facendo emergere un innegabile finalità nella natura, che però esclude una intenzionalità. Questo non è dunque il mondo migliore, anzi il peggiore. Egli dunque esclude un dio creatore, ma ciò non toglie che un ordine esista ; Kant supera tale visione perchè vede nell'uomo stesso uno scopo (morale). In Platone, il demiurgo ordina il mondo (non lo crea, la materia si ritiene eterna) dal caos, quindi l'ordine/armonia è bellezza. Può non essere perfetto, ma è ordinato. Il vertice delle idee è il bene/ordine, lo stesso Aristotele dice che tutte le cose hanno un fine, ed esso è il loro bene; dio è lontano, ma l'uomo punta al divino tramite la vita contemplativa, possibile con la sapienza.Per gli atomisti come Lucrezio, il mondo è il risultato di un gioco ad incastro di infiniti atomi, non ammette divinità nè alcun senso. Kant si pone nel mezzo, considerando la teleologia (fine) però solo riferita all'uomo nel giudizio riflettente.Si scontrano visione meccanicistica, quella finalistica, e quella organica (dio=natura); in Schopenhauer l'ordine esistente è destino, da qui deriva il sentimento dell'assurdo vista la finalità senza scopo. Finalità interna, quella dei singoli atti di volontà che determinano i singoli organismi, e invece finalità esterna difficile da cogliere : la riconduce alla volontà nel suo insieme, un tutto unitario il cui unico fine è OGGETTIVARSI SENZA POSA .Lo stesso uomo è manifestazione della volontà, nel suo grado più elevato; quando l'uomo con la

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riflessione capisce la sua origine senza senso, nega se stesso e il cosmo, da qui nasce il risentimento tipico di Schopenhauer, per cui male e mondo sono sinonimi.Il timore della morte è infondato, in quanto si perde solo l'individualità, non la nostra essenza; diverso è Leopardi, per cui dal nulla torniamo nel nulla. Fa valere il concetto di eternità in contrapposizione all'immortalità, poichè eterna è la volontà da cui derivano gli individui e a cui fanno ritorno: concetto dell'Uno-Tutto.Poichè però questo eterno ritorno al nucleo non consola l'uomo, per cui è inutile questo eterno gioco, ecco venire in aiuto l'idea platonica, vista come positiva; ci si può rifugiare in questo mondo intelligibile, senza male, che sta poi alla base del mondo dell'arte, un idea di eternità diversa, che anche Leopardi recepisce. Volontà come massima conoscenza, immanenente poichè spiega COSA il mondo è, non il perchè, che resta mistero.

Attenzione a tale distinzione: opporre al meccanicismo una visione teleologica è diverso dal considerare le stesse forze originarie di cui parla la visione meccanicistica, come però idee platoniche. La tipica visione teleologica organica del periodo romantico (Goehte) propone l'idea di natura come forza creatrice al posto di dio, Schopenhauer modifica tale visione, in cui l'idea ha un senso di eternità positiva.Nel terzo libro della sua opera assimila Kant a Platone, anche se ciò è discusso dai critici, in quanto il primo parla di fenomeno come conoscenza, per l'altro il fenomeno è manifestazione dell'idea, unica cosa a possedere il vero essere.Idea come perfetta oggettità della volontà , archetipo eterno, come bello intelligibile che il genio raffigura, oggetto dell'arte. Nel pensiero del prussiano la conoscenza dell'idea, che avviene tramite intuizione (da qui superirità conoscena intuitiva rispetta alla riflessa), si definisce nel terzo libro, ed interviene per allietare l'animo umano. Il corpo permette all'individuo di avere coscienza di se, ma dato che esso è e non è, poichè diviene nel tempo, la stessa sofferenza che ci deriva da esso è legata al divenire, dunque il soggetto conoscente trova un qualcosa di eterno in senso positivo, l idea platonica.Soggetto ed oggetto diventano la stessa cosa nella contemplazione dell'idea , che in Schopenhauer non può essere realtà separata dal soggetto (come è in Platone, che la può solo contemplare).Prende da Spinoza il terzo genere di conoscenza, attribuendo all'intelletto un altissimo ruolo, dato che permette al genio di contrapporre una eternità positiva all'eterno divenire, manifestazione della volontà, senza senso. È questo il miracolo della conoscenza, vedere il mondo sotto altra luce (terzo libro è percorso da questa pace gioiosa, contro il risentimento del secondo), come cioè sarebbe stato se la volontà, il tutto unico, si fosse sotratto alla ruota del tempo, del divenire.Si deve comprendere questa lotta tra intelletto e volontà, tra la visione (idea si contempla) e l'essere; non è mai ottimista nel senso che non concede che l'eternità renda le cose stesse eterne nella sostanza, quindi si tratta solo di una visione del bello che può consolare. Questa è la metafisica del bello del terzo libro, il bello eterno, dato che non è bello ciò che diviene, soggetto al tempo; è tramite tale conoscere che avviene la redenzione dell'uomo, anche se per un tempo ridotto, tanto che definisce la contemplazione delle idee come breve vacanza. È una consolazione metafisica.Si arriva verso la fine a parlare di storia, in cui lui vede una immutabilità dei caratteri umani, che si ripetono nel divenire delle vicende storiche; il genio tramite l'intelletto vede che il mondo è fatto di essenze immutabili, soggetti della visione. Ecco finalmente l'arte: sua prerogativa è elevare le cose a idee, rendendole belle; essa le contempla al di là della ragione.Cito Schopenhauer: "Quindi genialità è l'attitudine a contenersi nella pure intuizione, perdersi nell'intuizione..." continua "...spogliarsi appieno per un certo tempo della propria personalità per rimanere alcun tempo qual puro soggetto conoscente, chiaro occhio del mondo"Il Genio fissa in idee eterne ciò che è destinato a fluttuare nel divenire; fantasia ruolo importante per allargare ulteriormente la visione della conoscenza intutiva, che di per se si limiterebbe agli oggetti presenti. L'illusione è quindi la beatitudine della contemplazione, esente da volontà.Definire bella una cosa significa farla oggetto di contemplazione estetica, dunque spersonificarsi e vederla non più come oggetto, ma come idea. Si avvicina quindi più a Platone che a Kant, il quale

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invece parla di cosa in sè. Le idee fanno da mediazione tra volontà e cose in sè.Si rileva una differenza tra l'estetica, come tecnica, come regole delle arti per esprimere il bello, e la metafisica del bello, che è propriamente la ricerca dell'essenza intima della bellezza. Si ripete che quella di Schopenhauer è una visione modificata di filosofi precedenti, una sorta di platonismo senza iperuranio come dice Vincieri, dato che cmq il prussiano rifiuta l'esistenza delle idee prima degli oggetti stessi.Attenzione però alla conclusione, che non finisce nella contemplazione: la massima potenza dell'uomo non è quella Spinoziana di vedere le cose sotto una certa specie di eternità, bensì andare oltre e negare la volontà in seguito a ciò che si è capito. Dunque, la contemplazione (genio) sospende il dolore, la compassione del santo (ultimo sviluppo possibile) l'affronta .L'artista è infine superato dal santo, dato che cmq il dolore supera la visione, ecco perchè parlava di breve vacanza; Schopenhauer ribadisce che la nostra vita non doveva esserci, e resta per noi inspiegabile il senso di tale esistenza.La volontà nega se stessa tramite il conoscere dell'uomo, la potenza della mente. Un mondo così non può essere frutto di intenzione, dio ci apparirrebbe come un "guastamestieri", per cui l'unica possibilità è questa, la volontà irrazionale, senza l'intenzionalità tipica della ragione.Essa è però superata alla fine dalla conoscenza che porta la mente dell'uomo verso una ulteriorità positiva; è come se la volontà tramite la nostra conoscenza si specchiasse e vedendosi per quella che è, si nega.

Leopardi

Avendo già detto come egli faccia un uso critico della ragione, cerchiamo di capire quale sviluppo segue il suo pensiero per arrivare a definire la relatività di tutte le cose.Leopardi arriva a pensare che, tolti alcuni principi astratti ed indeterminati, tutto ciò che rimane è relativo, ossia dipende dalle circostanze particolari.Vuole dimostrare come la ragione, col tempo, si sia separata dalla natura stessa; l'uomo proprio tramite la sua superbia ha eliminato le illusioni , arrivando a vedere ciò che non doveva, come se avesse voluto raggiungere dio.La relatività delle cose deriva dalla loro natura finita, parziale, mutevole; giunge così allo stesso concetto di Schopenhauer quando dice che la sofferenza nasce proprio dal divenire delle cose, dalla loro finitezza. Ecco poi come il brutto prenda il posto del bello nella coincidenza del vero .Critica l'innatismo (per cui ci sono concetti e nozioni innate, che non si apprendono con l'esperienza) parlando di convenienza ed assuefazione alle circostanze particolari .Si muove tra Platone e Locke, che confuta appunto l'innatismo delle idee; da Platone le recupera, ponendole però come apice dell'immaginazione poetica, sempre simile a Schopenhauer.In una pagina dello Zibaldone dice che un primo ed universale principio di tutte le cose, o non ci fu, o se esistette noi non possiamo conoscerlo, dovendo limitarci alla realtà dei fatti; invece crediamo di conoscerlo perchè pensiamo che il vero che noi conosciamo sia assoluto, perfetto come la necessità di essere. Quindi, dicendo che le cose credute assolute sono solo relative, limitate alla nostra conoscenza e ambito, distrugge il principio primo e Dio stesso, sostituendogli il nulla. Secondo lui Dio era un principio assoluto, usato per poter accettare come assolute determinate cose: ciò che a lui piaceva, era buona e viceversa, ma siamo nel campo della completa astrazione.Caduto il principio primo, cade ogni assolutezza e nella realtà non possiamo conoscere o concepire alcunchè oltre i limiti della materia , per quanto ci si possa sforzare . Oltre la materia, possiamo concepire solo il nulla. Non c'è quindi alcun principio anteriore alle cose, ecco la critica delle idee innate platoniche: tutto è posteriore all'esistenza. In tutto questo annullamento, recupera come può l'idea di Dio dicendo che "ho in me la ragione di essere", le cose sono come sono perchè così sono di fatto, quindi non si può dare a Dio la nozione di somma perfezione perchè sarebbe un qualcosa al di fuori della nostra realtà, dunque si dovrebbe andare al di la della materia. Lo definisce come essere che racchiude in se tutte le possibilità, ed esiste in tutti i modi possibili. Leopardi così oppone al concetto di necessità quello di possibilità.

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Arriva a definirlo come autore della natura, senza però precedenti modelli, quindi in effetti tutto dipende dalla sua volontà; la sua essenza è una infinita possibilità che poi si identifica con la necessità. In realtà nel suo continuo dubitare e farsi domande, non risulta essere molto convinto di questa tesi, che vede Dio racchiudere tutte le perfezioni possibili, che diventano dunque relative; solo l'idea platonica è perfetta in assoluto, e lui la rifiuta, continuando però a chiedere il perchè le cose siano così e non in altro modo.Da alcuni scritti, come quello critico su Platone del 1821 , cerchiamo di carpire lo sviluppo del suo pensiero: al centro di esso emerge il contrasto tra l'idea platonica assimilabile alla beltà , tema dei Canti, e l'esistenza segnata dalla sofferenza . Così recupera le idee platoniche come un qualcosa di positivo, poichè indipendenti da dio, per quanto rimangano nell'ambito del metafisica, della immaginazione.Le idee innate sono dunque false , ma solo quando ad esse si attribuisce una vera realtà rispetto alle cose di fatto; un pò come l'immaginazione per Spinoza, che è una potenza della mente e diventa difetto quando non capiamo di stare immaginando. L'immaginazione poetica invece le fa sue, trasformandole in una presenza nella mente con una forza tale da contrastare la realtà.Il fatto poi che Platone mantenga le idee in una dimensione trascendente, dell'ulteriorità, fa pensare al Leopardi che anche lui vedesse il suo sistema delle idee come un sogno.

Un pensiero del 1823 sempre su Platone spiana la strada alla definizione del pensiero leopardiano; egli dice come i più profondi filosofi, gli indagatori del vero con il più vasto colpo d'occhio, si distinsero anche per le facoltà di cuore ed immaginazione , cioè per un genio poetico , Platone su tutti quelli antichi.Ecco che si arriva a dire che la ragione calcolante non basta, ci vuole l'elemento intuitivo, anzi arriva a dire che immaginazione ed intelletto sono un tuttuno, è tale facoltà intuitiva/inventiva che fa grandi i filosofi e pensatori (ricorda che anche Aristotele distingue ragione ed intelletto), e da cui derivano le altre facoltà, tra cui la ragione stessa. È questo colpo d'occhio che permette di cogliere le grandi verità, di vedere i rapporti tra le cose e quindi avere la visione dell'intero.Ricorda che Leopardi conferisce al concetto di immaginazione diversi significati, difficilmente schematizzabili, ma che si colgono nei suoi pensieri: sentimento, alto sentire poetico, intuizione, ecc...Poetica e Filosofia come le facoltà più elevate, che però hanno oggetti opposti: se la filosofia coglie il vero, che risulta poi essere brutto, alla poesia rimane la contemplazione del bello.In Platone non c'è tale contrarietà, il vero è il bene e quindi il bello, ma questo perchè torna dalla realtà al mondo delle idee, al sogno; quindi, almeno per Leopardi, il poeta ha quella capacità di vedere le cose in due modi che il filosofo non ha necessariamente.Sposta così sul piano intuitivo della mente la discussione e ricerca delle cose ultime, che da sempre occupa la filosofia occidentale; egli dimostra di aver recepito lo spirito della filosofia moderna quando dice che il bello non è una realtà suprema che non si può cogliere del tutto, bensì un orizzonte della mente. Si pensi al giudizio riflettente di Kant, per cui l'uomo si riflette in tutte le cose, o anche alla già citata critica di Locke alle idee innate (Soggettività tipica moderni).La poesia dunque non da risposte, semplicemente esprime il supremo interrogativo, cosa che la ratio non puàò fare perchè il suo compito è determinare; dice il mistero, ma non oltrepassa la materia, semplicemente immagina. Ma proprio tale immaginare ed il sentire poetico è ciò che rende viva la vita, strappandola al mero esistere .

Analizzando nello specifico i Canti, si coglie quel risentimento verso la religione e dio stesso, che si trasforma in critica sociale e politica, giacchè la stessa società è permeata dalla visione cristiana. Leopardi non può accettare il peccato originale, che porta a quella inversione di valori per cui il dolore arriva ad avere un ruolo salvifico, concetto inaccettabile come quello della felicità ultraterrena.Tornando a Platone, nel mito del demiurgo che ordina il caos, cercando di fare il bene, spesso si leggono anticipazioni di principi cristiani, tanto che proprio il greco è visto come il filosofo antico più vicino al cristianesimo. Il demiurgo quindi non può essere oggetto di risentimento, in quanto il male sta nel caos, nella materia disordinata, che lui invece, inteso come l'Uno, vuole ordinare. Da qui nascono le idee, che diventano la vera realtà cui arriva l'intuizione, rimedio contro il divenire;

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Leopardi le trasforma in immagini, terreno fertile per l'immaginazione.Nel canto "Alla sua donna" Leopardi si confronta col platonismo proprio parlando di beltà, rivolgendosi ad essa; è qui che matura il pensiero della poesia come frutto dell'immaginazione, che dai greci si è andata affievolendo, fino all'era moderna, in cui è emerso il vero e sono cadute le illusioni degli antichi. Ecco perchè rispetto agli antichi i moderni provano questo sentimento malinconico: per noi oggi tutto è svelato, brutalmente, davanti ai nostri occhi, senza lasciare posto alla poesia.Come dice Vincieri, a contrastare la nostra misera vita resta soltanto un immagine.La bealtà come sogno, come traguardo ultimo dell'intelletto umano, che si salva così dal divenire reale attraverso la poesia; la bellezza dunque non è un canone, un modello, deriva come tutte le cose dall'esperienza, altrimenti si dovrebbe ammettere un concetto innato.Leopardi rifiuta ogni ulteriorità, non si può andare oltre ciò che conosciamo per esperienza, la materia; gli uomini pensano però che la realtà non abbia limiti, ma solo perchè non conoscono tali limiti. Noi possiamo invece con la mente e la sua immaginazione creare, inventare, fantasticare e lasciarci trasportare da tutto questo, rimanendo però ben consapevoli che si tratta di oggetti delle mente, non del reale.A fianco di questa capacità ampia, c'è quella di abbellire semplicemente il vero, quella vita misera e infelice che è la nostra; la mente chiede, e l'essere non risponde. Il linguaggio della poesia rivela la potenza della mente, il cui sbocco più gradito resta il sogno.Tutto parte del sensibile, cioè quando incontro la donna reale, e comincio a farmi delle domande; la mente allora abbellisce la realtà, e ottiene la beltà non però come concetto puro, ma come qualcosa che certo rimane oggetto della mente, in contatto però con il sensibile: è un modo diverso di vedere le cose reali, questo è il genio poetico.Se per Aristotele il mondo delle idee è un doppione inutile, in quanto per lui la realtà non è arida, ma possiede un finalismo nella felicità raggiungibile dall'uomo, per quanto ciò sia difficile, per Leopardi il mondo delle idee è invece necessario, un sogno ad occhi aperti che rende la vita sopportabile.Nelle note si elencano diversi approcci critici sul legame tra Leopardi e Platone; la maggior parte sembra propendere per un platonismo leopardiano, quindi quasi un riconoscimento della realtà dualistica di Platone; Vincieri ha mostrato nel suo saggio come Leopardi prenda si le idee platoniche, ma confinandole alla sola mente.Il contrasto vero-bello è lo stesso dell'essere pieno e del non essere; Leopardi indica come menzogna la promessa di una pienezza dopo la morte, cosa inimmaginabile perchè va oltre la materia (è materialista, ma in modo particolare).Anche il vero ha i suoi lati positivi, ma solo come oggetto della mente, cioè perchè ispira la mente ad immaginare (donna, natura, ecc...); se per Lucrezio e Spinoza, per quanto diversi, il vero esclude l'arcano, cioè si può capire il perchè delle cose, per Leopardi il mistero sta proprio nel rendersi conto che l'organizzazione della materia non ha un senso.[pensiero nelle note di Vincieri: i grandi autori detti classici, finchè almeno i gusti non cambiano, hanno una ricchezza tale di motivi e domande, costellati di zone d'ombra, che è impresa vana cercare di capirli in tutto e per tutto. Da qui il suo consiglio a noi, di non studiare un autore da cima a fondo in ogni sua opera, ma di cercare di coglierne le intuizioni più che tutto il sistema.]Le illusioni di questo tipo non sono dunque false del tutto, perchè sono ciò che noi vorremmo che fosse, ma che la natura non realizza, da qui il risentimento. Nella Ginestra poi la soluzione è sempre affidata ad un sentire, questa volta un sentimento, quello della solidarietà.Immaginazione del bello e conoscenza del vero si affiancano, e la prima soccore la seconda; sono contrastanti, ma non si escludono. Si pensi come esempio al sentimento dell'amore, che prende gli oggetti e li trasforma in qualcosa di incantevole, bellissimo: una bella donna, la primavera, un paesaggio. Dagli oggetti sensibili ad un soprasensibile, tramite l'abbellimento della mente.Si appoggia al materialismo in funzione antidogmatica, perchè cioè non vuole riconoscere una scissione tra materia e spirito, con quest'ultimo che è a fondamento della prima (ottica cristiana).

L'amore infine è esaltato come il più alto sentire, l'amore intellettuale, dell'idea del bello. Quindi elevarsi ad amorosa idea è ciò che da significato alla vita, cosa che però contrasta con il vero. Ma

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nondimanco si afferma così fortemente che la verità non riesce a scalfirlo, questo è il paradiso platonico, quello del pensiero. Vedi il canto "Il pensiero dominante".L'amore nei mortali assurge allo stesso ruolo che ha la verità per gli immortali, è una illusione diversa dalle altre che porta alla beatitudine, che permane nel tempo.Schopenhauer è diverso poichè alla fine perviene ad una soluzione cristiana , dicendo che il santo è superiore al poeta/filosofo e l'accettazione del dolore, la compassione, è l'unica salvezza/redenzione, in attesa di una non definita ulteriorità, parla di nulla relativo. Invece per Leopardi l'ancora di salvezza è proprio il mondo delle immagini. Si distingue così dagli spiritualisti, che avrebbero questa rara intuizione di capire l'enigma, in senso della nostra vita; mentre lui affida la domanda al sentire poetico, che non riceve risposta. Si pensi al Canto notturno, in cui lo stesso movimento della Luna esprime l'eterno scorrere senza scopo. La visione della beltà contrasta con la consapevolezza che a noi spetta una vita misera e triste, contrasto questo tutto poetico.L'ultimo passo è capire come intenda il nulla di cui parla, questo eterno ritorno delle cose al nulla da cui sono venute (critico leoparidano dice che per lui la vita è un inferno con un raggio di luce).Se l'amore è per lui il sentimento più elevato, così la morte è vista come positiva poichè pone fine a tutti i grandi dolori, seppure con un velo di eterna tristezza; è anche però colei che distrugge sogni e speranze, che rende assurdo e vano il nostro esistere, quindi Leopardi è ben lontano dalle posizioni di Epicuro che parla di accettazione serena. La luce di cui parla è quella della mente, delle immagini, non dell'essere; la morte riporta tutto nell'oblio, eliminando anche il ricordo della beltà-idea.Per lui come per Schopenhauer, la poesia ferma il tempo e fissa la natura in immagini belle, di vita; la grande malinconia del poeta gli fa dire che il gioco della materia non annulla con la distruzione il mistero, lo prolunga invece nel mondo delle tenebre.È iimportante notare la differenza con Platone per quanto riguarda la moralità, il giudizio morale sui morti; Platone parla di immortalità dell'anima, Leopardi non fa alcun discorso morale in relazione a questo.Insomma, l'idea platonica è l'unico elemento positivo nell'eternità del Leopardi, mentre il cosmo con il suo ordine sono privi di scopo. Il suo nulla è anch'esso un arcano, in quanto la materia continuamente si produce e si distrugge; immagina il nulla come un silenzio ed una quiete altissimi che riempiranno lo spazio immenso lasciato vuoto dall'universo sparito. È un buio assoluto, materia senza forma, l'esatto contrario dell'idea. Sono questi i due estremi dell'astrazione.Il pensiero del nulla è da sempre presente nel poeta, solo così si spiega l'insensatezza dell'eterno divenire, e questo è il nichilismo leopardiano diffuso nel nostro tempo; l'ideale occidentale tradizionale del Dio o dell'Uno da cui tutte le cose nascono è sostituito dal nulla, giacchè nel primo caso non si spiegherebbe l'insensatezza delle cose.Il nulla leopardiano è diverso da quello di Schopenhauer perchè non nasconde niente, è la mancanza di ogni fondamento, lo svanire di ogni cosa, memoria compresa. Che poi sia silenzio nudo e non nulla assoluto è irrilevante, per Leopardi dopo l'esistenza le forme di discolgono e resta solo il nulla.