RIASSUNTO - Fenomenologia Del Potere

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RIASSUNTO FENOMENOLOGIA DEL POTERE PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE Il concetto di potere si concentra sulle premesse storiche della moderna problematizzazione del potere. Ne emerge che tali premesse hanno in comune il presupposto che il potere è un elemento universale della socialità umana. Abbiamo quattro tipi di potere: 1. Potere di offendere: La violenza 2. Potere strumentale: Minacciare ed essere minacciati 3. Potere d’autorità: Il vincolo di autorità e I bisogni d’autorità 4. Potere di creare dati di fatto: L’agire tecnico Capitolo primo: IL CONCETTO DI POTERE Non diamo per scontato che il potere sia un elemento universale della condicio humana. Dobbiamo chiederci, su cosa si basa il potere umano, su quali condizionamenti? 1. Premesse storiche Possiamo prendere in considerazione alcune premesse per capire il modo in cui percepiamo il potere. Innanzitutto abbiamo la fede nella decidibilità degli ordinamenti del potere: non sono necessari per natura, ma sono un’opera dell’uomo. L’idea che gli ordinamenti sociali siano un prodotto dell’uomo è una delle scoperte radicali della polis greca. Con questo concetto, l’ordinamento inclusivo della convivenza umana ci viene restituito come qualcosa di trasformabile. L’esistente viene sentito come qualcosa che può essere pensato in modo diverso. All’idea del politico appartiene la fede nella possibilità di progettare un ordinamento buono. Fu probabilmente la stretta parentela tra i vari ordinamenti politici della polis greche a spingere alla comparazione. Sorsero le prime teorie dei sistemi politici intese come teorie comparative delle diverse forme di costituzione. Il secondo grande periodo di fede nella decidibilità dei rapporti di potere inizia con la rivoluzione borghese della modernità. Tale fede fa parte di una “coscienza di potere”. Ad esempio: nel primo articolo de Il federalista, l’americano Alexander Hamilton dichiara: «Si è più volte notato come il popolo di questo paese

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RIASSUNTOFENOMENOLOGIA DEL POTERE

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONEIl concetto di potere si concentra sulle premesse storiche della moderna problematizzazione del potere. Ne emerge che tali premesse hanno in comune il presupposto che il potere è un elemento universale della socialità umana.Abbiamo quattro tipi di potere:

1. Potere di offendere: La violenza2. Potere strumentale: Minacciare ed essere minacciati3. Potere d’autorità: Il vincolo di autorità e I bisogni d’autorità4. Potere di creare dati di fatto: L’agire tecnico

Capitolo primo: IL CONCETTO DI POTERENon diamo per scontato che il potere sia un elemento universale della condicio humana. Dobbiamo chiederci, su cosa si basa il potere umano, su quali condizionamenti?1. Premesse storiche Possiamo prendere in considerazione alcune premesse per capire il modo in cui percepiamo il potere.Innanzitutto abbiamo la fede nella decidibilità degli ordinamenti del potere: non sono necessari per natura, ma sono un’opera dell’uomo. L’idea che gli ordinamenti sociali siano un prodotto dell’uomo è una delle scoperte radicali della polis greca. Con questo concetto, l’ordinamento inclusivo della convivenza umana ci viene restituito come qualcosa di trasformabile. L’esistente viene sentito come qualcosa che può essere pensato in modo diverso.All’idea del politico appartiene la fede nella possibilità di progettare un ordinamento buono.Fu probabilmente la stretta parentela tra i vari ordinamenti politici della polis greche a spingere alla comparazione.Sorsero le prime teorie dei sistemi politici intese come teorie comparative delle diverse forme di costituzione.Il secondo grande periodo di fede nella decidibilità dei rapporti di potere inizia con la rivoluzione borghese della modernità.Tale fede fa parte di una “coscienza di potere”.Ad esempio:nel primo articolo de Il federalista, l’americano Alexander Hamilton dichiara: «Si è più volte notato come il popolo di questo paese sembri destinato a risolvere l’importante quesito se le società umane possano darsi un buon governo».L’incapacità di prendere una decisione giusta porta alla nascita del pathos. La fede nel potere della ragione che ispira questo pathos non è ingenua ma non è in discussione: se troveremo il programma giusto, caso e violenza possono essere superati.Oggi possiamo discutere sui nostri attuali margini di decidibilità e sull’urgenza di nuove istituzioni. La certezza che si possa fare diversamente è rimasta intatta. Una delle premesse della nostra comprensione del potere è la convinzione che il “potere” sia il “poter fare” qualcosa.Una seconda premessa è l’onnipresenza del potere.

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Il potere viene «socializzato». La borghesia colta punta sull’opinione pubblica mentre la borghesia possidente istituisce il «potere di possesso mobile», «il dominio dei banchieri». «Il» potere non è più concentrato nelle istituzioni politiche, i conflitti di potere permeano l’intera società.Anche i due rapporti umani alla base della vita (uomo-donna, genitori-figli) vengono concepiti come rapporti di potere.Nella società della concorrenza i conflitti di potere diventano un’esperienza individuale. Nella misura in cui la vita è dominata dalla possibilità di cadere è probabile che ciascuno percepisca la propria storia come una sequenza di lotte per il potere.Con l’interiorizzazione della critica del potere termina generalizzazione dei sospetti di potere. Ogni associazione personale è sospettato di perpetuare disuguaglianze di potere consolidate o di covarne di nuove. Il potere è ovunque, si tratta di vedere dove si trova.Max Weber afferma: «La potenza designa qualsiasi possibilità di far valere una relazione sociale la propria volontà».«Tutte le possibili qualità di un uomo e tutte le possibili costellazioni possono metterlo in condizione di far valere la propria volontà in una data situazione». Il potere non è legato a contenuti particolari, ma è conciliabile con rapporti di ogni tipo.Una terza premessa sulla comprensione del potere è lo scontro tra potere e libertà: ogni esercizio del potere costituisce una limitazione della libertà. Laddove si fa avanti una nuova coscienza della libertà, i rapporti di potere vengono messi in discussione.Hegel afferma: «è accaduto che i concetti relativi alla libertà abbiano subìto un cambiamento e si siano purificati dalla loro vuotezza e indeterminatezza precedenti».In che cosa consisteva il nuovo contenuto e la nuova determinatezza? L’inizio della nuova tensione verso la libertà è l’emancipazione della coscienza. Afferma bene Kant che «l’illuminismo è l’uscita dell’uomo dalla minorità di cui egli stesso è colpevole». Marx: «Dobbiamo prima emancipare noi stessi per poter emancipare gli altri».Da una parte la «purificazione» del concetto di libertà dalla «vuotezza e indeterminatezza precedenti» equivale a un’esortazione all’autoemancipazione.Dall’altra parte il nuovo processo di liberazione viene concepito come una lotta per il potere. Quest’ultimo fenomeno ha dominato gran parte della storia degli ultimi 200 anni.Da qui alla fine proviene la formulazione teorica più radicale del nuovo movimento di liberazione: la lotta del proletariato porta all’emancipazione dell’uomo.Da questo scontro tra potere e libertà si possono trarre conseguenze assai diverse, tuttavia la messa in discussione in linea di principio di ogni esercizio del potere inteso come ingerenza nell’autodeterminazione dell’individuo è sempre presente.Ogni potere deve essere giustificato.Il potere è inevitabilmente connesso con la questione relativa al suo perché. Il potere è decidibile, onnipresente e limita la libertà. Il potere viene concepito come un elemento universale della socialità umana. Se si accettano queste premesse la conseguenza è immediata.

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Su cosa si basa il potere dell’uomo? Perché i rapporti di potere si possono costruire e ricostruire? Tutto questo ci porta a pensare il potere come agire e potere come patire.2. Forme antropologiche fondamentali del potereIn un senso antropologico, la parola potere fa riferimento a qualcosa che l’uomo è in grado di fare.Riemerge il riferimento alla capacità di imporsi. Kràtos significa una generale superiorità, la forza di dominare gli altri.A Roma potentia rimane un concetto non specifico. Secondo Kant, «potenza (Macht) è un potere (Vermögen) che è superiore a grandi ostacoli».Il concetto di kràtos, potentia, potere ha una tendenza alla generalità, anzi all’universalità.La categoria più generale alla base del concetto di potere è la capacità di trasformare.L’uomo ha modellato la natura sempre più efficacemente.Nasce una differenziazione nell’ambito del potere umano che è legata a facoltà dell’agire e a dipendenze vitali diverse e determinabili.Nel coro dell’Antigone troviamo la seguente affermazione: «Molte cose nel mondo ispirano sgomento, nessuna più del’uomo».Sofocle descrive il potere del cacciatore che impone il suo potere alle forze della natura.L’uomo dispone della forza di offendere tutti gli organismi. Gli uomini possono offendere altri uomini. Questo potere è distribuito in modo diseguale. L’uomo è soggetto a essere offeso in modi differenti e sottili.Alla vulnerabilità creaturale si aggiunge quella economica, poiché sono innumerevoli le possibilità di sottrarre all’uomo i mezzi di sussistenza, di distruggerlo.Le azioni di offesa non presuppongono metodi di controllo durevole e nessuno sfruttamento organizzato, ma sono colpi di mano.Spesso il potere di offendere è concentrato in una singola azione. Essa può essere ripetibile, ma in quanto azione singola è circoscritta a una determinata prova di forza.L’animale catturato dall’uomo impara a obbedire perché spera di ottenere un premio. Ciò che è sempre possibile è sempre in grado di guidare il comportamento.Alla base di questo potere strumentale vi è la possibilità di dare e di ricevere.L’esercizio di tale potere si basa sulla formulazione di un’alternativa: o questo o quello. Il comportamento del soggetto può essere arrendevole o insubordinato.Nel caso della minaccia questa alternativa ha il carattere di un ricatto, nel caso di una promessa di un atto di corruzione.Chi pone delle alternative credibili può sfruttare l’incertezza del futuro e quindi anche la mobilità della fantasia anticipatrice.Nel caso del potere di offendere gli uomini non in grado di difendersi con successo da azioni compiute da altri, mentre nel caso dello strumentale, poiché guida il comportamento, divengono strumento durevole della volontà altrui. L’umanità capacità di agire di coloro che sono soggetti al potere li rende sfruttabili anche in un senso specifico, perché essi possono porsi al servizio di esercizio del potere. Il potere strumentale di minacciare e di promettere è il potere di tutti i giorni.I fenomeni di potere possono essere distinti anche in «esterni» e «interni». Il potere interno è caratterizzato dal fatto di non dover operare con vantaggi e svantaggi. Un indizio dell’efficacia di

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questo potere è che esso genera conformità anche laddove le azioni non possono essere controllate.Tale potere è efficace anche perché determina gli atteggiamenti, le prospettive e i criteri dei soggetti.L’essere non predeterminato deve produrre da sé i vincoli che guidano il suo agire.Questo potere normativo può perdere la propria legittimazione trascendente, ma la base su cui esso si fonda è straordinariamente immune da ogni banalizzazione.Se vogliamo comprendere l’efficacia del potere interno, dobbiamo tenere conto di un altro aspetto. Bisogno di una norma significa anche che la nostra autostima dipende dalle conferme del nostro senso di giustizia rispetto a quella norma.Nei rapporti con persone che hanno potere normativo, il segno decisivo è il riconoscimento di questi ultimi.Nel vincolo di autorità si ottiene o si perde la sicurezza nell’orientamento sociale. In questo modo si ripropone un’alternativa tra la speranza e il timore.Chi è in condizioni di porre tali alternative ha il potere d’autorità.Il potere sulla natura non è limitato agli esseri viventi. L’uomo si impone anche sulle forze della natura inanimata.Oggi la distruzione della natura, come sappiamo, è pericolosa per la stessa vita dell’uomo. Gli artefatti non retroagiscono solo sul produttore.Non ogni agire tecnico ha conseguenze così grandi, ma qualsiasi artefatto aggiunge un fatto.Il potere di creare dati di fatto è veicolato dagli oggetti e viene trasferito sui soggetti in una forma per così dire materializzata.L’agire tecnico è composto da un doppio potere: il potere sulle forze della natura e il potere di decidere le condizioni di vita degli altri uomini.Gli uomini hanno potere sugli altri uomini in quanto può offenderlo facendogli del male e perché possono prendere e dare loro qualcosa.Fulcro di questo potere è il possesso.L’altra forma di potere è basata sul bisogno di una norma da parte degli uomini e sul loro desiderio di essere riconosciuti dalle persone. Gli uomini hanno potere sugli altri uomini anche in virtù della loro capacità di agire in modo tecnico.Le radici del potere sociale risiedono nella corrispondenza tra dipendenze vitali e facoltà dell’agire costitutive dell’uomo.I rapporti di potere sorgono poiché le relazioni tra gli uomini sono dominate dalla forza e dalla vulnerabilità. Gli uomini sono in grado di fare del male agli altri uomini direttamente e li influenzano su aspettative, norme e artefatti.Il potere strumentale e quello d’autorità hanno in comune il fatto di guidare il comportamento dei soggetti. Entrambi agiscono sulla base di alternative. Il potere strumentale orienta solo il comportamento, quello d’autorità anche gli atteggiamenti.Chi fa qualcosa che riguarda direttamente gli altri, di regola è anche in grado di far loro del male. Chi influenza il comportamento degli altri prevedendo le loro reazioni ha molte opportunità di comandarli.L’opportunità di esercitare potere è inscritta nelle interazioni sociali quotidiane.

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Esa viene sempre utilizzata nel processo di socializzazione. Ogni bambino impara ad avere a che fare con il potere.: impara a capire che le sue azioni possono avere delle conseguenze.La sensazione della propria inferiorità fa parte del sapere sociale di tutti i bambini.La distinzione delle forme di potere è utilizzabile in tre modi.

1. Ciascuna delle quattro forme di potere può caratterizzare rapporti di per sé: violenza, ricatto, ecc…

2. Molte situazioni risultano più difficili da comprendere, in quanto vi agiscono diverse forme di potere combinate. Nelle conquiste dei paesi stranieri si manifesta il potere di offendere; tali conquiste si trasformano poi nel potere strumentale dello sfruttamento; infine un’oppressione diventa potere d’autorità.Le alternative esterne e interne si legano in combinazioni assai difficili da districare, ma si è già fatto un passo avanti se si riesce a comprendere la bipolarità di tali effetti di potere.Si possono distinguere due tipi di accumulazione del potere: lo sviluppo interno di una particolare forma di potere e lo sfruttamento della capacità di trasformarsi in altri tipi di potere.

3. Oltre al fatto che di per sé si realizzino combinazioni di forme di potere diverse, è interessante notare il modo in cui esse interagiscono. I diversi poteri si completano e si rafforzano a vicenda.Importante è l’esempio del bambino che è influenzato dal potere di autorità della madre

Capitolo secondo: LA VIOLENZALa forma più diretta di potere è il puro potere di azione: il potere di recar danno agli altri con un’azione diretta contro di essi, il potere di fare qualcosa di male agli altri.Anche al più debole, se fortunato, può toccare il potere d’azione.Chi esercita un potere d’azione può fare qualcosa cui gli altri non sono immuni; ha il potere di far loro patire qualcosa. Il potere d’azione è potere di offendere.Nell’atto dell’offesa si mostra quanto può essere schiacciante la superiorità degli uomini su altri uomini.La vulnerabilità dell’uomo di fronte all’uomo non può essere eliminata.1. Potere d’azioneSe non si considerano le offese psichiche come una categoria a sé si possono distinguere tre gruppi di azioni di potere: azioni rivolte alla riduzione della partecipazione sociale, al danneggiamento materiale, all’offesa corporea.Le azioni dirette contro la partecipazione sociale iniziano con atti come il prendere le distanze, il non voler notare, l’evitare i contatti. Alla fine c’è l’esclusione sociale.Altrettanto graduali sono il peso del danno materiale e il peso dell’offesa corporea.L’offesa corporea è connessa a emozioni forti. Ciò vale quando essa non proviene da una lotta, ma avviene come punizione.I dolori corporei sono per lo più sopportabili e in una certa misura superabili. Ma i dolori che ci causa un altro non sono mai qualcosa di meramente corporeo.Tutte le azioni di potere possono mirare a creare o a rinforzare durevoli dislivelli di potere. Il danneggiato deve perdere la sua competitività.

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Se ci si pone il problema delle conseguenze di un’azione di potere sulle relazioni tra chi ha potere d’azione e la vittima colpisce innanzitutto il fatto che molte azioni di potere hanno senso in se stesse.Il mero potere di azione sta all’inizio dell’esercizio umano del potere. Esso era possibile prima ancora che fosse creata una base economica di sfruttamento e venissero sviluppate strategie di controllo duraturo.Le relazioni di potere durature sono fondate sul potere di azione vincolante. Il vincolo dato dal potere di azione ha effetto quando il suo compimento, oppure la credibilità della capacità di compimento, possono essere convertiti in minacce.Un rapporto di potere che si sfalda viene ripristinato con un’azione di potere, la minaccia acquista nuova credibilità.2. L’eliminazione dei limiti nei rapporti umani di violenza Violenza indica un’azione di potere che porta ad intenzionali offese fisiche agli altri, indipendentemente dal fatto che per chi agisce essa abbia senso nell’esecuzione stessa.La base antropologica dell’eliminazione dei limiti nel rapporto umano di violenza è il parziale svincolamento dagli istinti con la conseguente liberazione dalle costrizione dell’azione.Tra i motivi della violenza viene citata l’aggressione. Ma la violenza non presuppone necessariamente aggressioni. Gli atti violenti possono essere freddi e senza illusioni.La violenza avviene in maniera curiosa.Una delle più grandi illusioni è credere che di solito le guerre vengano fatte a causa di aggressioni. Una peace-research che si appoggi sostanzialmente alle teorie dell’aggressione si basa su piedi di argilla.La riconduzione della violenza a determinati segni distintivi della situazione scatenati è stata efficace nell’indagine sul comportamento animale.Lorenz ha osservato la mancanza di meccanismo scatenante di molte azioni aggressive. In ciò egli vede un indizio a favore della sua teoria degli istinti. L’atto violento può essere il prodotto di cause che hanno effetto a lunga scadenza e che sono immunizzate rispetto a determinati segni distintivi della situazione.Gli esseri umani possono essere violenti nei confronti di intimi, di membri del proprio e di altri gruppi. Ci sono alcune inibizioni relative. Ma rimane molto incerto se in determinate relazioni sociali esse possano mai raggiungere la forza del tabù dell’incesto.L’essere umano non è mai costretto ad agire violentemente, ma può sempre farlo, non è mai costretto ad uccidere.Una seconda base antropologica dell’eliminazione dei limiti nei rapporti di violenza è la facoltà umana dell’immaginazione. Per gli esseri umani non è violenza solo ciò che accade o che accadde, ma anche ciò che potrebbe accadere.La violenza immaginata brilla come un fuoco fatuo nei sogni ad occhi aperti e negli incubi di ogni tipo.L’attività immaginativa ha una funzione di eliminazione dei limiti innanzitutto perché non è vincolata alle esperienze vissute ed è svincolata dalle inibizioni ancora più del nostro agire fattuale.La violenza sembra essere permanentemente presente in qualche angolo della coscienza. Essa può farsi presente all’immaginazione in ogni momento, senza essere stata chiamata.

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La propria violenza immaginata è enormemente efficace.La violenza immaginata può anche decongestionare e compensare.Ma la creatività delle rappresentazioni può anche essere convertita.Il parziale svincolamento dagli istinti nell’agire e il parziale svincolamento dalla realtà della nostra immaginazione possono essere pensati soltanto insieme, come contrassegni di questo unico disegno antropologico.La doppia eliminazione dei limiti alla motivazione dell’azione si imbatte nell’eliminazione dei limiti alla possibilità.3. Il potere di uccidere La violenza non è suscettibile di crescita illimitata. C’è un confine estremo: l’uccisione.C’è un potere di offendere che è diverso da tutto ciò che gli uomini possono altrimenti arrecarsi. Gli uomini sono consapevoli della morte e quindi del poter-uccidere.È tipico della situazione umana di violenza, così che si possa pensare e raggiungere un confine estremo.Il potere compiuto è lo sviluppo estremo dell’esser-signori di altri uomini. Chi ha potere assoluto tiene la vita dei dominati in pugno.La violenza assoluta serve la legittimazione personale e istituzionale del dominatore.Il trionfo dell’uccisore può prolungarsi anche oltre l’atto di uccisione se egli distrugge la speranza di una vita dopo la morte.Il potere compiuto produce completa impotenza, il potere di uccidere la paura disperata di essere uccisi. La maggior parte degli esseri umani è vissuta in condizioni di dipendenza dalla volontà di un dominatore. La paura della morte ha sempre contribuito a determinare la conformazione dei rapporti di dominio.Ma essa è anche una fonte di legittimazione del dominio. Dalla paura della morte può nascere il timore reverenziale, un riconoscimento della smisurata superiorità del vincitore.Che cosa significhi nelle sue estreme conseguenze rendere gli altri impotenti lo mostra un comando impartito nel campo di concentramento di Dachau che minaccia di una punizione pesante e umiliante chiunque cerchi di uccidersi.Burckhardt considera la violenza una parte costitutiva della grande economia della storia universale: prefigurata già in quella lotta per l’esistenza che riempie tutta la natura.Il potere di morte dell’uomo sull’uomo significa anche che intere entità sociali, città, popoli, culture possono essere cancellate con un’unica azione.La violenza in generale non è un mero incidente di percorso delle relazioni sociali, o un’ultima ratio. Il potere di uccidere e l’impotenza della vittima sono fondamenti latenti o manifesti di determinazione della struttura della convivenza sociale.La violenza assoluta che esercita un detentore di potere può anche rivolgersi contro di lui nell’azione dell’attentatore.L’uccisione del detentore del potere colpisce anche il potere in sé. Il fatto che anche il detentore del potere possa morire smaschera la pretesa di compiutezza di ogni potere.Come l’attentatore è il simbolo dell’opposizione radicale attiva, così il martire, che rifiuta in ogni caso l’ubbidienza, è il simbolo dell’opposizione radicale passiva.

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Il sacrificio è la propria morte. Chi si uccide si sottrae ad ogni sottomissione. Ma rimane schiavo del potere fino all’ultimo.Il detentore di potere può uccidere il martire ma non può costringerlo a rimanere in vita. Egli non è più il signore della vita e della morte, perché ha perso il dominio sulla vita dell’altro.Con l’incodizionatezza del suo rifiuto il martire si rende conto che l’ubbidienza non è un percorso obbligato.Se il martire agisce con la fede in una giustizia ultraterrena allora ogni potere terreno cade.Non si tratta di una sorta di strategia di opposizione. Il martire mette a nudo una particolare eteronomia del potere di uccidere.Il potere è incompiuto perché la decisione di eseguire l’azione estrema non sia lascia monopolizzare e perché agli altri non può essere sottratta la decisione di lasciarsi uccidere.4. Il circolo vizioso della repressione della violenza La possibilità della violenza assoluta e la consapevolezza di tale possibilità rimangono determinanti per il carattere complessivo del potere di offendere e dell’esposizione all’offesa propri dell’essere umano: questo è possibile.Il relativo svincolamento dagli istinti, l’oltrepassamento della realtà da parte della nostra immaginazione, rimangono pericoli da cui non possiamo liberarci.Le relazioni sociali possono essere modificate in modo che le azioni violente siano limitate.L’ordine sociale non può reprimere la violenza; l’idea di ordine nasce nello stato di natura dal timore della violenza e dalla motivazione opposta del bisogno di sicurezza.La violenza è l’esperienza fondatrice di ordine per eccellenza.Freud racconta una storia crudele in cui i figli uccidono il loro padre geloso e violento e nello choc di questa azione trovano la via delle prime norme sociali.La rappresentazione di un bene e un male può essere prodotta solo da un atto che porti il segno di ciò che non deve essere ripetuto. Perciò i fratelli si impegnano a che nessuno di essi debba essere trattato dagli altri come il padre da tutti loro insieme.Per Freud la reazione dei fratelli è produttiva, l’ordine è fondato su un senso di colpa comune.Per Hobbes l’ordine è fondato dalla paura creativa. L’inizio di un ordine sociale è la fondazione di un’istanza che assicura protezione, mentre per Freud l’ordine sociale inizia come rinuncia. L’idea è in entrambi la stessa: la nascita della nozione di ordine dall’esperienza della violenza.La violenza può essere delimitata solo mediante istituzioni sociali. Ma anche gli ordinamenti sociali non la fanno sparire. Al contrario, essi stessi hanno bisogno di violenza, una violenza per imporre il contenimento della violenza.La violenza come condizione necessaria del mantenimento dell’ordine sociale. Ogni ordinamento che voglia contenere e difendere se stesso deve essere nella condizione di concentrare il potere.Poiché le istituzioni o le quasi-istituzioni di contenimento della violenza devono essere esse stesse capaci di violenza, il problema della sua delimitazione di pone di nuovo ad un nuovo livello.Chi protegge i cittadini di un ordinamento dall’arbitrio e dalla violenza delle istituzioni?Anche in regimi dispotici si impongono delimitazioni alla violenza, spesso particolarmente tassative ed efficaci. La pacificazione interna può diventare un fondamento essenziale di legittimità.Il circolo diabolico della repressione della violenza si riforma sempre di nuovo.5. La sindrome della violenza totale

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Con “violenza assoluta” si intende una determinata azione violenta; con “violenza totale” si intende una sindrome di elementi di azione: la connessione tra l’esaltazione della violenza che viene esercitata e la tecnicizzazione della violenza.Ogni potere ambisce alla legittimazione. La legittimazione della violenza è tipicamente accresciuta. L’atto violento del singolo o della collettività viene celebrato come eroismo. Anche nel pathos della combattività degli stati nazionali riecheggiava ancora questa ertezza dell’approvazione divina.Se ci si pone la questione dei fondamenti che stanno alla base della molteplicità delle esaltazioni, ci si imbatte in due circostanze fondamentali.La violenza rappresenta il massimo grado della superiorità su altri esseri umani. Poi la violenza vista come frantumazione del dominio, come atto di liberazione. Il pathos dell’umiliato non rientra nel contesto che stiamo considerando qui.Il pathos della liberazione può lasciarsi alle spalle tutti i riferimenti concreti ad un’effettiva liberazione dalla violenza.La sopravvivenza cruenta della forza vitale diventa giudizio finale. Una violenza sacra spezza il tempo profano. La stessa cosa accade anche in forma secolarizzata. La violenza diviene il fanale del farsi diverso del mondo. La spontaneità, la totalità, la comunità possono essere vissute in uno stato incontaminato.La forza di offesa dell’uomo è determinata dall’indifferenza in modo più forte che da tutti gli altri motivi. L’indifferenza verso la sofferenza della vittima forma una membrana protettiva che tiene alla larga le inibizioni.L’indifferenza, il disinteresse può crescere fino alla completa irrilevanza dell’altro essere umano, al punto che l’altro non è più visto secondo le categorie del pensare, dell’agire. La sofferenze diventa insignificante.Varrone distingueva tre tipi di mezzi di produzione: genus mutus, strumenti silenziosi di produzione; genus semivocale, strumenti che hanno voce ma non parlano; genus vocale, strumenti che possono parlare.L’appartenenza presuppone determinati segni distintivi, come il genere, l’età o la provenienza. Il principio regolante la struttura dell’appartenenza produce linee di separazione.L’essere al di là del confine di altri esseri umani viene appreso insieme all’appartenenza.Ciò può portare agli atteggiamenti più diversi.La capacità di indifferenza ha a che fare con la costruzione delle società umane. Può essere ulteriormente favorita da un’altra peculiarità costitutiva della convivenza, la divisione del lavoro. Le divisioni del lavoro sono legate a strutture di appartenenza.L’esaltazione della violenza e l’indifferenza si collegano alla capacità umana di eliminazione dei limiti della violenza, cioè alla sua specifica intelligenza nella produzione tecnica.Lo sviluppo delle armi è antico come la tecnica degli utensili. I primi utensili saranno serviti ai raccoglitori e ai cacciatori paleolitici anche come armi da caccia, e le armi da caccia saranno servite anche come armi da combattimento.Un nuovo stadio dello sviluppo delle armi si basa sulla produzione del bronzo e del ferro. Le armi metalliche rendono possibile una nuova superiorità del loro possessore.

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L’uso delle armi richiede uno speciale allenamento.Il successivo aumento di efficienza inizia con le armi da fuoco. Il grosso salto tecnico della rivoluzione industriale porta poi ad un processo di aumento della produzione, di crescite della produttività e di innovazione delle armi che si svolge con grande rapidità.Nasce il campo da battaglia meccanizzato. Poi fa irruzione qualcosa di incredibilmente nuovo. La prima bomba atomica è superiore di parecchie centinaia di volte a tutti i precedenti effetti distruttivi. Si cerca continuamente di spiegare come faccia il suo ingresso nel mondo qualcosa di nuovo non solo per grado ma anche per genere. È chiaramente nuova la possibilità di annientare ogni vita umana.Una sola bomba atomica avrebbe un’intensità ed un tipo di effetto schiaccianti.I tre elementi della sindrome della violenza totale non soltanto concordano, ma si accrescono anche vicendevolmente.L’esaltazione e l’indifferenza si sostengono a vicenda. Le glorificazioni del proprio atto violento diventano più sicure.L’altro diventa per l’uccisore tanto più indifferente quanto più i propri ideali e i propri atti eroici oscurano l’intero conflitto.Allo stesso modo l’esaltazione e l’indifferenza agevolano la disponibilità ad impiegare strumenti tecnici di violenza.La gloria della tecnica si addice perfettamente alla gloria della violenza.Necessaria è la fredda concentrazione, le emozioni potrebbero solo disturbare.La violenza totale si svolge nel campo di tensione della concorrenza tra due potenze mondiali, una concorrenza da cui nessuna delle due parti può ritirarsi senza mettere in pericolo la propria esistenza.Ogni limitazione è inutile. Per fermare il progresso della violenza totale non è necessaria solo la limitazione del numero delle armi, ma anche una rinuncia allo sviluppo di nuove armi. Se questo non succede ogni accordo sarà in poco tempo travolto dalle innovazioni.Un coordinamento delle strategie di conflitto in cui sia presa in considerazione e promossa la sicurezza di entrambe le parti presuppone un minimo di fiducia.Anche una fiducia minima è impensabile in qualsiasi contesto storico-filosofico in cui sia inclusa la possibilità di un conflitto atomico come possibilità dell’annientamento dell’umanità. Se si può pensare di raggiungere tutto ciò, anche la speranza che possa realizzarsi un ulteriore presupposto per la formazione della fiducia non è vana: la speranza che potremmo imparare a tener presente il pericolo corso dalle vite umane al di qua e al di là dei confini come un tutto unico.Le forze contrarie alla sindrome della violenza totale dovrebbero entrare in relazione con tutti i suoi elementi.Capitolo terzo: MINACCIARE ED ESSERE MINACCIATILe minacce guidano il comportamento in quanto producono paura. Potere strumentale significa facoltà di disporre della paura e della speranza degli altri individui.Gli strumenti di questo potere, minacce e promesse, si completano in molti modi. L’efficacia della minaccia è uno dei presupposti di qualsiasi rapporto di forza duraturo.

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1. Struttura della minaccia Gli elementi della minaccia sono facili da individuare.Colui che minaccia dà a intendere come dato di fatto per il minacciato il seguente stato di cose: se tu non farai (comportamento difforme) ciò che voglio (comportamento richiesto), ti procurerò dei danni (sanzione minacciata).Le minacce non devono essere necessariamente esplicite; certi gesti simbolici sono altrettanto eloquenti quanto le parole.Abbiamo tre rapporti differenti per descrivere la struttura della minaccia.In primo luogo, il rapporto tra comportamento richiesto e comportamento difforme. Colui che minaccia crea un’alternativa. Con questo potere di “dare alternative” colui che minaccia ridefinisce la situazione del minacciato.Il senso di ogni comportamento del minacciato e predeterminato. Ciò che il minacciato farà può assumere il significato di provocazione anche se egli non ha nessuna intenzione di sfidare qualcuno. Oppure, il suo comportamento risulta conforme, anche se avrebbe fatto qualcosa di diverso.Colui che minaccia presenta l’alternativa come una preferenza univoca.Il minacciato ha la possibilità di scegliere. Naturalmente il contrasto tra le conseguenze di un comportamento conforme e quelle di uno anomalo può essere talmente forte da lasciare ben pochi dubbi sulla decisione del minacciato.Il problema è individuare il rapporto tra minaccia e coercizione.Chi impiega la minaccia come strumento di potere vuole qualcosa dal minacciato.La seconda caratteristica strutturale è il duplice ruolo di colui che minaccia.Anche colui che minaccia si trova alle prese con l’alternativa che sta ponendo. Egli fa una prognosi su se stesso.All’interno di questo duplice ruolo si può facilmente individuare la differenza fra potere e influenza. Al contrario colui che minaccia preannuncia che metterà in pratica in prima persona ciò da cui sta mettendo in guardia.È il minacciato a decidere se chi minaccia debba essere preso in considerazione. Chi minaccia (o promette) si rende dipendente dal comportamento altrui. Così l’effetto di ogni futura minaccia è compromesso.Il fatto di vincolarsi diventa tanto più pericoloso quanto più apertamente il minacciante deve articolare la propria minaccia. Una minaccia espressa in modo chiaro è un chiaro atto di ostilità.Una terza caratteristica strutturale è il legame fra un’azione possibile e una effettiva. La persona che minaccia annuncia che eventualmente farà qualcosa può ottenere che chi è minacciato faccia qualcosa.È possibile che il minacciato reagirà, ma non è sicuro.Il dubbio può dare luogo a una complessità cognitiva notevole. Tale incertezza può essere alimentata intenzionalmente. Nella strategia della minaccia indeterminata, il minacciante può descrivere in modo approssimativo il comportamento o il contenuto della sanzione e può approfittare degli eventuali effetti psicologici dell’incertezza.Il minacciato che ignora quale punizione lo attenda può essere indotto a rappresentarsi il pericolo che incombe su di lui in termini sproporzionati.

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Il potere della minaccia si trasforma così nel potere di suscitare paura.L’insicurezza del minacciato viene sfruttata anche nella strategia della minaccia dissimulata. È possibile mettere in pratica la minaccia o no? Chi subisce una minaccia può non sapere se chi minacciava era nelle condizioni di imporre la sanzione. Egli resta nell’incertezza.Dunque tre rapporti della struttura della minaccia: l’alternativa fra comportamento conforme e comportamento difforme incombe; la prognosi auto vincolante del minacciante; la prospettiva che un’azione effettiva possa essere motivata da una potenziale.2. Quotidianità della minaccia Il fatto è che la minaccia non si differenzia dalla maggior parte delle interazioni in cui siamo coinvolti ogni giorno.Il segnale stradale «divieto di sosta», ad esempio, non ci impedisce di parcheggiare proprio lì, ma ci pone di fronte a un’alternativa. L’esperienza insegna che l’istanza che vigila sul divieto è pronta al conflitto.In quali circostanze si hanno situazioni di minaccia come questa? Ogni volta che gli uomini vogliono qualcosa da qualcun altro. Più precisamente, quando si aspettano qualcosa con una certa urgenza e non possono accettare di essere delusi senza reagire. Non appena il nostro operato è gravato dalle aspettative degli altri, si pone un’alternativa e ogni nostra risposta ricade nella sfera delle istanze che queste aspettative ci pongono di fronte. Quale che sia la nostra risposta essa è determinata dalle nostre congetture rispetto allo sbigottimento e alla presunta reazione degli altri.Che le reazioni siano positive o negative, non cambia niente nel fatto che la minaccia sia sempre presente.Come in ogni minaccia c’è una promessa, così dietro ogni promessa si cela una minaccia.Tuttavia, se le minacce sono pressoché onnipresenti nelle interazioni sociali, perché non viviamo nel terrore? Perché le nostre azioni hanno carattere convenzionale.Da una parte siamo consapevoli di ciò che ci viene proposto. Agire in modo convenzionale significa disporre di risposte pronte.Agire convenzionalmente significa poter contare sul fatto di non dover prendere in considerazione determinati rischi. Gli ordinamenti sociali sono una combinazione di omissioni.Tutt’a un tratto un evento insolito non viene tralasciato, e a questo punto saltano fuori i problemi: siamo minacciati di sanzioni terribili, persone a noi care ci pongono di fronte ad alternative sconosciute.così si mette in moto la riflessione che può portare a consapevolezza molte combinazioni di omissione e dissimulazioni.Le forme in cui si esprimono le minacce sono le più svariate. Di solito il minacciante può scegliere lo stile più adatto tra molte possibilità. Di preferenza questo accade nella tipologia della minaccia nascosta. Colui che minaccia può non dare a vedere che è proprio lui a minacciare.Nessuno pugnala l’altro al cuore e soprattutto viene mantenuta l’importante premessa dell’uguaglianza (decisiva per le finzioni di accordi immuni da rapporti di potere).Per colui che minaccia tale finzione è auspicabile, in quanto in questo modo si risparmia l’inconveniente di apparire vincolato.

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Il potere dissimulato della minaccia offre al minacciato la possibilità di un’arrendevolezza dissimulata. Chi si sottomette nascostamente non cede a nessuna pressione, si limita solo a cambiare opinione.L’arrendevolezza dissimulata può essere negata facilmente e non produce alcun tipo di dissonanza. 3. Redditività ed estendibilità della minaccia Le minacce non sono soltanto fenomeni della quotidianità, ma costituiscono le leve del potere a livello macroscopico. Perché l’efficacia delle minacce cresce su se stessa?Perché l’effetto delle minacce cresce di pari passo con la loro pericolosità.Una seconda risposta deriva non dal contenuto ma dalla struttura delle minacce.Nella minaccia sono insite due opportunità: redditività ed estendibilità.Se si mettono a confronto il dispendio e i costi di minacce e promesse, in prima istanza non vi sono differenze di principio. Se le minacce sono efficaci, il loro costo è basso. Se il minacciato si comporta in modo conforme, colui che minaccia non è tenuto a fare nulla.Al contrario, in caso di successo le promesse diventano costose.Chi esercita il potere basandosi sulle promesse fa assegnamento sul successo.In caso di conformità le minacce sono convenienti e le promesse costose. In caso di non-conformità sono costose le minacce e convenienti le promesse.Le esigenze normative che si impongono in ogni ordinamento sociale vengono consolidate dalla minaccia di sanzioni. Chi contravviene a una norma deve fare i conti con le conseguenze negative che da questo derivano. Al contrario, le norme non vengono protette dalle promesse.In un senso molto generale le ricompense non si riferiscono ad azioni particolari conformi alle norme, ma a una conformità complessiva, a un bilancio globale del nostro comportamento. Quando rispondiamo alle aspettative possiamo attenderci che gli altri facciano lo stesso.Sono previste ricompense particolare non per ciò che è consueto ma per il raggiungimento di particolari livelli di rendimento. Si tratta di prestazioni che non ci si può aspettare da tutti. Un’eccezione facile a spiegarsi è data dalle reazioni pedagogiche al comportamento infantile. In questo caso viene spesso premiato anche il comportamento normale o più precisamente il modo di comportarsi che di lì a poco dovrà risultare normale per il bambino.Questo conferma la regola secondo cui all’equilibrio tra norme e sanzioni corrisponde un legame fra livelli di rendimento e ricompense. Perché le norme vengono protette dalle minacce e non dalle promesse?Un motivo è che elargire ricompense per la conformità alle norme sarebbe semplicemente troppo dispendioso.Le minacce sono redditizie perché in generale possiamo fare affidamento sul rispetto delle norme.Questo esito sembrerà sorprendente. Solitamente le minacce sono associate a situazioni drammatiche, ma il loro campo d’azione più vero è la sfera del non-eccezionale.Questo vale in piccolo come in grande. Chiunque minacci con successo risparmia i costi della messa in atto della minaccia stessa. In questo modo può utilizzare gli strumenti, le forze, il tempo che ha risparmiato per fare nuove minacce.

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Se il paese x è pacificato, può essere messo sotto pressione il paese y. Le minacce efficaci liberano nuove forze: quanto più alta è la conformità ottenuta, tanto maggiore sarà il numero di individui che possono essere tenuti in pugno con le minacce.L’estendibilità delle minacce è favorita dal fatto che la credibilità delle stesse non esige la punizione di ogni episodio di insubordinazione.Se due individui sono minacciati da qualcuno che ha una sola pallottola nella pistola, entrambi devono tener conto della possibilità che questa li colpisca con il massimo risultato, sebbene possano essere certi che non saranno colpiti tutti e due. Ma essa è credibile per ciascuno dei due, ed entrambi, sono quel ciascuno.Grandi storie del passato sono avvenute sotto l’influenza strategica delle minacce.Naturalmente in questo caso ci sono anche dei limiti. Il potere della minaccia su molti uomini si fonda sul presupposto di una scansione temporale dei casi di devianza. Il potere basato sulla minaccia è in grado di affrontare la necessità di imporre sanzioni su diversi fronti contemporaneamente quanto una banca sarebbe capace di superare un’improvvisa fuga di capitali.L’efficacia delle minacce cresce su se stessa non solo nella misura in cui colui che minaccia è in grado di incrementare la pericolosità delle sanzioni paventate, ma anche in quanto ne sappia sfruttare la particolare redditività.Le minacce sono estendibili, cioè, il loro raggio d’azione può essere ampliato al di là di quella garantito dagli strumenti che lo consentono.La redditività e l’estendibilità si basano entrambe sull’efficacia dell’agire potenziale.La redditività e l’estendibilità delle minacce possono essere accresciute in modo metodico o semimetodico. Importanti sono le opportunità offerte da un’eccessiva disponibilità al conflitto, che fanno parte del modo semimetodico.Chi è eccessivamente pronto al conflitto reagisce anche a eventi insignificanti. Reagisce in modo singolarmente nervoso per l’immediata disponibilità al rischio. Sopra ogni cosa egli nota una scarsa disponibilità ad accettare compromessi. Ogni disputa minaccia di degenerare in una spirale di conflitti.Dietro a tutto questo può nascondersi una tattica ben ponderata, ma anche disposizioni emotiva particolari: dalla vulnerabilità all’isteria nevrotica.L’eccessiva disponibilità al conflitto rafforza in chiunque ne sia potenzialmente colpito le ragioni per evitarlo. Ci arrendiamo non perché presumiamo che chi ci ha sfidato disponga di strumenti di potere superiori, ma perché riteniamo che egli sia pronto a mobilitare tutto ciò che ha.Un’eccessiva disponibilità al conflitto costituisce un modo efficace per far salire il prezzo della ragione.In ogni modo la ritirata dei possibili avversari evita a chi è immediatamente disponibile al conflitto l’impiego dei propri strumenti di potere. La minaccia è sufficiente.È facile comprendere come evolvano processi come questi. Chi ha esercitato il potere fino a ora, «ha» il potere.Colui che minaccia, che può fare affidamento sul potere di intimidazione e su un’aspettativa di successo consolidata, si impone con costi ancora minori.

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Chi esercita il potere in questo modo avrà l’opportunità di ampliare il proprio potenziale conflittuale. Non sarà più la disponibilità al conflitto a portarlo al potere.4. Modellare l’esser-minacciati La redditività e l’estendibilità offerte dalla minaccia rendono più comprensibile il significato politico dei sistemi basati su di essa.Chi minaccia può insegnare agli altri la paura, ma può anche accrescere il suo potere a scapito delle emozioni dell’esser-minacciati.Speranze e timori sono modificabili e plasmabili, il che corrisponde alla generale plasticità sociale dell’individuo, alla sua capacità di reagire ai progetti più diversi dell’esistenza sociale. Plasmabile è ciò che egli teme e spera e il modo in cui teme e spera.Con la trasformazione di timori e speranze può essere trasformato anche il valore e l’importanza di determinate punizioni e ricompense, minacce e promesse. Le donne e i bambini, per esempio, furono lasciati dietro, al riparo di una barricata di carri, il giovane guerriero prese congedo dalla sposa e dal figlio. Tutti i guerrieri promisero solennemente di battersi con coraggio e di non fuggire davanti al nemico. Alcuni si incatenarono fra loro. Una volta resosi conto che la battaglia era ormai perduta, il giovane guerriero cercò di gettarsi tra le spade dei nemici per non assistere alla sconfitta, ma venne fatto prigioniero. Tutti i prigionieri furono costretti a passare verso un’impalcatura. Erano diventati schiavi. Quando ebbe inizio la lunga marcia verso la terra dei vincitori, il giovane guerriero fu preso dalla paura che i suoi piedi non reggessero allo sforzo, in quanto chi non era in condizioni di non proseguire veniva ucciso. Ma i suoi piedi resistettero, ed egli non morì di fame. Il giovane guerriero divenne un bravo schiavo.I diversi timori e le speranze si accordano bene tra loro. Noi ci collochiamo all’interno di una sorta di economia dei timori e delle speranze. Per quanto grandi possano essere le differenze, gli individui sono in grado di riconvertire la propria economia di apprensioni e speranze. Il cambiamento può riuscire in maniera rapida e naturale. Con questo non intendiamo generalizzare la nostra facoltà di strisciare astutamente da un guscio all’altro. Vi è il rifiuto che nasce dalla superbia e dall’umiltà: l’individuo di alto lignaggio che non accetta il declino, e l’asceta religioso che non vuole essere innalzato a gloria terrena.Possiamo essere certi che l’esperienza del doversi-adattare e del potersi-adattare è antica come la storia dell’umanità. Nella rassegnazione, ad avere il sopravvento è un auto esonero dalle aspettative. Noi siamo capaci di separarci dalle antiche speranze e dalle antiche paure in modo che se ne possano affermare di nuove. Questa capacità è un’espressione della natura letteralmente cosmopolita dell’uomo.La politica di potenza può sfruttare la nostra capacità di adattarci alle più disparate economie della paura e della speranza. Così le condizioni di un gruppo possono essere peggiorate in modo da farli trovare in una condizione di timore e di speranza che rende vitali anche piccole punizioni e piccole ricompense. Ogni ricompensa e ogni sanzione hanno un effetto straordinario.C’è anche la possibilità di congelare le attese a un tale livello minimo. I grandi imperi dipendono dalla possibilità di fare ricorso a strumenti di potere a buon mercato. Il loro dominio può durare non a dispetto del fatto che la maggioranza della popolazione viva alle soglie del livello di sussistenza, ma proprio per questo.

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Timori e speranze si possono plasmare non soltanto trasformando le condizioni di vita degli individui, ma anche modificando i criteri di valutazione. In una società in cui la carriera è il valore più alto, ogni minimo avanzamento è fonte di ricompense e tutto ciò che non aiuta a progredire genera paura.La cultura in senso generale costituisce l’immagine speculare del plasmarsi di paure e speranze: nelle interpretazioni religiose, negli ideali di gloria. Ogni cultura è anche una sistematizzazione del modo in cui specifiche opportunità vengono impiegate come strumenti di potere. Ogni trasformazione culturale modifica tali opportunità.Un’ultima osservazione. Il giovane guerriero diventò un bravo schiavo. Gli uomini possono diventare bravi schiavi a causa di una duplice attitudine alla sottomissione. Essi possono mettere tutte le loro umane capacità di agire al servizio di un altro ed essergli utili come solo un uomo può esserlo con altri uomini. Essi dispongono, tuttavia, della capacità di ridurre al minimo le proprie aspettative, di rinunciare alla propria volontà.Capitolo quarto: IL VINCOLO DI AUTORITA’Per autorità non si deve necessariamente intendere qualcosa di inusuale e drammatico. Relazioni ed effetti di autorità sono parte della vita quotidiana.Per autorità non si deve neanche intendere come un fattore storicamente delimitato: gli effetti dell’autorità sono attuali. Infine, autorità non vuol significare né qualcosa di buono né di cattivo.Negli anni ’20, Vierkandt propose una distinzione che ha esercitato un grande influsso su Tönnies e Oppenheimer: la distinzione tra la disponibilità ad accettare un comando per paura e la disponibilità ad accettare un comando per libera inclinazione. La disponibilità nel primo senso sarebbe una paura di immediata sofferenze corporea o di futuri danni economici. La disponibilità nel secondo senso, che si conforma liberamente ad un’inclinazione, è presente dove «l’uomo ammira…, guarda dal basso in alto». Fondamento di tale obbedienza è «la consapevolezza e il riconoscimento di una superiorità di valore». Chi si sottomette si sottomette a un’autorità.Il modello di pensiero che stava alla base è antico come la riflessione sul potere. Il filosofo cinese Mencio diceva: «Quando gli uomini vengono soggiogati con la forza, non si sottomettono nel loro spirito, ma soltanto perché la loro forza è inadeguata. Quando invece vengono soggiogati dal potere della personalità, si sentono soddisfatti nel più profondo del cuore, e si sottomettono veramente». È il medesimo pensiero, salvo che al posto della superiorità di valore sta il potere di personalità.Horkheimer distingue tra relazioni autoritarie e relazioni autorevoli, e caratterizza le relazioni autorevoli come «dipendenza acconsentita», che può comprendere una gamma che va dall’«obbedienza amorevole» fino all’obbedienza appena tollerante.Nella distinzione tra potere esteriore e potere interiore si inserisce la storia dei concetti di potestas e auctoritas.L’auctoritas divenne il modello di legittimazione per ogni tipo di pretesa a un potere più alto. Il potere interiore, l’autorità, viene descritto come puro, affettuoso, libero. Invece con l’altro potere, esteriore, fa ingresso nel mondo il fattore costrizione.

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Gli effetti dell’autorità possono portare a relazioni e ad azioni di tipo contrastante, all’ubbidienza cieca o accecata dall’ira. Caratteristica è la frequente ambivalenza del comportamento determinato dall’autorità, come l’oscillazione tra la dedizione forzata e la resistenza ostentata.Gli effetti «buoni» e gli effetti «cattivi» vengono dalla stessa fonte.L’unità del fenomeno dell’autorità consiste in uno specifico legame: il legame di un uomo con ciò che un altro fa o non fa. Egli è incatenato alla relazione che realmente o immaginariamente lo lega all’altro.Tale vincolo può essere considerato come una forma di relazione umana.2. Gli effetti di autorità Vi sono certi elementi comuni da cui possiamo prender le mosse. Questi elementi comprendono 4 tratti distintivi:

1. Colui che attribuisce autorità ad un altro si adatta al volere del detentore dell’autorità non soltanto nel suo comportamento controllabile, ma anche in ciò che fa inosservato.

2. Gli effetti di autorità portano all’adattamento non solo del comportamento, ma anche dell’atteggiamento. Colui che dipende dall’autorità adotta i giudizi, le opinioni, i parametri di valore del detentore di autorità e con essi le sue «prospettive», il punto di vista e il modo di vedere a partire dai quali questi giudica, le sue regole di interpretazione dell’esperienza.Colui che dipende dall’autorità tiene d’occhio se stesso.

3. Chi esercita l’autorità non deve impiegare misure pesanti. Può rinunciare alla minaccia di punizioni fisiche e materiali. L’autorità è il risultato di misure leggere. Anche il senso originario di auctoritas nella Roma repubblicana indica una forza che ottiene il suo effetto senza violenza. La figura di autorità che doveva prendere una decisione importante convocava un consiglio di uomini fidati. Il parere di questo consiglio aveva auctoritas. Wieacker definisce questa auctoritas come «potere indiretto». La richiesta di un parere autorevole rafforzava la legittimazione di una decisione e aumentava la fiducia nella sua correttezza.L’autorità non può fare a meno dei mezzi coercitivi, ma non è tenuta a farlo.Che l’autorità e la violenza siano conciliabili, emerge dall’interpretazione di colui che dipende dall’autorità.

4. Chi attribuisce ad altri autorità su se stesso riconosce una superiorità dell’altro. Lo guarda con rispetto. L’altro ha per lui prestigio. Il riconoscimento di una superiorità può essere parziale. L’altro ha di più: in ricchezza, in potere, ecc… L’altro può di più, è più abile. L’altro sa di più. Ma non sempre il riconoscimento della superiorità dell’altro può apparire in modo generico, e rimane vaga e misteriosa. Leopold ha inteso il concetto di prestigio, una sorta di prestigio di una superiorità ontologica. L’altro è semplicemente di più, in un modo che esclude ogni confronto, ogni concorrenza con lui. Prestigio significa accettazione di una superiorità incomprensibile e inspiegabile.

Meister motiva la sua decisione di diventare attore con un’ampia e acuta riflessione sull’essenziale inferiorità del borghese rispetto al nobile.

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Per la formazione della personalità è indispensabile la forma pubblica, la presentazione di sé come «personaggio pubblico». L’opportunità o per meglio dire il dovere della presentazione pubblica di sé fonda la superiorità del nobile.La superiorità è una sfida ad agire.Quanto più le emozioni sono forti, tanto più influenzeranno lo stile di relazione del sottoposto, il modo in cui egli si comporta nei confronti di chi è stimato superiore.Chi dagli altri aspetta con certezza un più elevato discernimento del corso del mondo, ne ricava egli stesso certezza: autòs épha. La verità è venuta alla luce.Il consiglio di persone di prestigio vale più del consiglio dei comuni mortali. È il consiglio di un uomo di successo; se lo si segue, ci si aggrega al successo.Colui a cui viene riconosciuta una superiorità in termini di prestigio influisce dunque sul comportamento degli altri.Scrive de Jouvenel: «Userei la parola “autorità” per descrivere la situazione in cui A si trova in relazione con B, “che lo guarda con rispetto”».Il riconoscimento della superiorità è un aspetto del fenomeno dell’autorità.3. Riconoscimento dell’autorità e riconoscimento sociale La percezione di essere socialmente riconosciuti è costitutiva del nostro autoriconoscimento. È dunque solo con la nostra aspirazione al riconoscimento che noi produciamo in genere effetti di autorità e creiamo il vincolo con le persone dotate di autorità. Se osserviamo l’origine dei vincoli di autorità possiamo di regola distinguere un duplice processo di riconoscimento: il riconoscimento della superiorità di altre persone, l’attribuzione di prestigio, e l’ancoraggio della nostra aspirazione al riconoscimento a quelle persone o gruppi superiori.Tale ancoraggio spiega la dipendenza di chi riconosce l’autorità come dipendenza da coloro nella cui lode e attenzione egli spera con particolare intensità.Anche il legame con le autorità diviene comprensibile: la nostra aspirazione al riconoscimento è agganciata ad esse, ci tengono nelle loro mani. Il loro riconoscimento è il successo sociale della nostra autocoscienza. Infine diviene anche comprensibile perché lo scioglimento di vincoli di autorità possa essere così doloroso.Che noi aspiriamo necessariamente all’autoriconoscimento emerge dal fatto della nostra riflessività e dal nostro rapporto con la realtà in cui viviamo. La nostra autocoscienza è sempre una coscienza del nostro valore. La reazione all’autovalutazione non è solo un contemplativo prendere-atto-di, ma è lo sconcerto di un essere che agisce e che modifica la realtà.Perché l’autoriconoscimento dipende dal riconoscimento sociale?L’uomo non si limita ad «avere» semplicemente una coscienza di se stesso, ma la sviluppa nel corso dei primi anni di vita. Tale coscienza la vediamo nel bambino nel gioco di azione e reazione con gli altri. Il passo decisivo è la formazione della facoltà di cogliere ciò che accade. Quando il bambino impara a vedersi dal punto di vista dell’altro, impara a vedere se stesso.Questa esperienza e questa facoltà determinano non solo la genesi dell’autocoscienza, ma anche la sua struttura. La conoscenza di se stesso comporta sempre la conoscenza di come gli altri vi reagiscono.L’autovalutazione si sviluppa a partire da esperienze di riconoscimento sociale.

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Il bambino ha esperienza di aver realizzato con successo qualcosa essenzialmente nel contesto dell’attenzione sociale.Da queste esperienze di riconoscimento ha origine l’autostima, come assunzione del riconoscimento altrui in rapporto a se stessi.Le esperienze di riconoscimento sociale determinano dunque la struttura dell’autoriconoscimento. Come ogni vedere-se-stessi è sempre anche un vedere con gli occhi altrui, così ogni valutare-se-stessi è sempre un valutare con gli occhi altrui.4. Chi ottiene autorità? Nelle riflessioni precedenti le persone dotate di autorità hanno avuto il ruolo di modelli fittizi. È possibile stabilire chi ottiene autorità e perché? Che ruolo gioca l’immaginazione nelle nostre esperienze di autorità?Nelle società tradizionali l’autorità è completamente istituzionalizzata. Essa rimane associata a determinate posizioni sociali e sopravvive alle persone che la esercitano in quanto detentori di tali posizioni. L’individuo vi cresce in mezzo. È chiaro di chi siano i giudizi che hanno per lui un valore di riconoscimento determinante. L’autorità non essere scelta. È decisa come un obbligo.Dopo il declino dell’autorità istituzionale abbiamo l’autorità personale. I valori sociali stabiliscono chi sia superiore e chi possa offrire il riconoscimento cui è attribuito un valore particolarmente alto. Il prestigio rende più probabile l’attribuzione di autorità.Ciò suggerisce una «teoria personalizzante» dell’attribuzione dell’autorità. La fonte degli effetti straordinari dell’autorità è una personalità spiccata che disponga di un notevole ascendente.Effetti di questo tipo sono affascinanti, ma non possono assolutamente essere intesi come qualità fondatrici di autorità che semplicemente si «ha». Gli effetti dell’autorità di determinate persone sono troppo palesemente relativi. Un insegnante acquista solitamente autorità con gli studenti più giovani e ne perde con i più anziani. Ci sono tipicamente autorità tipicamente maschili per le donne, e altre che vigono solo entro associazioni maschili.Le autorità possono essere relative a una piccola cerchia o alle grandi adunate. Tutti questi effetti sono dipendenti da condizioni temporalmente delimitate.L’autorità non è qualcosa che si ha, ma qualcosa che si consegue.Una caratterizzazione generale e indipendente dai contesti delle persone dotate di autorità non è possibile. Ma forse è possibile dare una sorta di surrogato di risposta se si fa riferimento a qualità supposte.La ricostruzione di un’immagine dell’autorità non sembra impossibile se si riflette su come le relazioni di autorità manifestano i loro effetti.Le autorità stabiliscono dei criteri che vengono poi assunti dagli altri. La disponibilità all’assunzione di criteri è probabilmente di norma maggiore quando l’autorità mostra di sostenerli con grande sicurezza. L’assunzione viene facilitata se i criteri sono chiari. Qualsiasi ambivalenza renderebbe l’accettazione più difficile.Colui che dipende dall’autorità è legato al giudizio su di sé da parte della persona che la detiene; egli spera di ricevere una conferma. Queste speranze e questi timori da parte di coloro che dipendono dall’autorità saranno più intensi quanto più essi hanno la sensazione che le autorità reagiscano al loro comportamento.

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L’intensità delle speranze e dei timori aumenterà di norma anche con la forza delle reazioni che ci si aspetta dalle autorità.L’autorità non sembra reagire solo con costanza, ma anche con enfasi. I suoi giudizi sono pieni di significato in amore e odio. Colui che dipende dall’autorità crede di dover stare in costante preoccupazione davanti ai giudizi generalizzanti. Tutto ciò che egli fa porta alla valutazione di tutta la sua persona.Le supposizioni sono dedotte da determinati tratti distintivi del fenomeno dell’autorità. Che cosa favorisce una dipendenza intesa dai giudizi delle autorità? Una supposta prontezza di reazione e incondizionatezza di valutazione.Le forti esperienze di autorità che segnano la vita accrescono l’evidenza di tali teorie della personalità.5. L’importanza dell’immaginazione Anche nelle relazioni di autorità la produttività dell’immaginazione ha una rilevanza fondamentale. Ciò è evidente già nell’interpretazione delle reazioni dei detentori di autorità. È spesso riconoscibile ciò che viene inteso come riconoscimento e revoca riconoscimento.Ci sono segnali di ogni genere che non vogliono esprimere altro che assenso, conferma, delusione.Le reazioni verbali, per esempio, possono aver perso qualsiasi rilevanza se qualcuno ha imparato a percepire come revoche del riconoscimento di una qualche importanza solo le punizioni fisiche.Dove c’è in gioco l’autostima ci sono mondi immaginari di tipo particolare.Un altro importante aspetto della rilevanza dell’immaginazione è lo sviluppo delle relazioni di autorità.Si possono distinguere i gradi di sviluppo dei vincoli di autorità in incompleti, completi e latenti.

Incompleti: vincoli in cui le attribuzioni o le revoche di riconoscimento diventano efficaci solo se sono effettuate realmente dall’interessato.

Completo: il vincolo diventa tale quando attribuzioni e revoche di riconoscimento rappresentate possono sostituire l’esecuzione reale

Latenti: qui il detentore di autorità non è più psichicamente presente come giudicante; le sue prospettive e i suoi criteri continuano ad avere effetto come norme interiorizzate.

Solo a causa del peso della rappresentazione la dipendenza diviene un vincolo completo. Allo stesso modo, la relazione di autorità può sciogliersi da interazioni effettive.Questo distacco può essere accentuato in relazioni di autorità di tipo particolare.Si vengono a creare autorità pubbliche quando molti esseri umani valicano la distanza che li separa da attori come tali che si presentano pubblicamente e pongono in atto questa autorelazione propriamente sciolta da interazioni.Un altro passo nell’immaginato è la relazione immaginata con gli ideali dei libri, le star del cinema, gli eroi di guerra, ecc…Anche questa relazione può acquistare i tratti di un vincolo di autorità.Infine c’è un’ultima capacità rappresentativa che spesso determina la vita: l’autorità dei posteri. I posteri diventano un’immaginare ultima istanza di giudizio della propria vita.Questa idea ha caratterizzato culture guerresche. Il massimo esempio di fama conseguita è l’eroe di guerra. Proprio la morte, la morte eroica, dà la certezza della sopravvivenza. Senza dubbio quest’idea ha avuto successo.

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La fede nella posterità riceve una nuova colorazione particolare con la figura del genio incompreso. Per il genio incompreso la fama che verrà significa giustizia distributiva e trionfo tardivo sui contemporanei che non lo comprendono. Questa speranza può anche portare confronto e incoraggiamento, ma la relazione ad un’«autorità» diviene finzione totale.L’artista, il poeta, il filosofo, può solo puntare su un nuovo discernimento dei posteri.Egli deve ritagliarsi questa posterità a sua propria immagine.Le autorità pubbliche sono solite contrarre prestiti scoperti sotto forma di azioni rituali e hanno un significato nascosto. Nelle loro glorificazioni e nelle loro condanne si atteggiano a mediatori di forze e decisioni soprannaturali.Nelle autorità-fantasma del mondo dei libri il riferimento religioso è generalmente ancora più scoperto e ingenui. Gli eroi sono semidei.Infine, l’«autorità dei posteri». In questo caso l’idea dell’immortalità è ripresa come continuazione della vita nella fama. Il giudizio dei posteri riveste il ruolo del giudizio universale. Se questo giudizio è inteso come compensazione dell’incomprensione dei contemporanei è particolarmente eclatante la sua contiguità con l’idea di una giustizia finale ultraterrena.Il vincolo di autorità è senza dubbio la sottomissione all’autorità divina. Ciò non significa che tutte le esperienze di autorità debbano essere esperienze religiose secolarizzate.6. Il potere d’autorità Quando da questi vincoli ed effetti sorge il potere? Il potere di autorità sorge quando il bisogno di riconoscimento viene consapevolmente utilizzato per influenzare il loro comportamento e il loro atteggiamento. Se si confronta questa con altre forme di potere, si nota la somiglianza con il più banale di tutti i metodi per guidare il comportamento altrui secondo la propria volontà: l’operare mediante premi e punizioni palesi.Sono metodi dell’esercizio del potere un dare e un prendere. Il potere di autorità non si distingue strutturalmente da questa forma banale-basale di potere.L’operare mediante alternative è facilitato nell’esercizio del potere d’autorità dalla vulnerabilità interiore degli esseri umani.La vulnerabilità, l’essere in potere altrui rende sensibili anche a piccole variazioni nel giudizio dei detentori di autorità.Se di ciò si approfitta secondo un piano preordinato, anche misure leggere e deboli minacce possono avere un alto effetto di conformità.Se si prescinde dalle sensibilità ogni tentativo di influenzare non solo il comportamento degli altri, ma anche le loro prospettive e criteri.Il vincolo di autorità è quel fondamentale vincolo sociale che dispone all’esercizio del potere.Capitolo quinto – I BISOGNI DI AUTORITA’. LA TRASFORMAZIONE DELLA SOGGETTIVITA’ SOCIALEIl riconoscimento delle proprie capacità e la ricerca della propria stima forniscono le basi dell’autorità così come essa deve essere intesa.L’autostima ha bisogno di una convalida sociale. La ricerca di tale conferma può concentrarsi su determinate persone. Il nostro amor proprio è vincolato al loro riconoscimento e alla revoca di quest’ultimo.1. L’autorità istituzionale

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Nelle società tradizionali una parte considerevole dei rapporti di autorità è istituzionalizzata. L’autorità è legata a determinate posizioni della scala sociale e sopravvive alle persone che di volta in volta le occupano. Chi cresce in una società tradizionale acquisisce familiarità con determinati rapporti di autorità.La prima fonte di autorità è la superiorità del divino sull’umano.L’agire etto ubbidisce alla volontà degli dei, il cui riconoscimento è decisivo ai fini della felicità e dell’infelicità.La volontà divina viene trasmessa attraverso una cognizione della salvezza che non è accessibile a tutti nello stesso modo. Chi è in possesso di una cognizione della salvezza può fare da mediatore a chi non la possiede.La funzione di mediazione si concentrava nella figura del vescovo in termini di divina auctoritas e il monopolio della cognizione della salvezza si affermò in stretta connessione con la legittimazione di una giustizia punitiva. La divina auctoritas includeva l’esigenza di un potere sanzionatorio inteso come cognizione della salvezza applicata.Il legame fra autorità e potere punitivo è sempre stato ovvio ed è servito come legittimazione del potere politico.Tale legittimazione basata sulla sacralità della funzione sacerdotale prosegue sin dal Sacro Romano Impero germanico fino alla fedeltà del re imposta da Dio.Un tipo di legittimazione analogo è stato trasferito alle posizioni di potere di grado inferiore.Una seconda fonte di autorità istituzionale è l’autorità generativa, l’auctoritas paterna.L’incomparabile superiorità dei genitori rispetto al figlio assomiglia al rapporto tra divinità e impotenza umana.Il bambino impara a percepire i genitori come mediatori rispetto alla realtà sociale e come rappresentanti delle prospettive e dei criteri che la rendono accessibile e dotata di senso.Anche l’autorità generativa è spesso trasferita a istanze politiche. Comune a tutti i vari trasferimenti di potere è che il topos del padre avvolge l’esercizio del potere politico con l’aura della cura paterna.Il potere politico si fa garante della continuità sociale.Oggi si stanno perdendo i concetti di trascendenza religiosa e trascendenza terrena. Il singolo non trascende più il senso della propria esistenza in qualcosa al di là della vita, ma deve cercare fonti di senso entro i confini della propria vita biologica.Il carattere naturale dell’esigenza di un’autorità istituzionale è minacciato se non dissolto.2. Le soggettività sociali Con il declino dell’autorità istituzionale possiamo lamentare una perdita generale di autorità? No. Al contrario permangono vecchie forme di autorità e ne nascono di nuove.Adesso assume grande importanza l’autorità personale, che comunque è sempre esistita. Si sviluppa a partire da rapporti personali.La distinzione tra autorità istituzionale e autorità personale ci permette di analizzare alcuni importanti fattori.Il bisogno di autorità non implica solo un da chi ma anche un in quanto a che cosa dobbiamo essere riconosciuti socialmente.È ovvio in quanto persone. Ma che tipo di persone?

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Il concetto di soggettività sociale richiama alla mente il legame fra «soggettività» e «socialità», fra il carattere «soggettivo» di ogni attore sociale e la dipendenza di questa soggettività.Alle soggettività sociali, ai loro bisogni corrisponde un’offerta sociale. In ogni società prendono forma modelli di comportamento legati all’accettazione sociale.Il singolo può rappresentarsi e appagare la propria soggettività sociale in quanto attore di tali modelli di comportamento, in quanto soggetto sociale ben determinato; il concetto più comune di soggetto sociale coincide con quello di ruolo sociale.La circostanza che la domanda di soggettività sociale e l’offerta di soggetti sono equilibrate dipende dal fatto che ogni società educa i propri figli in modo che sia così.Le soggettività non vengono comprese in nessun luogo e a nessun luogo si adattano.Una società può produrre un tipo dominante di soggettività sociale che non è in grado di trovare un modello di realizzazione in soggetti sociali, né in questa né in nessun’altra società.Abbiamo 5 tipi di soggettività sociale.Il primo tipo è il bisogno di essere riconosciuti come appartenenti a un gruppo. Qui lo scopo del riconoscimento è quello di essere come gli altri.Quella dell’appartenenza è una forma fondamentale dell’esperienza sociale.Attraverso questa esperienza tutte le società definiscono le differenze tra noi e gli altri.Il riconoscimento dell’appartenenza sociale non è mai scontato.Ogni unità sociale pone delle condizioni.Da chi ci si può aspettare il riconoscimento decisivo di un’appartenenza? In primo luogo, da autorità istituzionali, ma occasionalmente anche singoli individui possono conseguire un’autorità personale così grande da tenere in pugno la norma in base alla quale tutti i membri vengono valutati.La decisione dell’appartenenza sociale può anche venire da un «gruppo come totalità», tutti e ciascuno.Più il gruppo è omogeneo più efficacemente i membri di esso possono fungere da custodi dell’appartenenza.Le singole relazioni si chiudono in un circolo di autorità i cui ciascuno è prigioniero e carceriere al tempo stesso.Dove è operante l’autorità di gruppo, il controllo sociale è onnipresente.Il secondo tipo di soggettività sociale aspira al riconoscimento nell’ambito di un ruolo ascritto. I modelli di comportamento di un ruolo ascritto sono associati a caratteristiche determinabili fin dalla nascita cosicché l’autostima può essere subito socializzata in essi.Qui l’aspirazione al riconoscimento ha un livello di specificità maggiore. Chi è all’altezza di un ruolo ascritto vuole essere confermato nella sua posizione eguale e nella sua funzione sociale specifica.Anche questo tipo è universale. Quali rapporti di autorità si sono potuti costituire nelle nuove condizioni? Solo con l’agricoltura si sono avute una stabilità e una continuità sufficienti alla creazione di autorità istituzionali.Per chi cerca il riconoscimento i partner diventano punti decisivi.Il terzo tipo di soggettività sociale aspira al riconoscimento in un ruolo acquisito, professionale.

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Da una parte la bravura nell’assolvere a un compito. Ma a questo si aggiunge il successo nell’acquisirlo. Si è raggiunto qualcosa, si è «diventati» qualcosa a cui non si era predestinati dalla nascita.Di solito si suppone che successi come questi si basino su attitudini particolari. In questo modo si sviluppa una nuova forma di autostima.Nel tardo neolitico, questo terzo tipo presuppone l’inizio di una divisione del lavoro estesa a tutta la società.Fu questa la prima grande spinta alla differenziazione della storia della società: la separazione fra attività contadina e artigianale. Emerge la figura dello specialista.Da allora in tutte le nuove strutture sociali troviamo la disuguaglianza delle qualifiche personali.Nelle società urbane dell’età del bronzo abbiamo la separazione fra artigianato e commercio e quella tra attività manuale e intellettuale. Nascono le professioni amministrative e il modello gerarchico dell’acquisizione, la carriera.Gli amministratori possono «fare strada».La concorrenza diventa più varia.Chi assume un valore di riconoscimento decisivo? In un primo momento il sovrano, ma più tardi anche il modello professionalmente competente, il maestro. Quanto più una qualifica personale richiede riconoscimento, tanto più l’aspirazione ad esso si concentrerà sulle persone qualificate.Il quarto tipo di soggettività sociale si manifesta nell’essere riconosciuti in un ruolo pubblico. Tale ruolo esige una prestazione messa in scena per un pubblico: i sovrani manifestano la propria maestà pubblicamente.Ovunque vi siano moltitudini di individui pronti a osservare, c’è spazio per i ruoli pubblici.Storicamente, l’impulso all’emergere dei ruoli pubblici non proviene dalla divisione del lavoro, ma dal costituirsi di un milieu politico nel quale la richiesta di consenso e di partecipazione di molti produce qualcosa come l’opinione pubblica.Le forme di legittimazione del potere che ormai vengono messe in discussione, esigono di essere acclamate nel segno di una concorrenza sempre possibile.Da una parte il riconoscimento a cui l’attore dei ruoli pubblici aspira è legato alla sua personalità. La sua autostima dipenderà dalle conferme ricevute in termini di acclamazione. Gli individui di cui chi esercita una funzione pubblica cerca il riconoscimento spesso non sono per lui nient’altro che il substrato di stati d’animo collettivi.Inoltre il suo successo è in larga parte determinato dalla sua capacità di manipolare gli stati d’animo e le adesioni del pubblico. Sostanzialmente la situazione non è cambiata con l’avvento di nuovi tipi di pubblico. A un pubblico fisicamente presente ne è subentrato uno più vasto. Il quinto tipo di soggettività sociale si manifesta come aspirazione al riconoscimento sociale della propria individualità. Essa esige la conferma sociale di un’esistenza al singolare. La diversità rispetto agli altri deve ricevere una conferma da parte della società.Il confronto con il diverso ci rende consapevoli della nostra singolarità.Il concetto di individualità a noi familiare è essenzialmente un progetto di emancipazione borghese.La nuova soggettività sociale crea rapporti di autorità inediti.

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In primo luogo salta agli occhi che i tipi più recenti non soppiantano quelli precedenti. Oggi la pluralità delle soggettività sociali è diventata quasi naturale. Uomini e donne si aspettano di trovare appartenenze certe nella famiglia e nei vari circoli e leghe che promettono esperienze comunitarie.Infine si aspettano di riuscire a trasmettere e ricevere esperienze di senso dagli altri.Dunque si pretende moltissimo dalla società non viene richiesta solo una qualità di doti, ma anche la capacità di sostenere le differenti soggettività sociali l’una accanto all’altra e insieme alle altre. Di questa capacità fa parte l’abilità dell’attore moderno di bilanciare una complessa compagine di riflessioni su se stesso con le esigenze nei confronti della società.La seconda tendenza costante è l’individualizzazione della soggettività sociale. Ciò che deve essere riconosciuto sono qualità particolari. Io sono come nessun altro e voglio essere riconosciuto come qualcuno che è diverso da tutti gli altri.3. Il riconoscimento dell’individualità “Io sono come nessun altro”. L’orgoglio personale cerca una conferma sociale.Qui si dà per scontata l’ipotesi che esista qualcosa come l’individualità, ma non che noi possiamo raggiungere il sapere perfetto intorno all’individualità dell’altro.La pretesa di intuire le intenzioni degli altri è la negazione del carattere di essere-per-sé insito nel concetto di individualità.Essa può essere concepita come un divenire. L’idea di individualità fa riferimento a un fine, non rimanda alle caratteristiche particolari di una persona con l’esclusione di quelle comuni. l’accettazione dell’individualità può essere imperfetta, esitante, ma in generale imparziale. Noi chiediamo all’idea del riconoscimento dell’individualità tanto poco quanto ad altre idee regolativa.Come si può rappresentare l’individualità sociale in modo che sia visibile agli altri? I bisogni di riconoscimento di cui abbiamo parlato si incontravano con un’offerta sociale di modelli di comportamento corrispondenti e legati all’accettazione sociale.Lo stesso accadeva con il bisogno di determinate prestazioni. Sono gli stessi ruoli sociali a definire la fisionomia di tali prestazioni.La corrispondenza tra soggettività sociale e soggetto sociale è superata.La rappresentazione dell’individualità è possibile solo quando si creano degli spazi sottratti alle standardizzazioni sociali. Vi possono essere rappresentazione e riconoscimento di attori singolari solo se esiste la possibilità di dare vita a una forma sociale in un caso. Il riconoscimento dell’individualità risiede nell’autorità del prossimo.I processi caratteristici dei rapporti di autorità implicano che chi è alla ricerca di un riconoscimento si conformi al punto di vista e ai parametri di colui che giudica e che si adatti ad essi.Ma questa disponibilità non è in contraddizione con la pretesa di essere riconosciuti in quanto individualità? Si. Tale contraddizione può essere trasformata in una tensione sopportabile anche senza essere annullata.Ed è possibile nei rapporti tra pari. Da un processo di riconoscimento e di adattamento si può creare un rapporto di autorità di autorità basato sulla reciprocità.

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È solo con lo sviluppo della società borghese che l’esigenza di un riconoscimento dell’individualità diventa così naturale da essere in grado di determinare aspettative di vita normali e di tenere sotto controllo un vincolo istituzionale.Al vincolo istituzionale è associata l’aspettativa di una determinata esperienza individuale. La volontà di comprendersi e l’essere compresi diventano un’esigenza che definisce il significato del rapporto.Anche nei rapporti tra genitori e figli iniziano a farsi largo esigenze analoghe. Se nella prima infanzia si hanno vincoli di autorità unilaterali, uno dei cambiamenti più importanti di questi ultimi decenni è il tentativo di molti genitori di prendere sul serio l’individualità dei figli.L’emancipazione del figlio. Il figlio diviene soggetto del riconoscimento dell’individualità. Egli diviene per i genitori un’autorità.I gruppi in cui si sviluppano questo genere di rapporti si differenziano dalle comunità in cui il singolo cerca la certezza dell’appartenenza.I gruppi in questione sono più ottimisti: attraverso essi il singolo trova se stesso.I membri si aiutano a vicenda.I rapporti di autorità basati sulla reciprocità non sono immuni dal virus del potere. Se una delle persone coinvolte è meno legata al riconoscimento degli altri, essa può approfittare in ogni istante della propria maggiore indipendenza. Il più potente è ogni volta il meno vulnerabile.Ciascuno è legato agli altri nella misura in cui essi sono legati a lui.Nelle società tradizionali, le funzioni sacrali e generative di mediazione fra il qui e ora e il là e sempre sono parti costitutive degli elementi strutturali della società.L’interesse economico delle culture contadine per lo status di nascita, l’origine, l’età e il genere, la necessità di un consenso del pubblico al potere politico portano alla formazione di nuovi tipi di soggetti sociali.L’ultimo di questi tipi, l’aspirazione al riconoscimento dell’individualità, si delinea nel corso di lunghi processi di ampliamento delle esperienze sociali che sfociano nel movimento di emancipazione della borghesia.Poiché i tipi di soggettività sociale si accumulano, emerge una pluralità di bisogni di autorità. L’autostima si ritrova legata alle esperienze sociali attraverso un numero sempre maggiore di canali e diviene molteplice in se stessa.Il fatto che l’autorità sia legata a tendenze ugualitarie si oppone alla sua comprensione in termini di sovra ordinazione e subordinazione. L’autorità è una forma di superiorità che, quando diventa reciproca, può trasformarsi in un rapporto di tipo particolare.Capitolo sesto – L’AGIRE TECNICOIl termine «tecnica» indica qualcosa che l’uomo fa, a differenza di ciò che si è fatto senza il fare dell’uomo, è cresciuto senza il suo fare.Gli oggetti tecnici sono «artefatti», qualcosa fatto artificialmente e con abilità.Di conseguenza definiamo l’«agire tecnico» come un tipo particolare di agire umano.Come definire con precisione l’agire tecnico? In tre modi: impiegare, modificare, produrre.L’agire tecnico è finalizzato ad un impiego. Ciò che viene prodotto deve essere utilizzabile per altri scopi. L’agire tecnico modifica ciò che trova ed è un agire produttivo, un creare conosciuto.

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Queste tre attività sono di soggetti in riferimento ad oggetti. Il proposito di impiego porta con sé inevitabilmente alla questione dei diritti di proprietà, la modificazione porta con sé una forma di esercizio sociale del potere e la produzione porta con sé la diversificazione delle attività.Poiché gli uomini agiscono tecnicamente la loro convivenza è determinata dalla proprietà, dal potere e dalla divisione del lavoro.Come il potere è connesso ab ovo all’agire tecnico, così anche l’accrescimento del potere degli uomini su altri uomini è connesso al progresso tecnico.1. L’impiego e i diritti d’impiego L’oggetto prodotto deve avere un’utilità pratica. “Utilità pratica” però ha molti significati. Un trenino giocattolo è di utilità pratica?Chi produce o acquista un oggetto lo vuole usare. Utilizzabile è qualcosa con cui si può fare qualcos’altro.«Fare» ed «essere» sono soltanto dei poli. Per una distinzione molto generale tra oggetti «tecnici» e «simbolici» ciò può bastare. Gli oggetti tecnici sono semplicemente solo mezzi.La possibilità d’impiego per cui gli oggetti tecnici sono intesi è spesso impressa in essi come un determinato «per».La forma spesso rimanda a possibilità d’impiego che conosciamo.Gli oggetti tecnici sono mezzi della previdenza umana per l’esistenza.Su può delimitare in modo corrispondente l’uso specificamente umano degli utensili da quello animale. Anche una cosa soltanto trovata può essere usata per scacciare un nemico.Gli utensili nel vero senso sono strumenti ausiliari prodotti che servono a un impiego molteplice.Con questo viene indicato anche un certo livello di organizzazione. La produzione richiede un certo dispendio. Si prevede che si ripetano determinate situazioni e possibilità d’uso.Se il fatto che chi fabbrica voglia creare qualcosa di impiegabile a più lunga scadenza costituisce una caratteristica dell’agire tecnico, allora: impiegabile da chi, per chi? A chi appartiene il prodotto?Il sociologo definirà la proprietà come una somma di diritti d’impiego variabile culturalmente e storicamente.La proprietà implica sempre una norma di divieto per tutti gli altri.Chi ottiene i diritti d’impiego e chi no?Ci sono tre possibilità:

Primo caso: proprietario è il produttore dell’oggetto. Può usarlo per sé, barattarlo o venderlo. L’esclusione degli altri si giustifica con la loro non-partecipazione al processo di produzione.

Secondo caso: il produttore è membro di un gruppo in cui ciascun produttore ha trasferito a tutti i membri i diritti di impiego. In questo caso vige una reciprocità che non ha bisogno dell’atto di scambio. In quanto membro del gruppo, il produttore rimane partecipe dei diritti d’impiego.

Terzo caso: produzione e proprietà dell’oggetto prodotto sono in mani diverse. Allora o il produttore non è libero, oppure vende la propria forza-lavoro ed ha per questo rinunciato fin dal principio ai diritti d’impiego sui prodotti del suo lavoro.

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In generale vale la regola che tutti i beni scarsi sollevano il problema della proprietà, non solo gli oggetti tecnici, ma anche ad esempio le sorgenti, le risorse del sottosuolo. Gli oggetti tecnici sono di principio beni scarsi.2. Il potere di creare dati di fatto Gli uomini che costruiscono qualcosa modificano qualcos’altro che c’era già. L’agire tecnico significa anche cambiamento del mondo. La modificazione è spesso visibile. L’agire tecnico è qualcosa di imponderabile.Con la modificazione, l’uomo converte a sé la cosa. Questo convertire è al servizio della pura sopravvivenza, non è legato a un determinato livello di bisogno, è inerente ad ogni agire tecnico.Un topos oggi comune nella critica della civiltà è il lamento che nelle società industriali noi in verità incontriamo di nuovo noi stessi, cosicché ci confrontiamo con un ambiente costruito da noi stessi.Il progresso tecnico è da sempre anche un progresso nel processo di costruzione del mondo a misura d’uomo.Chi modifica la realtà, modifica le condizioni di vita per se stesso e per gli altri.Nella modificazione del mondo oggettivo stabiliamo dei «dati di fatto» a cui gli altri uomini sono esposti. Esercitiamo un potere che stabilisce dati di fatto, in cui l’effetto del detentore del potere sugli interessati è mediato dagli oggetti.Questo effetto può essere involontario, casuale. Il fatto che gli essere umani abbiano potere su altri dipende anche dalla capacità di modificare il mondo.3. Produzione organizzata e produzione consapevole La modificazione da parte dell’uomo di ciò che si dà e il renderlo impiegabile sono espressione di una particolare facoltà: la capacità di produrre.La parola greca techne indica la stessa cosa: una particolare capacità.Il produrre può essere insegnato e appreso. E come tutte le cose possono essere apprese, possono anche non riuscire.Questa abilità è anche passibile di diversificazione. Possiamo apprendere modalità produttive molto diverse e produrre artefatti molto diversi.Ma l’abilità produttiva è passibile di progresso. Noi possiamo accrescere sotto diversi aspetti l’efficienza della produzione di artefatti: varietà, quantità, qualità.L’uomo dispone di due talenti particolari: il talento dell’organizzazione dell’agire comune e il talento della comprensione della natura delle cose.Produzione organizzata: ciò non significa soltanto un modello di cooperazione preventivamente dato, ma un affiatamento variabile che può essere sempre nuovamente progettato e migliorato.I modelli fondamentali sono apparsi presto. Dapprima si verifica la coordinazione di attività simili. Essa può avere senso come pura somma di forze o anche come impiego comune della forza, dell’unione delle forze. Infine, la contemporaneità di attività simili può servire anche da compensazione di un rischio.Un livello sopra c’è coordinazione di attività diverse, come mera contiguità di prestazioni che si integrano. Essa viene già usata dai cacciatori del paleolitico. Gli uomini portavano la selvaggina cacciata mentre le donne i frutti raccolti. Con questo era avvenuta la scoperta della divisione sociale della complessiva.

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Il passo successivo è la coordinazione di attività diverse in un decorso lavorativo continuo, la divisione del lavoro processuale. in essa si realizza il prodotto voluto solo perché più individui fanno cose diverse cooperando.Tutte le società che conosciamo hanno scoperto le forme fondamentali dell’organizzazione del lavoro.Dal punto di vista antropologico la divisione sociale complessiva del lavoro si basa sulla già ricordata capacità di principio di diversificare i modi e gli oggetti del produrre umano. La divisione del lavoro processuale è resa possibile o comunque facilitata da una caratteristica dei movimenti volontari dell’uomo: la possibilità di suddividere il decorso dei nostri movimenti in piccole parti che sono disponibili indipendentemente.Techne, secondo Aristotele, non indica solo una capacità, ma anche una determinata specie di sapere, finalizzato al creare. Questo sapere è più di un mero accumulo di esperienze.Il produrre consapevole non conosce solo il che, ma anche il perché di determinati effetti.Un tale intervento discernente nella natura non è qualcosa di estraneo ad essa. Il tecnico porta a compimento i fini della natura come i fini superiori dell’uomo.In realtà questo sapere non raggiunge i più alti livelli del sapere, l’episteme.4. Tipologia dell’oggettivazione tecnica L’agire tecnico in quanto produrre conosciuto modifica le cose e le rende impiegabili per gli scopi umani. Questo intervento su ciò che esiste deve ora essere studiato anche dal punto di vista del suo risultato peculiare.L’artefatto che noi produciamo ci si para dinnanzi come un ob-jectum. Ciò che era in me mi sta di fronte come qualcosa di esteriore. L’agire tecnico appartiene al tipo dell’agire oggettivante. Esso dà forma alle intenzioni, alle capacità di chi agisce.Questo è diventato un concetto fondamentale dell’antropologia filosofica e della filosofia della storia.Che tipo di oggetti sono in realtà quelli che l’agire tecnico crea? Quali intenzioni divengono oggettive in essi?Le intenzione, le capacità e le rappresentazioni che divengono oggettive possono essere ricondotte ad una manciata di idee-guida?a) In molti oggetti tecnici diviene oggettiva l’idea dell’effetto indiretto. Molti artefatti non servono a nient’altro che alla produzione di altri artefatti. Tali mezzi di produzione possono essere utensili semplice o attrezzi composti.La produzione di artefatti di questo genere è una tipica azione indiretta.Con un coltello si possono smembrare molte pelli. Da ciò nasce l’idea di concentrare sul miglioramento dei mezzi di produzione la ricerca di miglioramento del prodotto desiderato. I mezzi di produzione diventano il tema centrale delle innovazioni tecniche.Il mondo tecnicizzato è anche un laboratorio per la produzione dei mezzi di produzione.b) Con l’aiuto dei mezzi di produzione noi produciamo innanzitutto oggetti che servono alla sopravvivenza, alimentari e vestiario. In entrambi i casi si mostrano in modo particolarmente chiaro due tendenze della previdenza tecnica per l’esistenza: l’affidamento dei bisogni e la crescente capacità di costruire delle scorte.La pura diffusione della tecnica è anche una diffusione degli oggetti tecnici di immagazzinamento.

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c) Nella casa si materializza l’alloggiamento che è proprio degli artefatti tecnici.Ciò non vale solo per i locali d’abitazione in senso stretto. Ogni spazio racchiude un proprio mondo.L’effetto del delimitare può essere rinforzato da oggetti accentranti. Negli alloggiamenti è tecnicamente riprodotta una struttura della convivenza. Si può anche vedere la stessa cosa in direzione opposta: il carattere di alloggiamento degli artefatti tecnici rimanda al fatto che la struttura della convivenza umana è determinata da delimitazioni includenti ed escludenti. d) Come le abitazioni creano zone circondate e fidate, così i mezzi di trasporto formano mezzi di collegamento che superano gli spazi aperti.L’uomo acquisisce un raggio d’azione artificiale. Può andare più lontano di dove potrebbero portarlo i piedi, può vedere e udire più lontano di dove giungono.Gli esseri umani si inseriscono in nuovi collegamenti. Diventano navigati.e) Infine la produzione di armi per l’esercizio della violenza fisica su altri uomini. La tecnica è sempre servita all’esercizio della violenza. Ciò che gli uomini creano serve anche come strumento di aggressione e di paura.Gli artefatti tecnici possono essere essenzialmente contenuti in queste cinque categorie. Nell’insieme si delinea una struttura chiara. Abbiamo infine due situazioni di tensione: la tensione tra le tecniche della vicinanza e della lontananza e la tensione tra i mezzi di produzione e di distruzione.5. Potere sociale e progresso tecnico Lo sviluppo storico dell’agire tecnico mostra una tendenza che in nessun altro ambito della vita si manifesta cos’ chiaramente: un progresso.Abbiamo progressivamente modificato il mondo secondo i nostri voleri. Abbiamo delineato forme d organizzazione sempre più efficienti.Così per le azioni umane sono cresciute nuove forze. Possiamo rendere utilizzabile per noi l’energia, possiamo trasformare la materia, e così via.Quasi ogni oggetto tecnico è una potenziale arma. Un’arma di solito migliore degli oggetti non lavorati. Con la produzione dei metalli inizia poi la fabbricazione speciale di armi da battaglia. La produzione di armi si allarga e contribuisce a determinare l’intero sviluppo tecnico.Il progresso tecnico significa anche crescita dell’efficienza degli strumenti tecnici di violenza.La legge di Hobbes afferma il principio che l’uomo è tanto più pericoloso per l’altro uomo quanto più le sue armi artificiali sono superiori ai suoi mezzi naturali di lotta, ai suoi pugni. Oggi la violenza prodotta tecnicamente è cresciuta così intensamente che qualsiasi riferimento alle forze fisiche ci deve sembrare irrilevante.La superiorità che si fonda sulla violenza delle armi può essere trasformata in situazioni durevoli di potere.Il perfezionamento degli strumenti tecnici viene in aiuto del perfezionamento dell’esercizio durevole del potere in molti campi.

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La crescita del potenziale di potere grazie agli strumenti tecnici significa l’una e l’altra cosa: l’immane crescita del male in un singolo atto di violenza, e strumenti aggiuntivi per il potenziamento di situazioni durature di potere.La modificazione tecnica del mondo oggettivo mette un numero spesso indeterminato di interessati di fronte a fatti compiuti che ridefiniscono il loro margine di decisione. C’è anche un agire tecnico che tocca poco o niente le condizioni di vita degli esseri umani. Ma in linea di principio ogni modificazione tecnica può diventare un esercizio del potere. Noi possiamo constatare il progresso tecnico retrospettivamente, ma non possiamo decidere in prospettiva quanto a lungo e quanto estesamente crescerà ancora l’efficienza dell’agire tecnico. L’agire tecnico sembra essere una facoltà è aperto allora anche la potenziale pericolosità dell’uomo per gli altri uomini è in linea di principio aperta.Diviene sempre più sicuro che il cardine di ogni controllo del potere nelle società moderne è il controllo dell’agire tecnico.Un controllo dell’agire tecnico non è pensabile senza cambiamenti difficili.Capitolo settimo – PROCESSI DI FORMAZIONE DEL POTERE“Niente appare più sorprendente a coloro che considerano le relazioni umane con occhio filosofico che la facilità con cui i molti sono governati dai pochi”. (Hume)Come accade che i pochi ottengano potere sui molti?I processi di potere di presa del potere si compiono spesso in un’ovvietà assurda. Ciò provoca mistificazioni e ideologizzazioni. Ma forse è possibile mostrare come e perché nei diversi stadi della formazione del potere agli attori della presa di potere tocchino possibilità specifiche, le quali però possono poi essere utilizzate come ovvie.Cercheremo di compiere un passo in questa direzione, con l’aiuto del metodo più semplice conosciuto: l’esposizione di esempi. Da questi esempi desumiamo determinati nessi che supponiamo avere un significato più universale. Significato universale: crediamo che questi nessi si ripresentino spesso nei processi di formazione del potere e che in essi possano essere svelate.Gli esempi sono scelti in modo tale che sbarrino il più possibile la strada a tre interpretazioni correnti dei processi di potere: l’interpretazione della formazione del potere come espressione di un consenso generale, l’interpretazione della formazione del potere come effetto di autorità di una persona e la pura sopraffazione che può essere ricondotta ad una superiorità precedente.Consenso, autorità, violenza superiore hanno bisogno di una spiegazione.Questi tre esempi offrono due vantaggi. In primo luogo si tratta di socializzazione accasermate, di processi di socializzazione in condizioni che non consentono agli interessati di separarsi facilmente.1. Passeggeri su una nave Primo esempio. Una nave incrocia nel Mediterraneo orientale andando di porto in porto. La maggior parte delle persone pernotta sul ponte. L’unico lusso e insieme gli unici requisiti della seguente trama sono alcune sedie a sdraio. Ce n’erano circa un terzo del numero dei passeggeri.Nei primi giorni queste sedie cambiarono sempre proprietario. Non appena uno si alzava, la sedia era libera. Un bene di consumo a disposizione in numero limitato non diventa scarso.Dopo la partenza da un porto in cui i passeggeri erano cambiati, quest’ordine crollò. I nuovi arrivati si erano presi le sedie e avanzavano una pretesa di possesso duraturo. Dichiaravano riservata anche una sedia a sdraio non occupata. Da sola questa autorità non basta. È stata necessario il

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comune dispendio dei compossessori. Le azioni intimidatorie erano così impressionanti che un conflitto tangibile non si verificò mai. Infine le sedie non occupate venivano piegate e servivano come muro di cinta.Dopo l’imposizione da parte di un gruppo di poteri esclusivi di usufrutto su un bene di consumo desiderato da tutti, l’insieme dei passeggeri prese la forma di una struttura: c’erano i possessori e i non possessori. La differenza tra i primi e i secondi sono i privilegi negativi dei secondi. Il gruppo privilegiato poteva usare questo bene a richiesta, cioè allo stesso modo in cui in precedenza avevano potuto fare tutti. L’aspetto invidiabile della situazione stava nel fatto che le sedie non appartenevano agli altri.Il passo successivo è il noleggio temporaneo ad alcuni non-possessori. Come controvalore entrano in gioco attività di servizio e qui di nuovo la presa di consegna della funzione del custode. Le delega della carica di custode ad alcuni non-possessori conduce anche ad un ulteriore arricchimento della struttura interna divisa in tre parti: possessori, guardiano e meri nullatenenti.Il processo si compie chiaramente contro la volontà della maggioranza; il risultato è per la maggioranza sfavorevole. La minoranza ha una possibilità di imporre il suo nuovo ordinamento. Ma in cosa consiste questa possibilità?Una prima riflessione mostra che per la minoranza una prova di forza manifesta, un conflitto sarebbe pericolosissimo. Non appena prende piede la tripartizione, con la formazione di una classe per le attività di servizio, non è già più sicuro chi in verità, nel caso di una prova di forza manifesta, sia in minoranza.(L’unione fa la forza).1.1. La superiore capacità di organizzazione dei privilegiati Non è necessario supporre che si trattasse di un gruppo solidale. Ad un determinato momento una serie di continui litigi deve aver messo in chiaro che sulla nave entravano in conflitto due idee contrapposte di ordinamento. Coloro che da un atto di «occupazione» già compiuto deducevano poteri di usufrutto durevolmente esclusivi pretendevano un vantaggio.Per il momento è ancora chiaro chi sia la maggioranza.Ma già ora è incerto quale peso abbiano i rapporti di maggioranza e minoranza. Se si confrontano i due gruppi abbiamo una differenza importante: i privilegiati hanno la possibilità di organizzarsi in fretta più efficacemente. Il loro interesse comune non è più intenso.Se desidero che una sedia a sdraio che provvisoriamente possiedo non sia occupata da altri in mia assenza posso solo pregare un’altra persona di custodirla per me. Qui quest’altra persona è un altro possessore. Ma il suo interesse è che può sperare che in una situazione uguale lo aiuterò.La cooperazione è necessaria: senza l’aiuto altrui non sono in grado di conservare un posto occupato che non posso occupare in continuazione. La cooperazione è naturale: i possessori hanno qualcosa da offrirsi a vicenda.La situazione dei non-possessori è molto più complicata. In sé la comunanza degli interessi sembra essere evidente. Ma adesso, che cosa succederà qualora un’azione comune avesse successo? L’aspettativa di far sloggiare i possessori non dà ancora al singolo la sicurezza di ottenere qualcosa per sé. La concordia sul fatto che l’ordinamento vigente si ingiusto non crea il consenso su quale nuovo ordinamento sarebbe giusto.

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La riconquista per una volta delle sedie a sdraio non basterebbe certo a far valere il principio, finché il gruppo avversario persiste nelle sue pretese. Esso potrebbe rioccupare le sedie.La situazione di conflitto diventerebbe manifesta ogni volta che i fautori del diritto d’uso fossero nella condizione di nullatenenti. “Libera concorrenza” significherebbe nient’altro che farsi sempre indurre nella condizione dell’aggressore e del disturbatore della quiete. Chi è contro l’”avere” non può concorrere con coloro che vogliono avere.Sulla nostra nave la riproduzione dell’antico ordinamento era improbabile, perché il tentativo sarebbe stato o senza speranza o troppo radicale. Ma se i nullatenenti incominciano a ribattere ai possessori con le loro stesse armi, allora si pone immediatamente e prevedibilmente il problema della redistribuzione.L’idea del non-possesso, del puro diritto d’uso, potrebbe aver perso nel frattempo la sua innocenza. Comunque per tutti non basta. Il primo successo separa gli attaccanti in gruppi con interessi almeno patentemente diversi. Questa difficoltà del resistere immediatamente dopo la prima presa di possesso è solo l’inizio di una catena di situazioni di conflitto simili. Il loro nocciolo è il fatto che gli attaccanti portano con sé nel conflitto anche il problema della distribuzione.Prima di legarci ad altri nullatenenti per un’azione comune noi ci chiediamo che cosa ne salti fuori per noi. La risposta è incerta. L’aiuto reciproco non assicura il successo individuale. La coesione non è premiata per il singolo.La solidarietà dipende dunque dal fatto che tutti i partecipanti si orientino alla fase successiva. La disponibilità all’organizzazione deve costituirsi non su un vantaggio momentaneo, ma su un obiettivo lontano. Po’ basarsi solo su una fiducia speculativa.Ma la formazione di tale fiducia è resa ancora più difficile da specifiche possibilità di manipolazione da parte dei privilegiati.Questi ostacoli sono sormontabili. Per raggiungere il piano della capacità di organizzazione, sono necessari impulsi più forti. La disponibilità all’azione richiede una sproporzione tra gli obiettivi e le speranze.Anche sulla nostra nave sarebbe stato necessario un dispendio interno ed esterno molto grande per rimuovere il nuovo ordinamento. Alla domanda di Hume, perché i pochi dominano sui molti, si risponde: ciò accade perché i pochi sono i possessori, e perché il possesso fornisce una capacità superiore di organizzazione.Ci sono anche processi controcorrente: ciò che chiamiamo oggi “democratizzazione” è il prodotto di una capacità di organizzazione eccezionale dello strato inferiore che è sorto nell’impeto dell’industrializzazione.1.2. La nascita della validità della legittimità dal principio di reciprocità La via per lo sviluppo ulteriore del potere dovrebbe essere tracciata: una parte della maggioranza privilegiata negativamente viene ridotta a una dipendenza diretta. Questa fase più avanzata sarà esaminata più da vicino: la generatio aequivoca della validità della legittimità.Un ordinamento raggiunge una validità della legittimità, secondo Weber, nella misura in cui viene riconosciuto come in sé vincolante; un riconoscimento di tipo fondamentale.Max Weber intende questa legittimazione in una linea sociale verticale: dal basso verso l’alto o viceversa. I dominatori pongono verso il basso una pretesa di legittimità, i dominati indirizzano verso l’alto una fede nella legittimità.

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Sulla nave si sviluppò un nuovo ordinamento che privilegiava un determinato gruppo. Per chi fu la prima volta legittimo questo ordinamento, come si formò in questo caso una validità della legittimità?Il riconoscimento si compiva secondo il principio di reciprocità, in un processo di scambio dei privilegiati: io non riconosco solo la mia pretesa, ma anche la pretesa dell’altro, che riconosce la mia. Poiché l’altro mi riconosce come io lo riconosco le nostre pretese sono fondate sul nostro diritto.La validità della legittimità si forma in questo caso in una linea sociale orizzontale: come una relazione tra uguali. È un processo che riguarda il gruppo di persone interessate alla legittimità.Questo processo interno non solo dà ai partecipanti una crescente sicurezza, ma ha anche un effetto diffusivo: la forza di suggestione del trovarsi d’accordo che agisce quando già il processo di riconoscimento diventa per gli altri visibile.Il vicendevole riconoscimento dei privilegiati aveva un carattere di esortazione militante. Ma anche qui il processo dell’ampliamento per fasi successive della legittimità diviene più chiaro se si tiene presente che la validità della legittimità compare davanti agli altri in una forma sviluppata.La validità della legittimità è sempre presente in una forma sviluppata.2. Un campo di prigionia Secondo esempio. Negli ultimi giorni della guerra si rinchiusero dei prigionieri in un improvvisato campo di prigionia. L’ammasso di prigionieri era stato messo insieme casualmente dai reparti più diversi. L’unica connessione stava nel fatto che non ci si poteva separare. Si sviluppò un certo cameratismo, ma indubbiamente favorito dal fatto che si dovrebbe. Bastava per frenare alcuni impulsi. In questo ammasso si formò un gruppo di quattro uomini che sviluppò una solidarietà molto insolita.Il possesso portato da ciascuno divenne proprietà comune, compresa la valuta del campo, le sigarette.I compiti furono divisi e specializzati. La prestazione più importante fu la costruzione di un fornello, su cui si poteva far bollire l’acqua e cuocere la zuppa cavandosela con poco combustibile.Oltre a ciò, il gruppo divenne il centro commerciale del campo di prigionia.Con lo sviluppo di queste prestazioni si formarono dei legami di dipendenza di altre presone.Dapprima gli estranei effettuavano solo determinati pagamenti che diventarono poi servizi.Il fatto decisivo fu che in questo campo i prigionia non venisse costruito un secondo fornello. Distinguiamo due fasi. Innanzitutto non si formò alcun gruppo che cooperasse in maniera sufficientemente stretta da riuscire a realizzare questa prestazione aggiuntiva. Gli altri semplicemente non mettevano così strettamente insieme i talenti, non rinunciavano così decisamente a vantaggi raggiungibili individualmente.in una seconda fase il gruppo aveva il controllo su numerose persone in attesa d’aiuto e sulle sanzioni. Ogni atto non amichevole divenne rischioso.

2.1. La superiorità produttiva dei nuclei di solidarietà In questo campo di prigionia nacquero numerose relazioni personali. Il gruppo che ci interessa si distingueva inizialmente solo perché il vincolo era molto stretto e si era realizzato precocemente.

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Una condizione può essere ipotizzata: in tale situazione di emergenza, in cui un comportamento inadeguato poteva essere rischioso, una solidarietà così straordinaria si realizza solo se vengono osate azioni rare e rischiose. Ciò che deve essere accaduto tra i 4 prigionieri potrebbe essere stata un’impresa rischiosa che semplicemente subordinava la reciprocità alla solidarietà. La fiducia veniva anticipata.Il gruppo realizzò prestazioni non comuni. Ciò presuppone una certa disposizione individuale alla prestazione. È sufficiente rendersi conto che con la creazione della solidarietà si presentarono numerose possibilità di accrescere la propria prestazione complessiva al di sopra della somma delle possibili prestazioni dei singoli. L’efficienza si era eo ipso migliorata. Le nuove possibilità emersero che emersero per il gruppo sono:

1. La base di tutto ciò che potremmo intendere con solidarietà sono l’aiutare e il dividere.2. Da queste forme può svilupparsi un agire collettivo. Ad una cosa si mette mano insieme.3. La somma di attività dello stesso tipo può essere sensata anche quando viene abbandonata

l’unità del tempo.Viene ottenuto un effetto particolare mediante la disposizione in successione temporale di attività dello stesso tipo.

4. Unità di luogo: può avere il senso di utilizzare diverse possibilità di ottenere rapidamente un successo sommabile.

5. Con l’agire sostitutivo può essere risparmiata della forza-lavoro e resa libera per altri scopi. Le possibilità di organizzazione menzionate si distinguono per il fatto di aver bisogno soltanto di un dispendio relativamente piccolo di coordinazione per diventare efficaci. Ma i grandi stratagemmi dell’organizzazione di gruppo iniziano solo con la composizione di attività di tipo diverso.

6. Già il mero lavorare a catena a un lavoro comune con divisione del lavoro occasionale risparmia per lo meno tempo: l’opera può essere completata più rapidamente. Qui comincia la divisione del lavoro, una suddivisone costruita consapevolmente di un compito comune pensato in azioni sostitutive.

7. Se si passa alla divisione del lavoro duratura, compare l’effetto di specializzazione, la routinizzazione di chi fa sempre la stessa cosa senza fatica e senza errori.

8. La concentrazione su un compito determinato rende più facile scoprire nuovi metodi di lavoro e di produzioni dei processi parziali.

9. La scomposizione in fasi semplici e la crescente visione d’insieme mostrano nuove possibilità di articolazione e di coordinazione del processo complessivo.

10. Intanto il nostro gruppo fa talmente più in fretta e meglio ciò che anche tutti gli altri fanno che la sua forza di lavoro è libera per nuovi compiti.

Se il nostro gruppo abbia o non abbia scoperto tutte queste possibilità di organizzazione è indifferente.I benefici di questo processo intensivo di socializzazione non sono solo di tipo esterno. La solidarietà pratica crea sicurezza.Ciò ancora non significava che il gruppo aveva potere sugli altri. Le relazioni di potere si svilupparono con la dipendenza degli estranei.2.2. Presa del potere e processo di scaglionamento

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Come si realizza il dislivello di dipendenza nel campo di prigionia? All’inizio di questo processo il gruppo ha raggiunto un vantaggio di produzione. Alla fine esso ha il potere di impedire che questo vantaggio di produzione venga rimontato. Nessuno mette in questione che il gruppo possa disporre in maniera esclusiva e duratura dei beni e degli impianti da lui prodotti.Impone alla fine un monopolio.Il gruppo può giocare specifiche chances in modo che il processo appaia ineluttabile.Il gruppo disponeva di beni scarsi. È chiaro che esso poteva utilizzare questi vantaggi economici per una serie di transazioni redditizie.Ma manipolazioni di questo tipo non avrebbero portato al risultato raggiunto. Esse non spiegano perché al gruppo riuscisse di imporre la legge del suo monopolio.Non bastava consolidare il vantaggio economico e produrre singole situazione di dipendenza. Il gruppo dovette dirigere la sua politica non solo su coloro che erano i contraenti, ma su tutti i potenziali interessati. Esso dovette cercare di impedire la formazione di contro coalizioni.Il mezzo per impedire le contro coalizioni è storicamente noto: la politica della divisione. La sua versione banale è il tentativo di mettere gli altri l’uno contro l’altro e di approfittare del loro contrasto. Ma la politica della divisone può anche essere connessa con lo stesso processo della presa di potere: come tentativo di graduare gli estranei rispetto alla loro relazione al centro di potere. La politica dello scaglionamento.Òa divisione nel primo senso presuppone che si siano già formati dei raggruppamenti di cui ci si possa servire l’uno contro l’altro. Il centro di potere non aveva altra risorsa che creare contemporaneamente i raggruppamenti e la loro divisione.Si può descrivere l’obiettivo strategico dello scaglionamento come tentativo di dar forma a tre gruppi parziali- due di questi gruppi possono essere interpretati come forme preliminari di certi strati sociali.Il primo è un gruppo parziale che si può definire come associato. I membri di esso sono dipendenti dal centro di potere.L’importanza di questo gruppo per il possesso globale della presa di potere dipende essenzialmente da quante e quali funzioni esecutive possano essergli cedute. Un passo decisivo viene compiuto quando esso è pronto e capace di volgersi contro altri su ordine del centro di potere.La posizione del capo è consolidata quando egli non deve più intervenire personalmente.Il gruppo può assumere le funzioni dell’”amplificatore” e del “parafulmine”.La creazione, conservazione e riduzione di un secondo scaglione, lo scaglione dei neutrali, dovrebbe essere stata la più difficile.La presa di potere deve lasciare da parte un pubblico.La neutralità deve essere resa il più possibile plausibile come privilegio di pace.Coloro che sono di volta in volta neutrali devono potersi sentire stimati, almeno finché rappresentano il resto.Per l’esito complessivo è decisivo che si riesca a formare questi gruppi di neutralità.Il terzo gruppo è quello dei sottoprivilegiati. Può essere creato con l’aiuto del gruppo di apparato; ma può anche nascere come primo gruppo e servire a mettere in moto il processo dello scaglionamento.

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La formazione di tale gruppo ha il vantaggio di poter contare sul consenso dei non interessati, di coloro che rimangono con la testa fuor d’acqua.Coloro che hanno potere erano nella situazione favorevole di eseguire la volonté générale nei confronti dei carcerati oppressi.La particolare abilità della presa di potere si mostra nel lasciar stare e nel decimare coloro che sono i non interessati, ossia quel gruppo che, se si costituisse come gruppo, sarebbe in una situazione favorevole per formare maggioranze più forti.Perciò la politica della pace è un elemento essenziale della presa di potere.Il potenziale di potere del gruppo era il suo poter disporre di beni scarsi e desiderati.L’estensione e l’accrescimento dei rapporti di dipendenza si basava sul fatto che l’accumulazione di beni potesse essere convertita in esercizio del potere sugli esseri imani.La strategia dello scaglionamento si basa sulla sfruttabilità e la manipolabilità di un deficit di socializzazione altrui.3. Un istituto di rieducazione Terzo esempio. La storia potrebbe provenire da un romanzo. In questo istituto era stata concessa una vita relativamente autonoma ad un gruppo di giovani tra i 14 e i 15 anni che dovevano essere risocializzati.Il gruppo era separato dalle restanti attività dell’istituto. Al momento che ci interessa (13 giovani) si era formato un centro di potere (4 giovani). C’era il capo. Un secondo gruppo di 3 giovani serviva da truppa ausiliaria. I restanti sei erano comandati.Per colazione ogni giovane aveva due fette di pane.Queste fette di pane potevano esser fatte sparire e infine pressate di notte sotto la coperta. Ciascuno dei sei giovani oppressi doveva consegnare una delle sue due fette di pane al centro di potere. Di queste sei fette il centro di potere ne tratteneva 5. I tre giovani ausiliari ricevevano la fetta rimanente come compenso. Con una soluzione come questa venivano divise le quote individuali di partecipazione ai lavori comuni, venivano educati talenti speciali per attività particolarmente sgradevoli. Se uno dei giovani oppressi protestava veniva punito.Questo ordinamento sociale può essersi realizzato per vie simili a quelle che abbiamo già osservato. Il gruppo degli spettatori è scomparso. Gli oppressi sono stati reclutati tra i nuovi arrivi.Dalla posizione particolare del capo non possiamo concludere che egli in qualche modo abbia costruito intorno a se stesso la struttura di potere. La gerarchizzazione interna del gruppo di vertice potrebbe essere stata solo una conseguenza del suo ampliamento di potere.Ogni ordinamento di potere deve essere visto come un sistema in cui il potere che ordina l’ordinamento si riforma sempre.3.1. La riproduzione del potere nel sistema della suddivisione Lo sfruttamento dei sei giovani è solo un aspetto negativo di un sistema della suddivisione.Il sistema della suddivisione funziona come da solo, raggiunge una sicurezza di funzionamento autonoma, sospesa in aria. La violenza si mostra ancora solo come misura di emergenza.Il centro di potere prende, trattiene e dà le fette di pane. Innanzitutto il trattenere: il centro può dare molto meno di quanto prende.

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Il prendere e il dare hanno però una grande importanza indipendentemente da questa possibilità di accumulazione di potere.Coloro a cui il vertice prende il pane non sono solo oggetti di un impiego di potere. Essi danno al vertice anche il mezzo di ottenere aiuti per la confisca. Coloro a cui il vertice dà il pane non solo ubbidiscono alla volontà del vertice, gli danno anche il mezzo per riscuotere il pane. Ubbidendo, ciascuno dei due gruppi si preoccupa nello stesso tempo che gli altri ubbidiscano.Nello stesso tempo entrambi i gruppi sottomessi vengono spinti in una situazione di interessi contrastante. Ciascuno esercita la medesima funzione: si reggono vicendevolmente nel sistema. Il centro di potere deve solamente convertire il potenziale di potere che gli viene portato.È chiaro che il centro può variare la pressione su ciascuno dei due gruppi.Le alterazione dell’equilibrio del sistema possono essere così bilanciate nei modi più diversi.La debolezza degli sfruttati consiste soprattutto nel fatto che ogni ulteriore passo verso l’inasprimento dello sfruttamento deve essere per loro tanto più terribile, quanto più la loro situazione si avvicina al minimo di sopravvivenza.In questo stato ogni decisione si potenzia.La debolezza della truppa ausiliaria sta nella sua intercambiabilità. L’aiuto è certamente indispensabile all’esercizio del potere ma non lo è la persona degli aiutanti.Il servizio viene premiato.La posizione degli ausiliari è favorevole solo nella relazione che il sistema di potere le impone.Ordinamenti di questo tipo assomigliano a macchine di potere la cui energia motrice è fornita dai dominanti stessi. Tali sistemi non possono più essere spezzati dall’interno. Saranno distrutti da un intervento esterno o da mutamenti dei loro fondamenti economici.I rapporti di maggioranza e minoranza diventano qui irrilevanti.3.2. Il valore d’ordine dell’ordinamento come legittimità di base È possibile che i sei giovani che consegnano il loro pane mattutino, eseguono i lavori più sgradevoli, e in caso di dubbio sono i colpevoli. Essi ubbidiscono e servono. Il risultato ci appare possibile perché lo conosciamo. Ma proprio per questo il processo stesso non è ancora chiaro. Il riconoscimento interno di un ordinamento di potere da parte degli oppressi e sottoprivilegiati è un ulteriore processo di potere, un processo di aumento della sicurezza e di approfondimento dei rapporti di potere. Quali possibilità di presa di potere entrano in gioco nel nostro istituto per rendere possibile questo processo?Il primo accenno del processo di legittimazione è il vicendevole riconoscimento dei privilegiati. Questo processo forma di scambio del riconoscimento fonda una sicurezza sociale che agisce in seguito con un effetto di suggestione anche verso l’esterno, sui non interessati. Può contribuire a costruire certe disposizioni di consenso e ubbidienza.Non siamo probabilmente in grado di renderci conto in modo approssimativo degli effetti che qui potrebbero aggiungersi, oltre che dei loro feed-back.Il sistema di potere del nostro gruppo all’interno dell’istituto verrà riconosciuto quando offrirà un ordinamento per un lungo periodo di tempo: quando la durata e l’ordinamento potranno acquisire un significato importante per la formazione della coscienza.Bisogna offrire sicurezza dell’ordinamento. Gli interessati sono sicuri dell’ordinamento quando hanno un sapere certo su ciò che essi e gli altri possono e devono fare; quando possono sviluppare

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la sicurezza che con qualche attendibilità tutti gli interessati si comportino anche nella realtà come da loro ci si aspetta; quando possono contare sul fatto che le trasgressioni siano di norma punite. La sicurezza di ordinamento può svilupparsi evidentemente anche in un regime dispotico.Nel nostro gruppo all’interno dell’istituto una tale sicurezza dell’ordinamento potrebbe indubbiamente imporsi.I rapporti vigenti acquisiscono per loro un valore d’ordine.Ma non appena questa certezza è raggiunta incominciano a investire interessi sull’ordinamento vigente.Fanno ciò che fa ogni pacifico cittadino per tenersi a galla: completa un’istruzione che gli dia determinate prospettive di lavoro.Le stesse cose cercherà di fare ogni membro del nostro gruppo: ad esempio, specializzarsi in un lavoro che gli vada bene.Per raggiungere tutto ciò sono necessarie piccolissime azioni quotidiane che stringono sempre più la rete dei vincoli con l’ordinamento vigente. Queste azioni non presuppongono assolutamente un’approvazione dell’ordinamento vigente, né un particolare opportunismo, ma soltanto quella conformità che è irrinunciabile per poter rinunciare all’eroismo.Così nasce un ulteriore valore d’ordine: il corrispettivo valore di investimento dell’ordinamento vigente, il valore del capitale investito che le azioni conformi degli interessati accumulano in questo ordinamento. Potrebbe essere decisivo il fatto che il proprio dispendio quotidiano si impiglia inevitabilmente nei rapporti di volta in volta vigenti. La nota reazione contro una minaccia effettiva dall’esterno potrebbe basarsi anche sul fatto che questa pretesa diviene evidente.Il valore d’ordine è un dato di fatto soggettivo che può avere un contenuto di realtà molto diverso.Il centro di potere deve rendere l’oppressione prevedibile nei suoi dettagli. In secondo luogo esso deve cercare di dare un certo valore anche agli investimenti dei privilegiati negativamente. Per di più le prestazioni corrispondenti non dipendono soltanto dalle decisioni del centro di potere, ma anche da rapporti esterni e da sviluppi economici. In terzo luogo al centro di potere deve riuscire di dare durata all’ordinamento vigente. Il guadagno più prezioso è il tempo guadagnato.Il riconoscimento del valore d’ordine dell’ordinamento caratterizza una situazione di coscienza che va oltre le parole di Weber sul concetto di conformità. Si può parlare di una legittimità di base, che può collegarsi con le diverse situazioni di mentalità che noi definiamo come “borghese” o “contadina”.4. Conclusioni Gli atti di esercizio del potere sono posti in tre connessioni distinguibili: in connessione con una superiore o inferiore capacità di organizzazione di determinati gruppi; in connessione con poteri di usufrutto esclusivo su beni più o meno scarsi; in connessione con processi di riconoscimento di nuovi ordinamenti.Con espressioni come capacità di organizzazione si possono indicare fenomeni molto diversi dell’organizzazione sociale. Ma dai nostri esempi dovrebbe risultare chiaro che cosa si intende.L’ulteriore sviluppo di questi atti da un comportamento spontaneo a uno ripetuto raggiunge un alto livello nel secondo esempio, nell’organizzazione del lavoro del gruppo di solidarietà. Nel primo

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esempio invece è sufficiente che i possessori si alternino nella sorveglianza delle sedie a sdraio e difendano all’occorrenza il loro possesso contro gli aggressori.Sono necessarie due prestazioni organizzative: l’alternanza come disposizione in sequenza temporale di attività dello stesso tipo e la difesa come azione collettiva.Nel terzo esempio non siamo entrati nel merito. Abbiamo soltanto ammesso in aggiunta una gerarchizzazione interna come possibile ripercussione dell’espansione di potere. Il deficit di organizzazione degli altri emerge nel primo esempio dall’effettiva divisione del possesso, poi viene manipolato nel secondo esempio nel processo di ampliamento del potere e sistematizzato nel terzo esempio nella struttura di potere consolidata. Sulla nave la pretesa di possesso è il tema del conflitto da cui si sviluppa una struttura di potere. Nel campo essa non viene problematizzata dagli interessati, nell’istituto riceve il carattere di un’espropriazione legalizzata. L’esempio non problematico del campo non è il più innocuo. Il possesso del fornello può essere interpretato come potere di usufrutto su mezzi di produzione.È ovvio che i vantaggi della capacità di organizzazione e i vantaggi del possesso che possono essere convertiti in potere si possono intendere come “mezzi di potere”. La migliore coesione dei possessori di sedie a sdraio è sufficiente a modificare il comportamento altrui nella direzione desiderata. Il possesso del fornello fornisce gli spiccioli per pagare il lavoro dipendente. Il potere così ottenuto è ritraduci bile in mezzi di potere per lo sviluppo dei vantaggi che mettono in moto il processo.Ciò che però negli esempi ci ha interessato erano le diverse connessioni tra i due stessi mezzi del potere.Il potere su altri esseri umani può essere governato a tal punto, che l’instaurarsi di vantaggi di possesso aumenta i vantaggi organizzativi e i vantaggi di possesso.Dopo di ciò viene la manipolabilità dei processi di riconoscimento che appartengono a coloro che non hanno bisogno di particolare assistenza.Le pretese e le accettazioni dei rapporti di potere ripetevano modelli fidati. Reazioni affettive erano da aspettarsi solo in stadi molto tardi del processo. Mancava una disponibilità all’opposizione come reazione appresa. Le tre prese di potere erano assurde.Capitolo ottavo – IL POTERE E IL DOMINIO: GRADI DI ISTITUZIONALIZZAZIONE DEL POTERE«Potere» (Macht) e «dominio» (Herrschaft) sono stati legati in vari modi. Si intende il dominio come potere istituzionalizzato. Max Weber faceva un esempio: una banca che a colui che richiede un credito pone delle condizioni di richiesta creditizia esercita potere quando colui che richiede il credito deve subire quelle condizioni; esercita dominio quando essa è in grado di imporre l’inserimento dei suoi direttori nel consiglio di amministrazione della società, in virtù del dovere di obbedienza a cui questa è tenuta.Quale tipo più puro di dominio viene indicato il potere del padre di famiglia o il potere di ufficio o il potere del principe. Weber ripete “potere di comando” e “dovere di obbedienza”. Come si potrebbe precisare ciò che egli intende?

1. Il processo di istituzionalizzazione

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Il “potere istituzionalizzato rimanda a un processo: il processo di istituzionalizzazione. In questo processo si coagulano tre tendenze. In primo luogo una crescente spersonalizzazione del rapporto di potere. Non avviene più che il potere stia con quella persona in particolare a cui spetta momentaneamente di dare ordini. Si collega in fasi successive con determinate funzioni e posizioni che possiedono un carattere sovra personale. In secondo luogo una crescente formalizzazione. L’esercizio del potere si orienta a regole, procedimenti, rituali.Un terzo carattere è la crescente integrazione dei rapporti di potere in un ordinamento onnicomprensivo. Il potere si addentella alle “condizioni vigenti”.Spersonalizzazione, formalizzazione, integrazione = innalzamento della stabilità.Il tipo particolare di incremento di potere che si verifica costituisce un rafforzamento. È relativamente difficile invertire processi di questo tipo.Un sinonimo di istituzionalizzazione è “consolidamento”. Il potere si stabilizza, assume forme salde.I processi di istituzionalizzazione del potere sono spesso collegati a processi che portano ad un altro tipo di incremento di potere. Gli accrescimenti di potere di altro tipo sono innanzitutto l’estensione del raggio d’azione, l’innalzamento del grado di validità della volontà del detentore di potere e infine il rafforzamento dell’intensità dell’effetto. Due varianti sono la forza di imposizione e la forza di innovazione.Negli anni 70 giovani famiglie stanche delle grandi città si trasferirono nel Midwest per una nuova vita, secondo ideali di libertà, uguaglianza, rispetto. Uno di essi, Friederick, possedeva un trattore che noleggiava in cambio di determinate prestazioni. Ciò difficilmente poteva essere fatto senza una divisione del lavoro nel suo complesso. Friederick prese in mano l’organizzazione e la completò con l’introduzione di alcuni lavori collettivi urgenti. Divennero inevitabili sanzioni. Egli stesso dovette essere assente ma sua moglie lo sostituiva. La comunità del villaggio si era straordinariamente ingrandita. La storia testimonia di accrescimenti di potere di differenti tipi.2. Il potere sporadico e il potere standardizzante Se intendiamo l’istituzionalizzazione come crescente spersonalizzazione, questo processo dovrebbe poter essere descritto secondo un modello di sviluppo per stadi.Come primo stadio o stadio preliminare assumiamo il potere sporadico. L’esercizio di tale potere è limitato ad un singolo caso o a pochi casi isolati. Per esempio il famoso bandito nella foresta oscura che ci punta la pistola al petto. Situazioni simili si verificano spesso nell’anonimato delle grandi città.Perché l’esercizio del potere si ferma così spesso a questo stadio di potere sporadico?Ci sono 4 condizioni:

1. Devono esserci degli strumenti di potere che siano duraturi.2. L’esercizio del potere deve connettersi a situazioni replicabili. Lo sfruttamento di una

singola situazione può essere fruttuoso.3. Chi esercita il potere deve imporre prestazioni ripetibili. Se colui che è assoggettato

conosce un solo segreto, l’utilità della sua disponibilità è subito esaurita.4. A chi esercita il potere deve riuscire di trattenere il più debole, di legarlo, e così via.

La mobilità di chi dipende dal potere è limitata quando egli è personalmente legato al detentore del potere.

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I contadini, i lavoratori sono esempio di un vincolo di interessa che incatena. La loro libertà di movimento è limitata in modo del tutto particolare dal loro legame con beni immobili. Li trattiene l’attività che svolgono per vivere.In qualunque modo venga trattenuto colui che è assoggettato, il detentore del potere deve poter utilizzare una qualche forza vincolante.Il potere può trovare i suoi limiti in ciascuna delle quattro condizioni citate.Il secondo stadio lo chiamiamo potere standardizzante. Il detentore di potere può non solo governare qua e là, ma anche standardizzare il comportamento di chi ne dipende. Questo accade quando sono assolte tutte e quattro le condizioni citate.Il detentore del potere può rafforzare delle richieste con l’aggiunta e la minaccia di strumenti di potere duraturi.In tal modo la disponibilità si è consolidata normativamente, indipendentemente dal fatto che il comportamento dovuto sia o non sia riconosciuto interiormente da coloro che si sottomettono. Il potere è edificato a tal punto che si può contare su prestazioni prevedibili. La disponibilità qui-ed-ora è divenuta una disponibilità sempre-nel caso che.I vantaggi sono notevoli. Si riduce il dispendio necessario per il controllo dei comportamenti.L’esercizio del potere diventa più economico. Il comportamento conforme diventa più utilizzabile. Ulteriori vantaggi sono la possibile routinizzazione mediante la ripetizione e la possibilità che prendano piede delle consuetudini.Il passaggio dal potere sporadico a quello standardizzante non significa che debba essere abbandonato ogni esercizio sporadico del potere. Ogni superiore crea e controlla norme di comportamento e prende decisioni sui singoli casi.Come si forma questo potere? Il detentore del potere può standardizzare comportamenti che poteva imporre solo occasionalmente. Spesso il potere standardizzante non si lascia edificare senza che il pretendente inventi attività atte alla standardizzazione.Ad esempio. In una società di giovani fannulloni non accade praticamente niente. Ci si incontra, si socializza. All’improvviso un ragazzo comincia a fare il gradasso. Che cosa deve fare questo ragazzo per diventare il capo? Deve creare comportamenti suscettibili di organizzazione. Egli inizia col proporre qualcosa con l’assegnazione di compiti particolari. Chi promuove tali attività le può anche organizzare. Da qui al riconoscimento del diritto di controllo e della forza delle sanzioni manca poco.Si possono pensare diverse vie per il potere standardizzante.Tuttavia, in che misura lo stadio del potere standardizzante è l’inizio di un processo di istituzionalizzazione del potere?Dalla spersonalizzazione si mostrano solo le prime tracce. Se ai comandi ad hoc subentrano le norme, chi detiene il potere non deve intervenire, ma può più proficuamente ritirarsi e delegare il suo potere. L’esercizio del potere acquisisce una sua routine.La formalizzazione dell’esercizio del potere nasce dall’interesse di chi lo detiene. Nelle situazioni in cui egli ha sancito norme per i dipendenti non può volere qualcosa di diverso.Il vincolare se stessi da parte dei superiori deve essere inteso come una tendenza.

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La tendenza alla formalizzazione e a vincolare se stessi può svilupparsi anche quando il più debole non dispone di alcun potere proprio. L’interesse proprio di chi ha potere a che prendano piede abitudini alla conformità può essere compatibile con un temibile arbitrio.Infine, col passaggio al potere standardizzante aumenta anche la possibilità dell’integrazione in ordinamenti sociali comprensivi.Il calcolabile può essere inserito in sistemi di calcolabilità già esistenti. Con un gruppo caotico non si può iniziare, stabilire niente.Molti gruppi non conformisti hanno una forte avversione non solo verso ogni specie di standardizzazione di potere, ma verso la standardizzazione delle loro relazioni.I processi che vanno nella direzione di un aumento di istituzionalizzazione del potere devono tendere ad incrementare la ripetibilità, la prevedibilità, la regolarità dei decorsi comportamentali.3. Come si posiziona il potere: il dominio Terzo stadio: dominio. Il potere standardizzante si sviluppa nel potere posizionale quando determinate funzioni del potere standardizzante si condensano in una posizione di potere sovra personale.Posizione di potere sovra personale: in una struttura sociale si è prodotta una determinata posizione, un nuovo valore della posizione. Ci sono predecessori e successori. Dai detentori di turno ci si aspetta l’esecuzione di determinate funzioni del potere standardizzante.La posizionalizzazione può essere descritta come un processo. Tipico della preoccupazione di posizionalizzare il potere è ad esempio il tentativo dei potenti di dare al loro potere un’aura sovra individuale mediante il vestiario, gli attributi, i rituali. Oppure sono tipici di tale preoccupazione tutti gli sforzi di designare un successore.Probabilmente è questa la forza motrice della posizionalizzazione del potere in generale: il desiderio di lasciare in eredità il potere.Il successo della posizionalizzazione si mostra nel fatto che ad un primo detentore fondatore del potere segue un secondo che assume le stesse funzioni.Max Weber ha descritto come la natura del potere effettivamente esercitato possa mutarsi nell’impaccio del problema della successione.I processi di formazione del dominio possono essere osservati ovunque e in modi diversi.Quando si è formato il dominio nel corso della storia sociale?Nei primi stadi dello sviluppo culturale spesso si trovano posizioni di potere di un genere determinato, che si possono riassumere in potere del patriarca, del giudice e del condottiero.Queste tre posizioni di potere sono in rapporto con i problemi costitutivi della socializzazione, con domande-chiave che si devono presentare in ogni società.In ogni società nasce il problema del mantenimento della continuità sociale nel susseguirsi delle generazioni e quindi anche quello della sua messa in pericolo. in ogni società nasce il problema della standardizzazione del comportamento sociale. Poiché ci sono sempre violazioni di norme che provocano o esprimono contrasti di interessi tra coloro che violano la norma e coloro che ne sono toccati, ogni società deve risolvere il compito di superare i conflitti sulle norme. Una risposta a questo problema è la posizione di potere del tipo di giudice. Ogni società può essere minacciata dall’esterno, vive cioè in una condizione di rischio più o meno immediato. Essa può reagire ai

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pericoli evitandoli. Ma non c’è una ricetta per impedire che si ponga il problema della sopraffazione. Quando possono essersi formate queste posizioni?È improbabile che ciò sia accaduto già nel paleolitico.Nel neolitico emerge una costellazione che sollecita l’inizio della formazione del dominio. Per motivi socio-ecologici dovettero notevolmente acuirsi le suddette domande-chiave.Il patriarca funge da mediatore della riconnessione dei vivi con i morti. Egli rappresenta la certezza di appartenenza.L’appartenenza significa anche un’appartenenza alla successione di discendenza.Il patriarca non è solo il simbolo di questa riconnessione. Egli conosce i riti e le regole secondo cui il clan ha sempre vissuto. Trasmette l’eredità degli antenati. La sua funzione è la tutela di ciò che avviene quale prosecuzione di ciò che fu.Non c’è dubbio che con l’inizio della stanzialità si siano formate unità sociali più grandi.La fatica del lavoro e il raccolto sono separati nel tempo. Il contadino deve saper aspettare.L’interessa alla continuità si congiunge anche col diritto alla terra coltivata. La terra che viene coltivata diventa qualcosa che si possiede.I predecessori e i discendenti formano le linee di successione dell’eredità. Ciò che si ha è essenzialmente qualcosa di tramandato.Non può essere dimostrato, ma è probabile che questo interesse dominante per la continuità fosse rinforzato mediante posizioni che lo rappresentavano simbolicamente.Il giudice è un conciliatore. Egli riduce il pericolo che le violazioni di norme portino a conflitti interminabili.Ci sono buoni motivi per supporre che in alcune società contadine neolitiche la formazione di posizioni di giudice fosse già progredita.Oltre alla terra e al bestiame c’erano diversi arnesi e molte scorte da conservare. Così si presentò la più banale e più diffusa delle violazioni di norme, il furto.Dove qualcosa viene tesaurizzato, qualcosa risulta anche mancare.È possibile che anche la legittimità dei figli svolgesse già un suo ruolo.Non si potevano più evitare i conflitti, si era bloccati e si doveva discuterne.Ugualmente grande era il bisogno di soluzione dei conflitti.Le posizioni di potere del tipo del giudice saranno sorte in connessione con funzioni sacre.Infine abbiamo il dominio del condottiero. La possibilità di acquisire potere personale è grande in ogni crisi collettiva.La concentrazione del potere su un singolo è chiara per vari motivi. A ciò si aggiungono la paura e il bisogno di fiducia, di quel solo uomo in cui si possa credere.Normalmente le società contadine sono pacifiche.Tuttavia sorse per la prima volta una costellazione in cui un gruppo umano doveva vivere nel rischio della sopraffazione armata.I contadini “hanno” qualcosa che deve essere conservato per prolungare l’esistenza. Ma questo accumulo di averi è una preda dei furti.Non si sono sempre difesi con la forza dagli assalti dei predoni.

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Un’altra esperienza fu il bisogno di guida nelle migrazioni alla ricerca di nuova terra. Tali migrazioni potevano essere provocate da sovrappopolazione. Il capo che ottiene molti successi in migrazioni che duravano anni deve aver fatto un’impressione straordinaria.Che accadesse nella difesa delle scorte o nella ricerca di una nuova terra, il salvatore del pericolo deve aver comunque dato un nuovo concetto della concentrazione di potere. È facile supporre che questo potere si consolidasse posizionalmente.Egli poteva conservare il suo potere. Il vincitore che ritorna, il principe della guerra, si stabilisce come principe della pace.4. Gli apparati di dominio e il dominio statale La svolta più importante nel processo di istituzionalizzazione del potere è la posizionalizzazione di funzioni normative in posizioni di potere sovra personali.Gli stadi ulteriori dell’istituzionalizzazione vanno intesi come compimento dell’edificazione di consolidamenti posizionali.Come quarto stadio si può porre la nascita di strutture del dominio che si formano attorno al potere di un signore.Attorno un veterano si può radunare in qualsiasi momento una cerchia di seguaci.Noi preferiamo parlare di seguito quando il vincolo nei confronti di un signore dura a lungo, cioè di norma quando esiste una possibilità di provvedere al seguace in maniera duratura.È evidente questi seguiti si formano in base a relazioni prestrutturate, all’interno di comunità di discendenza. Strutture posizionali del suddetto tipo sono sorte all’interno di gruppi gentilizi.I seguiti servono come strumento delle prese di potere di tipo radicale nascono con il concorso di uomini in condizioni di grande bisogno sociale.Gli sbandati, gli espulsi, quelli di troppo cercano un nuovo vincolo. Più c’è bisogno di vincoli, più c’è disponibilità all’organizzazione. Più la situazione è insolita, maggiore è la disponibilità ad impegnarsi in maniera insolita. Seguaci di questo tipo possono essere raccolti anche dal condottiero. Chi vi riesce ha in mano uno strumento di espansione del potere.La svolta decisiva per il quarto stadio è il consolidamento della divisione del lavoro all’interno di un seguito per dare luogo a strutture posizionali che diventano durature in quanto posizioni di potere che possono essere trasmesse. I funzionari del dominio divengono sostituibili, la funzione di dominio permane.In questo modo si sviluppano ulteriormente anche le tendenze alla spersonalizzazione alla formalizzazione, all’integrazione.Il signore e il suo funzionario possono governare nella gloria nello splendore personali. Ma la base del potere non è più legata alle persone. La titolarità di posizioni di potere diviene principio strutturale della divisione del potere basato sulla divisione del potere e della sua legittimazione. Le forme e le regole diventano un principio necessario di amministrazione.Che cosa sia o non sia valido può essere ampiamente misurato sulle condizioni di riproduzione dell’apparato di dominio. Con la formazione di apparati di dominio crescerà anche la validità e l’intensità degli effetti di potere.

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Senza l’assicurazione a lungo termine del sostentamento la posizionalizzazione non si può imporre. Ciò significa che la formazione di strutture posizionali del dominio presuppone il controllo della terra e di una popolazione che la coltiva.Il quarto stadio di istituzionalizzazione del potere è dunque connesso al dominio territoriale.Infine il quinto stadio: il dominio statale e la trasformazione del dominio in pratica quotidiana. La caratteristica della trasformazioni ne specificamente statale del dominio a Weber sembra che si trovi negli straordinari effetti di monopolizzazione.Ad una struttura posizionale centrale riesce di imporre pretese di monopolizzazione che si estendono a tutte e tre le classiche funzioni normativa: legislazione, giurisprudenza, esecuzione. L’imposizione di questi diritti esclusivi di decisione presupponeva e presuppone l’eliminazione dei poteri concorrenti. È un prodotto di un’esautorazione avvenuta con successo. La conseguenza è l’unificazione delle norme vigenti.Nessun centro può decidere di tutti i conflitti che scoppiano né può controllare ogni azione.L’effetto di monopolizzazione può essere frenato mediante un’istituzionalizzazione delle forze contrarie calcolata in sede di politica costituzionale.Rimane senza dubbio la quasi-onnipresenza delle agenzie delle istanze centrali e l’ovvietà con cui determinano il nostro agire. Questo è lo specifico incremento di istituzionalizzazione del potere che ci interessa in questo luogo, la trasformazione del dominio centralizzato in pratica quotidiana.Essa è accompagnata da una centralizzazione del rifornimento di beni della vita civilizzata.La trasformazione del dominio centralizzato in pratica quotidiana non significa necessariamente un aumento globale di conformità. La novità deve essere compresa con concetti come dominanza del diritto, orientamento delle istanze, e con la tensione tra esautorazione ed esenzione del singolo. In molte situazione della vita abbiamo perso il diritto dei prendere in mano il nostro problema, ma abbiamo anche ottenuto il diritto che altri ci sottraggono questo rischio.Con l’imposizione del dominio centralizzato nella vita quotidiana viene raggiunto un livello finale istituzionalizzazione del potere.