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1 Riassunto Se limperativo del periodo fordista e postfordista era lintegrazione verticale, con la transizione alleconomia digitale le imprese si stanno focalizzando su soluzioni di decostruzione delle proprie catene del valore. Lattenzione al core business permette alle singole imprese, in un ambiente sempre piø dinamico e alla continua ricerca di elementi innovativi, di creare maggiore profitto sulla base di quelle attivit in cui eccellono. Seguendo questo principio, vi L la possibilit di creare quel vantaggio competitivo che determiner il superamento della concorrenza, al fine di soddisfare al meglio gli attuali clienti e di conquistarne di nuovi. PoichØ la decostruzione, come si L precedentemente affermato, risulta essere una delle principali armi competitive per vincere le sfide del nuovo millennio, diventa fondamentale definirne con precisione significati e contorni di riferimento. La catena di creazione del valore che una volta era prerogativa di una singola impresa, attraverso una logica di accrescimento puramente sequenziale, si trasforma oggi in una rete diffusa che accomuna imprese partner differenti. I fornitori a monte e i clienti a valle possono sviluppare relazioni e rapporti ad hoc, grazie alla condivisione delle informazioni rilevanti al fine di integrarsi proficuamente. E da sottolineare che questultimo aspetto risulta essere notevolmente favorito dallutilizzo di sistemi di comunicazione basati su standard di riferimento comuni e condivisi. Per comprendere laffermazione della decostruzione come vantaggio competitivo, bisogna partire, come detto, dal cambiamento in atto nellambiente interno ed esterno alle industrie. Il principale fattore di mutamento pu identificarsi nellesplosione del fenomeno internet e, per ci che riguarda piø direttamente le imprese, nelle-commerce. Oltre a questi due fattori piø prettamente tecnologici, una posizione di rilievo L sicuramente rivestita dalla

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Riassunto Se l’imperativo del periodo fordista e postfordista era l’integrazione verticale, con la transizione all’economia digitale le imprese si stanno focalizzando su soluzioni di decostruzione delle proprie catene del valore. L’attenzione al core business permette alle singole imprese, in un ambiente sempre più dinamico e alla continua ricerca di elementi innovativi, di creare maggiore profitto sulla base di quelle attività in cui eccellono. Seguendo questo principio, vi è la possibilità di creare quel vantaggio competitivo che determinerà il superamento della concorrenza, al fine di soddisfare al meglio gli attuali clienti e di conquistarne di nuovi. Poiché la decostruzione, come si è precedentemente affermato, risulta essere una delle principali armi competitive per vincere le sfide del nuovo millennio, diventa fondamentale definirne con precisione significati e contorni di riferimento. La catena di creazione del valore che una volta era prerogativa di una singola impresa, attraverso una logica di accrescimento puramente sequenziale, si trasforma oggi in una rete diffusa che accomuna imprese partner differenti. I fornitori a monte e i clienti a valle possono sviluppare relazioni e rapporti ad hoc, grazie alla condivisione delle informazioni rilevanti al fine di integrarsi proficuamente. E’ da sottolineare che quest’ultimo aspetto risulta essere notevolmente favorito dall’utilizzo di sistemi di comunicazione basati su standard di riferimento comuni e condivisi. Per comprendere l’affermazione della decostruzione come vantaggio competitivo, bisogna partire, come detto, dal cambiamento in atto nell’ambiente interno ed esterno alle industrie. Il principale fattore di mutamento può identificarsi nell’esplosione del fenomeno internet e, per ciò che riguarda più direttamente le imprese, nell’e-commerce. Oltre a questi due fattori più prettamente tecnologici, una posizione di rilievo è sicuramente rivestita dalla

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teoria dei network organizzativi, come situazione intermedia tra gerarchia e mercato. L’introduzione di innovazioni è caratterizzata da una fase pionieristica, da una di diffusione, in cui viene raggiunta la massa critica (intesa come livello di diffusione che discrimina tra quantitativi non rilevanti e quantitativi rilevanti ai fini di un vantaggio di adozione), e da una di maturità. L’attuale fenomeno tecnologico di internet ha notevolmente ridotto il lasso di tempo necessario al raggiungimento del livello di massa critica. Osservando infatti le principali innovazioni tecnologiche relative all’età moderna, è immediatamente visibile l’accelerazione che ha subito la curva di diffusione. Mentre ad esempio, l’ondata tecnologica relativa all’elettricità si è completata in circa 50 anni, si prospetta che quella relativa alle reti digitali si completerà in meno di 30 anni. Il primo progetto di sviluppo di internet risale al 1968, anno in cui un gruppo di scienziati lavorò al progetto ARPANET per conto del Ministero della Difesa statunitense. Questa “internet primitiva” fu creata al fine di collegare i centri di calcolo di università e di uffici governativi diffusi sul territorio americano. L’uso di internet durante questo periodo era soprattutto appannaggio della comunità scientifica e dei ricercatori e, da sottolineare, risulta essere il fatto che per essere utilizzato necessitava di competenze informatiche possedute da pochi. Negli ultimi anni l’avvicinarsi alla rete è stato invece notevolmente favorito e semplificato dalla diffusione di interfacce grafiche maggiormente user-friendly e da sistemi di funzionamento meno complessi da utilizzare. Buona parte di tale miglioramento è da ascriversi all’avvento dello World Wide Web (WWW), che fornisce una connessione virtuale tra computer localizzati in parti differenti del globo. Il WWW utilizza interfacce che permettono di navigare in modo semplice ed intuitivo attraverso meccanismi di point-and-click. Ecco che la diretta conseguenza della diffusione del WWW ha permesso a chiunque possedesse un personal computer di accedere ai servizi della rete. Internet è un tipo particolare di rete, ma ne esistono altre che meritano di essere passate in rassegna in quanto necessari strumenti di network che spesso si

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integrano con internet stessa. Ci si riferisce in particolare a quelle reti private di computer che vanno sotto il nome di LAN (Local Area Network) e di WAN (Wide Area Network). Oltre alla diffusione della rete, un aspetto assolutamente fondamentale e determinante è da ricercarsi nell’aumento della potenza di calcolo degli elaboratori elettronici. Questo elemento è stato trattato da Gordon Moore, il quale ha dato origine alla nota Legge di Moore, affermante che “ogni 18 mesi il numero di transistor presenti in un microprocessore raddoppia, raddoppiando così la capacità elaborativa del computer”. Avere dei computer sufficientemente potenti si rivela essere un fattore determinante nello sfruttamento e nell’utilizzo dei dati interscambiati grazie all’estesa interconnessione oggi presente; una mancanza di tale presupposto minerebbe infatti l’efficacia stessa della rete. Al fine di fornire un’idea della dimensione quantitativa e geografica del fenomeno internet, alcuni significativi dati devono essere portati all’attenzione. A livello mondiale il numero di utenti che utilizzano internet sta aumentando sempre più e la tendenza è decisamente in forte espansione. Il punto di riferimento restano gli Stati Uniti, che vantano una percentuale del 55.8% della popolazione quale utilizzatrice di internet. L’Europa invece presenta una situazione disomogenea: se da una parte vi sono i paesi scandinavi che mostrano tassi di penetrazione paragonabili a quelli americani, dall’altra vi sono paesi, quali Grecia, Portogallo e Turchia, in cui il fenomeno internet è una realtà ancora poco importante. La collocazione dell’Italia in questo panorama è leggermente sotto la media europea, nonostante sia in forte espansione. Una peculiarità della nostra penisola è la netta disomogeneità geografica: mentre il Centro-Nord si attesta su livelli paragonabili a quelli medi europei, il Sud e le Isole appaiono notevolmente arretrate da questo punto di vista. Il secondo fattore di mutamento dell’ambiente di riferimento, da un punto di vista più applicativo e riferito alle realtà aziendali, è riconducibile all’espansione di quel sistema di vendita di prodotti e servizi che utilizza la rete come strumento di distribuzione/comunicazione, denominato e-commerce. Comunque, dare una

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definizione univoca di e-commerce non è cosa agevole, e diverse versioni della stessa sono state fornite. Da menzionare in quanto proveniente da una autorevole fonte (OECD), risulta essere la seguente: “Electronic commerce refers generally to all forms of transactions relating to commercial activities, including both organisations and individuals, that are based upon the processing and transmission of digitized data, including text, sound and visual images”. Gli attori principali coinvolti nelle transazioni via internet risultano essere tre: i consumatori (consumer), le imprese (business) e le amministrazioni pubbliche (government). A seconda delle possibili combinazioni tra i tre soggetti considerati, derivano nove differenti prospettive di commercio elettronico, ma le due di maggiore interesse risultano essere il business-to-consumer e il business-to-business. Il primo riguarda i rapporti commerciali che dall’impresa, attraverso la vendita di beni o servizi, vengono intrattenuti con il consumatore finale, mentre il secondo fa riferimento alle transazioni poste in essere tra imprese. I maggiori benefici offerti al consumatore finale nelle transazioni online sono riferibili alla vasta disponibilità di informazioni e alla possibilità di ricercare, e solitamente di trovare, l’offerta più vantaggiosa presente sul mercato. Egli può richiedere notizie di suo interesse e ricevere pubblicità e comunicazione mirate, ben aderenti al suo profilo di domanda. In tal modo l’offerta è personalizzata e la segmentazione del mercato spinta alla ricerca del marketing one-to-one (offerta “confezionata” ad hoc sul singolo). Uno dei grossi limiti che oggi affligge il business-to-consumer è rappresentato dalla scarsa conoscenza del comportamento e del processo decisionale del consumatore nel mercato virtuale, che si sta notevolmente differenziando da quello che viene intrapreso offline. Per quanto riguarda il business-to-business, l’e-commerce rende possibile un vasto spettro di applicazioni, le quali permettono alle imprese di formare “relazioni elettroniche” con i loro distributori, rivenditori, fornitori ed altri partner. L’applicazione più rilevante di questo tipo di transazioni è relativa al contesto di supply chain management, il quale comprende il coordinamento della

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generazione, accettazione ed esecuzione degli ordini, nonché la distribuzione di prodotti, servizi e informazioni. È da sottolineare, comunque, che l’e-commerce non riveste l’unico sfruttamento possibile di internet in ambito aziendale. Le imprese, ad esempio, possono utilizzare questo strumento per fare della formazione a distanza, per coordinare al meglio unità produttive disperse geograficamente, per sviluppare più efficientemente nuovi prodotti insieme ai partner, etc. Sebbene l’attenzione su entrambi i modelli risulti essere elevata, in quanto considerati i principali canali di intermediazione futura, si ritiene che, da un punto di vista quantitativo, il business-to-business rappresenterà il mercato di maggiori dimensioni. Infine, un ultimo fattore di mutamento del contesto di riferimento che riguarda più aspetti strategici che tecnologici, è rappresentato, come già affermato, dal sorgere dei network organizzativi. Poiché anche in questo caso non è possibile fornire una definizione universale del concetto, quella che maggiormente sembra adattarsi agli scopi della presente trattazione è la seguente: “Un network è una coalizione interdipendente di entità che opera senza controllo gerarchico ma che è impregnato di dense connessioni orizzontali, di mutualità e di reciprocità, in un sistema di valori condivisi che definisce i ruoli e le responsabilità dei membri” [Aschrol e Kotler, 1999]. Affinché si renda possibile la realizzazione di un network organizzativo, due tipi di scelte devono essere contemporaneamente intraprese: una scelta di differenziazione ed una di integrazione. La prima si riferisce alla suddivisione di un’organizzazione in ruoli, mansioni, gruppi di lavoro, e può avvenire secondo tre possibili direzioni: verticale (o gerarchica), orizzontale (o funzionale) e nello spazio (o geografica). La seconda, invece, riguarda il livello di coordinamento presente tra le unità organizzative che può esplicarsi inter- o intra- gruppo. I principali modelli di reti inter- o intra- organizzativi sono essenzialmente quattro e tutti hanno specificità e particolarità degne di nota. I network interni sono progettati al fine di ridurre la gerarchia e di aprire in maniera maggiore

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l’impresa verso l’esterno attraverso ridefinizioni dei ruoli tramite team interfunzionali strettamente connessi tra di loro. I network verticali creano partnership tra imprese specializzate in vari prodotti, tecnologie, servizi, con la presenza di un attore che monitora e gestisce le situazioni critiche affrontate dai partecipanti al network. I network orizzontali rappresentano accordi con imprese simili allo scopo di sviluppare o sfruttare nuove tecnologie o al fine di penetrare un differente segmento geografico. Infine vi sono i network diagonali formati da aziende che, con l’intento di formare nuovi mercati si prodigano per sfruttare proficue sinergie. Le competenze differenti dei partner rappresentano le basi su cui costituire alleanze. L’importanza dei network organizzativi può essere pienamente esplicitata considerando una sua particolare applicazione relativa alle relazioni logistiche di supply chain. In questo ambito, poiché i legami tra imprese sono molto complessi e strutturati, si affermano quattro tipologie di reti. I network strategici sono guidati, sotto l’aspetto strategico, da un’impresa di riferimento spesso rappresentata da un produttore o da un retailer posto vicino al cliente. Le imprese di più piccole dimensioni agiscono all’interno del network come satelliti di quella maggiore, ma intrattengono rapporti con imprese esterne alla rete stessa al fine di mantenere sufficiente autonomia e competitività. I network virtuali sono composti da imprese indipendenti che cooperano al fine di industrializzare un prodotto che richiede competenze complesse; ogni singola impresa è specializzata nello svolgimento di una determinata attività che, in sinergia con quelle svolte dalle altre, permette di raggiungere un’eccellente completezza di competenze. I network regionali sono invece costituiti da molteplici piccole imprese altamente specializzate e geograficamente prossime. Le relazioni che si instaurano non hanno valenze unicamente tecniche ed utilitaristiche ma spesso mostrano forti elementi di connotazione sociale, miranti alla condivisione delle informazioni e della conoscenza attraverso un’elevata fiducia. Infine, l’ultimo network logistico è rappresentato da quello operativo. Le imprese che lo compongono, attraverso transazioni semplici e standardizzate, possono avere

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accesso diretto alle risorse dei partner. Da sottolineare, per il prosieguo della trattazione, che l’integrazione è spesso ottenuta mediante sistemi informativi incentrati sulla standardizzazione. Dopo aver analizzato i cambiamenti ambientali in atto e prima di affrontare il tema della decostruzione, si necessita di delineare brevemente i fondamenti che sottostanno all’economia digitale. Valdani (2000) ne individua quattro: separazione tra economia fisica ed economia virtuale; superamento del trade-off tra ampiezza e profondità; interconnessione elettronica; internet come protocollo standard, aperto ed universale. Il flusso dei beni fisici e quello delle informazioni sono spesso stati interpretati come una sola entità: l’oggetto fisico è stato per molto tempo il miglior veicolo per trasportare le informazioni ad esso collegate. Come conseguenza di ciò, all’interno di un flusso logistico tradizionalmente inteso, l’attenzione è sempre stata incentrata sulla “materialità” che in quel momento veniva prodotta/trasferita relegando in secondo piano le informazioni correlate. Oggi, invece, grazie alle evoluzioni delle tecnologie informatiche è possibile ottenere una proficua e netta separazione tra i due flussi considerati: quello informativo, che determina il susseguirsi ed il compiersi ordinato delle fasi, e quello fisico, con il vero e proprio intervento manipolativo degli oggetti, in corrispondenza delle informazioni recepite. Come risultato finale vi è l’ottenimento di due separate catene del valore che, nonostante continuino a influenzarsi vicendevolmente, sono caratterizzate da regole competitive estremamente diverse e spesso incompatibili. Il superamento del tradizionale trade-off tra ampiezza e profondità è dunque possibile grazie alla non incorporazione delle informazioni nel mezzo fisico. Tale “compromesso” si basava sulla relazione inversa esistente tra l’ampiezza dell’audience raggiungibile e la profondità delle informazioni trasmissibili: all’aumentare dell’una si necessitava di una diminuzione dell’altra. Con la tecnologia oggi disponibile grazie alla diffusione di internet, il vincolo

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sopracitato viene notevolmente indebolito, con la conseguenza di rendere disponibili informazioni ad elevato contenuto specifico presso un pubblico ampio e variegato. L’interconnessione estesa è il terzo fondamento dell’economia digitale e si riferisce alla capillare diffusione di internet e al continuo aumento della larghezza di banda. Questo fenomeno è stato inoltre notevolmente favorito dalla diminuzione dei costi di accesso alla rete che si è verificata costantemente negli ultimi anni. Infine, la presenza di internet come protocollo standard, aperto ed universale sta permettendo la condivisione di informazione tra un numero sempre maggiore di utenti, aumentando inoltre l’utilità di utilizzo della rete attraverso il raggiungimento di una massa considerata critica. Avendo chiarito i contesti di riferimento e i presupposti sottostanti la decostruzione, si è ora in grado di fornirne una spiegazione più precisa e completa. Il fenomeno decostruttivo coinvolge tutti gli aspetti di business tradizionali, tra cui la composizione delle catene del valore e logistiche, le strutture organizzative e i rapporti con i consumatori. Nel momento in cui i vincoli di ampiezza e profondità vengono superati, non vi è più la necessità di accorpare nuove unità all’interno della propria struttura, ma diventa maggiormente vantaggioso ridurla al fine di massimizzare la creazione del valore in quelle fasi che definiscono il core business. Le forze che tengono insieme l’impresa vengono meno (i costi di transazione diminuiscono), disaggregandola per poi ricombinarla diversamente in nuove strutture di business. Tutto ciò grazie al supporto tecnologico che rende possibile virtualizzare le catene del valore al fine di integrarle più liberamente tra di loro. In un’economia non decostruita, il vantaggio competitivo di un’impresa è ottenuto come media dei vantaggi competitivi delle singole fasi della catena del valore. Il processo di decostruzione, invece, sgretolando tali catene, non permette più di competere su delle medie ma pone in risalto la competitività di ogni singola fase. Un’attività che non produce valore, invece che rallentare l’intera

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struttura, può essere ad esempio decostruita verso chi, all’esterno, riesce a svolgerla a costi minori. La nuova sfida decostruttiva può essere affrontata con l’utilizzo di due differenti strategie. La prima, di decostruzione interna (o verticale), si riferisce alla possibilità di orchestrare, piuttosto che possedere, le parti che compongono la catena del valore. Le attività precedentemente svolte internamente, vengono esternalizzate per potersi invece concentrare su quelle a maggior valore aggiunto o semplicemente per dedicarsi al coordinamento della catena di creazione del valore. La seconda, denominata esterna (o orizzontale), consiste nel governare al meglio una singola fase della catena, specializzandosi nello svolgimento di una specifica attività e raggiungendo una posizione di dominio che in seguito verrà difesa. Nel caso in cui un’impresa decida di perseguire contemporaneamente entrambe le strategie decostruttive, si configura ciò che può essere denominato network esteso (enhanched network). Le considerazioni finora avanzate, possono essere estese ai rapporti logistici che si instaurano tra fornitori e clienti. Il grande vantaggio strategico ottenibile da un soggetto, grazie all’utilizzo dell’interconnessione, è la possibilità di creare e sfruttare dagli standard comunicativi al fine di rompere la gerarchia informativa e dialogare con tutti coloro che concorrono alla formazione di una catena logistica. Il focus principale della presente trattazione, riguarda l’inserimento del concetto di standardizzazione delle informazioni all’interno di un ambito decostruttivo. Riteniamo infatti, che al giorno d’oggi, uno degli aspetti di maggiore criticità, sia rivestito dal coordinamento dei flussi informativi tra partner ottenuto mediante il ricorso a schemi comunicativi comuni. Si procederà quindi ad un’analisi dei principali approcci utilizzati per raggiungere tale scopo. Per fornire maggiore organicità all’esposizione, è stata sviluppata una matrice di classificazione attraverso la quale schematizzare il contributo offerto dai singoli standard. La matrice prevede due dimensioni: la natura della condivisione e la strategia decostruttiva perseguita. Circa la prima, si è deciso di suddividerla in tre diverse

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categorie, a seconda della profondità della comunicazione: dati, informazioni e conoscenza. Per quanto invece concerne la seconda, ci si è riferiti alle possibili strategie decostruttive precedentemente descritte: decostruzione interna (o verticale), decostruzione esterna (o orizzontale) ed enhanched network. Gli approcci alla standardizzazione sono stati suddivisi in due gruppi omogenei da un punto di vista delle intrinseche caratteristiche comunicative. Nel primo gruppo sono trattati strumenti definitori di linguaggi: l’xml, il Common Warehouse Metamodel (CWM), l’Open Buying on the Internet (OBI) e il Collaborative Planning, Forecasting and Replenishment (CPFR). Nel secondo, quelli che definiscono sintassi e semantica di riferimento: Universal Description, Discovery and Integration (UDDI), United Nations / Standard Product and Service Code (UN/SPSC) e RosettaNet. L’xml è il linguaggio che, più di tutti gli altri approcci, ha catalizzato l’attenzione su di sé. Sviluppato dal World Wide Web Consortium alla fine degli anni ‘90, si pone l’obiettivo di sostituire l’Hyper Text Markup Language (HTML) per la trasmissione di contenuti complessi attraverso internet. Quest’ultimo, infatti, presenta degli importanti limiti nella trasmissione del contenuto in quanto ottimizzato al fine di garantire una rappresentabilità grafica d’effetto. Se, quindi, l’html permette di definire l’aspetto di una pagina web, l’xml ne determina il contenuto. La facilità d’uso dell’xml deriva, in primo luogo, dalla sua struttura. Gli elementi che costituiscono il documento, sono descritti mediante “etichette”: in tal modo quando, ad esempio, nella pagina xml troviamo la stringa “2001 odissea nello spazio” l’etichetta che lo descrive sarà “libro”. Definendo tali “tag” (termine tecnico utilizzato per i marcatori) è così possibile dare maggiore completezza al contenuto del messaggio. Altra importante caratteristica dell’xml è quella di essere organizzato gerarchicamente: stabilendo infatti delle strette gerarchie tra le etichette è possibile strutturare più coerentemente il messaggio.

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Gli elementi che definiscono un messaggio xml sono, dunque, principalmente due: le etichette e la struttura gerarchica. Queste informazioni sono in genere contenute in una parte del messaggio chiamata Document Type Definition. Bisogna però puntualizzare il fatto che all’interno del DTD non è possibile specificare con esattezza il reale significato delle etichette, ma solo il loro nome ed il rapporto che le lega alle altre. Chi stabilisce i DTD sceglie, di solito, nomi corti e significativi dell’elemento a cui sono associati. Il concetto, però, che intuitivamente se ne deduce non necessariamente ricalca ciò che l’autore voleva esprimere; se, infatti, quest’ultimo avesse voluto utilizzare una sorta di codice privato o si stesse esprimendo in un’altra lingua, si potrebbe facilmente cadere in inganno circa il reale contenuto del messaggio. Riuscire a trovare un accordo circa la definizione delle etichette permette di ottimizzare l’efficacia della comunicazione eliminando i rischi di incomprensioni. Per questo motivo stanno sorgendo in tutto il mondo dei consorzi di standardizzazione che originano così dei nuovi linguaggi strutturati sull’xml: uno di questi è il MetalXml. Rispetto alla matrice d’analisi l’xml permette una efficace trasmissione di dati e, in parte, di informazioni, attraverso una comune base di riferimento stabilita nei DTD. Circa l’impatto decostruttivo, stimola sia la decostruzione interna che quella esterna. Come detto il MetalXml è un’applicazione del linguaggio xml ed è proposta da SteelScreen, portale europeo per la compravendita di acciaio ed alluminio. L’industria dell’acciaio necessita di uno standard di riferimento per lo scambio dei documenti, poiché ampie somme di denaro vengono spese per la gestione dei documenti amministrativi che MetalXml permette di ottimizzare. Un altro interessante approccio alla standardizzazione è il Common Warehouse Metamodel (CWM) proposto dall’Object Management Group. Ha per oggetto i metadata, definibili come dati che descrivono altri dati: le descrizioni degli elementi che definiscono i dati, il tipo di dato utilizzato, gli attributi associati ai dati, sono solo alcuni dei più comuni esempi di metadata. Poiché questi sono le strutture che permettono alle imprese di gestire efficacemente i dati per

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trasformarli in opportune informazioni, è subito chiara l’importanza di strumenti quali il CWM. Questo standard favorisce inoltre il processo di coordinamento e condivisione dei dati tra i complessi database delle grosse organizzazioni. Ciò diventa cruciale quando società come quelle bancarie sono coinvolte in importanti fusioni. Il CWM si suddivide, a sua volta, in due standard. Il primo definisce i metadata ed è composto da una serie di accordi circa la strutturazione delle data warehouse; il secondo stabilisce invece come i metadata debbano essere trasferiti tra le diverse applicazioni che necessitano di integrazione, ed è saldamente basato sull’xml. Dalle considerazioni fatte si può dedurre come il CWM serva soprattutto allo scambio di dati e, in parte, di informazioni. Per ciò che riguarda la seconda dimensione del modello d’analisi, questo standard favorisce soprattutto la decostruzione interna poiché si pone come obiettivo principale quello di fornire maggiore controllo sul flusso informativo interno. L’Open Buying on the Internet (OBI) è un progetto aperto e flessibile relativo a soluzioni di commercio elettronico business-to-business. È stato sviluppato tra il 1996 ed il 1997 dall’OBI Consortium per agevolare quelle transazioni ad alto volume e basso valore unitario che costituiscono circa l’80% degli acquisti di gran parte delle organizzazioni moderne. Negli ultimi anni il Reengineering e il Supply Chain Management hanno ridefinito i ruoli delle funzioni acquisti e vendita, soprattutto nelle imprese di dimensioni maggiori. Al fine di creare il maggiore valore possibile dal processo di acquisto e per semplificarlo, si è spesso percorsa la strada della riduzione del numero di fornitori: in questo modo si instaura una stretta e proficua collaborazione tra le parti. A tali fornitori, poi, viene chiesto di proporre cataloghi personalizzati per prodotti, servizi e prezzi. A ciò si aggiungono soluzioni elettroniche per l’acquisto, quali ad esempio interfacce studiate ad hoc per il singolo cliente. Costruire un rapporto di questo tipo basato su soluzioni di commercio elettronico altamente specializzate, ha portato all’ottenimento di

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grandi benefici, a fronte però di elevati costi di implementazione e di mantenimento. La varietà di soluzioni proprietarie proposte a tale scopo è talmente varia che da tempo è sorta la necessità di uno standard di riferimento che ne permetta l’interoperabilità. Lo scopo dell’OBI è proprio quello di garantire la possibilità a sistemi d’acquisto diversi di comunicare tra di loro. L’OBI è costituito a sua volta da due standard. Il primo definisce come i software d’acquisto e di vendita debbano dialogare tra di loro e di come debbano accedere a partner esterni (come, ad esempio, ad un istituto finanziario). Il secondo è volto alla standardizzazione del formato elettronico utilizzato per scambiarsi dati e informazioni. L’OBI risulta così essere un sistema ottimizzato per la trasmissione dei dati; favorisce inoltre processi di decostruzione esterna. L’ultimo strumento analizzato tra gli standard di definizione di un linguaggio di riferimento è il Collaborative Planning, Forecasting and Replenishment. (CPFR). È un approccio di gestione a disposizione delle imprese che ha lo scopo di ridurre i costi di magazzino e, allo stesso tempo, di incrementare la disponibilità dei prodotti lungo la supply chain. I partner che utilizzano questo standard condividono, attraverso l’uso di internet, consuntivi e stime circa le vendite. I sistemi CPFR analizzano questi dati e mettono in allerta i diversi soggetti circa le possibili situazioni di emergenza che possono verificarsi. Grazie a queste indicazioni è possibile avviare sessioni collaborative nelle quali definire le azioni da intraprendere per affrontare al meglio le probabili difficoltà. In merito alla matrice d’analisi, il CPFR permette una condivisione soprattutto della conoscenza ed una efficace decostruzione sia esterna che, in parte, interna. Il progetto UDDI (Universal Description, Discovery and Integration) è un’ambiziosa proposta finalizzata all’integrazione business-to-business proposta da Microsoft, Ariba e IBM. La sua finalità principale è quella di permettere alle imprese di trovarsi a vicenda e di capire come integrarsi nel migliore dei modi, al fine di avviare proficue collaborazioni.

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Oggigiorno riuscire a trovare il partner ideale per una transazione non è cosa facile. Lo strumento maggiormente utilizzato per trovare una possibile controparte è il motore di ricerca. Questo però spesso risulta essere un ulteriore ostacolo in quanto i risultati forniti sono nella maggior parte poco pertinenti. In tale contesto si inserisce UDDI, tecnicamente è composto da tre archivi. Nel primo, chiamato Pagine Bianche, le imprese inseriscono informazioni generali circa il nome, l’indirizzo, etc. . Il secondo, le Pagine Gialle, contiene invece le indicazioni circa i prodotti offerti (tre sono le principali tassonomie utilizzate per questa classificazione: NAICS, per definire il settore d’appartenenza; UN/SPSC, per la classificazione dei prodotti; GeoWeb per l’identificazione geografica). L’ultimo registro, le Pagine Verdi, ha un orientamento più tecnico dei precedenti: al suo interno le imprese descrivono il modo attraverso il quale interagire con loro (linguaggi di comunicazione utilizzati, tecnologia informatica adottata, etc.). L’utilità di UDDI è potenzialmente elevata poiché permette uno scambio rilevante di informazioni. Inoltre, per ciò che riguarda la decostruzione, favorisce sia fenomeni orizzontali che verticali. Nel 1999 The United Nations Development Programme e Dun & Bradstreet hanno introdotto il primo codice globale standard per prodotti e servizi che ne classifica più di 8000, l’UN/SPSC. L’importanza di questo standard deriva principalmente da due aspetti. Innanzitutto è stato concepito per classificare, per quanto possibile, la totalità delle categorie di prodotti e servizi oggi comunemente offerti. In secondo luogo l’approccio utilizzato è di tipo classificativo. Ciò significa che, a differenza dell’identificazione, il codice assegnato al prodotto è costituito da cifre che, con dettaglio crescente, ne stabiliscono prima la famiglia di appartenenza, poi la classe e quindi in dettaglio il prodotto. Tale strutturazione di tipo gerarchico si contrappone a quella di identificazione con cui ai prodotti viene associato un codice da cui non è possibile risalire con efficacia al tipo di prodotto stesso. Il più comune esempio di codice identificativo è quello UCC/EAN (i codici a barre).

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Il vantaggio dell’UN/SPSC è rappresentato dalle possibilità offerte nella ricerca dei prodotti. Questo codice, infatti, permette una prima e profonda selezione dei possibili partner. Non è certo esaustivo poiché in poche cifre non possono essere racchiuse tutte le informazioni in merito ai prodotti, ma consente, comunque, un notevole risparmio di tempo. In merito alla matrice di riferimento, bisogna dire che l’UN/SPSC consente una efficiente condivisione delle informazioni anche se limitate a poche caratteristiche dei prodotti. Esso ha comunque un forte impatto decostruttivo, sia per ciò che riguarda la decostruzione orizzontale che quella verticale. L’ultimo approccio studiato è RosettaNet. Questo consorzio, fondato nel 1998, è composto da imprese leader mondiali nei rispettivi settori, che ha lo scopo di creare ed implementare degli standard di processo per l’e-business. Rispetto agli altri strumenti analizzati, è sicuramente il più ampio: basandosi su standard efficaci già comunemente adottati (come l’xml) crea una struttura solida di supporto all’e-commerce. Gli standard che RosettaNet definisce sono tre. Innanzitutto stabilisce dei dizionari in modo tale da stabilire la semantica più opportuna. Gli Implementation Framework forniscono la grammatica su cui costruire il dialogo, che sarà oggetto della standardizzazione dell’ultimo e più importante elemento: i Partner Interface Processes, che si occupano di rendere i processi di business maggiormente omogenei. L’oggetto della condivisione resa possibile con RosettaNet riguarda sia informazioni che conoscenza, mentre dal punto di vista decostruttivo favorisce sia processi orizzontali che verticali, con una leggera preponderanza degli ultimi. In conclusione alla trattazione, si è deciso di analizzare un caso pratico che desse una conferma ed una esemplificazione di come gli strumenti descritti possano operare nel mondo reale del business. Il caso scelto è stato quello di Dell Corp., azienda leader mondiale nella produzione di personal computer.

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Dell è una società da sempre molto sensibile ai temi della decostruzione. Il suo modello di business, infatti, è costruito su quello che il suo fondatore (Michael Dell) chiama “virtual integration”. Tale concetto, equiparabile a quello di decostruzione, descrive il modo con cui Dell si rapporta ai propri partner: le relazioni sono costruite su di un intenso e reciproco flusso informativo che, in molti casi, rende non ben definiti e definibili i confini della società. Ad un più attento esame, si è potuto constatare che Dell è maggiormente decostruita a livello verticale piuttosto che a quello orizzontale: i rapporti intrattenuti con i fornitori sono infatti molto stretti, continui ed intensi, grazie all’utilizzo di sistemi informativi comuni; quelli invece coi clienti sono meno ampi poiché basati sull’interazione favorita da un’interfaccia web. Al fine di valorizzare la decostruzione esterna, Dell ha deciso di convertire i propri schemi comunicativi introducendo l’xml. Ad oggi le applicazioni pratiche degli approcci alla standardizzazione analizzati non hanno ancora portato a vantaggi competitivi consistenti, ma ciò è unicamente da ascriversi al non raggiungimento di una significativa massa critica. L’attenzione a questi argomenti è in ogni caso elevata, poiché è opinione diffusa che da questi dipenderà la creazione del vantaggio competitivo futuro.