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Reumatologia / In fase di studio sia nuove terapie farmacologiche, sia approcci di tipo multidisciplinare Fibromialgia: non bastano soltanto i farmaci Nell'ambito della reumatologia il dolore è un sintomo molto importante, che deve essere sempre tenuto in grande considerazione. Ne esistono diverse tipologie, a seconda delle cause scatenanti: c'è quello nocicettivo, periferico, che può derivare da un trauma o da malattie infiammatorie come l'artrite reumatoide o l'artrosi, oppure un dolore di tipo neuropatico che interessa le strutture del sistema nervoso centrale o periferico, o un dolore di tipo algo-disfunzionale 0 da sensibilizzazione centrale, come nel caso della fibromialgia, in cui il meccanismo che genera la sintomatologia dolorosa è legato a un'alterata soglia della percezione degli stessi stimoli periferici. Gli attuali trattamenti disponibili per la fibromialgia permettono solo parzialmente di controllare il dolore e gli altri sintomi associati. Pertanto la ricerca medica sta cercando di individuare nuove soluzioni farmacologiche e nonfarmacologiche, che consentiranno nei prossimi anni di arricchire l'armamentario terapeutico. «Quando trattiamo un tipo di dolore da sensibilizzazione centrale, non sempre 1 risultati risultano soddisfacenti. Questo implica che la ricerca deve proseguire per individuare nuove soluzioni terapeutiche. Quello della fibromialgia rappresenta, infatti, per noi reumatologi, un modello assai complesso nella gestione del dolore, perché riguarda il sistema nervoso centrale. È, quindi, più difficile da curare, meno responsivo ai trattamenti e, di conseguenza, più soggetto al rischio di prescrizioni inappropriate», dichiara il professor Pier Carlo Sarzi Puttini, direttore dell'Unità Operativa Complessa di Reumatologia presso l'Azienda Ospedaliera Polo Universitario L. Sacco di Milano. In alcuni casi, poi, ci troviamo di fronte alla coesistenza della fibromialgia con altre patologie reumatiche come, ad esempio, l'artrite reumatoide o l'artrosi della colonna, che generano un'amplificazione della percezione del dolore, richiedendo approcci terapeutici differenziati. Questo, infatti, comporta che per un tipo di malattia come l'artrosi, si dovrebbero prescrivere analgesici 0 antinfiammatori non steroidei ma, per la fibromialgia, andrebbero assunti farmaci che agiscono sulle vie centrali del dolore. «Attualmente per il trattamento della fibromialgia abbiamo a disposizione diverse soluzioni, che agiscono all'interno della "catena del dolore" sulla via serotoninergica o noradrenergica, che comprendono anche farmaci antidepressivi, anticonvulsivanti, oppioidi, che una volta usavamo con grande difficoltà e diffidenza, ma che ora abbiamo imparato a utilizzare al meglio», continua Sarzi Puttini. Le novità più interessanti attese nei prossimi anni per il trattamento della fibromialgia sono: TD-9855, farmaco sperimentale, inibitore della ricaptazione della noradrenalina e serotonina (NSRI), la cui penetrazione e maggiore selettività nel sistema nervoso centrale per i trasportatori della noradrenalina e della serotonina, è stata confermata in uno studio di Fase I e i cui risultati hanno mostrato una buona tollerabilità con un profilo farmacocinetico e una lunga emivita di circa 35 ore, permettendo un'unica somministrazione quotidiana. «Tra 1 farmaci anti-epilettici, grande attenzione è puntata sul mirogabalin (DS-5565), un potente antagonista della subunità 2-1 dei canali del calcio voltaggio-sensibili. I primi studi condotti nel dolore neuropatico diabetico e nella nevralgia posterpetica hanno dimostrato un'efficacia paragonabile a quella dei gabapentin e del pregabalin, ma a dosaggi inferiori. Ora sono in corso due trial clinici di Fase III per testare l'efficacia del mirogabalin anche nella fibromialgia», continua il professore. Tra i farmaci sperimentali, NMC1, una combinazione di un nucleoside anti-herpes virus e il celecoxib è risultato efficace nel ridurre il dolore e l'astenia in un trial clinico randomizzato, condotto su 143 pazienti affetti da fibromialgia. Infine, è in corso un trial clinico di Fase II per testare la sicurezza e l'efficacia della neurotropina, un estratto nonproteico isolato dalla cute infiammata di topi inoculati con il virus del vaccino. «Numerose ricerche, inoltre, sono in corso per cercare di identificare anche nuove strategie terapeutiche non-farmacologiche efficaci nel controllo dei disturbi della fibromialgia. Un recente studio ha dimostrato che la camera iperbarica può migliorare i sintomi e la qualità della vita dei pazienti, dimostrando che tale strumento può indurre una neuroplasticità e correggere in maniera significativa l'attività cerebrale anormale nelle aree del dolore dei pazienti. Alcuni filoni di ricerca si 05/02/2016 Pag. 88 N.2 - febbraio 2016 diffusione:112482 tiratura:185000 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 08/02/2016 52

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Reumatologia / In fase di studio sia nuove terapie farmacologiche, sia approcci di tipo multidisciplinare Fibromialgia: non bastano soltanto i farmaci Nell'ambito della reumatologia il dolore è un sintomo molto importante, che deve essere sempre tenuto in

grande considerazione. Ne esistono diverse tipologie, a seconda delle cause scatenanti: c'è quello

nocicettivo, periferico, che può derivare da un trauma o da malattie infiammatorie come l'artrite reumatoide

o l'artrosi, oppure un dolore di tipo neuropatico che interessa le strutture del sistema nervoso centrale o

periferico, o un dolore di tipo algo-disfunzionale 0 da sensibilizzazione centrale, come nel caso della

fibromialgia, in cui il meccanismo che genera la sintomatologia dolorosa è legato a un'alterata soglia della

percezione degli stessi stimoli periferici. Gli attuali trattamenti disponibili per la fibromialgia permettono solo

parzialmente di controllare il dolore e gli altri sintomi associati. Pertanto la ricerca medica sta cercando di

individuare nuove soluzioni farmacologiche e nonfarmacologiche, che consentiranno nei prossimi anni di

arricchire l'armamentario terapeutico. «Quando trattiamo un tipo di dolore da sensibilizzazione centrale,

non sempre 1 risultati risultano soddisfacenti. Questo implica che la ricerca deve proseguire per individuare

nuove soluzioni terapeutiche. Quello della fibromialgia rappresenta, infatti, per noi reumatologi, un modello

assai complesso nella gestione del dolore, perché riguarda il sistema nervoso centrale. È, quindi, più

difficile da curare, meno responsivo ai trattamenti e, di conseguenza, più soggetto al rischio di prescrizioni

inappropriate», dichiara il professor Pier Carlo Sarzi Puttini, direttore dell'Unità Operativa Complessa di

Reumatologia presso l'Azienda Ospedaliera Polo Universitario L. Sacco di Milano. In alcuni casi, poi, ci

troviamo di fronte alla coesistenza della fibromialgia con altre patologie reumatiche come, ad esempio,

l'artrite reumatoide o l'artrosi della colonna, che generano un'amplificazione della percezione del dolore,

richiedendo approcci terapeutici differenziati. Questo, infatti, comporta che per un tipo di malattia come

l'artrosi, si dovrebbero prescrivere analgesici 0 antinfiammatori non steroidei ma, per la fibromialgia,

andrebbero assunti farmaci che agiscono sulle vie centrali del dolore. «Attualmente per il trattamento della

fibromialgia abbiamo a disposizione diverse soluzioni, che agiscono all'interno della "catena del dolore"

sulla via serotoninergica o noradrenergica, che comprendono anche farmaci antidepressivi,

anticonvulsivanti, oppioidi, che una volta usavamo con grande difficoltà e diffidenza, ma che ora abbiamo

imparato a utilizzare al meglio», continua Sarzi Puttini. Le novità più interessanti attese nei prossimi anni

per il trattamento della fibromialgia sono: TD-9855, farmaco sperimentale, inibitore della ricaptazione della

noradrenalina e serotonina (NSRI), la cui penetrazione e maggiore selettività nel sistema nervoso centrale

per i trasportatori della noradrenalina e della serotonina, è stata confermata in uno studio di Fase I e i cui

risultati hanno mostrato una buona tollerabilità con un profilo farmacocinetico e una lunga emivita di circa

35 ore, permettendo un'unica somministrazione quotidiana. «Tra 1 farmaci anti-epilettici, grande attenzione

è puntata sul mirogabalin (DS-5565), un potente antagonista della subunità 2-1 dei canali del calcio

voltaggio-sensibili. I primi studi condotti nel dolore neuropatico diabetico e nella nevralgia posterpetica

hanno dimostrato un'efficacia paragonabile a quella dei gabapentin e del pregabalin, ma a dosaggi inferiori.

Ora sono in corso due trial clinici di Fase III per testare l'efficacia del mirogabalin anche nella fibromialgia»,

continua il professore. Tra i farmaci sperimentali, NMC1, una combinazione di un nucleoside anti-herpes

virus e il celecoxib è risultato efficace nel ridurre il dolore e l'astenia in un trial clinico randomizzato,

condotto su 143 pazienti affetti da fibromialgia. Infine, è in corso un trial clinico di Fase II per testare la

sicurezza e l'efficacia della neurotropina, un estratto nonproteico isolato dalla cute infiammata di topi

inoculati con il virus del vaccino. «Numerose ricerche, inoltre, sono in corso per cercare di identificare

anche nuove strategie terapeutiche non-farmacologiche efficaci nel controllo dei disturbi della fibromialgia.

Un recente studio ha dimostrato che la camera iperbarica può migliorare i sintomi e la qualità della vita dei

pazienti, dimostrando che tale strumento può indurre una neuroplasticità e correggere in maniera

significativa l'attività cerebrale anormale nelle aree del dolore dei pazienti. Alcuni filoni di ricerca si

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indirizzano verso approcci di tipo cognitivo-comportamentale, o di tipo psico-educazionale, per far

comprendere al paziente l'origine del proprio dolore, arrivando a gestirlo in autonomia, attraverso un

programma educazionale. Per questo motivo è opportuno affermare che il dolore sta diventando sempre

più un problema non solto farmacologico, ma multidisciplinare, per il quale devono essere attivate più

competenze, non soltanto del reumatologo, ma anche del medico che si occupa dell'apparato muscolo

scheletrico, delPalgologo, dello psichiatra, dello psicologo», conclude Sarzi Puttini.

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Terapie Una VITA senza DOLORE Ogni giorno milioni di italiani, in particolare donne e anziani, combattono con una forma di sofferenzacronica. Vietato rassegnarsi: gli strumenti normativi e farmacologici esistono e offrono la speranza di unfuturo migliore servizio di Simona Cortopassi L'unica cosa che si desidera è che W se ne vada. Al più presto. Perché il dolore cronico è uno stato I di

sofferenza che coinvolge totalmente l'individuo, dal punto di vista fisico ed emotivo. Chi ne soffre fatica a

compiere anche le più semplici attività, come fare una doccia o guidare. Ha difficoltà nei rapporti di coppia e

conseguenze psicologiche non trascurabili: spesso i pazienti vivono un senso di abbandono, sviluppando di

conseguenza depressione, sfiducia e malessere. Se eliminare completamente il dolore non è possibile,

l'obiettivo della medicina resta quello di ridurlo a dei limiti soggettivamente accettabili, che rendano

possibile il ritorno alla quotidianità. Ne abbiamo parlato con il professor Carmelo Scarpignato, docente di

Farmacologia Clinica presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell'Università di Parma.

Donne, le più colpite Bisogna distinguere tra due aspetti del dolore. C'è quello acuto, che è un segno di

malattia e rispecchia la presenza di una patologia. Quindi è un dolore "utile", che serve da segnale

d'allarme, gli deve essere attribuita la giusta importanza, ma rimane un sintomo tra gli altri. E poi c'è il

dolore cronico, che diventa la malattia in se stessa che condiziona l'intera esistenza dell'individuo, influenza

profondamente la qualità della sua vita e non è utile al fine di migliorare e caratterizzare una diagnosi. Si

stima che quasi 15 milioni di italiani combattano ogni giorno con una forma di sofferenza cronica.

Emicrania, fibromialgia, artrite reumatoide, artrosi, fuoco di Sant'Antonio e lombalgie sono solo alcune delle

forme riscontrate più comuni. Chi ne soffre? Anziani prima di tutto ma, indipendentemente dall'età, le donne

sono quelle che lo percepiscono in modo più intenso. Secondo quanto riferito da una recente indagine della

Stanford University, i soggetti femminili soffrirebbero circa il 20 per cento in più rispetto al genere maschile.

In questi casi, il dolore è più frequente e intenso, anche perché gli ormoni femminili (estrogeni)

incrementano la reattività del sistema nervoso e, di conseguenza, la trasmissione del sintomo doloroso. Il

tutto è aggravato dal fatto che queste sofferenze vengono sopportate a lungo dalle donne, anche per mesi

o anni, nella convinzione che il dolore vada accettato perché fa parte della vita, talvolta addirittura

sottovalutato dai medici che hanno poco tempo a disposizione per ascoltare o credere alle pazienti. L'aiuto

della legislazione Al dolore cronico, invece, non ci si deve rassegnare. E una malattia che si può e si deve

combattere, senza lasciare che diventi una sgradevole compagna di vita. Oggi esistono gli strumenti

normativi e terapeutici in grado di contrastare sofferenze inutili. «Tutti i pazienti con dolore moderato e

severo possono, con poche eccezioni, far ricorso agli oppioicontinua a pag. 96 segue da pag. 95 di»,

afferma il professor Carmelo Scarpignato, docente di Farmacologia Clinica presso il Dipartimento di

Medicina Clinica e Sperimentale dell'Università di Parma. Grazie alla Legge 38, infatti, è stato sancito per

tutti i cittadini italiani il diritto alla terapia del dolore e alle cure palliative. Questa normativa impone ai medici

di considerare il dolore come parametro vitale da monitorare e riportare obbligatoriamente nella cartella

clinica di ogni paziente, così come avviene per pressione arteriosa, battito cardiaco, temperatura e

frequenza respiratoria. E soprattutto impone di curarlo. La legislazione ha avuto, tra gli altri, il merito di

semplificare anche le modalità di prescrizione dei farmaci oppioidi, che l'Organizzazione Mondiale della

Sanità e le Linee Guida internazionali indicano come i più appropriati per il trattamento delle forme di dolore

moderato-severo. Stop agli allarmismi Efficaci e sicuri, gli oppiacei svolgono un ruolo terapeutico

insostituibile nella terapia del dolore, specie in quello cronico causato dal cancro. Malgrado ciò, l'impiego di

tali farmaci è ancora in Italia molto ostacolato. Questa situazione è stata più volte messa in luce, senza

però che ne sia stato trovato una soluzione. Quello che bisogna distinguere è l'impiego terapeutico di questi

farmaci, prescritto dal medico a scopo analgesico, dall'uso improprio in soggetti sani. L'abuso di un

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oppiaceo da parte di chi è dedito al consumo di droghe può generare dipendenza, ma lo stesso problema

può verificarsi con l'abuso di molti altri farmaci, come gli antidepressivi. «Secondo una ricerca recente, negli

USA l'abuso di oppioidi oscilla tra il 21 e il 29 per cento. In Italia mancano analisi adeguate, ma il fenomeno

è certamente molto meno frequente, con una prevalenza circa dell'I per cento. L'ente regolatorio

statunitense (FDA) ha dettato delle linee guida su come sviluppare formulazioni di oppioidi in grado di

limitarne l'abuso. Fra queste le formulazioni che, insieme al farmaco (agonista), contengano anche un

antagonista degli oppioidi, come ad esempio l'associazione oxicodone/naloxone, presentano il doppio

vantaggio di possedere delle proprietà "deterrenti" e di essere meglio tollerati. La formulazione a rilascio

ritardato di naloxone è infatti in grado di antagonizzare gli effetti periferici degli oppioidi (come stipsi e

nausea) senza interferire con quelli centrali (come l'analgesia)», aggiunge il professore. Di sicuro, nel

nostro Paese c'è ancora molto da fare per far entrare nella cultura del concetto e del trattamento del dolore

cronico, anche se è evidente a tutti i medici il ruolo invalidante che questo sintomo può avere sui pazienti,

dal punto di vista fisico e psicologico. Basta pensare alla paura e allo stress provati dai soggetti per la

continua minaccia del dolore. Le problematiche aperte sono varie, ma le soluzioni non mancano. Ecco

perché il medico di base dovrebbe svi gere il ruolo di informatore del pazien riguardo alle possibilità di

assisten: domiciliare e di cure palliative, ricc dando che gli oppioidi sono farmaci sic ri e soprattutto efficaci.

Questo per da speranze e aspettative di vita migliori chi per troppo tempo ha sofferto.

Foto: TRATTAMENTI EFFICACI Ci sono dei dolori che durano solo giorni, come quelli causati da traumi,

postumi di operazioni o malattie che si riacutizzano. Il dolore che più spaventa è quello cronico, che dura

per mesi o anni. Oggi la sua soppressione è possibile grazie a trattamenti farmacologici specifici.

Foto: servizio di Simona Cortopassi, con la consulenza del professor Carmelo Scarpignato, docente di

Farmacologia Clinica presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell'Università di Parma

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Terapie / 11 miliardi di costi diretti Un notevole impatto socio-economico Tra i primi Paesi europei per prevalenza del problema, in Italia il dolore cronico affligge 1 persona su 4,

interessando nel complesso circa 15 milioni di connazionali. Secondo dati recenti, la sofferenza impatta

ogni anno sul nostro Servizio Sanitario Nazionale con oltre 11 miliardi di costi diretti (farmaci, ricoveri,

diagnostica), ai quali si aggiungono 25 miliardi di costi indiretti (giornate lavorative perse, distacchi definitivi

dal lavoro), per un totale di 36 miliardi di spesa. Si è inoltre calcolato che il dolore cronico in questi ultimi

anni ha assorbito risorse destinate alla spesa sanitaria diretta, ma anche "bruciate" dalla perdita di

produttività dei pazienti. L'impegno delle istituzioni politiche e sanitarie, con il sostegno e il contributo delle

numerose associazioni italiane volte alla lotta contro il dolore, è stato finalizzato all'attuazione degli obiettivi

previsti dalla legge e a un attento monitoraggio delle conseguenze sociali ed economiche del dolore

cronico. Con l'aderenza alla terapia si guadagna in salute e si possono far risparmiare milioni di euro ai

sistemi sanitari europei.

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Terapie / L'ESPERTO RISPONDE La parola al professor Carmelo Scarpignato, docente di FarmacologClinica nella sede del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell'Università di Parma Medicinali oppioidi : come agiscono, qua! è la loro potenza analgesica eperché sonò considerati dei farmaci sicuri?* Gli oppiacei svolgono un ruolo terapeutico insostituibile nella terapia del dolore. Scopriamo in che modo

agiscono. Come si può curare il dolore cronico? «Contrariamente al dolore acuto, che è di breve durata e si

esaurisce quando cessa l'applicazione dello stimolo, quello cronico è un dolore che si prolunga per più di 6

mesi. È spesso un sintomo che diventa malattia. Anche se la causa del dolore viene rimossa, il dolore a

volte permane. Una corretta diagnosi (dolore nocicettivo o neuropatico) è essenziale prima di iniziare una

terapia a lungo termine. I FANS e il paracetamolo rappresentano il primo gradino della cosiddetta "scala

analgesica" dell'OMS. A parte i loro effetti indesiderati a livello del rene e dell'apparato gastrointestinale e

cardiovascolare, la loro efficacia nel dolore cronico è modesta. Utilizzati in maniera adeguata, gli oppioidi,

oltre a essere più efficaci, sono anche più maneggevoli». Come agiscono questi farmaci? «I farmaci

oppioidi agiscono a livello del sistema nervoso centrale innalzando la soglia percettiva del dolore e riducono

al tempo stesso la componente emotiva che accompagna ogni sindrome dolorosa. È stato recentemente

scoperto che gli oppiacei sono in grado non solo di alleviare il dolore, ma anche di cancellarne la memoria

dal midollo spinale. Una scoperta interessante, che aggiunge un tassello nella comprensione dei

meccanismi che si innescano nel caso del dolore cronico. La risposta ai farmaci oppioidi varia in rapporto

alle diverse sindromi e ai diversi tipi di dolore. Così nell'ambito del dolore nocicettivo, la risposta varia in

rapporto alla sede dei recettori coinvolti e in rapporto al movimento: il dolore viscerale (localizzato più

profondamente) e il dolore continuo, indipendente dal movimento rispondono bene agli oppioidi, mentre il

dolore somatico, quello incidente (presente al movimento) e il dolore infiammatorio necessitano di più alte

dosi di farmaco per essere dominati. Alcune forme di dolore neuropatico possono rispondere agli oppioidi.

Tuttavia, in presenza di lesioni delle vie o dei centri nervosi, il dolore è generalmente refrattario a questa

classe di farmaci». Ci sono dei pazienti a cui è sconsigliata la loro somministrazione? «Ci sono poche vere

controindicazioni, che possono essere assolute e quindi far ritenere sempre dannosa la somministrazione,

oppure relative, ovvero tali da rendere possibile la somministrazione di oppioidi sotto assoluta e stretta

sorveglianza medica. Una controindicazione assoluta è, ad esempio, l'ipersensibilità (peraltro molto rara)

verso questi farmaci. Gli oppioidi sono da usare con cautela in presenza di depressione respiratoria,

occlusione intestinale, asma bronchiale e broncopatia cronica ostruttiva. Non sono consigliati in gravidanza

e durante l'allattamento, nei soggetti ;he assumono particolari farmaci antidepressivi (i cosiddetti nibitori

delle monoaminossidasi) e negli alcolisti». ' medicinali oppioidi sono sicuri o, assumendoli, i pazienti

corrono '/ rischio di andare incontro a dipendenza? dolore possibile. L'uso improprio degli tppioidi può

condurre, con il passare del tempo, all'instaurarsi di :ambiamenti nel cervello, che interferiscono con le sue

normali unzioni e portano alla cosiddetta "dipendenza da oppioidi". Tale condizione, caratterizzata

dall'ansia provocata dall'intenso e insopprimibile desiderio di oppioidi ( craving ), dal dolore fisico e dal

disagio dovuto ai segni e sintomi da astinenza, è definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)

come una malattia mentale di lunga durata. La dipendenza è, di fatto, un evento molto raro, soprattutto nei

malati oncologici. La tossicodipendenza, che può verificarsi con qualunque farmaco, è caratterizzata

dall'incoercibile bisogno di far uso continuato di sostanze psicotrope nonostante i problemi di tossicità.

Qualunque classe di farmaci (lassativi, ansiolitici, eccetera) può generare una dipendenza psicologica,

specialmente nei soggetti che li usano senza una reale necessità. L'Italia è uno dei Paesi industrializzati in

cui gli oppioidi sono meno utilizzati, soprattutto a causa del persistere di alcuni pregiudizi infondati. È bene,

quindi, sottolineare che, quando utilizzati correttamente a scopo terapeutico per la terapia del dolore, questi

farmaci generano molto raramente dipendenza. Uno studio ha dimostrato un'incidenza di dipendenza dello

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0,03 per cento (4/11.482) in pazienti senza precedente abuso di oppioidi».

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Terapie / Conseguenze psicologiche non trascurabili L'incidenza sulla vita di ogni giorno Quando si parla di dolore si affronta uno dei principali problemi sanitari dei nostri giorni a livello mondiale,

sia per l'invecchiamento della popolazione, sia per l'aumento delle patologie cronicodegenerative. Tra

queste ultime, i disturbi osteoarticolari (per esempio il mal di schiena) sono oggi riconosciuti come le cause

principali di dolore cronico non oncologico in Italia. Artrosi e osteoartrosi affliggono 4 milioni di connazionali

e sono all'origine di una sofferenza cronica non neoplastica nel 67 per cento dei casi, con un pesante

impatto sulla vita quotidiana dei pazienti, laddove questa sofferenza non venga adeguatamente curata.

Secondo l'indagine The Painful Truth Survey: the State of Pain Management in Europe svolgere lavori

domestici risulta difficoltoso per il 58 per cento dei pazienti, guidare per il 45 per cento e arriva al 64 per

cento la percentuale degli intervistati che attribuiscono al dolore cronico difficoltà nei rapporti di coppia.

Anche le conseguenze psicologiche non sono trascurabili: spesso i pazienti che soffrono di dolore cronico

vivono un senso di abbandono e una sensazione di perdere il proprio ruolo all'interno della famiglia,

sviluppando depressione e generale malessere.

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FVG. Definite le Reti per le cure palliative e la terapia dolore Il documento è stato elaborato da un gruppo tecnico costituito da professionisti del servizio sanitarioregionale e condiviso dai direttori sanitari. Stabilisce i requisiti minimi e le modalità organizzative perl'accreditamento delle strutture di assistenza, sui prodili delle figure professionali coinvolte e sulle strutturecompetenti. 05 FEB - Via libera dalla Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia al documento "La rete per le cure

palliative e la rete per la terapia del dolore della Regione Friuli Venezia Giulia", proposto dall'assessore alla

Salute e integrazione socio-sanitaria Maria Sandra Telesca e approvato contestualmente al recepimento

dei due accordi e dell'intesa stipulati sulla materia tra Governo, Regioni e Province autonome. A darne

notizia è la Giunta in una nota in cui si spiega che il documento stabilisce le caratteristiche della rete

regionale e delle reti locali delle cure palliative e della terapia del dolore, il modello organizzativo e i requisiti

delle reti locali, le modalità di presa in carico dalla rete locale delle cure palliative e i criteri di accesso ai

nodi della rete della terapia del dolore. Vengono inoltre definite la formazione del personale sulla materia e

gli indicatori per il monitoraggio del funzionamento e dello sviluppo delle reti locali. "Il documento - riferisce

la nota - è stato elaborato da un gruppo tecnico costituito da professionisti del servizio sanitario regionale e

condiviso lo scorso 3 dicembre dai direttori sanitari, ed è coerente con l'accordo tra governo, Regioni e

Province autonome del 16 dicembre 2010, seguito dall'intesa del 25 luglio 2012 e da un successivo

accordo del 10 luglio 2014 in cui si sono via via indicate, in chiave di armonizzazione nazionale, le linee

guida sulla materia, i requisiti minimi e le modalità organizzative per l'accreditamento delle strutture di

assistenza rivolte ai malati terminali e delle unità di cure palliative e terapia del dolore e, da ultimo, le figure

professionali e le strutture competenti". La delibera approvata oggi dalla Giunta regionale dà mandato alla

direzione regionale centrale Salute di costituire il coordinamento regionale per le cure palliative e la terapia

del dolore, nel quale sarà presente una rappresentanza delle figure professionali coinvolte.

05/02/2016 08:07Sito Web IlFarmacistaOnline.it

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 08/02/2016 60

FOCUS Le misure per un corretto uso della sostanza evitando utilizzi inappropriati Quando la Cannabis combatte il dolore Le profonde differenze che ci sono rispetto all'uso per così dire "ricr eativo" di FRANCESCO AMATO* Cannabis per uso terapeutico LA Cannabis sativa ha una lunga storia come

analgesico. Prove dell'utilizzo della cannabis si hanno fin dai tempi del Neolitico, testimoniate dal

ritrovamento di alcuni semi fossilizzati in una grotta in Romania. Nei secoli successivi fu utilizzata in

svariate condizioni dolorose, come nel dolore da parto, negli spasmi dolorosi, nelle nevralgie e

nell'emicrania. Come si spiegano le loro proprietà farmacologiche? Le azioni farmacologiche sono legate ai

rispettivi recettori specifici nel SNC, similmente agli oppiacei e alle benzodiazepine. I recettori dei

cannabinoidi (CB1) sono localizzati in specifiche regioni del SNC: l'ippocampo, le aree corticali coinvolte

nella memoria e nell'apprendimento, i gangli basali ed il cervelletto (controllo della coordinazione e del

bilanciamento). L' analgesia mediata dai recettori CB1attiva ,inoltre, le vie discendenti noradrenergiche con

la stimolazione di oppioidi endogeni. Esistono poi recettori periferici, denominati CB2, che sembra giochino

un ruolo nella modulazione della risposta immunitaria e dell'infiammazione. E' stata evidenziata una

possibile interazione dei cannabinoidianche conirecettori vanilloidi TRPV1 (capsaicina) deputati alla

sensibilità termodolorifica ed alla capacità di trasformare gli impulsi dolorosi in stimoli elettrici per i centri

superiori. Principi Attivi Per prima cosa è necessario far chiarezza: c'è una grossa differenza tra i principi

attivi impiegati a scopo terapeutico, e quelli impiegati per uso "ricreativo". Sono due i principi attivi della

cannabis presi in causa: il THC (delta 9-tetraidrocannabinolo), che se abusato provocaeffetti psicotropi, ma

se è dosato correttamente porta sollievo a diversi disturbi e il cannabidiolo, il quale non causa psicotropia,

dispone di rilevanti proprietà farmacologiche e antinfiammatorie, e che secondo dati clinici e sperimentali

non produce rilevanti effetti collaterali. Entrambi i principi vengono quindi usati nelle terapie che

coinvolgono la cannabis, ma il dosaggio del THC è calibrato in modo che gli effetti psicotropi vengano

controllati dal cannabidiolo conferendone maggiore tollerabilità. Il THC infatti è efficacemente impiegato da

diversi anni contro la nausea (come anti- emetico) e per stimolare l'appetito in pazienti che soffrono di

disturbialimentari, inpazienti oncologici in cura chemioterapica e in pazienti con AIDS conclamata. Quindi

combinando THC e cannabidiolo con metodo scientifico si possono ottenere buoni effetti terapeutici. Le

patologie dolorose in cui la Cannabis sembra avere un ruolo degno di essere indagato in maniera

approfondita sono varie. Vi è un potenziale ruolo dei cannabinoidi per il trattamento del dolore neuropatico,

area in cui attualmente pochi farmaci sono efficaci, compresa la morfina. Nella terapia del dolore tumorale

oltre l'effetto antalgico vi può essere un effetto positivo sull'appetito, con riduzione della nausea da

chemioterapia; benefica l'azione sull'umore. Un interessante campo di applicazione potrebbe ancora essere

quello del dolore muscolo-scheletrico. La Cannabis potrebbe infine avere un ruolo nel trattamento dell'

emicrania. E'importante però sottolineare che bisogna monitorare le concentrazioni farmacologiche da

farne assumereaffinchèci siaunbuon uso dei suddetti farmaci oppioidi. Alte dosi, infatti, possono provocare

in primis euforia poi subentra uno stato di sedazione , gli atti del respiro possono rallentare al punto che nei

casi più gravi si rischia l'arresto respiratorio. Se poi si beve è anche peggio, perché l'alcol potenzia l'effetto

sedativo dei derivati dell'oppio. In Calabria come in altre regioni verrà affidato ai Centri Hub della Terapia

del Dolore il monitoraggio e controllo di questa classe di farmaci per evitare il rischio di cadute in

comportamenti inappropriati. *Responsabile Centro Hub regionale Terapia del dolore Cosenza

06/02/2016Pag. 17 Ed. Catanzaro

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 08/02/2016 44

Affermare che un dolore è cronico è come gettare la spugna. Non si vuole più studiarlo Malattia cronica? Sei messo male Andrebbe studiata più a fondo, nella sua specifi cità GOFFREDO PISTELLI Un suo libro, Liberi dal dolore, pubblicato da Mondadori nel 2011, è ancora vendutissimo, e alla Fondazione

Maugeri di Pavia vanno a cercarlo da tutta Italia, perché Cesare Bonezzi, classe 1946, pavese, medico, è

considerato uno degli iniziatori della medicina del dolore in Italia, di cui si occupa da una trentina d'anni. Nel

2010, fece parte del pool di esperti che l'allora ministro della Salute, Ferruccio Fazio, chiamò a scrivere la

legge 38, sul dolore e sulle cure palliative, una norma considerata avanzatissima in tutto il mondo, perché

riconosce il diritto del cittadino a veder trattata la sua s o f f e r e n z a cronica. Domanda. Dottor Bonezzi,

sul fronte del dolore, in Italia, qual è la questione d'attualità? Risposta. Senza dubbio il concetto di cronicità.

D. Vale a dire? R. Su che cosa vogliamo dire, cioè, con «dolore cronico». D. Spieghiamolo. R.

Quell'aggettivo viene aggiunto al sostantivo «dolore», con signifi cati diversi. Quando si vuol intendere che

semplicemente dura nel tempo, secondo l'etimo greco « kronos ». Può durare nel tempo perché la malattia

che lo genera dura a sua volta nel tempo, a causa di una medicina che cura ma non guarisce, vedi le

malattie reumatiche o quelle dei nervi periferici. Oppure... D. Oppure? R. Oppure è cronico perché persiste,

ossia va aldilà del tempo previsto dopo la guarigione di una certa malattia, forse parché la malattia stessa

non è realmente scomparsa o ha causato una defi nitiva alterazione dei sistemi di controllo del dolore. Più

spesso, però, la medicina definisce cronico un dolore perché non sa individuare i meccanismi che ne

stanno all'origine. D. Ma nella prassi medica cos'è che non va? R. Che quando il dolore si complica,

associandosi a comportamenti che coinvolgono la sfera psicologica e sociale, diventando invalidante per di

più, l'aggettivo cronico consiste in un gettare la spugna. Non si vuole più studiarlo. È cronico? E allora che

ci facciamo? E quell'aggettivo si dà un signifi cato come maledizione eterna. Ed è il gioco più squallido, con

la politica che, talvolta, è complice. D. In che senso? R. In un quadro di risorse scarse, se una malattia è

cronica, si toglie dal capitolo delle patologie acute e le si dedicano meno risorse. Perché approfondire la

diagnosi, e cercare trattamenti specifi ci e costosi, se abbiamo definito che è cronico? D. E che cosa

succede? R. Succede che troviamo malati che percorrono gli ambulatori specialistici per anni, in cerca di

una cura, etichettati come affetti da dolore cronico, e curati solo con farmaci oppioidi. Non c'è stato, cioè,

uno sforzo diagnostico specifi co. D. Invece? R. Invece lo studio del dolore rivela che, a volte, i meccanismi

che ne sono responsabili sono curabili. Certo ci vuole tempo, sapere e risorse. D. Che fare allora con la

cronicità. R. Bisogna toglierla dal limbo dove l'opinione di medici inesperti e la politica sanitaria l'hanno

messa. Altrimenti significa nascondere persone che si possono curare e addirittura guarire, ma anche, e

soprattutto, smettere di fare ricerca. Qui da noi, in Maugeri, vengono pazienti con una durata media di

dolore di ... No, anzi, non glielo dico, indovini lei. D. Chessò, un anno? R. Magari. La media è quattro anni e

sei mesi. Capisce? Quasi un lustro di dolore prima di trovare, nel 51% di casi, una soluzione. D. Ossia un

paziente su due, esce senza dolore da qui? Ma quanti sono gli «ammalati di dolore»? R. Non ci sono dati

nazionali, però posso dirle che cosa sta succedendo in Lombardia, dove si sono costituiti quattro hub,

Varese, Garbagnate (Mi), Niguarda a Milano e noi, a Pavia. L'anno scorso 78.651 pazienti assistiti si sono

rivolti a tutti i centri esistenti, 37mila sono stati trattati con farmaci mentre per oltre 41mila è iniziata una

terapia del dolore mininvasiva. D. Ma come paese, siamo indietro? R. Mettiamola così: c'è un'offerta di cura

notevole, sicuramente pari, se non superiore, a quella di cui godono i cittadini francesi o tedeschi, ma tutta

a macchia di leopardo. La legge, in compenso, è una grande legge. D. Beh lo dice perché lei dette un

contributo decisivo al ministro Fazio, che la volle fra quanti scrissero quella norma. R. C'era un board di

dieci persone, fra terapisti del dolore, medici di medicina generale, palliativisti e, come coordinatore, c'era

Guido Fanelli dell'Università di Parma. D. Le legge 38 del 2010 viene considerata avanzatissima. R. Per la

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 08/02/2016 16

prima volta riconosce il diritto del cittadino a non soffrire. D. Spesso però la terapia del dolore viene fatta

coincidere tout court con le cure palliative, anch'esse contemplate in quella legge. R. Ed è un errore, sono

cose diverse. Anzi, bisogna strappare la cura del dolore alla emotività di quel tipo di terapie. D.

Spieghiamolo. R. Anche se, nel gergo comune, palliazione porta all'idea di una rinuncia alla vera cura quei

trattamenti offrono una vera assistenza globale del paziente e un'attenuazione dei sintomi di una malattia, il

cancro, quando è nella sua fase terminale. D. Invece, la terapia del dolore? R. Si rivolge a persone attive e

vuol cercare di guarire e di interv e n i r e sui meccanismi fi siopatologici del d o l o r e . Sono stati tra i

primi, negli anni '90, a fare le cure domiciliari palliative ai malati oncologici, con l'Associazione Sartori, ma la

terapia del dolore è un'altra cosa. D. E che cosa ricorda di quell'esperienza? R. Si piombava nel teatro del

morire, catapultati nella tragedia, perché nessuno, paziente e familiari, e forse anche noi medici, è in

genere pronto. D. Si è chiesto mai il perché? R. Viviamo in una società che ha demonizzato il morire e l'ha

rimosso, ne ha annullato l'esperienza quotidiana. Ma il poter morire nel proprio letto, in mezzo ai propri cari,

rende la morte dignitosa. D. Oggi ci sono gli hospice. R. Ottime cose, per chi non ha una famiglia che

possa accompagnarlo, però è il ribaltamento esatto di quella situazione che le dicevo prima: non il medico

in mezzo al teatro del dolore ma, viceversa, quel palcoscenico è inserito in ospedale. C'è il rischio di un

grande internamento, ma forse non abbiamo altre soluzioni. D. Torniamo alla legge. R. Ha dato dignità

scientifi ca al dolore. Lo ha reso visibile come faccio io, coi miei pazienti, ai quali, per prima cosa, do un

pennarello e chiedo di disegnare, sul proprio corpo, l'area dolorante. D. Perché la medicina, sin qui, non ha

voluto o potuto curare il dolore? R. Perché l'ha trattato con le malattie, quando ha potuto. Spesso il dolore fi

nisce in chirurgia. D. Facciamo un esempio. R. Il mal di schiena può esser invalidante, migliaia di persone

ne soffrono, con costi sociali enormi, anche solo in termini di giorni di lavoro perduti. Bene, il chirurgo cerca

la soluzione osservando la colonna vertebrale, cercando un'alterazione, una malattia da curare, dimentica

cioè il dolore, mentre noi, al contrario, osserviamo il dolore e, seguendolo, troviamo come si genera. Non

esiste la malattia o l'alterazione ma il dolore. D. Ora si fa un gran parlare della cannabis per uso

terapeutico. Sembra un po' una moda. R. In parte, forse. Contro la nausea e la spasticità funziona

benissimo. Per lenire per esempio la nausea dei farmaci chemioterapici. D. Nel dolore? R . n e l dolore

cronico che vediamo nei nostri ambulatori non tanto, come unico farmaco, ma in combinazione con gli

oppioidi, come la morfi na. Ma tutto va fatto secondo protocolli precisi. Perché anche gli oppioidi non sono

la panacea, perché non tolgono tutti i dolori e poi non sono certo privi di effetti pesanti: a volte e se presi

con altri farmaci e senza un preciso controllo, diventa impossibile, per esempio, guidare un'auto. E a questo

punto, Bonezzi ci mostra sull'iPad il video di una paziente trattata: non se ne vede il volto, ma è una donna

sulla cinquantina, che riferisce di soffrire da anni e di non poter più andare avanti con gli oppiacei: «Mi

addormento di colpo ai semafori», spiega. D. Ma la moda-cannabis la aiuta nella sua battaglia per dare

dignità alla medicina del dolore? R. Sì, purché, come dicevo prima, si regolamenti con attenzione. D. Di

cosa c'è bisogno, ancora? R. Di insegnare la medicina del dolore nelle università, nelle scuole di medicina.

D. E, secondo lei, quale sarebbe il cuore di quell'insegnamento? R. Che bisogna imparare una relazione di

aiuto verso il paziente. Noi facciamo diagnosi su un discorso, ossia su quello che il malato ci riferisce,

costruiamo un'attività clinica attraverso il linguaggio. D. L'empatia verso il paziente, non è un optional, cioè.

R. Sì, empatia è la parola giusta: il dialogo attento è già il 30% della cura. © Riproduzione riservata La

legge italiana sul dolore (che ho contribuito ad elaborare) è una delle più avanzate nel mondo. Essa ha

dato dignità scientifi ca al dolore. Lo ha reso visibile come faccio io, coi miei pazienti ai quali do un

pennarello a chiedo di disegnare sul loro corpo l'area dolorante Il mal di schiena può essere invalidante,

milgiaia di persone ne soffrono, con costi personali e sociali enormi. Bene, il chirurgo cerca una soluzione

dopo aver individuato un'alterazione ossea. Noi invece osserviamo il dolore e, seguendolo, troviamo anche

come si genera La terapia del dolore che applichiamo alla Fondazione Maugeri di Pavia si rivolge a

persone attive e si propone di gaarire, intervenendo sui meccanismo fi siopatologici dell sofferenza. Non

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 08/02/2016 17

consideriamo il dolore come seguito di una malattia ma lo studiamo partendo dal dolore

Foto: Cesare Bonezzi

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 08/02/2016 18

S P E C I A L E BENESSERE ARTICOLARE RCS Media Group Communication Solutions graficocreativo Idolori alle articolazioni causati dall'artrosi sono molto frequenti, ma si possono prevenire Scacciare quei fastidiosi "doloretti" A lamentarsene sono più le donne degli uomini, in particolare quelle che hanno superato la cinquantina Non risparmia nessuna specie vertebrato: dal cane al cavallo, dalla balena al delfino, tutti sono soggetti all

'artrosi. Si tratta infatti della più frequente fra le malattie osteoarticolari, tanto da essere una delle principali

cause di assenza dal lavoro e di ricovero in ospedale. In particolare nel nostro Paese ne soffrono almeno

cinque milioni di persone con una frequenza che aumenta progressivamente con l'età ed una prevalenza

maggiore nel sesso femminile. è una malattia caratterizzata dalla coesistenza di fenomeni di tipo

degenerativo e infiammatorio a carico delle articolazioni che come conseguenza vanno incontro ad

alterazioni della cartilagine articolare ed a deformità e perdita di mobilità. Ne possono essere vittima

potenzialmente tutte le articolazioni: in ordine decrescente, quelle della colonna lombare, della colonna

cervicale, delle ginocchia, delle anche, delle mani e dei piedi, ma anche quelle della spalla e del gomito.

Indipendentemente dall'articolazione colpita, i sintomi che provoca sono però sempre gli stessi e facilmente

riconoscibili: un è radicato il pregiudizio che l'artrosi sia un disturbo contro il quale non sia possibile fare

nulla dolore intenso e una limitazione funzionale che compaiono quando si muove l'articolazione, dopo

alcune ore di immobilità e che si attenuano fino a scomparire con il riposo, quando l'articolazione non è più

sollecitata. è necessario darsi da fare Fino a pochi anni fa l'artrosi era giudicata un'ineluttabile conseguenza

dell'età. Oggi però questa visione è superata in quanto questa malattia è considerata una condizione che si

può prevenire mediante la correzione dei fattori di rischio. Infatti oramai sono conosciute le diverse cause

che singolarmente o associandosi fra loro, la possono scatenare: età, familiarità, malformazioni congenite o

acquisite, traumi, sovrappeso, sedentarietà e posture scorrette. E se per contrastare alcuni di questi fattori

non si può fare niente, è però possibile combattere gli altri. è dunque necessario cercare di non aumentare

eccessivamente di peso, in quanto i chili in eccesso causano troppo carico sulle articolazioni e praticare

dell'attività fisica, perché le sollecitazioni dovute al movimento contribuiscono a mantenere un buono stato

di salute delle cartilagini articolari. Inoltre il movimento è consigliato anche quando l'artrosi è già presente

perché aiuta a mantenere movimenti ampi e rinforza la muscolatura vicino all'articolazione. Altrettanto

importante è cercare di mantenere sempre posture corrette sia di giorno durante lo svolgimento delle

proprie attività, sia durante il riposo notturno. Quando ci sono disturbi Quando si avvertono i primi dolori

associati a rigidità articolare è necessario andare dal medico. Per arrivare alla diagnosi di artrosi

generalmente è sufficiente una precisa descrizione dei sintomi e la visita clinica, ma il medico può anche

prescrivere un esame radiologico per valutare il grado della malattia. In ogni caso la principale arma

nell'artrosi sono gli antinfiammatori non steroidei (Fans) che alleviano il dolore e lo stato infiammatorio, da

assumere su prescrizione del medico. Questi farmaci hanno però degli effetti collaterali a carico

dell'apparato gastrointestinale che ne sconsigliano una loro assunzione per lunghi periodi. In alternativa si

può ricorre a degli integratori alimentari a base di sostanze con comprovata attività antinfiammatoria.

Quando il dolore persiste ed è intenso, è consigliabile rivolgersi al medico per valutare la terapia più

indicata, fra le molte altre disponibili.

07/02/2016Pag. 36

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 08/02/2016 11

MEDICINA, SCIENZA E RICERCA DOLORE POST OPERATORIO: PER INQUADRAMENTO E TERAPIASTRADA ANCORA IN SALITA Complicanze anche gravi e cronicizzazione sono le conseguenze più dirette di trattamenti omessi o nonappropriati. La Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) denuncia iritardi formativi e organizzativi. Del tema si è parlato anche al recente congresso nazionale che glispecialisti hanno tenuto a Bologna Stefano Di Marzio Soffrire è inutile e pure pericoloso. Il dolore post operatorio, se non curato, induce complicanze, può

diventare cronico e nell'uno e nell'altro caso peggiorare la qualità di vita dei pazienti e aggravare di molto i

costi dell'assistenza. Questo sostiene in modo inoppugnabile la letteratura scientifica e questo ha ribadito la

Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) in due diversi momenti: al

69° congresso nazionale che si è svolto in autunno a Bologna e - per bocca del suo nuovo presidente

Antonio Corcione (Ao dei Colli, presidio "V. Monaldi" di Napoli) - in un recente workshop che si è svolto a

Milano a metà gennaio. Sofferenza inutile, dunque. Peccato che proprio a casa nostra la terapia del dolore

post operatorio non raggiunga gli standard internazionali, sia spesso sottovalutata dai medici,

somministrata in modo improprio, non riconosciuta dai Drg chirurgici e - in un circolo vizioso - non invocata

dai pazienti stessi che ancora non considerano l'analgesia post operatoria un loro diritto, introiettando l'idea

erronea che il dolore è ineluttabile. E sì che su 4 milioni di pazienti sottoposti a interventi chirurgici ogni

anno in Italia, l'80% riferisce di aver sofferto per le sequele del bisturi. Anche il contesto internazionale - per

la verità - mostra che qualche correttivo vada apportato. Di recente la British Association of Day Surgery ha

ripescato uno studio (Lemos et Al.: "Patient satisfaction following day surgery" pubblicato su Journal of

Clinical Anaesthesia, 2009), secondo cui le percentuali di soddisfazione dei pazienti erano sì pari al 95%,

ma l'inadeguato controllo del dolore postoperatorio, insieme al tema delle liste d'attesa, rappresentava il

maggior motivo di insoddisfazione. Tornando in Italia - affiancati dai dati di Cittadinanzattiva - gli specialisti

parlano oggi di carenze formative e di organizzazione, ritardi culturali, di un Servizio sanitario nazionale che

lesina risorse umane ed economiche, etc. Ne consegue che solo il 10% dei pazienti sottoposti a intervento

chirurgico riceve un idoneo trattamento, nonostante esistano specifiche linee guida Ebm, una legge (la

38/2010 concepita contro tutti i dolori "inutili"), farmaci e devices sempre più efficaci. Spiega Antonio

Corcione. "Il dolore postoperatorio è una complicanza dell'intervento chirurgico, così come le infezioni, gli

squilibri idroelettrolitici, etc. Come tale va trattato o meglio prevenuto in funzione dell'algogenicità

dell'intervento subito. Non è un caso che la Legge 38/2010 promuova la rilevazione e la registrazione in

cartella clinica del parametro dolore". Dalle complicanze cardiovascolari a quelle respiratorie, sono

molteplici gli esiti di una mancata o errata terapia. "Nelle popolazioni speciali di pazienti, quali ad esempio

anziani, o persone affette da comorbidità - prosegue Corcione - il dolore post operatorio può essere causa

di protratto allettamento, mancata riabilitazione o ancor peggio di accesso imprevisto in ospedale". L'altra

importante questione riguarda il dolore cronico che può scaturire da un omesso o non adeguato

trattamento. Spiega ancora il presidente Siaarti: "La ricerca sta indagando i meccanismi patogenetici. Si

pensa tervistati aveva seguito almeno un corso). Inoltre, gli anestesisti italiani raccontano che i principali

ostacoli all'uso di protocolli validati era imputabile per il 35% a inadeguato training e per il 50% a carenze

organizzative" (non è un caso che Grünenthal stia lanciando in tutta Italia una campagna info/formativa

denominata Change Pain Acute). "Siamo tornati a trent'anni fa" chiosa amaro Guido Fanelli, direttore della

Uoc di Anestesia e rianimazione all'Azienda ospedaliera universitaria di Parma e "padre" della Legge 38.

Fanelli auspica sull'argomento dolore post operatorio anche una maggiore omogeneità nei programmi

formativi delle quaranta scuole di specialità italiane. Ma non solo. Fanelli riflette sulla necessità di incentivi e

rispolvera l'istituzione di un premium price (l'esperimento è stato fatto in anni recenti in Emilia Romagna)

09/02/2016Pag. 72 N.135 - febbraio 2016 About Pharma and Medical Devices

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 10/02/2016 15

per quei dipartimenti che inseriscono in cartella clinica la valutazione del dolore post operatorio. "So che

non sono tempi di rivendicazioni economiche - aggiunge Fanelli - ma se il sistema dei Drg non premia chi fa

le cose per bene, che almeno si attribuisca un valore simbolico alle best practice. Sarebbe anche un modo

per spostare l'analgesia dalla casella dei costi a quella dei benefici".

Foto: Stefano Di Marzio AboutPharma and Medical Devices [email protected]

09/02/2016Pag. 72 N.135 - febbraio 2016 About Pharma and Medical Devices

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 10/02/2016 16

HAI MAL DI SCHIENA ? SMETTI DI FUMARE II fumo fa male alla schiena: lo dicono le ultime ricerche, secondo le quali questo disturbo può avere ancheorigine genetica e sarebbe dovuto a un difetto nel metabolismo della vitamina D. Ma con il dolore c'entrapure la postura eratta Barbara Merlo Ne soffrono circa 15 milioni di italiani e le statìstiche dicono che sia la prima causa di assenteismo sul

lavoro: il mal di schiena, che più o meno tutti abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita, è

invalidante anche se nella maggior parte dei casi non è una grave malattia. Ma visti i costi sociali che

comporta, gli scienziati hanno cercato di capirci di più e alcuni ricercatori europei hanno svolto uno studio

sulle malattie legate alla degenerazione del disco intervertebrale, quella struttura di cartilagine e collagene

che fa da cuscinetto ammortizzatore tra una vertebra e l'altra. Il progetto si chiama Genodisc e ha coinvolto

diversi centri di ricerca, tra cui l'Irccs Istituto ortopedico Galeazzi di Milano. Lo studio del Dna Sono stati

esaminati 2.573 pazienti affetti da mal di schiena cronico, dai quali è stato anche prelevato il Dna per

individuare varianti genetiche associate all'ernia del disco, una malattia che colpisce in prevalenza i giovani

e gli adulti in piena età lavorativa, fra i 20 e i 50 anni. «Le varianti più promettenti identificate sino a oggi

sono presenti in geni che influenzano la struttura del tessuto nel disco intervertebrale, o il suo stato di

infiammazione o il metabolismo delle sue cellule», spiega Alessandra Colombini, ricercatrice nel

Laboratorio di Biochimica sperimentale e Biologia molecolare dell'Irccs Galeazzi. Il ruolo della vitamina D

«II nostro gruppo di ricerca», continua la bioioga, «nell'ambito del progetto ha studiato oltre 200 pazienti

italiani con malattie della colonna. Nelle persone affette da ernia del disco, abbiamo identificato delle

varianti nel gene del recettore della vitamina D, un potente ormone che, secondo i risultati di altri nostri

studi, influenza anche il metabolismo delle cellule presenti nel disco intervertebrale». La vitamina D è molto

importante per la salute delle ossa, del sistema immunitario e per la prevenzione di molte malattie. La sua

carenza è sempre più diffusa, soprattutto nei paesi dell'emisfero Nord, perché il nostro organismo per

produrla ha bisogno di esporsi alla luce solare e la nostra vita in luoghi chiusi per molti mesi all'anno rende

spesso insufficiente questa esposizione. Con il progetto Genodisc si è scoperto che chi soffre di ernia del

disco potrebbe avere delle alterazioni, dipendenti da fattori genetici, del metabolismo della vitamina D nella

colonna vertebrale. Ciò non significa che il mal di schiena dipenda solo dalla genetica. «Le malattie discali

sono dovute a molti fattori, ma la genetica è in grado di influenzare sia la loro insorgenza sia la loro

progressione», conclude la ricercatrice. Un'evoluzione incompiuta Tuttavia, la causa principale di tanti

nostri mal di schiena non si può prevenire perché fa parte della natura umana: è la posizione eretta che ci

"condanna". A seguito della stazione eretta, infatti, la colonna vertebrale ha assunto la sua caratteristica

conformazione a cune e non ha ancora trovato il proprio assetto ideale. «L'uomo è in piedi da un tempo

relativamente breve e la sua evoluzione non è certo terminata», fa notare Roberto Pozzoni, specialista in

Traumatologia e Ortopedia al Centro di Traumatologia dello sport dell'Irccs Galeazzi. E aggiunge: «Dal

punto di vista muscoloscheletrico siamo ancora imperfetti. Lo dimostra il fatto che le nostre principali

articolazioni sottoposte a carichi, come l'anca, la colonna vertebrale, il ginocchio e la caviglia, vanno

incontro a una degenerazione spesso anche precoce». Per prevenire il mal di schiena, i medici consigliano

di mantenere sotto controllo il peso corporeo, di praticare una blanda attività fisica tutti i giorni, di rafforzare

gli addominali che sono molto importanti per evitare il sovraccarico della colonna vertebrale e di correggere

le posture sbagliate. «Se si lavora seduti per tante ore è importante alzarsi appena possibile, fare due passi

e una flessione sulle gambe. Al contrario, se si sta molto in piedi, bisogna piegare ogni tanto le ginocchia e

praticare qualche esercizio di stretching», consiglia Marco Brayda-Bruno, responsabile dell'Unità di

Chinirgia vertebrale e scoliosi dell'Istituto ortopedico Galeazzi e coordinatore, per l'Istituto, del progetto

Genodisc. Se compaiono i disairbi, si può ricorrere a diverse terapie: osteopatia, fisioterapia, terapia del

10/02/2016Pag. 74 N.416 - dicembre 2015

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 11/02/2016 16

dolore, infiltrazione di farmaci, agopuntura e ozonoterapia. Chinirgia nei casi difficili La sala operatoria

rappresenta una soluzione nei casi particolari che non rispondono a tutte le altre terapie. Oggi la chinirgia si

avvale di tecniche sempre meno invasive grazie a microscopi, endoscopi e radiofrequenze. «Gli studi

scientifici dicono che solo dopo un anno di terapie conservative risultate inefficaci si può valutare

l'opportunità di un intervento chirurgico», sottolinea Brayda-Bruno. E chiarisce: «Attenti alle tecniche "mini

invasive" propagandate come risolutive. Certi risultati si ottengono solo con interventi più importanti che

però garantiscono la guarigione».

A che cosa serve la colonna vertebrale D Non si chiamerebbe colonna se non servisse proprio a

sostenere la testa e il tronco e a garantire la stabilità della parte superiore del corpo formata da tronco e

braccia. Ma è anche una scatola: come il cranio protegge il cervello, così la colonna vertebrale protegge il

midollo spinale, formato da un fascio di cellule nervose (neuroni), e le radici nervose che scorrono al suo

interno e collegano il sistema nervoso centrale alla periferia del corpo. Infine permette i movimenti della

testa e del tronco e assorbe le sollecitazioni meccaniche che derivano dalla nostra stazione eretta e dalla

deambulazione.

L'EVOLUZIONE UMANA non è terminata. L'uomo ha conquistato la stazione eretta da un temporelativamente limitato e il suo apparato muscoloscheletrico non ha ancora trovato l'assetto idealeper sostenerla.Queste sono le malattie più diffuse Degenerazione del disco Tra le vertebre è posizionato un disco che ne

permette il movimento reciproco ed è fatto di cartilagine e collagene con un anello fibroso esterno e un

nucleo polposo interno, contenente acqua, che si comporta come un ammortizzatore idraulico. Non ha vasi

sanguigni e le sue cellule ricevono il nutrimento dal sangue che circola nelle vertebre. Il disco si può

danneggiare per disidratazione, dovuta all'avanzare dell'età, oppure per lacerazioni post traumatiche, oltre

che per cause genetiche. Ernia del disco Si manifesta quando il nucleo polposo migra attraverso le fibre

dell'anello fibroso sino a fuoriuscire. Nella maggior parte dei casi, è causata dalle lacerazioni del disco

intervertebrale. L'ernia più comune è quella lombare (parte bassa della schiena), seguita da quella

cervicale (parte alta) e dalla meno diffusa ernia dorsale (parte centrale). Scoliosi dell'adolescenza È la

deviazione sul piano frontale con rotazione tridimensionale della colonna vertebrale. È vera scoliosi quando

la curva supera i 10 gradi. Scoliosi dell'adulto Spesso si accompagna a un restringimento (stenosi) del

tratto lombare della colonna vertebrale (canale lombare). Può essere dovuta ad artrosi o a una scoliosi

giovanile trascurata. Spondilolistesi È lo scivolamento in avanti di una vertebra su quella sottostante:

interessa soprattutto la quinta e la quarta vertebra lombare. Sciatalgia Chiamata anche sciatica, è causata

dalla compressione di una radice di un nervo spinale lombare, oppure, più raramente, dalla compressione

lungo l'arto del nervo sciatico. Il dolore, a volte accompagnato da torpore e difficoltà a muovere la gamba, si

percepisce dalla parte posteriore della coscia fino al retro dello stinco e può estendersi fino all'anca oppure

giù fino al piede. SCOLIOSI A sinistra, una schiena sana. A destra: una forma di scoliosi giovanile.

SCIATALGIA Nel disegno, le frecce indicano la direzione del dolore, che si propaga per tutta la gamba fino

alla caviglia e al piede.

Fumare aggrava il mal di schiena D Fumare non solo ci espone ai tumori e alle malattie dell'apparato

cardiovascolare, ma secondo le ultime ricerche è nocivo anche per la schiena. Il fumo, infatti, danneggia la

microcircolazione sanguigna, fondamentale per nutrire i dischi intervertebrali e per apportarvi ossigeno.

Uno studio statunitense delle Università di Rochester, Florida e Texas, che ha esaminato 5.300 pazienti

seguiti per 8 mesi, ha dimostrato che le terapie per curare i dolori alla schiena funzionano meglio sui non

fumatori o su chi decide di smettere. La nicotina, tra l'altro, si è rivelata un analgesico inutile: molti studi,

che intendevano verificame presunte proprietà antidolorifiche, hanno invece evidenziato l'alto numero di

fumatori, fra gli adulti, che soffre di dolore cronico, spesso perché la sigaretta è percepita come un aiuto nel

gestire i sintomi. Ma si è visto, al contrario, che la nicotina aggrava il dolore muscoloscheletrico nei pazienti

10/02/2016Pag. 74 N.416 - dicembre 2015

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 11/02/2016 17

fumatori.

il mal di schiena occorre mantenere il peso sotto controllo e fare attività fisica: è utile rafforzare conappositi esercizi i muscoli addominali, che evitano il sovraccarico della colonna vertebrale.Curiamoci col massaggio • Secondo alcuni ricercatori del German Institute for quality and efficiency in

Health Care di Colonia (Germania), alcuni tipi di massaggio leniscono il mal di schiena: il classico, chiamato

anche svedese, il thailandese e la digitopressione possono aiutare nel caso di mal di schiena prolungato.

«Il massaggio è consigliato nella prima fase, dopo 15 giorni dall'inizio del dolore, ma può essere utile anche

nelle fasi croniche», afferma Peter Sawicki, direttore dell'Istituto tedesco. Chiarisce: «II vantaggio, se a

praticarlo sono dei professionisti, è l'assenza di controindicazioni e di effetti collaterali».

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 11/02/2016 18

FERRUCCIO DE BORTOLI NUOVO PRESIDENTE VIDAS «La speranza che aiuta a vivere» L'EX DIRETTORE DEL "CORRIERE DELLA SERA" ASSUME UN IMPEGNO MOLTO DIVERSO DAL SUOLAVORO DI GIORNALISTA. IMPARANDO COSÌ QUANTO SIA DIFFICILE TROVARE LE PAROLE PERCOMUNICARE CON CHI SOFFRE Manuel Gandin Morte: parola che ci impaurisce, che non vogliamo pronunciare, pensiero che cerchiamo di negare a noi

stessi, pur sentendone quasi sempre la presenza incombente. Temiamo la morte, e questo è

comprensibile. Ma non sarà che temiamo di più come si muore, piuttosto che non esserci più? Ne parliamo

con Ferruccio De Bortoli, presidente dell'Associazione Vidas, la struttura che offre assistenza sociosanitaria

completa e gratuita ai malati terminali, fondata nel 1982 da Giovanna Cavazzoni. L'ex direttore del Corriere

della Sera cita un'imprenditrice statunitense tra le più influenti del mondo, Sheryl Sandberg, attuale

direttrice operativa di Facebook: «Le morì il marito per un banale incidente in palestra. Trenta giorni dopo,

durante la cerimonia di commemorazione del marito, un suo amico d'infanzia le ricordò una frase: "Non

lasciare che io muoia mentre sono ancora vivo". È la speranza che aiuta a vivere, mentre perdere la

speranza significa aiutare a morire e non a vivere». E Vidas, che cura ogni anno 1.600 pazienti a Milano,

Monza e in 103 Comuni delle due provincie grazie alle cure palliative, fa della speranza di un fine vita

migliore uno dei suoi presupposti. Giada Lonati, direttrice sociosanitaria di Vidas, ci descrive chi si rivolge

all'hospice dell'associazione: «Si viene qui quando, di fatto, non c'è più niente da fare dal punto di vista

medico. I parenti di un malato terminale = si trovano, così, di fronte alla terribile § scelta: dove far morire la

persona cara.? Ecco che allora interviene la nostra struttura, perché le cure palliative j non si accostano

solo al malato ma 4 1 * anche alle famiglie, spesso smarrite di fronte a ciò che, obbligatoriamente, presto o

tardi accadrà. E noi cerchiamo i presupposti affinché il paziente possa tornare a casa, per i suoi ultimi

momenti di vita». De Bortoli sottolinea: «Giovanna Cavazzoni ha costituito con Vidas un gruppo di

volontariato che è un esempio di misericordia civile, che ha a cuore il prossimo. È questa la missione vera

di Vidas. Non è solo cura del malato, ma farsi carico delle famiglie che sopportano quel dolore. Una

comunità non ha solo un "interesse" e quando accompagna le famiglie in questo modo dimostra una

compassionevole misericordia. Perché le persone incurabili non sono oggetti, scarti della società. Sono

cittadini con i loro diritti, i loro affetti personali e quel poco di vita che resta, allora, va vissuto bene». Eppure

la paura e il dolore finiscono per mischiarsi e confondersi... «Noi cittadini moderni», risponde De Bortoli,

«abbiamo paura della morte e del dolore. Così, la morte viene esorcizzata. Nella civiltà contadina, invece,

la morte faceva parte della quotidianità; oggi no, e siamo impreparati, rimuoviamo e non troviamo mai le

parole che servono ad accompagnare le persone. Il dialogo è diventato difficile proprio in una società così

iperconnessa. Siamo diventati più bravi a parlare al mondo piuttosto che con chi soffre, mentre questo

dovrebbe essere un impegno da buon cristiano. Perfino nella liturgia, oggi la morte tende a essere

nascosta, perfino nelle camere mortuarie degli ospedali». I 34 anni di Vidas fanno sì che l'associazione sia

pronta per un nuovo passo, quello del Progetto Casa del sollievo per cure gratuite destinate a bambini e

adolescenti con malattie inguaribili. La realizzazione è avviata, i lavori inizieranno in primavera e il centro

dovrebbe essere aperto a marzo 2018, di fianco all'hospice Casa Vidas, in via Ojetti a Milano. Al progetto

ha dato forza anche una campagna pubblicitaria dell'agenzia Armando Testa, con molti personaggi celebri

che hanno aderito come testimonial, da Silvio Muccino (che ha curato la regia di uno spot) a Teresa

Mannino, dal duo Ale e Franz a Philippe Daverio. Lo slogan scelto dall'agenzia pubblicitaria è chiarissimo:

"Tutti siamo stati bambini. Non dimentichiamolo". Ma quanti sono i minorenni che necessitano delle cure

palliative? In Lombardia, secondo i dati forniti da Vidas, sono 1.200 ogni anno, 400 dei quali con malattie

oncologiche. In tutt'Italia, ogni anno i minori terminali sono, invece, 11 mila. «La Legge 38», dice Giada

Lonati, «sancisce il diritto dei minori alle cure palliative. Ma c'è un passo in avanti da fare dal punto di vista

11/02/2016Pag. 38.39.40 N.7 - 14 febbraio 2016

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 11/02/2016 10

culturale. Le cure palliative, purtroppo, sono associate ancora alla morte piuttosto che a un tratto di vita».

Ancora De Bortoli rafforza il concetto: «Le cure palliative sono una necessità vitale di una società civile».

Ma perché un giornalista come lui decide di accostarsi a questo mondo? «Ero nel consiglio

d'amministrazione di Vidas da una decina d'anni ma mi considero quasi un praticante», dice sorridendo.

«Per me è una forma d'arricchimento culturale, quasi una sorta di legge del contrappasso rispetto al

mestiere del giornalismo, spesso ritenuto, e non a torto, un lavoro cinico. Quello che posso dire con

certezza è che il volontariato è un capitale sociale molto diffuso. La società italiana è più sana di quella che

descriviamo noi giornalisti».

«IMPREPARATI ALLA MORTE, RIMUOVIAMO E NON TROVIAMO MAI LE PAROLE CHE SERVONO AD

ACCOMPAGNARE LE PERSONE»

GIADA LONATI Direttrice sociosanitaria di Vidas. Prende in carico i malati e le loro famiglie.

AL LAVORO Sopra: un gruppo di operatori sociosanitari presso l'hospice Casa Vidas in via Ojetti a Milano.

Le famiglie smarrite qui trovano aiuto.

Foto: UN NUOVO HOSPICE Ferruccio De Bortoli (anche a destra) e Giovanna Cavazzoni alla

presentazione del Progetto Casa del sollievo, destinato alla cura di bambini e adolescenti con malattie

inguaribili. Sotto: Casa Vidas a Milano.

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 11/02/2016 11

IL GOVERNO "SDOGANA"LA CANNABIS , MA SOLO A SCOPOTERAPEUTICO, PER COMBATTERE IL DOLORE " Francesca Solari In questi giorni sta facendo discutere e sta occupando ampio spazio sui media un argomento piuttosto

spinoso: l'uso terapeutico della Cannabis. 11 Ministero della Salute ha infatti depenalizzato la violazione

delle procedure di coltivazione, specificando però che l'iniziativa si riferisce esclusivamente agli impianti

autorizzati alla produzione a fini medici. Non solo: da qualche giorno la Regione Lombardia ha dato il via

libera alla Cannabis terapeutica, in relazione a cinque precisi tipi di patologie per curare le quali potranno

essere usati specifici farmaci che ne contengono i principi attivi (vedi box per l'approfondimento). Come

recepire questa novità? Quali implicazioni può avere? Quali sono le situazioni e le patologie per cui l'uso

terapeutico della Cannabis può effettivamente rivelarsi efficace e perché? Abbiamo cercato di sciogliere

questi dubbi interpellando il professor Mauro Porta, neurologo presso il Gruppo Ospedaliero San Donato.

Per prima cosa ci aiuta a inquadrare, con un po' di numeri, la portata dei consumi di cannabinoidi a livello

mondiale. «Nel mondo i consumatori sono 160 milioni, il che significa il 4 per cento della popolazione

globale. Il business generato da questi consumi si attesta sugli 11 miliardi di dollari. Va poi aggiunto che, fra

le persone che iniziano a consumare abitualmente Cannabis prima dei 25 anni di età, il 50 per cento

sperimenta, successivamente, anche quello di cocaina e il 10 per cento addirittura quello di eroina».

Bisogna gestire le conseguenze Le cifre riportate dall'esperto non vogliono innescare giudizi, ma riportare

l'attenzione sul fatto, non trascurabile, che la Cannabis è una sostanza che crea dipendenza e che questo

è un fatto da prendere in considerazione in relazione al suo uso in ambito terapeutico, valutando

attentamente le condizioni del paziente, le caratteristiche della sua malattia, la sua aspettativa di vita. «Le

patologie individuate dal decreto del Ministero della Salute e recepite da alcune Regioni italiane

contemplano, fatta eccezione per l'anoressia nervosa, dolore e spasmi: si tratta infatti della sclerosi

multipla, delle lesioni del midollo spinale, del dolore cronico causato dai tumori e della sindrome di

Tourette», spiega il professor Porta. «Personalmente sono, però, dell'idea che l'uso terapeutico della

Cannabis possa essere, oltre che efficace, davvero sicuro limitatamente ai casi dell'anoressia e del dolore

cronico di tipo oncologico», specifica. Vediamo ora il perché, capendo come agisce la Cannabis sul nostro

organismo. «11 principale agente psicoattivo della cannabis è il THC (delta-9-tetraidrocannabinolo). Questa

sostanza ha numerosi effetti sull'organismo: determina l'aumento della frequenza cardiaca e l'appetito;

porta a una diminuzione della pressione intraoculare, può indurre nausea e abbassare la pressione. Alcune

alterazioni coinvolgono soprattutto la sfera psichica: la Cannabis amplifica i sensi, ma al contempo provoca

un ottundimento delle cosiddette funzioni corticali superiori, quali memoria, linguaggio, capacità di

ragionamento e pianificazione. Apatia, stati allucinatori, paura di morire, momenti depressivi alternati a

euforia sono ulteriori, tipiche alterazioni provocate dalla Cannabis», spiega l'esperto. Così inibisce i segnali

dolorosi Il legame dei cannabinoidi a particolari recettori, poi, fa sì che inibiscano i segnali dolorosi, mentre

l'attività del THC sull'ipotalamo, struttura del sistema nervoso centrale che, fra le varie funzioni, ha quella di

regolare l'appetito, spiega il perché lo stimoli. La Cannabis che i consumatori abituali assumono in forma di

hashish (ossia di resina) oppure di marijuana (foglie secche), contenenti entrambi percentuali di THC

variabili dal 10 al 20 per cento, viene utilizzata in ambito farmaceutico per produrre alcuni medicinali. «Nel

somministrarli ai pazienti, però, non vanno trascurati gli effetti collaterali generati dalla dipendenza

provocata da questa sostanza, soprattutto ansia e inquietudine; ritengo dunque che andrebbero evitati per

curare quei pazienti le cui malattie comportano stati psicotici, tic, forme ossessivocompulsive. In questi casi,

infatti, la situazione potrebbe peggiorare; ecco la ragione per cui avrei delle riserve a impiegarli per la cura

della sindrome di Tourette, un disordine neurologico caratterizzato dalla presenza di tic motori e disturbi

11/02/2016Pag. 76 N.6 - 17 febbraio 2016

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 11/02/2016 19

ossessivo-compulsivi, che esordisce nell'infanzia ma tende a sparire in seguito, o nella sclerosi multipla.

Uno studio ha dimostrato che il consumo protratto di Cannabis può provocare anomalie cerebrali,

riducendo del 10 per cento il volume dell'ippocampo (una parte del cervello che svolge un ruolo importante

nella memoria a lungo termine e nell'orientamento, ndr) e dell'amigdala, una parte del cervello che gestisce

le emozioni», chiarisce il neurologo. Queste riserve possono cadere se si parla della cosiddetta "terapia del

dolore" riferita ai malati di tumore: per i pazienti oncologici i farmaci a base di Cannabis possono lenire il

dolore acuto e ridurre il consumo di antidolorifici. Per indurre la fame nei casi di anoressia Anche nei casi

gravi di anoressia il loro impiego potrebbe aprire nuove prospettive: come già evidenziato, il principio attivo

della marijuana invia un messaggio di fame anche quando il corpo è sazio, e ciò potrebbe essere di aiuto

come "trattamento d'urto" nel momento in cui l'eccessivo calo di peso dovesse mettere a rischio la vita.

[email protected] Sopportare il dolore non e facile, soprattutto quando diventa cronico e accompagna la

vita di un malato giorno e notte. Per questo, una volta riconosciuti gli effetti terapeutici delia Cannabis nel

trattamento del dolore, il Governo ha permesso il suo utilizzo. Naturalmente solo in ambito terapeutico e

sotto stretto controllo medico.CRONACA 01 UN PERCORSO ACCIDENTATO, CON QUALCHE

IMPRECISIONE

farmaci: i primi ietti pronti entro giugno Verso la fine dello scorso anno il ministro della Salute Beatrice

Lorenzin e quello della Difesa, Roberta Pinotti, hanno dato il loro ok alla produzione di Cannabis

terapeutica nello stabilimento chimico farmaceutico gravi patologie, dalla Sia alla sclerosi multipla, per i

quali si ritiene che questi farmaci possano essere utili. Nel mese di dicembre uno specifico decreto legge, il

"Decreto Lorenzin", ha regolamentato per la prima volta in Italia la coltivazione, produzione e distribuzione

di medicinali di origine vegetale a base di Cannabis: è stato inoltre comunicato che i primi lotti di farmaci

prodotti a Firenze sarebbero stati pronti e messi in vendita entro i primi sei mesi di quest'anno. Nel mese di

gennaio, poi, un decreto legislativo approvato dal Governo ha depenalizzato gli illeciti di carattere

procedurale commessi dai produttori di Cannabis a uso terapeutico e ciò ha dato adito a fraintendimenti. Il

ministro della Salute ha però precisato che l'iniziativa non deve essere interpretata come un passo verso la

legalizzazione dì questa sostanza, sulla quale si è detta contraria: ribadendo che questa depenalizzazione

non riguarda il consumo generale o la coltivazione per uso personale. Le novità non finiscono qui. Con il

nuovo anno, la Regione Lombardia ha inoltre autorizzato l'uso della Cannabis per fini terapeutici per 5 tipi

dì patologie. Il Servizio Sanitario regionale offrirà gratuitamente farmaci a base di Cannabis a circa mille

pazienti affetti da diverse patologie per le quali si ritiene possano essere utili: malati di tumore in cura

chemioterapica o radioterapia, malati di AIDS, ma anche di anoressia, sclerosi multipla e sindromedi

Tourette. La Lombardia si aggiunge cosi ad altre Regioni che hanno già dato il via libera da mesi

all'iniziativa: fra queste spiccano Liguria, Veneto, Emilia Romagna. Toscana, Sicilia e Abruzzo, che a

questo riguardo hanno già emanato specifiche leggi regionali.

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 11/02/2016 20

Una rete coordinata per le cure palliative La giunta punta a organizzare il riassetto su base regionale conun organo di coordinamento alla Direzione centrale Salute LA STRUTTURA SUL TERRITORIO Le Aziendedovranno fare riferimento al medico di famiglia Una rete coordinata per le cure palliative Una rete coordinata per le cure palliative

La giunta punta a organizzare il riassetto su base regionale con un organo di coordinamento alla Direzione

centrale Salute

LA STRUTTURA SUL TERRITORIO Le Aziende dovranno fare riferimento al medico di famiglia di Diego

D'Amelio wTRIESTE La Regione mette mano al riordino delle reti per le cure palliative e la terapia del

dolore, con la delibera di giunta che punta a organizzare su base regionale l'assistenza per il trattamento

dei pazienti cronici, delle malattie degenerative e del fine vita. Il riassetto, previsto entro giugno, è parte

della riforma sanitaria portata avanti dall'assessore alla Salute Maria Sandra Telesca, ma era stabilito dalle

norme statali già da alcuni anni, per uniformare le reti locali su cui finora le Aziende si sono mosse in ordine

sparso. La rete per le cure palliative riguarda l'insieme degli interventi terapeutici e assistenziali rivolti al

paziente e alla sua famiglia, finalizzati ad accompagnare il decorso di malattie destinate a concludersi con

la morte, per le quali le cure specifiche non esistono o non dimostrano più efficacia. Il caso tipico è quello

dei tumori. La rete si occupa del controllo del dolore e di altri sintomi invalidanti, ma anche del sostegno

psicologico e spirituale, al fine di garantire il miglior stile di vita possibile alla persona presa in carico. Le

cure palliative saranno organizzate sia a livello ospedaliero che territoriale, per permettere la continuità

della cura nei quattro ambiti di presenza del malato: l'ospedale, le strutture socio-sanitarie, gli hospice e il

domicilio. L'assistenza ospedaliera avverrà in regime ambulatoriale o di degenza, ma sarà il territorio a

svolgere una parte importante del lavoro: ogni distretto avrà allora un'unità dedicata, composta da medici,

infermieri e riabilitatori specializzati, in collegamento con il medico di famiglia, incaricato di coordinare gli

interventi di base e la comunicazione con il paziente e la famiglia. Ogni Aas affiderà ad un medico esperto

la direzione del servizio, che funzionerà sette giorni su sette, prevedendo anche la pronta disponibilità sulle

24 ore, in considerazione del fatto che la gestione della malattia si complica con il procedere del suo

decorso. La rete della terapia del dolore coinvolge invece il trattamento di malattie croniche, attraverso

farmaci, operazioni chirurgiche, interventi strumentali, riabilitazione e supporto psicologico. Tale approccio

integrato si propone di eliminare o almeno ridurre il dolore, a prescindere dalla sua origine, favorendo la

reintegrazione del paziente nel proprio contesto sociale e lavorativo. Nonostante il quadro nazionale

permetta un centro ospedaliero specializzato ogni 2,5 milioni di abitanti, la specialità consente alla Regione

di mantenerne in vita tre: a Trieste, Udine e Pordenone, rispettivamente negli ospedali di Cattinara-

Maggiore, Santa Maria della Misericordia e Santa Maria degli Angeli. Il primo passo per sottoporsi alla

terapia si compirà tuttavia dai medici di famiglia, che misureranno intensità del dolore e impatto sulla qualità

della vita. I casi saranno inquadrati in tre livelli di gravità crescente, a seconda della complessità della

patologia, dei farmaci somministrati (dal paracetamolo agli oppioidi) e degli interventi più o meno invasivi

richiesti. Il riassetto classificherà inoltre le strutture a seconda del livello di assistenza erogato, con

l'individuazione di "hub" esterni alla rete locale di riferimento per trattare i casi più spinosi. Per le situazioni

più semplici, l'assistenza sarà invece svolta nei centri ospedalieri specializzati, negli ambulatori ospedalieri

e territoriali oppure dai medici di famiglia, senza escludere anche in questo caso la dimensione domiciliare.

Ad assicurare l'uniformità organizzativa e di servizio, c'è inoltre la creazione di un organo di coordinamento

presso la Direzione regionale Salute, dove saranno rappresentate tutte le specializzazioni e le professioni

coinvolte. Il coordinamento fornirà supporto tecnico alle Aziende, valuterà lo stato d'attuazione delle reti,

monitorerà i dati su base annua, parteciperà alla programmazione futura, oltre a curare la formazione

specifica del personale, che già oggi prevede la conoscenza del campo delle cure palliative per tutti gli

12/02/2016Pag. 15

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TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 12/02/2016 13

infermieri operanti nell'assistenza domiciliare. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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