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Retrovirus e DNA ricombinante Lezioni d'Autore di Paola Vinesi

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Retrovirus e DNA ricombinante

Lezioni d'Autoredi Paola Vinesi

I RETROVIRUS (I)

Come tutti i virus, i retrovirus sono parassitiendocellulari obbligati che infettano le cellulerilasciando in esse il proprio corredo genetico.

In questo caso, però, il materiale genetico èrappresentato da RNA (Ribonucleic acid). Una voltaliberato nella cellula infettata, l'RNA produce DNA adoppia elica (detto provirus), secondo un processonoto come retrotrascrizione o trascrizione inversa (dacui il nome retrovirus), nel quale l'enzima trascrittasiinversa "legge" la molecola di RNA e, nucleotide pernucleotide, la traduce in una molecola di DNA.

I RETROVIRUS (II)

Il provirus si integra stabilmente, ma in modo più o meno casuale, nel genoma cellulare; questa inclusione richiede l'attività dell'enzima integrasi. Il nuovo tratto di DNA produce sia l'RNA originario, da includere in nuove particelle virali, sia l'RNA messaggero (mRNA) necessario alla sintesi delle proteine virali, comprese quelle che formano l'involucro esterno (capside) del virus. Questi materiali, assemblati, ricostituiscono nuove copie del virus, rilasciate poi dalla cellula infettata.

I RETROVIRUS (III)

Uno dei più noti componenti della famiglia dei retrovirus è l'HIV (Human immune deficiencyvirus), responsabile dell'AIDS (Acquiredimmune deficiencysyndrome). Come esempio del ciclo di replicazione dei retrovirus, nella figura è illustrato appunto quello dell'HIV.

I RETROVIRUS (IV)

In generale i virus costituiscono un esempio di efficace parassitismo, dal momento che sfruttano il sistema metabolico della cellula infettata per riprodursi. I retrovirus hanno un livello di efficienza ancora superiore, poiché sono in grado di integrarsi stabilmente nel genoma ospite e sfruttare con parsimonia le risorse della cellula, che può quindi continuare a vivere e produrre il retrovirus.

IL DNA RICOMBINANTE (I)

Questa metodologia permette il trasferimento di una porzione del genoma da un essere vivente a un altro, effettuando così una ricombinazione genica, poiché il nuovo DNA è incorporato nel genoma del ricevente. In questo modo, le proteine codificate nella regione di DNA trasferita (definita transgene) possono essere sintetizzate anche nel ricevente.

In linea generale il procedimento garantisce di modificare in modo specifico i geni, agendo solo su quelli che portano i caratteri prescelti. Gli scopi possono essere diversi, per esempio l'organismo ricevente può essere utilizzato per produrre molecole utili, oppure si può migliorare il suo genoma per renderlo più resistente a certi tipi di danno ambientale o per dargli caratteristiche nutritive migliori.

IL DNA RICOMBINANTE (I)

La manipolazione del DNA prevede un insieme piuttosto complesso di tecniche che permettono di isolare e tagliare brevi frammenti nucleotidici (oligonucleotidi), inserirli in un vettore e farli moltiplicare (amplificare, secondo la terminologia scientifica), studiarne la sequenza, trasferirli nel genoma di altre cellule, controllarne l'incorporazione e l'espressione.

IL DNA RICOMBINANTE (II)

Per ottenere gli oligonucleotidi si può procedere secondo due distinte vie enzimatiche:

In una metodica intervengono gli enzimi di restrizione, dotati di un'alta specificità che permette loro di tagliare il DNA in punti molto precisi, poiché riconoscono opportune sequenze nucleotidiche (di solito composte da 4-6 basi), definite sequenze di riconoscimento o siti di restrizione.

Nell'altra metodica si usa l'enzima trascrittasi inversa, che permette di ottenere brevi sequenze di DNA a partire da mRNA, il cui filamento è letto dall'enzima ricavando un filamento complementare di DNA, che a sua volta fa da stampo per ottenere il secondo filamento di DNA e completare così la costruzione del segmento desiderato.

IL DNA RICOMBINANTE (III)

Per quanto riguarda l'amplificazione del DNA d'interesse, essa permette di avere materiale in abbondanza per ulteriori fasi di lavorazione ed è resa possibile grazie alla clonazione oppure alla PCR (v. seconda parte lezione).

Per clonare il DNA sono necessari i vettori, rappresentati essenzialmente da plasmidi e virus fagici.

Il plasmide è una molecola di DNA batterico circolare, esterna al cromosoma e in grado di replicarsi in modo autonomo.

IL DNA RICOMBINANTE (IV)

Nella fase iniziale del processo di clonazione, il plasmide è tagliato dagli stessi enzimi di restrizione utilizzati per ottenere il tratto di DNA d'interesse.

Successivamente DNA e plasmide sono mescolati insieme all'enzima DNA-ligasi. Questo ha il compito di permettere la formazione di un legame tra le estremità complementari di sequenze geniche, cosicché le due molecole di DNA (quello d'interesse e quello plasmidico) possono unirsi e formare un'unica molecola. In questo modo si costruisce il cosiddetto plasmide ricombinante.

IL DNA RICOMBINANTE (V)

A questo punto il plasmide, arricchito dalla nuova sequenza di DNA, è inserito in una cellula ospite, solitamente un batterio, dove in breve tempo può duplicarsi producendo elevatissime quantità della sequenza oggetto di studio; poiché queste copie sono esattamente uguali tra di loro sono cloni.

Quando il vettore è costituito da virus fagici (o batteriofagi o fagi, ossia virus che infettano i batteri), il processo di clonazione sfrutta la grande capacità di questi virus a integrare il proprio DNA nel genoma batterico: il DNA d'interesse è inserito nel DNA virale, che infettando i batteri è in grado di cedere loro la sequenza, che poi è replicata più e più volte come sopra.

IL DNA RICOMBINANTE (VI)

Per determinare una sequenza nucleotidica (processo noto come sequenziamento), campioni dello stesso DNA sono fatti reagire separatamente con enzimi di restrizione differenti che li tagliano in punti precisi e diversi, generando così frammenti di diverse lunghezze.

Questi frammenti sono sottoposti a elettroforesi, che permette di separarli: gli oligonucleotidi sono deposti su un supporto solido immerso in una soluzione tampone, alla quale è applicato un campo elettrico che determina un flusso di segmenti verso il polo di carica opposta.

IL DNA RICOMBINANTE (VII)

La velocità di questa migrazione dipende non solo dall'intensità della corrente, ma anche dalle dimensioni e dalla forma dei frammenti di DNA, che così si separano durante la corsa elettroforetica. Una volta che questa è terminata, i campioni sono evidenziati con le adeguate tecniche di colorazione o con altri sistemi di rilevazione.

IL DNA RICOMBINANTE (VIII)

Attualmente, grazie al progresso della tecnologia di laboratorio, sono disponibili macchine (sequenziatori) capaci di eseguire l'intero processo partendo da opportune miscele dei campioni da analizzare.

L'identificazione di uno specifico segmento di DNA (o RNA) è possibile grazie alla tecnica dell'ibridazione, che permette di individuare un tratto nucleotidico grazie all'utilizzo di una sonda molecolare (probe), in questo caso una molecola a singolo filamento di DNA (o RNA) marcata complementare alla sequenza che si sta cercando.

IL DNA RICOMBINANTE (IX)

La marcatura è effettuata con isotopi radioattivi o coloranti fluorescenti, inseriti nella sequenza della sonda. Poiché il marcatore individua la posizione della sonda, identifica anche la sequenza complementare di DNA (o RNA) alla quale essa si lega.

- Ibridazione in situ con diverse tipologie di sonde.

- In a) è utilizzata una sonda specifica per il cromosoma 8: i segnali fluorescenti sono presenti lungo tutta l’estensione dei due cromosomi omologhi. In b) la sonda riconosce in modo specifico le sequenze centromeriche dei cromosomi X. In c) la sonda è specifica per i telomeri del braccio lungo del cromosoma 4, identificando entrambi gli omologhi. In d) la sonda evidenzia specificamente una regione del braccio lungo dei cromosomi omologhi 17

FINE