Rete della Conoscenza

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Segue a pagina II LIBERI TUTTI Un’intera generazione sa per cer- to che oggi non può accende- re un mutuo e domani non avrà una pensione. Un’intera genera- zione si trova a ritenere norma- le il lavoro gratuito, a considera- re generosi regali i propri diritti fondamentali, a chiamare “gavet- ta” lo sfruttamento. Chi è sogget- to a contratti atipici non ha, di fatto, diritto all’assenza per ma- lattia, allo sciopero, alla cassa in- tegrazione, all’accesso a qualsia- si forma di ammortizzatore so- ciale. Sono queste le motivazio- ni che ci spingono a condividere l’appello Il nostro tempo è ades- so che convoca le manifestazio- ni di oggi, contro la precarietà, per un nuovo welfare di cittadi- nanza e per l’estensione dei di- ritti nel mondo del lavoro e della formazione. Gli studenti e le stu- dentesse, i soggetti in formazio- ne, non sono i precari di domani. Già oggi vivono la precarietà in forma propedeutica: nei tempi e negli spazi che ci vengono im- posti, nella negazione quotidia- na dei diritti, nell’impossibilità di accedere ad un welfare che ci permetta di vivere il nostro per- corso formativo in totale libertà e autonomia sociale. Manduria IV Reportage dalla Puglia, dove migliaia di migranti attendono il proprio destino. Tra razzismo di governo e sprazzi di umanità Intervista V Parla Salvo Barrano, vicepresidente dell’associazione Archeologi e firmatario dell’appello Il nostro tempo è adesso Dieci domande V Un questionario per i politici che sono in piazza con noi oggi. Perché la precarietà non cade dal cielo, e si combatte con fatti concreti Un fenomeno caratterizza il la- voro nel nostro tempo. Accomu- na un’assegnista di ricerca a una giovane pubblicitaria, il came- riere del pub sotto casa al ragaz- zo che consegna le pizze e per- fino all’operaio della Fiat. Si na- sconde dietro molti nomi: con- tratto a progetto, stage, assegno di ricerca, partita iva, tirocinio, lavoro a chiamata, lavoro nero; qualcuno preferisce chiamar- la gavetta e fingere che si tratti di una condizione temporanea o marginale. In realtà la sua dif- fusione è gigantesca e il suo no- me chiarissimo: si chiama pre- carietà. Essere precari non significa sol- tanto dover cambiare spesso im- piego. Vuol dire vivere lunghi pe- riodi senza lavoro e senza reddi- to, non avere diritto di malattia né di sciopero, non poter acce- dere ad alcun tipo di ammortiz- zatore sociale, essere continua- mente sotto ricatto, con buone probabilità di ritrovarsi senza nulla in mano dopo tanti sacrifi- ci. Significa agognare una stabi- lizzazione che non arriva mai e considerare un favore o una for- tuna quello che dovrebbe essere un diritto. Ecco perché la preca- rietà non è solo una forma con- trattuale, ma una forma di vita, una precarietà esistenziale che cancella ogni sicurezza e ogni possibilità di progettare il pro- prio futuro. Noi soggetti in for- mazione siamo già precari nei nostri luoghi di studio, per la to- tale assenza di diritti e per l’im- possibilità di accedere a un wel- fare che ci consenta di portare avanti i nostri percorsi di studio in autonomia. Per questo sare- mo in piazza oggi e dedichiamo questo numero del nostro gior- nale a un’analisi della precarietà lavorativa ed esistenziale nel no- stro Paese. Perché siamo convin- ti che su questo terreno si com- batta una sfida centrale non so- lo per la nostra generazione, che può essere vinta solo ricompo- nendo le molteplici e differenti soggettività precarie e imponen- do un dibattito su un nuovo mo- dello lavorativo e su un nuovo modello di welfare universale in grado di rispondere alle sfide del nostro tempo, lottando per non morire precari. Francesco Caporali Sabato 9 aprile 2011 Vieni sul sito Inserto autogestito dagli studenti Il nostro tempo è adesso. Oggi in piazza in tutta Italia. Studenti e lavoratori si mobilitano verso lo sciopero generale del 6 maggio. Chiedono diritti, tutele e un nuovo welfare universale stabile precarietà Student* della Rete della conoscenza

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Il numero speciale uscito in occasione della mobilitazione nazionale del 9 Aprile "Il nostro Tempo è adesso - la vita non aspetta"

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Segue a pagina II

liberi tutti

Un’intera generazione sa per cer-to che oggi non può accende-re un mutuo e domani non avrà una pensione. Un’intera genera-zione si trova a ritenere norma-le il lavoro gratuito, a considera-re generosi regali i propri diritti fondamentali, a chiamare “gavet-ta” lo sfruttamento. Chi è sogget-to a contratti atipici non ha, di fatto, diritto all’assenza per ma-lattia, allo sciopero, alla cassa in-tegrazione, all’accesso a qualsia-si forma di ammortizzatore so-ciale. Sono queste le motivazio-ni che ci spingono a condividere l’appello Il nostro tempo è ades-so che convoca le manifestazio-ni di oggi, contro la precarietà, per un nuovo welfare di cittadi-nanza e per l’estensione dei di-ritti nel mondo del lavoro e della formazione. Gli studenti e le stu-dentesse, i soggetti in formazio-ne, non sono i precari di domani. Già oggi vivono la precarietà in forma propedeutica: nei tempi e negli spazi che ci vengono im-posti, nella negazione quotidia-na dei diritti, nell’impossibilità di accedere ad un welfare che ci permetta di vivere il nostro per-corso formativo in totale libertà e autonomia sociale.

Manduria IVReportage dalla Puglia, dove migliaia di migranti attendono il proprio destino. Tra razzismo di governo e sprazzi di umanità

Intervista VParla Salvo Barrano, vicepresidente dell’associazione Archeologi e firmatario dell’appelloIl nostro tempo è adesso

Dieci domande VUn questionario per i politici che sono in piazza con noi oggi. Perché la precarietà non cade dal cielo, e si combatte con fatti concreti

Un fenomeno caratterizza il la-voro nel nostro tempo. Accomu-na un’assegnista di ricerca a una giovane pubblicitaria, il came-riere del pub sotto casa al ragaz-zo che consegna le pizze e per-fino all’operaio della Fiat. Si na-sconde dietro molti nomi: con-tratto a progetto, stage, assegno di ricerca, partita iva, tirocinio, lavoro a chiamata, lavoro nero; qualcuno preferisce chiamar-la gavetta e fingere che si tratti di una condizione temporanea o marginale. In realtà la sua dif-fusione è gigantesca e il suo no-me chiarissimo: si chiama pre-carietà.Essere precari non significa sol-tanto dover cambiare spesso im-piego. Vuol dire vivere lunghi pe-riodi senza lavoro e senza reddi-to, non avere diritto di malattia né di sciopero, non poter acce-dere ad alcun tipo di ammortiz-zatore sociale, essere continua-mente sotto ricatto, con buone probabilità di ritrovarsi senza nulla in mano dopo tanti sacrifi-ci. Significa agognare una stabi-lizzazione che non arriva mai e considerare un favore o una for-tuna quello che dovrebbe essere un diritto. Ecco perché la preca-rietà non è solo una forma con-trattuale, ma una forma di vita, una precarietà esistenziale che cancella ogni sicurezza e ogni possibilità di progettare il pro-prio futuro. Noi soggetti in for-mazione siamo già precari nei nostri luoghi di studio, per la to-tale assenza di diritti e per l’im-possibilità di accedere a un wel-fare che ci consenta di portare avanti i nostri percorsi di studio in autonomia. Per questo sare-mo in piazza oggi e dedichiamo questo numero del nostro gior-nale a un’analisi della precarietà lavorativa ed esistenziale nel no-stro Paese. Perché siamo convin-ti che su questo terreno si com-batta una sfida centrale non so-lo per la nostra generazione, che può essere vinta solo ricompo-nendo le molteplici e differenti soggettività precarie e imponen-do un dibattito su un nuovo mo-dello lavorativo e su un nuovo modello di welfare universale in grado di rispondere alle sfide del nostro tempo, lottando per non morire precari.

Francesco Caporali

Sabato 9 aprile 2011

Vieni sul sito

Inserto autogestitodagli studenti

Il nostro tempo è adesso. Oggi in piazzain tutta Italia. Studenti e lavoratori si mobilitano verso lo sciopero generale del 6 maggio. Chiedono diritti, tutele e un nuovo welfare universale

stabileprecarietà

Student* della Rete della conoscenza

sabato 9 aprile 2011II www.retedellaconoscenza.it

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nsa

La sfida

Diritti

riato è stato affrontato con su-perficiale giovanilismo, per evi-tare che ciò succeda sta ai sog-getti sociali proporre obiettivi concreti e contenuti di mobili-tazione: dalla difesa del contrat-to nazionale al rifiuto di ogni lo-gica di guerra tra poveri tra pre-cari e “garantiti”, dall’elimina-zione delle tipologie contrattua-li atipiche che travestono da la-voro autonomo quello subordi-nato e legalizzano il caporala-to, al riconoscimento a tutti i la-voratori e le lavoratrici, a tem-po indeterminato o determina-to, degli stessi diritti, delle stes-se tutele e degli stessi ammor-tizzatori sociali, dall’istituzione di un reddito di base ( fissato al 60% del salario medio naziona-le, come stabilito dal Parlamen-to europeo) e di un reddito per i soggetti in formazione come forme di welfare universale.Come anche la necessità di ri-lanciare gli investimenti sulla formazione e sulla ricerca per far crescere l’occupazione in quantità e qualità e orientare la produzione verso la sostenibili-tà sociale ed ambientale.Per questo siamo in piazza og-gi, per questo daremo vita ad azioni e mobilitazioni sui temi del welfare, della precarietà e dell’accesso ai saperi il 19 aprile, per questo metteremo in campo un percorso verso lo sciopero generale del 6 maggio. Il nostro tempo è adesso, liberi tutti!

Per questo le mobilitazioni de-gli ultimi anni, come le grandis-sime manifestazioni studente-sche dell’ultimo autunno, hanno posto con forza una questione generazione come grande que-stione sociale legata alla preca-rietà nel lavoro, nella formazio-ne e di conseguenza nelle nostre vite. […] Per questo la mobilita-zione di oggi è solo l’inizio di un percorso che deve mirare prima di tutto al riconoscimento della nostra generazione in una sog-gettività – quella precaria – che deve avere l’ambizione di essere soggettività politica e sindacale, cioè capace di praticare conflit-to per migliorare le proprie con-dizioni di studio e di lavoro, con l’obiettivo finale di cancellare la precarietà dalle nostre vite. Per raggiungere questo obietti-vo serve anche un’alleanza tra generazioni: da un lato gli stu-denti e le studentesse, dall’altro chi paga la precarietà da almeno

Una generazione contro la stabile precarietà

La sfida Il nostro tempo è adesso, e ce lo riprendiamo. Dal movimento studentesco parte un percorso per conquistare i diritti sul lavoro e rivendicare un nuovo sistema di tutele

un decennio essendo cavia della precarizzazione come strumen-to di livellamento verso il basso dei diritti e della qualità della vi-ta di tutti e di ciascuno. Il ricat-to della delocalizzazione rende precari – come dimostra il caso dei metalmeccanici e dei lavora-

tori del commercio e dei servizi - anche molti lavoratori a tem-po indeterminato, facendo sal-tare ogni distinzione tra garan-titi e non garantiti.La precarietà lavorativa, la mer-cificazione dei saperi, la deloca-lizzazione e la privatizzazione

di parti sempre più significati-ve della società sono, del resto, parte di un unico processo, cioè la progressiva colonizzazione da parte delle logiche del mer-cato e del profitto di ogni ambi-to dell’esistenza umana.Troppo spesso il tema del preca-

l dibattito pubblico sul red-dito, in Italia, ha finalmente l’opportunità di uscire dal-le paludi ideologiche in cui

è impanato da decenni e accom-pagnare alle discussioni teori-che sul ruolo del general intellect nella produzione della ricchezza sociale e sull’evoluzione del rap-porto tra lavoro e retribuzione un ragionamento serio tra tutti i soggetti impegnati nella batta-glia contro la precarietà, in grado di indicare obiettivi rivendicativi

Pensare un nuovo welfare L’unica soluzione credibile

Diritti La battaglia contro la precarietà passa anche attraverso la rivendicazione di un reddito minimo. Bisogna dare opportunità a tutti, soprattutto a chi oggi ne è escluso

e vertenziali chiari fin da subito.In questo senso, le aperture fat-te negli ultimi mesi dalla Fiom o da intellettuali come Luciano Gallino rappresentano un’occa-sione da non perdere, così l’ap-provazione da parte del Parla-mento europeo della risoluzio-ne 2010/2039(InI), che invita la Commissione e i singoli paesi a stabilire forme di reddito mini-mo pari almeno al 60% del sala-rio medio nazionale, con l’obiet-tivo di promuovere l’inclusione sociale e il diritto a un’esistenza degna. La stessa campagna Il no-

stro tempo è adesso, del resto, ha inserito la continuità del reddito e una riforma del welfare in sen-so universalistico tra le proprie rivendicazioni, cercando di por-tare il dibattito sul piano concre-to dell’individuazione di singo-li strumenti necessari alla risolu-zione di problemi reali. Il reddi-to non è la panacea di tutti i mali e, anzi, se non si accompagna la vertenza sul nuovo welfare a una seria battaglia per la cancellazio-ne delle forme contrattuali ati-piche, si rischia di aprire la stra-da a tentativi strumentali di uti-

lizzare il reddito come pannicel-lo caldo per rendere accettabi-le la precarietà. Ma esistono tre questioni fondamentali, che, og-gi, richiedono di essere affronta-te: l’esclusione dalle forme tradi-zionali di welfare di chi non ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato; la mancanza di continuità del reddito di chi lavo-ra con contratti a termine; il livel-lamento verso il basso dei dirit-ti e dei salari sotto il ricatto del-la disoccupazione. Forme di ba-sic income, integrate in una re-te universale di servizi pubblici e

diritti fondamentali, possono ri-spondere a queste esigenze, mi-gliorare le condizioni di vita di centinaia di migliaia di persone, fermare il dumping sociale e sa-lariale e rilanciare la forza con-trattuale dei lavoratori. Un caso particolare è rappresentato dal-la rivendicazione di un reddito per i soggetti in formazione, che non va messo in contrapposizio-ne ciò che già esiste: il diritto allo studio, fatto di borse e servizi, le-gati al reddito familiare, è fonda-mentale per abbattere le barriere di classe che limitano all’acces-so alla formazione, e va difeso e potenziato; il reddito risponde a un’altra esigenza, cioè la conqui-sta di un’autonomia sostanziale dello studente dalla famiglia, e va quindi concepito come un siste-ma di servizi ed erogazioni mo-netarie su base universalistica, in grado di dare a tutti l’opportu-nità di costruire liberamente un proprio percorso di vita.

Oggi studenti e precari sono in piazza a Roma, Milano, napoli, Pa-lermo, Torino, novara, Cuneo, asti, Genova, Bergamo, Lecco, Brescia, Lodi, Mantova, Pavia, Monza, Trieste, Padova, Venezia, Vicenza, Vero-na, Rovigo, Treviso, Bologna, Parma, Modena, Cesena, Firenze, Pisa, Pistoia, Massa, Chieti, ancona, Perugia, Potenza, Bari, Taranto, Brin-disi, Lecce, Catanzaro, Cosenza, siracusa, Pozzallo (Rg), Vittoria (Rg), Cagliari e Bruxelles.

Il nostro tempoè adesso, in tutta Italia

Fuga dei cervelli dal Paesedella precarietà

9 aprile Lavoro

Saperi&Pr ecarietà

ILorenzo Zamponi

Studenti e studentesse della Rete della conoscenza

IIIwww.retedellaconoscenza.it sabato 9 aprile 2011

Apprendistato

Governo

gi, neanche quella proposta da Damiano, garantisce rimborsi totali delle spese sostenute da-gli stagisti.La proposta firmata da Damia-no può aprire un serio dibatti-to nel paese teso a individuare le forme di passaggio tra mon-do della formazione e mondo del lavoro mantenendo i due ambiti distinti. Questo dibatti-to deve vedere una discussione sull’apprendistato, forse l’uni-co ponte tra formazione e lavo-ro capace di dare qualche sicu-rezza economica e sociale (sti-pendio, contributi, ecc.) nel ca-so lo si rendesse realmente spe-cializzante. Allo stesso tempo il dibattito deve interrogarci su quali forme di welfare e garanzie diamo agli studenti o ai neolau-reati per non cadere nel ricatto di uno stage visto come unico miraggio di salvezza. L’introdu-zione di un reddito di formazio-ne risulta diventare centrale per ridare autonomia ai singoli e li-bertà di scegliere del proprio fu-turo.

l 29 marzo scorso l’onorevo-le Damiano (Pd) ha presen-tato una proposta di legge sugli stage. Per la prima vol-

ta dopo anni si tenta di aprire un ragionamento sul tema, si cerca di dare una risposta a quei 300 mila stagisti (dati Unioncamere, che non comprendono la pub-blica amministrazione) che ogni anno non sanno se stiano facen-do formazione o un lavoro come un altro. La proposta del gruppo parlamentare del Pd permette-rebbe agli studenti di una scuola di influire sulle scelte riguardan-ti gli stage che verranno operati dal proprio istituto tramite delle commissioni composte in egual numero da studenti e professori. Inoltre a livello regionale verreb-bero istituiti degli albi dove af-fluirebbero tutti i pareri dati da-gli stagisti rispetto all’esperien-za maturata nel luogo di lavo-ro. Queste due novità contribu-iscono al miglior coinvolgimen-to degli studenti capaci di isola-re i casi di aziende che sfruttano gli stagisti. Ancora però nessu-na legge parla del coinvolgimen-to del singolo studente durante l’arco temporale di svolgimento dello stage. Infatti andrebbe ga-rantito un confronto continuo tra stagista, scuola o università e azienda per evitare derive non formative dell’esperienza. Que-ste derive sono diventate, nel di-

Diritti per gli stagisti, inizia il dibattito

Federico del Giudice

I

Apprendistato Da una proposta di legge arrivano alcune buone idee per la qualità formativa dei tirocini. Resta ancora molto da fare su rimborsi, welfare e post-lauream

sordine legislativo e la passività politica, il tasto dolente di un’at-tività che sarebbe dovuta essere formativa – capace di “insegna-re un mestiere” – e che spesso si è trasformata in un anticame-ra alla precarietà. Sono in molti, usciti dai canali formativi, a per-

correre la strada degli stage nel-la speranza che l’azienda ospi-tante decida di assumere a ter-mine del progetto. Nella mag-gior parte dei casi così non è, spingendo molti laureati a com-piere fino a cinque stage.Que-sta dinamica mostra tutta la sua

perversione. Infatti uno studen-te compie almeno uno stage alle scuole superiori, uno alla laurea triennale e uno alla laurea spe-cialistica. Quello che viene dopo risulta essere squisitamente un ambito lavorativo non remune-rato. Nessuna legge fino ad og-

empre più lampante è l’orientamento puramente propagandistico concre-tizzato dal Governo Ber-

lusconi. Passati 8 anni dall’ap-provazione della legge 30, oggi un’intera generazione è riuscita a portare all’attenzione della po-litica di palazzo, sempre più di-stante dal dialogo sociale, il suo non voler subire più una condi-zione di ricatto e non voler vive-re in uno stato di precarietà la-vorativa ed esistenziale. E opo aver gridato a lungo, la folla oce-anica di precari riceve la solida-rietà della società ma dal legisla-tore solo l’ennesima risposta po-pulista.“Diamogli Futuro” si presen-ta come un piano di intervento del Governo con l’obiettivo teo-rico di fornire un lavoro stabile a giovani con meno di 35 anni, ge-nitori di figli minori, disoccupa-

Antonio Zita

S “Diamogli futuro”: ecco il contentino populista

Governo La ministra Meloni vara un nuovo piano di intervento perl’occupazione giovanile. Una manovra ideologica e inefficace, che non affronta i grandi problemi di fondo

ti o occupati con contratto atipi-co (collaborazione coordinata e continuativa). Con l’investimen-to di 300 milioni di euro, di cui 216 messi in campo dal Ministro della Gioventù, potenzialmen-te potrebbero usufruire del be-neficio 10 mila lavoratori, per un numero di imprese pari a 2 mi-la, nel caso in cui ciascuna di es-se assumesse il massimo di 5 la-voratori. Ma nel piano non ci so-no i criteri che riguardano le dif-ferenze di ripartizione delle quo-te e non è prevista alcun inter-vento reiterato in tal senso. Il

criterio della genitorialità, inol-tre, è un aspetto che rinnega un indirizzo politico di carattere co-stituzionale (art. 2 e 3), che im-pegna la Repubblica a garanti-re l’effettivo sviluppo della per-sonalità del cittadino, sia come singolo sia nelle formazioni so-ciali in cui esso è inserito. Que-sto orientamento non tiene in considerazione come la scelta di avere un figlio non sia connesso solo e soltanto ad aspetti lavora-tivi. Dunque lo scenario odier-no ci impone una riflessione sui termini occupazionali e di tenu-

ta complessiva del nostro siste-ma economico e sociale. A cosa serve adottare un regime sempre più flessibile se questo non com-porta una crescita del prodotto e dell’occupazione ma solo una precarizzazione dell’esistenza di centinaia di migliaia di perso-ne? Servirebbero piani strategici e non manovre saltuarie, di na-tura prettamente pubblicitaria a favore del Governo.Se oggi si volesse realmente, co-me si presume essere l’orienta-mento del legislatore, combina-re l’utilizzo di contratti atipici

corretti con una dose di stabiliz-zazione, certamente si dovrebbe agire alla fonte, la legge 30, che, sulla carta, è orientata “alla pro-mozione di una società attiva, ove maggiori siano le possibilità di occupazione per tutti, miglio-re sia la qualità complessiva dei lavori, più moderne le regole che presiedono all’organizzazione dei rapporti e dei mercati del la-voro” ma che è, nell’oggettivazio-ne di tale orientamento, respon-sabile di una proliferazione smo-data e multiforme della stessa categoria contrattuale..

Nominata la Commissione per la revisione dello Statuto, con l’elezione ne-gli Organi Centrali (le cui cifre mostrano la volontà di precludere i lavori a chi frenerebbe gli interessi di casta) di due studenti espressione di liste da sempre indifferenti alle mobilitazioni. LINK Bari confida che le promesse di trasparenza, la democrazia si traduca nella pubblicazione dei curricula dei membri, nella pubblicità dei lavori della commissione, fino a promuovere l’elaborazione di proposte comuni e sottoporre lo Statuto a referendum.

5 milioni di italiani vivono all’estero, la maggior parte ha meno di 35 anni. Non si può vivere in un paese dove il lavoro è sottopagato e non esiste cre-scita professionale. In una delle interviste di Riflessioni sull’orlo dell’Apoca-lisse (David Jay Brown, Mondadori 2006), si ribadisce una cosa semplice ma troppo spesso dimenticata. Se vogliamo che avvenga un cambiamento nel mondo del lavoro è necessario che ognuno impari a conoscere quello che può valere per un’azienda e a dire più spesso una parola monosillaba: no.

Commissionestatutoblindata

Bari

Saperi&Pr ecarietà

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IV www.retedellaconoscenza.itSabato 9 aprile 2011

ti, ed i primi permessi temporanei comin-ciano ad arrivare (anche sulla scia dell’ac-cordo fra il governo italiano e quello tu-nisino, altro obbrobrio giuridico). Tutto questo mentre piano piano il senso co-mune delle comunità locali è mutato, la paura dell’immigrato ha lasciato il posto in molti casi alla tolleranza e persino alla solidarietà, ed il campo è stato presidia-to da attivisti, volontari, comuni cittadini che non hanno mai fatto mancare il loro sostegno agli amici migranti, e con loro hanno condiviso pane, sorrisi e sigarette (e improvvisato bellissime jam session di pizzica tunisino-salentina). Niente caritas o pietas, ma la condivisione per italiani e tunisini della stessa identica voglia di li-

bertà; “Vive l’Italie” grida-vano gli amici tunisini sa-bato, davanti ai nostri oc-chi: e noi, con loro, abbia-mo guadagnato un barlu-me di speranza e una con-sapevolezza nuova.

Migranti che protestano nel campo di Manduria

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L’umanità di Manduria e il razzismo di stato

anduria, contrada paione. l’ex struttura militare che da due settimane è adibita a tendopoli per fronteggia-

re l’emergenza immigrazione è il teatro di una delle vicende più grottesche e nel-lo stesso tempo emozionanti degli ultimi anni. Grottesca per la gestione del cam-po, allestito in fretta e furia per accogliere dai duemila ai tremila tunisini, senza do-tarlo delle condizioni minime indispen-sabili di decenza per accogliere gli “ospi-ti”: per giorni niente luce né acqua calda, pasti rancidi ed il divieto di accesso cate-gorico per associazioni umanitarie e gior-nalisti. Ma il vero “capolavoro” del Gover-no sta nell’obbrobrio giuridico della strut-tura: né Cie né Cara, ma Cai (Centro di

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Una testimonianza dal campo dove sono rinchiusi migliaia di uomini e donne in fuga dalla guerra e dalla fame

accoglienza e identificazione), acronimo coniato per l’occasione con un vero gioco di prestigio. Quando sono cominciate le fughe di massa dei tunisini (all’inizio tol-lerate dalle forze dell’ordine), la sensazio-ne era quella che per loro la scelta fosse fra la padella (restare nel campo fatiscen-te) e la brace (nel tentativo di raggiunge-re la prima stazione e prendere il primo treno, il rischio per i migranti era quello di diventare clandestini e di essere ripor-tati, nella migliore delle ipotesi, nel cam-po bunker). ad aggravare la situazione, la

reazione delle comunità locali, con la na-scita di vere e proprie ronde dedite alla caccia all’uomo, volte a trovare il tunisi-no fuggiasco e riconsegnarlo alle autori-tà. l’altra faccia della medaglia, senza re-torica, sono proprio loro, i tunisini in fu-ga dal loro paese dopo il caos seguito alla “rivoluzione dei gelsomini”, desiderosi so-lo di raggiungere amici e familiari in Fran-cia o in altri paesi europei in cui la crisi batte meno forte, per poi magari torna-re nella loro amata terra ad acque più cal-me. Ne abbiamo incontrati tanti, in que-

ste frenetiche giornate, abbiamo raccolto le loro storie, ammirato la forza e la gioia con cui sabato 2 aprile hanno rotto il cor-done della polizia e si sono riversati fuori dal campo in un corteo che profumava di libertà e di dignità: hanno vinto parzial-mente la battaglia, visto che da allora il campo rimane un bunker inac-cessibile ma le condizio-ni igieniche sono miglio-rate, è arrivata la luce, i pasti si sono fatti decen-

Niente “pietas”o “caritas” ma la stessa identica voglia di libertà

recariare stanca, lavorare pure. In un contesto di mancanza di poli-tiche reali di diritto allo studio, ca-paci di permettere a studenti ca-paci e meritevoli di mantenersi il

proprio percorso di studi, la via del lavoro, precario, a nero, o regolare è la “soluzione” per poter continuare a studiare e sogna-re un futuro differente. Con ovvie ricadute sul piano del rendimento universitario, sul numero degli esami sostenuti, sulla quali-tà della preparazione, sul numero di anni all’interno dell’università. Negli ultimi anni, molti atenei, per ridurre il numero di stu-denti fuoricorso, hanno adottato la figura dell’iscritto non a tempo pieno ad un corso universitario: uno studente che, pagando una quota minore delle tasse universitarie,

può dilazionare il proprio percorso di stu-di nel doppio degli anni (da 3 a 6, per il con-seguimento del titolo di laurea Triennale), usufruendo di un proprio piano di studi. Un percorso utile per gli studenti lavorato-ri, ma anche per tutti coloro che, per moti-vi familiari o di altra natura, risulterebbero fisiologicamente fuoricorso e quindi non soggetti ai benefici delle attuali politiche di diritto allo studio. Tuttavia, tali possibilità sono ancora poco conosciute dagli studen-ti universitari. Dai recenti dati del CNsVU (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitari) si evince che le facoltà con un numero maggiore di iscritti a tem-po parziale sono le facoltà di architettura (10,53%), Ingegneria (5,95%) e scienze po-litiche (3,56%).

attenzione: non confondere lo “studente impegnato a tem-po parziale” con il c.d. “studente part-time”. lo studente part-time è uno studente che, ai sensi della l. 390/91 sul Diritto al-lo studio, collabora con l’Universi-tà per 150 ore ottenendo un contri-buto economico che varia a secon-da delle Università.

Tempo parziale vs part time

studente lavoratore?paghi meno tasse

P

Università di Leonardo Madio

Nel corso delle mobilitazioni del “Maggio barese”, contro la ri-forma Gelmini e contro l’aumento delle tasse universitarie, gli studenti hanno presentato un’altra-proposta di tassazione universitaria che prevedeva una maggiore diffu-sione dello status di studente a tem-po parziale e una tassazione comun-que progressiva e legata al reddito Iseeu dichiarato.

Bari, l’Altra proposta

In movimento

La figura dell’iscritto non

a tempo pieno. Un percorso

utile anche per tutti coloro che risulterebbero

fuori corso e quindi non

beneficiari del diritto allo

studio

sabato 9 aprile 2011 V

Prospettive

uardando i firmatari dell’appello si ha l’im-pressione di un puzzle composito, di mondi

diversi che si incrociano. Co-sa tiene insieme un archeolo-go e una giornalista, un por-tuale e un ricercatore preca-rio, un avvocato e un opera-trice di call center?Negli ultimi anni parecchi di noi si sono occupati nel proprio set-tore di precarietà. Ci siamo inter-cettati, nel tempo, nel corso di incontri e assemblee, e abbiamo capito di aver molto più punti in comune di quanto si potesse so-spettare. Ci accomuna una condizione di precarietà, che, in forme molto diverse, colpisce sia il lavoro ma-nuale più tradizionale sia il la-voro della conoscenza, il cosid-detto lavoro intellettuale. Ad ac-comunarci è un’assenza: assen-za di diritti, di congedi parentali, di diritto alle ferie, di accantona-menti per il Tfr. Ci accomunano dei vuoti, e questi vuoti ci hanno spinto a dire che avevamo mol-te cose in comune, e allora abbia-mo iniziato a costruire una rete

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«Serve una coscienza collettiva: abbiamo diritto ad avere diritti»G

Prospettive Dialogo con salvo Barrano, archeologo freelance, tra i firmatari dell’appello Il nostro tempo è adesso, tappa verso una mobilitazione stabile della generazione precaria

ritti. Non è semplice proporsi di aggregare i precari quando i precari puntano principal-mente a non esserlo più. Il bi-vio è sempre lo stesso: riven-dicare tutele per i precari o rivendicare l’uscita dalla pre-carietà?Bisogna distinguere: c’è tutto un settore della precarietà che al-tro non è se non un abuso, e va ricondotto all’interno delle tra-dizionali forme di lavoro, trami-te stabilizzazioni, lotte agli abu-si, controlli, e su questo il sinda-cato può svolgere ruolo impor-tante. Su altro fronte, invece, che è quello del lavoro autonomo, di vario tipo, deve intervenire un welfare universale, che funzioni in rapporto alla persona e non al posto di lavoro.Il rapporto con la politica è un punto critico per ogni mo-vimento. Tra gli aderenti alla mobilitazioni di oggi ci sono vari soggetti partitici, eppure le riforme del mercato del la-voro negli ultimi due decen-ni sono state portate avanti molto spesso in maniera bi-partisan. Come vi ponete su questo?Prendiamo che le politiche del lavoro negli ultimi 15 anni, sotto diversi governi, hanno prodotto questo quadro. Il bilancio politi-co è quindi misero, ed è sotto gli occhi di tutti: un milione e mez-zo di atipici, la precarietà nella pubblica amministrazione, ecc. Il fatto che, però, abbiano aderi-to sia il più grande sindacato ita-liano sia quasi tutti i partiti del centrosinistra è un segnale. Cre-do che su questo possano gioca-re un ruolo fondamentale le or-ganizzazioni giovanili, che sen-tono il problema e lo vivono sulla propria pelle.

per avanzare delle proposte in positivo, in modo che in futuro possiamo essere accomunati da dei diritti.E quali sono queste propo-ste?La prima è sicuramente la conti-nuità del reddito. Sia i lavorato-ri che sono discontinui loro mal-grado, sia coloro che, come i la-voratori dello spettacolo, hanno un lavoro che è discontinuo per forza di cose, non possono non essere sostenuti nei periodi in cui non lavorano. Poi chiediamo una riforma del welfare. Ora ab-biamo un welfare familistico: se hai un posto di lavoro hai diritti e uno welfare che ti tutela, se no non hai accesso ai congedi pa-rentali come a tante altre cose. Vogliamo una riforma del wel-fare in senso universalistico: i di-ritti universali devono essere ga-rantiti ai lavoratori a prescindere dal tipo di impiego e dalla forma contrattuale. Infine, il problema casa. Non è possibile che non ci sia una rete di protezione socia-le che preveda un diritto alla ca-sa. Così le persone sono lasciate preda del mercato. Queste sono

le nostro prime proposte. In ogni caso, per noi il 9 aprile non è un traguardo, ma una tappa all’in-tero del percorso. Confidiamo di andare avanti, fare ulteriore sin-tesi e arrivare a proposte più det-tagliate.Il percorso di preparazione della mobilitazione di oggi ha smosso un bel po’ di ener-gie in giro per l’Italia. Da do-

mani, come intendete proce-dere?Vogliamo consolidare la rete che si è formata, sia per scambiare esperienze, sia perché ci consen-ta di creare una coscienza collet-tiva, direi una coscienza di classe se non fosse un termine troppo impegnativo, che finora è stata troppo flebile. Dobbiamo riven-dicare il diritto ad avere dei di-

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1.La precarietà non è come la pioggia che cade dal cielo, bensì è il frutto di processi di ristruttura-zione produttiva e di politiche del lavoro ben precise, portate avanti da governi di centrodestra e cen-trosinistra. È pronto a invertire la tendenza verso la precarizzazio-ne, in atto da ormai 15 anni?2. Molti lavoratori precari non godono dei più elementa-ri diritti, dalla malattia allo scio-pero, dalle ferie ai congedi paren-tali. Si impegna a votare una leg-ge che stabilisca uguali diritti per tutti i lavoratori, che siano a tem-po indeterminato o a tempo in-determinato?3. Una grandissima parte dei contratti atipici contrabbanda per lavoro autonomo il normale lavoro subordinato. Si impegna a votare la cancellazione di queste figure contrattuali e a ricondurre tutto il lavoro dipendente all’in-terno dello stesso quadro con-trattuale?4. Il sistema italiano di wel-fare è basato su uno schema di rapporti produttivi che non esi-ste più e lascia scoperta una quo-ta sempre più ampia di persone. Si impegna a votare l’introduzio-ne di strumenti di welfare univer-sale?

Pronto a tagliare la precarietà?

Politica Facciamo 10 domande ai politici che oggi saranno in piazza con noi. la precarietà non cade dal cielo e non è neppure una condizione inevitabile. Per eliminarla servono fatti concreti

5. In particolare, si impegna a votare l’attuazione della risolu-zione 2010/2039(INI) del Parla-mento europeo, che invita gli sta-ti membri a introdurre un reddito minimo per promuovere l’inclu-sione sociale, pari almeno al 60% del salario medio nazionale?6. L’Italia in cui praticamente ogni famiglia ha una casa di pro-prietà, dopo 15 anni di precariz-zazione del lavoro, è ormai un ri-cordo, soprattutto per la nostra generazione. Si impegna a votare la promozione di politiche pub-bliche attive per il diritto all’abita-re, in grado di calmierare il mer-cato degli affitti?7. Il presidente dell’Inps Anto-nio Mastrapasqua, qualche mese tempo fa, ha dichiarato: «Se i pre-cari sapessero a quanto ammon-ta la loro pensione rischieremmo un sommovimento sociale». Si

impegna a porre fino allo scanda-lo della gestione separata, a sta-bilire chiarezza, trasparenza ed equità nella gestione dei contri-buti previdenziali dei lavoratori precari e a garantire la totalizza-zione senza riserve dei contributi indipendentemente dal fondo in cui si versa?8. La precarietà inizia nei luo-ghi della formazione. Migliaia di studenti, ogni giorno, partecipa-no a programmi di stage, tiroci-nio o alternanza scuola/lavoro, privi di qualsiasi tutela sociale e spesso anche di qualsiasi valore formativo. Si impegna a votare l’introduzione di uno statuto dei diritti degli studenti in stage, che stabilisca tutele, forme di welfare e criteri di qualità formativa?9.Moltissimi studenti e stu-dentesse, oggi, in Italia, sono co-stretti ad accettare lavori preca-

ri e spesso in nero per mantener-si gli studi e conquistare l’autono-mia dalla famiglia. Si impegna a votare la copertura totale degli idonei alle borse di studio, il po-tenziamento dei servizi pubblici legati a mense, trasporti e alloggi e l’introduzione di un reddito per i soggetti in formazione, già pre-sente in 25 dei 27 paesi dell’Unio-ne Europea?10.Il sistema produttivo ita-liano, in crisi, si ritaglia margini di profitto e competitività livel-lando verso il basso i diritti e i sa-lari invece che scommettendo sui saperi e sulla riconversione eco-logica dell’economia. Si impegna a votare un piano di investimenti su formazione e ricerca, che sap-pia rilanciare l’obiettivo della pie-na e buona occupazione, orien-tando la produzione in senso so-ciale e ambientale?