Documento Politico 2013 | Rete della Conoscenza

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Rete della Conoscenza Defender la alegria organizar la rabia Documento Politico 1

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Il documento politico approvato all'unanimità dalla IV Assemblea Nazionale della Rete della Conoscenza | Defender la alegria, organizar la rabia

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Defender la alegria organizar la rabia

IV Assemblea Nazionaledella Rete della Conoscenza

Frassanito (LE), 29-30-31 Luglio 2013

Documento Politico

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Tesi 1. In Europa e in Italia: processi costituenti e destituenti all'ombra della democrazia

La mutazione dei processi di governance a livello europeo e nazionale sono stati caratterizzati, negli ultimi anni, dalla convergenza verso un modello caratterizzato da una sostanziale eterodirezione delle scelte politiche da parte del capitale, in particolare quello finanziario. La dinamica di tali processi non è però lineare, ma ha delineato piuttosto nell'ultimo periodo l'emergere di fasi ri-costituenti, caratterizzate da un rapporto perlomeno contraddittorio con la legittimazione elettorale, che saranno determinanti nella configurazione futura delle istituzioni europee e nazionali.

Verso le elezioni europee: minacce e opportunità nel processo costituente del Vecchio Continente

Nei prossimi mesi accanto al dibattito politico italiano si svilupperà in maniera forte quello europeo, in vista delle elezioni europee del 2014 e di elezioni politiche importanti come quelle tedesche. Le elezioni europee saranno, più del passato, un terreno di scontro, e non solo a causa degli effetti della crisi finanziaria sul Vecchio Continente nel corso di questi cinque anni.

Per la prima volta nella storia dell'Unione Europea, infatti, il futuro Presidente della Commissione sarà eletto ufficialmente dalla maggioranza qualificata del Parlamento. In linea con quanto previsto dal Trattato di Lisbona, infatti, il Consiglio dovrà tener conto dei risultati delle elezioni del Parlamento europeo quando presenterà il suo candidato per la Presidenza della Commissione. Questo ha spinto molti uomini politici europei, come il britannico Andrew Duff (ALDE) o il Ministro delle Finanze tedesco Schaeuble (PPE) a sostenere che sarebbe necessario che le diverse famiglie politiche europee designino in anticipo il proprio candidato alla Presidenza, così che esso possa esercitare un ruolo attivo nella campagna elettorale. Si tratta di un segnale decisamente politico, che evidenzia il tentativo della classe dirigente di legittimare una guida politica forte in supporto alle politiche economiche europee.

Tuttavia è impossibile non domandarsi cosa significhi costruire oggi, con le condizioni storiche e i rapporti di forza attuali, un abbozzo di Europa politica.

Mentre in Europa le forze politiche costruiscono il proprio consenso nel merito

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delle questioni sociali ed economiche, il dibattito italiano, figlio di anni berlusconismo, sembra fossilizzato attorno ad un dibattito fatto esclusivamente di tatticismo politico. il risultato del M5S produce, in termini, un’anomalia sul piano europeo. Mentre il consenso in Europa, rompendo lo schema del bipolarismo, si orienta su forze politiche alternative e di sinistra, in Italia il Movimento 5 Stelle, rete di opinione e non organizzazione politica, raccoglie un consenso enorme costruendo una dialettica oppositiva verso la politica e le sue forme. Il rifiuto della propria condizione individuale immiserita viene così spostato, anziché su una dialettica di opposizione dei soggetti subalterni , su un attacco diretto alla politica, intesa come spazio oligarchico da destituire.

Gli strali della JP Morgan nei confronti delle Costituzioni europee antifasciste, 'ree' di difendere i diritti dei lavoratori, non sono un'uscita estemporanea ma rappresentano adeguatamente la tara del dibattito europeo, il suo sbilanciamento – emerso anche otto anni fa nell’ambito del tentativo di dotare l'Europa di una Costituzione – verso i cosiddetti 'diritti del mercato' e la politica monetarista. Lo spazio per un dibattito vero a sinistra sembra essere eroso in Italia, mentre negli altri Paesi Europei tanto le socialdemocrazie, tanto la sinistra di alternativa, sembra invece raccogliere fette ampie di consenso. Grecia, Portogallo, Spagna, Germania, Francia sembrano essere Paesi in cui esiste un sostanziale rapporto di forze e di dibattito a sinistra, che in Italia è completamente inesistente, a causa dell’inconsistenza della proposta politica a sinistra, incapace di rinnovarsi nella credibilità e nelle forme, e tra le forze provenienti da una tradizione socialista, o che dir si voglia, che hanno perso l’occasione elettorale di governare il Paese, schiacciandosi su un governo con le forze più populiste di sempre.

Nelle prossime elezioni europee dunque si intrecceranno due piani di dibattito, uno di breve-medio periodo e uno di lungo periodo: da un lato le diverse letture e le eventuali alternative alle politiche monetariste e al regime d'austerità imposto dalle istituzioni europee; dall'altro la ridefinizione dello spazio politico europeo. La vera sfida per i movimenti a livello europeo, connotati ancora da troppa frammentazione ed incomunicabilità e quindi nettamente in ritardo sui processi reali che si stanno sviluppando sul piano sovranazionale, è quella di partecipare ad entrambi i dibattiti cercando di produrre avanzamenti culturali e politici, per costruire un Europa democratica, attenta alle questioni sociali – per esempio il contratto collettivo europeo – tanto quanto alle questioni economiche, favorendo a differenza di oggi processi di convergenza fra le economie dei Paesi del Vecchio Continente. Anche qui il rapporto tra politica e movimenti diventa centrale per costruire un salto di qualità. L’Italia dimostra che le lotte sociali, senza risposta politica, possono sfociare in un consenso non per forza “a sinistra”. Una lezione che non varrà, nei prossimi anni, solo per l’Italia.

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Se le organizzazioni sociali falliranno in questa missione, ci sarà ancora più spazio libero per il 'terzo polo' di questa contesa, quello delle forze che ormai è un eufemismo definire euroscettiche, xenofobe e razziste. Esse governano già in alcuni Paesi come l'Ungheria e si candidano, nel 2014, a far regredire il processo di integrazione europea a prima del Dopoguerra, cavalcando la rabbia popolare e il diffuso sentimento generalmente antieuropeo, antipolitico e antifinanziario. Non possiamo accettare un dibattito sul futuro dell'Europa che si sviluppi sul piano europeismo/antieuropeismo, senza alcun ancoraggio alle questioni di sostanza: queste posizioni sono nei fatti due facce della stessa medaglia.

Dalla speranza di cambiamento alla strutturalità dell'emergenza: il Governo Letta

Nel periodo di passaggio dal governo tecnico di Mario Monti al governo delle larghe intese di Enrico Letta sono emerse diverse condizioni che hanno contribuito a riconfigurare il panorama parlamentare, rimasto dunque solo apparentemente immutato. Non ci riferiamo semplicemente al risultato del Movimento Cinque Stelle, che ha rafforzato la percezione ventennale di una società segnata dalla subcultura dell'individualismo, ma ad un’assenza di spazio per una lettura organica dei fenomeni collettivi, o per un'autoidentificazione 'di massa' come quella di classe.

La campagna elettorale del 2013 ha permesso alle coalizioni politiche 'classiche' di ricostruirsi un'apparente credibilità dopo l'esperienza dell'Esecutivo Monti, caratterizzato dalla piena continuità nelle politiche liberiste del precedente Governo Berlusconi, aggravate dalla stretta imposta dalle politiche d'austerità europee. Da un lato la coalizione di centro-destra ha tentato di smarcarsi dal governo ben prima della fine naturale della legislatura, costruendo una discontinuità fittizia e propagandista dai toni antieuropei e populisti. Nel campo del centro-sinistra, caratterizzato da una maggiore fedeltà al Governo, invece la ricomposizione tra le forze che avevano sostenuto Monti e quelle che, fuori dal Parlamento, ne avevano stigmatizzato gli evidenti tratti liberisti è nata sulla linea della discontinuità, confidando nella tenuta dello schema dell'alternanza tipico delle democrazie occidentali. Solo la coalizione di centro è rimasta fedele alle politiche del Governo Monti, uscendo ampiamente ridimensionata dalla consultazione elettorale, mentre le forze a sinistra del centro-sinistra e a destra del centro-destra hanno dimostrato la loro inconsistenza elettorale. Mentre in Europa le forze politiche costruiscono il proprio consenso nel merito delle questioni sociali ed economiche, il dibattito italiano, figlio di anni di berlusconismo, sembra fossilizzato attorno ad un dibattito fatto esclusivamente di tatticismo politico. Il risultato del Movimento Cinque Stelle produce un'anomalia sul piano europeo. Mentre il consenso in Europa, rompendo lo schema del bipolarismo, si orienta su forze politiche

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alternative e di sinistra, in Italia il M5S, rete di opinione e non organizzazione politica, raccoglie un consenso enorme costruendo una dialettica oppositiva verso la politica e le sue forme. Il rifiuto della propria condizione individuale immiserita viene così spostata, anziché su una dialettica di opposizione dei soggetti subalterni, su un attacco diretto alla politica, intesa come spazio oligarchico da destituire.

Tuttavia il risultato delle elezioni - anche al netto della legge elettorale e dell'anomalia del Movimento Cinque Stelle, che peraltro esprimeva anch'esso una netta volontà di cambiamento - ha determinato la riproposizione del clima emergenziale nel quale 15 mesi prima era nato il Governo Monti. La prima incongruità sostanziale da sottolineare, dunque, è che paradossalmente, a seguito di una campagna elettorale giocata sulla discontinuità totale, si è realizzato come strutturale lo “stato di emergenza”, ormai “topòs” di questa fase politica non solo italiana, contraddistinta dalla sostanziale sospensione della democrazia. La rielezione del Presidente della Repubblica Napolitano nasce a partire da un preciso mandato politico, che muta la Costituzione materiale per rendere questa fase storica un momento ri-costituente della struttura istituzionale italiana, ovvero di ricomposizione istituzionale. Anche sul piano della Costituzione formale le paventate modifiche alla Carta, a partire dal tentativo di riformare l'art. 138, si profilano come totalmente funzionali a tale disegno ri-costituente, un processo certamente da non sottovalutare.

La composizione del Governo Letta, inoltre, ci restituisce anche i segnali di un tentativo ri-costituente politico, inedito nelle forme e nella sostanza. L'area politica facente riferimento alla tradizione centrista ex-democristiana è sovrarappresentata e relativamente coesa, anche in confronto alla frammentazione dei diversi partiti cui i rappresentanti di tale area fanno riferimento. Il tentativo è quindi quello di una ricomposizione politica che, per la prima volta nella storia italiana, si sviluppa oltre e nonostante i partiti (forse anche nonostante i governi), spesso superando i loro dibattiti interni, e delegittimando ulteriormente le forze politiche anche nel loro ruolo di istituzioni sociali. Per quanto rispetto al passato la sua composizione ideologica risulti maggiormente sbilanciata verso la tradizione liberale-liberista piuttosto che quella cattolica, quest'area politica mantiene in ogni caso la sua caratteristica di garanzia e conservazione degli equilibri del potere di mercato. Nel tentativo di auto-conservazione di schemi politici, finanche nella riproposizione di modelli da Prima Repubblica, vi è però una profonda mutazione genetica della politica: la perdita totale della funzione dialettica del Parlamento, la scomparsa definitiva di un consenso fatto dalla rappresentanza di istanze, la distruzione completa delle culture politiche.

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Tesi 2.La crisi economica e sociale

La crisi economica scoppiata nel 2007-8 sta avendo delle ricadute sociali disastrose, seppur differenziate, nei Paesi dell'Eurozona che rendono in qualche modo evidente a tutti l'origine strutturale e non contingenziale di questa crisi. La crisi economica continua a configurarsi innanzitutto come una riorganizzazione a livello mondiale degli assetti produttivi nazionali. Esiste un Occidente a due velocità che vede alcuni Paesi e classi dirigenti governare la crisi preservando i propri interessi economici e finanziari, mentre altri la subiscono, pagando maggiormente le conseguenze delle politiche di austerity e di contenimento della spesa pubblica: emblematica in tal senso è l'inserimento, ad aprile 2012, dell'obbligo di pareggio di bilancio nella Costituzione italiana e in molte altre costituzioni europee. Questi Paesi, nonostante le differenze strutturali dei propri modelli economici e finanziari, si trovano stretti nella stessa competizione al ribasso sulla qualità del mercato del lavoro con i nuovi Paesi manifatturieri, l'est Europa da un lato e i cosiddetti BRICS dall'altro. La flessibilizzazione del lavoro nel “Sud” Europa (un Sud non geografico ma economico) si è rivelata in questo senso una risposta totalmente fallimentare: non ha infatti reso più competitivi i mercati europei, che hanno standard di contrattazione troppo alti a confronto, e si è sostanziata esclusivamente nella cifra della precarietà. Mentre quindi i Paesi “emergenti” si trovano oggi a subire il primo contraccolpo della crisi dei loro tradizionali importatori e iniziano già ad investire in innovazione e ricerca proprio con l'obiettivo di salvaguardare le proprie economie nazionali, Paesi come l'Italia, la Spagna e la Grecia si trovano affossati, seppur per differenti motivi, in situazioni di stallo produttivo e forte impoverimento sociale, con tassi di crescita fermi allo zero o preceduti dal segno meno. E' necessaria e improcrastinabile quindi, specie in vista delle prossime elezioni europee, una prospettiva di conflitto sul piano continentale che contrasti il modello impostoci in questi anni e rivendichi un'Europa sociale, fondata sui diritti e la dignità delle persone. Lo sciopero generale europeo dello scorso Novembre, nonché esperienze quali Blockupy Frankfurt a Maggio, sono state in questa direzione tappe importanti perché segnano da un lato il tentativo compatto delle popolazioni colpite dalla crisi di rompere il muro di silenzio costruito attorno alle politiche di austerità, dall'altro rappresentano la possibilità reale di una ricomposizione europea delle lotte. E' necessario per noi pertanto porre, in un dibattito pubblico sull'Europa come quello italiano, che

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rischia di rimanere schiacciato tra posizioni polarizzate (tra europeisti acritici verso l’UE e euroscettici a prescindere), la necessità di individuare nella democrazia e nel welfare a livello europeo degli strumenti per dare una risposta alla grossa ipoteca che l'austerity di questi anni ha posto sul futuro di un'intera generazione. È necessario dunque interrogarsi sull'utilità strategica di creare un percorso di mobilitazione contro l'austerità declinando il tema della giustizia sociale in chiave welfaristica.

In Italia sono quasi 9 milioni le persone tra i 15-64 anni che non hanno un lavoro o ne hanno uno saltuario e insicuro. Per la prima volta, a maggio, sono risultati in diminuzione anche il numero dei lavoratori precari. La disoccupazione dei giovani compresi tra i 15-24 anni si attesta ad aprile 2013 al record inquietante del 39% (era al 32,6% nello stesso trimestre del 2011) e colpisce maggiormente le donne, specie nel Mezzogiorno (al 56,1%), mantenendo a differenza di molti altri paesi europei un forte divario di genere in termini occupazionali anche tra le giovani generazioni. A tutto ciò si devono poi aggiungere circa due milioni di NEET (Not in Emploiment nor in Education), circa il 20% della popolazione giovanile. Questi dati scattano una fotografia preoccupante di un'Italia in crisi, ma da soli non bastano forse a farci immaginare la pervasivisità dell'impoverimento di cui le politiche di questi anni sono complici. Dobbiamo infatti considerare come da un lato la precarizzazione del mondo del lavoro, unita ad un modello di welfare inadeguato e familista, si sia accompagnata a un generale abbattimento degli standard di vita delle persone e come dall'altro essa abbia alle spalle un mondo della formazione oramai distrutto. Il rapporto ISTAT 2013 ci mostra ad esempio come quest'anno, a fronte di una ridotta caduta del PIL (di 2 punti percentuali rispetto all'anno precedente), i consumi siano crollati vertiginosamente, di 4 punti; questi dati dimostrano una progressiva redistribuzione del reddito dal basso verso l'alto come conseguenza principale dell'attuale modello di governo della crisi economica. Nel frattempo fa breccia il mantra della colpevolezza, che scarica sulle passate generazioni e sull’inadeguatezza di quelle odierne la responsabilità dei drammi attuali. Siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità? I dati ci dicono piuttosto che, con la progressiva erosione del ceto medio, la forbice tra i settori sociali favoriti (nonostante tendano anche questi ad assottigliarsi) e le persone in condizioni più disagiate tenderà ad aumentare se non vi saranno interventi seri per rilanciare il welfare e incentivare l'occupazione. L'altro dato che bisogna considerare è l'espulsione di massa delle studentesse e degli studenti dai percorsi di formazione: il progressivo calo degli iscritti all'università (meno 70 000 studenti dal 2004) e il tasso di dispersione scolastica fisso al 18% (con una media europea al 10%) ci descrivono infatti una marginalizzazione sociale giovanile in perfetta continuità con quella più generale sopra descritta. L'attacco ai saperi e l'attacco al lavoro sono mossi

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dalla stessa volontà politica: mettere all'angolo non i saperi tout court ma quelli inutili alle logiche di mercato, siano esse teorie economiche eterodosse o intere discipline. Interessante è ad esempio in questo quadro l'esodo massiccio che le facoltà umanistiche delle università italiane, più di altre, hanno subito in questi anni: in 10 anni gli studenti di Storia, Lettere e filosofia sono dimininuiti del 26,8%, per le aree sociali l'emorragia è stata del 28,7%. Non sono soltanto gli studenti a non iscriversi più all'università o ad indirizzarsi verso facoltà tecniche o sanitarie, spinti dalla paura di non trovare lavoro, il calo è una delle conseguenze certificate dei definanziamenti che, non casualmente, colpiscono alcune discipline in modo più accentuato e specifico. Le scuole e le università in quest'ottica servono a serrare le fila di un enorme esercito di riserva, da gettare in pasto ad una giungla contrattuale priva di diritti e tutele, che richiede in generale bassi livelli di qualifica.

Troppo spesso oggi, a questi drammi collettivi, l'unica risposta che si riesce a dare è individuale e segnata dalla disperazione (in Italia il tasso di suicidi è aumentato del 40% nei soli primi mesi del 2013) o dalla violenza individuale. Allo stesso tempo in questi anni non è diminuita ma è anzi aumentata la conflittualità sindacale: quasi 2 scioperi al giorno dal 2011 al 2012 nei servizi pubblici essenziali. Questi elementi, assolutamente non comprensivi della complessità della situazione, sono solo apparentemente contrastanti. Ci dicono entrambi probabilmente due cose: da un lato che oggi, a causa della forte frammentarietà delle relazioni sociali e lavorative, è in bilico la corrispondenza tra problemi collettivi e risposte collettive organizzate (corrispondenza non già di per sé meccanica ma oggi necessaria più che mai), dall'altro che l'assenza di una prospettiva generale di conflittualità, coerente dunque anche con il diritto alla salute, la tutela delle risorse naturali e del paesaggio e la cultura della pace, depotenzia ogni singola battaglia e perde nel contrasto di un capitalismo che invece si fa sempre più pervasivo e totalizzante.

In questi anni, con i tanti soggetti con cui abbiamo costruito il movimento, siamo riusciti a imporre al dibattito pubblico del Paese il tema della precarietà, non intesa come una relazione lavorativa strictu sensu ma nella sua dimensione più esistenziale, come ricattabilità e assenza totale di prospettive future. Non sono mancate pertanto esperienze sociali che hanno provato a rappresentare questa condizione, non vedendola in uno schema di contrapposizione tra garantiti e non garantiti ma facendone anzi una battaglia generale per l'estensione dei diritti di cittadinanza. Queste esperienze agivano collateralmente e in seno ad un’assenza grave e ancor’oggi irrisolta del sindacalismo, sia confederale che di base, il quale non è riuscito a porsi fino in fino come un problema il fatto che una fetta sempre più ampia dei lavoratori è esclusa dalla contrattazione nazionale, quindi sostanzialmente sola di fronte al datore di lavoro e lontana dalle forme, dai tempi e dai luoghi soliti dell’aggregazione sindacale. Il fallimento di queste esperienze, sviluppatesi tra

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l'altro con prevalente forza solo tra i lavoratori molto qualificati (nel mondo del giornalismo, della scuola, etc... ), e il peggioramento – complice la Riforma Fornero - delle condizioni di isolamento di chi vive una vita precaria è in un certo senso l'eredità che ci troviamo costretti a raccogliere dopo questi anni. Tante e non sottovalutabili sono inoltre le lotte sociali che, continuative e partecipate, attraversano ad oggi i territori: dalle battaglie contro le grandi opere e la devastazione ambientale a quelle in difesa del diritto alla casa fino alle vertenze aperte per la riappropriazione di servizi pubblici svenduti o ridimensionati a causa dei tagli agli enti locali (sanità e trasporti in primis). Questi elementi ci delineano la mappa escandescente di un Paese che è ben lontano dall'aver subito supinamente le politiche del rigore ma ci rimarcano allo stesso tempo l'assenza di un percorso di generalizzazione già tracciato e percorribile.In questo quadro le battaglie della FIOM hanno giocato da apripista e da collettori di istanze, sono riuscite cioè a centrare la necessità di una fase ricostituente che parta dalle lotte sociali.

La democrazia – questo il punto – non è un fatto ma un fare, un processo costitutivamente in fieri il cui sviluppo non può essere relegato semplicemente nei luoghi della rappresentanza politica, ma deve necessariamente essere posto nei luoghi di lavoro, della formazione, negli spazi di costruzione della mobilitazione. Il filo che ha visto “compatibili” per decenni lo sviluppo del capitalismo col progresso democratico, e che è oggi ancora esaltato dalla narrazione comune e dagli attori nostrani della pacificazione sociale, si è rotto: la crisi democratica profondissima che viviamo interroga tutti, esige che si riparta da essa, dalla rappresentanza sociale e politica e dalla partecipazione effettiva dei cittadini ai processi decisionali. Si tratta oggi di palesare l'inconciliabilità totale che c'è tra un’idea di democrazia che non può definirsi tale senza giustizia sociale, e il modello di sviluppo che si sta provando a salvare. In quest'ottica l'accordo intersindacale del maggio scorso non esaurisce la necessità di una legge nazionale sulla rappresentanza che renda valide erga omnes le regole sulla rappresentanza e sulla quale è necessario che l’organizzazione sostenga le proposte già in campo e quelle di chiunque si faccia portatore di tali istanze. Il tema della democrazia sindacale è infatti a tutt'oggi ancora non esaurito, e riguarda la democrazia interna delle strutture sindacali, il ruolo della rappresentanza, il supporto di alcune strutture sindacali alla governance delle aziende nella direzione opposta agli interessi dei lavoratori rappresentati.

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Tesi 3.La Rete e gli altri

Con un Governo dai tempi incerti e forze politiche ormai balcanizzate, il rischio che si corre nel sociale è che si proceda con una logica di partigianeria che porti la medesima frammentazione che sta vivendo l’agone politico. Mai come ora serve un’opposizione sociale indipendente e maggioritaria, nelle rivendicazioni come nelle pratiche.In questo la Rete della Conoscenza deve agire da soggetto indipendente. Non vi sono governi amici, come abbiamo sempre detto, e quindi riconosciamo qualsiasi Governo come controparte a cui porre le nostre rivendicazioni. Tuttavia non possiamo stare a guardare dalla finestra il processo di riforma dell’assetto costituzionale, processo deciso e impostato dalle tecnocrazie europee e nostrane.Per questo motivo, durante il prossimo autunno, dobbiamo affiancare all’opposizione sociale una forte contrarietà politica allo svilimento della nostra democrazia parlamentare. Per fare ciò, però, dobbiamo sapere che oggi l’opposizione all’attuale Esecutivo non è già data o, per meglio dire, vi è un’opposizione meramente di pancia, ormai pervasa dall’antipolitica. Se dunque va attivata anche un’opposizione politica all’attuale Governo per vigilare affinché non vi sia un ulteriore attacco alla nostra costituzione materiale, le contraddizioni si potranno aprire solo con il tempo, focalizzandole in seno al paradigma politico delle Larghe Intese. In un quadro polarizzato tra Governo delle larghe intese e opposizioni, in particolare quella del M5S, il rischio in cui incorrono i movimenti è di essere risucchiati e strumentalizzati nel dibattito politico. Parallelamente sarebbe miope per la nostra organizzazione chiudere le porte all’interlocuzione con le forze politiche. Proprio per la loro forte balcanizzazione interna, chiudere le porte oggi vorrebbe dire precludersi la possibilità di aprire contraddizioni, in particolare attraverso l’interlocuzione con partiti o parti di essi che andranno a congresso nel prossimo anno e che potrebbero vivere un forte rivolgimento interno. Dobbiamo quindi aprire le contraddizioni su un piano politico e sociale, contraddizioni che ci aiutino a ribaltare gli attuali rapporti di forza. Il sociale e la forza della coalizioneNegli ultimi anni in Europa e nel mondo sono nati diversi modelli di relazione dentro il mondo del sociale (associazioni, movimenti, sindacati, ecc.) e tra il sociale e il politico.In Brasile vi sono numerose forme di confronto dei diversi movimenti sociali tra

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di loro e con i partiti (anche quello di governo), in Grecia i sindacati, le associazioni e i movimenti stanno costruendo vaste reti di solidarietà con l’ampliamento di esperienze di mense sociali, ambulatori autogestiti, etc. In quel quadro Syriza si colloca alla pari degli altri soggetti, spesso togliendo le insegne dalle proprie sezioni e trasformandole in Gruppi di Acquisto Solidale.Questo modello greco come quelli sud americani rintracciano la loro ricchezza nelle differenze tra i vari attori in gioco e non, come è stato a lungo nel ‘900, su legami identitari. L’Italia, purtroppo, non riesce ancora a sperimentare relazioni tra soggetti sociali e politici che abbiano questa maturità e che, nella totale indipendenza, riescano a costruire confronto e avanzamento.

Dopo il 15 ottobre del 2011 in Italia il sociale si è chiuso a riccio. Ognuno ha ipotizzato opzioni politiche diverse, tanto che la nostra organizzazione, che nell’Assemblea Nazionale a Genova si era posta l’obiettivo di costruire una coalizione sociale attorno alle Leggi sul Futuro, si è vista chiudere le porte da pressoché tutti gli interlocutori. La responsabilità non è stata forse solo degli altri: probabilmente non è questa la fase in cui si costruiscono coalizioni sociali “generali”, ma va perseguita la pratica della coalizione sociale tematica, che nasca attorno a rivendicazioni paradigmatiche che riescano a creare consenso maggioritario attorno a sé.Parallelamente, le grandi battaglie che avevano attraversato il Paese hanno vissuto un forte riflusso, a partire da quella per l’acqua pubblica, e i grandi corpi intermedi hanno teso ad arroccarsi su sé stessi senza aprire processi di allargamento e generalizzazione della mobilitazione; chi non ha fatto questo ha perseguito mobilitazioni di carattere minoritario, cedendo spesso al politicismo. E’ necessario che i nodi locali della Rete della Conoscenza siano capaci di interloquire con le vertenze territoriali oggi aperte. Dal NoMuos al NoTav, dalla difesa della sanità locale alle vertenze sui trasporti, la nostra organizzazione deve stare in queste lotte, a partire dalla campagna nazionale sul welfare “Non c’è più tempo”, cornice utile per includere varie lotte in un medesimo spazio rivendicativo e farle uscire dal rischio di corporativizzazione o dal rischio di creare movimenti NIMBY (Not In My Backyard).Sul piano nazionale la nostra associazione deve porsi l’obiettivo non solo e non più di costruire un vasto movimento studentesco ma, contemporaneamente, di rilanciare un vasto movimento d’opinione che porti i singoli cittadini, al pari delle realtà organizzate, a sostenere le nostre battglie: per questo servirà, nella prossima fase, un piano comunicativo e d’immaginario capace di mobilitare gli animi e i corpi anche di chi oggi non vive più i luoghi della formazione da molto tempo. L’esperienza del referendum bolognese per i finanziamenti degli asili pubblici diventa paradigmatico sia del modo in cui, al pari di quello che fu il Referendum nazionale sull’acqua pubblica, una battaglia particolare è stata generalizzata poiché ha parlato di modello sociale e modello di sviluppo del territorio sia dell'occasione, sicuramente da riprodurre, per costruire dibattito pubblico.

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Anche Io Voglio Restare, nel momento del suo lancio, è riuscita ad aggregare tante individualità che si riconoscevano nelle condizioni sociali della precarietà esistenziale e che cercavano un luogo di confronto e azione collettiva.

Oggi serve rilanciare forme di lotta e di conflitto che si avvicinino agli individui, pur senza abbandonare le pratiche che abbiamo utilizzato fino ad oggi. Non possiamo pensare che la crisi individualizzi sempre maggiormente la società e noi non ne teniamo conto. Dalle pratiche di lotta individuale come il boicottaggio, la disobbedienza civile, le bandiere stese ai balconi, la contestazione della lezione fino a giungere a pratiche mutualistiche e solidaristiche, dobbiamo partire dalle singolarità per ricostruire società. Per fare questo dobbiamo avere in mente la produzione di movimenti sociali in cui ognuno possa contribuire ma, allo stesso tempo, un movimento che si regga su una molteplicità di reti.

Come scritto all’inizio di questo paragrafo parlando dei movimenti in Grecia o in Brasile, noi non possiamo pensare di riprodurre movimenti sociali basati sulla purezza identitaria, ma movimenti ampi che riescano a essere inclusivi e non escludenti. Se la nostra associazione vuole mettersi al centro di processi ricompositivi e di dialogo tra pezzi di società civile organizzata e individui deve avere questa consapevolezza della necessità di creare coalizioni sociali flessibili e a geometrie variabili in cui si è in grado di costruire sintesi dal dialogo e non dialogo dalla sintesi.

Tesi 4.Welfare, lavoro, modello di sviluppo: il ruolo della Rete per un movimento generale

Costruire un piano generazionale vuol dire cominciare a tracciare una prospettiva ampia di soggettivazione per i soggetti in formazione. Se infatti i processi di mercificazione e privatizzazione dei saperi hanno determinato, in questo ventennio, gli elementi strutturali per una condizione unitaria, se non unica, del mondo della formazione, dobbiamo riconoscere che questa condizione è solo un frammento dell’universo costitutivo della precarietà. Costruire un processo di soggettivazione nuova e ampia, dunque, significa partire dal portato generazionale, per una ragione ben precisa: siamo la prima generazione costretta a vivere in misura diretta l’intera piaga della precarietà, senza nessun sistema di welfare esistente, essendo profondamente in crisi anche il welfare familista, senza una possibilità tangibile di lavoro stabile, con

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salari bassissimi, con un modello di sviluppo/crescita che, non solo non ha nulla di sostenibile, ma non produce nemmeno livelli di ricchezza ulteriore.

Questo scenario è inevitabilmente causato da un’altra generazione politica, non la nostra, ma quella dell’attuale classe dirigente, chiusa nei palazzi e sorda alle istanze sociali di milioni di cittadini. Flessibilità, devastazione del territorio, post-industrializzazione e assenza d’investimenti in ricerca sono i binari della crisi italiana. Ciò costringe inevitabilmente un’intera generazione a vivere la precarietà come una condanna, a non poter “godere” di “ricchezza”, sia essa frutto di lavoro subordinato che di iniziativa auto imprenditoriale, ed a vedere i propri diritti completamente cancellati. Come in un nuovo Medioevo, la precarietà, condizione tridimensionale si bilancia tra nuove e vecchie forme di alienazione/sfruttamento, è caratterizzata da un sistema neofeudale di gestione dei poteri dentro e fuori i luoghi del lavoro. Essa è incapace di produrre anche un livello di “benessere medio”, non solo nel breve ma anche nel lungo periodo (basti pensare all’impossibilità della pensione, e quindi alla certezza di un destino di vita infelice anche a lungo termine), nell'ambito della proletarizzazione di una parte del ceto medio.

Viviamo, quindi, in un Paese destinato alla diseguaglianza e condannato ad essere tagliato a metà tra grandi ricchezze e povertà diffusa. Questo panorama ricade sul piano generale di tutte e tutti, ma in particolare sulla nostra generazione. Porre l’accento su questo significa costruire un immaginario nuovo che ponga la necessità di un riscatto della libertà e della dignità delle persone; un immaginario che sia quindi capace da un lato di inquadrare nella lotta per la ridefinizione del modello sociale e di sviluppo le battaglie per i saperi liberi, il lavoro, la giustizia sociale e la democrazia, dall’altro lato esso deve sapersi declinare sul piano individuale, fungere da stimolo per una presa di consapevolezza di quei milioni di giovani che oggi vivono sotto il ricatto, al limite della soglia della povertà, sempre prossimi alla disoccupazione incalzante. Una prospettiva generale di mobilitazione, deve essere messa a partire dal prossimo Autunno e per la prossima stagione di mobilitazione: va costruito un fronte di opposizione ampio, sociale e di movimento, che rimetta a sistema il tema della democrazia, del rapporto tra chi governa e chi è governato, delle risposte alle istanze sociali e democratiche che vengono dai movimenti. Tali temi in particolare vanno considerati come qualificanti rispetto al nostro impegno nella lotta per l'attuazione della Costituzione.

Per questo, si tratta di capire come contribuire a ridare funzionalità alla “Campagna Io Voglio Restare”, partendo dai suoi limiti, ma soprattutto dalle sue potenzialità. Ad oggi la campagna è arrivata a centinaia di giovani ed è un ottimo canale di informazione, di opinione e pressione politica. Inoltre la campagna ha aggregato diverse persone su alcuni nuclei territoriali. Con queste dovremmo affrontare un ragionamento collettivo su come costruire da

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subito, su un piano eventuale di mobilitazione ampio e generale, uno spazio di discussione, aggregazione e mobilitazione di una generazione che non vive solo scuole e università, ma i luoghi del lavoro precario, se non subisce addirittura il dramma della disoccupazione. Le vertenze messe in campo con la campagna sul welfare potrebbero essere intrecciate sul piano locale, provando a porre in maniera più ampia la questione generazionale come un’intera questione sociale a cui bisogna rispondere con politiche sociali, sia sul piano municipale, che regionale. La Rete della Conoscenza, quindi dovrebbe provare a costruire nei prossimi mesi questo duplice piano: uno sulle relazioni di movimento, con le strutture e gli attori sociali che saranno in grado di produrre mobilitazione reale sul piano nazionale e territoriale, e un’altro più vasto, sul livello cittadino, provando a convogliare nella mobilitazione autunnale una componente più ampia di quella studentesca. Bisogna immaginarsi quindi un movimento studentesco capace, come negli anni migliori del ‘900, di costruire una spinta generale ampia, capace di parlare a tutti e di coinvolgere oltre la propria base.

Non c’è più tempo. Il welfare territorialeTenere i piedi saldi nella realtà significa innanzitutto non dimenticare la spinta sindacale, cioè quella che ci fa partire dalle condizioni materiali, da chi siamo e da chi rappresentiamo. Fare questo vuol dire partire dal contesto di crisi profonda che stiamo vivendo in questi anni e provare a lottare e costruire delle vittorie sui territori in grado di invertire la tendenza dell’impoverimento delle nostre condizioni di vita. Bisogna quindi dare continuità alla campagna partita in questa Primavera “Non c’è più tempo”, che come caratteristica operativa metteva al centro il tema della campagna sul welfare e sul diritto allo studio.Per costruire un autunno rinnovato nelle rivendicazioni e nelle pratiche in una fase politica cambiata, dobbiamo riuscire a non incorrere negli errori storici commessi dalle nostre organizzazioni. Non ci possiamo permettere, in questo senso, di disperdere il patrimonio di vertenze territoriali, certo sparse e da coordinare, messo in piedi in quest’ultimo anno tramite la campagna. Questo Autunno quindi il ruolo principale della Rete, sia sul piano nazionale (coordinando la campagna), sia sul piano locale (bilanciando alcune energie sulle vertenze messe in atto) deve essere quello di integrare le nostre rivendicazioni dentro il piano della mobilitazione. Costruire un percorso in grado di intrecciare le questioni territoriali con la mobilitazione generale è una lezione che molte esperienze territoriali hanno imparato (la lotta contro le grandi opere ne è un esempio) e che però noi non siamo riusciti ancora a tradurre sul piano delle vertenze sociali, sul piano del welfare e del diritto allo studio. Naturalmente l’idea del territorio è più forte, come immaginario, di quella dei saperi, tuttavia quest’ultimo tema non è assolutamente meno importante. Dobbiamo quindi fare della lotta per l’accesso al sapere, per il reddito e il welfare municipale, una pratica strutturale e paradigmatica che parli su un piano culturale, oltre che politico, all’intera città. Il nodo della Campagna “Non c’è più Tempo” deve essere quindi necessariamente organizzativo, prima che

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politico. Bisogna costruire nei territori una comunicazione efficace dentro scuole, università e città, aprirsi alla cittadinanza tramite vertenze capaci di agire su un piano di contrattazione sociale reale. In questo modo compiremo un notevole salto di qualità sul piano politico, qualificando la nostra organizzazione sia nella sua dimensione generale, che nella sua capacità di declinarla sul piano territoriale.

Tesi 5.Ribaltiamo il tavolo: la lunga marcia per riconquistare i saperi

La scuola, l'università e la ricerca sono ad oggi ambiti sostanzialmente privatizzati. Negli ultimi anni sono state gettate le basi perché questo processo, il cui inizio si può collocare nei primi anni '90, giunga a compimento. La questione non si limita al progressivo venir meno dello Stato nel finanziare la formazione e la ricerca e al tentativo di obbligare gli Enti che se ne occupano a reperire fondi privati, ma riguarda soprattutto la logica che si è negli anni imposta alla base del sistema di formazione e ricerca e nella cultura nel suo complesso: l'idea che la validità di ciò che si studia, si insegna e si elabora debba essere valutata in base alla capacità di produrre profitto o di essere spendibile sul mercato.Da questo punto vista assume un ruolo fondamentale la didattica. Per molti anni ci siamo giustamente interrogati su come si insegnava, si apprendeva e si studiava, oggi è centrale interrogarsi anche sul cosa si studia, si insegna, si apprende, per riuscire a tracciare il ruolo dei saperi all'interno della crisi. L'appello per Riscrivere le lezioni di economia è paradigmatico da questo punto di vista: non si può parlare della crisi economica attuale senza criticare anche le teorie economiche che hanno ispirato e continuano ad ispirare le politiche dei governi occidentali e senza denunciare che queste teorie vengono ancora oggi insegnate come verità assolute in molti Atenei italiani, probabilmente nella totalità.Quello dell'insegnamento dell'economia è solo un esempio. Un altro esempio è la totale assenza di un'ottica di genere nei programmi scolastici e in molti casi anche universitari.Senza voler creare automatismi semplificatori, possiamo dire che ciò che viene insegnato oggi ha un'influenza su ciò che sarà la società di domani e che non si possono denunciare e criticare l'attuale modello socio-economico senza criticare anche i saperi e le teorie che ne stanno alla base. Per questo aprire momenti di confronto critico con gli stessi docenti sull'insegnamento di una determinata disciplina, integrare la didattica canonica con seminari, proporre

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progetti formativi è oggi quanto mai importante.

Con il Manifesto per la liberazione dei saperi la Rete ha avviato una discussione a tutto tondo sul tema dei saperi, nella consapevolezza che non si può incidere radicalmente su un tema senza tenere conto degli altri. Non si può parlare della circolazione dei saperi senza affrontare come questi vengono prodotti (ad esempio il tema della ricerca e della valutazione, quello delle riviste scientifiche, ecc...) e le possibilità di fruizione dei saperi. Ad oggi, serve rimodulare quello strumento, abbandonato nel corso dell’Autunno, per aprire una riflessione ampia e trasversale tra forze politiche, sociali e di movimento, provando a coinvolgere le migliori intelligenze di questi anni. Il tema dei saperi liberi è una riflessione paradigmatica, che ha bisogno di essere analizzata a fondo, guardando non solo quindi al ruolo dell’istruzione, ma alla funzione sociale dei saperi e alla capacità di questi di trasformare, tramite una lettura nuova della situazione odierna, l’economia, il lavoro, l’ambiente, il genere, la società.

La consapevolezza della complessità non deve essere un freno né causare immobilismo, ma anzi deve stimolare lo sviluppo di pratiche diverse che possano dare sostanza e realizzare piccoli spazi di liberazione e ripubblicizzazione dei saperi.

Accanto alle pratiche macro-conflittuali, necessarie per ottenere una ridefinizione globale dei saperi, occorre anche mettere in atto pratiche micro-conflittuali, che aumentino la consapevolezza generale della possibilità di un altro modo di concepire i saperi, come la contestazione, il boicottaggio e le pratiche mutualistiche (libera fruizione di libri di testo, gruppi di studio tra pari, condivisione di materiali didattici).

Di fronte ad una didattica che è sempre più massificata e sempre più nozionistica negli Atenei e nelle scuole occorre rimettere al centro delle lezioni il confronto tra idee e il pensiero critico. Sicuramente la contestazione e il boicottaggio di una lezione sono la pratiche più conosciute da questo punto di vista (soprattutto dopo che il rifiuto di alcuni studenti e studentesse di Harvard di seguire la lezione di Mankiw ha avuto tanto risalto), ma ne esistono altre come il boicottaggio o la critica di un determinato testo d'esame, la contestazione ad una conferenza, il boicottaggio di alcuni strumenti di valutazione come gli INVALSI, la critica al modo in cui si viene valutati, etc...

Battaglie paradigmatiche per liberare i saperi

Per vincere una lotta, che è in primo luogo culturale, nell'ambito dei saperi è necessario individuare temi che possano avere un significato al di fuori della cerchia, purtroppo ristretta, di si interessa di scuola, università e ricerca.

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L'obiettivo del Manifesto per la liberazione dei saperi era di allargare il dibattito, ma ciò non è sufficiente se non si accompagna all'individuazione di battaglie paradigmatiche, come lo è stato il referendum sull'acqua nel 2011.

Un primo tema che può creare una mobilitazione anche oltre al mondo della formazione è quello del rapporto pubblico-privato. Si tratta di un tema comune a molti settori che nel caso della formazione questo si può declinare in vari modi: dal finanziamento statale alle scuole e università private al peso sempre maggiore che i privati hanno nella gestione di quelle pubbliche, con tutti gli effetti che questo ha sulla didattica e sulla ricerca. La questione del finanziamento pubblico alle scuole private ha dimostrato con il referendum di Bologna di poter essere unificante. In una fase in cui il pubblico subisce continui tagli, destinare fondi al privato appare ancora più assurdo, soprattutto quando questi aumentano. Aprire una vertenza contro i buoni scuola regionali chiedendo che quei soldi siano spostati sul diritto allo studio, proporre - tramite referendum o leggi d'iniziativa popolare - modifiche alla legge 62/2000, chiedere modifiche al bilancio dei comuni, delle province e delle regioni a favore dell'istruzione pubblica sono strumenti che consentono di declinare questo tema a tutti i livelli.

Un altro tema centrale nel dibattito di questi anni è quello dell'accesso. Il proliferare del numero chiuso in Italia negli Atenei, ben oltre le norme italiane e le direttive europee, riguarda oggi oltre la metà dei corsi. La possibilità dello studente o della studentessa di scegliere il proprio percorso di studi appare per molti un miraggio.Sappiamo tutti come oggi sia necessario porre l’accento su una semplice domanda: “siete disponibili ad investire in istruzione e ricerca di qualità per modificare il modello di produzione e sviluppo?”.Oggi è centrale aprire una vasta vertenza che rimetta al centro il tema dell'investimento pubblico in istruzione e degli investimenti in ricerca per porre al centro del dibattito pubblico il modello di sviluppo con il quale vogliamo uscire dalla crisi.In un Paese in cui si utilizzano per la difesa il doppio dei fondi rispetto a quelli spesi in istruzione, in cui le grandi opere divorano i soldi che potrebbero rilanciare la formazione e la ricerca, serve aprire una fase in cui il movimento studentesco non solo si produca ma abbia la pretesa di lanciare un allargamento generale su questo tema.

A venirci incontro sarà lo stanziamento dei Fondi Sociali Europei per il Piano di Azione e Coesione della Commissione Europea, finalizzati per gli anni 2014-2020 al raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020: riduzione degli abbandoni, aumento del numero dei laureati, incremento della spesa in ricerca fino al 3% del PIL. Lo stanziamento di questi fondi deve vederci aprire un doppio spazio, negoziale e di conflitto: portare la lotta a livello europeo per maggiori stanziamenti e lottare a livello nazionale affinché questi fondi

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vengano davvero investiti in welfare e ricerca sia di base che applicata. Va ribaltata la retorica sugli sprechi, utilizzandola in maniera politica e non lasciandola al grillismo, aprendo le contraddizioni in seno alle priorità politiche dell’attuale compagine di governo e per raggiungere l’obiettivo, come scritto sopra, non soltanto di tornare ad investire in istruzione e ricerca, ma di attivare un processo virtuoso verso un modello di sviluppo retto sull’innovazione e la libera circolazione di conoscenza.

Tesi 6. Le campagne tematiche

“Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non l'accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realtà così com'è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà così fatta non merita di durare. È una realtà provvisoria, insufficiente, ed io mi apro ad una sua trasformazione profonda [...]” Così Aldo Capitini parlava di una realtà il cui cambiamento era un'esigenza quanto mai profonda ed impellente. Abbiamo imparato a riconoscere come insufficiente la realtà in cui viviamo, a porci l'obiettivo di renderla provvisoria ma siamo ancora alla ricerca degli strumenti in grado di renderci soggetto ma prima di tutto oggetto di questa necessaria e profonda trasformazione.Le campagne tematiche, moltissime interconnesse fra loro, sono uno strumento che ripetiamo con un rituale troppo spesso fine a se stesso, non incisivo, non in grado di comunicare e far percepire l'esigenza di una realtà diversa, migliore.Avviare una campagna tematica non può non avere al centro, in ogni sua fase, un'anima che vada in controtendenza dal punto di vista comunicativo, di prospettiva materiale e culturale rispetto all'attuale paradigma, in grado di dare tanto una concreta prospettiva di cambiamento locale, quanto una riconnessione generale e globale. Immaginarsi momenti di partecipazione in grado di superare l'alienazione e la frammentazione che oggi rompono i legami della comunità in termini individuali e collettivi; individuare meccanismi ed occasioni (soprattutto pubbliche) che riescano a ricucire lo strappo dei tempi della vita, dell'esclusione alla vita politica per motivi economici, logistici, esperienziali, linguistici, di composizione sociale, etc. è imprescindibile per ricostruire il tessuto necessario alle battaglie per il cambiamento. In questo senso è importante trovare anche modalità con cui valorizzare peculiarità e spazi di partecipazione di chi puntiamo a raggiungere e coinvolgere anche e soprattutto per far percepire come proprio il percorso.Ulteriore obiettivo è la ricostruzione del rapporto fra sociale ed istituzionale

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mettendo in campo una serie di incontri utili ad incalzare chi ha il dovere di rispondere alle istanze che, parallelamente, dovranno vivere di una spinta e sensibilità collettiva ed ampia.Per far questo non dobbiamo necessariamente vivere del nostro retaggio rispetto agli usuali strumenti e/o pratiche; anzi, c'è fare un salto di qualità rispetto a campagne che troppo spesso sono state di esclusiva “informazione” e sensibilizzazione e per far questo non dobbiamo aver paura di mettere in campo azioni di denuncia, utili ad aprire spazi di consenso da un lato e di incisione dall'alto, avviare studi ed indagini che coinvolgano associazioni e cittadinanza che tocchino le corde sensibili del territorio, quelle che determinano la qualità del nostro presente e la prospettiva del nostro futuro; insomma dotarsi di strumenti in grado di posare mattoni importanti, materiali e culturali che siano, su cui continuare a costruire.

GenereIn questo anno si sono prodotte battaglia a macchia di leopardo e campagne di sensibilizzazione a singhiozzo sul tema della sessualità. A partire dalla lotta per il doppio libretto per gli/le studenti/esse transessuali nelle università, passando per l’apertura degli asili nido degli atenei alle ragazze madri, fino all’impianto di distributori di profilattici nelle scuole. Ogni territorio deve dotarsi di proprie campagne che possano costituire una “sperimentazione” per tutta l’associazione come è stato fatto a Padova e Pisa sul doppio libretto. Contemporaneamente, sul piano nazionale, dovremo lavorare per rendere organiche le campagne di sensibilizzazione alla sessualità anche grazie all’opuscolo che abbiamo prodotto a livello nazionale e le campagne contro l’omofobia, la transfobia e la violenza di genere.In un contesto nazionale di profonda crisi non solo economica ma anche socio-culturale bisogna ridare centralità al tema delle discriminazioni riportandolo sul dibattito nazionale a partire dai luoghi della formazione e dalla stessa organizzazone. Infatti bisogna incrementare i momenti di analisi e di dialogo interno interrogandoci sul senso politico, sulle modalità e sugli strumenti da mettere in campo per raggiungere gli obbiettivi che ci siamo posti in questi anni. Inoltre dobbiamo ripensare al ruolo che assume la tematica di genere nella rete della conoscenza affinchè la logica di genere non sia limitata alla discussione interna dell'aria stessa ma divenga una chiave di lettura generale nell'analisi dell'area.

AmbienteCome già scritto sarà imprescindibile stare nella costruzione di battaglie in difesa del territorio ma, allo stesso tempo, dovremo avere la capacità di canalizzare queste lotte in un’ottica ampia, complessa, per non riprodurre gli errori storici della lotta per un ambiente migliore e per non confinarci nella filosofia NIMBY. Produrre, cioè, una lotta particolare e generale allo stesso tempo in grado di vedere la necessità di tutelare l’ambiente come l’esigenza di reinventare il modello di sviluppo, lo stile di vita, le necessità ed avere il sapere

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come stella polare del cambiamento necessario. Di fondamentale importanza sarà sviluppare un’azione di pressione su chi oggi governa ed amministra i luoghi che abitiamo, che troppo spesso si rifugia nel cosiddetto Nimto (non nel mio mandato) per non perseguire strade che rischiano di risultare “impopolari” o più semplicemente che rischiano di minare il proprio bacino di voti. Oggi abbiamo bisogno di decisioni risolutive, in netta controtendenza con le politiche di devastazione, sfruttamento ambientale e dell’uomo. Su questa tematica possiamo dire che siamo sulla strada giusta. Dobbiamo dare continuità sia alle vertenze sull’ecosostenibilità dei luoghi dove ci formiamo, sia a quelle che incidono sullo stile di vita, sulle abitudini e sulla cultura degli studenti. La battaglia contro lo spreco, sul riuso, sugli orti sociali sono solo ottimi esempi del lavoro messo in campo che ha prodotto cambiamenti non solo palpabili ma su cui costruire altre battaglie e conquiste in futuro.

InternazionaliIn questo anno di mandato abbiamo compiuto un’ottima analisi sull’ambito europeo e internazionale ma non siamo riusciti a mettere in campo un’azione che fosse davvero pervasiva dentro scuole e università.Dobbiamo continuare a lavorare con i movimenti e le organizzazioni sociali italiane nella lotta agli effetti della globalizzazione, va rinnovata un’elaborazione che non resti solo retaggio di poche élites intellettuali ma che riesca a raggiungere tutto il corpo studentesco e la cittadinanza.Inoltre troppo poco è stato fatto per contrastare la cultura guerrafondaia che si è impadronita del mondo negli ultimi trent’anni. Come Rete della Conoscenza dobbiamo accrescere l’informazione dentro i luoghi della formazione e sui territori con iniziative capillari e, a livello nazionale, con campagne di sensibilizzazione che sfruttino al meglio il nostro potenziale comunicativo.Ma oltre alle questioni extraeuropee vi sono quelle, già citate nella TESI 1, che riguardano il nostro continente. Oltre alla vertenzialità e al conflitto portato su un piano sovranazionale dobbiamo riuscire a dotare tutti i soggetti in formazione di strumenti utili a capire e comprendere i meccanismi che superano i nostri confini e che, oggi, sono gli stessi meccanismi che scatenano le politiche monetariste e liberiste di distruzione dello stato sociale e di diritto. Negli ultimi anni si sono sviluppati momenti di mobilitazione e di discussione a livello europeo, a cui spesso non siamo riusciti a contribuire ed incidere. Con tutti i limiti che queste esperienze hanno dimostrato in molti casi di avere, in esse si possono vedere forme embrionali di coordinamento tra i movimenti europei. L’attenzione della Rete della Conoscenza rispetto a questi appuntamenti deve aumentare nei prossimi anni e non essere percepita come qualcosa di secondario rispetto ai temi nazionali.

AntifascismoPer troppo tempo costruire azione politica sul difficile tema dell’antifascismo ha significato, per le nostre organizzazioni, impegnarsi nelle date tradizionali di

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commemorazione come il 25 Aprile. Tale prassi rischia di essere travolta dall’emergere di fenomeni sempre più diffusi di neofascismo in forme più o meno organizzate e istituzionalizzate, che sarebbe necessario indagare più a fondo con un lavoro di inchiesta, controinformazione e denuncia capillare. La nostra cultura politica ci insegna che fare antifascismo significa innanzitutto operare cambiamenti culturali, lavorare nelle scuole, nelle università e sul territorio perché il sapere liberi le persone anche dalla subalternità ad un’ideologia razzista, omofoba, sessista e violenta. Riattivare, a partire dai territori, il tessuto di memoria storica che negli ultimi decenni si è sfaldato al pari, se non più, degli altri elementi di coesione sociale delle nostre comunità è un compito che dobbiamo assumere come prioritario, innanzitutto ricostruendo rapporti di collaborazione costante con le organizzazioni dei partigiani e dei perseguitati politici (ANPI e ANPPIA). Anche assieme a queste organizzazioni è necessario programmare, a livello nazionale, una progettualità in grado di portare nelle scuole e nelle università i temi della Resistenza e dell’antifascismo, perché i luoghi di formazione svolgano appieno anche il loro ruolo di costruzione di memorie e valori condivisi.

AntimafiaOggi più che mai è necessario portare dentro scuole ed università una cultura dell’antimafia in grado di fungere da argine democratico, elemento propedeutico per costruire il senso di una comunità solidale, cooperativa ed unita dove la propria felicità ed il proprio benessere consistono nel raggiungere un benessere collettivo e non meramente individuale. Quest’anno la Rete della Conoscenza ha dimostrato di essere in grado di mettere in campo un percorso ampio e capillare nella costruzione della 18a edizione della Giornata della Memoria e dell'Impegno per ricordare le vittime innocenti di tutte le mafie, tenutasi a Firenze. Più di 170 le iniziative organizzate in questo percorso che hanno contribuito a fare contro-informazione sul fenomeno mafioso e anche, cosa forse anche più importante, hanno provato a far emergere l’enorme grado di mafiosità di cui è permeata la nostra cultura, la nostra formazione. Mettere in discussione meccanismi che oggi consideriamo “normali” è stato il primo passo ma bisogna, per essere all’altezza della sfida, fare di più. L’aspetto culturale ed informativo va integrato necessariamente con l’impianto vertenziale, di studio e di denuncia. A partire dai nostri luoghi di formazione dove i clientelismi nella gestione politica, didattica e “tecnica” (appalti, concessioni) la fanno ancora da padrone fino ad arrivare sul piano ampio, cittadino, provinciale, regionale.La qualità della Rete della Conoscenza si esprimerà completamente quando incrementeremo le indagini sull’impatto del fenomeno mafioso e politico-paramafioso sui soggetti in formazione, e sulla cittadinanza tutta, quando sfideremo questo sistema anche e soprattutto attivando reti di associazioni e cittadini, incalzando e metterendo all’angolo la politica marcia fino alle fondamenta. Per far questo sarà necessario anche rivedere il senso delle città,

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degli spazi di aggregazione, investire sui beni confiscati come riscatto non solo economico ma anche collettivo.

Carceri, Antiproibizionismo e RepressioneQuest’anno la Rete della Conoscenza si è impegnata forse per la prima volta per un obiettivo reale nell’ambito di queste tre tematiche. Viviamo un paradosso: subiamo tutti i giorni gli effetti di un’ingiustizia paradigmatica del sistema in cui viviamo ma raramente siamo in grado di percepire l’urgenza di affrontare con incisività queste problematiche. Con la Campagna per le Tre Leggi ci abbiamo provato. Il lavoro svolto per chiedere l’introduzione del reato di tortura nel codice penale, per la legalità e il rispetto della Costituzione nelle carceri e la modifica dell’assurda legge vigente sulle droghe è stato un primo importantissimo passo rispetto al peso ed al ruolo sociale della nostra Organizzazione; è di fondamentale importanza credere e far sì che questo sia solo uno dei tanti. Tanto si richiede affinchè queste tematiche entrino al centro del dibattito politico in modo da demolire la loro colonna portante fatta di repressione, miopia, stigmatizzazione, emarginalizzazione e bieca sordità verso chi oggi cerca di esprimere un dilagante disagio o, peggio, ne è vittima.

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