REPUBBLICA ITALIANA · SENTENZA sul ricorso proposto da: CAPRARA FLAVIO N. IL 01/09/1958 GARLATTI...

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1 7 0 8 4 / 1 5 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUINTA SEZIONE PENALE UDIENZA PUBBLICA DEL 09/12/2014 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: SENTENZA Dott. GENNARO MARASCA - Presidente - N. 3786/2014 Dott. ANTONIO BEVERE - Consigliere - REGISTRO GENERALE Dott. GRAZIA MICCOLI - Rel. Consigliere - N. 39190/2014 Dott. ANTONIO SETTEMBRE - Consigliere - Dott. ALFREDO GUARDIANO - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CAPRARA FLAVIO N. IL 01/09/1958 GARLATTI BRUNO N. IL 20/08/1954 MULITSCH PAOLO N. IL 19/06/1961 avverso la sentenza n. 919/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 24/10/2013 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. che ha concluso per Udito, per a parte civile, l'Avv Udit i difensor Avv.

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUINTA SEZIONE PENALE

UDIENZA PUBBLICA DEL 09/12/2014

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: SENTENZA

Dott. GENNARO MARASCA - Presidente - N. 3786/2014

Dott. ANTONIO BEVERE - Consigliere - REGISTRO GENERALE

Dott. GRAZIA MICCOLI - Rel. Consigliere - N. 39190/2014

Dott. ANTONIO SETTEMBRE - Consigliere - Dott. ALFREDO GUARDIANO - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CAPRARA FLAVIO N. IL 01/09/1958 GARLATTI BRUNO N. IL 20/08/1954 MULITSCH PAOLO N. IL 19/06/1961

avverso la sentenza n. 919/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 24/10/2013

visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. che ha concluso per

Udito, per a parte civile, l'Avv

Udit i difensor Avv.

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Conclusioni

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Giulio ROMANO,

ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso di Flavio CAPRARA e la declaratoria di

inammissibilità dei ricorsi di Bruno GARLATTI e Paolo MULITSH.

Per il ricorrente Flavio CAPRARA, l'avv. Antonio MORRA ha chiesto

l'accoglimento dei motivi di ricorso e la sospensione del procedimento in attesa

della pronuncia sull'illegittimità costituzionale dell'art. 99 comma 4 cod. pen.;

l'avv. Massimo DI NOIA ha concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi di

ricorso, depositando una breve sintesi.

Per il ricorrente Bruno GARLATTI, l'avv. Giuseppe CAMPEIS ha chiesto

l'accoglimento del ricorso e ha depositato la dichiarazione di revoca della

costituzione di parte civile nei suoi confronti.

Per il ricorrente Paolo MULITSH, l'avv. Roberto LOMBARDI ha concluso

chiedendo l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Le decisioni dei giudici di merito

Con la sentenza del 24 ottobre 2013 la Corte di appello di Trieste, in sede di

impugnazione della decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Gorizia in

data 25 giugno 2010, appellata da Flavio CAPRARA, Bruno GARLATTI, Paolo

MULITSH, nonché dal Procuratore generale presso la Corte di Trieste, dal

Procuratore della Repubblica di Gorizia e dalle parti civili Fallimento EURO TIR e

Fallimento SVET, la riformava nei termini qui di seguito indicati, confermandola

nel resto.

1.1. La Corte d'Appello affermava la responsabilità di Flavio CAPFtARA

per i reati di cui al capo A (bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata),

anche con riferimento alla contestata distrazione dell'avviamento della EURO TIR

s.r.l. (dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Gorizia del 3 luglio 2002),

nonché dei reati di cui ai capi J (bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata

relativa sempre alla società EURO TIR), W e X, questi ultimi due qualificati ai

sensi dell'articolo 216, comma tre, L.F. (bancarotta preferenziale relativa al

fallimento della società SVET s.a.s - sentenza dichiarativa del 1 giugno 2004), e

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per l'effetto, negate le attenuanti generiche e ritenuta la recidiva contestata,

rideterminava la pena in quella complessiva di anni sette di reclusione.

Dichiarava inoltre non doversi procedere nei confronti del CAPRARA in ordine al

reato di cui al capo G (falso in scrittura privata), per essere il medesimo reato

estinto per intervenuta prescrizione.

Con la sentenza di primo grado il CAPRARA era stato ritenuto colpevole dei delitti

ascritti al capo A (per la distrazione del parco automezzi della EURO TIR), capo E

(bancarotta fraudolenta documentale), capo G, capo I (falso in scrittura privata),

capo O (falsità ex art. 481 cod. pen.), capo T (falsità ex artt. 81, 491, 485, 482,

476 cod. pen.), capo Y (bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al

fallimento della SVET s.a.s.) e capo Z (bancarotta fraudolenta documentale in

relazione al fallimento della LOGISTICA Euro Est s.r.I.), unificati nel vincolo della

continuazione e, ritenuta la recidiva contestata, era stato condannato alla pena

di anni cinque, mesi otto di reclusione.

Era stato invece assolto dai delitti a lui ascritti ai capi J e W con la formula

perché il fatto non sussiste e dal delitto ascrittogli al capo X con la formula

perché il fatto non costituisce reato.

1.2. La Corte territoriale dichiarava Bruno GARLATTI colpevole del reato

di cui al capo A (bancarotta patrimoniale fraudolenta aggravata), esclusa invece

la contestazione alternativa di cui al capo AA (favoreggiamento).

Dichiarava non doversi procedere nei confronti dello stesso imputato per i reati

di cui ai capi G, I, N e O, per essere i medesimi estinti per intervenuta

prescrizione.

Rideterminava, quindi, la pena inflitta in quella di anni due e mesi otto di

reclusione, interamente condonata. Revocava la pena accessoria dell'interdizione

dai pubblici uffici.

Con la sentenza di primo grado il GARLATTI era stato riconosciuto colpevole del

delitto ascrittogli nella contestazione alternativa al capo AA (favoreggiamento),

così qualificati giuridicamente i fatti contestati al capo A, nonché del delitto di cui

al capo E, in tale imputazione ritenuto assorbito il fatto contestato ai capi L, G, I,

N ed O e, con il riconoscimento delle attenuanti generiche, era stato condannato

alla pena di anni tre, mesi due di reclusione.

Il GARLATTI era stato assolto dai reati ascritti ai capi Q e R per non aver

commesso il fatto e dai reati ascrittigli ai capi X e Y perché il fatto non costituisce

reato.

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1.3. Infine la Corte d'appello dichiarava non doversi procedere nei

confronti di Paolo MULITSCH in ordine al reato di cui al capo P (falso in

autentica di firma ex art. 481 cod. pen.), per essere il medesimo estinto per

intervenuta prescrizione.

Revocava quindi la pena accessoria inflittagli e revocava la condanna dello stesso

imputato al pagamento delle spese processuali in relazione ai reati di cui ai capi

Q ed R, disponendo che le stesse fossero poste a carico del querelante

remittente.

Con la sentenza di primo grado il suddetto imputato era stato ritenuto colpevole

del solo delitto di cui al capo P e condannato alla pena di mesi due di reclusione.

1.4. Nella sentenza di secondo grado sono state emesse anche ulteriori

statuizioni a carico degli imputati CAPRARA e GARLATTI in ordine al risarcimento

dei danni in favore delle parte civili.

2. I ricorsi

Hanno proposto ricorso in cassazione tutti i suindicati imputati.

2.1. Nell'interesse di Flavio CAPRARA sono stati presentati il ricorso a firma del

difensore avv. Antonio MORRA, una memoria a firma di quest'ultimo in data 11

novembre 2014, nonché, in data 21 novembre 2014, un'ulteriore memoria a

firma del nuovo difensore avv. Massimo DI NOIA.

2.1.a. Con il primo motivo di ricorso sono stati dedotti violazione di legge

e vizio di motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo Z, con la quale è

stata contestata al CAPRARA (quale amministratore di fatto e in concorso con

Milos Vranjkovic e Roberta Del Moro - posizioni stralciate) la falsificazione dei

libri e delle scritture contabili della LOGISTICA EURO EST s.r.I., attraverso

operazioni di acquisto e storno non corrispondenti al vero e, in particolare, con

l'annotazione di una serie di false fatture di vendita di camion, apparentemente

ceduti prima dalla EURO TIR alla B&A TRADE HOUSE Ltd (società ritenuta

nell'ipotesi accusatoria inesistente) e poi rivendute da tale società straniera alla

LOGISTICA.

Secondo il ricorrente nella decisione impugnata non vi è alcun riferimento alla

censura, sollevata dalla difesa nell'atto di appello, relativa alla possibilità che,

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pur trattandosi di operazioni imprudenti compiute dal ricorrente nella gestione

della LOGISTICA, non fosse risultato un vero e proprio danno alla massa dei

creditori, venendo così meno il presupposto del reato contestato.

Rileva il ricorrente che in sentenza nulla si dice in ordine all'elemento psicologico

del reato in contestazione. In mancanza di prova sulla sussistenza dell'elemento

soggettivo proprio del reato di bancarotta fraudolenta documentale, può

configurarsi, secondo il ricorrente, l'ipotesi meno grave di bancarotta

documentale semplice ex art. 217 legge fallimentare.

2.1.aa. Nella memoria depositata in data 21 novembre 2014 vengono

ulteriormente dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato

di cui al capo Z.

Si premette che la Corte d'appello ha confermato la condanna del CAPRARA per il

reato di bancarotta documentale con riferimento alle fatture, emesse dalla B&A

Trade House, di vendita di automezzi alla LOGISTICA EURO EST ed alla nota di

credito che le ha successivamente annullate.

Il ricorrente sostiene, però, che il reato sarebbe insussistente. Rileva, quindi, che

la nota di credito era stata emessa in data 26 dicembre 2003, ovvero prima della

sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta in data 29 aprile 2004. Con essa

tutte le fatture precedentemente emesse dalla B&A Trade House, aventi ad

oggetto la vendita di automezzi, erano state sostanzialmente annullate.

Sostiene allora il ricorrente che, alla data del fallimento, le fatture di cui al capo

di imputazione non avevano più alcuna rilevanza con riferimento alla contabilità

della LOGISTICA EURO EST, che -tra l'altro- nel frattempo (a gennaio 2004)

aveva correttamente registrato la fattura di acquisto degli automezzi emessa

dalla EURO TIR. Non può, quindi, ritenersi sussistente il reato di bancarotta

documentale, posto che le fatture indicate nel capo d'imputazione, essendo state

annullate, non potevano in alcun modo essere idonee a rendere difficoltosa la

ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società al

momento del fallimento.

2.1.b. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di

motivazione in relazione al capo i (bancarotta fraudolenta patrimoniale), in

particolare nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che il finanziamento

concesso dalla EURO TIR alla SVET per l'acquisto di un immobile fosse un

esca motage per distrarre i beni della società.

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Il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale, che nulla riferisce circa

l'opportunità per una società, come la EURO TIR, di erogare un finanziamento ad

un'altra società per l'acquisto di un immobile, con l'intuizione lungimirante che

quel finanziamento sarebbe sicuramente stato restituito, potendo la società

finanziata rivendere l'immobile per un prezzo superiore a quello di acquisto;

possibilità che si sarebbe poi verificata in concreto, avendo la SVET ottenuto

dalla vendita di tale immobile l'importo di euro 300.000, a fronte dei 300 milioni

di lire spesi.

2.1.bb. Nella memoria depositata in data in data 21 novembre 2014 sono

stati ulteriormente dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in ordine

all'ipotesi di bancarotta patrimoniale per distrazione di cui al capo J.

Rileva il ricorrente che la motivazione della Corte territoriale sarebbe carente ed

illogica, non avendo tenuto conto del fatto che, nel momento in cui era stata

erogata la parte rilevante del finanziamento, la società non si trovava ancora in

una fase di dissesto. I problemi per la EURO TIR sono sorti solo successivamente

e sono stati del tutto inaspettati, in quanto legati alla guerra in Jugoslavia

(ovvero nelle zone dove la società operava con i trasporti).

Il ricorrente sostiene inoltre l'insussistenza dell'elemento psicologico con

riferimento al reato in esame che la motivazione della sentenza impugnata sul

punto sarebbe carente, in quanto non prende in considerazione tutte le

circostanze evidenziate dalla difesa. Il CAPRARA ha dichiarato e dimostrato che,

non appena la società EURO TIR aveva iniziato ad essere fortemente in crisi,

aveva immediatamente chiesto la restituzione dei soldi concessi con

finanziamento, in modo da poter soddisfare i creditori, come poi è effettivamente

avvenuto.

2.1.c. Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione in

relazione all'imputazione di cui al capo Y.

Secondo il ricorrente, non essendo stato provato che dall'attività posta in essere

dalla SVET fosse derivata una diminuzione pregiudizievole del patrimonio sociale,

con lesione dei diritti dei creditori (essendo stata, peraltro, la richiesta di

fallimento presentata dal pubblico ministero) e, in assenza di situazioni debitorie

effettive, deve escludersi che si possa configurare il delitto di bancarotta

fraudolenta per distrazione.

Nel caso in esame, secondo il ricorrente, le operazioni poste in essere dalla

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SVET, attraverso la gestione del suo rappresentante legale Desolina Pauli, lungi

dal determinare un effettivo danno per i creditori, hanno invece, per un verso,

consentito alla fallita EURO TIR di soddisfare la massa fallimentare attraverso il

rientro del concesso finanziamento e, per altro verso, con il finanziamento di

LOGISTICA hanno generato una prospettiva di maggior guadagno della somma

investita, tutto a vantaggio dei creditori, con il solo inconveniente di una

improvvisa ed inaspettata declaratoria di fallimento della società, il cui dissesto

tuttavia si è verificato indipendentemente dall'iniziale condotta distrattiva.

2.1.d. Il quarto motivo di doglianza riguarda i capi d'imputazione sub

lettere W e X.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui disattende le

risultanze della relazione del commercialista della difesa in relazione ai bilanci

della SVET, che escluderebbero l'elemento psicologico del reato di bancarotta sul

presupposto della prova della solvibilità della società SVET.

Censura, altresì, la motivazione nella parte in cui la Corte territoriale confuta

l'ipotesi sostenuta dal giudice di primo grado, secondo la quale mancherebbe la

prova della consapevolezza che la SVET, pagando il debito in favore della EURO

TIR, volesse danneggiare gli altri creditori ed in particolare l'Erario, il cui credito

non era stato ancora compulsato attraverso un'azione di messa in mora.

Secondo il ricorrente la Corte non avrebbe tenuto in alcuna considerazione la

circostanza che la dichiarazione di fallimento era stata richiesta dal pubblico

ministero e che, quindi, non vi erano creditori interessati allo stesso fallimento.

Sempre secondo il deducente è stato assolutamente inevitabile, in assenza di

intimazioni a pagare da parte dell'Erario, la decisione della società di soddisfare il

Fallimento EURO TIR, che peraltro, con richiesta del curatore, aveva già messo in

mora la SVET per il pagamento dell'importo residuo del debito.

Deduce il ricorrente, inoltre, che la SVET poteva contare sul patrimonio

personale della socia accomandataria Pausi.

2.1.dd. Nella memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente rileva che la

decisione della Corte territoriale, in riforma di quella assolutoria di primo grado,

sarebbe frutto di una serie di errori di valutazione probatoria, dovuti alla scelta

dei giudici di trattare congiuntamente i fatti di cui al capo W e di cui al capo X,

che hanno ad oggetto la restituzione da parte della SVET alla EURO TIR di

somme ricevute a titolo di finanziamento.

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Benché i fatti siano analoghi, secondo il ricorrente vi è una grossa differenza di

cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, ossia i momenti in cui sono

avvenute le due condotte.

In data 15 maggio 2002 la SVET vendeva alla società ELLETI l'immobile di Terzo

in Aquileia, precedentemente acquistato grazie al finanziamento da parte di

EURO TIR: a fronte di un prezzo pattuito di C 309.875, la società acquirente

corrispondeva una somma pari a C 223.591,17, di cui 61.975 euro a titolo di Iva

e 161.616,17 euro come prima rata del prezzo di acquisto del bene.

Successivamente, la SVET, a titolo di restituzione della somma ricevuta, nel

giugno del 2002, ovvero prima della dichiarazione di fallimento della EURO TIR,

versava, in più occasioni, alla predetta società la somma contante complessiva di

euro 73.600. Questo pagamento, sostiene la Corte territoriale, integra la

bancarotta preferenziale, in quanto il CAPRARA ha voluto in qualche modo

favorire la EURO TIR rispetto agli altri creditori della SVET, di cui era

amministratore di fatto.

Rileva il ricorrente che la condotta punita dal comma tre dell'articolo 216 legge

fallimentare consiste nell'avere, tra l'altro, eseguito pagamenti prima o durante

la procedura fallimentare "a scopo di favorire, a danno dei creditori, uno di essi".

Pertanto, requisito implicito affinché il pagamento sia penalmente rilevante è che

esso sia pregiudizievole per i creditori.

Inoltre, affinché sia integrata la fattispecie di reato in questione, i pagamenti

devono essere stati eseguiti in costanza dello stato di insolvenza della società

fallita.

Ma lo stato di insolvenza accertato nella sentenza di fallimento -secondo il

ricorrente- non ha alcuna rilevanza per quanto riguarda il reato contestato al

capo W. Infatti, in quella sentenza è stato accertato che la SVET si trovava in

stato di insolvenza solo quando è stata presentata istanza di fallimento, ossia al

termine dell'anno 2003. Nessuna parola è stata spesa per motivare se la società

fosse già in stato di i nsolvenza nel momento in cui era stato effettuato il

pagamento alla EURO TIR nel giugno 2002; e -secondo il ricorrente- non si può

ragionevolmente ritenere che la SVET nel giugno 2002, dopo aver incassato C

223.591,17, si trovasse in stato di insolvenza.

Peraltro, nel momento in cui è stato effettuato il pagamento alla EURO TIR non

era neppure scaduto il termine per il pagamento dell'Iva, che avrebbe dovuto

essere versata entro il 15 luglio 2002; pertanto, secondo il ricorrente, il

pagamento alla EURO TIR non poteva arrecare alcun danno all'Erario, posto che,

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al momento della scadenza, la società aveva ancora la disponibilità di C

149.991,17.

Sostiene, inoltre, il ricorrente, che mancherebbe anche l'elemento soggettivo del

reato, che è integrato dal dolo costituito dalla volontà di recare un vantaggio al

creditore (o ai creditori), con l'accettazione dell'eventualità di un danno per altri.

Nella sentenza impugnata, a tal proposito, si legge che non v'è dubbio che ciò sia

stato oggetto di rappresentazione da parte dell'imputato, essendo evidente che

l'impiego di quelle somme a vantaggio della creditrice EURO TIR avrebbe

sostanzialmente privato definitivamente la SVET di ogni sua risorsa finanziaria e

che, di conseguenza, la società non avrebbe più avuto i mezzi per il versamento

dell'Iva. Tali affermazioni, secondo il ricorrente, sono palesemente smentite

dalle risultanze processuali.

In ordine al capo X deduce ulteriormente il ricorrente che la sentenza di primo

grado aveva correttamente escluso la sussistenza del reato, affermando che "la

scelta di effettuare, con l'importo percepito quale prima rata del prezzo di

vendita, il pagamento del debito nei confronti di EURO Tir, precedentemente al

versamento dell'Iva, trova giustificazione nel fatto che è verosimile che la

curatela fallimentare avesse sollecitato detto pagamento. Appare dunque

conforme alle risultanze probatorie esposte escludere una volontà distrattiva in

relazione alla prima rata del prezzo di vendita, dovendosi anche rilevare che

rimaneva a disposizione della SVET il residuo corrispettivo per fare fronte alle

altre obbligazioni".

La Corte d'appello, invece, ha ritenuto sussistente il reato affermando che il

CAPRARA era consapevole del fatto che così facendo avrebbe lasciato la SVET

priva di risorse economiche e che in tal modo la stessa non avrebbe potuto

pagare l'Iva. Ciò sarebbe indicativo della finalità perseguita da CAPRARA, ossia

quella di favorire il creditore EURO TIR rispetto all'Erario.

Secondo il ricorrente tale motivazione deve essere censurata, tenuto conto

anche del fatto che l'estinzione del debito da parte della SVET era stata intimata

dal curatore fallimentare della EURO TIR, nel medesimo periodo in cui lo stesso

sollecitava il CAPRARA a fare in modo che venissero pagati gli automezzi della

società, altrimenti avrebbe agito nelle sedi opportune. È evidente, pertanto,

secondo il deducente, che gli amministratori non sono stati mossi dall'intento di

avvantaggiare un creditore rispetto all'altro, ma che hanno agito solo al fine di

evitare un possibile fallimento della società o, comunque, un'azione legale da

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parte del curatore della SVET, ben sapendo di poter estinguere successivamente

il debito con l'Erario, pur dovendo pagare la mora per il ritardo.

2.1.e. Sempre nella memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta

violazione di legge in relazione all'articolo 157 cod. pen., con riferimento alla

prescrizione dei reati di cui ai capi W e X.

La Corte territoriale, come si è detto, ha qualificato le condotte di cui ai suddetti

capi d'imputazione come reati di bancarotta preferenziale.

Secondo il deducente i due reati ad oggi hanno maturato il termine di

prescrizione; in particolare, detto termine, per il reato sub capo W, era già

maturato prima della pronuncia della sentenza impugnata.

Infatti, il delitto di bancarotta preferenziale, a differenza di quello di bancarotta

patrimoniale, si consuma nel momento in cui sono stati effettuati pagamenti e

non in quello in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento.

Nel caso di specie il pagamento di cui al suddetto capo W d'imputazione è stato

effettuato nel giugno 2002. Ciò posto, essendo prevista per il reato di bancarotta

preferenziale una pena detentiva massima pari a cinque anni, in base al

combinato disposto di cui agli articoli 157 e 161 codice penale, tenuto conto della

contestata recidiva, il termine massimo di prescrizione sarebbe maturato nel

giugno 2012. Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione -pari

complessivamente ad anni uno, mesi uno, giorni nove, in primo grado, e giorni

21, in grado d'appello-, è definitivamente maturato nel luglio 2013. La sentenza

impugnata è stata emessa in data 24 ottobre 2013, quindi in data successiva

detto termine.

Quanto invece al pagamento oggetto del capo X, la condotta risulta posta in

essere in data 20 maggio 2003. Il termine massimo di prescrizione sarebbe

maturato in data 20 maggio 2013 e, tenuto conto dei periodi di sospensione

sopra indicati, è definitivamente maturato in data 20 luglio 2014.

2.1.f. Con ulteriore motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione e la

mancata assunzione di una prova decisiva in ordine all'imputazione di cui al

capo T.

La Corte territoriale ha ritenuto fondata la responsabilità del CAPRARA in ordine

all'imputazione concernente la formazione di sei cambiali, apparentemente

emesse dalla società LOGISTICA in favore della SVET s.a.s. (società delle quali

l'imputato era amministratore di fatto) e girate da quest'ultima alla GENERAL

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BETON TRIVENETA s.p.a., società creditrice della SVET, mediante l'apposizione

della sottoscrizione apocrifa di Desolina Pausi, socia accomandataria della stessa

SVET. La ricostruzione dei fatti che ha consentito l'affermazione di responsabilità

è basata sulle dichiarazioni rese da alcuni testi, ma il ricorrente sostiene che

sarebbe stato necessario esaminare, ex articolo 507 cod. proc. pen., la Pausi,

tenuto conto che l'assunto accusatorio si basa sulla falsità della firma di costei.

2.1.ff. Con la memoria del 21 novembre 2014 viene dedotta la nullità

della sentenza impugnata, ai sensi dell'articolo 606, comma uno, lettera B, in

relazione agli articoli 491, 485 e 493 bis codice penale, per violazione di legge

penale, con riferimento alla mancanza di querela per il reato di cui al capo T.

Viene censurata la sentenza nella parte in cui ha confermato la condanna del

CAPRARA per il reato di falsità in scrittura privata di documenti equiparati agli

atti pubblici (nel caso di specie, cambiali) pur in mancanza di querela.

2.1.g. Nei motivi di ricorso è stato dedotto il vizio di motivazione anche

con riferimento all'imputazione di cui al capo A, nel quale è stato contestato al

CAPRARA di aver posto in essere, in concorso con altri soggetti, un'attività

finalizzata a distrarre ed occultare i beni del patrimonio della società EURO TIR,

di cui era amministratore e legale rappresentante, attraverso la cessione del

parco automezzi (costituente gran parte del patrimonio della società) ad una

fantomatica società americana, la B&A TRADE HOUSE.

Per tale vendita era stata emessa la falsa fattura n. 293 in data 14 maggio 2002

e, quindi, poco prima della sentenza dichiarativa di fallimento del 3 luglio 2002.

Successivamente il predetto parco automezzi era stato acquistato dalla

LOGISTICA EURO EST s.r.I., della quale il CAPRARA risultava essere

l'amministratore di fatto, con ciò consentendo a tale ultima società di poter

svolgere la stessa attività di trasporto per conto terzi, negli stessi locali della

società EURO TIR ed in gran parte con lo stesso personale.

In ragione di ciò, secondo la Corte territoriale oggetto di distrazione sono stati

anche i "fattori di produzione" della EURO TIR, costitutivi dell'avviamento, così

come specificamente contestato nel capo d'imputazione in esame.

A parere del ricorrente la Corte territoriale sarebbe incorsa in illogicità

dell'assunto motivazionale nella parte in cui, oltre a prospettare argomentazioni

prive di esauriente analisi delle risultanze probatorie, ha trascurato una prova

decisiva, enunciata attraverso precisa doglianza sollevata nei motivi di appello.

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Deduce il ricorrente che non vi sarebbe prova certa della simulazione del

contratto tra la società fallita e quella americana, giacché la stessa curatela,

invece di perseguire la strada della risoluzione di tale contratto, ex articolo 74

legge fallimentare, aveva fatto la scelta di incassare il prezzo pattuito per la

cessione dei camion.

La Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato su questo punto ed

inspiegabilmente -secondo il ricorrente- non avrebbe ritenuto necessario

esaminare il curatore e il giudice delegato, proprio per chiarire le circostanze

della suddetta scelta.

Deduce il ricorrente, poi, una serie di circostanze di fatto che smentirebbero

l'ipotesi accusatoria relativa alla distrazione del parco automezzi.

Censura ancora il ricorrente la motivazione della sentenza impugnata nella parte

in cui, in riforma della pronunzia del giudice di primo grado, ha ritenuto

sussistente l'ipotizzata distrazione dell'avviamento della fallita EURO TIR.

2.1.gg. Con la memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la

violazione di norma processuale con riferimento alla condanna per la distrazione

dell'avviamento.

In primo grado, il Tribunale di Gorizia aveva ritenuto che non fosse nemmeno

ipotizzabile una distrazione di avviamento della EURO TIR alla data del

fallimento, tenuto conto della situazione di insolvenza e del ruolo fondamentale

svolto dal CAPRARA nelle relazioni commerciali della società.

Sostiene il ricorrente che sul punto non hanno proposto impugnazione, nei

confronti del CAPRARA, né il pubblico ministero né il procuratore generale, che

hanno invece impugnato la sentenza di primo grado con riferimento al capo A

solo nei confronti dell'avvocato GARLATTI.

La Corte territoriale, però, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di

Gorizia, ha dichiarato il CAPRARA colpevole del reato di cui al capo A, anche con

riferimento alla contestata distrazione dell'avviamento. In tal modo, secondo il

ricorrente, è stato violato il principio devolutivo di cui all'articolo 597 cod. proc.

pen.

Nella stessa memoria del 21 novembre 2014 sono stati dedotti ulteriori motivi

(violazione di legge e vizio di motivazione) con riferimento all'imputazione di cui

al capo A.

Innanzitutto, evidenzia il ricorrente, in tutti i casi in cui la giurisprudenza di

legittimità si è occupata di distrazione dell'avviamento commerciale di un'azienda

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si trattava di bancarotta patrimoniale prefallimentare e non post-fallimentare,

come invece contestato nel caso in esame.

Sostiene altresì che solo in caso di bancarotta prefallimentare si può ritenere che

la società abbia un valore economico sotto il profilo dell'avviamento. Si ricorda,

infatti, che per avviamento commerciale deve intendersi, nei suoi termini

generali, la capacità di profitto di un'attività produttiva, ossia quell'attitudine che

consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (e,

in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l'utilizzazione isolata dei

singoli elementi che la compongono. Con riferimento ad una società già fallita,

come nel caso di specie, non si può parlare di capacità di generare profitto e,

quindi, di valore economico dei fattori aziendali in grado di generare

I 'avviamento.

2.1.ggg. Passando alla condotta contestata con riferimento al parco

automezzi, rileva il ricorrente nella memoria del 21 novembre 2014 che, secondo

la Corte territoriale, la distrazione sarebbe consistita nel fatto che i camion non

erano stati nella disponibilità della curatela per più di un anno dalla dichiarazione

di fallimento.

Tale assunto, però, non terrebbe debitamente conto delle risultanze processuali

e, soprattutto, dei principi giurisprudenziali in tema di bancarotta patrimoniale

per distrazione. E' infatti pacifico che l'elemento oggettivo della distrazione si

realizzi tutte le volte in cui vi sia un ingiustificato distacco di beni o di attività,

con il conseguente depauperamento patrimoniale che si risolve in un danno per

la massa dei creditori.

Sostiene il ricorrente che nel caso di specie si sarebbe verificata una mera

sostituzione del cespite automezzi con denaro di importo adeguato al valore dello

stesso. Infatti, la fuoriuscita degli automezzi dal patrimonio della società fallita è

avvenuta (o meglio, sarebbe potuta avvenire) per mezzo di un contratto di

compravendita che prevedeva un'adeguata contropartita (114.911,64 euro da

corrispondersi in 36 rate); e tale adeguatezza può desumersi dalla stessa

relazione del curatore fallimentare, il quale, venuto a conoscenza di questa

cessione e delle relative modalità di pagamento, ha deciso di non sciogliere il

contratto non ancora eseguito.

Deduce peraltro il ricorrente il fatto che circa la metà degli automezzi erano

sempre rimasti nel piazzale della società fallita e che il curatore ne era

consapevole.

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Quanto, invece, al fatto che il pagamento di tutto il parco automezzi sia

avvenuto oltre un anno dopo il fallimento, ciò è dovuto a particolari circostanze,

molte delle quali sorte su impulso proprio del curatore.

Secondo il ricorrente, poi, quanto affermato dalla sentenza in ordine al

corrispettivo pagato per l'acquisto del parco automezzi non troverebbe

rispondenza nelle emergenze dibattimentali, rendendo la motivazione sul punto

del tutto illogica e mancante.

In primo luogo, il solo fatto che il curatore fallimentare invece di risolvere il

contratto abbia deciso prima di darvi adempimento e poi di portare avanti delle

lunghe trattative, pur avendo la disponibilità di circa la metà degli automezzi che

ancora si trovavano nel piazzale della società fallita, dimostra che quella era

l'operazione più vantaggiosa per i creditori. In secondo luogo, gli automezzi

erano stati stimati per un valore complessivo di molto inferiore rispetto a quello

corrisposto dalla LOGISTICA e lo stesso stimatore aveva espresso le sue

perplessità sulla concreta possibilità di riuscire a venderli al prezzo stimato, in

quanto si trattava di mezzi dai 12 ai 18 anni di età, in condizioni di

manutenzione piuttosto scarsa.

Sostiene, inoltre, il ricorrente che, quand'anche si volesse ritenere integrato il

reato di bancarotta patrimoniale per distrazione da un punto di vista materiale,

non si può affermare che sussista l'elemento soggettivo. Non si comprende,

infatti, come un'operazione che va a sostituire degli automezzi difficili da vendere

con una cospicua somma di denaro si possa ritenere posta in essere nella

consapevolezza di arrecare un danno ai creditori, che invece in tal modo possono

essere soddisfatti.

2.1.h. Con ulteriore motivo nel ricorso del CAPRARA è stato dedotto il

vizio di motivazione in ordine all'imputazione di cui al capo E.

La Corte territoriale ha ritenuto che l'annotazione nelle scritture contabili della

EURO TIR della falsa fattura n. 293, attestante la cessione degli autoveicoli alla

società americana, integra il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.

Secondo il ricorrente tale decisione non sarebbe stata adeguatamente motivata,

non avendo risposto la Corte territoriale alle specifiche doglianze difensive

formulate con l'atto d'appello e nulla avendo chiarito in ordine alla circostanza,

non accertata, della effettiva lesione degli interessi dei creditori.

Sostiene, altresì, il ricorrente che non vi sarebbe adeguata motivazione sulla

sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto.

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2.1.hh. Nella memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente censura

ulteriormente la motivazione della sentenza, sostenendo che non si può

ragionevolmente ritenere che la sostituzione di un'unica fattura con un'altra sia

idonea a rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari della

società e quindi ad integrare la condotta di bancarotta documentale. In ogni

caso, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato sul punto.

2.1.i. Nel ricorso è stato dedotto pure il vizio di motivazione in relazione

all'imputazione di cui al capo I.

La Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato in ordine

al fatto di avere, in concorso con l'avvocato GARLATTI, formato la falsa proposta

d'acquisto, apparentemente proveniente dalla società americana sopra citata,

per l'acquisto del parco automezzi della EURO TIR e di aver apposto, in calce alla

stessa, la firma apocrifa di Filomonau Alhe, apposizione materialmente

commessa dall'avvocato GARLATTI.

Secondo il ricorrente la sentenza impugnata va annullata nella parte in cui ha

ritenuto (pur rilevando la necessità di una verifica in ordine alla circostanza di

avere o meno il Filomonau prestato il consenso alla apposizione della propria

firma) non provato il dato riferito dalla difesa in ordine alla possibilità che fosse

stato proprio il suddetto Filomonau ad acconsentire alla falsificazione e non ha

quindi ravvisato la necessità di esaminare quest'ultimo, la cui testimonianza

sarebbe risultata necessaria anche per chiarire tutta un'altra serie di dubbi sulla

vicenda.

2.1.11. Nella memoria del 21 novembre 2014 si censura la sentenza

impugnata che ha ritenuto il CAPRARA responsabile del reato di falso in scrittura

privata, costituita dalla proposta di acquisto del 14 ottobre 2003, senza che vi

fosse la querela presentata dalla persona offesa Filimonau Aleh, bensì solo quella

del curatore del fallimento.

Ritiene il ricorrente che la motivazione della Corte territoriale sul punto sia priva

di logica e non tiene conto delle risultanze processuali, che escluderebbero la

sussistenza di un danno al fallimento EURO TIR, il quale, conseguentemente, non

può ritenersi persona offesa dal reato e titolare del relativo diritto di querela.

2.1.1. Con altro motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di motivazione in

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relazione all'imputazione di cui al capo O.

Tale imputazione riguarda la falsa attestazione di autenticità da parte

dell'avvocato GARLATTI, in concorso con il CAPRARA, delle firme apposte

sull'istanza di dissequestro presentata presso gli uffici della procura della

Repubblica di Gorizia. Il ricorrente ritiene che la sentenza sia affetta da un grave

vizio di motivazione per carenza ed illogicità, non essendo manifeste le ragioni in

base alle quali i giudici di merito hanno attribuito all'imputato il ruolo di

istigatore, tenuto conto peraltro del fatto che non è stata assunta una prova

ritenuta decisiva ovvero l'esame della persona offesa.

2.1.m. Nella memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la violazione

di legge in relazione all'articolo 157 cod. pen., con riferimento alla prescrizione

dei reati di cui ai capi I, O e T.

Deduce il ricorrente che la Corte territoriale ha omesso di dichiarare tale

prescrizione, ritenuta invece sussistente per il GARLATTI.

I giudici di appello hanno sostenuto che ostativa alla declaratoria di prescrizione

per il CAPRARA sia la contestata recidiva ex articolo 99 comma quattro cod. pen.

Deduce il ricorrente che nella sentenza impugnata, però, non si è tenuto conto

del fatto che tutti questi reati sono stati commessi prima dell'entrata in vigore

della legge 251/2005, che ha riformulato completamente la disciplina della

prescrizione del reato e prevede che, ai fatti posti in essere prima dell'entrata in

vigore della stessa si continua ad applicare la vecchia normativa, ad eccezione

dei casi in cui "per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione

risultino più brevi" (articolo 10).

Sostiene il ricorrente che nel caso di specie è evidente che sia più favorevole la

vecchia normativa, nella quale, tra l'altro, la recidiva non aveva alcuna incidenza

sul tempo necessario per prescrivere i reati. Prima della riforma, infatti, l'articolo

160, comma 2, cod. pen. disponeva che, nei casi di interruzione del corso della

prescrizione, i termini stabiliti dall'articolo 157 non potevano essere prolungati

oltre la metà, a nulla rilevando l'eventuale contestazione della recidiva.

Applicando le vecchie norme, quindi, il tempo necessario a prescrivere i reati

contestati al CAPRARA nei suddetti capi di imputazione è inferiore, ma

soprattutto i relativi termini erano già maturati al momento della sentenza della

Corte d'appello.

Infatti, quanto al capo I il reato di falsità in scrittura privata sarebbe stato

commesso tra il 14 ottobre 2003 e la fine di ottobre 2003. Non essendo

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specificata la data esatta di consumazione, in applicazione del principio del favor

rei, ai fini del computo della prescrizione si deve far riferimento al 14 ottobre

2003. Ciò posto, essendo prevista per il reato ex articolo 485 cod. pen. una pena

detentiva massima inferiore ai cinque anni, in base al combinato disposto degli

articoli 157 e 160 cod. pen., così come formulati prima della riforma, il termine

massimo di prescrizione sarebbe maturato in data 14 aprile 2011.

Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione -pari

complessivamente a anni uno, messi uno e giorni nove, in primo grado, e giorni

21 in grado di appello-, è definitivamente maturato in data 13 giugno 2012. La

sentenza impugnata è stata emessa in data 24 ottobre 2013, quindi in data

successiva detto termine.

Quanto al reato di cui al capo O, il ricorrente deduce che la data di commissione

è indicata nel 29 gennaio 2004 ed essendo prevista per il reato ex articolo 481

cod. pen. una pena detentiva massima inferiore ai cinque anni, in base al

combinato disposto degli articoli 157 e 160 cod. pen., così come formulati prima

della riforma, il termine massimo di prescrizione è maturato in data 29 luglio

2011. Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione sopra

indicati, è definitivamente maturato in data 28 settembre 2012.

Infine, quanto al capo T, il reato sarebbe stato commesso nel gennaio 2004.

Non essendo specificata la data esatta di consumazione, in applicazione del

principio del favor rei, ai fini del computo della prescrizione si deve far

riferimento al 3 gennaio 2004 (data delle cambiali). Il reato di falsità in scrittura

privata di documenti equiparati agli atti pubblici è punito con la pena detentiva

prevista dall'articolo 476 cod. pen. (reclusione da uno a sei anni), ridotta ai sensi

dell'articolo 482 cod. pen. di un terzo (da otto mesi a quattro anni). Pertanto,

essendo anche in questo caso è prevista una pena detentiva massima inferiore ai

cinque anni e il termine massimo di prescrizione sarebbe maturato in data 13

luglio 2011. Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione sopra

indicati, è definitivamente maturato in data 12 settembre 2012 e, quindi, in data

antecedente la sentenza della Corte d'appello.

2.1.n. Con ulteriore motivo di ricorso viene dedotto il vizio di motivazione

in relazione al trattamento sanzionatorio. Secondo il ricorrente è inadeguata la

motivazione con riguardo all'aumento apportato in applicazione dell'articolo 219

legge fallimentare.

Viene censurata inoltre la motivazione della sentenza nella parte in cui è stato

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apportato un aumento superiore rispetto a quello effettuato dal primo giudice

per la contestata recidiva, senza che se ne desse precisa ed esaustiva contezza

sul piano logico e giuridico.

2.1.nn. In ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio sono

state formulate ulteriori censure con la memoria del 21 novembre 2014

Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti

generiche, motivato dalla Corte territoriale solo sulla base dei precedenti penali

del CAPRARA, non tenendo conto del comportamento di questi, che si sarebbe

attivato in ogni modo affinché le società fallite potessero pagare i loro creditori.

Quanto poi alla recidiva, il ricorrente deduce ulteriormente che con l'aumento di

pena, che era già stato operato dei giudici di primo grado, la medesima

circostanza dei precedenti penali è stata valutata due volte: una volta con

riferimento all'esclusione delle attenuanti generiche, un'altra volta per

giustificare un aumento consistente della pena per la recidiva contestata

2.1.0. Con la memoria del 11 novembre 2014 uno dei difensori del

CAPRARA ha ulteriormente censurato la motivazione della sentenza d'appello

nella parte in cui, in parziale accoglimento del ricorso del procuratore generale,

ha aumentato la pena irrogata all'imputato per la recidiva contestata, non

essendo condivisibile -secondo il ricorrente- il giudizio di obbligatorietà

dell'applicazione della stessa recidiva. In ordine a tale profilo è stata richiamata

l'ordinanza depositata in data 10 settembre 2014 dalla quinta sezione penale di

questa Corte, che ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 99, comma 5, cod. pen., nella

parte in cui prevede l'aumento obbligatorio della pena per la recidiva in

riferimento agli articoli 3 e 27 Cost., sotto il profilo della manifesta

irragionevolezza della norma censurata e della identità di trattamento di

situazioni diverse cui essa dà luogo.

Il ricorrente ha quindi chiesto la sospensione del giudizio fino all'esito del giudizio

dinanzi alla Corte costituzionale.

2.1.p. Con la memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente ha dedotto il

motivo nuovo della violazione di legge di norme processuali con riferimento alla

ordinanza del 2 ottobre 2006, con la quale il Tribunale di Gorizia ha disposto la

trascrizione di alcune conversazioni telefoniche intercorse tra il CAPRARA e

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l'avvocato GARLATTI, ritenendo inapplicabile il divieto di cui all'articolo 103,

comma cinque, cod. proc. pen.. Nello stesso senso si è espressa, a seguito

dell'impugnazione dei difensori, anche la Corte d'appello.

Le conversazioni telefoniche con l'avvocato sono state quindi poste a fondamento

della ritenuta colpevolezza del CAPRARA con riferimento al reato di cui al capo

O.

Queste intercettazioni, però, secondo il ricorrente, sono illegittime e i loro

risultati non possono essere utilizzati: si tratta, infatti, di intercettazioni di

conversazioni tra un avvocato e il suo assistito.

2.2. Bruno GARLATTI, con ricorso sottoscritto dal suo difensore avv. Giuseppe

Campeis, ha dedotto quanto segue in ordine ai soli capi di imputazione A ed E,

essendo stati gli altri reati ascrittigli dichiarati estinti per intervenuta

prescrizione.

2.2.a. Con il primo motivo vengono dedotti violazione di legge e vizio di

motivazione, nonché la nullità della sentenza ex art. 522 cod. proc. pen.

Il ricorrente ha sostenuto che dall'ampia istruttoria dibattimentale sono emersi

una serie di elementi che escludono la possibilità di configurare in capo

all'avvocato GARLATTI un concorso nel reato di bancarotta fraudolenta

patrimoniale avente ad oggetto la distrazione degli automezzi e dell'avviamento

della EURO TIR s.r.I..

Deduce il ricorrente che, se per configurare la bancarotta fraudolenta

patrimoniale è sufficiente un distacco materiale dei beni, è evidente che la

distrazione degli automezzi nel caso in esame è avvenuta ben prima

dell'intervento dell'avvocato GARLATTI e senza il suo contributo; non esiste

alcuna condotta, alcun dato fattuale, alcun elemento concreto da cui desumere

l'esistenza di un'attività rafforzativa della volontà del CAPRARA posta in essere

dal GARLATTI precedentemente alla sottrazione fisica degli automezzi.

Né è in alcun modo ipotizzabile un concorso nella distrazione dell'avviamento,

rispetto alla quale non è neppure stata elevata alcuna specifica contestazione di

condotte concretamente idonee ad agevolare la distrazione da parte del

GARLATTI.

Sostiene, peraltro, il ricorrente che, ove si dovesse ritenere che la distrazione si

abbia con un distacco non solo materiale, ma anche giuridico (atto negoziale), è

evidente che nel caso di specie non possa ravvisarsi alcuna distrazione, posto

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che gli automezzi sono sempre rimasti di proprietà della società fallita, che li ha

poi venduti nel gennaio del 2004.

Deduce inoltre che si debba dare risposta al quesito se sia configurabile una

distrazione di beni che poi il curatore ha venduto, incassando il corrispettivo

ritenuto congruo, in base alle norme e procedure che presidiano l'attività di

rilevanza pubblicistica posta in essere dagli organi fallimentari.

I fatti, secondo il ricorrente, dimostrerebbero che non vi è mai stata la

distrazione degli automezzi (che sono sempre rimasti nel patrimonio della

fallita), ma, tutt'al più, un occultamento degli stessi, rispetto al quale il falso

contratto di vendita si è posto come un posterius, del tutto logicamente

svincolato dalla precedente condotta idonea -eventualmente- ad integrare il

reato di bancarotta.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata per mancanza di motivazione in

ordine all'ipotizzato accordo che ci sarebbe stato tra lui e il CAPRARA. Non v'è

alcun elemento di prova da cui desumere l'esistenza di tale accordo in ordine alla

distrazione sia dei mezzi sia dell'avviamento.

Anzi, la teste Del Moro ha dichiarato che l'idea di occultare gli automezzi fu

esclusivamente della CAPRARA, essendo il GARLATTI intervenuto fattivamente

solo in un secondo momento, quando, peraltro, il CAPRARA aveva già fatto

emettere e registrare in contabilità la falsa fattura di vendita degli automezzi.

Deduce, inoltre, il ricorrente che la Corte territoriale ha preso in esame una serie

di condotte del GARLATTI diverse ed ulteriori rispetto alle specifiche condotte

indicate nel capo d'imputazione sub A, nel quale si fa riferimento soltanto alla

formazione del falso contratto di vendita del 29 agosto 2002 e alla formazione

della proposta di acquisto del dicembre del 2003, riportante firme apocrife

apposte dallo stesso GARLATTI.

Nella sentenza impugnata sono però evidenziate ulteriori condotte del GARLATTI

non contestate nel capo d'imputazione (e, quindi, su cui è mancato il

contraddittorio, secondo il ricorrente), ma che la Corte, unitamente alle due

condotte espressamente contestate, ha ritenuto idonee ad integrare il reato di

concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale. Sotto questo profilo, secondo il

deducente, vi sarebbe stata violazione dell'articolo 522 cod. proc. pen.

Ribadisce il ricorrente che lui è intervenuto solo nel settembre del 2002,

allorquando, avviati i contatti come difensore con il curatore, ha consegnato il

contratto di vendita dei mezzi e, quindi, dopo la distrazione degli stessi. Quindi si

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tratta di condotta di ausilio ex post, che nulla ha a che vedere con il concorso

nella bancarotta fraudolenta.

Deduce, inoltre, il ricorrente che la sentenza impugnata merita censura anche

nella parte in cui ha ritenuto sussistente il concorso nella distrazione

dell'avviamento. Sostiene che secondo la giurisprudenza di legittimità è

configurabile la distrazione dell'avviamento quando quest'ultimo costituisca un

bene economicamente apprezzabile e quindi che sia trasferito unitamente

all'azienda. Nel caso di specie tale trasferimento non c'è stato.

2.2.aa. Con riferimento alla bancarotta documentale post-fallimentare di

cui al capo E, il ricorrente sostiene che sia il giudice di primo grado che la Corte

territoriale hanno errato nel ritenere configurabile tale reato con riferimento

all'avvenuta formazione del contratto ideologicamente falso di vendita dei mezzi

alla B&A House Trade ed alla consegna dello stesso al curatore fallimentare.

Le condotte penalmente rilevanti di bancarotta documentale post - fallimentare

sono soltanto quelle di sottrazione, distruzione, falsificazione dei libri e/o delle

scritture contabili. Nel caso di specie la condotta è quella di aver falsificato un

contratto di vendita di automezzi e consegnato al curatore del fallimento:

consegnare al curatore un contratto non equivale a falsificare una scrittura

contabile, secondo il ricorrente. All'epoca in cui tale contratto venne formato,

poi, era già stata registrata in contabilità la relativa falsa fattura di vendita,

mentre il contratto non è mai stato registrato.

Il ricorrente inoltre rileva che la Corte territoriale ha ritenuto assorbito

nell'imputazione di cui al capo E il fatto ascrittogli originariamente nel capo L, ai

sensi dell'articolo 232, comma uno, legge fallimentare, per aver presentato

domanda di ammissione al passivo del fallimento in relazione al credito -

fraudolentemente simulato- di euro 6408,32, asseritamente maturato per aver

predisposto e redatto il contratto di apparente vendita in data 14 maggio 2002,

nel quale la società fallita figura cedere il proprio parco automezzi alla

fantomatica società americana. Secondo il ricorrente tenuto conto

dell'autonomia del reato di cui all'articolo 232, comma uno, legge fallimentare

rispetto a quello di bancarotta fraudolenta documentale post-fallimentare, la

Corte territoriale non doveva ritenerlo assorbito nell'imputazione di cui al capo E)

e, conseguentemente, doveva dichiarare la sua estinzione per intervenuta

prescrizione.

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2.2.b. Con un secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge

con riferimento agli articoli 74 cod. proc. pen., 185 cod. pen., 2555 cod. civ.,

216, 219, 223 legge fallimentare.

All'esito del processo di primo grado, il Tribunale di Gorizia condannava il

ricorrente al pagamento di una provvisionale pari ad euro 20.000. All'esito del

processo di secondo grado, la Corte d'appello, in riforma della sentenza di primo

grado, quintuplicava l'ammontare della provvisionale concessa, aumentandola

sino a C 100.000 e ponendola a carico dell'avvocato GARLATTI, in solido con il

CAPRARA.

Secondo il ricorrente tale decisione è incomprensibile, immotivata e contrastante

con le risultanze processuali. Rileva il ricorrente che la Corte territoriale, dopo

aver dato atto dell'avvenuta valutazione dell'avviamento da parte del curatore in

euro 54.227, ha stabilito di liquidare, per tale posta patrimoniale, senza

giustificazione alcuna, una somma quasi doppia.

Peraltro, deduce il ricorrente, non vi è stata alcuna sottrazione di un avviamento.

Gli unici beni temporaneamente sottratti alla materiale disponibilità della curatela

sono stati gli automezzi, la cui distrazione, come evidenziato nella sentenza di

primo grado, venne ideata e realizzata autonomamente dal CAPRARA.

2.2.c. In data 2 dicembre 2014 il difensore del GARLATTI ha depositato

una memoria nella quale, oltre ad evidenziare che con la parte civile è stata

trovata una soluzione conciliativa, ha ribadito i motivi già dedotti.

2.3. Paolo MULITZSCH ha proposto ricorso deducendo violazione di legge

perché vi sarebbe la prova positiva ed evidente della sua innocenza.

Sostiene il ricorrente che il reato previsto dall'articolo 481 cod. pen. è formale e

può essere commesso solo dall'avvocato all'atto di apposizione della cosiddetta

firma di autentica. Nel caso di specie, quindi, si sarebbe dovuto accertare chi

fosse l'autore della firma di autentica, essendo pacifico che la firma autenticata

fosse falsa. Nella consulenza del pubblico ministero, però, non è stata sottoposta

ad esame la cosiddetta firma di autentica e conseguentemente non si è accertato

se la stessa fosse del MULITISCH.

Di contro, la consulenza della difesa ha accertato che nessuna delle firme

apposte sull'atto di precetto in questione appartiene all'avvocato MULITISCH.

Alla luce di tali risultanze, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe

dovuto emettere sentenza di assoluzione.

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Deduce ulteriormente il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe basato la sua

decisione su mere illazioni, in quanto si è limitata a valutare scarsamente

verosimile una delle tante ipotesi alternative, non motivando sulle altre e

facendo riferimento solo a concetti di verosimiglianza. Deduce inoltre il vizio di

motivazione in quanto è illogico e contraddittorio affermare che nessuno avrebbe

avuto interesse a falsificare l'atto di precetto, apparentemente riferito

all'avvocato MULITISCH, quando è stato accertato che altri soggetti hanno

falsificato il successivo atto di pignoramento, sempre apparentemente a lui

riferibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti nell'interesse degli imputati CAPRARA e GARLATTI sono

fondati limitatamente ai profili qui di seguito indicati, mentre quello dell'imputato

MULITISCH è inammissibile.

2. Preliminarmente va disposto lo stralcio degli atti relativi al reato di cui al

capo T, con formazione di un nuovo fascicolo intestato a Flavio CAPRARA perché

è necessario verificare se negli atti del processo sia stata acquisita la querela.

2.1. La Corte territoriale, confermando la decisione di primo grado, ha

ritenuto fondata la responsabilità del CAPRARA in ordine all'imputazione

concernente la formazione di sei cambiali, apparentemente emesse dalla società

LOGISTICA in favore della SVET s.a.s. (società delle quali l'imputato era

amministratore di fatto) e girate da quest'ultima alla GENERAL BETON

TRIVENETA s.p.a., società creditrice della SVET, mediante l'apposizione della

sottoscrizione apocrifa di Desolina Pausi, socia accomandataria della stessa

SVET.

La ricostruzione dei fatti che ha consentito l'affermazione di responsabilità è

basata sulle dichiarazioni rese da alcuni testi, ma il ricorrente sostiene che

sarebbe stato necessario esaminare ex articolo 507 cod. proc. pen. la Pausi,

tenuto conto che l'assunto accusatorio si basa sulla falsità della firma di costei.

Con la memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la nullità della sentenza

impugnata, ai sensi dell'articolo 606, comma uno, lettera B, in relazione agli

articoli 491,485 e 493 bis codice penale, per violazione di legge penale, con

riferimento alla mancanza di querela per il reato di cui al capo T. Viene

censurata la sentenza nella parte in cui ha confermato la condanna del CAPRARA

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per il reato di falsità in scrittura privata di documenti equiparati agli atti pubblici

(nel caso di specie, cambiali) pur in mancanza di querela.

2.2. Sebbene il ricorrente abbia dedotto la questione della carenza di

querela solo con una memoria depositata successivamente all'atto di ricorso,

questa Corte deve verificare se vi sia la condizione di procedibilità, trattandosi di

questione rilevabile di ufficio.

Peraltro, nessun dubbio può nutrirsi sul fatto che il reato di falsità in titolo di

credito, come quello di falsità di qualsiasi altra scrittura privata, sia divenuto, per

effetto dell'art. 493 bis cod. pen., punibile a querela della persona offesa, come

si evince dal capoverso della citata disposizione, la quale mantiene la

procedibilità di ufficio per le sole falsità concernenti un testamento olografo.

(Sez. 5, n. 34685 del 16/03/2005, Rv. 232314).

La giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, sin dai primi anni di applicazione

dell'articolo 493 bis cod. pen., introdotto dall'articolo 89 della legge 24 novembre

1981 n. 689, ha stabilito che il reato dì falsità in scrittura privata di documenti

equiparati agli atti pubblici dall'articolo 491 cod. pen. è punibile a querela della

persona offesa in tutti i casi in cui la falsità non riguarda un testamento olografo

(così SS.UU. 17 aprile 1982, Corapi, in Cass. Pen. 1982, 1494).

Sentenze successive hanno ribadito che, nonostante l'infelice formulazione

dell'articolo 493 bis cod. pen., che non fa nessun esplicito riferimento all'articolo

491 cod. pen., l'equiparazione prevista da tale norma di alcuni documenti agli

atti pubblici è soltanto agli effetti della pena, mentre non vi può essere dubbio

che ai fini della perseguibilità tali documenti siano vere e proprie scritture private

(si veda, Cass. 9 marzo 1984, Avalle, Rv. 164984).

Peraltro nel caso in esame è indubbiamente necessario verificare l'esistenza della

querela, giacché quando la Corte viene investita dell'esame di una questione di

procedibilità e, quindi, di una questione processuale, essendo sul punto anche

giudice del fatto, deve esaminare gli atti e valutarli, non fermandosi alle

affermazioni più o meno errate dei giudici di merito.

Negli atti trasmessi a questa Corte non è stato rinvenuto l'atto di querela, sicché

si deve provvedere a richiedere tale atto -ove sia stato presentato- al giudice

d'appello.

3. Passando all'esame dei motivi di impugnazione proposti da CAPRARA e

GARLATTI, ritiene questa Corte opportuno trattare le questioni nell'ordine

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proposto dai singoli imputati, salvo su alcuni profili comuni ad entrambi, di cui si

dirà in seguito.

4. Infondati sono i motivi di ricorso proposti da Flavio CAPRARA in relazione

all'imputazione di cui al capo Z, con la quale gli è stata contestata, quale

amministratore di fatto (in concorso con Milos Vranjkovic e Roberta Del Moro), la

bancarotta documentale commessa mediante falsificazione dei libri e delle

scritture contabili della LOGISTICA EURO EST s.r.I., annotando operazioni di

acquisto e storno non corrispondenti al vero e, in particolare, annotando

operazioni rappresentate da una nota di accredito e una serie di false fatture di

vendita di camion, apparentemente ceduti prima dalla EURO TIR alla B&A TRADE

HOUSE Ltd (società ritenuta nell'ipotesi accusatoria inesistente) e poi sempre

apparentemente rivenduti da tale società straniera alla LOGISTICA.

Si legge nella sentenza impugnata quanto segue.

"Si tratta, in sintesi: 1) delle fatture formate materialmente dalla Del Moro,

sulla base di istruzioni impartitele dal CAPRARA, attraverso l'uso di un computer

e di una stampante a colori, ed annotate nelle scritture contabili della Logistica,

apparentemente da B&A Trade House Ltd nel settembre 2002 e concernenti le

fittizie operazioni di cessione, da parte di tale -inesistente - società, in favore

della Logistica, di quegli stessi automezzi che, sulla base del -falso- contratto del

14.5.2002, risultavano essere stati venduti dalla Eurotir alla predetta società

americana; 2) della nota di credito, a storno delle precedenti operazioni

economiche, sempre apparentemente emesse dalla B&A, nel dicembre 2003, in

favore della Logistica".

4.1. In ordine alla contestazione da parte del ricorrente della sussistenza

del "danno alla massa dei creditori" e dell'elemento oggettivo della bancarotta

documentale, va preliminarmente precisato che non è consentito a questa Corte

trarre valutazioni autonome dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel

provvedimento impugnato. Infatti, solo l'argomentazione critica che si fonda

sugli elementi di prova contenuta nel provvedimento impugnato può essere

sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la

rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della

completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609/2008, Rv. 241214, Ciavarella). E'

ormai principio consolidato che a questa Corte non possono essere sottoposti

giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell'art. 606,

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lettera e, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, Rv. 253567).

Orbene, passando all'esame della sentenza impugnata in questa sede, va

rilevato che la Corte territoriale ha motivato in maniera logica e congrua,

affermando che "la tesi sostenuta dall'appellante, secondo cui le operazioni di

acquisto di storno, aventi ad oggetto gli stessi automezzi, si sarebbero annullate

reciprocamente senza rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del

movimento degli affari della società, non è condivisibile: deve, al contrario,

ritenersi che l'annotazione di quelle -false- fatture nella contabilità della

LOGISTICA non solo creavano un quadro del tutto difforme dalla realtà

economica della società, trattandosi di operazione destinata a far falsamente

apparire come esistente un rapporto economico -che si sarebbe protratto per

oltre un anno- del tutto fittizio, con evidenti ripercussioni sulla ricostruzione

dell'effettività del patrimonio e del reale movimento degli affari della società

fallita, ma avevano anche lo specifico scopo di occultare la condotta distrattiva

dell'intero parco automezzi commessa in danno della EUROTIR e di consentire al

CAPRARA il conseguimento dell'ingiusto profitto rappresentato dalla prolungata

disponibilità degli automezzi sottratti al fallimento, mentre l'emissione, da parte

della LOGISTICA, della nota di credito del dicembre 2003 non era di certo

un'operazione di trasparenza contabile postuma, effettuata allo scopo di

annullare ad origine gli effetti della falsa rappresentazione contabile relativa alle

fatture (apparentemente) emesse dalla società americana nei confronti della

LOGISTICA, ma, come riferito dalla Del Moro, era invece esclusivamente

finalizzata, attraverso un ulteriore artificio contabile, a rendere possibile, sotto il

profilo formale, la realizzazione dell'operazione negoziale intercorsa tra la

LOGISTICA ed il Fallimento EURO TIR".

Tale motivazione non presenta vizi censurabili in questa sede, avendo

chiaramente evidenziato come la condotta posta in essere abbia avuto

l'attitudine di creare un effettivo pregiudizio per la ricostruzione dell'andamento

contabile della società fallita (si veda, in materia, Sez. 5, n. 41051 del

19/06/2014, Rv. 260773).

4.2. Il ricorrente ha censurato ulteriormente la sentenza, deducendo che

non avrebbe motivato sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato

contestato nel capo Z.

Anche tale motivo è, però, infondato sia alla luce di quanto si desume dalla parte

della motivazione sopra riportata, nella quale è chiaramente esplicitata la

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valutazione in ordine alle finalità perseguite dall'imputato con le annotazioni

contabili in esame, sia alla stregua della precisazione fatta dal giudice d'appello

in ordine agli elementi necessari ai fini della configurabilità del reato di

bancarotta fraudolenta documentale come contestata in questa sede.

La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel senso che, mentre

"per le ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture

contabili, per espresso dettato della legge (art. 216, comma 1, n. 2), è

necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un

ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori" (Sez. 5, 13 ottobre 1993, Rv.

195896), per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla

tenuta delle scritture "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del

patrimonio o del movimento degli affari", è richiesto, invece, il dolo intenzionale,

perché la finalità dell'agente è riferita a un elemento costitutivo della stessa

fattispecie oggettiva, l'impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari

dell'impresa, anziché a un elemento ulteriore, non necessario per la

consumazione del reato, qual è il pregiudizio per i creditori (Sez. 5, n. 21872 del

25/03/2010, Rv. 247444; Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, Rv. 242550; Sez. 5,

18 febbraio 1992, De Simone, Rv. 189813).

Appare utile aver presente, peraltro, che -diversamente dalla distinzione tra dolo

intenzionale e dolo diretto o eventuale- la distinzione tra dolo generico e dolo

specifico non attiene all'intensità, ma alla struttura del dolo; e, come rileva la

giurisprudenza di questa Corte, l'intenzione di rendere impossibile o

estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli

affari dell'impresa fallita "cela, di per sé, sul piano pratico lo scopo di

danneggiare i creditori o di procurarsi un vantaggio" (Sez. 5, 24 marzo 1981, Rv.

148926; Sez. 5, 8 novembre 1971, Rv 119792).

Quindi, nella prospettiva dell'accertamento, alle diverse configurazioni del dolo

nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una

sostanziale diversificazione nell'onere probatorio per l'accusa, perché è pur

sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento

psicologico di mera superficialità dell'imprenditore fallito (Sez. 5, 6 dicembre

1999, Rv. 216267).

Infatti, un atteggiamento di superficialità è proprio della bancarotta documentale

semplice, che può essere caratterizzata dal dolo o indifferentemente dalla colpa,

che sono ravvisabili quando l'agente ometta, rispettivamente, con coscienza e

volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture (Sez. 5, n. 48523 del

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06/10/2011, Rv. 251709; Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009, Rv. 244823; Sez. 5,

18 ottobre 2005, Rv. 233997).

5. Infondate sono pure le censure mosse in relazione al capo 3, nel quale è

stato ascritto al CAPRARA (in concorso con Svetlana Milivojevic e Desolina Pausi)

il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, n. 1, 219 comma 2 e 223

L.F., per avere, nella sua qualità di legale rappresentante ed amministratore

della EURO TIR s.r.I., nonché di amministratore di fatto della SVET s.a.s., posto

in essere attività di distrazione di capitali della EURO TIR, concedendo alla SVET

finanziamenti di somme per un ammontare complessivo di euro 223.016,16,

privi di qualsiasi giustificazione economico - finanziaria.

Va premesso che in ordine a tale imputazione in primo grado v'era stata

sentenza di assoluzione del giudice di primo grado, che la Corte territoriale ha

riformato in seguito all'appello dei rappresentanti dell'ufficio del pubblico

ministero e delle parti civili.

5.1. Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale

ha ritenuto che il finanziamento concesso dalla EURO TIR alla SVET per l'acquisto

di un immobile fosse un escamotage per distrarre i beni della società senza un

reale interesse.

Il giudice di primo grado aveva motivato l'assoluzione facendo riferimento al

fatto che il finanziamento erogato dalla EURO TIR a favore della SVET, per un

totale di euro 223.016,16, era stato correttamente contabilizzato, prevedeva

interessi e poi era stato interamente restituito.

La Corte territoriale non ha dato alcuna rilevanza a queste circostanze ed ha,

invece, ritenuto integrato il reato, affermando che quell'operazione non poteva

"essere finalizzata ad accrescere il capitale sociale della EURO TIR, posto che la

società si trovava già in stato di dissesto" e che quel finanziamento "non trovava

fondamento in alcuna giustificazione economico-finanziaria della EURO TIR".

Secondo il ricorrente la Corte territoriale non ha tenuto conto del fatto che, nel

momento in cui era stata erogata la parte rilevante del finanziamento, la società

non si trovava ancora in una fase di dissesto.

Tale circostanza è, però, del tutto irrilevante, per le ragioni che qui di seguito si

diranno, mentre va preliminarmente precisato che l'esame della motivazione

della sentenza impugnata consente di ritenere che la Corte territoriale,

riformando la pronunzia assolutoria di primo grado, non si sia solo basata su una

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interpretazione alternativa degli stessi elementi probatori utilizzati dal Tribunale,

ma abbia argomentato in maniera adeguata e specifica sulle ragioni a sostegno

della diversa lettura delle risultanze processuali.

Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, il giudice di appello che riformi

totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti

del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i

più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle

ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma

del provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino,

Rv. 231679). Tali principi sono stati costantemente ribaditi da questa Corte, con

la precisazione che il giudice dell'appello non può limitarsi ad imporre la propria

valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel

provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 8361 del 17 gennaio 2013, p.c. in proc.

Rastegar, Rv. 254638), ma deve provvedere ad una motivazione che,

sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle

scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova

diversi o diversamente valutati (Sez. 5, n. 42033 del 17 ottobre 2008,

Pappalardo, Rv. 242330), giungendo ad affermare l'illegittimità della sentenza

d'appello che, in riforma di quella assolutoria condanni l'imputato sulla base di

una alternativa interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel

primo grado di giudizio, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore della

motivazione, tale da far cadere "ogni ragionevole dubbio" (Sez. 6, n. 49755 del

21 novembre 2012, G., Rv. 253909). In definitiva il giudice d'appello, quando,

immutato il materiale probatorio acquisito al processo, affermi sussistente una

responsabilità penale negata nel giudizio di primo grado, deve confrontarsi

espressamente con il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, non limitandosi

pertanto ad una rilettura di tale materiale e quindi ad una ricostruzione

alternativa, ma spiegando perché, dopo il confronto puntuale con quanto di

diverso ritenuto e argomentato dal giudice che ha assolto, il proprio

apprezzamento è l'unico ricostruibile proprio al di là di ogni ragionevole dubbio,

in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano

caratterizzato il primo giudizio minandone conseguentemente la permanente

sostenibilità.

A tali oneri la Corte di Appello nel caso di specie ha provveduto in maniera

puntuale e logica, indicando le fonti di prova dalle quali ha desunto la

compromissione patrimoniale di consistenza della società EURO TIR, già

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registrata nell'esercizio chiuso al 31 dicembre 2000, sicché l'operazione di

finanziamento alla SVET non ha avuto alcun fondamento e giustificazione

economico - finanziaria.

Nella sentenza sono evidenziati specificamente gli elementi di fatto a

confutazione della tesi difensiva e correttamente si rileva che l'avvenuta

restituzione delle somme finanziate, in seguito ad espressa richiesta della

curatela, non esclude la sussistenza del reato già consumatosi.

Come la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare (Sez. 5, 23

marzo - 14 aprile 1999, n. 4739), l'elemento oggettivo del delitto in esame è

costituito dal distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore, con

conseguente possibilità di depauperazione patrimoniale nei confronti dei

creditori.

Anche il recupero - ad esempio attraverso un'azione revocatoria o con atto di

restituzione dell'imputato - o la possibilità del recupero del bene è del tutto

ininfluente sulla sussistenza dell'elemento materiale, in quanto la fattispecie si

perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio, anche se il reato

viene ad esistenza giuridica con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero

della res rappresenta solo un posterius, equiparabile alla restituzione della

refurtiva dopo la consumazione del furto (Sez. 5, n. 39635 del 23/09/2010, Rv.

248658).

Anche il fatto che i creditori del fallimento comunque non sarebbero stati lesi,

secondo l'affermazione del ricorrente, non appare rilevante. L'accertamento dello

stato di insolvenza e la conseguente dichiarazione di fallimento del giudice civile,

infatti, non possono essere messi in dubbio dal giudice penale; con la

dichiarazione di fallimento vengono ad esistenza giuridica i fatti di distrazione

commessi in precedenza.

Gli eventi successivi a detta dichiarazione - quali ad esempio revocatorie

fallimentari che consentano il recupero di beni - non incidono sulla sussistenza

dell'illecito, il quale, pertanto, rimane integro anche nel caso in cui i beni

vengano successivamente rinvenuti e recuperati dagli organi fallimentari, avendo

il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la

conseguenza che rimane tutelata anche la mera possibilità di danno per i

creditori (Sez. 5, 17 marzo - 15 maggio 1987, n. 6168).

5.2. Secondo il ricorrente la motivazione della sentenza impugnata

sarebbe carente anche in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento

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psicologico del reato in esame, in quanto non avrebbe preso in considerazione

tutte le circostanze evidenziate dalla difesa che, al contrario, dimostrerebbero

l'assenza di dolo in capo al CAPRARA.

Gli assunti difensivi sono infondati.

La Corte d'appello, dopo aver precisato che per il reato di bancarotta fraudolenta

per distrazione non è necessario il dolo specifico, ha rilevato che il CAPRARA non

poteva ragionevolmente ignorare che la corresponsione di risorse finanziarie così

rilevanti alla SVET (società di cui lui era amministratore di fatto), non giustificate

da un'esigenza dell'attività di impresa della EURO TIR, avrebbero potuto

danneggiare il ceto creditorio ed era, al contrario, perfettamente consapevole

dell'incompatibilità di tali operazioni con gli interessi della stessa EURO TIR, che

non a caso, solo in epoca successiva al fallimento avrebbe ottenuto la

restituzione della somma erogata a titolo di finanziamento.

Ha quindi evidenziato, con motivazione logica e coerente, gli elementi di fatto dai

quali ha desunto la sussistenza in capo all'imputato dell'elemento soggettivo

proprio del reato in esame.

Occorre, a tal proposito, tener presente che, secondo la giurisprudenza di questa

Corte, l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta è costituito dal

dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello

stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori,

essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una

destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. 5, n.

52077 del 04/11/2014, Rv. 261348; Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, Rv.

260407; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rv. 253932).

6. Con il terzo motivo il CAPRARA ha dedotto il vizio di motivazione in relazione

all'imputazione di cui al capo Y, nel quale viene ascritto il reato di bancarotta

fraudolenta aggravata per distrazione di capitali della SVET s.a.s. e, in

particolare, di almeno euro 136.147,13 del maggiore importo di euro

149.197,13, costituendo il saldo (comprensivo di interessi di mora) del prezzo

dovuto alla suddetta società dalla ELLETI s.r.l. per il contratto di compravendita

di immobile.

La Corte territoriale, disattendendo la tesi difensiva, secondo la quale la SVET

non si sarebbe mai trovata in stato di insolvenza e che neppure il pagamento di

somme in favore della EURO TIR ed il successivo finanziamento operato in favore

della LOGISTICA avrebbero influito in tal senso, ha ritenuto che si trattasse di

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operazioni che esulavano del tutto dall'attività della SVET e che soprattutto non

risultavano essere state effettuate nell'interesse della predetta società.

Secondo il ricorrente, non essendo stato provato che dall'attività posta in essere

dalla SVET sia derivata una diminuzione pregiudizievole del patrimonio sociale,

con lesione dei diritti dei creditori (essendo stata, peraltro, la richiesta di

fallimento presentata dal pubblico ministero) e, in assenza di situazioni debitorie

effettive, deve escludersi che si possa configurare il delitto di bancarotta

fraudolenta per distrazione.

Il ricorso appare manifestamente infondato e basato su una serie di deduzioni in

fatto, non valutabili in questa sede; e, a tal proposito, si richiamano qui i principi

in materia di questioni deducibili con l'impugnazione in cassazione.

Va detto, inoltre, che la Corte territoriale, con motivazione congrua, logica ed

esaustiva, ha ritenuto la sussistenza del reato ascritto affermando, tra l'altro,

che le operazioni economiche indicate nel capo d'imputazione costituiscono atti

di distrazione patrimoniale di risorse finanziarie che la SVET aveva conseguito

incassando il prezzo riveniente dalla vendita dell'unico immobile di sua proprietà

e che nessuna giustificazione contabile veniva rilevata in relazione a tali

pagamenti.

Tali indicazioni appaiono sufficienti a fondare la conferma della pronunzia di

primo grado, dovendo rammentarsi, peraltro, che in sede di legittimità non è

censurabile la sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata

col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione

complessivamente considerata; è sufficiente, infatti, per escludere la ricorrenza

del vizio previsto dall'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., che la

sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della

prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida

alternativa (Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013 - dep. 15/01/2014, Cento e altri,

Rv. 259643; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, Rv. 258679).

A completamento di quanto qui detto, si evidenzia infine che nel caso in esame

la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado, sicché vanno

ribaditi i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si

trova dinanzi a una "doppia pronuncia conforme" e cioè a una doppia pronuncia

(in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di

assoluzione), l'eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in sede di

legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione)

che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta

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introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di

secondo grado (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Rv. 258438).

7. Infondato è pure il quarto motivo di ricorso proposto dal CAPRARA in ordine

ai capi d'imputazione sub lettere W e X.

7.1. La Corte territoriale, in seguito all'appello del Pubblico Ministero e

della parte civile, ha ritenuto, riformando la sentenza di primo grado, provata la

responsabilità dell'imputato per entrambe le imputazioni in ordine a fatti

"analoghi" e, pertanto, analizzati congiuntamente, in quanto relativi alla

distrazione dalle casse della SVET della somma di euro 61.975,00, ricevuta dalla

ELLETI a titolo di IVA per la compravendita dell'immobile indicato nel punto

precedente, nonché della somma di euro 161.616,17, costituente la prima rata

del prezzo di vendita dello stesso immobile, somme che venivano destinate

all'estinzione dei crediti della stessa SVET verso la EURO TIR. I fatti sono riferiti

al fallimento della SVET ed ascritti al CAPRARA in qualità di amministratore di

fatto di tale società.

Il Tribunale di Gorizia ha assolto l'imputato dalla reato ascrittogli al capo W

perché il fatto non sussiste, ritenendo che, al momento della restituzione del

prestito a EURO TIR non risultava che la SVET fosse in condizioni di insolvenza

(testimonianza Busolini), nonché dal reato di cui al capo X per difetto

dell'elemento soggettivo del reato, in quanto la scelta di effettuare, con la prima

rata del prezzo di vendita dell'immobile, il pagamento del debito nei confronti di

EUROTIR poteva essere giustificato dal fatto che verosimilmente la curatela

aveva sollecitato detto pagamento.

7.2. Risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che, in data 15

maggio 2002, la SVET vendeva alla società ELLETI l'immobile di Terzo in

Aquileia, precedentemente acquistato grazie al finanziamento da parte dell'EURO

TIR; a fronte di un prezzo pattuito di C 309.875, la società acquirente

corrispondeva una somma pari a C 223.591,17, di cui 61.975 euro a titolo di Iva

e 161.616,17 euro come prima rata del prezzo di acquisto del bene.

Successivamente, la SVET, a titolo di restituzione della somma ricevuta, nel

giugno del 2002, ovvero prima della dichiarazione di fallimento della EURO TIR,

versava, in più occasioni, alla predetta società la somma contante complessiva di

euro 73.600.

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Questo pagamento, sostiene la Corte territoriale, integra la bancarotta

preferenziale, in quanto il CAPRARA ha voluto in qualche modo favorire la EURO

TIR rispetto agli altri creditori della SVET, di cui era amministratore di fatto.

7.3. Nella memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta violazione di

legge in relazione all'articolo 157 cod. pen., con riferimento alla prescrizione dei

reati di cui ai capi W e X.

La Corte territoriale, come si è detto, ha qualificato le condotte di cui ai suddetti

capi d'imputazione come reati di bancarotta preferenziale. Secondo il deducente

i due reati ad oggi hanno maturato il termine di prescrizione, ritenendo che tale

termine, a differenza di quello per il reato di bancarotta patrimoniale, si consumi

nel momento in cui sono stati effettuati pagamenti e non in quello in cui

interviene la sentenza dichiarativa di fallimento.

Tale assunto fa leva sull'indirizzo espresso da una pronuncia di questa Corte,

secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale si consuma nel

momento dei pagamenti, irrilevante essendo la data della sentenza dichiarativa

di fallimento (Sez. 5, n. 37428 del 19/05/2009, Gambino e altri, Rv. 244617).

Tale indirizzo, tuttavia, non può essere seguito.

Questo Collegio, infatti, ritiene di confermare il più recente orientamento, a

mente del quale, anche in caso di bancarotta preferenziale, il termine di

prescrizione decorre dal momento della sentenza dichiarativa di fallimento (Sez.

5, n. 48739 del 14/10/2014, Grillo Luigi, Rv. 261299; Sez. 5, n. 26548 del

19/03/2014, Rv. 260577; Sez. 5, n. 592 del 04/10/2013, De Florio, Rv.

258712).

Punto di riferimento sulla natura della sentenza dichiarativa di fallimento è

l'affermazione secondo cui "la dichiarazione di fallimento, pur costituendo un

elemento imprescindibile per la punibilità dei reati di bancarotta, si differenzia

concettualmente dalle condizioni obiettive di punibilità vere e proprie perché,

mentre queste presuppongono un reato già strutturalmente perfetto, sotto

l'aspetto oggettivo e soggettivo essa, invece, costituisce, addirittura, una

condizione di esistenza del reato o, per meglio dire, un elemento al cui concorso

è collegata l'esistenza del reato, relativamente a quei fatti connmissivi od

omissivi anteriori alla sua pronunzia; e ciò in quanto attiene così strettamente

all'integrazione giuridica della fattispecie penale, da qualificare i fatti medesimi, i

quali, fuori del fallimento, sarebbero, come fatti di bancarotta, penalmente

irrilevanti" (Sez. U, n. 2 dep. 25/01/1958, Mezzo, Rv. 98004).

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Tale orientamento ha trovato conferma nella successiva giurisprudenza di questa

Corte e, più di recente, le Sezioni Unite hanno affermato quanto segue: "La

giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte è schierata nel senso che il

decreto di ammissione all'amministrazione controllata ripete, nell'ambito della

corrispondente fattispecie di bancarotta, la stessa natura e gli stessi effetti della

sentenza dichiarativa di fallimento ed integra, pertanto, un elemento costitutivo

del reato e non già una mera condizione obiettiva di punibilità, presupponendo

questa un reato già strutturalmente perfetto, sia sotto il profilo oggettivo che

sotto quello soggettivo" (Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, Rizzoli, Rv. 243585).

Il ruolo rivestito dalla sentenza dichiarativa di fallimento nelle fattispecie di

bancarotta prefallimentare - compresa la bancarotta preferenziale - si riflette

sull'individuazione del relativo tempus commissi delicti: si è così precisato che la

data di commissione del reato di bancarotta fraudolenta coincide normalmente,

tranne che per le ipotesi di bancarotta postfallimentare, con quella di

dichiarazione del fallimento, che è un elemento costitutivo del reato e non una

condizione oggettiva di punibilità, sicché "tale reato si concretizza in tutti i suoi

elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto che abbia commesso anche in

precedenza attività di sottrazione dei beni sia dichiarato fallito" (Sez. 1, n. 1825

del 06/11/2006, Iacobucci, Rv. 235793; Sez. 5, n. 306 del 17/11/1989,

Sargenti, Rv. 183026).

Il principio ha trovato puntuale conferma con riguardo al termine di efficacia dei

provvedimenti relativi all'applicazione dell'amnistia o indulto (Sez. 5, n. 7814 del

22/03/1999, Di Maio ed altri, Rv. 213867), in tema di determinazione della

competenza per territorio (Sez. 5, n. 1935 del 19/10/1999, Auriemma, Rv.

216433) e in riferimento all'estinzione del reato per prescrizione: infatti, dal

principio di diritto in forza del quale la sentenza dichiarativa di fallimento è un

elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta, con la conseguenza che

fatti altrimenti irrilevanti sul piano penale o, comunque, integranti altri reati

possono essere considerati lesivi degli interessi dei creditori ed incidenti

negativamente sul regolare svolgimento dell'attività imprenditoriale, tanto da

essere specificamente perseguiti penalmente, deriva che la prescrizione decorre

dal momento della consumazione del reato e, quindi, nella specie, dalla sentenza

dichiarativa di fallimento (Sez. 5, n. 46182 del 12/10/2004, Rossi ed altro, Rv.

231167; Sez. 5, n. 32164 del 15/05/2009, Querci, Rv. 244488, in tema di

bancarotta fraudolenta impropria).

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È dunque in questo quadro che va collocata l'affermazione generale - riferibile

anche alla bancarotta preferenziale - delle Sezioni unite di questa Corte secondo

cui "la bancarotta pre-fallimentare si consuma nel momento e nel luogo in cui

interviene la sentenza di fallimento, mentre la consumazione di quella post-

fallimentare si attua nel tempo e nel luogo in cui vengono posti in essere i fatti

tipici" (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011 - dep. 26/05/2011, P.M. in proc. Loy,

Rv. 249668; si veda anche, proprio con riferimento ad un'ipotesi di bancarotta

preferenziale, Sez. 3, n. 34912 del 13/07/2011, Sartore).

Alla luce della considerazioni svolte deve dunque conclusivamente affermarsi che

il reato di bancarotta preferenziale pre-fallimentare si consuma nel momento in

cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento.

In applicazione dei principi sopra enunciati, quindi, va rigettata la richiesta della

difesa di declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati di bancarotta

preferenziale di cui ai capi di imputazione sopra indicati.

7.4. Passando all'esame degli altri profili del motivo di ricorso in esame,

va detto che il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui

disattende le risultanze della relazione del commercialista della difesa in

relazione ai bilanci della SVET, che escluderebbero l'elemento psicologico del

reato di bancarotta sul presupposto della prova della solvibilità della società

SVET.

Deduce, inoltre, che -affinché sia integrata la fattispecie del reato in questione- i

pagamenti devono essere stati eseguiti in costanza dello stato di insolvenza della

società fallita; ma lo stato di insolvenza accertato nella sentenza di fallimento -

secondo il ricorrente- non ha alcuna rilevanza per quanto riguarda il reato

contestato al capo W. Infatti, in quella sentenza è stato accertato che la SVET si

trovava in stato di insolvenza solo quando è stata presentata istanza di

fallimento, ossia al termine dell'anno 2003. Nessuna parola è stata spesa per

motivare se la società fosse già in stato di insolvenza nel momento in cui è stato

effettuato il pagamento alla EURO TIR nel giugno 2002. Secondo il ricorrente non

si può ragionevolmente ritenere che la SVET nel giugno 2002, dopo aver

incassato C 223.591,17, si trovasse in stato di insolvenza. Peraltro, nel momento

in cui è stato effettuato il pagamento alla EURO TIR non era neppure scaduto il

termine per il pagamento dell'Iva, che avrebbe dovuto essere versata entro il 15

luglio 2002; pertanto, secondo il ricorrente, il pagamento alla EURO TIR non

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poteva arrecare alcun danno all'Erario, posto che, al momento della scadenza, la

società aveva ancora la disponibilità di € 149.991,17.

In ordine a tale profilo, però, la Corte territoriale ha motivato correttamente,

evidenziando che la questione relativa all'accertamento dello stato di insolvenza

della società è, in realtà, priva di rilevanza, poiché la sentenza di fallimento non

è in alcun modo sindacabile quanto alla sussistenza dei suoi presupposti dal

giudice penale (Sez. 5, n. 9279 del 08/01/2009, Carottini, Rv. 243160; Sez. U,

n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398).

7.5. Il ricorrente censura, altresì, la motivazione nella parte in cui la

Corte territoriale confuta l'ipotesi sostenuta dal giudice di primo grado, secondo

la quale mancherebbe la prova della consapevolezza che la SVET, pagando il

debito in favore della EURO TIR, volesse danneggiare gli altri creditori ed in

particolare l'Erario, il cui credito non era stato ancora compulsato attraverso

un'azione di messa in mora. Rileva il ricorrente che la condotta punita dal

comma tre dell'articolo 216 legge fallimentare consiste nell'avere, tra l'altro,

eseguito pagamenti prima o durante la procedura fallimentare "a scopo di

favorire, a danno dei creditori, uno di essi". Mancherebbe, nel caso di specie, tale

elemento soggettivo, che è integrato dal dolo costituito dalla volontà di recare un

vantaggio al creditore (o ai creditori) con l'accettazione dell'eventualità di un

danno per altri.

In ordine a tale profilo, però, la Corte territoriale ha reso motivazione congrua e

logica.

Si legge, infatti, che "il Caprara, in un momento in cui la SVET si trovava nello

stato d'insolvenza sopra descritto -ed a lui noto- abbia voluto, attraverso le

specifiche operazioni contestate, favorire la EURO TIR, alterando così la par

condicio creditorum, e rappresentandosi o, quantomeno, accettando il rischio di

cagionare un danno agli altri creditori, nel caso di specie l'erario, in virtù del

debito tributario derivante dal versamento dell'IVA, da parte della ELLETI, in

relazione al contratto di compravendita immobiliare".

Richiama, quindi, la Corte territoriale la giurisprudenza di questa Corte, secondo

la quale l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale è costituito

dal dolo specifico, ravvisabile quando l'atteggiamento psicologico del soggetto

agente sia rivolto a preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante

riflesso, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per

altri (Sez. 5, n. 673 del 21/11/2013, Lippi, Rv. 257963; Sez. 5, n. 592 del

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04/10/2013, De Florio, Rv. 258713; Sez. 5, n. 31894 del 26/06/2009, Petrone,

Rv. 244498).

La Corte territoriale ha quindi evidenziato perché sia individuabile in capo al

CAPRARA il dolo specifico, affermando che "non v'è dubbio che ciò sia stato

oggetto di rappresentazione da parte dell'imputato, essendo evidente che

l'impiego di quelle somme a vantaggio della creditrice EUROTIR avrebbe

sostanzialmente privato definitivamente la SVET di ogni sua risorsa finanziaria,

che, pertanto, la società, come ha rilevato il curatore fallimentare, non avrebbe

più avuto i mezzi per il versamento dell'IVA e che, al contrario, l'esposizione

debitoria verso l'Erario avrebbe subiti un rilevante e progressivo incremento

senza che vi fosse alcuna concreta prospettiva di un suo proprio risanamento...".

Tale motivazione non appare meritevole di censure.

7.6. In ordine al capo X deduce ulteriormente il ricorrente che la

sentenza di primo grado aveva correttamente escluso la sussistenza del reato

affermando che "la scelta di effettuare, con l'importo percepito quale prima rata

del prezzo di vendita, il pagamento del debito nei confronti di EURO TIR,

precedentemente al versamento dell'Iva trova giustificazione nel fatto che è

verosimile che la curatela fallimentare avesse sollecitato detto pagamento.

Appare dunque conforme alle risultanze probatorie esposte escludere una

volontà distrattiva in relazione alla prima rata del prezzo di vendita, dovendosi

anche rilevare che rimaneva a disposizione della SVET il residuo corrispettivo per

fare fronte alle altre obbligazioni". È evidente, pertanto, secondo il deducente,

che gli amministratori non sono stati mossi dall'intento di avvantaggiare un

creditore rispetto all'altro, ma che hanno agito solo al fine di evitare un possibile

fallimento della società o, comunque, un'azione legale da parte del curatore della

SVET, ben sapendo di poter estinguere successivamente il debito con l'Erario,

pur dovendo pagare la mora per il ritardo.

L'assunto è destituito di fondamento, dovendo invece condividersi quanto

rilevato dalla Corte d'appello, con adeguata e logica motivazione, affermando -

come si è già detto- che il CAPRARA era consapevole del fatto che così facendo

avrebbe lasciato la SVET priva di risorse economiche e che in tal modo la stessa

non avrebbe potuto pagare l'Iva.

Ciò, come si è sopra già rilevato, è indicativo della finalità perseguita dal

CAPRARA, ossia quella di favorire il creditore EURO TIR rispetto all'Erario.

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8. Nei motivi di ricorso proposto dal CAPRARA è stato dedotto il vizio di

motivazione anche con riferimento all'imputazione di cui al capo A, nel quale è

stato contestato al suddetto imputato di aver posto in essere, in concorso con

altri soggetti tra cui il GARLATTI, un'attività finalizzata a distrarre ed occultare i

beni del patrimonio della società EURO TIR, di cui era amministratore e legale

rappresentante, attraverso la cessione del parco automezzi (costituente gran

parte del patrimonio della società) ad una fantomatica società americana, la B&A

TRADE HOUSE.

Per tale vendita era stata emessa una falsa fattura in data 14 maggio 2002 e,

quindi, poco prima della sentenza dichiarativa di fallimento del 3 luglio 2002.

Dopo il fallimento il predetto parco automezzi era stato acquistato dalla

LOGISTICA EURO EST s.r.I., della quale il CAPRARA era amministratore di fatto,

con ciò consentendo a tale ultima società di poter svolgere la stessa attività di

trasporto per conto terzi, negli stessi locali della società EURO TIR ed in gran

parte con lo stesso personale.

In ragione di ciò, secondo la Corte territoriale oggetto di distrazione sono stati

anche i "fattori di produzione" della EURO TIR, costitutivi dell'avviamento, così

come specificamente contestato nel capo d'imputazione in esame. E sul punto ha

riformato la sentenza assolutoria di primo grado.

8.a.l. In ordine alla posizione del CAPRARA va subito affrontato l'esame

della parte dell'imputazione riguardante la distrazione dell'avviamento.

Con la memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la violazione di norma

processuale con riferimento alla riforma in appello della pronunzia assolutoria in

primo grado.

Sostiene il ricorrente, infatti, che sul punto non hanno proposto impugnazione,

nei confronti del CAPRARA, né il pubblico ministero né il procuratore generale,

che hanno invece impugnato la sentenza di primo grado con riferimento al capo

A solo nei confronti dell'avvocato GARLATTI.

La Corte territoriale, però, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di

Gorizia, ha dichiarato il CAPRARA colpevole del reato di cui al capo A anche con

riferimento alla contestata distrazione dell'avviamento. In tal modo, secondo il

ricorrente, è stato violato il principio devolutivo di cui all'articolo 597 cod. proc.

pen.

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La doglianza è fondata e di conseguenza merita accoglimento, sebbene si tratti

di motivo del tutto nuovo (non è stato infatti dedotto con il ricorso originario),

essendo la relativa questione rilevabile di ufficio.

In effetti, anche dalla stessa sentenza risulta che solo negli atti di appello delle

parti civili è stata dedotta la questione relativa alla distrazione dell'avviamento

(pag. 29 della sentenza), mentre negli atti dei rappresentanti dell'ufficio del

Pubblico Ministero non risulta interposto appello avverso la pronunzia assolutoria

del CAPRARA in ordine al profilo in esame (pagg. 26 - 29 della sentenza).

L'esame diretto degli atti conferma peraltro quanto rilevato.

La Corte territoriale ha quindi errato nel riformare la sentenza di primo grado con

una pronunzia di affermazione di responsabilità penale dell'imputato, non

essendo stata devoluta la relativa questione negli atti dei rappresentanti della

pubblica accusa.

8.a.2. Dovendo provvedersi alla rideterminazione del trattamento

sanzionatorio sul punto e dovendo peraltro essere vagliate le ragioni dedotte in

ordine alle statuizioni civili, va annullata la sentenza impugnata con rinvio per

nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste in ordine alla

posizione di Flavio CAPRARA relativamente alla distrazione dell'avviamento

dell'EURO TIR di cui al capo A delle imputazioni.

Tale decisione rende superfluo l'esame degli altri profili posti dal ricorrente

CAPRARA in ordine alla decisione della Corte territoriale sulla distrazione

dell'avviamento.

8.b. Con riferimento alla stessa imputazione di distrazione

dell'avviamento di cui al capo A la sentenza va annullata in ordine alla posizione

di Bruno GARLATTI per non aver questi commesso il fatto.

Come si dirà più avanti in riferimento alla condotta distrattiva degli automezzi,

questa Corte ritiene sia configurabile in capo al GARLATTI il reato di

favoreggiamento originariamente contestato nell'imputazione alternativa sub AA.

Fondato, invece, deve ritenersi il motivo di ricorso proposto dal suddetto

imputato in relazione al fatto di distrazione dell'avviamento.

In effetti, come sostiene il ricorrente, nel capo di imputazione in esame (capo A),

sebbene articolato in una lunga descrizione dei fatti, non è stata delineata la

condotta del GARLATTI, all'epoca difensore del CAPRARA, nella quale si sarebbe

sostanziato il concorso nella distrazione dell'avviamento.

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Invero, tutta l'attività del GARLATTI descritta nell'imputazione è riconducibile

nell'agevolazione del CAPRARA ad assicurare l'avvenuta distrazione gli

automezzi, mentre nessun ruolo sembra aver avuto il difensore nella cessione

dell'avviamento alla Logistica Euro Est s.r.l.

Né sul punto possono trarsi spunti ulteriori dalla lettura della motivazione della

sentenza della Corte territoriale, che -va ricordato- sul punto ha riformato la

pronunzia di primo grado.

Tutte le risultanze probatorie descritte e valutate dalla Corte di Appello delineano

un ruolo del GARLATTI incentrato sul favoreggiamento del CAPRARA ovvero nel

portargli ausilio per assicurare gli effetti del disegno criminoso relativo alla

distrazione degli automezzi della EURO TIR, mentre non risulta indicata alcuna

condotta, alcun dato fattuale, alcun elemento concreto da cui desumere

l'esistenza di un'attività rafforzativa della volontà del CAPRARA di distrarre

l'avviamento in favore della società LOGISTICA.

La stessa Corte territoriale ha nella motivazione evidenziato che la condotta del

GARLATTI non era finalizzata a fornire un contributo alla distrazione realizzata

dal CAPRARA in via del tutto autonoma, ma ha avuto lo "specifico scopo di

consentirgli di mantenere la disponibilità dei beni oggetto di sottrazione".

Si tratta, quindi, di un intervento del legale GARLATTI successivo alla condotta

distrattiva posta in essere dal CAPRARA in concorso con altri soggetti.

9. Non può essere accolto il ricorso del CAPRARA in relazione alla imputazione,

contestata sempre nel capo A, di bancarotta per la distrazione degli automezzi

della EURO TIR.

Pare opportuno affrontare ancora congiuntamente, poiché riguarda lo stesso

fatto, anche il ricorso di Bruno GARLATTI, dovendo peraltro, in relazione alla

posizione di costui, essere annullata la sentenza senza rinvio.

Infatti, ritiene questa Corte che correttamente il giudice di primo grado aveva

ritenuto configurabile il reato di favoreggiamento di cui al capo AA in relazione

alla condotta tenuta dal GARLATTI per la distrazione degli automezzi sub capo A.

Qualificato in tal senso il reato, sì deve dichiarare la sua estinzione per

prescrizione.

9.a. Il ricorso del CAPRARA è manifestamente infondato, giacché basato

su una serie di deduzioni in fatto e di profili già rappresentati con l'atto di

appello, che la Corte territoriale ha dettagliatamente vagliato e ai quali ha

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risposto con motivazione esente da vizi logici e di metodo.

Giova rammentare in proposito quanto già evidenziato in ordine al principio

secondo il quale a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito,

non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell'art. 606, lettera e), cod.

proc. pen.; la modifica normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia

inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può

essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il

nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, la cui mancanza,

illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal testo del

provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente

indicati; è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova,

che si realizza allorché si introduce nella motivazione un'informazione rilevante

che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova

decisiva ai fini della pronunzia. Più approfonditamente, si è affermato che la

specificità dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., dettato in tema di ricorso per

Cassazione al fine di definirne l'ammissibilità per ragioni connesse alla

motivazione, esclude che tale norma possa essere dilatata per effetto delle

regole processuali concernenti la motivazione, attraverso l'utilizzazione del vizio

di violazione di legge di cui al citato articolo, lett. c). E ciò, sia perché la

deducibilità per Cassazione è ammessa solo per la violazione di norme

processuali stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o

decadenza, sia perché la puntuale indicazione di cui al punto e) ricollega ai limiti

in questo indicati ogni vizio motivazionale; sicché il concetto di mancanza di

motivazione non può essere utilizzato sino a riconnprendere ogni omissione od

errore che concernano l'analisi di determinati, specifici elementi probatori (Sez.

3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567).

Tanto premesso, occorre rilevare che tutti i profili del motivo in esame proposti

dal ricorrente si limitano a censurare proprio la sussistenza di prove a suo carico,

con riferimento sia all'elemento oggettivo sia a quello soggettivo del reato

contestato.

Quanto dedotto è però -come si è detto- incentrato su una serie di

argomentazioni finalizzate a una rilettura ovvero ricostruzione dei fatti diversa da

quella operata dai giudici di merito, ricostruzione inibita a questa Corte.

Peraltro, l'esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la

motivazione del giudice d'appello sia congrua ed improntata a criteri di logicità e

coerenza, anche nella valutazione dettagliata delle risultanze processuali, sicchè

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appare destituita di fondamento anche la censura del ricorrente il quale ha

lamentato il rigetto della richiesta di esame in appello del curatore e del giudice

delegato.

Tale censura non può apprezzarsi neppure come "error in procedendo" rilevante

ex art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., che -come è noto- è

configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con

le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè

tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa; e la

valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando

se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare

le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito (Sez. 4,

n. 23505 del 14/03/2008 - dep. 11/06/2008, Di Dio, Rv. 240839).

Va, inoltre, evidenziato che nel giudizio d'appello, trattandosi di un procedimento

critico che ha per oggetto la sentenza impugnata, la rinnovazione dell'istruttoria

dibattimentale è un istituto di carattere eccezionale, rispetto all'abbandono del

principio di oralità del secondo grado, nel quale vale la presunzione che

l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento

svoltosi innanzi al primo giudice. In una tale prospettiva, l'art. 603, comma 1,

cod.proc.pen. non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del

giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è

richiesta per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo

concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua

discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. Con la conseguenza

che, se è vero che il diniego dell'eventualmente invocata rinnovazione

dell'istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo

grado, la relativa motivazione (sulla quale nei limiti della illogicità e della non

congruità è esercitabile il controllo di legittimità) può anche ricavarsi per

implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato

comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di potere

decidere allo stato degli atti (Sez. 4, 28/04/2011, n. 23297). Tanto è in concreto

avvenuto nel caso di specie.

Né va trascurato ancora una volta che la sentenza impugnata sul punto in esame

ha confermato quella di primo grado (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 - dep.

29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438).

Si deve giusto precisare, rispondendo in tal modo a una specifica censura

avanzata dal ricorrente, che del tutto irrilevante per la configurabilità della

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condotta distrattiva è il fatto che gli automezzi sono stati in gran parte recuperati

dalla curatela e da quest'ultima venduti.

Va infatti ribadito il principio secondo il quale, in tema di bancarotta fraudolenta,

il recupero del bene distratto a seguito di azione revocatoria non spiega alcun

rilievo sulla sussistenza dell'elemento materiale del reato di bancarotta, il quale -

perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore -

viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero

della "res" rappresenta solo un "posterius", avendo il legislatore inteso colpire la

manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che è tutelata anche la

mera possibilità di danno per i creditori. (Sez. 5, n. 39635 del 23/09/2010, Rv.

248658; Sez. 5, n. 8607 del 28/05/1982, Rv. 155366; Sez. 5, n. 14905 del

25/02/1977, Rv. 137340).

E altrettanto irrilevante deve ritenersi la circostanza di fatto che una buona parte

degli automezzi siano rimasti fisicamente nell'area della sede della società EURO

TIR anche dopo l'attività del CAPRARA finalizzata alla loro vendita.

La bancarotta fraudolenta per distrazione si configura ogniqualvolta la condotta

dell'imputato sia diretta ad impedire che un bene del fallito sia utilizzato per il

soddisfacimento dei diritti della massa dei creditori. Tale effetto si produce o può

prodursi sia quando il bene sia venduto, sia quando venga anche

temporaneamente ceduto e lo spostamento possa recare pregiudizio ai creditori

(arg. da Sez. 5, n. 10220 del 19/09/1995, Rv. 203006), tant'è che anche un

contratto di locazione può integrare gli estremi della bancarotta per distrazione

ove sia stipulato in previsione del fallimento ed allo scopo di trasferire la

disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico

(Sez. 5, Sentenza n. 3302 del 28/01/1998, Rv. 209947). In particolare, si è

rilevato che "un contratto di locazione stipulato per finalità estranee all'azienda

può integrare gli estremi della bancarotta per distrazione, quando venga

stipulato in previsione del fallimento ed allo scopo di trasferire la disponibilità di

tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico. Un tale contratto,

infatti, lascia l'impresa dissestata nell'impossibilità di esercitare qualsiasi attività

economica e poiché produce effetti anche dopo il fallimento del locatore (art. 80

legge fall.), ostacola gli organi del fallimento nella liquidazione dell'attivo

(rendendo difficile la collocazione sul mercato di beni non immediatamente

disponibili) e danneggia i creditori concorsuali (determinando una drastica

diminuzione del valore di mercato dei beni locati)" (Sez. 5, n. 46508 del

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27/11/2008, Rv. 242614; Sez. 5, Sentenza n. 11207 del 29/10/1993, Rv.

196456).

9.b. Come si è già detto in relazione alla posizione del GARLATTI la

sentenza va annullata senza rinvio, dovendo essere qualificata la condotta

ascrittagli con riferimento alla distrazione degli automezzi della società EURO TIR

come favoreggiamento e come ipotizzato nella originaria contestazione

alternativa sub capo AA

La stessa descrizione dei fatti che si legge nelle contestazioni e la loro

ricostruzione operata dai giudici di merito, sulla base delle risultanze processuali,

consentono di ritenere che in effetti l'intervento del GARLATTI nelle vicende

relative alla distrazione degli automezzi si è sostanziato in una attività successiva

al distacco di tali beni dal patrimonio della fallita EURO TIR ovvero quando il

CAPRARA aveva già fatto emettere e registrare in contabilità la falsa fattura di

vendita degli stessi automezzi.

Va, a tal proposito, ribadito che la Corte territoriale ha riformato in peius la

sentenza di primo grado con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti

descritti nel capo A, ritenendo sussistente il concorso nel reato di bancarotta

fraudolenta e non quello di favoreggiamento, come detto, contestato

nell'imputazione alternativa sub capo AA.

E fondate appaiono, in proposito, le censure mosse dal ricorrente in ordine al

fatto che il giudice di appello ha preso in esame una serie di fatti diversi ed

ulteriori rispetto alle specifiche condotte indicate nel capo d'imputazione sub A,

nel quale si fa riferimento soltanto alla formazione del falso contratto di vendita

del 29 agosto 2002 e alla formazione della proposta di acquisto del dicembre del

2003, riportante firme apocrife apposte dallo stesso GARLATTI.

Nella sentenza impugnata sono però evidenziate ulteriori condotte del GARLATTI

ovvero una serie di contatti intrattenuti da quest'ultimo con la curatela ed il

legale della curatela, la rinuncia della B&A Trade House a fare valere eventuali

eccezioni, le ulteriori trattative in tal senso. Si tratta di condotte non contestate

nel capo d'imputazione e che la Corte, unitamente alle due condotte

espressamente contestate, ha ritenuto idonee ad integrare il reato di concorso in

bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Quanto accaduto, tuttavia, non comporta -come sostenuto dal ricorrente- la

nullità della sentenza impugnata, essendo principio consolidato nella

giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui si ha violazione del principio di

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corrispondenza tra accusa e decisione solo nel caso in cui l'imputato risulti

concretamente pregiudicato nel suo diritto di difesa. Per accertare se la modifica

dell'addebito nella sentenza determini un vulnus di tale diritto non è sufficiente il

mero confronto letterale fra l'imputazione e la decisione, ma bisogna accertare

se sia mutato il fatto, vale a dire se risulti radicalmente trasformata la fattispecie

concreta contestata, in maniera tale da risultare incerto l'oggetto della

contestazione.

Al contrario, deve escludersi la violazione del diritto in oggetto allorquando

l'originaria contestazione, considerata nella sua interezza, contenga gli stessi

elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza e si accerti -come nel

caso in esame- che l'imputato si è trovato, in concreto, nella condizione di

difendersi.

Inoltre, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e

contestazione di cui all'art. 521 cod.proc.pen., deve tenersi conto non solo del

fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie

portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale

contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul

materiale probatorio posto a fondamento della decisione.

Alla luce di tanto nessuna violazione di legge può dirsi consumata nel caso in

esame, avendo avuto il GARLATTI la possibilità di difendersi in relazione a tutti i

fatti emersi durante l'attività di acquisizione delle prove.

Va, tuttavia, detto che anche le ulteriori condotte cui ha fatto riferimento nella

sua motivazione la Corte territoriale sono tutte successive a quella posta in

essere dal CAPRARA con l'emissione della falsa fattura di vendita degli automezzi

alla società americana e quindi con l'attività distrattiva degli automezzi.

Le risultanze processuali di cui danno atto i giudici di merito evidenziano che il

GARLATTI è intervenuto solo a fine agosto 2002, allorquando, predisposto il

contratto falsamente datato 14 maggio 2002 (di cui si parlerà più diffusamente

trattando le questioni relative al capo E) ed avviati i contatti come difensore con

il curatore, ha consegnato tale contratto di vendita dei mezzi.

Come si è già detto sopra, sul punto la stessa Corte territoriale ha affermato che

la condotta del GARLATTI ha avuto lo specifico scopo di consentire al CAPRARA di

mantenere la disponibilità dei beni oggetto di sottrazione.

E' evidente allora la correttezza della decisione del giudice di primo grado, che

aveva ritenuto configurabile il reato di favoreggiamento reale, non essendo

emersi elementi per ritenere che il GARLATTI, in qualità di "extraneus" nel reato

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di bancarotta fraudolenta patrimoniale, consapevole sin dall'inizio dei propositi

distrattivi del CAPRARA, abbia fornito consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici

idonei a sottrarre i beni ai creditori, mentre indubbiamente l'intervento del

suddetto difensore si è sostanziato in successive attività, dirette a garantire al

CAPRARA il conseguimento del profitto della condotta distrattiva, secondo lo

schema della fattispecie del favoreggiamento di cui all'art. 379 cod. pen.

Tale reato, come si è già rilevato, è estinto per intervenuta prescrizione, sicché

l'annullamento della sentenza va disposto senza rinvio.

10. Infondato deve ritenersi l'ulteriore motivo di ricorso del CAPRARA in ordine

all'imputazione di cui al capo E.

Per tale imputazione è stata affermata pure la responsabilità del GARLATTI,

sicché appare opportuno trattare ancora una volta congiuntamente le posizioni

dei due imputati.

10.1. La Corte territoriale precisa in punto di fatto che "l'oggetto della

imputazione è rappresentato dalla registrazione, nelle scritture contabili della

EURO TIR, dell'operazione economica relativa alla falsa cessione del parco

automezzi della EURO TOR alla società americana B.&A. Trade House Ltd, come

documentata dal contratto apparentemente redatto in data 14 maggio 2002 -

trattasi della scrittura , di cui al capo g) di rubrica- e dalla -pure falsa- fattura n.

293, apparentemente emessa in pari data; in particolare, secondo la

prospettazione accusatoria, attraverso la realizzazione di quella fattura, cui

aveva provveduto materialmente la Del Moro, su indicazione del CAPRARA, e la

formazione, da parte dell'avv. GARLATTI, previo concerto con quest'ultimo, del

contratto di compravendita che veniva predisposto in data 29 agosto 2002 e

retrodatato al 14 maggio 2002 -stesso giorno di emissione della fattura-, gli

imputati, in concorso tra loro, avevano falsificato le scritture contabili della EURO

TIR, allo scopo di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del

movimento degli affari della società e di procurare al CAPRARA un ingiusto

profitto, costituito dall'assicurarsi la disponibilità materiale e giuridica dei beni

distratti".

Il giudice di appello ha quindi ritenuto che i suddetti fatti integrino l'ipotesi di

bancarotta fraudolenta documentale ascritta al CAPRARA e in concorso al

GARLATTI.

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10.2.a. Secondo il ricorrente CAPRARA tale decisione non sarebbe stata

adeguatamente motivata, non avendo risposto la Corte territoriale alle specifiche

doglianze difensive formulate con l'atto d'appello e nulla avendo chiarito in

ordine alla circostanza, non accertata, dell'effettiva lesione degli interessi dei

creditori.

Sostiene, altresì, il ricorrente che non vi sarebbe adeguata motivazione sulla

sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto, non avendo egli mai agito

con la piena consapevolezza di recare danno ai creditori ovvero di impedire la

ricostruzione del patrimonio dell'impresa, essendo stata invece la sua condotta

finalizzata a tentare di salvare i beni della società, ritardando l'eventuale

fallimento, nonché ad ottenere liquidità che servisse non ad aumentare il suo

patrimonio ma quello della massa dei creditori.

Nella memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente censura ulteriormente la

motivazione della sentenza, sostenendo che non si può ragionevolmente ritenere

che la sostituzione di un'unica fattura con un'altra sia idonea a rendere

impossibile la ricostruzione del movimento degli affari della società e quindi ad

integrare la condotta di bancarotta documentale. In ogni caso, la Corte

territoriale non avrebbe adeguatamente motivato sul punto.

10.2.b. Ancora una volta le doglianze del CAPRARA sono da ritenersi

manifestamente infondate, perché sostanzialmente reiterano i motivi di appello e

in ordine ad essi la Corte territoriale ha reso adeguata, congrua e logica risposta

in motivazione.

Va ricordato a tal proposito che la funzione tipica dell'impugnazione è quella della

critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, che si realizza con

la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod.

proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di

fatto che sorreggono ogni richiesta.

Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità.

Deve essere senz'altro conforme all'art. 581, lett. c, cod. proc. pen. ovvero

contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che

sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione; ma quando

censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, enucleare in modo

specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre

soli vizi previsti dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deducendo poi,

altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso

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logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata,

sì da condurre a decisione differente (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013 - dep.

21/02/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584).

Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso si limita - come nel

caso in esame- a riprodurre il motivo d'appello, viene meno in radice l'unica

funzione per la quale è previsto e ammesso (tra le tante, Sez. 5 n. 25559 del 15

giugno 2012, Pierantoni; Sez. 6 n. 22445 del 8 maggio 2009, p.m. in proc.

Candita, rv 244181; Sez. 5 n. 11933 del 27 gennaio 2005, Giagnorio, rv.

231708).

In conclusione, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d'appello può essere

presente nel motivo dì ricorso solo quando ciò serva a "documentare" il vizio

enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che si

riferisca al provvedimento impugnato con il ricorso e che si confronti con la sua

integrale motivazione (si vedano, tra le più recenti, Sez. 3, n. 44882 del

18/07/2014 - dep. 28/10/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 34521 del

27/06/2013 - dep. 08/08/2013, Ninivaggi, Rv. 256133).

E nel caso in esame, per quanto già accennato, seguendo tale erronea

impostazione, il ricorrente in ordine al capo di imputazione sub capo E si è

limitato a ribadire, tanto pedissequamente quanto inammissibilmente, le

contestazioni mosse in appello alla sentenza di primo grado, senza tener conto

del tenore effettivo delle argomentazioni espresse nella sentenza per superare i

rilievi; sentenza che peraltro va apprezzata per la motivazione congrua ed

improntata a criteri di logicità e coerenza.

10.2.c. Va giusto precisato che sui rilievi relativi alla sussistenza

dell'elemento soggettivo e sul pregiudizio per i creditori, la Corte territoriale ha

adeguatamente motivato, evidenziando la sussistenza del dolo specifico del reato

di bancarotta documentale post - fallimentare (art. 216, comma 2, parte II

legge fall.), che si sostanzia nella finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto

profitto o di recare pregiudizio ai creditori mediante sottrazione, distruzione o

falsificazione di libri e scritture (Sez. 6, n. 4038 del 13/01/1994, Rv. 198454).

Nel caso in esame l'annotazione della falsa fattura e del falso contratto di

compravendita nelle scritture contabili della società ha avuto la specifica finalità

di portare a compimento ulteriore l'attività di dissimulazione della distrazione del

parco automezzi della EURO TIR, proprio attraverso la falsa rappresentazione

contabile della vendita dei beni ad un terzo in epoca anteriore al fallimento.

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10.3.a. Con riferimento alla bancarotta documentale post-fallimentare di

cui al capo E, il ricorrente GARLATTI sostiene che sia il giudice di primo grado

che la Corte territoriale avrebbero errato nel ritenere configurabile tale reato con

riferimento all'avvenuta formazione del contratto ideologicamente falso di

vendita dei mezzi alla B&A House Trade ed alla consegna dello stesso al curatore

fallimentare.

Le condotte penalmente rilevanti di bancarotta documentale post fallimentare

sono soltanto quelle di sottrazione, distruzione, falsificazione dei libri e/o delle

scritture contabili. Nel caso di specie la condotta ascritta al GARLATTI è quella di

aver falsificato un contratto di vendita di automezzi e consegnato al curatore del

fallimento: consegnare al curatore un contratto non equivale a falsificare una

scrittura contabile, secondo il ricorrente. All'epoca in cui tale contratto venne

formato, poi, era già stata registrata in contabilità la relativa falsa fattura di

vendita e il contratto non è mai stato registrato.

Le doglianze del GARLATTI sono infondate.

Egli ha pacificamente formato il falso contratto di compravendita finalizzato a

supportare la annotazione della fattura relativa alla vendita degli automezzi alla

società americana.

Il fatto che solo la fattura sia stata annotata nelle scritture contabili (e non

poteva essere diversamente) non esclude affatto il concorso del GARLATTI nel

reato contestato.

Invero, i documenti e le scritture che, se tenuti in modo irregolare, integrano il

delitto di bancarotta fraudolenta documentale sono tutti quelli che possano

impedire la ricostruzione del patrimonio della società ed alterino, di

conseguenza, i rigidi meccanismi di soddisfazione dei singoli creditori, non

consentendo, ad esempio, tempestive azioni revocatorie o l'esperimento di altri

rimedi che consentano di reintegrare il patrimonio sociale posto a garanzia dei

creditori. Il reato di bancarotta documentale punito dall'art. 216 legge

fallimentare individua espressamente i libri e le altre scritture contabili che

hanno la funzione di rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del

movimento degli affari, così ricollegandosi direttamente all'art. 2214 cod.civ.

E' quindi il collegamento tra quelle scritture e la funzione che assolvono nella

ricostruzione della contabilità della società fallita a delineare una parte

dell'oggetto materiale del reato.

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Rimane, allora, del tutto irrilevante che il documento cui si riferisce sia

direttamente annotato nella scrittura contabile oppure, come nel caso di specie,

costituisca l'atto, peraltro formato posteriormente, finalizzato a giustificare

proprio quella falsa annotazione e rafforzarne, quindi, la portata illecita, quale

ostacolo alla ricostruzione del patrimonio (arg. da Sez. 5, 23 novembre 2006,

Piovesan, in Cass. Pen. 2008, 3, 1181, che ha escluso che la falsificazione di un

verbale del consiglio di amministrazione integrasse il delitto in discussione; si

veda anche Sez. 5, n. 36595 del 16/04/2009, Bossio ed altri, Rv. 245133).

Conclusivamente può dirsi che i documenti e le scritture che, se tenuti in modo

irregolare, integrano il delitto di bancarotta fraudolenta documentale sono tutti

quelli che impediscono la ricostruzione del patrimonio della società ed alterano,

di conseguenza, i rigidi meccanismi di soddisfazione dei singoli creditori, non

consentendo l'esperimento di rimedi che consentano di reintegrare il patrimonio

sociale posto a garanzia dei creditori.

Va detto ancora che la ricostruzione dei fatti come operata nella sentenza

impugnata, in relazione alla quale questa Corte non può fare alcuna valutazione

nel merito, consente senza alcun dubbio di ricondurre la condotta dell'imputato

nella fattispecie del concorso dell'extraneus nel reato di bancarotta documentale

come ascritto.

A tal proposito va rammentato che questa Corte da tempo ha ritenuto che

l'estraneo può concorrere nei reati di bancarotta anche quando sia una persona

che esercita la professione di avvocato o consulente contabile, con la sola

precisazione che, in questo caso, non deve essere confusa l'assistenza tecnica,

che rimane sempre doverosa e garantita dall'ordinamento, col concorso nel

reato. Infatti, mentre è consentita e non è illecita l'opera di consulenza e di

intervento svolta da un avvocato o da un consulente contabile a favore di un

imprenditore o di una società in dissesto, deve invece ritenersi illecito e

penalmente rilevante il fatto del legale o del consulente che, essendo

consapevole dei propositi dell'imprenditore, dia a questi consigli o suggerimenti

sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella

conclusione dei relativi negozi ovvero svolga un'attività diretta a garantire

l'impunità o che, comunque col proprio aiuto e con le proprie preventive

assicurazioni, favorisca o rafforzi l'altrui progetto delittuoso (Sez. 5, n. 1341 del

22/10/1986, Sonson, Rv. 175013; si veda, nello stesso senso, per i consulenti

contabili Sez. 5, n. 49472 del 09/10/2013, Albasi e altro, Rv. 257566; Sez. 5, n.

569 del 18/11/2003, Bonandrini e altro, Rv. 226973).

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Come si è detto anche sopra, trattando della distrazione dei beni, il GARLATTI

sicuramente è intervenuto in un momento successivo ed autonomo rispetto alla

formazione della fattura attestante la vendita degli automezzi, ma lo ha fatto

concorrendo con il CAPRARA nella formazione della scrittura di compravendita, a

supporto della predetta fattura, poi esibita al curatore proprio con l'intento di

ostacolare la corretta ricostruzione del patrimonio della società fallita.

10.3.b. Il GARLATTI rileva che la Corte territoriale ha ritenuto assorbito

nell'imputazione di cui al capo E il fatto ascrittogli originariamente nel capo L, ai

sensi dell'articolo 232, comma uno, legge fallimentare, per aver presentato

domanda di ammissione al passivo del fallimento in relazione al credito -

fraudolentemente simulato- di euro 6408,32, asseritamente maturato per aver

predisposto e redatto il contratto di apparente vendita in data 14 maggio 2002,

nel quale la società fallita figura cedere il proprio parco automezzi alla

fantomatica società americana. Secondo il ricorrente, tenuto conto

dell'autonomia del reato di cui all'articolo 232, comma uno, legge fallimentare

rispetto a quello di bancarotta fraudolenta documentale post-fallimentare, la

Corte territoriale non doveva ritenerlo assorbito nell'imputazione di cui al capo E)

e, conseguentemente, doveva dichiarare la sua estinzione per intervenuta

prescrizione.

Anche tale censura è infondata e sul punto la Corte territoriale ha correttamente

messo in luce, confermando la decisione del giudice di primo grado, che il credito

vantato dall'avv. GARLATTI era del tutto fittizio, stante la natura simulata del

predetto rapporto negoziale e la sua finalità illecita, e costituiva, quindi,

l'ulteriore svolgimento della condotta finalizzata a far apparire fraudolentemente

stipulato un contratto in effetti mai concluso.

11. Infondato è il ricorso del CAPRARA nella parte in cui è stato dedotto il vizio

di motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo I.

La Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato in ordine

al fatto di avere, in concorso con l'avvocato GARLATTI (in relazione al quale è

stato dichiarato estinto il reato per prescrizione), formato la falsa proposta

d'acquisto, apparentemente proveniente dalla società americana sopra citata,

per l'acquisto del parco automezzi della EURO TIR e di aver apposto, in calce alla

stessa, la firma apocrifa di Filomonau Alhe, apposizione materialmente

commessa dall'avvocato GARLATTI.

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11.1. Va, in primo luogo, disattesa la richiesta della difesa di declaratoria

di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Il fatto risulta commesso, secondo la contestazione e la ricostruzione dei fatti da

parte dei giudici di merito, in data 14 ottobre 2003.

Tenuto conto che al CAPRARA è stata contestata (ed è stata ritenuta) la recidiva

ex articolo 99 comma quattro cod. pen. e che il reato è stato commesso prima

dell'entrata in vigore della legge 251/2005 (che ha riformulato completamente la

disciplina della prescrizione del reato e prevede che, ai fatti posti in essere prima

dell'entrata in vigore della stessa si continua ad applicare la vecchia normativa,

ad eccezione dei casi in cui "per effetto delle nuove disposizioni, i termini di

prescrizione risultino più brevi" - articolo 10), precisato che nella specie si

applica la vecchia normativa, il termine di anni dieci (anni sei più due terzi, per

la recidiva ex art. 161 cod. pen.) è maturato il 14 ottobre 2013.

Va però calcolato anche il periodo di sospensione dei termini rilevabile dagli atti,

pari complessivamente a anni uno e mesi due, per cui il termine di prescrizione

decorrerà definitivamente il 14 ottobre 2014.

11.2. Passando all'esame dei motivi di ricorso, va ricordato che secondo il

CAPRARA la sentenza impugnata andrebbe annullata nella parte in cui ha

ritenuto (pur rilevando la necessità di una verifica in ordine alla circostanza di

avere o meno il Filomonau prestato il consenso all'apposizione della propria

firma) non provato il dato riferito dalla difesa in ordine alla possibilità che fosse

stato proprio il suddetto Filmonau ad acconsentire alla falsificazione e non ha

quindi ravvisato la necessità di esaminare quest'ultimo, la cui testimonianza

sarebbe risultata necessaria anche per chiarire tutta un'altra serie di dubbi sulla

vicenda.

Ancora una volta il ricorrente lamenta la mancata assunzione di una prova

testimoniale e a tal proposito si richiamano i principi enunciati sopra nel

paragrafo 9.a.

Peraltro, la Corte territoriale ha motivato in maniera articolata in ordine alla

irrilevanza per la configurazione del reato in esame della asserita autorizzazione

da parte del Filomonau per la apposizione della sua falsa firma, richiamando i

principi affermati da questa Corte in materia, secondo la quale, ai fini della

sussistenza del reato di falso in scrittura privata, il consenso o l'acquiescenza

della persona di cui sia falsificata la firma non svolge alcun rilievo, in quanto la

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tutela penale ha per oggetto non solo l'interesse della persona offesa, apparente

firmataria del documento, ma anche la fede pubblica, la quale è compromessa

nel momento in cui l'agente faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a

sé un vantaggio o per arrecare ad altri un danno; pertanto anche l'erroneo

convincimento sull'effetto scriminante del consenso costituisce una inescusabile

ignoranza della legge penale (Sez. 5, n. 16328 del 10/03/2009, Livi, Rv.

243342; Sez. 2, n. 42790 del 24/10/2003, Del Miglio, Rv. 227615).

Non vale, peraltro, ad escludere il dolo specifico del fine di vantaggio richiesto,

alternativamente a quello di danno, per il falso in scrittura privata il fatto che la

firma falsa sia stata apposta con il consenso del titolare (Sez. 5, n. 2091 del

26/01/1984 - Ricciardi, Rv. 163019).

11.3. E' anche infondato il rilievo, sollevato solo con la memoria del 21

novembre 2014 ma rilevabile d'ufficio (trattandosi di questione relativa alla

condizione di procedibilità), della mancanza di querela del soggetto di cui è stata

falsificata la firma.

La Corte territoriale ha correttamente ritenuto sufficiente la querela proposta dal

curatore, perché questi è certamente titolare del relativo diritto, stante il danno

subito dal fallimento.

Giova a tal proposito rammentare che la persona offesa titolare del diritto di

querela nel reato di falsità in scrittura privata è non solo la persona di cui sia

stata falsificata la sottoscrizione, ma anche ogni altro soggetto che in concreto

abbia ricevuto un danno per l'uso delle scritture private (Sez. 5, n. 22690 del

26/03/2010, Nardini, Rv. 247961).

Peraltro, poiché il reato di falso in scrittura privata di cui all'art. 485 cod. pen.

richiede per la sua consumazione non soltanto l'attività di formazione di una

falsa scrittura o alterazione di una scrittura vera, ma anche il successivo uso

della scrittura falsificata, ne deriva che persona offesa da tale reato non è solo

colui il cui interesse all'autenticità della scrittura è già configurabile prima

dell'uso, e cioè al momento della contraffazione o della alterazione della

scrittura, quale è il titolare della firma falsificata, ma anche chi, pur non essendo

l'autore apparente del documento o una delle parti da cui proviene la scrittura

falsificata, risulta titolare di un interesse che riceve pregiudizio attraverso l'uso

del documento (Sez. 2, n. 4153 del 20/02/1987, Occhipinti, Rv. 175565).

Nel caso in esame, peraltro, è evidente che l'uso della scrittura privata in oggetto

abbia provocato un danno al fallimento, così come rilevato dai giudici di merito.

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D'altro canto le censure in ordine a tal profilo formulate dal ricorrente nella

memoria del 21 novembre 2014 si risolvono in ulteriori deduzioni in fatto,

certamente non valutabili in questa sede.

12. Con altro motivo di ricorso è stato dedotto dal CAPRARA il vizio di

motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo O.

Tale imputazione riguarda la falsa attestazione di autenticità da parte

dell'avvocato GARLATTI, in concorso con il CAPRARA, delle firme apposte

sull'istanza di dissequestro presentata presso gli uffici della procura della

Repubblica di Gorizia. La Corte territoriale ha affermato la responsabilità del

CAPRARA, precisando che il termine prescrizionale del reato non era ancora

maturato e rinviando a quanto motivato sul punto dal giudice di primo grado.

Non è condivisibile l'assunto della Corte territoriale sulla prescrizione.

Il reato infatti, pur tenendo conto, per le ragioni già sopra evidenziate, della

recidiva contestata ed applicata la normativa più favorevole ex art. 157 cod.

pen., risulta estinto per intervenuta prescrizione alla data del 29 settembre 2012

ovvero prima dell'emissione della sentenza di appello.

Va quindi accolto in tali termini il ricorso del CAPRARA, non essendovi peraltro i

presupposti per un accoglimento dei motivi con i quali è stata contestata

l'affermazione di responsabilità.

A tal proposito va sinteticamente precisato che inammissibile deve ritenersi il

motivo nuovo della violazione di legge di norme processuali con riferimento alla

ordinanza del 2 ottobre 2006, con la quale il Tribunale di Gorizia ha disposto la

trascrizione di alcune conversazioni telefoniche intercorse tra il CAPRARA e

l'avvocato GARLATTI, ritenendo inapplicabile il divieto di cui all'articolo 103,

comma cinque, cod. proc. pen..

Tale motivo, infatti, è stato dedotto solo con la memoria del 21 novembre 2014

e si tratta di questione nuova, del tutto autonoma rispetto a quelle del ricorso e

non rilevabile d'ufficio.

E' ormai principio giurisprudenziale consolidato quello per cui i "motivi nuovi" a

sostegno dell'impugnazione, previsti nella disposizione di ordine generale

contenuta nell'art. 585 cod. proc. pen. (e, in quella particolare, di cui all'art. 611,

per il procedimento in camera di consiglio), devono avere ad oggetto i capi o i

punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di

gravame (ex plurimis, Sez. U. del 25 febbraio 1998, Bono, RV. 210259; Sez. 3

del 22 gennaio 2004, Sbragi, RV. 228525; Sez. 2 del 4 novembre 2003,

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Marzullo, RV. 226976) e devono semplicemente specificare le doglianze

tempestivamente presentate, non potendosi risolvere nella prospettazione di

nuovi vizi (Sez. 5, n. 14991 del 12/01/2012 - dep. 18/04/2012, P.G. in proc.

Strisciuglio e altri, Rv. 252320;Sez. 1 del 30 settembre 2004, Burzotta, RV.

230634; Sez. 1, n. 40174 del 2009; Sez. 6, n. 27325 del 20/05/2008, Rv.

240367, D'Antino).

La normativa consente la presentazione di motivi nuovi e i motivi non sono altro

che le ragioni che sostengono una certa domanda; nel ricorso per cassazione le

domande si identificano con le specifiche censure che vengono mosse al

provvedimento impugnato e che identificano i vizi da cui il provvedimento

sarebbe affetto. Consentendo la proposizione di nuovi motivi, ma non di nuove

censure, la normativa ammette che possano essere portati nuovi argomenti a

sostegno di una specifica censura, ma non consente, invece, che possano essere

indicate censure del tutto nuove, mai indicate in precedenza.

E' consentito, dunque, al ricorrente, indicare ulteriori elementi da cui si desume

l'esistenza di uno specifico vizio di motivazione del provvedimento impugnato, se

tale era la censura originaria, ma non è consentito dedurre una violazione di

legge - pur se afferente allo stesso capo della sentenza - se si era

originariamente dedotto solo il vizio di motivazione o diversa violazione di legge.

13. E' superfluo trattare i motivi di ricorso proposti dal CAPRARA in relazione al

trattamento sanzionatorio (e di conseguenza viene pure disattesa l'istanza di

sospensione formulata con riferimento alla questione della recidiva), giacché

l'accoglimento parziale dello stesso ricorso e l'annullamento con rinvio comporta

inevitabilmente che la Corte territoriale debba rideterminare il suddetto

trattamento sanzionatorio.

Ovviamente, e ciò vale anche per il GARLATTI (in tal senso si ritiene assorbita la

trattazione del motivo dedotto da questi con riferimento agli articoli 74 cod. proc.

pen., 185 cod. pen., 2555 cod. civ., 216, 219, 223 legge fallimentare), la Corte

territoriale dovrà tener conto dell'annullamento parziale conseguente alla

presente decisione pure con riferimento alle statuizioni in favore delle parti civili.

14. Passando ad analizzare il ricorso di Paolo MULITSCH, va rilevato che la

sentenza impugnata ha correttamente dichiarato l'estinzione per prescrizione del

reato di cui al capo P, per il quale il suddetto imputato era stato condannato in

primo grado.

«P'

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All'imputato è stato ascritto il reato di cui all'articolo 481 cod. pen., per avere,

nell'esercizio della professione forense, attestato falsamente l'autenticità della

firma di Desolina Pausi, vergata dallo stesso avvocato Paolo MULITSCH, in calce

alla procura speciale alle liti riportata sul margine destro dell'atto di precetto in

data 28 luglio 2003, con il quale la suddetta Pausi sembrava intimasse alla

ELLETI s.r.l. di pagare la somma di euro 148.258,83, oltre ad accessori.

14.1. Come si è già detto, il ricorrente ha proposto ricorso deducendo il

vizio di violazione di legge, perché vi sarebbe la prova positiva ed evidente della

sua innocenza. Ha sostenuto che non sarebbe stata acquisita la prova che sia

stato lui ad apporre la firma per l'autentica della firma falsa e che la Corte

territoriale avrebbe basato la sua decisione solo su mere illazioni, valutando

negativamente quanto emerso dalla consulenza della difesa.

In effetti, i motivi dedotti dal ricorrente sono solo formalmente evocativi di vizi di

legittimità, ma in concreto sono articolati sulla base di rilievi tendenti ad una

rivalutazione delle risultanze probatorie con valutazioni di merito, inibite a

questa Corte.

Peraltro, va detto che la Corte di Appello si è limitata alla verifica della causa

estintiva e dell'assenza di elementi che rendessero evidente l'applicabilità di una

formula più favorevole, a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.,

fondando la sua decisione su argomentazioni del tutto congrue, coerenti ed

articolate, non riesaminabili da questa Corte nel "merito" dei relativi

apprezzamenti.

Nella sentenza sono indicati specificamente i motivi per cui non sussiste

l'evidenza della prova che possa condurre ad una pronunzia assolutoria.

Giova, a tal proposito, ricordare che la formula di proscioglimento nel merito

prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione

soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l'assoluta

assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova

positiva della sua innocenza, e non anche nel caso -come quello in esame- di

mera contraddittorietà o insufficienza della prova, che richiede un

apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (Sez. 6, n. 10284 del

22/01/2014, Rv. 259445; Sez. 6, n. 23836 del 14/05/2013, Rv. 256130; Sez. 2,

n. 9174 del 19/02/2008, Rv. 239552).

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14.2. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna

dell'imputato al pagamento delle spese processuali e di euro mille in favore della

cassa delle ammende.

P.Q. M.

La Corte,

dispone lo stralcio degli atti relativi al reato di cui al capo T, con formazione di un

nuovo fascicolo intestato a Flavio CAPRARA perché è necessario acquisire atti,

rinviando il relativo procedimento a nuovo ruolo;

annulla la sentenza impugnata senza rinvio:

- in ordine alla posizione di Bruno GARLATTI relativamente alla distrazione

dell'avviamento della EURO TIR di cui al capo A per non aver commesso il

fatto e relativamente al reato di favoreggiamento di cui al capo AA, così

riqualificata la distrazione degli automezzi sub capo A, per essere il reato

estinto per prescrizione;

- in ordine alla posizione del CAPRARA relativamente al capo O della rubrica

per essere il reato estinto per prescrizione;

annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della

Corte di Appello di Trieste in ordine alla posizione di Flavio CAPRARA

relativamente alla distrazione dell'avviamento dell'EURO TIR di cui al capo A

delle imputazioni;

rigetta:

- il ricorso del GARLATTI relativamente al capo E;

- il ricorso di Flavio CAPRARA in ordine ai capi Z, Y, 3, W, X, E, I, nonché

per la distrazione degli automezzi della EURO TIR contestata al capo A;

annulla la predetta sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di

Trieste per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio nei confronti dei

ricorrenti CAPRARA e GARLATTI;

dichiara inammissibile il ricorso di Paolo MULITSCH e condanna il ricorrente al

pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore

della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 9 dicembre 2014

cons'glie estensore

Gr ccol i ..mwomma,

DE TATA CANCILLENA

dck 2 3 APR 2015