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RENATOBIROLLInelle collezioni bresciane

COMUNE DI BRESCIAPROVINCIA DI BRESCIAASSOCIAZIONE ARTISTI BRESCIANI

galleria aabvicolo delle stelle, 4 - Brescia22 settembre - 17 ottobre 2001feriali e festivi 15,30 -19,30lunedì chiuso

mostra a cura di Giovanna Capretti

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L’intransigente che scosse la provinciadi Giovanna Capretti

“Il quadro La donna e la luna fu il primo che io vidi, a terra contro la pa-rete. Mi piacque ancora più della prima volta (lo notai alla mostra della“Colomba”, Venezia 1946). Forse perchè lo potei osservare diverso, iso-lato, in una diversa luce, non disturbato da una sequela di quadri etero-genei come avviene nelle mostre collettive. La donna e la luna è la sinte-si, la conclusione di tutte le esperienze precedenti di Birolli. Vi è il segnodi una personalità indiscussa, di una creazione geniale: una vera operad’arte... La mia attenzione si volse poi ad un altro quadro, appeso alla pa-rete dello studio, un dipinto dai colori accesi, rappresentante le cupoledi S. Marco a Venezia. Quella diversa interpretazione, prorompente, au-mentò il mio entusiasmo per il pittore... Per arrivare a tanto non basta ilmestiere, l’esperienza, l’abilità, la predisposizione all’arte, ma occorrequel quid, non facilmente definibile, in ogni modo indispensabile, e con-quistabile, che nasce con noi e fa parte della nostra natura”1.Così, in Uomo pittore, Guglielmo Achille Cavellini ricordava, a quasiquindici anni di distanza, il primo incontro con l’opera di Birolli. Quasiuna folgorazione, per il giovane aspirante artista e futuro collezionistabresciano, che fino a quel momento si era formato sui quadri della rac-colta Feroldi che aveva potuto conoscere in città. “Mi ero assuefatto alclima di allora: il Novecento italiano. Amavo Carrà, Morandi, Tosi; nonbadavo al futurismo e alla scuola francese, soprattutto perchè quellaraccolta non li rappresentava. Ma non conoscevo i risultati dei più gio-vani”, racconta in Arte Astratta2. Non poteva sapere, Cavellini, che quel-l’incontro avrebbe segnato la sua vita e indirizzato la sua attività di col-lezionista. E non poteva sapere, Birolli, che in quel giovanotto allampa-nato e curioso avrebbe trovato non solo un mercante d’arte, ma an-che un amico che l’avrebbe accompagnato nel corso della sua breve edintensa carriera di pittore.Se Cavellini nel ’46 muoveva i primi passi nel mondo dell’arte contem-poranea, Birolli, allora trentunenne, si era già lasciato alle spalle l’espe-rienza di Corrente, la parentesi espressionista dei Disegni della Resisten-za, e affrontava assieme al gruppo della Nuova Secessione, che sarebbediventata di lì a poco il Fronte Nuovo delle Arti (con Birolli, anche Ar-mando Pizzinato, Giuseppe Santomaso, Emilio Vedova e Alberto Viani trai primi firmatari del manifesto) il dibattito europeo tra astrattismo e rea-lismo. E che fosse Birolli, tra i due, a dettare lucidamente l’analisi criticasu quanto stava accadendo nel mondo artistico (e politico) italiano, lo di-mostra quella Storia del Fronte Nuovo delle Arti tratteggiata dal pittore nel19503 su fogli manoscritti ora nell’archivio Cavellini, e ripresa parola perparola dall’amico e mecenate nel suo Arte Astratta4.Il rapporto di amicizia si protrasse per tredici anni, fino alla morte del-l’artista, documentato dalle oltre 250 lettere inviate da Birolli a Cavellinie custodite nell’archivio bresciano. Vi si trova di tutto: dall’entusiasmo perl’incontro a Parigi con Picasso (durante il soggiorno francese di Birolli, nel

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1947, assieme a Morlotti) alle richieste di aiuto economico, dal diario fa-miliare allo sfogo per l’incomprensione della critica, dalle disquisizioni teo-riche sul senso della ricerca artistica agli aneddoti su amici comuni.E vi si trovano le tracce della frequentazione bresciana di Birolli, ospi-te di quella che stava diventando sempre più la casa-galleria di Cavelli-ni, dove attorno alla nascente collezione si incontravano gli artisti delFronte e i critici italiani di passaggio in città, e si formava la nuova ge-nerazione dei pittori bresciani.Tra questi ultimi, Ragni è in contatto con Birolli fin dal ’465 e il pittoreveronese lo ricorda nelle sue lettere6, manda i suoi saluti a lui e a Pier-ca7 e mostra di frequentarlo in città (“mi troverai da Ragni al solito stu-dio”, biglietto senza data a Cavellini, del 1948). Ma non esita a ridi-mensionarne bruscamente le aspirazioni artistiche, quando viene a sa-pere che il bresciano sogna un’esposizione a Parigi: “Ho saputo che ilprimo pensiero (o l’ultimo) avuto da Ragni è stato quello di chiederedi fare una esposizione qui. Ma è matto? Cosa pensa, cosa vuole in que-sto momento? È meglio per ora che dipinga, come faccio io, e non silasci prendere da queste dannose illusioni esotiche”8. Del resto, allostesso Ragni, in una lettera da Parigi del 19479 aveva dichiarato: “Ancheio sono venuto qui per veder chiaro dentro di me, si chiami Picasso oRaffaello, provincia o Europa, quel che importa è veder chiaro in ciòche sono, nei miei confronti e verso l’altra pittura, possibilmente quel-la che ha valore”. Più tardi chiede informazioni a Cavellini di un silen-zio dell’amico: “Ragni ora ce l’ha anche con me, che non si fa più vi-vo?”10, ma i due resteranno comunque sempre in contatto11.Ma Brescia negli anni ’40 vuole dire soprattutto la raccolta Feroldi. Birolliconosce, almeno di fama, il collezionista bresciano fin dal 1940, quandone parla all’amico Sandro Bini, ma non sembra averne grande stima. “Non

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Birolli e Cavellininello studio di via Plinioa Milano, davanti al ritrattodi Cavellini, nel 1950

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desidero fare un piacere al signor Feroldi”, dichiara nella lettera del 4agosto 1940, dove racconta anche che il bresciano ha acquistato un suoquadretto. E ancora nel 1942 (lettera del febbraio), quando afferma: “Fe-roldi andò a Genova dall’ingegnere (Della Ragione, ndr) e ammirò il Nu-do dal velo nero. Benchè avversario ieri, vuole comprare da me”12.Feroldi torna all’attacco nel ’47, quando, ricorda lo stesso Cavellini, èincuriosito da una tela eseguita da Birolli nel 1947 a Trinité sur Mer.“Qualche voce di assenso messa in giro dagli amici pittori lo solleticò,al punto che un pomeriggio all’una, mentre stavo mangiando, mi capitòin casa... pregandomi di mostrargli un attimo quel quadro, l’acconten-tai subito, ma dopo pochissimi secondi di osservazione, risalì le scale ese ne andò... Trovò il modo di farmi sapere che non giudicava Birolli unpittore così bravo come lo giudicavo io”13.Un giudizio su Birolli, Feroldi lo esprime proprio nel 1947 in occasionedella mostra del Fronte Nuovo delle Arti allestita in giugno alla galleriadella Spiga di Milano. “Si ritrovano ora alla Spiga Guttuso, Corpora, Turca-to romani, con Pizzinato, Vedova, Santomaso veneziani e Birolli lombardo.Un gruppo scarnito, un linguaggio inespresso: a cosa si è ridotto il pro-nunciamento?… Bisognava ricondurre l’arte in un piano che valesse la ri-costruzione dell’uomo nella attualità della vita, in quanto spirito creativoe resurrezione morale, dando l’ostracismo alle forme ormai esaurite chepiù che di antichità sanno di antiquario. Ma bastava la volontà?… L’espe-rienza del Fronte nuovo appare negativa. A parte Birolli. Le tre opereesposte, alquanto vecchiotte, non rappresentano il Birolli della battaglia,anche se la ‘figura’ conserva l’impronta di un pittore di alto ingegno…”14.Proprio in quel periodo, scrivendo a Cavellini, Birolli annuncia di aver ri-cevuto una lettera di Feroldi15, ma l’atteggiamento del pittore verso ilcollezionista è sempre scettico: “Infatti, perchè Feroldi vorrebbe anchelui un Pignon? Comincia a credere all’arte moderna? E perchè vuole su-bito un Birolli? Crede anche a me, adesso?”. E solo un paio di mesi do-po16: “Il Feroldi, dopo tre visite (mi pare), 3 cartoline e 2 lettere, dopo

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Birolli con Gianni Ghelfi

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aver fisssato il pezzo scelto per l’acquisto, attende il fresco”. E ancora, il7 ottobre ’47, da Parigi: “Il quadro che vuole Feroldi è già molto noto. Di-glielo, e non faccia più lo stupido”. Non sappiamo a quale dipinto si rife-risca, ma il giudizio di Birolli sulle capacità di Feroldi di fare affari è dra-stico. E il 17 ottobre, sempre da Parigi: “La faccenda Feroldi non va det-ta, è stato così per dire. Io me ne stropiccio di chi finora mi ha dato so-lo noie. Quel paesaggio che va bene per lui, io non dipingerò mai per lui,per la sua vanità di “storico”. Io non intendo nemmeno pensarci più”.Feroldi non sarà collezionista di Birolli, e il pittore non perderà l’occasio-ne per ribadire la superiorità della raccolta “moderna” di Cavellini ri-spetto a quella ormai superata di Feroldi. Nella lettera a Cavellini dell’ot-tobre 1948 si legge: “Ho fatto la proposta (alla Casa della Cultura di Mi-lano, ndr) di tenere invece la mostra di una raccolta nuova, della tua. Cre-devano, sentendo nominare Brescia, si trattasse di Feroldi, ma ho spiega-to che quella raccolta non è oggi la più significativa... Non parlare di ciòcol tuo terribile entusiasmo se non vuoi vedere Feroldi correre al postotuo e prima di te”. E la polemica è ancora in atto alcuni anni dopo, se nel-la lettera da Milano del 26 marzo 1954 scrive a Cavellini, a proposito diuna serata di cultura tenuta a Brescia: “Mi ha divertito invece l’occulta sof-ferenza, di tipo stizzoso, di Feroldi, e il nuovo spunto della sua perenneinattualità: quell’attualizzare Savoldo alle spese del Caravaggio, come sel’arte contemporanea potesse averne ancora bisogno. Oggi, a Brescia, cisi viene per noi, non pel Savoldo; e per Cavellini, non per Feroldi”.La critica all’atteggiamento reazionario di Feroldi si allarga all’interacittà, come nella lettera inviata all’amico il 14 dicembre 1954, e riferitaalla mostra di armi antiche e moderne allestita a Brescia nel ’53 con am-pio strascico di polemiche17: “Come archeologi - scrive Birolli - sono ap-pena degni di scoprire gli autentici truogoli da maiali della Val Trompia.In quanto al sapere matematico del Signor Sindaco (per l’appunto pro-fessore nella materia) è chiaro come abbia dimostrato (oh, in buona fe-de) che 25 falsi più 25 falsi, fanno un’armeria autentica... E i Professioni-sti, i Professionisti di Brescia incriminati, che credettero d’aver ragioneperchè ad aver torto erano in troppi. Peccato che non firmasse ancheil cardinale Arcivescovo: la Crociata lo meritava. E poi si trattava di que-stioni dello “spirito”, come piacciono ai competenti bresciani. Chissàche con quelle armerie non si potesse, previa benedizione, lottare il Co-munismo con fierezza etrusco-bresciana”. L’anno successivo si avanzal’idea di esporre in città i Disegni della Resistenza, già in mano a Cavelli-ni, e Birolli così commenta: “La proposta fatta di esporre a Brescia i mieidisegni della Resistenza non mi dispiace. E sarei d’accordo con i tuoiamici di esporli tutti, infischiandosi dei moralisti di pace, i quali manca-rono di una esatta morale durante la guerra. Se anche la pesante Curiadi Brescia intenderà fare opposizione, la farà dopo l’inaugurazione, enon mancheranno argomenti per inficiarla. Dal momento che si è be-nedetta la guerra e chi l’ha provocata, sarà bene che vedano i risultatidel loro gesto insensato”18. Ma non se ne farà nulla fino agli anni ’70.In questo clima di curiosità e diffidenza, la figura di Birolli, assieme a quel-le di Vedova e Santomaso diventa un punto di riferimento importante peri giovani pittori che ruotano attorno a Cavellini, in quello che è stato de-

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finito dalla critica “il gruppo di Corso Mameli”19. L’amicizia con Ragni, co-me abbiamo detto, data almeno al ’46, ma la consonanza dei linguaggi pit-torici, o meglio il debito del bresciano nei confronti del collega veronese,si può far risalire agli anni di Corrente, se si confronta ad esempio la Don-na con la collana di Ragni del ’44 con i ritratti di Birolli eseguiti tra il ’40 eil ’42. Ragni segue la parabola dell’amico attraverso il post-cubismo, re-stando saldamente legato alla solidità tridimensionale della materia là do-ve Birolli cerca invece la sperimentazione dinamica delle linee di forza:“Dovremo occuparci del senso terrestre, sovrastante l’ideologico, perpienamente intendere la natura, le possibilità e i fini d’un pittore come Ra-gni”, scrive Birolli nel catalogo della mostra del ’5320. A proposito delloscritto per il catalogo, Birolli così ne parla a Cavellini in una lettera dellostesso anno: “Il Ragni mi ha chiesto uno scritto per la sua nuova mostra.È anche lui suggestionato dalle ultime visite a Brescia e dai pareri autore-voli sulla mia pittura. E perciò caverà lui per me - con la mia parola - queldenaro che andrebbe a me. Mi deve tributi per la pittura, per la scelta deicontenuti, eppure i soldi li fa lui. Che vacca da mungere, che sono. Sonotuttavia ammirato da queste facce di bronzo. Neanche a farlo apposta, loscritto è perfetto e ti piacerà assai”21.

Il Gruppo degli Ottoa casa Cavellini,a Brescia nel 1952.Da sinistra, in piedi: Birolli,Moreni, Corpora, Vedova,Morlotti. Seduti: Cavellini,Afro, Santomaso

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Del “giovane Ghelfi”, Birolli parla per la prima volta nel 1950, quando chie-de a Cavellini di avvertirlo “che gli ho messo favorevole tutta la giuria eche gli abbiamo assegnato il I premio alle Olimpiadi regionali... È comun-que il più meritevole, direi il più pittore. Non gli resta che continuare, sen-za diventare ambizioso, la strada così ben cominciata”22. Un consiglio evi-dentemente disatteso, secondo Birolli, se il 4 febbraio 1956 così scrive aCavellini: “Per quanto riguarda tuo cugino Ghelfi, andiamo molto male.Dovevi consigliarlo di attendere. Si trova in un momento difficile e fiaccoe scopertamente imitativo. La linguistica (intendo il suo sforzo d’avvicina-mento) non giustifica il risultato. Io sono molto arrabbiato della superfi-cialità con cui si è tentato d’appoggiare la mostra al mio nome, il meno in-dicato, per ragioni assai chiare. La mia presentazione è dura…” Parole ap-pena alleggerite nella introduzione al catalogo della mostra di Ghelfi allaGalleria Montenapoleone di Milano, nel febbraio del ‘56. Birolli lo presen-ta come “un giovane che non intende - per sua vocazione intellettuale -condividere lo stato e il livello provinciali”, ma non esita a strigliarlo: “An-ni orsono, più immaturo, ma meno incerto, mostrava una vena robusta ediretta alla rappresentazione, che lo faceva indicare tra i giovani più se-gretamente guardati a Brescia. E vinse infatti un premio alle Olimpiadi Cul-turali. L’attuale patetica mortificazione, possiamo definirla come una fasedi trapasso dalle aspirazioni di una difficile provincia all’impegno di pigliarposizione - e con mezzi più organici - sulle cose del mondo. Ed è la se-rietà dell’impegno la coscienza artistica ed intellettuale che la regge”23.

Birolli al Centro CulturaleOM di Brescia,assieme a Marino Mariolie alla professoressaRossana Apicella,10 marzo 1959

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Una intransigenza morale che fino alla fine lo porta a non concederenulla al compromesso. Nel marzo del ‘59, un paio di mesi prima dellamorte, Birolli è a Brescia per una conferenza al centro culturale dellaOM. Nella sala, tra i suoi dipinti messi a disposizione da Cavellini, il pit-tore racconta la propria vita, le proprie esperienze all’estero, ad An-versa, a New York, parla della propria ricerca espressiva e formale. Mail pubblico lo interroga sul tema dell’astrattismo, solleva dubbi sullapossibilità di comunicazione tra artista e pubblico attraverso questo ti-po di linguaggio. La presenza di Birolli è destinata fino all’ultimo a su-scitare vivaci polemiche24.

NOTE

1 G. A. Cavellini, Uomo pittore, Milano, 1960, p. 4.2 G. A. Cavellini, Arte astratta, Milano, 1958, p. 6.3 Lettera di Birolli a Cavellini da Fossa Sejore, 24 settembre 1950. Le lettere di Birol-li a Cavellini citate in questo saggio sono custodite nell’Archivio Cavellini di Brescia,e sono state trascritte da Carlotta Dalla Vecchia, nell’ambito di una tesi di laurea inStoria dell’arte in preparazione presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Parma.4 G. A. Cavellini, cit., 1958, pp. 24 e segg.5 Nell’estate di quell’anno i due pittori lavorarono assieme sull’isolotto del Forte diMazzorbo, nella laguna di Venezia, come ricorda lo stesso Birolli nell’introduzione alcatalogo della mostra Enrico Ragni: storie marine, Milano, Galleria Schettini, 1953.6 Lettera di Birolli a Cavellini da Parigi, 18 aprile 1947: “Ragni ti dirà perchè abbia-mo dovuto interrompere il soggiorno laggiù (in Bretagna, ndr)”.7 Piercarla Reghenzi, moglie di Ragni, lettere di Birolli a Cavellini da Parigi, 8 maggioe 25 giugno 1947; da Milano, 7 aprile 1948.8 Lettera di Birolli a Cavellini da Parigi, 7 ottobre 1947.9 Lettera di Birolli a Ragni da Parigi, pubblicata su “Punta”, 1947, 1.10 Lettera di Birolli a Cavellini da Milano, 25 novembre 1948.11 Domenica sono ospite dai Ragni: lettera di Birolli a Cavellini da Milano, 16 dicembre 1958.12 Carteggio Bini-Birolli, Vicenza, 1986, pp. 38 e 55.13 G. A. Cavellini, Brescia ha perduto un’occasione d’oro, lettera dell’11 dicembre 1955scritta in occasione della morte di Feroldi e pubblicata su “La Gazzetta di Brescia”,n. 5, s.d. (ma estate 1958).14 P. Feroldi, Oltre la secessione, in “Punta”, 1947, 2. Il riferimento alla “volontà” sem-bra una risposta alla lettera di Birolli a Ragni da Parigi, pubblicata nel numero pre-cedente di “Punta” (cit.), in cui il pittore milanese dichiara: “Ma la libertà costa ca-ra, specie questa; perché ieri o fino a oggi da noi hanno coltivato le immagini per li-mitare la libertà, denominandola all’indietro, sulle tradizioni che non c’erano o era-no letterarie e finite. Mentre occorre decidersi ad avere una ragione pittorica del-la pittura, qui addirittura l’hanno volontaristica e fanno bene…”.15 Lettera di Birolli a Cavellini da Parigi, 25 giugno 1947.16 Lettera di Birolli a Cavellini da Milano, 21 agosto 1947.17 Sulla mostra cfr. G. A. Cavellini, in “La Gazzetta di Brescia”, cit.18 Lettera di Birolli a Cavellini da Manarola, 27 settembre 1955.19 Cfr. Vittorio Botticini ed Ermete Lancini guide artistiche del gruppo di Corso Mameli,catalogo della mostra a cura di Roberto Ferrari, Brescia, 1998.20 R. Birolli, Enrico Ragni: storie marine, cit.21 Lettera di Birolli a Cavellini, 19 ottobre 1953.22 Lettera di Birolli a Cavellini, da Milano 24 gennaio 1950.23 R. Birolli, Gianni Ghelfi, Galleria Montenapoleone, Milano, 18-27 febbraio 1956,Brescia, 1956.24 Vivo successo di Birolli, in “Giornale di Brescia”, 12 marzo 1959; Savino Mariani, Èmorto Birolli, in “Gazzetta di Brescia”, n. 13, giugno-luglio 1959.

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Tra natura e cultura: le stagioni di Birollidi Mauro Panzera

Renato Birolli trascorre l’estate del ’50 a Fossa Sejore, nelle Marche.Ha alle spalle una lunga storia - la prima sua opera importante, il S. Ze-no pescatore, è del ’31! - ed innanzi nove anni di lavoro, nove anni deci-sivi annoterà il Marchiori, documentati da G.A. Cavellini, il suo nuovobiografo che sostituì in parte il compianto Sandro Bini.D’ora in poi le stagioni artistiche di Birolli si legano indissolubilmenteai luoghi di vacanza estivi, ricercati per un istinto di fuga dalla città cheè luogo di intrighi e di polemiche.La prima scelta della produzione di quell’estate parte tutta per NewYork, dove Birolli tiene la sua prima personale alla Galleria di Cathe-rine Viviano. Il testo di presentazione porta la firma di Venturi chescrive: «Per me l’arte di Birolli si interpone come una perfetta bilan-cia tra l’astratto e il concreto». È il primo assaggio di quella che di-venterà la categoria estetico-artistica del Gruppo degli Otto allaBiennale del 1952. E questo precedente rivela l’interesse e l’atten-zione con cui Venturi seguiva il lavoro di Birolli, documentato fin dal-l’immediato dopoguerra. Ma per nulla siamo interessati alla vicendadi gruppo, ritenendo giunto il tempo di considerare questa genera-zione di artisti come casi squisitamente individuali ed irripetibili. DiBirolli, A. del Guercio ha scritto che «...compie sino alla morte nel ’59uno dei percorsi più originali nel contesto artistico del dopoguerra».Proprio per ciò, per Birolli contraddittorio animatore di più stagioniartistiche italiane, lasciamo in deposito i paralleli tutti noti a memo-ria e torniamo all’estate del 1950.Cavellini ha scritto al proposito che «con l’estate del ’50 Birolli diedeinizio ad una sua nuova visione della realtà», e l’occhio di Cavellini eraveloce e sensibilissimo. Ma su cosa fondava il giudizio di novità?Innanzitutto sulla libertà della fantasia; sulla sintesi fantastica e festosa.In ultimo sulla «magica visione di realtà, più efficace della realtà stessa,a causa di una sorprendente allusione che soltanto con i mezzi astrat-ti è possibile conseguire».Nelle lettere che Birolli inviò a Cavellini - datate 14 agosto, 28 set-tembre e 9 ottobre - centrale per la riflessione è il concetto di orga-nico, che in un caso traduce puntualmente il concetto di realtà. Nonho dubbi sul fatto che organico traducesse tanto l’astratto-concretoventuriano quanto la magia allusiva che vi leggeva Cavellini. Ma tuttoquanto era pur sempre riferibile alla forma.Nell’organico di Birolli vi è molto di più: vi è il suo proprio rapportocon il mondo ed ora in particolare con la natura. Alla radice c’è la vi-sione di una natura umanizzata, letta attraverso la categoria di lavoro- quindi direttamente eticizzata. Ben si comprende il rifiuto di Birollia leggersi romantico. Contro l’opposizione di uomo e natura, il lavo-ro gli permetteva di leggere la dimensione storica nel paesaggio, lasua origine.

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Culturalmente per Birolli sono anni di tensione, tra l’ideologia politicae la libertà della fantasia. Più si avvicina alla natura, che ricerca nelle suemanifestazioni estreme, quindi romantiche; e più si immedesima nellafigura di colui che la natura ha trasformato e reso così come gli dettala sua emozione panica.Birolli si immedesima nella figura del pescatore per cui il mare è il luo-go di una lotta tra chi pesca e chi è pescato. In tutto ciò non c’è nulladi astraente. Il mare non è una superficie ma uno spaccato di mondoin verticale - così come verticali diventano sempre più le sue compo-sizioni. La verticale è la direzione dell’emozione che va nel profondo eresterà a lungo sigla formale delle sue opere, fino alla stagione delleCinque Terre almeno. Interessante semmai è leggere l’innesto che Bi-rolli riesce a fare, su questo sguardo in asse della dimensione narrati-va. L’oggetto gli si impone di bel nuovo centralmente nella successivastagione di Porto Buso, ed è storia dell’oggetto, funzione semplice cheIo fa degno d’essere dipinto. L’Adriatico diventa allora la pesca e i suoistrumenti, così come diverrà la barca, i suoi usi.Mi pare che la resa dei conti con il picassismo qui avvenga definitiva-mente e su una questione strutturale. Più lenta è l’affermazione dellapotenza del colore. A Porto Buso Birolli deve lottare contro la lineaorizzontale che gli si impone e contro il tono nero che sale dal fondo

Birolli nello studiodi via Montenapoleonea Milano

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e impregna di sé i dipinti. I grigi sono malati, non filosofici. Il camminosu questa strada si fa lento perché è in gioco il grado di libertà che Bi-rolli riesce volta a volta a concedere alla fantasia. Ecco allora quel con-tinuo cercare la natura fino ad un incontro che vale un destino, con leCinque Terre.A rileggere le molte pagine dedicate da Birolli alle Cinque Terre se nepuò seguire la vicenda spirituale che dapprima s’arrende all’asprezzadel luogo, alla separazione cromatica netta del suo paesaggio, per poiinnamorarsene. È ancora l’umanizzazione della natura tramite il lavoroa condurlo in questo regno della verticalità dove il colore è mappa fe-dele della vita.C’è un passo di Birolli, che a me sembra significativo, e che narra diun suo errore di valutazione visiva. Correttosi, se ne esce con que-sta osservazione: «Il mio occhio per il colore è di solito una calcola-trice automatica di valori, di pesi e di misure. M’accorgo se una cosac’è o non c’è dal variare del suo colore. Un numero X di campi mis’impone per il peso complessivo del suo colore; una macchia per lasua solitudine entro un colore avvolgente e vasto. E così questa vol-ta avrei potuto fare il calcolo catastale del coltivo, per poco che vene fosse tra le pietre». E se a Fossa Sejore fu un aforisma di Sartre -il mare è nero - a mettere sulla giusta lunghezza d’onda emotiva Bi-rolli; qui alle Cinque Terre è un’infrazione naturale, l’incendio, a darfuoco alla fantasia. Nasce allora la serie di quadri tra i più famosi diBirolli e mirabili per la potenza del colore organizzato entro struttu-re formali chiare, naturalmente solide.Congiungendo così felicemente i problemi di struttura e i problemi delcolore.Nelle lettere e nei contributi giornalistici stesi alle Cinque Terre fa ca-polino un’altra preoccupazione per Birolli: il bisogno di superare unasoglia del gusto. È importante rilevarlo perchè segnala da un lato la li-

Birolli e Ennio Morlotticon Picasso,nello studio pariginodel pittoreil 15 maggio 1947

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berazione dai problemi artistici - confermando il raggiungimento di unapiena e libera fantasia emozionata. Ma dall’altro è l’apparire di una ri-flessione estetica, sempre presente al pensiero di Birolli, che a noi pa-re il limite invalicabile della sua pittura.Già nella lettera a Cavellini del 2 maggio ’54 Birolli scriveva «... e c’èanche il mio rifiuto a risolvere le questioni con la spensieratezza delgusto». Da Manarola, il 23 settembre ’55, dichiarava: «È venuto per meil momento di sbarazzarmi di quei punti di appoggio sul gusto che, seservono talvolta, non portano tuttavia lontano». In un articolo, infine,prendendosela giustamente con gli interventi modernizzanti in quel diManarola, nel ’56 Birolli scriveva: «Una sola cosa è mancato che qui civoleva: un cervello organico, armonico, che afferrasse la realtà e il gu-sto del problema da risolvere e che amasse considerevolmente il pae-se nella sua struttura e ne rispettasse le qualità, ossia l’elemento eco-nomico di domani».Il vocabolario che incontriamo in questi stralci è prezioso, al punto chequi è enunciata non solo la poetica di Birolli ma il presupposto di fat-to al suo dipingere. Armonia, organismo, realtà, gusto: termini quasiequivalenti. A noi pare d’altra parte che nulla di diverso intendesse di-re il Venturi col suo astratto-concreto - perciò letto come un equivo-co dall’Arcangeli - e centrato fondamentalmente sulla pittura di Afro edi Birolli.

Birolli a Venezia conCatherine Viviano e Afro

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Alcuni critici hanno avvicinato la pittura di Birolli al classico e compo-sto Braque, e c’è del vero. Ma nessuno, a mia conoscenza, ha avvicina-to Birolli a De Staël. Eppure è comune la tensione tra misticismo e ce-rebralismo; è comune quello sguardo franto sulla realtà, quell’impossi-bilità ad abbandonare le cose dei mondo per le pure forme. Così co-me De Staël è l’esito estremo della Scuola di Parigi, Birolli lo è per lagenerazione italiana che si è ritrovata negli anni ’50 a fare i conti conil picassismo, uscendone per vie proprie, inesplorate. Ed è ben noto illegame profondo che correva tra De Staël e Braque. Quanto li dividesta tutto nell’oltranza della pittura di De Staël, impossibile a Birolli. Im-possibile perchè emozione e narratività lo riconducevano alla tavoloz-za ricca di profondità, precisa nel bagliore e nell’ombra - organica per-chè analogica alla sua reale visione del paesaggio.Il lavoro come mediazione del pensiero aveva smorzato l’ansia misticache invece cresceva a forza nelle allucinazioni cromatiche di De Staël.E dove qui bastava la soprammissione delle paste a creare emozione,in Birolli era una miriade di contrasti, così come le pietre contrastava-no la vigna nelle sue Cinque Terre.

Novembre 1992

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“Realtà è ciò che pensiamo e come lo pensiamo”.Lettera a Guglielmo Achille Cavellinidi Renato Birolli

Milano, 5 dicembre 1948

Caro Achille,realtà è ciò che pensiamo e come lo pensiamo.Un Impressionista non vedeva né poteva pensare gli alberi come noi li pen-siamo e vediamo. Ogni tempo si appoggia ad una filosofia e a una scienzache modificano sinceramente il modo di pensare, cioè di vedere le cose; al-trimenti non esisterebbero le variazioni nell’arte, nella vita spirituale e socialedei popoli.Noi non abbiamo più la religione della natura e chi l’ha ancora è fuori deltempo: agisce da solo o per conto dei conservatori e della classe che ha tut-to l’interesse a tenere in vita, come insolubile, la contraddizione tra uomo enatura. Questo è politicamente dimostrato. Non occorre altra spiegazione.La velocità e l’acutezza nel porre i problemi però non bastano a dar vita al-l’opera. Bisogna che, da una parte, essi si trasformino in scienza, che darà inuovi mezzi per avvicinarsi all’espressione della nuova realtà; dall’altra, biso-gna che essi segnino una condizione spirituale che indichi la finalità da rag-giungere.Non è il problema, nella sua estrinsecazione razionale, che dobbiamo ama-re, ma il momento in cui esso è rivelato dalla piena adesione alle realtà vi-venti.Io non intendo tesaurizzare alcuni risultati astratti e su quelli spiegarmi larealtà; è questa e il concetto che io ho d’essa, che mi permetteranno dei nuo-vi risultati. Altrimenti siamo dei formalisti. Non esiste e non può esistere unacondizione astratta nell’operazione creativa. È tuttavia obbligo morale del-l’artista di buttare occhiate in là, oltre il confine del conosciuto.Il mio impegno non sta nel portare avanti le scoperte formali dei miei pre-decessori; ciò non è ottenibile che portando avanti la nuova realtà, dando in-teramente se stessi alla nuova realtà.Il mio rapido allontanamento dai residui naturali non proviene da un sofisma,ma da questa condizione morale di ricerca. Ma, è inteso, io non voglio fre-gare l’uomo che sono e il tempo che è in me.Io intendo liberarmi definitivamente dalle influenze deterministiche naturali,da queste polemiche alla giornata, da queste contraddizioni di classe bor-ghese. Il mio colore, e così le mie forme, dovranno paragonarsi al “concetto”che un uomo d’oggi ha della realtà, non alla natura, che è fuori causa. Voglioarrivare a un libero simbolo che sia la realtà filtrata dalle condizioni generalidell’uomo.Prima del Quattrocento era così e infatti quella pittura è altamente spiritualee simbolica dell’uomo e del paesaggio.Chi dice di difendere la realtà al di fuori di ciò che è l’uomo, s’inganna; di-fende invece una immobile tradizione della realtà, un metodo, un canone,una filosofia, un interesse, difende ancora la vecchia classe rotolata, si sa co-me, fin qui nel secolo.

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Un grafito egizio, una tanagra greca, una icona bizantina o comunque pri-mitiva, Cimabue, Giotto dipingevano i simboli della tal cosa, perché gli ele-menti della natura erano dentro di loro, erano già segnati dal concetto ge-nerale di realtà concreta e spirituale. Ogni secolo ha la sua fede ed è questa che dà il carattere a tutte le crea-zioni.Per uscire dalla contraddizione dei contenuti (ad esempio il realismo otto-centesco e la fede umanitaria da 2000 in Courbet) è sorto appunto l’a-strattismo; ma in Klee l’evasione coincise con una naturale disposizione poe-tica dell’artista (colori e forme come musica) e con le estreme conseguenzestoriche dell’espressionismo; in altri non è più così: l’evasione non è più giu-stificata dalla storia e tantomeno dalle nuove possibilità di lotta.Ad ogni modo mai come ora l’arte ha espresso in modo così etico e filosofi-co la realtà storica; essa è diventata il più alto osservatorio per conoscere ciòche passa.Quand’anche la corrente astrattista non fosse servita ad altro, resterebbesempre il fatto che ha avvicinato il quadro alla idea di “oggetto”, non più peri suoi contenuti apparenti, ma per quelli sostanziali, o di società. E tutto ilmondo, anche quello di negatori e denigratori, vive tranquillamente in case,vetrine, bar di assoluta marca moderna. Questo i borghesi lo debbono sape-re, è bene che lo sappiano.La nostra lotta è dura, ed oggi va combattuta pressoché su due fronti: quel-lo borghese e quello piccolo-borghese di vasti strati del proletariato. Ma al-

Cavellini e Birollia Manarola (1955-56)

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cuni di noi non possono sbagliare. Potrei dire, alla Spinoza, che la realtà vi-vente, che tutte le cose nel loro moto, sono “immanenti” in noi, perché solonoi sappiamo e possiamo vedere il mutamento, noi uomini delle forme e deicolori. La nostra non è una sensibilità puramente astratta, come logicamen-te è nel politico (esso dice “le masse”, noi dipingiamo gli uomini per quelloche sono e per quello che vorrebbero essere).Lenin diceva che la Dittatura del Proletariato è una necessità storica (dillo aicodini) non tanto per le classi borghesi - le quali vanno lentamente convintee conquistate - quanto per il proletariato stesso, imbevuto di pregiudizi e con-vinzioni piccolo-borghesi. Una necessità, non una conclusione per sempre. In-fatti noi marxisti puntiamo verso la libertà dell’uomo dallo sfruttamento.Nel mondo sono accaduti fatti di così tremenda gravità, che noi tutti o qua-si tutti ne siamo ancora acciecati e schiacciati; come un occhio posto din-nanzi al balenare del fulmine o l’orecchio avvicinato a una sirena acutissi-ma. Dopo, l’occhio vede tenebra e l’orecchio ode solo silenzio. Gli indifferen-ti (non dico di quelli morali), coloro appunto che hanno avuto la dolorosascossa all’occhio e all’orecchio, debbono distinguere la causa della loro indif-ferenza, sapere che è patologica o fisiologica, non morale. E devono ripren-dere di nuovo il cammino, così come noi facciamo.Occorreranno anni ancora, avanti che ognuno di noi sia reso cosciente chequei fatti erano “lui”, non gli “altri”, e che lo riguardavano in maniera terri-bile.Si direbbe che il numero dei morti e la facilità estrema a morire abbiano di-viso il mondo in due classi: i vivi e i morti. Non è a stupire che i vivi si rifiu-tino di cercare il loro fratello nel cumulo dei morti, perché ogni ricerca sot-tointende una volontà e ogni volontà un giudizio e ogni giudizio un proces-so: e questo non si sa in ultima analisi contro chi sarebbe mosso. E allora re-sti il fratello nel tumulo.Per me, tu lo intendi, tuttociò è detto in modo da produrre una lacerazionemorale in me. La auguro a tutti.La auguro ai superstiziosi, ai laidi, agli stupidi, ai pornografi, agli indecenti, agliindifferenti morali, là soprattutto dove si irregimentano in categorie, in classiumane e sociali.Io resto conseguente alla lotta in corso. Essa vale per il miglioramento anchedell’arte.Ho tutto da perdere e tutto da guadagnare.Non si chiede che un aumento degli elementi più necessari.

Per quanto riguarda Zurigo, ho cambiato idea per non gravarmi di speseesprimibili in franchi svizzeri. Se però tu credessi di venirmi incontro (tantoc’impattiamo) tanto meglio.Con certezza andremo prestissimo a Parigi e Antibes.Rispondimi per Zurigo, se trovi conveniente la cosa.

Ciao, caramente. Non lavoro. Cerco una stanzaccia fuori.

Il tuoBirolli

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Le opere

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Ragazza francese, 1947,olio su tela, 80 x 56, Brescia, collezione privata

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Ritratto femminile, 1947,olio su carta incollata su tela, 68 x 50, Brescia, collezione privata

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Donna sdraiata, 1949,tecnica mista su carta, 47 x 66,5, Brescia, collezione privata

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Barche (Porticciolo), 1951,olio su tela, 45 x 45, Brescia, collezione privata

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Ritratto di Guglielmo Achille Cavellini, 1951,olio su tela, 115 x 69, Brescia, Archivio Cavellini

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Vaso e finestra, 1951-53,olio su tela, 80,5 x 60, Brescia, collezione privata

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Composizione: reti da pesca, 1953,tecnica mista su carta incollata su tela, 50 x 70, Brescia, collezione Mario Filippini

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Trebbia sulla collina, 1954,olio su tela, 78,5 x 110, Brescia, collezione privata

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Spaccato di mare, 1954,olio su tela, 65 x 178, Brescia, collezione P. A.

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Cinque Terre, 1954-55,olio su tela, 116 x 73, Brescia, collezione privata

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Analogie sul rosso, 1955,olio su tela, 70 x 54, Brescia, collezione privata

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Tre buste dipinte inviate da Birolli a Cavellini, 1955,tempera su carta, 31 x 57, Brescia, Archivio Cavellini

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Incendio nelle Cinque Terre, 1955-56,olio su tela, 118 x 107, Brescia, Galleria Alberto Valerio

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Senza titolo, 1956,pastello a cera su carta, 34 x 47, Brescia, collezione privata

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Incendio alle Cinque Terre, 1956,pastello a cera su carta, 30 x 40, Brescia, collezione privata

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Anversa, 1957,olio su tela, 101 x 81, Brescia, collezione privata

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Senza titolo, 1957,olio su tela, 24 x 35, Brescia, collezione privata

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I due amanti, 1958, olio su tela, 114 x 88, Brescia, collezione privata

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Risveglio, 1941,china e acquerello su carta, 28 x 22, Brescia, collezione privata

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Fanciulla, 1942,acquerello su carta, 43,5 x 65, Brescia, collezione privata

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Renato Birolli

1905 - Nasce a Verona.

1927-29 - Dopo essere stato espulso dall’AccademiaCignaroli, si trasferisce a Milano, dove svolge lavorisaltuari. Prime ricerche sul colore-forma in opposizioneal Novecento.

1931-35 - Prima mostra al Milione. Rapporti con Manzùe Sassu, con gli artisti romani quali Mafai, Cagli eMazzacurati, amicizia con Spazzapan e Guttuso.

1936-37 - Primo viaggio a Parigi, dove incontra LionelloVenturi in esilio. Amicizia con Sandro Bini, che presentala pubblicazione dei disegni dedicati alle Metamorfosi.Viene arrestato per motivi politici.

1938-42 - Partecipa a Corrente. In carcere dal 1937al ’38 per motivi politici. Vince il II Premio Bergamo(1940) e il IV (1942), partecipa alla Biennale di Venezia(1942).

1943-45 - I Disegni della Resistenza. Pubblica la primaedizione dei Taccuini (1943).

1946-47 - Promotore della Nuova Secessione, poiFronte Nuovo delle Arti. Soggiorno a Parigi e inBretagna nel 1947.

1948-50 - Posizione critica nei confronti della lineaufficiale del Pci, di cui è militante. Soggiorno in Bretagnanel 1949.

1951-54 - Soggiorni estivi a Isola Porto Buso (Grado)nel 1951; a Fossa Sejore (Fano) nel 1950 e nel 1953-54;a Bocca di Magra nel 1952.Prima mostra a New York nel 1951.Decorazione per la Triennale di Milano nel 1954.

1955-57 - Soggiorni a Manarola (Cinque Terre) nel 1957 enel 1958; a Tellaro (Lerici) nel 1956; ad Anversa nel 1957. Vince i premi La Spezia, Pittsburgh, Lissone.

1958-59 - Viaggio a New York nel 1958 e incontro conl’Action Painting; viaggio in Germania nel 1958.

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Sommario

3 L’intransigente che scosse la provinciadi Giovanna Capretti

11 Tra natura e cultura: le stagioni di Birollidi Mauro Panzera

17 “Realtà è ciò che pensiamoe come lo pensiamo”Lettera a Guglielmo Achille Cavellinidi Renato Birolli

21 Le opere

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Classici del contemporaneo - 3Renato Birolli nelle collezioni bresciane22 settembre - 17 ottobre 2001Mostra organizzata dall’AAB

Cura della mostra e del catalogoGiovanna Capretti

Comitato organizzatoreErmete Botticini, Vasco Frati, Giuseppe Gallizioli, Martino Gerevini

Coordinamento editorialeVasco Frati e Giuseppina Ragusini

Progetto graficoMartino Gerevini

Progetto dell’allestimentoGiuseppe Bonetti e Luigi Paracchini

Referenze fotograficheMario Brogiolo

AssicurazioneRAS - Riunione Adriatica di Sicurtà, Gardone Val Trompia

TrasportiCortesi Arte - Air Sea Service, Brescia

DirezioneGiuseppina Ragusini

SegreteriaSimona Di Cio e Laura Molinari

L’AAB ringrazia per la loro preziosa e generosa collaborazione:l’Archivio Cavellini e la Galleria Alberto Valerio;i collezionisti Mario Filippini e P.A. e tutti gli altri prestatori;la Fondazione Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde;Cortesi Arte - Air Sea Service;RAS - Riunione Adriatica di Sicurtà.

La pubblicazione delle fotografie e della lettera di Renato Birolli è statagentilmente concessa dall’Archivio Cavellini di Brescia; la pubblicazionedel saggio di Mauro Panzera dall’autore e dalla Galleria Alberto Valerio.

Fotocomposizione e stampaArti Grafiche Apollonio - BresciaFinito di stampare nel mese di settembre 2001.Di questo catalogo sono state tirate 300 copie.

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