REM 1 (2010) - Il risveglio culturale del Polesine

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In questo numero: Pierre Andrieux Natalino Balasso Alberto Burato Anna De Pascalis Milena Dolcetto Andrea Duò Cristina Finotto Antonio Lodo Matteo Peretto Raffaele Peretto Giampietro Pizzo Leonardo Raito Paolo Rigoni Sergio Sottovia Elena Stoppa Danilo Trombin Emiliano Verza Il risveglio culturale del Polesine Anno I, n. 1 del 13 giugno 2010 - € 5.00 00001 9 772038 342001

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Periodico culturale quadrimestrale pensato e scritto tra l'Adige e il Po

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In questo numero: Pierre Andrieux Natalino Balasso Alberto Burato Anna De Pascalis Milena Dolcetto Andrea Duò Cristina Finotto Antonio LodoMatteo Peretto Raffaele Peretto Giampietro Pizzo Leonardo Raito Paolo Rigoni Sergio Sottovia Elena Stoppa Danilo Trombin Emiliano Verza

Il risveglio culturale del Polesine

Anno I, n. 1 del 13 giugno 2010 - € 5.00 0 0 0 0 1

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natural...mente meetingNuovo polo turistico e divisione di uno dei più importanti gruppi industriali al mondo,MARCEGAGLIA tourism gestisce attualmente tre assets turistici: l’isola di Albarella situatanel Parco del Delta del Po, Pugnochiuso nei pressi di Vieste sul promontorio del Gargano eLe Tonnare di Stintino sulla costa nord-occidentale della Sardegna.

La mission di MARCEGAGLIA tourism è stile di vita per tutta la vita = Creazione di ... valore.

MARCEGAGLIA tourism vuole proporsi come punto di riferimento europeo nel settore TURISTICO - CULTURALE - SPORTIVO,attraverso il miglioramento continuo della qualità dei servizi e la valorizzazione dell’ambiente. Intende perseguire gli obiettivi tra-mite un’organizzazione nella quale il gruppo dei collaboratori fa propri i valori di onestà, professionalità, apertura verso gli altri,di sensibilità verso il cliente e verso l’ambiente, creando armonia e gratificazione all’interno e all’esterno.

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Anno I, n. 1 del 13 giugno 2010

Autorizzazione del Tribunale di Rovigo n. 3/2010 del 23/02/2010

Direttore Responsabile: Sandro Marchioro - [email protected]

Editore: Apogeo Editore - [email protected]

Coordinamento Editoriale: Cristiana Cobianco, Monica Scarpari, Paolo Spinello

Grafica e Impaginazione: Michele Beltramini

Stampa: Grafiche Nuova Tipografia - Corbola (Ro) - Tel. 0426.45900

Comunicazione: Fancy Grafica - Rovigo

Ufficio stampa: Milena Dolcetto

Blog: Matteo Peretto

Hanno collaborato a questo numero: Pierre Andrieux, Natalino Balasso, Alberto Burato, Anna De Pascalis, Milena Dolcetto, Andrea Duò, Cristina Finotto, Antonio Lodo, Matteo Peretto, Raffaele Peretto, Giampietro Pizzo, Leonardo Raito, Paolo Rigoni, Sergio Sottovia, Elena Stoppa, Danilo Trombin, Emiliano Verza.

Il responsabile del trattamento dei dati raccolti in banche dati di uso redazionale è il direttore responsabile a cui, presso Apogeo Editore di Paolo Spinello - Corso Vittorio Emanuele II, 147 - 45011 ADRIA RO, Tel.0426 21500, Fax 0426 945487, ci si può rivolgere per i diritti previsti dal D.Lgs.196/03.

Iscrizione al Registro degli operatori di comunicazione (ROC) n.19401 del 14/04/2010

Copyright - Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte della rivista può essere riprodotta in qualsiasi forma o rielaborata con l’uso di sistemi elettronici, o riprodotta, o diffusa, senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. La redazione si è curata di ottenere il copyright delle immagini pubblicate, nel caso in cui ciò non sia stato possibile l’editore è a disposizione degli aventi diritto per regolare eventuali spettanze.

Numero chiuso in redazione il 22 maggio 2010

www.remweb.it

Foto di Sandro Marchioro

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SOMMARIO

PRESENTAZIONEDi questi tempi .............................................................................................................. 7

RUBRICHETaccuino futile - Natalino Balasso ...................................................................................... 9Visti da lontano - Giampietro Pizzo ................................................................................. 11Flash & News - Sergio Sottovia ....................................................................................... 13

ATTUALITA’ Il risveglio culturale del Polesine - Sandro Marchioro ................................................... 14

LUOGHILuogo o non-luogo? Questo è il problema - Danilo Trombin ...................................... 23Il Po di Maistra prezioso gioiello di biodiversità - Emiliano Verza ............................ 28

PAROLEVerso la foce - Antonio Lodo ........................................................................................... 33Viaggiare tra pagine ed emozioni intervista a Paolo di Paolo - Cristiana Cobianco .. 38

SUONILa sorprendente via della musica intervista a Silvia Frigato - Milena Dolcetto ............ 42

PALCOSCENICOIl ritorno di “Tra Ville e Giardini” - Milena Dolcetto ..................................................... 47

COLORIGianni Cagnoni: artista eclettico - Elena Stoppa ......................................................... 52

IMMAGINI“Hi, I’m Pablo Chiereghin, I come from Adria” - Pierre Andrieux ............................. 60

PERSONAGGIGigi Fossati - Poeta del Polesine e non solo - Anna De Pascalis ................................. 66Luigi Masetti - L’anarchico delle due ruote - Cristina Finotto ....................................... 72

STORIAI cavalieri dell’aria - Leonardo Raito e Alberto Burato ....................................................... 77

PASSATO REMOTOIl Polesine al tempo di Ulisse - Raffaele Peretto ............................................................. 88Un patrimonio straordinario intervista a Giovanna Gambacurta - Monica Scarpari .. 96

SAPORI E SAPERIValliera la patria delle patate americane - Paolo Rigoni .......................................... 100Màneghi di patate americane di Valliera - Matteo Peretto ....................................... 104

TESI DI LAUREAAdolfo Rossi - Andrea Duò ............................................................................................ 109

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SISTEMAMUSEALEPROVINCIALE

Comunicazione istituzionale

Il Sistema Museale Provinciale Polesine (SMPP) è stato avviato dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Rovigo, in collaborazione con Enti Locali, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto e privati titolari di musei, allo scopo di di�ondere e valorizzare la conoscenza del ricchissimo patrimonio culturale polesano.

I “musei” grandi e piccoli, attivi nel territorio provinciale, si presentano insieme come parti di un sistema, che rappresenta una pratica organizzativa e�cace e funzionale per la realizzazione di iniziative e progetti quali�cati, per lo scambio di informazioni, quale occasione di confronto.

Oggi, il Sistema Museale Provinciale Polesine è una struttura forte, un biglietto da visita quali�cato per la cultura polesana. Ha tutte le carte in regola per svolgere un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo dell’o�erta turistica/culturale della provincia di Rovigo.

Il Sistema Museale è cresciuto enormemente in questi anni: ha acquisito consapevolezza, sicurezza, entusiasmo nel portare avanti progetti, iniziative, attività.

Il sito internet del sistema è prezioso per realizzare tutto ciò, uno strumento il cui valore è stato riconosciuto anche a livello nazionale; www.smppolesine.it è entrato infatti a far parte del “Portale della Cultura Italiana”, punto di accesso validato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per comunicare al vasto pubblico i vari aspetti della cultura italiana.

Il nostro Sistema Museale ne fa parte, perché rappresenta un tassello dell’o�erta culturale del nostro Paese, magari meno conosciuto rispetto ad altre realtà di più largo consumo turistico, ma ricco comunque di storia e di cultura, un patrimonio che vale la pena di promuovere, far conoscere e apprezzare.

Il SISTEMA MUSEALE PROVINCIALE è un progetto di tutti i Musei che vi aderiscono, degli Enti che lo sostengono, quali la Regione del Veneto e la Fondazione Banca del Monte di Rovigo, dei soggetti che vi partecipano attivamente a vario titolo. Dalla loro collaborazione nasce questa s�da per lavorare in modo sinergico alla promozione culturale del nostro Polesine.

Laura Negri Assessore alla Cultura Provincia di Rovigo

Servizio Cultura

Ente coordinatore del“Sistema Museale

Provinciale Polesine” Via Ricchieri detto Celio, 10

45100, Rovigo

dr. Roberto Mazzonidr. Chiara Tosini

Tel. 0425 386370Tel. 0425 460318

Cell. 329.8328640Fax 0425 386350

[email protected]@provincia.rovigo.it

[email protected]

Provincia di Rovigo

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PRESENTAZIONE

Che ci voglia l’impudenza di un biscazziere a mandare in edicola un nuovo giornale ce l’hanno già fatto notare. Sono tempi in cui la carta stampata, più che nascere, muore per lasciare il passo a forme diverse

di comunicazione (di cui, comunque, anche noi siamo dotati). Ma l’acronimo che dà vita al titolo del quadrimestrale che avete tra le mani contiene delle motivazioni talmente forti da giustificare l’azzardo. Ricerca, Esperienza e Memoria sono infatti, per noi, una sorta di formula che non solo sintetizza un progetto editoriale, ma contiene dei valori che reputiamo fondamentali per costruire un’identità e, di conseguenza, un futuro. Non è un caso che questa rivista si rivolga ad un territorio ben definito, il Polesine, proponendo di raccontarlo da un punto di vista particolare: quello della cultura. Siamo infatti convinti che questa terra abbia delle potenzialità tuttora inespresse e soprattutto crediamo che per realizzarle completamente sia indispensabile prendere pienamente coscienza del fatto che la nostra provincia ha molto da raccontare anche dal punto di vista culturale. Per questo vogliamo scavare nella nostra storia, raccontare personaggi dimenticati, dare voce ad intelligenze di persone che, troppo spesso, sono costrette a rivolgersi altrove per potersi esprimere. Di questi tempi, quindi, riteniamo sempre più necessario rilanciare, anziché stare chini a lamentarci sui tempi che cambiano, sulle diverse crisi che affollano le nostre giornate, sulla difficoltà di cambiare le cose. L’esercizio della cultura può (e forse deve) essere anche una forma di lotta per il miglioramento di ciò che abbiamo intorno, altrimenti diventa solo conservazione di moduli espressivi che tendono a riempirsi di polvere ed a perdere la loro forza, il loro potere di indicare strade nuove. L’idea di Rem nasce dalla volontà e dalla tenacia di un piccolo gruppo di collaboratori che fin dall’inizio hanno condiviso il progetto. Pure questo, crediamo, deve essere letto come un segno di vitalità di questo territorio, che anche grazie ad una esperienza come questa può dimostrare di avere molto altro da dire oltre al ricordo di catastrofi naturali che ne hanno segnato il passato. Noi ci crediamo.

La Redazione

Di questi tempi

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n. 1

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€ 5

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In questo numero: Pierre Andrieux Natalino Balasso Alberto BuratoAnna De Pascalis Milena Dolcetto Andrea Duò Cristina Finotto Antonio Lodo Matteo Peretto Raffaele Peretto Giampietro Piz-zo Leonardo Raito Paolo Rigoni Sergio Sottovia Danilo Trombin Emiliano Verza...

Il risveglio culturale del Polesine

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ADRIA (RO)Via Marconi, 33/BTel. 0426 22063Fax 0426 945380

BICICLETTE E ACCESSORI

di Giribuola Luigi

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RUBRICA

Trovo che sia lodevole il proget-to di questa rivista. Lodevole tanto più che parlare di cultura

in Veneto è un po’ come parlare di vibratori in chiesa e il fatto che per-sone provenienti dai più svariati in-teressi decidano di dedicare un po’ del proprio tempo alla creazione di una rivista che, una volta tanto, non si occupi dell’attività sessuale dei no-stri ottuagenari politici vuol dire che anche in questo nostro Polesine c’è spazio per il pensiero, oltre che per le centrali nucleari.Mi piacerebbe co-minciare parlando di calcio.Ma come? Balasso! Non se parla de cal-cio in te na rivista che la se ciama Rem!Calma. Lasciatemi raccontare un aned-doto. Stavo osservan-do in tv un incontro di calcio internazionale durante il quale, ad un certo punto, un attac-cante veniva atterrato a centrocampo. La regia ha deciso di rimandare il replay dell’azione da sei angolature diverse e, durante questa accurata documentazione vi-deo, la punizione era già stata battu-ta. Quando le immagini sono tornate in diretta, un altro attaccante si trova-va già a tu per tu col portiere. Come c’era arrivato? Per il momento non si poteva sapere, perché l’attaccan-te aveva segnato il gol. La regia ha deciso di mandare nell’ordine: alcu-ni minuti di festeggiamenti, le facce deluse degli avversari, la reazione delle due panchine al gol, il gol da 11 angolazioni diverse e, alla fine, l’intera azione. Dopo questa caterva di rallenty, ho scoperto che la squa-dra avversaria aveva già segnato il gol del pareggio.Mi sono chiesto cosa significasse tut-to questo e sono giunto alla conclu-sione che non siamo più in grado di vivere il presente, quello che viviamo

in realtà è un presente appena pas-sato e accuratamente documentato. Lo vediamo quotidianamente nelle catatoniche domeniche pomeriggio, quando le giovani famiglie girano come lemuri, leccando svogliata-mente gelati al gusto di tartaruga ninja. Ecco il babbo che chiama a sé la figlioletta: “Sharon, sentate su sto mureto ca te fasso na fotografia col telefonin mentre ca te vardi el tramonto!”. Nel computer del bab-bo ci sono ormai migliaia di foto di

Sharon, della moglie, di loro tre, in tutte le situazioni mondane possibili, dal parto alla comunione, dal saggio di fine anno alla visita alla zia; la zia però viene sem-pre mossa. Oggi è possibile realizzare video familiari non solo con le telecame-re, ma anche con le macchine fotografi-che, coi telefoni, con l’ipod, è il festival del-

la documentazione. Sharon è abitua-ta a vedere se stessa ritratta e ripresa praticamente ogni giorno e forse si convincerà che se non è ripresa, fo-tografata, documentata, non esiste-rà. Sono nella foto dunque sono. La riproduzione della realtà viene scam-biata per la realtà stessa, al punto che si usano termini come “reality” per programmi tv che di reale hanno ben poco (ditemi, avete mai sentito parlare di politica in un reality? Do-vremmo dunque concludere che nel-la realtà non si parla di politica?). Senza contare che una volta scattate migliaia di foto e dopo aver girato ore di filmati della nostra vita, dove lo troveremo il tempo per vedere tut-to? Chiamatemi fesso ma a me pia-cerebbe che un bel giorno l’arbitro fischiasse il fuorigioco e gli spettatori dicessero “C’era o non c’era? Non so, non ho visto bene! Va be’, ormai non si potrà più sapere!”.

“non siamo più in gradodi vivere

il presente

Natalino Balasso

Taccuino futile

Sharon

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RUBRICA

ed esterni di ogni sorta. Polesine: terra di emigrazione, oltreoceano o semplicemente verso i poli urbani dello sviluppo industriale novecentesco. Polesine: terra di sciagure e di tragedie naturali. Polesine uguale alluvione, nell’immaginario di tanti italiani ed europei.Solo i polesani sembrano conoscere l’altra faccia di questa realtà: le lotte bracciantili e il vento dell’emancipazione che hanno animato gli albori del secolo passato; la storia antica che riaffiora nella tradizione orale e nelle testimonianze materiali; la dimensione e la qualità del vivere insieme.A volte sono i “foresti”, coloro che incontrano la nostra terra per la prima volta, che ci manifestano il loro stupore per l’assoluta diversità del contesto; oppure siamo noi stessi, quando torniamo con gli occhi giusti, che ci rendiamo conto di quanta bellezza vi sia in questo paesaggio: basta deviare di poco, abbandonando le principali arterie viarie, per ritrovare altri ritmi e altri valori. Perché allora tutto questo è così poco visibile da fuori e così poco “visto” da chi vi abita?E mentre cerchiamo di guardare davvero questo nostro territorio, non possiamo far finta di nulla e non leggere, con tutto il doloroso sale che le ricopre, le tante troppe ferite.Penso alla storia economica di questa terra, ai ricatti che ha subito in nome del lavoro; ai disastri ambientali perpetrati (dalla centrale ENEL in giù) e alle occasioni perdute (la creazione di un Parco Nazionale del Delta, per esempio) e, allora, con la “giusta distanza” - parafrasando

“Da dove vieni?”. “Da Adria”.“E dove sarebbe?”.

Quante volte mi sono sentito chiedere: Adria, ma dov’è? Non solo all’estero ma anche in Italia, forse qualche volta nello stesso Veneto. Perché questa nostra terra è così poco conosciuta altrove? Perché questa terra tra due fiumi, l’Adige e il Po, è così invisibile nello scenario geografico e culturale italiano ed europeo?Dovremmo riflettere su questo aspetto; una questione certo dolorosa per chi è fiero delle proprie origini e delle proprie radici. Polesine: terra oppressa e sfruttata per secoli da colonizzatori interni

Giampietro Pizzo

Visti da lontano il bellissimo film di Mazzacurati - sento che bisognerà, prima o poi, che la nostra gente torni a interrogarsi davvero sulla propria storia. Non per dire che il passato avrebbe potuto essere diverso, ma che diverso può essere il futuro. Ma che bisogna volerlo, un futuro migliore.A conferma di quanto sia delicata la questione, la stessa meccanica delle scelte e delle decisioni sembra ripetersi; gli errori di un tempo non sembrano costituire una lezione sufficiente per l’oggi. A Roma e a Venezia si pensa al Polesine come un luogo in cui si può, più facilmente che altrove, localizzare una centrale nucleare o un’industria inquinante. Qui, dove Natura e Spazio sono due grandi e inalienabili ricchezze, qualcuno continua a pensare che l’assenza dell’effetto “NIMBY” (not in my backyard), renda tutto più facile. Eppure, da inguaribile sognatore, mi ostino a credere che sia davvero possibile voltare pagina. Penso che nell’epoca della green economy e del turismo ambientale, Natura e Spazio costituiscano davvero la ricchezza del futuro. Basta esserne coscienti. E agire di conseguenza.Sinora a quella impertinente e un poco ignorante domanda su “Adria, ma dov’è?” ho sempre risposto: “Ma come, non lo sai? Adria è la città che ha dato il nome al Mare Adriatico”.La prossima volta mi piacerebbe invece rispondere: “Ma come, non sai dov’è Adria? Nel Polesine, dove la terra e l’acqua si confondono, dove il fiume diventa mare e il mare diventa fiume, dove gli uomini sono di casa da tanto tanto tempo e dove molti di noi vorrebbero tornare a vivere”.

Una terrainvisibile?

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Galleria BraghinAdria (Ro)Tel. 0426/41361

TURNO DI RIPOSO DOMENICA

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RUBRICA

Curiosità, aneddoti, personag-gi particolari. Fatti storici ed eventi speciali. Sarà questo il

nostro target, ben sapendo che di sport se ne parla a iosa ogni giorno su tutti i mass media. Ecco perché il nostro format sarà “Flash & News”, un appuntamento quadrimestrale dal taglio veloce e curioso. Perciò, pronti via e a tutto gas. Come ha fatto Ugo Zagato da Ga-vello. Aveva 15 anni quando emi-grò in Germania. E da emigrante – operaio in una fabbrica di Colonia ha imparato i segreti del mestiere di ‘carrozziere’. Per questo il suo rien-tro in Polesine è stato una toccata e fuga. Ma non abbiamo detto che saremo ‘veloci anche noi’? E allora diciamo che Ugo Zagato è ripartito per Torino dove ha lavorato nelle “Officine aeronautiche O.Pomillo” (del gruppo Ansaldo), là dove si costruivano aerei da guerra. Poi dal 1919 va a Milano e si mette in proprio e fonderà la carrozzeria artigiana “Ugo Zagato”, là in Via Francesco Ferrer a Greco Milanese sulla strada per Monza.Il resto... lo sapete tutti. Fiat, Bianchi, Itala, Diatto, Chiribiri e poi (epoca del boom economico) la Abarth, Alfa Romeo, Aston Martin, Ferra-ri, Isotta Fraschini, Jaguar, Lancia, Maserati. Tutte marche di auto che si sono affidate alla “Carrozzeria Zagato”, anche dopo che l’azienda passerà in mano ai suoi figli Elio e Gianni fino al Terzo Millennio. Ma al di là dell’amicizia di Ugo coi piloti Ascari, Campari, Scarfiotti e Ferra-ri, c’è una curiosità speciale che vo-glio segnalarvi. E cioè che il 9 ago-sto 1918 è la data in cui Gabriele D’Annunzio volò su Vienna. L’aereo era un Savoia-Verduzo-Ansaldo A5. E sapete chi eseguì la progettazione di quell’aereo? Proprio il polesano

Sergio Sottovia

Ugo Zagato eMaria Antonietta Avanzodue “Top stories”polesane

Ugo Zagato, che progettò “quel ser-batoio supplementare di 300 litri” che non pregiudicò né la sicurezza né la maneggevolezza.Già, Gabriele D’annunzio, il poeta che volò anche su Fiume. Gabriele D’annunzio quello del Vittoriale. E allora parliamo della Maria Anto-nietta Avanzo, nata Bellan a Con-tarina e poi, sposatasi a Roma, baronessa appassionatissima di macchine.Bella e intrigante, la baronessa in-contrò Gabriele d’Annunzio e il Vate, affascinato, la volle con sé per qualche tempo, al Vittoriale (gli antesignani del gossip raccontano che la baronessa fece morire di in-digestione la tanto amata tartaruga del poeta). Ma noi parliamo di sport… e allo-ra diciamo che la baronessa tornò alle corse nel 1926, con una Mer-cedes “180 HP Tipo K”, nella Cop-pa della Perugina (terzo posto nella classe oltre 2000 cm3). In seguito disputò anche quattro Mille Miglia (incompiute). Nel 1928, in coppia con il playboy Manuel de Teffé, fi-glio dell’ambasciatore del Brasile, su Chrysler “Series 72”. Coi piloti Minoia e Balestrero aveva fatto so-cietà e creato anche una scuderia, molto prima che Ferrari facesse la sua. Quindi nel 1929 su Alfa Ro-meo “6C 1750 SS” e nel 1931 su una Bugatti “Type 43”. Nel 1932 infine la Avanzo gareggiò con un’Alfa Romeo “6C 1750 GS” spi-der Touring della Scuderia Ferrari. Però benché gli amici le dicessero che ‘quelle erano corse per uomini duri’, beh lei Antonietta Bellan da Contarina scappò a provare anche ad Indianapolis. Certo tornò subito in Italia, ma per essere comunque e ancora la indomita ‘baronessa pilota’.

Flash & News

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ATTUALITA’

Grandi mostre e molte altre manifestazioni diffuse in tutto il territorio portano a pensare che la nostra provincia sia più vivace di quanto di solito si crede.

Ne parliamo con l’assessore alla cultura della Provincia, Laura Negri.

Sandro Marchioro

Il risveglio culturale del Polesine

Per quanto logoro ed abusato, è certo che lo stereotipo di un Polesine depresso, inerte,

culturalmente marginale e del tutto provinciale continua a resistere. Certo, come tutti gli stereotipi, qualcosa di vero c’è (o c’è stato). Ma è altrettanto indubitabile che, almeno nell’ultimo lustro, la vita culturale di questa provincia ha vissuto (e sta vivendo) una stagione di una certa vivacità, con diverse iniziative che hanno richiamato l’attenzione su questo territorio e che hanno avuto

un’eco nazionale. Pensiamo, ad esempio, alla mostra “Balkani” che si è tenuta al Museo Archeologico di Adria tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008; un evento di grande successo, che ha permesso a migliaia di visitatori di ammirare gli splendidi tesori archeologici conservati al Museo Nazionale di Belgrado. Grande risonanza ed ottimi risultati anche per la serie di mostre (tutte organizzate grazie al forte impegno della Fondazione Cariparo) allestite negli spazi del rinnovato palazzo

Roverella, a Rovigo, a cominciare da “Le meraviglie della pittura tra Venezia e Ferrara”, da Gennaio a Giugno del 2006; iniziative poi proseguite con la grande mostra che ha portato alla riscoperta di Mario Cavaglieri (Febbraio – Luglio 2007), con la rassegna su “La belle epoque” (Febbraio - Luglio 2008), con “Deco. Arte in Italia 1919-1939” (Gennaio - Giugno 2009) che ha portato a Rovigo circa 40.000 visitatori; per finire con la mostra in corso su “Bortoloni, Piazzetta,

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REM

Mattia Bortoloni Antonio accompagna all’imbarco Cleopatra (particolare)

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ATTUALITA’

Tiepolo: il ‘700 veneto” terminata il 13 giugno. Insomma, una serie di iniziative di rilevante spessore culturale, che hanno ottenuto tutte un grande successo e che forse hanno contribuito in maniera sensibile a dare un’immagine diversa di questa provincia. Accanto a questi eventi, comunque, c’è tutta una serie di iniziative a carattere culturale sparse nel territorio che fanno pensare che qualcosa si sta muovendo e, per questo, fanno ben sperare. Di questo parliamo con l’assessore provinciale alla cultura, Laura Negri, che per la seconda legislatura (quindi ormai da sette anni) svolge questo incarico. “Sono convinta sia corretto parlare di risveglio culturale della nostra provincia – dice Laura Negri – il

successo degli eventi organizzati a Palazzo Roverella lo possono ben testimoniare. Certo, ci sono ancora molte cose da fare, c’è da lavorare molto soprattutto sull’aspetto della comunicazione, ma sono convinta che abbiamo imboccato la strada giusta. La collaborazione tra la Fondazione Cariparo e diversi enti, tra l’altro, si sta dimostrando strategica. Per il futuro credo sarà necessario continuare su questa strada. Del resto ci sono già altre due mostre in programmazione, anche in questo caso di grande richiamo: l’Ottocento sarà l’argomento della mostra del 2011, mentre per il 2012 la mostra avrà come oggetto il Futurismo. Non posso però fare a meno di notare che il territorio in questi ultimi anni

ha fatto un grosso sforzo che sta portando ad ottimi risultati; uno sforzo che hanno fatto le istituzioni, ma soprattutto la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che ha puntato molto su questo tipo di iniziativa e che ha anche sostenuto una rete di comunicazione molto efficace, investendo molto per raggiungere questo obiettivi”. L’esito di queste iniziative, tra l’altro, si è fatto sentire anche in altri ambiti: “Mi pare evidente – continua Negri – che i passi avanti fatti in ambito culturale abbiano anche trascinato risultati positivi nel settore turistico: questo lo noto anche nell’attesa da parte degli operatori che se all’inizio potevano dimostrare una certa diffidenza, adesso riconoscono

Mattia Bortoloni Giunone chiede ad Eolo di liberare i venti (particolare)

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REM

chiaramente queste mostre come un’importante opportunità. Ci sono molte attività (ristoranti, bar, locali eccetera) che sono in attesa della programmazione delle mostre future. Insomma, si intuisce anche un territorio che comincia a capire l’importanza di questi eventi, mentre prima non veniva raccolto in pieno il significato di queste attività”.L’effetto secondario del successo di

queste iniziative, secondo l’assessore, è altrettanto importante di quello immediatamente economico: “Questi eventi – dice - hanno fatto in modo che si conoscesse il Polesine anche come una realtà inserita a pieno titolo nel Veneto, con però alcune peculiarità che forse sono anche dei punti di forza di questa terra; cioè il fatto di non essere fortemente cementificato e antropizzato, e poi

il nostro paesaggio unico: i fiumi, la magia del Delta. Oltre a questo, però, vorrei soffermarmi anche su un altro aspetto – dice Laura Negri – e cioè che secondo me il territorio negli ultimi anni ha cominciato a lavorare con una maggior coscienza di rete. Mi spiego: la nostra provincia è caratterizzata dalla presenza di cinquanta comuni che sono per lo più al di sotto dei 3000 abitanti. Sono poche le realtà strutturate di una certa dimensione: Rovigo, Adria, Lendinara, Badia, Porto Viro e Porto Tolle; per il resto sono tutti comuni molto piccoli. In quest’ultimo periodo si è maturata una mentalità più tesa all’aggregazione. Si è capito, cioè, che se non si mettono insieme le risorse ed anche le attività non è possibile andare lontano. Quindi nel tempo si sono sviluppate veramente tante reti culturali che stanno facendo crescere questo territorio. Mi piace ricordare, ad esempio, il sistema bibliotecario provinciale che è arrivato a 56 biblioteche aderenti, e che è diventato un polo bibliotecario inserito nel sistema bibliotecario nazionale, con quasi tutti i Comuni che accedono attraverso internet ad un catalogo unico, che fanno attività di interprestito bibliotecario (credo che quest’anno arriveremo a 10.000 volumi che sono stati oggetto di interprestito tra le biblioteche); quindi si è maturata anche quella capacità di relazione e di interrelazione che forse un tempo non c’era. Così come mi piace parlare del sistema museale della Provincia: anche questo ha una struttura che cerca di mettere insieme le diverse realtà (che sono molto eterogenee tra di loro) cercando di fare delle iniziative di promozione comune, puntando molto sulla qualità dell’offerta culturale e anche sulle capacità di proporre dei progetti di carattere didattico, sia per il pubblico dei ragazzi che per il pubblico adulto. Su questo si è lavorato molto anche in termini formativi, con azioni rivolte in

Mattia Bortoloni Il giovane matematico

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ATTUALITA’

Mario Cavaglieri La venere di Peyloubere,1926

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REM

particolare agli insegnanti”. Complessivamente, quindi, il giudizio che Laura Negri dà di questa ultima stagione della cultura polesana è positiva: “Mi sembra stia nei fatti. Tra l’altro mi pare che anche l’idea dell’identità del territorio cominci a radicarsi di più; malgrado questa sia una terra che difficilmente riesce a percepirsi come unitaria (soprattutto perché storicamente è stata divisa tra veneziani, ferraresi, stato pontificio) mi pare che cominci a filtrare l’idea che un’identità forte è praticabile, e che comunque alcune differenze possono costituire una ricchezza. Certo, ci sono ancora delle difficoltà: come già accennavo il nostro grande difetto è proprio forse nella comunicazione: non riusciamo ad avere ancora le risorse (economiche ma non solo) per poterci promuovere di più, per poter far capire di più all’esterno che questa è una provincia che produce molto, e che ha anche molto da dare”.Tra le attività che stanno

caratterizzando il territorio in quest’ultimo periodo ce ne sono altre su cui Laura Negri vuol portare l’attenzione: “Si muovono molte iniziative legate al mondo del libro ed alla sua diffusione – dice l’assessore – oltre a quanto sta facendo l’associazione “Cuore di carta” (l’organizzazione della “Fiera delle parole” al Censer a Rovigo e le svariate occasioni di incontro con diversi autori durante tutto l’anno) è di pertinenza della Provincia l’organizzazione, insieme con l’associazione “Aida”, di tutta una serie di attività di promozione alla lettura, partendo dalla prima infanzia; quest’anno abbiamo fatto attività di formazione con gli insegnanti e con i nonni (per insegnare loro a leggere le fiabe ai nipoti), e poi, con l’iniziativa “Libri Infiniti”, abbiamo realizzato 54 incontri con autori di libri per ragazzi. Praticamente abbiamo coinvolto la totalità del territorio, non solo con presentazioni ed incontri, ma

anche con vere e proprie attività di laboratorio gestite dagli autori stessi. Un’esperienza davvero di grande successo. L’attività rivolta agli adulti si concretizza invece con incontri con gli autori, spesso seguendo un tema: quello di quest’anno era legato al mondo della scienza: ci sono stati incontri con personaggi di grande rilievo, da Edoardo Boncinelli a Giulio Giorello a Mario Tozzi: hanno ottenuto un successo enorme, riempiendo all’inverosimile la sala: un risultato che dimostra che la richiesta c’è e che queste iniziative vanno fatte”. Non bisogna inoltre dimenticare altre iniziative realizzate in proprio dai comuni o da altre realtà associative, che sono via via cresciute negli ultimi anni: basti pensare alla Fiera del libro di Porto Viro, o alla Mostra del libro per ragazzi che da diversi anni si tiene a Castelmassa; o ancora alla festa dei lettori che si terrà ad Adria (e di cui parliamo in un’altra sezione della nostra rivista): iniziative che

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ATTUALITA’

ormai hanno assunto un rilievo ben più ampio di quello provinciale e che riscuotono sempre un grande successo di pubblico.In chiusura, Laura Negri ci dà qualche notizia sulle iniziative in cantiere: “La carenza di risorse ci fa stare con i piedi per terra – dice l’assessore - d’altra parte in questo momento ci sono altre priorità, come ad esempio l’emergenza sociale indotta dalla crisi economica. Comunque alcune cose le stiamo già preparando. Penso ad esempio alla “notte bianca delle biblioteche” che stiamo organizzando per questa estate (ndr: le date sono ancora da stabilire al momento in cui scriviamo il pezzo). Sarà la prima edizione di un evento che vorremmo prendesse piede in provincia e che comprenderà maratone di lettura, animazioni per i bambini, presentazioni di autori: insomma, tutta una serie di iniziative che coinvolgeranno tutto il territorio provinciale. Per il prossimo anno stiamo programmando invece le iniziative per il 150° anniversario dell’unità d’Italia. Stiamo lavorando con altre realtà istituzionali quali la Prefettura, l’Archivio di Stato eccetera: posso anticipare la preparazione di una mostra itinerante sul periodo che va dal 1866 fino alla prima guerra mondiale: la mostra presenterà tutti quegli interventi infrastrutturali che hanno coinvolto in quel periodo il nostro territorio (bonifica, ferrovia eccetera) i quali dimostrano che all’epoca il Polesine ha messo in campo una serie di iniziative che hanno sviluppato in maniera particolare questo territorio: risulta evidente, dalle ricerche che si stanno svolgendo, che quello è stato, per la nostra provincia, un periodo veramente molto vivace. La mostra avrà una forma semplice (anche se basata su fonti storiche ed archivistiche) ed un carattere fortemente didattico. Un’altra iniziativa a cui tengo molto (e che è proprio agli inizi del

proprio percorso) è quella sui teatri. Abbiamo appena approvato una bozza di protocollo di intesa per la costituzione della rete dei teatri in Polesine; cominceremo l’attività di promozione ed il primo obiettivo sarà quello di coordinare l’offerta teatrale provinciale, in modo tale che non ci siano dei doppioni che sono controproducenti. Cominciamo così, con molta umiltà, perché credo che prima di tutto ci sia la necessità di

capire il valore dello stare insieme: la prima cosa da superare è un po’ la diffidenza nel mettersi a lavorare insieme, la paura che individualmente qualcosa si perda; il messaggio che vogliamo dare invece è che lavorare insieme conviene a tutti, soprattutto alla qualità di ciò che potremo offrire al pubblico polesano”. Molte altre iniziative sono in cantiere, ma di ognuna di esse parleremo nei prossimi numeri della nostra rivista.

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LUOGHI

Luogo onon-luogo?

Questo è il problema

Se mi trovassi a sfogliare, petalo dopo petalo, l’ipotetica margherita dello spazio e del tempo di questo nostro Polesine, rimarrei senza dubbio con il petalo del non-luogo tra le dita. M’ama o non

m’ama? Luogo o non luogo? Non-luogo… ecco tutto. Il Po-lesine è certamente l’archetipo dei non-luoghi; una buca, isolata a nord e a sud dai due principali fiumi italiani, perennemente ammantato di nebbie pestilenziali, soggia-cente di metri al livello del mare. Un territorio dai confini incerti, che la natura nei millenni non ha mai voluto rende-re stabili, e che ha fatto scorrazzare ora a nord, ora a sud, piuttosto che a ovest o a est, per assecondare i propri ca-pricci. Il Polesine è solo una strisciolina di terra che lungo la Romea si supera in una manciata di minuti. Il Delta del Po? È in provincia di Ferrara, risponderà chiunque.“Rovigo non esiste”, o almeno questo afferma una pagina su Facebook, della quale sono fan… e Scano Boa, ovvero l’estremo territorio orientale della nostra provincia, è “l’isola che non c’è”, come giustamente attestò un mio ben più illustre predecessore… e la saggezza popolare ricorda questo luogo così: “Tra l’Adige e il Po giace sepolta Rovigo incolta”. Incolta in tutti i sensi, aggiungo io… Il Polesine è un posto dove da sempre è difficile vivere, è l’area depressa, la patria della malaria una volta, del cancro oggi. Il Polesine è famoso per le alluvioni, per essere sempre stato terra di emigrazione, un posto dal quale fuggire, perché nascerci è una disgrazia. Il Polesine è terra di contrabbandieri, è merce di scambio tra la Serenissima e gli Estensi, nato dalla disgraziata morte di Fetonte.Il Polesine è la terra che sta finendo di dilapidare malamente l’unica ricchezza che ha avuto a disposizione, che risiedeva nel patrimonio naturale, cosa che era stata capita solo quando abitavamo sulle palafitte… Ma oggi, il “volano dello sviluppo” è rappresentato dal Delta del Po e dal suo evanescente Parco, come amano da tempo

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LUOGHI

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“Una terra di mezzo che non potrà fare a meno di rapirvi il pensiero”

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immemore affermare i nostri politici, il futuro è saldamente aggrappato al portafoglio dei milioni di turisti che prima o poi si riverseranno qui, anche se non si capisce cosa verranno ad ammirare, perché e come dovrebbero farlo.E soprattutto non si capisce chi sarà così incosciente da recarsi in villeggiatura presso un luogo dove si è in procinto di realizzare una centrale nucleare, o, nella migliore ipotesi, una centrale a carbone… come se la nostra gente non avesse già pagato abbastanza. Vituperato, stuprato, malmenato, offeso: il Polesine è solo uno dei mille buchi del culo di un’Italia con troppe bocche da sfamare, uno dei tanti posti destinati a soffocare nella merda di chi ha i soldi.Ecco perché nessuno ama ricordare che racchiuso nel tratto terminale dei due principali fiumi d’Italia c’è una piccola terra, anch’essa in fase terminale, chiamata Polesine.E allora, se passo in rassegna mentalmente uno dei mille luoghi del Polesine capaci di lacerare l’anima, mi viene in mente la Golena di Santa Maria in Punta.In primo luogo perché lì vi è un villaggio-fantasma, con ruderi fatiscenti abbandonati a causa del pericolo rappresentato dalle piene del Fiume, e questo ben si sposa con l’animo con il quale ho affrontato questa missiva; in seconda battuta, questo luogo rappresenta un ottimo contraltare allo “Scano Boa” del grande Cibotto, in quanto terra prima conquistata e poi dovuta abbandonare, mentre Scano Boa era l’ultima frontiera, quella più orientale, quella più protesa dentro il Mare Adriatico, il luogo dove forse tutto finisce; infine

è proprio qui che si fende irrimediabilmente per la prima volta l’alveo principale del Po, il luogo dove tutto ciò che probabilmente ancora resta del Polesine, ha inizio.È necessario posteggiare l’automobile nello spazio predisposto appena sotto l’argine maestro, e poi proseguire a piedi lungo lo sterrato che conduce presso le acque del Grande Fiume. Si incontreranno, da prima, i ruderi di cui parlavo. Qui è bene rimanere in silenzio e non osservare le case, poiché, nascosti dietro le finestre, stanno i fantasmi di coloro che hanno abitato il luogo, mentre i poveri oggetti rimasti sono sparsi ovunque. Qui l’aria è sempre densa e pesante d’umidità, tanto da rendersi palpabile e irreale. Ci sono alberi aggrappati con forza al sentiero sopraelevato, pur di non farsi sradicare, da fiume o uomo che sia… E qualcuno prova a coltivare i terreni circostanti, coi risultati che giudicherete da soli. Ma andate avanti e vi circonderà un ambiente che non è più naturale, e non è ancora umanizzato. Una terra di mezzo che non potrà fare a meno di rapirvi il pensiero, che andrà a perdersi inevitabilmente tra quello che ci appartiene e quello che ci apparteneva. Arriverete a farvi lambire dalle acque dove molte volte io ho fatto il bagno, come una specie di battesimo primordiale lontano da qualsiasi luogo comune. Ora voglio dire a quanti si sentiranno inevitabilmente offesi dalle mie parole, che queste scaturiscono solo da un atto d’amore per la mia terra, e io non l’abbandonerò mai, perché la mia dimensione, come la vostra, è quella del non-luogo.

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LUOGHI

Emiliano Verza

Il Po di Maistraprezioso gioiello di biodiversità

La rigogliosa volta verde del bosco mi scherma dal sole già caldo di fine aprile. Poca luce filtra tra le fronde, frazionandosi in coriandoli luminosi. Il suolo è umido e composto da uno strato imponderabile

di rami e foglie, morbidi corpi di piante che per generazioni hanno dato nutrimento alla selva che mi circonda.Attorno a me geometrie vegetali, che in tridimensione creano una giungla, quasi impenetrabile, e che ti lacera e punge ad ogni passo. Passi incerti. Chinandosi sotto volte di rami e schivando liane di rovi si avanza lentamente. Sopra di me architetture arboree che combattendo per la luce svettano come cattedrali dalla boscaglia sottostante. Un paradiso bruno-giallo-verde smeraldo, selvaggio e delicato, abitato da migliaia di creature furtive o vocianti.

Nasce nel ‘600, diventando presto la principale arteria idrica del territorio deltizio.Oggi è un’oasi felice che ospita centinaia di specie vegetali ed animali

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LUOGHI

Resto fermo, ospite di questa grande comunità animale che mi attornia, nella speranza di non essere sentito. Assisto all’intimità della vita di famigliole di piccoli volatili, che svolazzando e saltando di ramino in ramo si affrettano per riprodursi. Cinciarelle ed usignoli, cuculi e picchi, capinere e rigogoli, ognuno ad un piano diverso della volta arborea, ognuno ad inseguire le sue prede o a scappare dai predatori. Sopra il bosco, come velivoli, passano le sagome di altre creature, che ignorano me ed il mio mondo ombroso: grandi aironi, saettanti colombacci, un pellegrino trova un ramo secco per sostare. Il bosco di salici è un paesaggio sonoro mutevole. Canti territoriali, gridi, richiami tutt’intorno, piccole rane che gracidano in alto su rami. L’esplosione del canto di un Usignolo a pochi metri da me mi fa capire che sono circondato, che molte più creature di quante non ne percepissi sono intorno ad osservarmi.La sensazione è quella di trovarsi in qualche angolo di una remota giungla tropicale.È il Po di Maistra, il ramo più selvaggio ed intricato del Delta. Vaste fasce di saliceti orlano i rami del Po, che rigogliosi crescono su isole e golene. Quelli del Po di Maistra hanno qualcosa in più. Grazie al buono stato di conservazione di cui gode, questo tratto

del Fiume è una vera e propria arca di Noè, che ha conservato habitat importanti, un paesaggio peculiare e rarità faunistiche e botaniche. È uno dei fulcri della biodiversità non solo del nostro Delta, ma di tutta la costa alto-adriatica.Nasce nel ‘600, diventando presto la principale arteria idrica del territorio deltizio. Lo spostamento verso sud della massa d’acqua portata dal Po, lo fa diventare rapidamente un ramo di secondaria importanza, unitamente ai tentativi prima veneziani e poi austriaci di soffocarlo. Ben presto s’impaluda, e le sue lente acque iniziano a divagare formando ampie golene e grandi banchi di sedimento alla foce. Anche il recente sfruttamento a risaia e valle di alcuni suoi tratti è stato abbandonato, in particolare a seguito del fenomeno della subsidenza.Quest’oasi felice ospita attualmente centinaia di specie vegetali ed animali.Troviamo qui, difatti, alcuni esemplari degli ormai rari Frassino ed Ontano nero, due essenze arboree che un tempo formavano enormi boschi paludosi estesi su gran parte della superficie della Pianura Padana. A farla da padroni sono però i salici: dal comune Salice bianco al meno frequente Salix fragilis, per arrivare a tutta una serie di preziosi salici arbustivi, che vivono

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a pel d’acqua, assediati dall’esotico Falso indaco. Sono i salici caprea, triandra e cinerea, alcuni dei quali decisamente rari, piante predilette dagli aironi per la costruzione dei loro nidi. Proprio nel cuore di questo ramo del Po, difatti, si trova la più importante garzaia del Delta, ovvero una colonia ove tutte le specie di aironi ed affini si riuniscono a partire da febbraio per nidificare. Centinaia le coppie che soprattutto in aprile e maggio affollano questa grande città di volatili: dal comune Airone cenerino al rarissimo Airone bianco maggiore, che solo qui nidifica in Veneto; dall’ubiquitaria Garzetta, alla raffinata Sgarza ciuffetto, e così via… Di grande valore conservazionistico, poi, è la presenza in questa colonia di tre specie che solo da pochissimi anni si riproducono in Polesine: il Marangone minore, la stravagante Spatola, e proprio a partire da quest’anno il Mignattaio, superbo ibis dai colori iridescenti.Le file di salici ed anche di pioppi neri, in particolare i più vetusti, sono utilizzate in autunno da migliaia di uccelli acquatici come posatoi per trascorrere la notte. All’imbrunire infinite file di cormorani “atterranno” sui rami, attesi da nugoli chiassosi di candidi ardeidi. Gli specchi d’acqua delle golene sono imbruniti da folte schiere d’anatre d’ogni sorta, tra cui le rare morette tabaccate e pesciaiole. In inverno il Po di Maistra offre rifugio ad oltre diecimila volatili. Ma questi boschi e queste golene sono anche punto di sosta per molti migratori o per animali di semplice passaggio. Rapaci, quali l’Aquila di mare o l’imponente Falco pescatore, si possono scorgere di tanto in tanto sulla sommità degli alberi morti. Anche a pel d’acqua

questo luogo è sorprendente. Tra le ninfee bianche, rarissime in tutto il Delta, nuotano le natrici tassellate, serpi adattate alla vita acquatica. Lungo le sponde, negli angoli più umidi, è stata recentemente scoperta una delle più importanti popolazioni costiere di “rane rosse”, una categoria di anfibi retaggio proprio di

quelle antiche selve rivierasche del Po. Si tratta della Rana di Lataste e dalla Rana agile, dello stesso colore delle foglie secche del sottobosco.Persino per gli insetti questo ramo del Po è particolare. Lungo le sue rive troviamo la Licena delle paludi, estinta da molte zone d’Europa; nel folto dei saliceti si nascondono l’Apatura minore, iridescente gioiello alato, e la Vanessa antiopa, qui con forse la sua unica popolazione di tutto il territorio provinciale.A riconferma dell’importanza ambientale di questo sito, va ricordato

che proprio il Po il Maistra è stato l’ultimo luogo della provincia ad ospitare la rara Lontra, prima che questa si estinguesse definitivamente da tutto il nord Italia. Una specie, la Lontra, in grado di calamitare l’attenzione di molta gente, naturalisti e turisti in primis, e che un apposito progetto di reintroduzione potrebbe far tornare nel nostro Delta, assieme ad altre specie perdute, quali la Cicogna nera o il Nibbio.Per loro natura le zone umide hanno sempre attratto l’uomo, e con lui lo sfruttamento del territorio. Ambienti come questo, seppur dinamici e per loro essenza mutevoli, necessitano di attentissime misure di conservazione, atte a consentirne uno sfruttamento umano sostenibile nel tempo. Attività come la pesca, in particolare al siluro e ai ciprinidi, o la visitazione turistica, specie con barche, vanno sapientemente

LUOGHI

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“Il bosco di saliciè un paesaggio sonoro mutevole.

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governante: forme di microeconomia ecosostenibile, in grado di giustificare il mantenimento di questi luoghi, ma estremamente dannose alla fauna se non ben indirizzate per quanto riguarda tempi e luoghi. Un esempio calza a pennello: sia nel 2009 che quest’anno qualche fotografo senza scrupoli ha purtroppo realizzato dei capanni per la raccolta d immagini, senz’altro sensazionali…, ma costruendoli proprio nel cuore della colonia di aironi! Come risultato evidente, si è notata la diminuzione delle coppie presenti, e lo spostamento di una parte di queste, evidentemente spaventate da questa insolita presenza umana.Altre attività tradizionali, come la raccolta di piante ed erbe, possono essere consentite, purché non vadano ad alterare la struttura della vegetazione. Si ricordi, ad esempio, l’importanza che per il suolo e per molte specie ha il legname morto, supporto per miriadi di batteri, insetti, muschi ed altra fauna minore (base della catena alimentare), nonché fornitore di humus per la crescita di tutta la flora.Grande impatto, infine, possono avere le opere di regimentazione idraulica, atte ad eliminare potenziali problemi di tenuta strutturale del Po. Tali opere tendono a favorire lo scorrimento veloce delle acque, mediante taglio della vegetazione delle sponde, risagomatura del corso dei fiumi ed escavo dei fondali. Se da un lato tali misure si rendono necessarie per la sicurezza delle comunità e delle infrastrutture del Bassopolesine, dall’altro possono avere un effetto assolutamente dirompente sul paesaggio e sugli habitat presenti. Interi ambienti, con il loro corredo di piante ed animali, possono così scomparire dalla nostra provincia. Il Po di Maistra, proprio grazie al suo “impaludamento” ha mantenuto questa straordinaria dotazione naturale, che lo fa essere un ambiente a priorità di conservazione anche agli occhi della Comunità Europea, secondo le

direttive vigenti. Si rende pertanto necessario trovare, almeno per questo sito, un equilibrio tra esigenze di sicurezza idraulica e necessità di salvare uno degli angoli più selvaggi del nostro Delta. A servizio di tali intendimenti può venire la tecnologia, ad esempio con la disciplina dell’ingegneria naturalistica, in grado di progettare opere a bassissimo impatto ambientale.Nell’anno internazionale della Biodiversità, proclamato dalle Nazioni Unite l’11 gennaio 2010 a Berlino, la conservazione di questi straordinari boschi ripariali del Po rappresenta un punto essenziale per mantenere in vita la natura e l’essenza stessa del nostro Delta.

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PAROLE

Un vecchio libro di Gianni Celati racconta aspetti importanti del nostro territorio.E stimola stuzzicanti riflessioni.

Antonio Lodo

Gian Paolo Berto, Errante in Polesine (1999) Acrilico

Verso la foce

Ci sono due libri che bisogna leggere, sul Delta: Una tenda in riva al Po, di Luigi Salvini, del 1957, e Verso la foce di Gianni Celati, del 1989. Il primo è stato ripubblicato per iniziativa del Comune di Adria nel 2007,

dalla editrice Giunti di Firenze. Sul secondo vorrei tornare ora, dopo averne citato qualche passaggio alla fine di una mia lontana e veloce rassegna sul “Delta nella letteratura” pubbli-cata sul mensile “Veneto ieri oggi domani” nel marzo 1990. Verso la foce ha più di vent’anni dunque, ma a mio parere non ha ancora finito -come Italo Calvino diceva più o meno dei classici- di dirci tutto quello che aveva da dire. E’ un libretto di 140 pagine, una sorta di racconto d’osser-vazione costruito sui quattro diari di appunti nati da altrettanti viaggi compiuti dall’autore fra 1983 e 1986 dal cuore della pianura padana fino all’estremo

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Festa del libro e della letturaAdria, delta del fiume Po

24-25-26-27 giugno

Incontri con gli autori

Melania MazzuccoEmanuele TreviRomolo Bugaro

Antonio Debenedettied altri...

Mostra dei piccoli editoriMostra mercato del libroBancarelle degli artigiani

Laboratori creativiSpettacoli per bambini

Mostre, buskers e concerti

Rievocazione storica de “La Pensa”

Direzione artistica: Paolo di Paolo

Organizzazione: Presidio del Libro di Adria

www.adrialegge.it

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con il patrocinio di:

Federazione Italiana degli Editori Indipendenti

Città di AdriaAssessorato al Turismo

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2010

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del nostro Delta, sugli argini del Po e nei piccoli centri e nei paesi, lungo le strade e attraverso campi e distese di terra, su rive di canali e valli e lagune. Viaggi compiuti in treno, in corriera, e spesso a piedi, con qualche oggetto necessario nello zaino, cartine militari e bussola, e un libro di Delfini per compagnia. Un viaggiare che ha una natura tutta sua come l’andatu-ra e i ritmi che l’autore si è dato: sui luoghi, prima; e poi sulla pagina, nel racconto. Giustamente Claudio Magris (L’infinito viaggiare) ha osservato che “ognuno attraversa un luogo con un suo ritmo” spiegando che “il paesaggio è anche un’andatura, come uno stile della scrittura... una città -una pagina- si percorre in mille modi”. Celati si è costruito un linguaggio particolare, specifico per questo libro. L’ha spiegato anche successivamente, ma la sua scelta è chiara fin dalla lettura delle prime frasi. Niente descrizioni letterarie, né estetiche né socio-logiche; non servono, non “catturano” la realtà, la realtà così com’è. Facendo tesoro dell’esperienza condotta in quegli anni con un gruppo di fotografi capitanati dallo straordinario Luigi Ghirri, di rappresentare il paesaggio post-industria-le di fine secolo, Celati sceglie di usare il linguaggio per rendere il suo incontro con le cose che sono là, fuori di

noi, così come sono; di usare le parole per dare conto dell’adesione dello sguardo a quelle cose, senza la pre-tesa di offrire descrizioni, buone o accurate o penetranti: perché “se hai la sensazione di capire tutto, passa la voglia di osservare”, innanzi tutto; e poi perché, come insegnavano le fotografie di Ghirri e degli altri, occorre liberarsi dalle vedute e dalle rappresentazioni codificate, predeterminate. Proprio così si scopre che nei posti dove non c’è niente da vedere, in realtà c’è più da vedere, come capita nei posti apparentemente banali, o desolati. Lasciando che sia lo sguardo a lasciarsi catturare dalle cose (“noi siamo guidati da ciò che ci chiama”), le pa-role vengono trascinate al di fuori degli schemi consueti o prescritti, vengono portate dalle cose, quasi andasse-ro per conto loro, scoprendo assurda la presunzione di descrivere. Insomma, dare conto del mondo così com’è, percepirlo e accettarlo, e viverlo, lasciarsene partecipa-re, per così dire. “Non si è mai estranei a niente di ciò che accade intorno, e quando si è soli ancora meno. Il corpo è un organo per affondare nell’esterno, come

pietra, lichene, foglia”: così Celati. Viene in mente un’as-sonanza con la chiusa delle Lezioni americane di Cal-vino: “magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self, che ci permettesse d’uscire dalla prospettiva limitata d’un io individuale… per far parlare ciò che non ha parole, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera…la pietra, il cemento, la plastica”. Non a caso Alfredo Giuliani aveva definito Verso la foce come “un libro d’amore”… Negli stessi anni, come singolari ma illuminanti coinci-denze, Guido Ceronetti (Un viaggio in Italia, 1983) riser-va pagine nere, di tono quasi apocalittico al Po, “sventu-rata fogna abitata”, dedicando al nostro Delta riflessioni implacabili sul disorientamento delle coscienze, quello che in fondo ancor oggi condanna a scelte laceranti, stravolgenti, provocato dalla schizofrenia fra la “consa-crazione iconica del Delta come santuario naturale” e l’inesorabilità della installazione micidiale della centrale dell’Enel. Tutto il libro di Celati è denso di pensieri, osser-vazioni, riflessioni sullo spazio, sui luoghi, sugli incontri con persone, sul tempo. Valga per tutti questo passaggio: “le case… aprono lo spazio… e formano davvero un luogo. Niente d’astratto e di progettato, laggiù si vede che il tempo è diventato forma dello spazio, un aspetto

è cresciuto a poco a poco sull’altro, come le rughe della nostra pelle”. Ma sono le pagine finali, dedicate al nostro Delta, quel-le in cui vengono a confluire tanti pensieri, e significati, a sedimentare grandi temi e riflessioni, sul mondo, sulla morte stessa. Sembra che la tendenza di tutto, qui, sia di “aprirsi andando alla deriva verso il mare, raggiungere una foce dove tutte le apparizioni si eclissano ridiventan-do detriti”. Qui si coglie il senso vero dell’”osservazio-ne”, a cui si è disposti quando c’è “la voglia di mostrare ad altri quello che si vede”, perché “c’è sempre il vuoto centrale dell’anima da arginare, per quello si seguono immagini viste o sognate, per raccontarle ad altri e respi-rare un po’ meglio”. E’ così che nella distesa senza limiti dove tutto si mescola, compare “il buco dove tutto scompare”: è qui dove sono, scrive Celati, “ingorgato dal sentimento di tutti quelli che se ne sono andati prima di me”. Questo viaggio, nel suo limite estremo, rivela il suo si-gnificato: le parole non possono gettare ponti, possono

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Celati sceglie di usare il linguaggio per rendereil suo incontro con le cose che sono là, fuori di noi, così come sono;

di usare le parole per dare conto dell’adesione dello sguardo a quelle cose.

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essere richiami, “chiamano qualcosa perché resti con noi”. Chiamino le cose, che “vengano a noi coi loro racconti”, invece di estraniarsi da noi e disperdersi nel cosmo “la-sciandoci incapaci di riconoscere una traccia per orientar-ci”. La sorte che il Delta ci suggerisce è nettamente, lucida-mente, serenamente evocata da un’attesa senza epifanie: “Noi aspettiamo ma niente ci aspetta, né un’astronave né un destino”. Ci si mostra, e ci tocca, il mondo delle cose come sono; con uno spunto da Dino Campana, Celati sul

limite estremo del Delta, “finis terrae” affacciato e confuso nel mare disteso “là davanti”, osserva: “Ogni fenomeno è in sé sereno. Chiama le cose perché restino con te fino all’ultimo”. L’ho sempre considerato non solo un messaggio essenzia-le per ciascuno, come persone, ma anche un necessario, vitale requisito per l’intelligenza politica dei problemi, e ovviamente di quelli del territorio in cui ci è capitato, a noi Polesani orientali, di vivere. Chissà.

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Cristiana Cobianco

Viaggiare tra pagine ed emozioni

intervista a Paolo di Paolo

A fine giugno Adria ospiterà “Alé! Adria legge”, una festa della lettura che sarà l’occasione per incontrare figure importanti del panorama culturale italiano. Il direttore artistico della festa è Paolo di Paolo,

autore romano che ha al suo attivo non solo diverse collaborazioni con importanti editori italiani, ma anche una serie di libri che hanno ottenuto un vasto successo di pubblico e di critica. A Paolo di Paolo abbiamo rivolto alcune domande sul suo rapporto con i libri e con la letteratura, oltre che alcune notizie su “Alé! Adria legge”.

Paolo, raccontaci la tua passione per i libri e quale significato ha per te la lettura.

La passione per i libri si è accesa presto, ma non saprei dire come e perché. Forse tutto è cominciato dai fumetti, o forse dalle affascinanti illustrazioni di una serie di classici del teatro. Potrei dire che non so vivere senza libri, ma sarebbe prevedibile. Dirò piuttosto che li considero vita aggiunta alla

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PAROLE

vita, ed è tutto. Posso aggiungere che sono sicuro di non stancarmi dei libri finché sarò vivo. Non mi stan-cherò di farmi spiegare le cose che un po’ già so, ma mai fino in fondo. Non mi stancherò di pensare che sarebbe stato meglio non sapere, pur volendo sapere. La saggezza serena a cui aspiriamo, esiste davvero? Forse è solo dei libri, quando il tempo ce li allontana, perché oltre agli anni hanno attraversato le epoche. C’è il calore dell’esperienza e la ragione disincantata che la raffredda; c’è il segno del tempo minimo di una singola esistenza e di quello vasto e cieco della storia.

Non è una novità che rispetto al resto dell’Europa il numero dei lettori in Italia è molto basso. Tu ti stai occu-pando negli ultimi anni di eventi di promozione della lettura: quali sono, secondo te, i punti di forza e di debolezza dei festival letterari?

Che centinaia o migliaia di persone si trovino in una piazza o in un teatro ad ascoltare uno scrittore, è già di per sé un fatto positivo. Qualcuno fa dei distinguo, ma servono davvero? C’è chi teme che molti dei pre-senti a un festival non siano in realtà veri lettori. C’è chi teme che quella dei festival diventi una moda tutta lega-ta all’idea di “evento”. Può darsi che sia vero. Ma ho l’impressione che tutto vada misurato sul singolo incon-tro, sull’empatia che si crea tra chi parla e chi ascolta, sui temi, direi insomma sulla “temperatura emotiva”. Se il partecipante al festival torna a casa con qualcosa in più (anche senza aver comprato niente), non è tempo sprecato.

Nei tuoi libri “i luoghi” hanno una grande rilevanza: può la letteratura promuovere, anche turisticamente, un luogo, così come a volte fa il cinema?

Molti luoghi, forse tutti, possono essere carichi di lette-ratura, non foss’altro perché ospitano gente che scrive (famosa o no che sia). Oppure perché hanno ispirato e “ospitato” vicende romanzesche. Pensate al famoso balcone di Verona o al colle di Recanati o che so, a «quel ramo del lago di Como». Si tratta perlopiù di segni, di tracce invisibili. Vanno portate alla luce, cu-stodite. Ma la domanda forse riguarda esempi come quelli di Torino e Mantova, dove grandi kermesse lette-rarie calamitano visitatori da tutta Italia. Sono esempi virtuosi cui “Adria Legge” vuole ispirarsi, con passione ed entusiasmo.

Adria ti ha ospitato l’estate scorsa durante uno degli appuntamenti di Centominuti. A seguito di quella for-tunata esperienza, il Presidio del Libro di Adria ti ha voluto come direttore artistico della prima edizione di

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REM

SCHEDA

Paolo Di Paolo è nato a Roma nel 1983.

Ha pubblicato opere di narrativa, libri-intervista e saggi critici.

Ha raccolto in Ogni viaggio è un romanzo (2007, Laterza) 19 conversazioni su letteratura e viaggio con gli scrittori italiani.

Ha curato un’antologia degli scritti di Indro Mon-tanelli, La mia eredità sono io (2008, Rizzoli). Ha lavorato anche per il teatro (Il respiro leggero dell’Abruzzo, con Franca Valeri, 2001) e per la te-levisione (Gargantua, Raitre).

Collabora con le pagine culturali dell’Unità, del Ri-formista e con Nuovi Argomenti.

Con Perrone è uscito nel 2008 il romanzo “Raccon-tami la notte in cui sono nato”.

“Alé! Adria legge”. Che impressione ti hanno fatto i nostri luoghi?

Come per ogni luogo sconosciuto, il primo contatto è fatto di curiosità e sorpresa. Sono rimasto colpito dall’avventura di uno sguardo “orizzontale” (il filo dell’orizzonte è sempre in vista), dalle storie lontane che il fiume trascina, dall’eleganza della cittadina, dalla sua geometria fatta anche di piccoli spazi acco-glienti e ideali per leggere ad alta voce (come faremo nel corso di “Alè!”). C’è l’intenzione di costruire una mappa emotiva di Adria e dintorni, fatta delle testimo-nianze scritte e non solo di chi ha vissuto e amato que-sti luoghi.

Quale sarà il filo rosso che legherà gli autori ospiti di “Alè! Adria legge” e quale messaggio vorresti che l’evento riuscisse a trasmettere?

I fili saranno molti. Centrale sarà l’aspetto della con-versazione con gli scrittori (alternativa alla classica e un po’ logora “presentazione di libro”). Una parola attorno a cui ruoterà un’intera sezione è “Esperienza”: perché i libri offrono esperienze e sono fatti di espe-rienza. Un’altra sezione di incontri è “Dal Delta”, e in questo caso naturalmente sarà protagonista il territorio.

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SUONI

Milena Dolcetto

La sorprendente via della musica

Occhi dolci e miti, sguardo sincero. Questa è Silvia Frigato, giovane cantante di gran-de talento che sta attirando le attenzioni del

mondo culturale per le sue notevoli doti. Inizia con lo studio del pianoforte e si diploma in canto al Conser-vatorio di Adria. Approfondisce successivamente lo studio del repertorio sei-settecentesco con Roberto Bal-coni, Roberta Invernizzi e Sara Mingardo e ora si sta perfezionando con il celebre soprano Raina Kabai-

intervista a Silvia Frigato

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vanska. Nel 2007 vince il IV Concorso Internazionale di Canto Barocco “Francesco Provenzale” indetto dal Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini di Napoli. Per l’etichetta Tactus ha recentemente inciso il CD Ma-drigali per Laura Peperara. E ora Silvia svolge intensa attività concertistica in Ita-lia e all’estero (Svizzera, Austria, Germania, Polonia, Lituania, Belgio, Olanda, Francia, Spagna, Portogal-lo, Brasile, Stati Uniti) collaborando con importanti musicisti (Philippe Herreweghe, Ottavio Dantone, Lo-renzo Ghielmi, Claudio Cavina, Gianluca Capuano, Michael Radulescu) e con prestigiosi gruppi dediti all’esecuzione di musica antica (Collegium Vocale Gent, Accademia Bizantina, La Divina Armonia, La Venexiana, Il Canto di Orfeo). La raggiungiamo tra un impegno e l’altro.

Silvia i tuoi studi iniziano presto: raccontaci l’inizio con il pianoforte.

Ho cominciato a studiare musica a 8 anni, quando decisi di prendere lezioni private di pianoforte da Antonella Pavan, allora direttrice del coro Biribò nel quale cantavo. Successivamente decisi di iscrivermi al conservatorio per continuare a studiare pianoforte anche se già avevo capito che la mia vera vocazione era il canto, al quale mi dedicai completamente a 16 anni. Tuttavia gli anni passati alla tastiera mi hanno consentito di fondare la mia attività di cantante su salde basi musicali; basi rivelatesi fondamentali per l’acquisizione di abilità preziose: rapidità nella lettu-ra del testo musicale e autonomia nello studio. Quando hai deciso che era il canto la forma espressi-va che meglio ti rappresentava?

Mah, in verità ho sempre cantato, fin da piccolissima. Le suore mi facevano cantare all’asilo, spesso par-tecipavo a concorsi canori per bambini; cantare mi divertiva e mi riusciva naturale. Poi, grazie anche alla

“Una grande voceche sta attirando

le attenzionidel mondo culturale...

AdriaC.so V. Emanuele, 100Tel. 0426.22233

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SUONI

sensibilità dei miei genitori, compresi che una seria formazione musicale sarebbe stata indispensabile per far fruttare le mie potenzialità. Stai affrontando un repertorio di fascino particolare. Lo studio del repertorio sei - settecentesco apre la men-te a nuovi orizzonti e la prassi esecutiva si arricchisce.

Quello nella musica antica è un percorso davvero affa-scinante, contraddistinto da una straordinaria ricchez-za di stili e linguaggi, da pressoché infinite possibilità espressive. E la varietà, la necessità della ricerca, dell’approfondimento, il gusto dello sperimentare ali-mentano la mia curiosità e mi fanno amare profonda-mente questa musica bellissima e sempre nuova. Il mondo dell’Arte offre grandi soddisfazioni ma per ar-rivarci ci vogliono tanti sacrifici. Enrico Dindo, violon-cellista straordinario, ha detto ai ragazzi nell’incontro al Sociale di qualche mese fa “ricordatevi che i succes-si guadagnati con la fatica e con l’impegno sono quelli che libereranno in ognuno di noi forti emozioni”. Cosa ne pensi e che messaggio ti senti di dare ai giovani colleghi?

Sì, credo che in generale non possa darsi vera sod-disfazione senza sacrificio. Certo è che sacrifici e fatiche, per quanto intensi, vengono largamente com-pensati dal godimento e dall’accrescimento spirituali che l’Arte procura. I tuoi impegni futuri?

Stabat Mater di Pergolesi con Sara Mingardo e l’Ac-cademia degli Astrusi il 21 maggio a Bologna; Stabat Mater di Brunetti diretto da Alessandro Ciccolini a Pe-saro il 3 giugno; il 19 giugno Cantata BWV 1083 di Bach con Kuijken al teatro Olimpico di Vicenza; poi sarò Eurillo nell’Artemisia di Cavalli con La Venexiana diretta da Claudio Cavina ad Hannover e a Montpel-lier; a fine agosto canterò a Bressanone con Sara Min-gardo e sempre con lei registrerò un disco con musiche di Benedetto Marcello. Sogno nel cassetto?

Più che un sogno coltivo una speranza: poter prosegui-re con entusiasmo, vigore e dedizione sulla meraviglio-sa e sorprendente via della musica!

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PALCOSCENICO

E’ in partenza la nuova stagione della rassegna che vivacizzerà l’estate polesana.Anche quest’anno si esibiranno grandi nomi della musica e dello spettacolo.

Milena Dolcetto

Il ritorno di “Tra Ville e Giardini”

Ci sono luoghi che hanno il pro-fumo dell’arte, della storia e della magia.Siti importanti e

molto conosciuti, altri meno noti e forse defilati, posti dove le sere po-lesane si sono in questi ultimi anni animate di emozioni forti. Il pubblico segue e ama per questo “Tra Ville e Giardini” – itinerario di danza e musica nelle ville e corti del Polesine – che, fresco dei suoi primi 10 anni di vita, propone per l’estate il nuovo calendario.

Organizzata dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Rovigo, cu-rata da Ente Rovigo Festival, sostenu-ta dalla Regione del Veneto e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, questa rassegna è annoverata tra le più interessanti proposte culturali italiane, per l’ide-azione primigenia della compenetra-zione tra “teatro ospitante” e artista, per la contaminazione tra i generi, per l’apertura verso orizzonti artisti-ci lungimiranti e per l’ottima qualità

delle partecipazioni.

A Claudio Ronda, direttore artistico di “Tra Ville e Giardini”, chiediamo alcune notizie sull’evento. “Avere più di 15.000 persone che seguono la rassegna ogni estate, significa che abbiamo creato un tessuto di relazio-ni importante e di grande significato. La nostra idea di offrire al pubblico la possibilità di diventare itinerante e di poter ogni sera scegliere uno spet-tacolo diverso, di uscire e ascoltare

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REM

nel-la cornice

di un’antica dimora, una piazza o una chiesa, attori, musicisti o cantanti di grande prestigio, si è rivelata la scelta giusta per un con-nubio artistico che non rimane fine a sé stesso ma che serve anche a crescere, a vivere e scoprire il nostro territorio”.

Tutto amplificato dalle scelte degli artisti ospitati.

Certo, abbiamo cercato per i nostri cartelloni ospiti di rilievo per garan-tire una qualità che è anche questa espressione di un valore estetico che questa terra ci insegna. Musi-ca classica, teatro, danza, speri-mentazione, i grandi monologhi, la proposta in anteprima di future star della musica leggera e pop, l’ospitalità di alcuni straordinari nomi del jazz: Tra Ville e Giar-dini si è accreditata per il suo

stile di proporre Arte, per la sua capacità di intuire le nuove ten-denze ma raccogliendone sem-pre le stratificazioni passate.

Questa rassegna è un lavoro di squadra.

E’ una immensa soddisfazio-ne. Lo staff dell’assessorato alla cultura della Provincia di Rovigo, persone com-petenti e di grande intelli-genza, è di sicuro uno dei punti di forza di questa macchina organizzativa che ci fa lavorare per 5, 6 mesi all’anno tra con-certazioni, programma-zione effettiva e attua-zione della rassegna. Poi i diciotto Comuni con tutti i collabora-tori che abbiamo im-parato a conoscere negli anni e con i

quali ormai si sono conso-lidati dei rapporti che trascendono la sola professionalità. La presenza

puntuale degli sponsor che vivono in pri-

ma persona le scelte e le “scalette” estive, sempre partecipi con grande sensibilità e dobbiamo dire consen-so. E l’Ente Rovigo Festival con i miei collaboratori che certamente di que-

sto itinerario sono gli indispensabili e infaticabili “tecnici”.

Gli artisti ospiti amano “Tra Ville e Giardini”.

E’ un altro piacevole risultato. Ab-biamo avuto negli anni passati stra-ordinari interpreti internazionali di musica classica, di genere folclorico, di jazz, di teatro e tutti hanno profon-damente apprezzato la nostra “idea” di rassegna; alcuni di loro, soprattut-to gli emergenti, si stupivano della bellezza di poter esibirsi all’interno

di una villa palladiana, ad esempio.

Eugenio Finardi

Renato Borghetti

Gian Antonio Stella

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PALCOSCENICO

Certo cantare con alle spalle Villa Badoer è emozione grandissima an-che per chi si esibisce, recitare sotto le fronde secolari nel fascino remoto di Villa Nani Mocenigo non può che amplificare segni e significati. Tutto viene sostenuto all’ennesima poten-za e il pubblico percepisce la gioia degli artisti, la serenità con la quale si mettono in relazione con lui.

Il prossimo e attesissimo cartello-ne...

L’undicesima edizione di “Tra Ville e Giardini” è in que-sto momento ancora in fase di perfezionamento, manca-no solo alcune conferme ma il cartellone è praticamente de-finito. Anche quest’anno con i suoi rinnovati 18 appuntamen-ti, si è cercato di proporre un positivo connubio tra tradizione e attualità, con ospiti di livello

internazionale e con prime assolute di cui andiamo indubbiamente fieri. Partiremo il 17 giugno nello scena-rio di Villa Morosini a Polesella con un cantautore italiano dalla voce e dallo stile particolare e personale, Eugenio Finardi. Gli appuntamenti si susseguiranno poi con il formidabile quartetto jazz degli Yellowjackets, non mancheranno gli appuntamenti con la musica

classica e world, con l’ironia del teatro musicale degli Oblivion, col teatro d’autore che quest’anno vedrà la presenza di Gian Antonio Stella e Gualtiero Bertelli, per continuare col virtuosismo del fisarmonicista bra-siliano Renato Borghetti e per finire con la danza folk dei travolgenti arti-sti del Balletto Nazionale della Geor-

gia, sino all’atteso appun tamen to finale in Villa Ba-doer il 17 agosto con un’emergen-te della musica pop italiana, Nina Zilli.

Nina Zilli

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Elena Stoppa

Gianni Cagnoni:artista eclettico

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Gianni Cagnoni vive e lavora fra Rovigo e New York. Comincia giovanissimo

a dipingere e fino agli anni ’80 realizza numerosi lavori a tema figurativo. Dopo una pausa dovuta ai crescenti impegni professionali e universitari, riprende a dipingere libero da pregiudizi e da influenze accademiche realizzando diverse serie di opere sul paesaggio, denominate Africa, Isole, Rifiuti e Mutazioni, che mettono volutamente in crisi i parametri estetici ordinari, propongono pseudo paesaggi che ondeggiano tra sogni astrali e ghiacciai preistorici, tra suggestioni lunari e nostalgie africane. A queste opere pittoriche dedicate al paesaggio, alterna lavori che indagano il corpo umano. Si tratta della serie Sopra la nuda terra: le immagini proposte appaiono in una staticità forse solo apparente. I corpi “mummificati”, stesi in uno strato più culturale che geologico si collocano in una dimensione particolare, quasi una sospensione, che esalta il rapporto osmotico corpo - terra recuperando una reale condizione umana al di fuori delle convenzioni e delle convinzioni. La corporeità di queste figure resta però solo evocata: ciò che è realmente protagonista è la presente lacerazione di questi corpi; ferite fisiche che rimandano a quelle più intime della memoria.Dopo questa serie di opere dedicate all’uomo, Gianni Cagnoni realizza la serie di opere denominate Confini, opere che, insieme ad alcune del ciclo Sopra la nuda terra, sono state esposte in una personale presso la pinacoteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo nell’ottobre del 2008. Si tratta di lavori che hanno come centro tematico ancora il paesaggio: ma più che di paesaggio, si tratta di luogo, o, più precisamente, di luoghi. È un confronto fra se stesso e l’altro da sé: in questi dipinti c’è la rappresentazione del costante rapporto dialettico tra l’io ed il

diverso, al quale spesso si rifugge per incapacità di esporsi ponendo dei paletti, degli steccati, siano essi mentali che reali. Un’altra serie di opere che hanno come soggetto un muro sono quelle appartenenti al ciclo Oltre il muro, ma questa volta non è un muro che si è creato per difesa, ma un muro oltre il quale c’è la prospettiva di un cambiamento, che bisogna scavalcare per realizzarsi. Nel 2009, Gianni Cagnoni espone le sue opere presso la Sala Cordella del Comune di Adria e le sale di Palazzo Bellini di Comacchio (Ferrara). È in queste due mostre che espone una nuova serie dedicata ai volti: si tratta di Soli. «I soli sono volti con grandi occhi lucidi che guardano un altrove eterno, a volte, ciechi, guardano dentro sé stessi l’essenza dell’essere, come una pianta, immobili, come rocce. Sono uomini disseccati, smagriti dal dolore antico del cuore del mondo. - scrive Laura Ruffoni in una sua critica. - I loro visi sono incrostati dalla polvere africana, dalle terre colorate e dai rivoli disseccati delle lacrime. Sono antichi, sono terreni e sono persi nel mondo urbano, nella modernità che allontana dalle radici e trasforma in esuli». I centri tematici attorno a cui ruotano le opere pittoriche di Cagnoni sono principalmente due: il corpo ed il paesaggio. La sua ricerca pittorica è intima e viscerale, legata ad una sottile implicazione della pittura informale. La capacità espressiva dei suoi lavori è resa dall’intensità del gesto pittorico, dalla matericità del segno e dall’uso di colori intensi e stesi con forza. Ma il lavoro artistico di Gianni Cagnoni non è esclusivamente pittorico: di recente si avvicina, infatti, alla fotografia. A New York e Londra, nelle tre estati dal 2006 al 2008, realizza una serie di scatti fotografici che ritraggono “la bellezza nascosta degli oggetti di scarso valore e di uso comune” colta

AfricaGianni Cagnoni, acrilico su tela, 100x100 cm, 2006

SoliGianni Cagnoni, mista su tela, 100x100 cm, 2009

ConfiniGianni Cagnoni, mista su tela, 80x80 cm, 2008

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Sopra la nuda terraGianni Cagnoni, misto su tela, 150x50 cm, 2007

Profumi e BalocchiGianni Cagnoni, 2009

Small DetailsGianni Cagnoni, Times Square, Manhattan, N.Y.C., 2007

nel dettaglio della loro vulnerabilità. Sono le screpolature, i graffi, le lacerazioni, la sporcizia di bidoni e sacchi delle immondizie, le colonne della metropolitana, piatti sporchi, vetri, muri e porte, che diventano colori e forme astratte ridando dignità all’oggetto abbandonato. È la bellezza nascosta delle nostre città che viene esaltata. Le fotografie sono stampate su plexiglass e, con una tecnica messa a punto dallo stesso artista, su pellicola trasparente domopak, su sacchi di juta e su cartone di recupero. Oltre a ciò, Gianni Cagnoni è attivo anche nella realizza-zione di performances ed installazioni, che hanno il fine di stupire e far riflettere su temi che riguardano il sociale, come, ad esempio, Nessuna risposta. Avanti il prossimo.,

installazione dedicata alle stragi di giovani del sabato sera, o Profumi e Balocchi, dedicata al tema dell’eccessi-va frenesia consumistica che colpisce ognuno di noi, spe-cialmente durante le festività. Il luogo prescelto dall’artista per la realizzazione di queste installazioni è il giardino antistante il suo studio in Via Celio, a Rovigo, a due passi dalla galleria Il Melone Arte Contemporanea. La reazione dei passanti è sempre di meraviglia. Ed è proprio questo ciò che anima l’artista rodigino: Cagnoni vuole colpire, sperando di suscitare la reazione di ognuno di noi, ma-gari anche di quelli più ostici o di chi vive nel limbo del quieto vivere o dell’apatia celebrale.

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La galleria d’arte contemporanea che fa cultura

Il Melone

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La galleria Il Melone Arte Contemporanea è uno spazio espositivo ideato da Gianni Cagnoni e Donatella De Marchi. Situata nel centro storico della

città di Rovigo, all’incrocio fra via Oberdan e via Celio, è stata inaugurata il 27 maggio 2006 e, negli anni, si è ingrandita: attualmente si sviluppa in sei locali, due dei quali indipendenti con una superficie complessiva di circa quattrocento metri quadrati. È uno spazio dotato di ampie vetrine luminose ed alte pareti che permettono di realizzare qualsiasi tipo di allestimento, offrendo agli artisti le più diverse possibilità espositive ed espressive. Oltre a questi spazi, la galleria Il Melone allestisce mostre presso Tempi Moderni (Area M. Tosi) e lo storico Hotel Plaza di Padova (C.so Milano, 40).L’idea di aprire una galleria d’arte contemporanea in Polesine, ed in particolare a Rovigo, è nata principalmente da due esigenze dei curatori: la prima dettata dalla voglia di aprire uno spazio dove, quando uno vi entra, si senta a suo agio e possa godere dell’energia che viene liberata dalle opere stesse, dai colori, dai segni e dalle forme. Un posto dove si possa discutere e condividere liberamente le proprie idee sul mondo dell’arte con chi lo accoglie. Il punto di forza della galleria è, infatti, la cultura e la conoscenza artistica dei curatori, sempre disposti ad un dialogo ed ad uno scambio di visioni sull’aspetto artistico, e non solo, della società contemporanea. L’altra esigenza nasce dal rendersi conto che nel territorio vi era la mancanza di uno spazio simile, in particolar modo dedicato ai giovani artisti emergenti. I luoghi che accolgono arte sono infatti molto costosi e a volte i giovani non riescono a farsi conoscere ed ad avere la possibilità di esporre i propri lavori. La galleria si propone, infatti, di diffondere principalmente le opere di giovani artisti, non ancora noti nel panorama internazionale, ma professionalmente impegnati e con esperienze espositive interessanti, curando con dovizia di particolari l’allestimento delle opere stesse, sia che si tratti di dipinti, fotografie, sculture, video arte ed altro.Gli artisti che espongono, od hanno esposto presso Il Melone, sono scelti accuratamente dai curatori. Non importa quale linguaggio artistico usino: le opere devono essere comunicative ed in grado di emozionare anche lo spettatore più freddo che si avvicina con pregiudizio al mondo dell’arte contemporanea. In mostra permanente in galleria si possono trovare i dipinti degli artisti polesani Nicola Cavallaro e Mario Lazzarini, del padovano Simone Del Pizzol, della marchigiana Viviana Pascucci, del romano Alessandro Vignali e del romagnolo Luca Zarattini. Non sono esposte opere pittoriche solamente di artisti italiani, ma anche di altri internazionali: è il caso dello spagnolo d’adozione Stephan Guillais, dell’olandese Dienke Groenhout, del messicano Mauricio Morillas, della sud-coreana Naomi Park e del newyorchese Ernest

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Rosenberg. Come già accennato, in galleria trovano il loro spazio anche sculture, siano esse realizzate in ferro o bronzo, come quelle degli scultori Mario Converio, Angelo Maineri e Douglas Holtquist (newyorchese), in terracotta, dell’artista Luciano Siviero, ed in legno, scolpite da Antonio Villa. Oltre a questa “scuderia”, la galleria Il Melone organizza mostre anche di artisti “itineranti”, che vengono scelti sempre con la massima attenzione, per proporre ai suoi visitatori opere sempre innovative, dalla forte carica espressiva, che riescono a dare un’ampia rappresentazione del panorama artistico nazionale ed internazionale che ci circonda. Non è un’impresa facile questa, anche perché mai come ai giorni nostri c’è un melting pot di correnti artistiche, linguaggi sempre diversi con cui gli artisti vogliono interpretare il mondo in cui viviamo. Il Melone, Arte Contemporanea

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IMMAGINI

Pierre Andrieux

“Hi, I’m Pablo Chiereghin,I come from Adria”

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Questa barzelletta mi è stata raccontata da Pablo Chiereghin, un tipo dal sorriso facile. Per parlare del suo lavoro credo che sia necessario parlare di lui, una persona molto attenta ai piccoli dettagli della vita, che ama essere con gli altri, passare il tempo a raccontare storie, una persona ricettiva a quello che fai e a quello che sei.

Potremmo dire senza problemi che Pablo è un intrattenitore, ma peccheremmo di

trascuratezza a voler ridurre la sua relazione con l’esistenza solo a questo. Attraverso gesti, piccoli racconti, azioni performative trasmesse attraverso il mezzo fotografico Pablo crea una poesia tenue, leggera e sensibile. Nella sua serie fotografica “Picture of a Lie” foto di una bugia, l’artista lavora sulla distanza necessaria a catturare esperienze emozionali, guidando il modello attraverso una procedura

psicoanalitica spicciola, senza mai superare il limite del voyeurismo. Io credo si possa chiamare questo rispetto.

All’inverso nella sua serie “Birthday Suit” la questione del voyeurismo entra nelle mani del modello in quanto è Pablo stesso nelle vesti del fotografo ad essere messo a nudo, letteralmente. Il modello specchia la sua reazione nella nudità del fotografo decidendo solo dove posare lo sguardo. Mettere in vendita il titolo della sua mostra, esporre il proprio legale testamento come atto ultimo di autoaffermazione , questi sono altri progetti creati per la sua ultima mostra viennese “Hi I’m Pablo Chiereghin I come from Adria”.

Noi sappiamo che Pablo arriva da Adria, lo racconta ogni volta che qualcuno gli chiede da dove venga. (“All the time that I told the story of my place”) è successo lo

stesso a me la prima volta che l’ho visto. Durante la stessa serata gli ho chiesto che cosa pensasse di Berlusconi e dopo avermi raccontato questa barzelletta mi ha mostrato il suo lavoro concepito dopo le ultime elezioni politiche “Il Tema è la Politica. Metamorfosi sensibili dopo il 14 Aprile 2008” una proiezione emozionale della politica negli spazi intimi della vita quotidiana. Un’altra volta, subito dopo una festa ben annaffiata nel mio appartamento gli ho chiesto se, da buon italiano poteva cucinare dei fusilli al pesto, ed è li che mi ha raccontato della sua performance installazione in cui ha generato una rituale digestione collettiva nel pubblico servendo un minestrone di fagioli, vino e pane azzimo. “Prendete e mangiatene tutti” ed è quello che abbiamo fatto.

Ah, dimenticavo, Pablo Chiereghin è il giovane boy scout.

Barack Obama, Il Papa, Silvio Berlusconi e un giovane boy scout sono su un aereo che sta precipitando. Tutti cercano i paracadute ma ne trovano solo tre. Obama ne prende uno e dice: “Io sono l’uomo più potente della terra, il primo presidente nero e il futuro del mondo dipende da me” e si lancia. Subito dopo Berlusconi afferra un paracadute e dice “io sono l’uomo più intelligente d’Italia, quello più affascinante e quello più ricco” e si lancia. Allora il Papa dice al giovane boy scout “io sono vecchio ormai e voglio che tu prenda l’ultimo paracadute, la mia pietà cristiana me lo impone”. Il giovane boy scout dice “non si preoccupi l’uomo più intelligente d’Italia ha preso il mio zaino”.

Exhibition title (2010, testo su carta, 29.7 x 21 cm)

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IMMAGINI

All the times that I told the story of my name, (2010, testo su carta, riproduzione fotografica, 160x340cm)

All the times that I told the story of my place, (2010 testo su carta, riproduzione di cartolina, 160x340 cm)

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Picture of a Lie, (2008 lambda print su alluminio) 50 x 60 cm

dalla serie, Birthday Suit (2008 lambda print su alluminio, 50 x 60 cm)

Birthday suit e’ un azione fotografica che esplora i confini dell’agire sociale. I partecipanti, sono stati pagati per essere fotografati dall’artista nudo da una vetrina di una galleria di Londra. In questo ribaltamento del rapporto con il modello e della relazione voyeristica che con lui stabilisce, l’artista agisce sulla fotografia stessa, provocando una reazione e un riflesso di sè nell’immagine che ritrae.

Info Biografiche

Pablo Chiereghin lavora come creativo a Bologna Madrid e Trieste, studia fotografia al Central Saint Martins a Londra, dal 2008 vive e lavora a Vienna.

Pierre Andrieux, artista francese, lavora con performance e installazioni, vive e lavora tra Bordeaux e Los Angeles.

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IMMAGINI

Instruction(2009, mixed media, 160x40x40cm)

La Mostra “Hi, I’m Pablo Chiereghin, I come from Adria” questo atto linguistico è titolo e impostazione teorica della mostra personale di Pablo Chiereghin a Vienna. L’artista apre i suoi cassetti e presenta volontariamente le sue esperienze di vita. Un tentativo di negoziare confidenza e intimità, proiettando sullo spettatore una condivisione usuale nel discorso faccia a faccia. Questa dialettica, solitamente estranea allo spazio espositivo, rivela elementi autobiografici, speciali solo nel loro essere normali, presentando prospettive e rievocando ricordi che possono essere trovati nella vita di tutti. Lo spazio diventa così, nel corso della mostra, partecipazione, una proiezione di sé più che un autoritratto. I lavori vengono connessi processualmente a titoli che guidano il pubblico attraverso associazioni e meccanismi aprendo finestre sul mondo dell’autore svelandone esperienze e sensibilità. Questa interferita intimità viene amplificata da oggetti raccolti, azioni del quotidiano, piccoli dettagli che sotto la loro superficie rivelano le esperienze comuni e ideali dell’artista.

La mostra “Hi, I’m Pablo Chiereghin, I come from Adria” si e’ tenuta dal 2 febbraio al 13 marzo alla galleria Das Weisse Haus a Vienna. Maggiori dettagli su www.pablochiereghin.com

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PERSONAGGI

Poeta del Polesine e non soloAnna De Pascalis

Gigi Fossati

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C.so del Popolo,173Rovigo 0425-460376

LOUNGE BAR

“All’Accademia dei Concordi, magno ar-chivio comunale di scienza e di arte, un giovine cronista locale [...] scoprirà

un giorno – forse fra cent’anni – i tomi di Gigi Fossa-ti. Vorrà, quel cronista, tirar giù un pezzo alla brava – una colonnina di corsivo – che parli d’una vecchia figura caratteristica, poeta e buontempone, buongusta-io e umorista. Cercherà, scartabellerà; e troverà questa mia prefazione, questa mia biografia che lo illuminerà, e lo esalterà.” Così scriveva, nel 1931, Gastone Martini, nella prefazione al volume secondo de Il tempo perso, immaginando, senza difficoltà, quello che sarebbe ac-caduto a chi, negli anni a venire, si fosse avvicinato alla produzione di Luigi Fossati, forse per caso, magari pro-prio per dover scrivere qualcosa su di lui. Luigi “Gigi” Fossati è un autore di Rovigo e del Polesi-ne, uno di quegli autori da rivalutare, che ha vissuto la poesia più che scrivere la grande poesia, un reporter romantico di un tempo perduto, di una cittadina che non esiste più ma che i suoi scritti sanno fare amare.Non era polesano di nascita ma le vicende della prima guerra mondiale lo avevano condotto a Rovigo e qui aveva piantato nuove radici, così salde da divenirne uno storico, un archivio vivente dei segreti delle vie, cose e persone. Classe 1900, adottò come sua questa città sin

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dai tempi in cui l’oggi centrale Viale della Pace era il li-mite che la separava dalla campagna, dove San Bortolo sembrava in capo al mondo, dove attraversare l’Adigetto era come andare in un altro pianeta. La sentiva talmen-te sua che per anni sparse, nelle occasioni d’obbligo, come Natale e Pasqua, un seme di auguri in rima che estendeva a tutti gli amici, soprattutto quelli lontani, quasi un abbraccio per riunire insieme quelli che “Rovigheto” avevano dovuto lasciarla, un richiamo per ricordare loro che “Rovigheto” c’era, c’era ancora. Animatore di una compagnia che visse una stagione culturale irripetibile, il Sofista (così si firmava, con l’ana-gramma del cognome) fu uno degli ultimi testimoni della cosiddetta “scapigliatura rodigina”. Se del polesano, per retaggio storico, viene da pensare ad un addormentato nel suo torpore provinciale, risulta quasi incredibile im-maginare che, negli anni venti-trenta del secolo passato, ci potesse essere un Caffè a fianco della piazza centrale, aperto giorno e notte come già il Pedrocchi a Padova, dove gli artisti si ritrovavano a tirar tardi, e dove, tra un cognac e un sigaro toscano, ci si dilettava ad argomen-tare di letteratura, arte, poesia. Al “Lodi” si ritrovavano, tra gli altri, il già citato Martini, Eugenio Ferdinando Pal-mieri, Livio Rizzi, Pino Bellinetti. Fossati entrò a far parte del gruppo e si ritrovò con loro a dar vita all’Abbazia degli Illusi, rivista letteraria il cui intento era quello di trovare un’identità culturale che li staccasse dalle direttive nazionali per riappropriarsi “di un’arte sana e limitata, profumata di madia e di pane, di tinello e di cucina”,

piccoli temi di provincia animati da uno spirito vitale e propositivo. L’esperimento durò solo due anni: teatro di roventi polemiche e senza soldi per sopravvivere, la rivi-sta chiuse. Rappresentò tuttavia un momento importante che connotò la cultura polesana che non trovò, in seguito, momenti di altrettanta unione tra persone per poter conti-nuare ad esprimere quello che poteva essere un modo di concepire la vita, vivere i rapporti umani e fare poesia. L’esperienza aprì la carriera giornalistica a Fossati e ad altri “illusi”: di lì a poco iniziò la sua attività come croni-sta alla Voce del Mattino, per continuare in seguito per altre testate per oltre cinquant’anni. Di giorno impiegato comunale; di notte a battere forte i tasti della macchina da scrivere. La vita se la dovette guadagnare, e ci riu-scì, usando armi affilate quando scriveva, mantenendo però sempre il rispetto per sé e per gli altri. I registri che lo vedono impegnato sono quelli dell’ironia: fine, graf-fiante, spesso lapidaria, come nelle Minime con qualche massima:

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PERSONAGGI

Se vuoi star fra i pochi in testacorri sulla strada onesta

ché in tal corsa raramenteti sorpassa un concorrente.

Spesso il partito è un falso paraventodi un losco ufficio di collocamento.

Che nessuno sappia maiche sei furbo e che lo sai.

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e-mail: [email protected] 347 7754282

BONAMICO NICOLA

Tabaccheria

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Dotato di una facilità compositiva eccezionale, le sue poesie sono giochi di parole, sono fulminee, frizzanti. Il messaggio è sempre chiaro e immediato, non impegna il lettore a grossi approfondimenti:

Lui stesso era il primo critico di quello che scriveva, c’era del compiacimento anche nel sottovalutarsi. Nella raccol-ta El scanciorlin de tatarete in rima già il titolo dà dimen-sione di quello che avrebbe scritto: uno “scanciorlin”, un

personaggio che andava a vendere, a mettere “in liqui-dassion” i suoi scampoli, le sue piccole cose di merceria con un carretto. Ci sono cose lievi di sapore però anche terragno perché era un uomo attaccato alla terra e per-ché, in fondo, Rovigo era pur sempre una “città di cam-pagna”. Polesine, meglio conosciuta come Tera e aqua, musicata e interpretata dai più grandi rappresentanti della canzone popolare italiana, è forse l’esempio più efficace di come, con poche parole, si possa descrivere una terra difficile e l’attaccamento di un popolo che, nella fatica di vivere, mantiene comunque la sua dignità:

PERSONAGGI

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A sto mondo tanta gentela se crede gran sapiente.Che la leza o che la scrivano la sa se la xe vivama la parlala straparlacon un’ariade sapiensa straordinariae la crede quei che scoltatuta gente de una voltatuta gente che la siadel paese che vien dopo

dove che l’Avemariai la sona con el copo.I dirà: «Ma ti chi sito?Te te credi un padreterno?Bravo, alora dame un ternoe po dopo tira drito»No signori, tiro stortoparché so che mi go tortoe go torto specialmentede parlar de su e de zoparché propio no so gnente.Ma sto gnente mi lo so.

[...] Tera e aqua! Tera nuda,

gnente piante, gnente ombrìa.

Sta fadiga mai finia:

la comanda che se suda;

che se suda.

Tera e aqua! A mezogiorno

quel paneto che se magna

no gh’è aqua che lo bagna

e ghé aqua tuto intorno.

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Cronista in versi è il termine che meglio si addice per de-finire la sua produzione. Anche nei due volumi di storie e aneddoti polesani, Una regina a Rovigo e La moglie del prefetto, lo stile è quello di chi coglie l’attimo fuggente, lo modella e lo presenta al lettore in maniera accattivante e immediata. In questi fatti, volti, figure, strade raccontati, ingoiati dal tempo che non perdona, Fossati rappresenta un mondo che stava cambiando, un modo di vivere che non era angosciato dalla fretta, tutto scorreva in modo più blando, il sapore della vita in comune veniva sentito in una maniera più umana. Se la filosofia slow, della lentezza, oggi tanto ricercata “contro il logorio della vita moderna”, significa fermarsi per osservare quello che nella frenesia, spesso, si trascu-ra, allora Gigi Fossati, nel suo essere uno slow man, era decisamente all’avanguardia. L’amico “Carli” Ranzato lo disegnò un giorno a cavallo della sua bicicletta con un aquilone: indicava il poeta, l’uomo con la testa per aria, che non riesce a vivere se non su un piano di idealità. Divenne un segno che lo accompagnò negli anni. La vec-chia bicicletta, con la quale attraversava le piazze della sua Rovigo, era un modo di vivere la città dolcemente, di poter soddisfare la propria curiosità intellettuale. Guar-dandosi intorno poteva assaporare ancora quei valori fatti non di grandi cose ma di rapporti, di uomini. E per parlare agli uomini degli uomini non trovò mezzo miglio-re di quello che gli era più congeniale e gli scaturiva dal cuore: la poesia.

Immagini- A parte le copertine dei libri, la caricatura

di Fossati è tratta dal volume 1 de “Il tempo perso” e, come indicato nell’indice, l’autore è il pittore Angelo Brombo.

- Lo schizzo di Fossati in bicicletta con l’aquilone è tratto da “El scanciorlin de tatarete in rima” e so – come ho indicato nell’articolo – essere opera dell’amico “Carli” Ranzato.

BibliografiaIl tempo perso – Tomo primo – Versi – 1930Il tempo perso – Tomo secondo – Versi – 1931Polesine – Versi – 1952Minime con qualche massima – Epigrammi – 1973El Scanciorlin de tatarete in rima – Versi – 1977Una Regina a Rovigo – Aneddoti rodigini – 1978La Moglie del Prefetto – Aneddoti rodigini - 1980

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PERSONAGGI

Cristina Finotto

Luigi Masetti era nato a Trecenta nel 1864.Intraprese viaggi memorabili in bicicletta,spesso raccontati con gusto avventuroso

sulle pagine del Corriere della Sera.Oggi è completamente dimenticato.

Luigi MasettiL’anarchico

delle due ruote

Luigi Masetti nacque a Trecenta (Ro) il 28 dicembre nel 1864. Subito dopo le rivolte contadine, completato un ciclo di studi a Lendinara, dove si recava a piedi o sul dorso d’un asino, emigrò nel 1884 a Milano. Qui

vive in una soffitta con le sorelle, scopre il bicicletto nel 1891, anno in cui, lavorando e studiando, si iscrive all‘Università di Pavia, facoltà di giurispru-denza, non riuscendo però mai a laurearsi. Acquista poi con molti sacrifici la sua prima bicicletta e inizia ad esplorare il mondo di fine Ottocento dalla sella della bici. Partecipa alla prima Milano-Torino, a diversi criterium su pista al Trotter milanese, divenendo un beniamino di Eugenio Torelli Violler, fonda-tore e direttore del Corriere della Sera. Nel 1892 compie un giro cicloturistico d‘Europa: Milano-Parigi-Berlino-Vienna-Milano. Nel 1893 con il suo biciclet-to chiamato Eolo intraprese la sua seconda grande impresa: Milano-Londra-

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STORIE

New York-Chicago-Milano (il viaggissimo, come venne allora definito). Luigi Masetti era un poeta del viaggio, un eroe del fango e della polvere, un ciclista che riuniva le folle ad ogni suo passaggio. L’anarchico delle due ruote, così il fondatore del Corriere della Sera definì il primo cicloviaggiatore del quale si abbia memoria. Il resoconto del suo viaggio venne pubblicato a puntate sulle pagine del Corriere della Sera e un suo lungo ritratto apparve sul-la rivista del Touring Club Italiano. È l‘inizio della carriera del biciclettista più famoso e amato d‘Italia, dei resoconti e dei ritratti che appaiono su diversi periodici e che ne fanno il poeta del bicicletto in un‘epoca in cui strade e cieli e mari cominciano a popolarsi di mostri meccanici. Nel 1897, sulle orme di Napoleone, partì per un viaggio dalle Alpi alla piramide di Cheope in Egitto e rientrò a Milano dopo una visita in Medio Oriente. Non stanco, accumulò altri 5.000 chilometri sul sellino in un viaggio attraverso l’Italia, la Grecia, i Balcani e l’Austria prima di salire sul Monte Bianco e da lì attraversare la Foresta Nera in un’altra “gita” attraverso Francia e Germania. Il primo maggio del 1900 partì da Milano per un viaggio di 18000 km. che lo portò a Ceuta, in Marocco, dove arrivò il 18 maggio, attraverso tutta l’Europa, giunse poi a Capo Nord, in Norvegia, il 14 agosto. Da lì, attra-versando tutta la Russia continentale, giunse in Turchia a Costantinopoli.Durante queste scorribande incontrerà diversi personag-gi e ne riferirà con passione, la stessa che profonde per centinaia d’altre persone. Incontra e conosce il presiden-te degli Stati Uniti, Grover Cleveland; conversa amabil-mente con Tolstoj. I suoi percorsi sembrano studiati per incontrare culture e tradizioni e stabilire un equilibrio tra corpo/spirito e mezzo meccanico. Di lui scompaiono, im-provvisamente, testimonianze e documentazioni nei primi anni del Novecento. Al paese natale non esiste una sola traccia della sua nascita, né una lapide. Non gli hanno dedicato un vicolo, né è resistita la memoria delle sue im-prese che richiamavano centinaia di persone ad ogni sua partenza, passaggio e arrivo. Masetti, oggi, risalta per il desiderio d‘appartenere a un mondo che tende a scompa-rire e per una tenacia che lascia intuire profondi valori. Vi appare la sportività, la testardaggine, la cultura, l‘amore per la natura, il mondo e le persone che lo circondano, persino un certo impegno politico che lo lega all‘opera del recanatese Nicola Badaloni, all‘epoca medico condotto a Trecenta. Non solo: Masetti è un poeta, un anarchico del bicicletto, un piacevole narratore. Una sorpresa per chi ebbe la fortuna di incontrarlo e ascoltare i suoni e ritmi prodotti dalla sua inseparabile ocarina. Egli incanta e tra-smette sensazioni particolari ancora oggi, proponendo la sua figura e le sue imprese ai giovani e a chi ama mirare il mondo percorrendolo slowly, pedalata dopo pedalata. A ben vedere, in questo suo ciclovagare si percepisce

l’errante di fine Ottocento e primo Novecento che tante testimonianze ha lasciato nell’ambito letterario e artistico. Milano e la Lombardia divennero per Luigi Masetti luogo d‘adozione e di vita. Dal capoluogo milanese si irradiò tutta la sua attività sportiva e la sua avventura umana. Un emigrante polesano, antesignano delle migliaia di conterranei che, dopo l’alluvione del 1951, si rifugiarono nella regione lombarda mettendoci profonde radici. Un messaggero dell’italianità lungo le strade delle Nazioni e Continenti che percorreva. «Se fosse francese sarebbe portato sugli scudi - se fosse americano si sarebbe fatto una sostanza, ma è italiano, non è quindi da stupirsi, se fuor che da pochi il suo viaggio ardito è calcolato un nonnulla», si leggeva, nel 1893, su Il Ciclo non appena il Masetti ritornò dal viaggissimo Milano -Londra - Chi-cago - Milano. Se fosse stato tedesco, come l’Heinrich Horstmann che il 2 maggio 1895 montò sulla bici per compiere il giro del mondo (portato a termine il 16 ago-sto 1897), avrebbe fatto soldi a palate.Di lui scompaiono tracce e testimonianze nei primi anni del Novecento.Esistono diverse ipotesi sulla scomparsa di Luigi Masetti e sull’oblio che ne ha sommerso imprese e figura. Non vogliamo credere che il mitico ciclista trecentano, tanto caro alle folle, sia deceduto a Milano nel 1940. Luigi Masetti non può aver chiuso gli occhi ultrasettantenne su un comune letto, circondato dai propri cari: lui e gli altri eroi del bicicletto esalarono l’ultimo respiro accan-to al loro mezzo meccanico, lo sguardo spalancato sul mondo che percorsero e amarono, superando le abitudini e l’inerzia quotidiana. Di recente è uscito un libro che narra le avventure di Luigi Masetti dal titolo “L’anarchico delle due ruote” di Luigi Rossi. L’autore è nato a Rovigo (1950) e vive a Bochum. Insegna italiano e arte presso la Gesamtschule F. Steinhoff di Hagen. E’ stato lettore di italiano presso l’Istituto di filologia romanza dell’Universi-tà di Bochum. Questo libro inaugura una nuova collana della Casa Editrice Ediciclo di Portogruaro, non a caso intitolata Eroica. Libro davvero imperdibile, se non al-tro perché insegna una cosa essenziale: che giacciono sprofondate nell’oblio, come favolosi reperti coperti dalla sabbia, storie meravigliose di uomini coraggiosi di cui si è perduta la memoria; sta a noi con curiosità, pazienza e tenacia dissotterrarle e renderle pubbliche. È quanto ha fatto con pietas ed intelligenza Rossi, riscoprendo, grazie a documenti inediti e ricerche personali, la meravigliosa quanto ignota storia di Luigi Masetti da Trecenta, classe 1864. Faccia da intellettuale, con occhialini da anarchico russo, garretti potenti, spirito d’avventura, ecco il Masetti, eroe e pioniere del velocipedismo d’antan. Spirito libe-ro ed originale, amato ed acclamato dalla folla, diviene protagonista di grandi imprese, a cominciare dall’incre-dibile, siamo nell’anno del Signore 1893, viaggissimo Milano-Londra-Chicago-Londra-Milano, ovviamente in bi-

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cicletta, cavallo meccanico pesante e spesso indomabile sui terreni scon-nessi e ripidi. Una storia incredibile, che sembra uscita dalla penna d’un Verne sportivo; eppure vera, descrit-ta passo passo niente meno che nel “Corriere della Sera”. Un’impresa erta di difficoltà, ostacoli, inciden-ti, ma anche ricca di soddisfazioni, incontri straordinari. Ma l’eroe del fango e della polvere non si ferma qui, e affronta altre imprese, ancora di grande spessore, che vedono pro-tagonista il Masetti, atleta, ma anche esploratore curioso (conosce e par-la più lingue) ed attento osservatore del mondo. Un libro scritto con tanta passione, quindi da gustare come un romanzo, che apre lo sguardo su decenni e fenomeni poco noti su cui varrebbe la pena di tornare, ma-gari indagando e approfondendo il mistero della morte del Masetti, comunque finalmente uscito dall’om-bra. Grande il Masetti, personaggio che sembra, dicevamo, inventato da uno scrittore. Viene subito in mente, per analogia, il nostro Salgari, alla cui magica ed irrefrenabile penna dobbiamo, come si sa, innumerevoli romanzi, ambientati nei più diversi angoli del mondo. Per chi avrà la fortuna di “incontra-re” Masetti, come è successo a me, leggendo il libro di Luigi Rossi, ne rimarrà affascinato, soprattutto dal suo carico di umanità, dalla sua scrit-tura appassionata nelle lettere che spediva al Corriere della Sera. Un esempio di umiltà e semplicità che, nonostante le sue imprese memora-bili, ha sempre fatto intravedere. Un uomo che mi auguro possa venire ricordato come merita soprattutto nel Polesine, dove, come lui, molti altri sono stati dimenticati per trop-po tempo. Uomini che hanno vissuto anche faticosamente ma sempre con quel grande desiderio di affrontare e conoscere il “mondo” pedalando, scrivendo, incontrando culture e per-sone, vivendo spesso in simbiosi con la natura.

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Festedi compleanno

e laurea,rinfreschi

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STORIE

Gli aviatori polesani dimenticati della grande guerra

Leonardo Raito e Alberto Burato

I cavalieri dell’aria

Un lembo di terra serrato tra due fiumi e con estrema linea d’orizzonte il mare. E allora sembra azzardato pensare che il Polesine abbia dato i natali a tanti aviatori che si sono distinti nella grande guerra

1915-18, ma forse occorrerebbe uno sguardo più ampio: il pensiero che una terra difficile come la nostra abbia prodotto quei caratteri forgiati in quell’ac-ciaio che metaforicamente può rappresentare la forgia dei nuovi destrieri dell’aria, con cui hanno segnato epiche imprese, che cercheremo in breve di tracciare.

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LIONELLO CAFFARATTI

Nato a Rovigo il 23 marzo 1892, è uno dei primi Avia-tori della Grande Guerra che subito si pone all’attenzio-ne della nostra neonata Arma Aeronautica. Si diploma al Liceo Classico di Rovigo nel luglio 1910 ed entra il 20 novembre dello stesso anno nella Regia Accademia Navale di Livorno uscendone con il grado di Guardia-marina nel 1913. Promosso Sottotenente di Vascello nel 1915, deve però chiedere al padre il consenso per poter entrare nell’Aviazione, permesso subito accordato. Già, dunque, pilota nel 1915, nel febbraio 1916 compie il primo volo addestrativo nel cielo di Brindisi contornato da peripezie e cimento: riesce a riportare il suo aereo a terra integro e tanta fu la sua abilità che da quel mo-mento fu soprannominato “giovane diavolo”. Il suo Re-parto di appartenenza è da sempre la 13^ Squadriglia che, allo scoppio della Guerra, risulta equipaggiata con i Blériot ed inquadrata nel I° Gruppo seppur subito a disposizione del III° Gruppo presso Torresella (vicino a Pordenone): Comandante ne era il Capitano Vincenzo LOMBARD. Il battesimo del fuoco della 13^ Squadriglia avviene il 26 maggio 1915 con lo sgancio di bombe su Gorizia; diviene operativa il 29 maggio 1915 con il tra-sferimento a Pozzuolo del Friuli in vista della 1^ Battaglia dell’Isonzo (23 giugno – 7 luglio 1915). L’ordine di scio-glimento della Squadriglia è datato 25 giugno 1915, anche se il Reparto verrà sciolto il 1° agosto successivo dopo aver compiuto ben 38 missioni di guerra e due bombardamenti. La 13^ Squadriglia viene ricostituita in data 2 marzo 1916 a Taranto come 13^ Squadriglia da Ricognizione e Combattimento per l’Albania: il nuovo comandante è il Capitano Pilota Leopoldo DE RADA. E’ il 3 marzo 1916 quando la Squadriglia si imbarca per Valona in Albania installandosi al Campo di Saline. Vie-ne assegnata al XVI° Corpo d’Armata in tale Territorio d’Oltre Mare, spostandosi poi su un nuovo campo più praticabile iniziando i voli di guerra il 17 marzo succes-sivo. Il Sottotenente di Vascello Lionello Caffaratti viene proprio assegnato a questa Squadriglia partecipando il 1° aprile 1916 all’aerosbarco di Punta Samana effettua-to con due Macchi Lohner uno dei quali pilotati proprio dall’Eroe Polesano; l’azione porta alla distruzione di in-stallazioni nemiche e depositi di carbone. Alla missione partecipano il Tenente di Vascello Giovanni ROBERTI di Castelvetro, i Capitani DE RADA e PESCI nonché due motoristi. A proposito di quest’azione, Caffaratti sarà citato da Lino Piazza nella sua “Storia Aeronautica d’Ita-lia” del 1934; l’azione è definita “arditissima, temeraria quasi”. Infatti, in quest’occasione partì da Brindisi e la-sciati gli idrovolanti antistanti la darsena nemica scese a terra; con altri tre Ufficiali raggiunse la stazione locale marittima Austro-Ungarica ed appiccò il fuoco ai deposi-

ti dei magazzini di munizioni cagionandone l’esplosione e distruggendo i depositi di carbone che provocarono l’incendio del pontile. E’ in questa occasione che gli vie-ne concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare. La motivazione della decorazione recita: “Prese parte con altri Ufficiali ad una ardita incursione su territorio nemico. Lasciati gli idrovolanti e scesi a terra, i quattro Ufficiali raggiungevano risolutamente la stazione locale, la incendiavano, appiccando altresì il fuoco ai casotti magazzini di munizioni cagionandone l’esplosione, ed i depositi del carbone adiacenti e distruggevano il pontile d’accesso mentre la forza nemica di presidio erasi data alla fuga. Compiuta l’audace operazione, raggiungeva-no incolumi coi velivoli la loro base”. Basso Adriatico, 1° aprile 1916.Il 15 aprile 1916 la 13^ Squadriglia diviene 34^ Squa-driglia MF (Maurice Farman, dal nome dell’aereo) con sede a Krionero (Valona, Albania) dove è schierata al comando del capitano DE RADA.Nel maggio 1916 fu attaccato da un caccia nemico mentre ritornava da un’azione di bombardamento su Durazzo (Albania): in quest’occasione fu ferito ad una gamba.A bordo degli idrovolanti MF Caffaratti compie anche un’incursione su Durazzo e questa impresa è suffragata dal “Comunicato Stefani del 29/9/1916”. Purtroppo, la morte attendeva inesorabilmente Caffaratti; in un volo di collaudo insieme al compagno di pari grado Mario PRI-MICERIO precipitava in mare l’8 ottobre 1916 a pochi passi dagli hangar di Brindisi. I due sfortunati piloti saranno raccolti dalla Regia Nave Giovanni Bausan (una vecchia torpediniera varata il 12 luglio 1883 di 3330 tsl, dal 1° luglio 1916 nave appog-gio sommergibili a Brindisi); a bordo spirava per la gravi ferite riportate alla testa ed al torace.In data 19 ottobre 1916, a Lionello Caffaratti sarà con-cessa una seconda Medaglia d’Argento al Valor Militare della quale nessuno fa menzione, proprio per l’azione del 29 settembre 1916 su Durazzo. Durante la Grande Guerra ricevette anche due Croci al Valor Militare.ewL’11 ottobre 1916, come riporta un estratto del “Corriere del Polesine”, il suo professore di greco al Liceo Classico di Rovigo, Prof. Cav. Cesare CIMEGOTTO, gli dedicherà un commovente epitaffio nel quale citerà altri suoi allievi del Liceo caduti da eroi. La salma di Caffaratti rientrerà a Rovigo con tutti gli onori nel 1923. Purtroppo la tomba dell’Eroe dell’Aria versa oggi in pietose condizioni: a stento il bianco sbiadito e corroso della lapide permette di decifrare le parole sottostanti la foto.

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SEBASTIANO “Nino” BEDENDO

Sebastiano “Nino” Bedendo nasce a Rovigo il 18 luglio 1895 da Mariano Bedendo e da Beivey Pierina Schiap-padini. Viene chiamato alle armi presso l’8° Reggimento da Artiglieria da Campagna il 1° giugno 1915 in Vero-na, qui giungendo il 13 giugno. Presterà giuramento di fedeltà alla Patria il 20 luglio 1915 a San Nicolò di Lido. Sottotenente di Milizia Territoriale nell’Arma dell’Artiglie-ria con nomina il 4 luglio, viene trasferito al 5° Reggi-mento Artiglieria da Fortezza e Costa, Reparto nel quale giunge il 19 luglio 1915. Da sempre affascinato dal volo aereo, l’8 settembre 1915 lo troviamo presso la 7^ Se-zione Aerostatica da Fortezza in qualità di Osservatore sul fronte a mare della Piazza Marittima di Venezia: ma ciò non gli basta ed il 6 aprile 1916 viene comandato nell’incarico presso il Battaglione Scuole Aviatori dove qui il 20 aprile ebbe la sua prima lezione di volo. Con-segue il brevetto di volo in data 1° luglio 1916 quale pilota di Caudron con molta probabilità al Campo di Mirafiori di Torino. Qui il 26 agosto si addestrerà sul bimotore da ricognizione Caudron G. 4. A Busto Arsizio riceve il brevetto di 2° grado come pilota militare in data

1° settembre 1916 su aerei Farman, mentre il 7 ottobre viene assegnato alla 48^ Squadriglia di stanza presso San Pietro al Campo (Belluno), la sola assegnata alla IV^ Armata.Tale Squadriglia, equipaggiata con ricognitori monomo-tori Caudron G. 3 e bimotori G. 4, era comandata dal Capitano Felice PORRO che durante la Seconda Guerra Mondiale fu Comandante delle Forze Aeree in Africa Settentrionale. In questa Squadriglia militò anche Natale PALLI, asso dell’Aviazione da Ricognizione e che fu pilo-ta di Gabriele D’Annunzio durante il volo su Vienna il 9 agosto 1918, ed Aldo FINZIche nel 1923 divenne Vice Commissario per l’Aviazione: la sua vita troverà fine gloriosa come martire alle Fosse Ardeatine nel 1944. Il 30 novembre 1916 Bedendo viene nominato Tenente e nel dicembre 1916 è assegnato alla 42^ Squadriglia impiegata nell’osservazione per l’Artiglieria e basata a Gonars, zona del fronte meridionale dell’Isonzo. Nel 1917 a febbraio compie due missioni in una delle quali il suo aereo è colpito dal fuoco nemico e gli shrapnel ne danneggiano le ali e la fusoliera. Solo il 22 giugno 1917 svolge un’altra missione di volo, una ricognizione fotografica su Gradiscutta, seguita da un lancio di ma-

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nifestini il 10 luglio e da tre missioni di bombardamento il 19, 21 e 23 agosto 1917, durante l’Undicesima Bat-taglia dell’Isonzo, nota alla storia come Battaglia della Bainsizza (per gli Storici Sloveni chiamata “Bate Banisca Planota”). Nell’autunno del 1917 consegue il brevetto di pilota sul Nieuport alla Scuola di Volo della Malpensa, mentre il 1° novembre 1917 viene assegnato alla 70^ Squadriglia Nieuport ed il 17 dello stesso mese trasferi-to, invece, alla 72^ Squadriglia con sede a Castenedolo per la protezione di Brescia. Ma la sua prima missione di caccia effettuata avviene con un volo di scorta ad un ricognitore SP il 27 novembre 1917, missione della durata di 2 ore e 22 minuti: Caporetto era ormai alle spalle ed il fronte ormai arretrato fino al Grappa ed al Piave. Le sue missioni di guerra sono scarse in questo periodo, anche per il cattivo tempo sul fronte settentrio-nale: due voli di scorta a dei SAML il 26 e 27 dicembre, a bordo del suo Hanriot, chiudono il totale dei suoi voli nel 1917. Il 1918 si apre con Bedendo che il 4 gen-naio passa alla Sezione Hanriot dell’82^ Squadriglia assegnata a sua volta alla 71^ Squadriglia con sede a Sovizzo presso Vicenza: Squadriglia duramente im-pegnata sull’Altipiano di Asiago, area in cui operava il

Comandante Supremo Austriaco, Feldmaresciallo Franz Conrad von Hoentzerdof. Bedendo con la 71^ verrà a duello aereo con le FliegerKompanie della Luftfahrtruppe basate in Trentino. Il 12 gennaio 1918 Bedendo svolge la sua prima azione di guerra con una missione di scorta ai Caproni che si concluse per lui con un atterraggio for-zato presso Bassano del Grappa per il motore in panne. Il primo combattimento aereo Bedendo lo sostiene il 29 gennaio 1918 sulla Val Gamarara e la Val di Brenta, scontrandosi con 2 aerei nemici contro i quali spara di-verse raffiche. Vola in una seconda missione di scorta il giorno dopo ed il 31 gennaio terminando questo volo con un atterraggio forzato sul campo di Villaverla. Nella quinta missione assegnatagli il 19 marzo, mentre è di scorta ad uno Spad dotato di macchina fotografica ed uno SVA, ai comandi del suo Spad 7 Bedendo ha un bre-ve duello alle ore 11,10 con un caccia nemico Albatros D III che vede allontanarsi in picchiata verso le proprie linee: aereo probabilmente abbattuto ma che l’Eroe Pole-sano non rivendicò mai. In verità Bedendo era andato a disturbare un’ispezione che l’Imperatore d’Austria Carlo stava effettuando proprio sull’Aeroporto di Pergine Val Sugana alla Flik 55/J e ad altri Reparti ed il velivolo

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con cui si era imbattuto stava proteggendo il campo au-striaco da intrusi. Dal marzo al giugno 1918 Bedendo compie un totale di 38 missioni di guerra, quasi tutte di scorta ai SAML ed ai Caproni; il 7 giugno durante un volo su allarme accanto ad un Sopwith “Camel” inglese incontra due aerei nemici costringendone uno alla fuga verso Folgaria. Nella prima settimana di luglio Bedendo effettuerà sette voli di crociera tornando poi a volare il 24 luglio dopo una settimana di licenza. Luglio 1918 è il mese in cui Sebastiano Bedendo vede finalmente coro-nare il suo sogno: abbattere aerei nemici.

Qui di seguito il suo palmarès:• tarda mattinata del 29 luglio 1918 fra Monte Spitz

e Tonezza del Cimone scorge due caccia nemici che stanno attaccando un Pomicio PE della 136^ Squa-driglia. Abbatte un Albatros D III nemico che cade in fiamme in Val Terragnolo;

• 30 luglio, mentre è in volo di crociera sull’Altipiano di Asiago e sulla Val Lagarina s imbatte in 4 caccia nemici: da circa 100 metri spara una doppia raffica che abbatte un aereo che precipita sul Monte Ca-dria. Sfugge agli altri tre caccia gettandosi a vite;

• 31 luglio: vola di scorta su Rovereto ad un Pomicio e scorge un caccia nemico sparandogli 70 colpi da una distanza di 200 metri prima che l’arma si incep-passe. Dopo una seconda raffica e con l’aiuto del capo formazione Capitano Breglia ha la meglio ed il caccia cade in verticale a nord di Calliano;

• 6 agosto: Bedendo, di pattuglia con il sergente Giampietro Vecco, scorge due aerei nemici, un cac-cia ed un biposto nel cielo di Tonezza. I due piloti in-gaggiano combattimento con il biposto che si allon-tanava in rapida picchiata verso Lastebasse mentre il caccia cadeva verticalmente emettendo una lunga scia di fumo giallastro.

• 10 agosto: affronta nuovamente il nemico.Vola di scorta ad un Savoia Pomicio SP. 3 nella zona fra Pasubio e Val Terragnolo incontrando 5 caccia ne-mici. Affronta l’avversario e ne abbatte uno e torna alla base con fori nell’ala superiore e nei montanti. L’aereo abbattuto apparteneva alla Flik 3/J.

Anche il 22 agosto Bedendo sostiene un altro combatti-mento, di nuovo nel corso di una scorta ad un ricognito-re Pomilio. Incontra due caccia nemici ingaggiando un duello con loro sparando 150 colpi e vedendone uno cadere verso Noviglio mentre emette una lunga scia di fumo; ma questa vittoria non gli verrà accreditata. La sua ultima missione di guerra avviene il 2 novembre 1918 ad armistizio imminente. Bedendo si guadagnò una me-daglia d’argento e una di bronzo al valor militare. Nel 1930 è promosso al grado di Maggiore dell’Aeronauti-

ca e nel 1934 viene assegnato all’Ufficio Sorveglianza Tecnica presso l’Aeronautica d’Italia della FIAT a Torino Mirafiori. Fu primatista di diversi concorsi aerei di velo-cità. La morte lo coglie il 24 agosto 1935 durante un collaudo aereo del Nuvoli N-5 Cab, quadriposto con cabina chiusa ed ali ripiegabili, che precipitò a Spinosa di Ottiglio (Alessandria) in Piemonte. Alla moglie Silvia Maria Marani saranno corrisposte 7.250 £. del tempo quale indennizzo privilegiato aeronautico per la morte dell’Eroe Sebastiano Bedendo la cui salma riposa nei pressi dell’Ossario Militare di Rovigo in una sarcofago che meriterebbe di essere restaurato per meglio onorar-ne le spoglie.

ALESSANDRO BORGATO

Nasce a Verona il 24 maggio 1896 da Lorenzo Borga-to e da Elena Cattarinetti ed a 18 anni, l’11 dicembre 1914, a guerra già scoppiata sul Fronte Occidentale, è volontario nel Battaglione Specialisti del Genio. Il 16 gennaio 1915 è assegnato al Battaglione Dirigibilisti dove il 29 luglio 1915 viene promosso Caporale nel Battaglione Scuole Aviatori. Il 1° agosto 1915 riceve il brevetto di pilota d’aereo su apparecchio Farman ed assegnato alla 12^ Squadriglia inquadrata nella 1^ Ar-mata che opera sull’Altipiano di Asiago: su questo fronte Alessandro Borgato concorre a neutralizzare i più veloci aerei nemici. Comandante di Squadriglia è il Capita-no Ferdinando DE MASELLIS. Il 20 settembre 1915 un aereo di questa Unità effettua un volo su Trento ed il pilota Ermanno BELTRAMO ha un passeggero speciale, Gabriele D’ANNUNZIO che lancia messaggi sulla città irredenta: Borgato farà proprio quel giorno conoscenza con il Vate. Il 14 novembre 1915 si salva pur perdendo l’aereo per un guasto al motore del suo Farman 548: in-sieme a lui c’era l’osservatore STEFANI; il giorno dopo, 15 novembre, consegue il brevetto di pilota militare. Il 1° gennaio 1916 la Squadriglia è di base a Villaverla. Bru-cia la tappe della carriera militare diventando Sergente il 31 gennaio 1916, passando poi in assegnazione, per breve tempo, alla 24^ Squadriglia presso il Campo di Pordenone ed infine destinato al Campo per la scuola dei Mitraglieri a Mirafiori il 31 agosto 1916. E’ poi as-segnato alla 39^ Squadriglia che diventerà operativa su S.P. 2 al Campo di Arcade nel gennaio 1917 in Provincia di Treviso: infatti, alla data dell’11 aprile 1917 iniziano i voli di guerra della 39^ Squadriglia che annovera i migliori piloti fra i quali il Comandante Luigi RIZZO ed il Tenente Vincenzo MAGLIOCCO che diventerà Generale e morirà in Etiopia nel 1936. nel massacro di Lekempti. Agli inizi di maggio 1917 la Squadriglia è equipaggia-ta anche con S.P. 3 con Comandante Luigi RIZZO e fra i numerosi piloti scelti vi è anche Borgato. Il 5 maggio

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la 39^ passa dal I° al V° Gruppo, assegnata alla 3^ Armata per il servizio di artiglieria di Corpo d’Armata e prende parte all’azione su Castagnevizza durante la 10^ Battaglia dell’Isonzo che vede le Truppe Italiane ten-tare di sfondare nel Settore compreso fra il San Gabriele – Santa Caterina fino al Vodice e nel settore delle gob-be del Fajti. Borgato parteciperà anche a voli sull’Alto-piano della Bainsizza durante le fasi dell’11^ Battaglia dell’Isonzo (18 agosto – 12 settembre 1917): nelle fasi di questa offensiva vengono abbattuti dall’asso Brumow-ski sopra Goriansko il Tenente Pilota Teodoro LACAVA ed il Tenente Osservatore Cesare POCCIANTI. Nel frat-tempo Alessandro Borgato riceve la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Tale riconoscimento gli venne assegna-to perché aveva inseguito un apparecchio nemico che, seppur più veloce, non gli aveva impedito di affrontarlo: nello scontro con l’avversario il suo aereo ebbe la peg-gio, oscillò pericolosamente con il motore spento ed i comandi gravemente danneggiati, atterrando a stento a Rosà (Vicenza). Il 3 maggio 1917 è trasferito al Campo Scuola della Malpensa per istruzione sui Nieuport; il 3 luglio successivo passa alla 77^ Squadriglia che è di base ad Aiello e poi alla 78^ Squadriglia caccia il 21 settembre 1917: questa gloriosa Squadriglia era stata impegnata sull’Altipiano di Asiago durante l’epopea del-la Battaglia dell’Ortigara (10 – 29 giugno 1917) ope-rando su Monte Zebio, Val d’Assa, Borgo Val Sugana, Marcesina, Forte Luserna. Al 1° gennaio 1918 l’Unità ha al comando il Capitano ZOBOLI e fra i piloti anche il sergente Alessandro Borgato ed il sergente Gino ALLE-GRI. Quest’ultimo, il cui vero nome è Gerolamo Allegri, lascerà il reparto per poi partecipare con D’Annunzio al volo su Vienna (9 agosto 1918). 13 aprile 1918: la Bat-taglia d’Arresto sul Piave e sul Grappa è cosa fatta; ma è anche tempo di rispolverare la vecchia punizione che si abbatte come un macigno su Borgato che si vede esone-rato dalla carica di pilota d’aeroplano ed assegnato alla 45^ Compagnia Zappatori impiegata al servizio del 1° Reggimento Genio. A fine guerra, però, Alessandro Bor-gato risulta aver abbattuto un aereo nemico ed entra nel novero dei piloti accreditati di una vittoria aerea ottenuta fra il 10 luglio ed il 31 ottobre 1917 e dal 1° gennaio al 30 aprile 1918: lo stato di servizio, purtroppo, non è così preciso in tal senso. Quasi 10 anni dopo Borgato viene richiamato in aeronautica e precisamente presso la Scuola Aerea di Sesto San Giovanni il 28 marzo 1927, mentre il 28 aprile 1927 sarà assegnato al 15° Gruppo Aerei da Ricognizione. Lo troviamo SottoTenente di Com-plemento nel 27° Fanteria PAVIA il 19 aprile 1934 e poi iscritto definitivamente nell’Arma Aeronautica in data 6 settembre 1934. Nominato Tenente il 7 ottobre 1937, viene richiamato per mobilitazione il 24 agosto 1939 al Centro di Mobilitazione Graduale di Padova e desti-

nato a Bologna. Il 22 maggio 1940 è definitivamente richiamato alle armi e giunge al Deposito Aeronautica di Verona. Farà la Seconda Guerra Mondiale come Ca-pitano terminando la propria carriera in data 25 ottobre 1942. Muore sotto bombardamento aereo alleato il 23 febbraio 1945 a Rovigo.

MARIO DORIA

Mario Doria nasce ad Ariano Polesine il 23 febbraio 1892, figlio di Alessandro e di Ginevra Marangoni. Ha 23 anni quando sopraggiunge la conflagrazione europea e lavora presso la Fabbrica d’Armi Tampini di Brescia. Doria pertanto, potrebbe usufruire dell’esonero concesso agli operai dalle regole della mobilitazione ge-nerale, ma il suo spirito guerriero lo spinge a rifiutare l’esonero e ad arruolarsi volontario. Il 18 maggio 1915 viene richiamato alle armi per la mobilitazione generale. Giunge a Monza, alla 1° compagnia automobilisti il 20 maggio e viene destinato alle armi per la mobilitazione dichiarata con Regio Decreto del 22 maggio. Passa nel-la 2° compagnia automobilisti di Monza giungendo in territorio dichiarato stato di guerra il 1 giugno facente parte del drappello auto-moticiclisti della Divisione Spe-ciale Moncalieri comandata dal Generale Tassoni. Presta servizio dal 20 gennaio 1916 nel 1° Reggimento Genio in osservanza alla circolare 1109 dello Stato Supremo e ivi resta fino 2 giugno 1916 quando viene trasferito al Battaglione Aviatori in qualità di allievo pilota. Verrà nominato pilota con determinazione n. 21653 (brevetto superiore n. 113) il 14 dicembre 1916. In data 15 di-cembre 1916, Doria passa in forze alla I sezione della 113° Squadriglia aggregato alla III Squadriglia di stan-za a Campoformido. La 113° squadriglia comandata dal capitano pilota Mario Van Axel Castelli è composta di due sezioni equipaggiate di SAml S. 1 di costruzione Fratelli Frattini, denominati “Condor”. In questa sezione Doria prese parte, insieme all’osservatore tenente Ber-tolotti di Bologna a tutte le azioni di guerra della Squa-driglia fino all’offensiva del Marzo Aprile 1917. Fu poi trasferito con tutta la squadriglia al campo di Gavazzo Carnico, prendendo parte a tutte le azioni dal Timavo all’alto Isonzo. Nell’agosto dello stesso anno, dopo es-sere stato promosso sergente, veniva di rinforzo inviato alla 114° Squadriglia che doveva prendere parte all’of-fensiva dell’Hermada e, nel corso del 1 settembre 1917 rimaneva ferito in combattimento al pari dell’osservato-re tenente Gionni, effettivo alla 114. venne ricoverato all’ospedaletto da campo n. 127 dal quale fuggiva il 4 settembre per raggiungere la Squadriglia scarsa di pilo-ti. Lo stesso giorno ingaggiava battaglia a tre apparec-chi nemici nel cielo di Ternova, riusciva ad abbatterne uno ma poi veniva ferito alla testa da una pallottola che

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gli aveva attraversato il casco, insieme all’osservatore, il tenente dei mitraglieri Mangano, che veniva dato per morto (in realtà morirà in un incidente di volo a Mirafiori nel 1920). L’aereo di Doria e Mangano viene colpito al motore e al radiatore ed è costretto ad atterrare al campo di Medeol.Si guadagnò diverse proposte a medaglia.

«Il sergente Doria Mario di Alessandro della classe 1892, pilota aviatore ha avuto una medaglia d’argento con la seguente bella motivazione: ardito pilota il I settembre 1917, scortando un altro apparecchio attaccava deci-samente un velivolo nemico. Rimasto ferito l’osservatore ed egli stesso leggermente colpito, desisteva dal combat-timento solo dopo aver assolto il proprio mandato. Il 4 settembre successivo obbligava un altro veicolo ad atter-rare, e benché ferito alla testa ed il sangue gli colasse su-gli occhi, riportava il suo apparecchio nelle nostre linee. Cielo di Voisca e di Ternova il 1 e 4 settembre 1917».

Pare che i compagni di Doria alla 39° Squadriglia del-la 3° Armata comandata dal colonnello Pinna, ovveri i tenenti Monzario e Lordi e i sergenti Ceredi e Cantù avessero ricevuto decorazioni spettanti per il numero delle ricognizioni effettuate. Ma ancora nel 1929 Doria non aveva avuto gli stessi riconoscimenti. È lo stesso co-lonnello Pinna, però, a certificare l’ardimento del pilota polesano:

«Proposi l’allora sergente Doria Mario per una ricompen-sa al valore militare, non per una singola azione, ma per il complesso dei voli fatti in quel fortunoso periodo – la proposta come sempre fu inoltrata al Comando Superiore che era allora il Comando Aeronautica 3° Armata, trami-te il 5° Gruppo Aeroplani».

La medaglia effettivamente arrivò. Dopo la convalescen-za e la licenza premio, il sergente Doria rientrò alla 113 squadriglia a Gavazzo Carnico, prese parte a tutte le azioni sino alla ritirata italiana, durante la quale, pur se già accerchiato dal nemico, riusciva a fuggire portando in salvo al campo di Aviano l’apparecchio e il capo del motorista sergente Varagnolo. Venne, per questa merito-ria azione, proposto per una nuova medaglia al valore militare dal comandante di squadriglia capitano Paroli, che però, nel 1929 non aveva ancora ottenuto. Alcuni giorni più tardi, veniva trasferito con i resti della 113 squadriglia al campo di Bassano Veneto. Da qui, in unio-ne con gli apparecchi della 115 comandata dal capitano Sella, prendeva parte a tutte le azioni difensive insieme ai piloti sergenti Cerutti, Marziale, Reali e Imolesi. Passò poi alle dirette dipendenze del Comandante di Gruppo Maggiore Zanuso, al campo di Casoni sotto il Monte

Grappa al comando del cap. Paroli. Venne proposto per una nuova decorazione in virtù dell’abbattimento di un velivolo avversario, avvenuto a Nord del Monte Grappa. Il 27 marzo, per ordine del corpo d’Armata, la squadri-glia traslocava al campo di Cedole, per riorganizzarsi. Nei primi di maggio, unito ad altri 4 apparecchi della 113 comandata dal tenente Monzardo, veniva inviato di rinforzo alla 39 sq. Al campo di cascina Malcontento, comandata dal capitano Pinna che lo proponeva per una medaglia d’argento al valore militare per azioni durante l’offensiva del maggio-giugno. Nel successivo luglio la 113 si trasferiva al Campo di Cividato Camuno in val camonica per supportare l’offensiva del Tonale, prenden-do parte a tutte le azioni e a diversi combattimenti aerei. Verso la metà del settembre, su proposta del comandante la squadriglia, Doria veniva avvicendato perché esaurito dalla lunga attività di volo e inviato alla direzione tecnica di Milano.

MODESTO MORATTO

Modesto Moratto nacque a Porto Tolle il 9 dicembre 1893, figlio di Domenico e di Cherubina Rossi. Venne ar-ruolato di leva nel compartimento marittimo di Chioggia per la ferma di tre anni nel 1913, fu classificato prima marinaio e poi allievo fuochista per divenire fuochista nell’aprile del 1915 e fuochista scelto nel 1916. diventa poi allievo pilota con determinazione del comando ge-nerale dell’aeronautica il 6 luglio 1918. Le sue qualità di pilota, che non fecero in tempo a essere testate nel corso della Grande Guerra, verranno evidenziate nel corso della seconda guerra mondiale quando partecipò alla guerra nel fronte dei Balcani dal 18.11.1942 fino all’08.09.1943 e si guadagnò una croce al merito di Guerra.

ALESSANDRO CORONARO

Alessandro Coronaro, fiorentino di nascita ma rodigino d’adozione, nacque nel capoluogo toscano il 19 marzo del 1895 figlio di Riccardo e di Alessandra Gacomini. Chiamato alle armi nel dicembre del 1915 nel 2° reggi-mento zappatori di Bologna, fu poi trasferito nel marzo del 1916 in un battaglione aerostieri, dove si distinse in opera di osservazione e rilievo fotografico dall’alto.

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REM nasce perché siamo convinti ci sia uno spazio da occupare nella nostra provincia: è comune, infatti, l’idea che il Polesine sia una terra non molto vivace dal punto di vista culturale. Noi non lo crediamo e vorremmo che le nostre pagine potessero raccontare una realtà diversa rispetto a questa idea diffusa. REM vorrebbe mettere insieme tutte le energie culturali di questa terra e fare loro da volano, contribuendo a diffondere un’immagine diversa dello spessore culturale della provincia di Rovigo.

La rivista è divisa in sezioni, ciascuna delle quali affronta uno dei vari aspetti della vita culturale della nostra provincia. Abbiamo definito le sezioni con nomi semplici, che rinviano con chiarezza ai contenuti che si vogliono trattare: Attualità, Luoghi, Parole, Suoni, Palcoscenico, Colori, Immagini, Personaggi, Storie, Passato Remoto, Sapori e Saperi, Istituzioni. La sezione finale è dedicata alla descrizione sintetica di tesi di laurea dedicate al territorio che la redazione riterrà particolarmente interessanti e potenzialmente utili.

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appassionatidi cultura!

REM nasce perché siamo convinti ci sia uno spazio da occupare nella nostra provincia: è comune, infatti, l’idea che il Polesine sia una terra non molto vivace dal punto di vista culturale. Noi non lo crediamo e vorremmo che le nostre pagine potessero raccontare una realtà diversa rispetto a questa idea diffusa. REM vorrebbe mettere insieme tutte le energie culturali di questa terra e fare loro da volano, contribuendo a diffondere un’immagine diversa dello spessore culturale della provincia di Rovigo.

La rivista è divisa in sezioni, ciascuna delle quali affronta uno dei vari aspetti della vita culturale della nostra provincia. Abbiamo definito le sezioni con nomi semplici, che rinviano con chiarezza ai contenuti che si vogliono trattare: Attualità, Luoghi, Parole, Suoni, Palcoscenico, Colori, Immagini, Personaggi, Storie, Passato Remoto, Sapori e Saperi, Istituzioni. La sezione finale è dedicata alla descrizione sintetica di tesi di laurea dedicate al territorio che la redazione riterrà particolarmente interessanti e potenzialmente utili.

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PASSATO REMOTO

Genti e ambienti nell’età del Bronzo

Le indagini geomorfologiche e i riscontri offerti dalle foto aereehanno permesso di ricostruire fasi salienti della storia del Po

a partire dagli ultimi quattromila anni.

Raffaele Peretto

Il Polesine al tempo di Ulisse

Immaginiamo di andare a ritroso nel tempo, di portarci indietro di oltre tremila anni, all’ incirca ai tempi della guerra di Troia e dei mitici eroi Achille e Ulisse descritti da Omero.

Immaginiamo di poter sorvolare a bassa quota le ultime terre della pianura del Po, percorrendo il tratto finale del grande fiume. Il panorama che si pre-senterebbe ai nostri occhi da un virtuale deltaplano sarebbe ben diverso da quello attuale. Ci apparirebbe, infatti, un articolato paesaggio di boschi a querce, olmi, frassini, sfumanti in ampie radure; di aree palustri a canneto e stagni, ravvivati d’estate dal bianco delle ninfee e dal giallo dei limnantemi; di fasce serpeggianti di salici e ontani lungo gli argini dei corsi d’ acqua. Prati adibiti a pascolo, ridotti appezzamenti coltivati a cereali, sparsi villaggi mostrerebbero la presenza dell’ uomo.Questa verosimile immagine è suffragata dai risultati di studi interdisciplinari di carattere naturalistico, quali la geomorfologia, l’archeobotanica, la palino-logia (esame dei pollini), l’ archeozoologia, che ormai arricchiscono sempre più la ricerca archeologica.Oggi il Polesine è terra sostanzialmente stretta tra Adige e Po. Sono confini imbrigliati da possenti argini artificiali che portano l’acqua a scorrere a quote più alte della campagna circostante, dove regolari reticoli di scoline mostrano i disegni delle più recenti bonifiche rivolte allo sfruttamento capillare del suolo agricolo, mantenendolo asciutto anche in quelle aree che morfologicamente sarebbero interessate da paludi. L’odierna immagine del territorio è il risulta-to di una lunga e complessa evoluzione idrografica, stabilizzatasi in epoca medievale e in seguito controllata e irrigidita dall’uomo, limitando alluvioni e rotte che in antico determinarono talvolta anche variazioni del corso.Le indagini geomorfologiche e i riscontri offerti dalle foto aeree hanno permes-so di ricostruire fasi salienti della storia del Po a partire dagli ultimi quattromi-la anni, quando il grande fiume dall’ area mantovana distribuiva la copiose acque attraverso diramazioni, aprendo un apparato deltizio ben più comples-so di quello attuale, esteso da Chioggia fino a Ravenna. Le sue periodiche

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Ricostruzione di una capanna dell’età del bronzo nell’antica Frattesina - Rovigo, Museo dei Grandi Fiumi (foto Alberto Bonatti)

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PASSATO REMOTO

variazioni idrografiche, con alterni periodi di attività e senescenza dei rami fluviali, unitamente alle vicen-de dell’ Adige e del Tartaro, hanno concorso a modificare la fisionomia dei paesaggi, cancellando o copren-do, con episodi di alluvionamento, precedenti tracce lasciate da eventi naturali e dall’ opera dell’ uomo. Per questi motivi, in Polesine si dispone, al momento, di testimonianze a par-tire dall’ età del Bronzo; altre più antiche risultano difficilmente identifi-cabili, in quanto conservate in livelli stratigrafici profondi, non intaccati da interventi agricoli e da sterri.

Nell’esaminare le fasi dell’ età del Bronzo, è il territorio di Castelnovo Bariano a conservare il primo villag-gio accertato in area polesana. Si tratta dell’ insediamento palafittico-lo di Canàr, databile all’ antica età

del Bronzo (circa tra 1940 e 1850 a.C.). Gli scavi hanno portato alla luce l’ impianto di centinaia di pali a sostegno di piattaforme lignee su cui poggiavano le capanne. L’ area, sotto l’ aspetto paleoambientale, si inquadra tra diramazioni scomparse del Tartaro e dell’ Adige, che deli-neavano la propaggine meridionale delle Valli Grandi Veronesi, dove al tempo si impostò tutta una serie di abitati collocati prevalentemente lungo fiumi e aree palustri. A questo ambito appartengono anche gli al-tri siti archeologici delle località di Marola (Bronzo medio-recente) e di Canova (Bronzo recente).

L’ età del Bronzo media e recente negli ultimi anni è affiorata anche più ad oriente, come documentano il sito di Precona presso Castelgugliel-mo, per il quale si dispone solo di

materiale raccolto in superficie, ed in particolare quelli indagati nelle località di Zanforlina di Pontecchio e Larda di Gavello. Sono località que-ste ultime due che attestano le più an-tiche e orientali presenze insediative finora indagate nella bassa pianura veneto-emiliana che si inquadrano nel pieno contesto paleoambientale delle diramazioni deltizie padane. Per Zanforlina, pur nei limiti delle indagini condotte nel 2002, risulta certa l’ importanza della scoperta che porta ad inquadrare il sito alle prime fasi del Bronzo medio, in un arco di tempo compreso tra XVII e XVI sec. a.C. Particolarmente signi-ficativa risulta essere anche l’ area indagata nel territorio di Gavello tra le località Colombina e Larda, dove già le raccolte di superficie mostra-vano affioramenti sparsi di testimo-nianze legate all’ età del Bronzo

Veduta aerea di un’area insediativa di Frattesina (foto Raffaele Peretto)

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BANCADRIA

Un “portale ambientale”per il territorio del Delta del Po:una nuova politica del credito

Spiegare con po-che parole le ra-gioni del nostro

impegno come banca delle comunità di que-sto fragile territorio, unico e non riproduci-bile qual è il territorio del Delta del Po, non è facile; per certi aspetti, potrebbe essere anche rischioso. Ma la voglia, il desiderio di rende-re partecipi di cosa attiene alle scelte di Bancadria-Credito Co-operativo del Delta ed alle azioni che ne con-seguono è tale da ac-cettare senza esitazioni l’invito dell’Editore.Eviterò volutamente di trattare del ruolo e dell’importanza che le banche di Credito Cooperativo hanno assunto nel tempo e, ugualmente, non andrò a recuperare elementi nella storia ultra cente-naria delle due banche che, con la loro fusione avvenuta a dicembre 2008, hanno dato origi-ne a Bancadria. Nell’an-

no 2006, in occasione dei festeggiamenti per il 110° anniversario della fondazione della allora BCC “Santa Ma-ria Assunta”, ci siamo chiesti, criticamente, se fossero ancora valide le ragioni ed i motivi che hanno portato alla for-mazione delle nostre cooperative, se trova-vano ancora credito concetti quali mutuali-tà, sussidiarietà, valore della persona umana.Ebbene, riscontrammo allora, con piacere, che i principi e le ragioni che avevano ispirato e motivato la nascita di quelle che allora si chiamavano Casse Ru-rali, avevano mantenu-to valenza ed attuali-tà. Non solo. Il mutato contesto storico, eco-nomico e sociale del nostro territorio aveva portato alla valorizza-zione di ulteriori nuovi valori dai quali, oggi, non è più possibile pre-scindere.Bancadria si è quindi

data una nuova mis-sion ed ha introdotto nei suoi processi ope-rativi e di governo due degli elementi più si-gnificativi che qualifi-cano la responsabilità sociale d’impresa: l’eti-ca e l’ambiente e, nel loro pieno rispetto, ha sviluppato prodotti e strumenti a supporto delle piccole e medie imprese, quelle che normalmente si rivol-gono alla nostra banca e che costituiscono una parte significativa della sua compagine sociale.Ai valori dell’etica e dell’ambiente abbiamo aggiunto il criterio del “merito”.Bancadria ha comple-tato nel 2009 un pro-getto originale, del tut-to innovativo e nel suo genere unico: il “por-tale ambientale”, un contenitore di processi e di prodotti finalizzato a qualificare ed a pre-miare gli investimenti che potremmo definire virtuosi. Questo pro-

getto ha comportato la creazione dello stru-mento finanziario de-nominato “Finetic”.Bancadria non intende sostituirsi ai decisori nelle scelte economi-che, eppure propone una nuova politica del credito, non più basata solo sui numeri, bensì cercando di salvaguar-dare i contenuti etici ed ambientali di ogni singolo investimento e, quindi, attuando un controllo sul feedback da ognuno di essi de-terminato.Investire tanto impe-gno e tante risorse in tempi di crisi non è fa-cile, ma questo, pen-siamo, è quello che deve fare chi crede nel futuro. Qualcuno ebbe a dire che “il futuro non dobbiamo interpretar-lo, dobbiamo costruir-celo”.Bancadria ha comincia-to dall’ambiente, dal territorio e dalla sua difesa e valorizzazione.

Giovanni VianelloPresidente Bancadria

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PASSATO REMOTO

Ricostruzione di un’officina per la lavorazione della pasta di vetro - Rovigo, Museo dei Grandi Fiumi (foto Alberto Bonatti)

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PASSATO REMOTO

recente (XIII sec.a.C.). Le indagini stratigrafiche, avviate nel 1998, mo-strano una distribuzione insediativa piuttosto diffusa in relazione ad un nucleo principale arginato.

Con l’ età del Bronzo finale (XII-IX sec.a.C.) vengono generalmente privilegiate le grandi arterie fluvia-li, in funzione di un nuovo assetto sociale ed economico, interessato anche agli scambi su lunga distan-za. In questo ambito rilevanti sono le testimonianze insediative scoperte in Polesine, tra le quali emerge un centro egemone, quello di Frattesi-na. Lungo un attivo e marcato ramo padano, oggi scomparso, noto come Po di Adria, antichi villaggi sono sta-ti accertati anche a Mariconda di Melara, a Trecenta, a Gognano, a Villamarzana, ad Arquà Polesine, a Campestrin di Grignano, a Saline di

San Martino di Venezze. Il notevole rilievo assunto dal com-plesso di Frattesina, considerato oggi uno dei maggiori crocevia della protostoria europea, è dovuto alla quantità di significative testimo-nianze recuperate da ricognizioni di superficie su buona parte dell’ esteso villaggio, alle diverse e prolungate campagne di scavo, agli studi e alla divulgazione scientifica di quanto raccolto attraverso la rivista Padusa del Centro Polesano di Studi Storici, Archeologici ed Etnografici, a cui va il merito della scoperta, avvenuta nel 1967, e delle prime ricerche. Il villaggio di Frattesina, presso Fratta Polesine, era distribuito in prossi-mità della sponda dell’antico ramo del Po, per una lunghezza di oltre un chilometro entro una superficie di circa venti ettari. La notevole esten-sione dell’ abitato, la sua potenza

stratigrafica, le sue due ricche necro-poli a cremazione, scoperte a Fondo Zanotto e Narde, oltre alle numerose attività artigianali e commerciali re-gistrate, confermano un’ alta densità di popolazione e un’ organizzazio-ne sociale ed economica che richie-deva mansioni distinte e ben definite.Se a Frattesina la completa documen-tazione di lavorazione del bronzo, attestata da matrici, crogioli, lingotti, trova riscontri in attività di altri coevi villaggi, singolari risultano le docu-mentazioni relative alla produzione di manufatti in avorio e in pasta vi-trea (vetro opaco). La materia prima per la fusione del metallo giungeva dalle aree minerarie della Toscana, mentre per disporre di avorio si do-veva far ricorso a regioni ben più lontane, legate al territorio deltizio padano da rotte mercantili. Le zanne d’ elefante potevano giungere dall’

Ricostruzione di un rito funerario - Rovigo, Museo dei Grandi Fiumi (foto Alberto Bonatti)

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Africa Settentrionale, ma forse anche dalla Siria. Dall’ avorio segato e intagliato si ottenevano raffinati petti-ni, pregiate impugnature di coltelli, pendagli. Un altro aspetto rilevante è dato dalla presenza di attive officine che, al momento, attestano la prima “industria” del vetro in Europa. Sono ben documentati crogioli, scarti di lavo-razione, numerosissime perline, molte di raffinata tipolo-gia, con varietà di colori e qualità della pasta, presente anche in abbondanza di “pani” informi.Inoltre è stata avanzata l’ ipotesi che nello stesso villag-gio si intagliassero perle d’ ambra da resine fossili pro-venienti dal Mar del Nord e dal Baltico in considerazio-ne della presenza di una significativa gamma tipologica di perle, vaghi, pendagli. Se Frattesina non mostra, al momento, la certezza di questa attività, eccezionalmente la lavorazione in loco dell’ ambra ci viene dall’ altro vi-cino villaggio protostorico di Campestrin, presso Grigna-no Polesine, scoperto qualche anno fa e interessato da preliminari scavi archeologici negli anni 2008 e 2009.La ricca documentazione raccolta e la specializzazione della produzione confermano che buona parte dei ma-teriali usciti dalle officine di Frattesina, fosse destinata all’ esportazione nell’ ambito di una fiorente attività com-merciale lungo l’importante arteria fluviale che lambiva il villaggio. L’ antico ramo del Po rappresentava, infatti, la più naturale e facile possibilità di collegamento sia con la fascia costiera, per le rotte mercantili dell’ Adriatico, sia, attraverso l’ Adige, lungo la nota “via dell’ ambra”, com-provando traffici e relazioni con l’ area greca ed egea.Gli scavi, condotti sia nell’ abitato che nelle necropoli, hanno evidenziato due fasi insediative, intervallate da fenomeni alluvionali alla fine del X sec. a.C. In questa fase prende sviluppo il vicino abitato di Villamarzana, quale potenziamento di una rinnovata gestione politica territoriale.Sconvolgimenti idrografici determinano in breve la scom-parsa dei villaggi mediopolesani e l’ eredità di Frattesi-na, qualche secolo dopo, sarà fatta propria da Adria.

SCHEDADove rivivere l’età del Bronzo in Polesine

RovigoMuseo dei Grandi Fiumi - Sezione Età del Bronzo

Fratta PolesineMuseo Archeologico Nazionale di Frattesina

Castelnovo Barianoloc. San Pietro PolesineMuseo Civico Archeologico - Sezione Canàr

MelaraSede municipaleCollezione archeologica di Mariconda

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PASSATO REMOTO

Nuova direttrice del Museo Archeologico nazionale di Adria

Monica Scarpari

Un patrimonio straordinario

Non è molto tempo che lei ha assunto la direzione di questo museo; come ha trovato la situazione, quali linee intende perseguire, quali, se è il caso, accan-tonare. E riguardo a nuovi progetti?Ho avuto la fortuna di pren-dere il posto della dottores-sa Bonomi, poco dopo che in questo museo erano stati eseguiti interventi di am-pliamento e riallestimento, lavori che sono stati quasi completati; restano alcune cose da portare a termine: l’apparato didascalico illu-strativo, l’allestimento della zona d’ingresso e d’acco-glienza e l’apparato mul-timediale. Siamo quindi pronti ad iniziare attività di valorizzazione del mu-seo, soprattutto in virtù di un allestimento particola-re che lo renda un museo all’avanguardia.Le lacune che ci sono (e che forse continueranno ad esserci) sono lacune in parte dovute alla rigidità dell’Amministrazione da cui dipendiamo; siamo cioè un ente figlio dell’or-ganismo della Soprinten-

denza dei Beni Archeologi-ci del Veneto che ha sede a Padova ed ha competenza regionale e che è, a sua volta, un organismo peri-ferico del Ministero; così il Museo non ha una sua au-tonomia finanziaria, cosa che per lo sviluppo di certe iniziative è limitante.

Che genere di rapporti intende coltivare e/o in-staurare con le istituzioni territoriali: la Provincia, il Comune, le Scuole, il Par-co, ecc. ?Desidero instaurare e colti-vare tutti i rapporti possibi-li. Nel senso che i rapporti di collaborazione tra que-

ste istituzioni dovrebbero intessersi come una rete a maglie fitte.Per mia fortuna, sono ar-rivata in una dimensione in cui la Provincia ha già una sua struttura portante significativa, che è il Si-stema Museale Provinciale Polesine; il museo di Adria è inserito in questa realtà. Sottolineo che la provincia di Rovigo si è dimostrata precoce e all’avanguardia nel Veneto nell’ impostare la struttura di un sistema museale, una struttura che agisce con grande con-cretezza ed è improntata ad un collegamento tra le varie realtà e attività dei musei territoriali.Sono in buoni rapporti con il Comune e, per quan-to riguarda le Scuole, ho cercato un legame con gli insegnanti attraverso i dirigenti scolastici, al fine di incrementare e creare nuovi progetti con i diver-si istituti, anche a seconda delle specifiche esigenze. Sto coltivando contatti anche con l’Ente Parco, contatti che secondo me potrebbero essere imple-

“Tutte le realtà possono convivere se si intesse nel territoriouna rete in cui le attività museali sono concordi”

intervista a Giovanna Gambacurta

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mentati, in quanto una realtà archeologica non è mai disgiunta dalla realtà dello sviluppo geomorfolo-gico di un ambiente, sono entità così collegate per cui il legame è doveroso, oltre che utile.Ho un legame molto profi-cuo con l’Azienda sanita-ria, cosa che forse risulta inusuale, ma è comunque un legame territoriale. Come museo, abbiamo proposto il supporto sia tecnico-scientifico che l’of-ferta di materiali, attraver-so il personale di un’asso-ciazione che si occupa di didattica archeologica che svolgerà attività didattica per la pediatria. Ci stiamo anche accordando per-ché l’Azienda ospedaliera

scelga la sala del museo come sala preferenziale per i loro convegni, dato che possiamo offrire un accogliente spazio utile in un contesto culturalmente prestigioso.

Rimanendo nell’ambito dei rapporti esterni, sono pre-viste collaborazioni con altri musei e collegamenti con collezioni di privati? E riguardo alla possibile esposizione di reperti ar-cheologici in luoghi esterni al museo cosa ne pensa?Il tipo di rapporto con gli altri musei rientra un po’ nella nostra partecipazio-ne al Sistema Museale Provinciale. Nella rete che stiamo istituendo questo è quello che si cerca di

fare: capire quali sono i rapporti (anche di caratte-re gerarchico) tra i musei archeologici di tutto il Po-lesine. Questo museo do-vrebbe diventare una gui-da per gli altri musei, deve cioè dettare le linee guida per le attività di valorizza-zione, oltre a garantire la tutela e la conservazione dei materiali. Tutte le realtà possono convivere se si in-tesse nel territorio una rete in cui le attività museali sono concordi; ma in que-sta rete il capolinea devo-no restare i musei naziona-li, quello di Adria insieme a quello di Fratta Polesine; questi infatti sono i musei specificamente preposti a fornire gli indirizzi della valorizzazione e della cor-retta gestione scientifica.Per quanto concerne il rap-porto con i privati, questa per me è una nota un po’ dolente, dato che esiste una mia personale difficol-tà, dovuta al poco tempo che (per motivi d’ufficio) io passo in questa sede; an-che se sono già stata con-tattata da persone interes-sate al deposito di mate-riale presso questo museo, sono costretta, per motivi di tempo, a dare priorità a cose che corrono un mag-gior rischio di dispersione o distruzione. Riguardo alla possibilità di collocare all’esterno di questa struttura alcuni re-perti archeologici, idea che è in sé assai positi-va, questa va sostanziata scientificamente e concre-tamente. Bisogna vedere come e cosa, capire quali sono i sistemi di sicurez-za, le garanzie di conser-

vazione; tutte operazioni che si possono mettere in atto, ma non sono affatto di facile realizzazione e soprattutto non sono a co-sto zero. Inoltre, fattore da non sottovalutare, hanno anche bisogno sistematica-mente di spese di manteni-mento nel tempo.

Cosa ne pensa della pro-mozione di eventi nel giar-dino del museo, come ad esempio concerti, spetta-coli, reading? Non le pare un buon modo per avvi-cinare la gente a questa struttura?Certo, e si potrebbe fare anche di più; del resto noi abbiamo già qualche ini-ziativa in programma. Il problema del giardino è un problema primario: è quello della sua manuten-zione, che noi facciamo costantemente, ma ad un livello abbastanza mini-male, in base alle nostre disponibilità finanziarie.Abbiamo avuto un taglio di fondi assolutamente spaventoso negli ultimi tre anni, il Ministero ha ridotto tutti i finanziamenti destina-ti alla manutenzione delle strutture, per cui abbiamo dovuto limitare le spese, cercando di istituire delle priorità. Offrire il giardino è una di quelle iniziative che ci trova favorevoli e disponibili, ma dovrebbe essere chi lo richiede a renderci atti all’accoglien-za dandoci una mano, ad esempio per gli sfalci d’er-ba e cose simili.

Per Adria la mostra dei Balkani è stata un even-to. Crede sia ripetibile

Statuetta di bronzoche raffiguraEracle cacciatore(fine VI-inizi V sec. a.C.)

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un’esperienza di questo tipo o pensa che sia stata una specie di colpo di for-tuna, un’ “occasione buo-na al momento giusto”, dato che c’era una sala libera appena rinnovata?L’iniziativa di “Balkani” è stata un colpo di fortuna, ma non si deve focalizzare tutto su iniziative dello stes-so genere. Io credo che se non c’è un sostegno, un tessuto di microiniziative frequenti che formino il supporto del rapporto tra il museo e il territorio in cui si vive (oltre che il tessuto del rapporto tra il museo e i visitatori che vengono da fuori), la grande iniziativa che nasce come un fungo nel deserto sboccia e pro-spera ma, quando finisce, lascia il vuoto. La mostra “Balkani” ha coinciso con quel grande lavoro che è stata la ristrut-turazione e l’allestimento del museo: si è trattato di una iniziativa nata in quel-la prospettiva. Ora è finito l’allestimento del museo, e non ci sono più stati eventi

a quel livello. Prima di far-la arrivare, un’iniziativa del genere, bisogna crea-re il tessuto, i presupposti, costruirle un contesto. E’ stato dimostrato da in-dagini sull’andamento dei flussi museali che la grande iniziativa che porta grandi flussi è spesso seguita da un picco negativo. Bisogna mettere in atto una serie di piccole iniziative che co-stituiscano il terreno, atte a far capire che la gran-de iniziativa è un evento importante, ma che non è l’essenziale. La grande ini-ziativa ha senso, perciò, se si inserisce in un contesto e fa parte di un progetto cul-turale chiaro.

Secondo lei, come pro-muovere e far conoscere il nostro territorio e il patri-monio che contiene, dato che è un buon patrimonio, creando consapevolezza nella gente che lo vive e curiosità nel visitatore?La correggo: questo non è un buon patrimonio, è un patrimonio straordinario,

uno dei più importanti pa-trimoni italiani. L’obiettivo di una corretta conoscenza e valorizza-zione di un patrimonio si raggiunge solo con un la-voro che si pone su piani e livelli diversi; bisogna agire con le scuole, cioè cominciare ad educare i bambini, i ragazzi, per continuare poi con il pub-blico adulto, portandolo al museo; inoltre bisogna fare informazione fuori dal museo. Insomma, bisogna muoversi in tante direzioni e soprattutto staccarsi da un’idea, ultimamente sot-tesa a tante realtà, che è quella di un’azione con ri-caduta immediata. In ambi-to culturale gli esiti migliori e più radicati si ottengono a lunga scadenza.

Come si può interessare il visitatore alla nostra città, detentrice di tale tesoro storico, escludendo, o non considerando la sola visita al museo?E’ una domanda alla qua-le si può rispondere in tan-ti modi. Vuole sapere cosa farei io? La prima cosa che mi viene in mente è che porterei il visitatore in una bella giornata di sole a sedere sull’argine del Ca-nalbianco e poi proverei a raccontargli la storia del Po e dei suoi spostamenti nel tempo, del fatto che attraverso Adria passava un ramo del Po, di questo grande fiume che nell’an-tichità rappresentava un punto di incontro e di ap-prodo. Proverei a fargli immaginare un panorama in cui non esisteva il delta e a ricostruire un ambiente

che è poi quello dei poemi omerici. Si potrebbe pro-vare a trasmettere l’emo-zione dei navigatori anti-chi, che arrivavano dalla Grecia, attraversando un mare tempestoso e povero di punti di approdo nella parte meridionale, fino a questa grande insenatura, ricca di lagune e acque tranquille, dove trovavano possibilità di fermarsi e ri-salire lungo la corrente dei fiumi per esercitare i loro commerci. Io ero venuta ad Adria solo qualche volta di pas-saggio, ma ora che ho co-minciato a girare per que-sti luoghi noto che forse chi ha sempre vissuto qui sot-tovaluta l’impatto visivo e soprattutto emotivo di que-sto ambiente; quindi, per me, il modo per spiegare la forza archeologica di questo luogo sta nell’am-biente stesso: portare una persona dove non ci sono tante case, dove si comin-cia a vedere che cosa po-teva significare il fiume, cercando di ricostruire uno scenario. Se ci pensa, furono la con-formazione del territorio, il tipo di collegamenti a cui poteva prestarsi, le sue ri-sorse, tutto questo portò la gente a scegliere queste terre per un centro abitato che andasse verso il mare, che formasse un collega-mento dinamico con tutto quello che c’era di prezio-so e sconosciuto, oltre quel mare; è per il convergere di queste esigenze e di queste idee che ora Adria detiene un patrimonio ar-cheologico di tale valore.

Vaso configurato a forma di colomba in vetro blu(I sec. d.C.) – (Foto C. Mella).

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In corso di pubblicazione:

"Gli Annali Guarnieri"Introduzione, trascrizionee note di Giuseppe Pastega(Le Radici, n.12)

Daniela Zampirollo"Ti tengo d'occhio.Io e il signor Parkinsonquattro anni dopo"(I libri di Daniela)

Aldo Rondina"La Croce Verde di Adria 1911-2011:un secolo di fraternità laica"(Le Radici, n.13)

Luca Grandi e Anna Gobbi"Il Delta davvero.Itinerari del gusto nel Delta del Po Veneto"(Le guide)

Nicola Berti"Per conoscere Marino Marin,poeta di Adria e della terra polesana"(Le Radici, n.14)

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SAPORI E SAPERI

conte Antonio Donà dalle Rose nelle sue tenute polesane di S. Martino di Venezze, bagnate dall’Adige, ebbe la brillante idea di iniziare la coltivazione a pieno campo della patata americana. Un modo per affrontare le difficoltà della globalizzazione di quei tempi. In pochi anni, affinata la tecnica produttiva, il dolce frutto dimostrò tutte le sue peculiarità. L’iniziativa ebbe successo, tanto che in breve la coltura dilagò per il Medio Polesine e per le “terre” a cavallo

Paolo Rigoni

Vallierala patria delle patate americane

Anche il detto p o p o l a r e prende atto

della bontà delle patate di Valliera, specializzatasi nel tempo in colture orticole che prosperavano in modo invidiabile sui fazzoletti sabbiosi complementari alle valli endolagunari. 1

A dire il vero, le patate avevano faticato a farsi accettare sulla tavola. Basti pensare che alla fine dell’Ottocento erano considerate, ma si trattava delle comuni, un alimento così vile da essere ritenuto adatto solo agli animali, accettato di malavoglia persino da chi chiedeva l’elemosina. Comunque, la patata si affermò come cibo di sussistenza e succedaneo della rapa, coltivata sui paleo-alvei e nelle aree più elevate, perciò di più consolidata emersione. Per venire alla specie dolce, la notissima patata americana, la sua importanza per la dieta quotidiana fu intuita proprio in Polesine: “Nel 1880, quando cominciavano ad appalesarsi i primi sintomi della crisi di mercato dei cereali, crisi particolarmente sentita nelle zone a vocazione cerealicola come le nostre, un illuminato imprenditore, il

del Fiume a cominciare da Anguillara Veneta e paesi rivieraschi.” 2 Diritti di primogenitura a parte, il favore incontrato fu tale che, nel 1882, la sua coltivazione era già diffusa ampiamente nei distretti di Adria ed Ariano, tale da indurne il commercio, così come riferisce Giacomo Bisinotto, estensore della relazione per l’Inchiesta Agraria: “Le principali piante tuberose che si coltivano sono: la patata dolce detta Americana (convolvolus batata), e il pomo di terra comune a tinta gialla e a tinta violacea. Della prima, della patata dolce, se ne fa

abbastanza estesa coltura, ed alcuni vi dedicano sino ad un ettaro e più, e ciò specialmente nei terreni della prima zona.3 Il contadino è amatissimo di tal frutto, e lo mangia allesso senza alcun condimento. Se ne fa un bel consumo locale, ed una quantità, non però rilevante, viene esportata. Da un ettaro si possono ritrar mediamente quintali 50 ed il prezzo di vendita oscilla dalle lire 8 alle 16 per quintale”.4

Ottimo sostitutivo del pane, la patata americana è stata per molti anni

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pranzo e cena, merenda e colazione per i bambini che andavano a scuola: “Per colpa della patata che mi portavo nella saca, confessa Ginetto Ferro, rimasi ignorante! Agli esami la maestra mi interrogò sul libro di lettura. ‘Apri la tal pagina e leggi’, mi disse. Ma la pagina non c’era: ‘Mi manca la pagina, signora maestra!’ E così finii bocciato. La patata che mia mamma mi aveva preparato era finita in mezzo al sillabario ed io fui costretto a strappare le pagine per potermela mangiare. Che dovevo fare? Buttarla via? E così per colpa della patata americana rimasi vilàn inculto”. Gli fa eco l’ormai novantenne Amerigo Bellini: “Un giorno arrivò verso le tre del pomeriggio il padrone in timonèla ed io stavo gustandomi una patata calda che la mamma aveva arrostito sul focolare…, ne avevamo tante che tenevamo in camera sotto il letto o a cavallo della pertica, al sicuro. Il padrone si imbestialì. Voleva licenziare mio papà che era bovaio in corte perché stavo mangiando fuori orario… Ma la patata era mia, non era mica la sua!” Si mangiava, quindi, lessa o arrostita; integrava la farina di frumento nella panificazione; si faceva fritta come le attuali patatine. E ancora: non si è mai del tutto smesso di impiegarla, proprio per essere dolce, nella confezione degli gnocchi detti màneghi, conditi con burro, zucchero e cannella, consumati nelle feste d’autunno; si continua a preparare una pinza, pinza di

patate americane, che nel corso del tempo è andata a colmare il vuoto lasciato dai migliacci, diventando un dolce autonomo. Assai meno noti sono i fiadoni.5 Racconta una anziana “reggicitrice”, la rasdóra Luisa Rossi: “I fiadoni si mangiavano la vigilia di Natale o l’ultimo giorno di Carnevale. Semplici da fare! Sono tortelli con il ripieno di patate americane, mostarda, pane grattugiato, latte, uvetta, una fiala di rhum, una bustina di lievito ed un po’ di fior di farina. Poi magari ci si mette del miele… Una volta che ho lavorato l’impasto, faccio la sfoglia e avvolgo il ripieno conferendo al fiadone la forma rettangolare o triangolare. Poi li friggo.Quando cade il tempo, ne faccio sempre in abbondanza perché ho tanti nipoti di bocca buona. A casa mia li abbiamo sempre fatti e chiamati sempre fiadoni”.Semplici ed elementari nella fattura, ma di un sapore elegante e gentile, assicurano coloro che li hanno gustati, i fiadoni rivelano una storia lunga e tortuosa di adattamento all’ambiente che conferisce loro il crisma della “tipicità” perché, per dirla con Piero Camporesi, possono essere tipici soltanto piatti poveri, connaturati ed incarnati nell’ambiente, perciò combinati e combinabili in mille modi, e consumati in precise scadenze calendariali. Come i fiadoni, appunto.E’ vero che appartengono

alla storia europea perché li troviamo un po’ ovunque, come torta, come tortelli ripieni di formaggio fresco, di pasta di mandorle, e di sapa e di tutto ciò che il territorio poteva offrire. Sono presenti altresì nella cucina rinascimentale, col nome dotto di ritortelli o ritortoli, notevolmente diversi dai nostri. Cristoforo Messisbugo, cuoco cinquecentesco alla corte estense nel suo “Libro novo”, li presenta in quattro modi: fiadoncelli de morolla, fiadoncelli d’altra sorte, fiatoni grandi d’uova e formaggio, fiadoni grandi di frumento, farro, o riso.6

E dove sta la tipicità polesana, allora? La singolarità dei fiadoni è costituita dal nome, documento evidente di un’origine lontana e popolare, e dalla presenza della patata americana, non documentata altrove. Poi come di solito avviene, quando subentrano nuove forme del gusto, gli arcaici fiadoni si

sono sedimentati nella cucina povera, di resistenza, finendo per preservarsi soltanto nella memoria orale. E lì sono rimasti

pronti a riapparire nelle date fondanti

dell’anno.

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REM

1 - Nei dintorni di Adria non è ca-suale la presenza di una località denominata Orticelli, proprio per la presenza degli orti che, nella disposizione urbanistica della cit-tà medievale, si trovavano nelle immediate adiacenze del centro abitato, funzionali alle Piazze del-le Erbe.

2 - Corrispondenza di Orazio Cappellari, Rovigo, 2007

3 - I terreni erano censiti secondo tre categorie, in relazione alla produttività del suolo. La prima zona assommava a “29.880 ettari, costituita dalle parti alte e medie dei due distretti, è formata dai comuni di Corbola, Adria, Bottrighe, Fasana, Pettorazza, Papozze, Loreo, e piccola parte dei comuni di Rosolina, Donada, Contarina, e Taglio di Po”, G. Bisinotto, Monografia Agraria

dei Distretti di Adria ed Ariano in Polesine, Estr. dagli Atti della Giunta per l’Inchiesta Agraria, Vol. V, fasc. II, Roma, Forzani e C. Tipografi dl Senato, Roma, 1882, p. 16.

4 - IVI, p. 28

5 - Il termine deriva dal tardo la-tino “flado”, accusativo “flado-nem”, favo di miele.

6 - Cfr. Christofaro di Messisbugo, Libro novo nel qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivande secondo le diversità de i tempi così di carne come di pesce, Forni, rist. anast, dell’edizione di Venezia del 1557, Bologna, 1982, ff. 49-50.

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Nel prossimo numero della nostra rivista

anticipazioni

Il 25 marzo 2010, a Ve-nezia, si è svolto il conve-gno “Infrastrutture cultura-li, paesaggi e archeologie del Polesine” organizzato dall’Unità di Ricerca Ar-chitettura e Archeologia Industriale dell’Università IUAV di Venezia. Il conve-gno ha presentato gli esiti della ricerca “Infrastrutture culturali del Veneto. Per-corsi di terra e d’acqua nei paesaggi dell’arche-ologia”, finanziata dalla Regione del Veneto con fondi FSE e svolta presso l’Iuav dal marzo 2009 al marzo 2010 da Sandro Grispan e Andrea Petrec-ca (assegnisti), Francesca Zannovello (tutor) in col-laborazione con partner esterni e sotto la respon-sabilità scientifica della prof.ssa Margherita Va-nore. Al convegno han-no partecipato, con ap-profondimenti tematici, gli architetti Laura Mosca di Adria e Leonardo Mur-mora di Rovigo (compo-nenti della stessa unità di ricerca). La ricerca ha in-dagato alcune potenzia-lità di valorizzazione del

territorio veneto, mettendo in evidenza come le in-frastrutture possano dare accesso e veicolare la co-noscenza del patrimonio culturale, se interpretate quali parti di una struttura che, componendo i pae-saggi costruisce relazioni tra i suoi luoghi più signi-ficativi.

Itinerari sorretti da reti dei percorsi antichi, intrecciati a quelli esistenti e in pro-getto, correlati alla neces-sità di riqualificazione di diverse archeologie, han-no riportato l’attenzione sul Polesine, un territorio innervato da vie naviga-bili, che ne hanno forte-mente connotato la co-

struzione così come l’uso industriale ed agricolo. Qui le nuove infrastrutture previste (Nogara Mare, Valdastico Sud, Nuova Romea), potrebbero inter-cettare e riformulare il ruo-lo di un ampio patrimonio culturale per individuare adeguate strategie fina-lizzate a dare identità e qualità ai luoghi dell’abi-tare contemporaneo. Nel-lo specifico, tra le diverse aree di approfondimento rientra anche parte del Comune di Adria e il trac-ciato dismesso della linea ferroviaria Adria-Ariano. Questo territorio assume infatti un ruolo strategico nei nuovi scenari di trasfor-mazione infrastrutturale, sia rispetto ai programmi riferiti ai corridoi di lungo raggio Adige e Po, sia per gli aspetti ambientali e cul-turali correlati alle diverse archeologie dei paesaggi produttivi del Polesine. Gli esiti della ricerca sono in corso di pubblicazione, e saranno oggetto di ap-profondimento nel pros-simo numero di questa rivista.

I PAESAGGI E LE ARCHEOLOGIE DEL POLESINE

infrAstrutture culturAli

Università Iuav di Venezia

unità di ricerca architettura e archeologia industriale

Paesaggi e archeologie del Polesine

25 marzo 2010

_

di Laura Mosca

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Hotel“Leon Bianco”

(vicino al Teatro Comunale)

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SAPORI E SAPERI

Ricetta eseguita dallo chef Maurizio Fantinatopresso la cucina didattica “lacucina” di gasparetto 1945 - Rovigo

Màneghidi patate americane di Valliera

preparazione: 45 minuticottura: 5 minutidifficoltà: media

ingredienti per 6 persone:600 g di patate americane200 g di farina100 g di zucchero50 g di cannella100 g di burro100 g di grana padanosale

Matteo Peretto

fotografie diLudovico Guglielmo

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REM

Lessate le patate americane, passate-le nello schiacciapatate e lasciatele raffreddare per facilitare l’operazio-ne di amalgama.

Versatele in un recipiente e aggiun-gete la farina, salate, mescolate con energia e formate dei bastoncelli del diametro di un dito che taglierete alla lunghezza di 4-5 cm.

Portate a ebollizione l’acqua salata e immergete un po’ alla volta i màne-ghi così ottenuti.

Non appena salgono in superficie toglieteli con una schiumarola.

Confezionate in un pentolino uno sci-roppo con poche gocce d’acqua e zucchero mescolando vigorosamen-te sulla fiamma.

Fatevi fondere il burro, aggiungete la cannella e incorporate il tutto con i màneghi.

Serviteli con una bella spolverata di grana padano grattugiato, che gra-zie al gusto leggermente piccante si combina perfettamente con il dolce dello zucchero e delle patate.

I màneghi possono tuttavia essere conditi anche semplicemente con burro e salvia.

Ricetta tratta dal libro:CUCINA POLESANARicette e racconti tra storia e memoriaa cura di:MATTEO PERETTO e PAOLO RIGONIedizioni Terra Ferma

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Le TERME di LIDO DELLE NAZIONICOMACCHIO (FE)

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IMMAGINICASTLEBEER MMX-2010GIOVEDI 24 GIUGNO

VENERDI 25 GIUGNO

SABATO 26 GIUGNO

DOMENICA 27 GIUGNO

LUNEDI 28 GIUGNO

MARTEDI 29 GIUGNO

MERCOLEDI 30 GIUGNO

OCEANDRIVE + MISTER NO

KISMET + NO SPEECHDJ-SET(Ketty e Alteria)[email protected] 3° CASTLEVESPARADUNO

RIFF RAFF + ROCK SCHOOLI Maestri del Rock

QUEEN MANIA

KIDS AND FLOWERSANDREA RIGONAT chitarrista di ELISA

ANIME IN PLEXIGLASSMAX COTTAFAVIchitarrista di LIGABUE

YANO DJ + KUMA PERCUSSION

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VIII^

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TESI DI LAUREA

sivo in qualità di omnibus (aiuto cameriere) presso l’Hotel Brunswik di New York.Nel settembre 1880 trova impie-go presso un conoscente della si-gnora Howard Crosby come con-tabile, quest’ultima sarà colei che lo introdurrà nello studio profondo della lingua inglese.Il 6 dicembre 1880 assume la direzione del primo giornale di lingua italiana a New York “Il pro-gresso italo-americano”; durante questo periodo cerca di alleviare le sofferenze di molti emigranti italiani che arrivano in America elargendo consigli, idee e denun-ciando soprusi a danno dei propri connazionali.Nel luglio 1881, allettato da alte promesse di guadagno, si fa in-gaggiare come caposquadra e parte per le montagne rocciose del Colorado. Dopo essersi reso conto di essere

Storia di un Polesano illustre

Nella sezione TESI DI LAUREA ospitiamo la sintesi di lavori di giovani studiosiche si sono occupati di personaggi e di storie del nostro territorio.

Andrea Duò

Adolfo Rossi

Adolfo Rossi nacque a Lendi-nara (Rovigo) il 30 settem-bre 1857. Per la verità, nel

1857, Valdentro (la frazione nella quale nacque), era di pertinenza del comune di Fratta Polesine (RO) e solo in seguito all’unità d’Italia, la suddetta frazione fu annessa a Lendinara. Il padre Giuseppe, di estrazione piccolo-borghese, morì mentre Rossi frequentava il liceo, e questo corrispose alla sua interru-zione degli studi e al suo impiego presso il locale ufficio postale. Il monotono trascorrere delle giorna-te, associato alla sua indole irre-quieta e curiosa, lo spinsero, il 4 agosto 1879, a tentare la fortuna e a partire per il continente ame-ricano (all’insaputa della madre).Tocca il suolo americano il 28 agosto 1879, e per un periodo è costretto a vivere di espedienti. Nel settembre 1879 inizia a lavo-rare come rappresentante di vini, poi come apprendista presso una fabbrica di occhiali, per poi col-laborare in una pensione per ita-liani. Lavori umili, che solo la sua determinazione gli permetteva di effettuare.Da gennaio a giugno1880 viene assunto presso una pasticceria, ma se ne va sbattendo la porta dopo un rimprovero ritenuto ingiu-sto.Riesce quindi nel giugno 1880 a trovare impiego come gelatie-re presso il Metropolitan Concert Hall. Per passare il mese succes-

stato ingannato e che il posto di la-voro sulle montagne rocciose non esisteva, nell’estate 1881 lavora presso un ristorante di un piccolo paese di montagna, in qualità di tuttofare. Dopo questa esperienza inizia però a collaborare per il consolato italiano di Denver (Co-lorado).Riassunse la direzione del “Pro-gresso italo-americano” alla fine del 1881 tenendola fino al 1884.Nel 1884 decide di tornare in Italia ed inizia a collaborare con diversi giornali, più precisamente con “Il Messaggero” e “La Tribu-na” di Roma. Dal 1888 al 1890 vive e lavora a Parigi come gior-nalista corrispondente.Nel 1889 compie una inchiesta sulle condizioni sociali e sanitarie sulla popolazione del Polesine.Scrisse per conto della “Sera” di Milano e dal 1894 divenne inviato speciale del “Corriere della Sera” nonché redattore-capo dello stes-so giornale. Inviato di guerra nel febbraio 1896 è espulso dall’Eri-trea dal governatore gen. Oreste Barattieri, in quanto troppo critico verso la direzione delle operazio-ni militari nell’area.Per le sue capacità giornalistiche divenne vicedirettore dell’ “Adria-tico” di Venezia, continuando la sua collaborazione con il “Mor-ning Post” di New York. Molti i suoi articoli apparsi sul “Secolo XIX” di Genova. Memore della sua avventura di

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emigrante, nel 1901 entra a far parte del Commissariato dell’Emi-grazione, e nel gennaio all’aprile 1902 compie, in parte in inco-gnita, una missione in Brasile per lo studio delle condizioni di vita

degli emigranti italiani in quel pa-ese. Vista la situazione dei veneti e degli italiani in Brasile (trattati poco meglio delle bestie) i risul-tati dei suoi rapporti saranno gli ispiratori del Decreto 22 marzo

1902 (Decreto Prinetti) per bloc-care l’emigrazione degli italiani verso le coste brasiliane.Nel 1903 condusse un’inchiesta sulle condizioni degli immigrati italiani nel Transwaal (Sud-Africa)

TESI DI LAUREA

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TESI DI LAUREA

seguita, l’anno successivo, da una missione per la conoscenza delle condizioni degli emigranti italiani a New York, San Francisco e in vari stati americani.Nel giugno1905 compie la me-desima missione a Buenos Aires poi a Rio de Janeiro e nello stesso anno torna a New York per costitu-ire il primo ufficio di collocamento per gli italiani.Per i suoi meriti e le sue competen-ze maturate sul campo entrò a far parte dell’apparato diplomatico.Il Primo maggio 1906 inizia a far funzionare l’ufficio di colloca-mento al lavoro a New York e nel 1908 viene nominato console a Denver. Ricoprirà la stessa carica a Montreal (Canada) e a Rosario di Santa Fè (Argentina).Nel 1914 divenne capo della diplomazia italiana ad Asuncion (Paraguay), e nel 1919 assume la carica di Ministro Plenipotenziario (ambasciatore) a Buenos Aires (Ar-gentina). Se si osservano le attività di Rossi sembra quasi impossibile che un uomo nel corso della sua vita abbia fatto tutte queste attivi-tà. Stiamo parlando di un uomo che partito dall’ufficio postale di Lendinara trattava con re, principi, ministri, editori, alti funzionari, ma che continuava tranquillamente a parlare e a discutere con operai, contadini e braccianti. Un uomo animato da una curiosità illimita-ta, capace di entrare nei fronti di guerra e di rischiare più volte la vita per tale motivo. Un uomo che prese le difese di Meucci per di-fenderlo dalla frode perpetrata da Edison e Bell. Ogni attimo della vita di Rossi sembra essere scandito da una irrequietezza interiore che non lo vede mai sufficientemente ap-pagato di quello che aveva fatto o scritto fino ad allora. Spesso i suoi articoli, pur se già pubblicati, erano corretti o riformulati dal suo stesso autore, come se ancora non

fossero pronti o completi.Egli comunque, per la sua curio-sità e la sua volontà di conoscere ed apprendere, paga sicuramente un prezzo estremamente elevato: la solitudine.Rossi era fondamentalmente solo; nei viaggi che compie non vi sono tracce di amici, fratelli o compa-

gni d’avventura. Alcune foto lo ri-traggono con la famiglia, ma mai nessun riferimento ad una festa di compleanno in famiglia, ad un momento di serenità con la pro-pria moglie o con i propri figli.Muore a Buenos Aires il 28 luglio 1921.

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OPERE PUBBLICATE

Un Italiano in AmericaMilano, Treves 1892.

Da Napoli ad AmburgoRoma, Stabilimento tipografico della Tribuna 1893.

Nel paese dei dollariMilano, Max Kantorowitcz 1893.

Nel regno di Tiburzi Roma, Perino 1893.

L’agitazione in Sicilia Milano, Max Kantorowicz 1894.

L’Eritrea com’è oggiRoma, Voghera 1894.

Il garofano rossoMilano, Aliprandi 1893.

Alla guerra greco-turcaMilano, Bemporad 1897.

Da Costantinopoli a Madrid: Impressioni di un corrispondenteMilano, Aliprandi, 1898 (vi è poi una seconda edizione Catania, ed. Giannotta 1899).

Un’escursione nel Montenegro Milano, Aliprandi, 1896.

Le nostre conquiste in AfricaMilano, Max Kantorowicz 1895.

Da Asuncion (Paraguay) a Buenos Aires con un idrovolante italiano Roma, Tipografia dell’Unione, 1919.

Inglesi e boeri attraverso l’Africa Australe e il TranswaalMilano, Treves 1900.

Note e impressioni di un viaggio nel distretto consolare di RosarioRoma 1889.

OPERE INEDITE

Fra gli italo-argentini. Note di viaggio nel distretto consolare di Santa FèOpera del 1913.

In Eritrea durante la guerraRaccolta di articoli giornalistici (1894).

OPERE NON DISPONIBILI

XX SettembreMilano, Treves.

I massacri degli ArmeniMilano, Carlo Aliprandi editore.

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Adolfo Rossi da giovane.

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U�cio Cultura e Servizi BibliotecariServizio Cultura - Provincia di RovigoVia Celio n. 10 - 45100 Rovigotel. 0425.386125fax 0425.386380

SERVIZI OFFERTII Servizi comuni organizzatidal Sistema Bibliotecario Provinciale sono: PER GLI UTENTI> Catalogo Collettivo on-line (OPAC)> Cataloghi speciali e tematici> Servizio di prestito interbibliotecario> Servizio di prestito intersistema> Attività di animazione e promozione alla lettura> Progetti culturali speciali

BIBLIOTECHE ADERENTIIl Sistema Bibliotecario Provinciale è attualmente costituito dalla cooperazione di 55 biblioteche: 42 biblio-teche civiche (84% dei Comuni aderenti), 3 biblioteche per ragazzi, 6 biblioteche scolastiche, 4 di altri Enti o Associazioni (tra le quali le biblioteche della Provincia di Rovigo, Ente Centro Sistema, e dell'Accademia dei Concordi, partner tecnico-biblioteconomico nel progetto S.B.P.). CIVICHEAdria - Ariano Polesine - Arquà Polesine - Badia Polesine - Bagnolo di Po - Bergantino - Bosaro - Calto - CastelguglielmoCastelmassa - Castelnovo Bariano - Ceneselli - Ceregnano - Corbola - Costa di Rovigo - Crespino - Ficarolo - Fiesso UmbertianoFrassinelle Polesine - Fratta Polesine - Gavello - Giacciano con Baruchella - Guarda Veneta - Lendinara - Loreo - Lusia - MelaraOcchiobello - Pettorazza Grimani - Polesella - Pontecchio Polesine - Porto Tolle - Porto Viro - San Bellino - San Martino di VenezzeSalara - Stienta - Taglio di Po - Trecenta - Villadose - Villamarzana - Villanova Marchesana

BIBLIOTECHE SCOLASTICHEConservatorio di Musica Antonio Buzzolla - Adria | IPSSCT Marco Polo - Rovigo | ITC Edmondo De Amicis - RovigoLiceo Scienti�co Eugenio Balzan - Badia Polesine | Liceo Scienti�co Galileo Galilei - Adria | Liceo Scienti�co Paleocapa - Rovigo

BIBLIOTECHE RAGAZZIAccademia dei Concordi - Multispazio Ragazzi | Adria - Biblioteca dei Ragazzi | Porto Viro - La Bottega di Pinocchio

ALTRE BIBLIOTECHEAccademia dei Concordi | Centro Francescano di AscoltoProvincia di Rovigo | Seminario Vescovile S Pio X di Rovigo

IL SISTEMA BIBLIOTECARIO PROVINCIALE DI ROVIGO (SBP)

Nel 1997 la Provincia di Rovigo e l’Accademia dei Concordi di Rovigo, in considerazione del ruolo essenziale che le biblioteche hanno nello svilup-po culturale e sociale di ciascuna comunità, hanno avviato il progetto di costituzione del Sistema Bibliotecario Provinciale allo scopo di ra�orzare e sviluppare le attività delle biblioteche attraverso la cooperazione e l’organizzazione comune di alcuni servizi.

Il Sistema Bibliotecario Provinciale è la rete costituita dalle biblioteche della provincia di Rovigo con l’obiettivo di valorizzare le risorse biblioteco-nomiche presenti sul territorio ed il potenziamento della qualità e quanti-tà dei servizi da o�rire ai cittadini utenti di biblioteca.

Gli enti aderiscono sottoscrivendo una convenzione con la Provincia di Rovigo, nella quale sono stabiliti gli impegni a carico delle parti.

Il Sistema Bibliotecario Provinciale svolge la propria attività sulla base di programmi annuali di sviluppo, approvati dalla Regione Veneto.

Il progetto è attualmente sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Contributi allo sviluppo sono stati o�erti, in fase iniziale, anche dalla Fondazione Banca del Monte di Rovigo.

Provincia di RovigoComunicazione istituzionale

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