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III MEETING SNO TOSCANA INNOVAZIONE E HIGH TECHNOLOGY NELLE NEUROSCIENZE TOSCANE Relazioni

Human-machine symbiosis and social robotics Carrozza M.C.Rettore della Scuola Superiore Sant’Anna, Professore Ordinario di Bioingegneria Industriale (ING-IND/34) presso l’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

La sostenibilità del welfare verrà gradualmente messa in discussione dal progressivo invecchiamento della popolazione, una delle sfide più critiche che le attuali nazioni industrializzate dovranno affrontare nei prossimi decenni. In 40 anni da oggi ci si attende che quasi il 35% della popolazione europea avrà un età di oltre 60 anni: se queste tendenze di evoluzione demografica saranno confermate, sarà importante elaborare soluzioni basate su servizi e tecnologie abilitanti che permettano alle generazioni più anziane di rimanere attivi, produttivi, creativi e soprattutto indipendenti. Insieme alle malattie tipiche dell’invecchiamento, i disturbi del cammino e le difficoltà di controllo degli arti superiori sono le conseguenze più comuni e frequenti che comportano un peggioramento della qualità della vita, e una crescente mortalità. Nei prossimi anni, le disabilità e le disfunzioni degli arti superiori e inferiori legate all’invecchiamento potenzialmente porteranno ad un incremento del numero di persone che dovranno richiedere assistenza nello svolgere le fondamentali attività della vita quotidiana. In questo scenario, le persone saranno sempre di più dipendenti dalle tecnologie per poter vivere una vita piena ed indipendente.La risposta della ricerca a questo evidente ed incombente bisogno progressivo di ausili per le attività motorie di vita quotidiana può essere basata sullo sviluppo di robot e sensori indossabili, strumenti che permettano non solo un monitoraggio continuo dello stato di salute ma soprattutto un ausilio continuo, gentile, trasparente e senziente nel compiere le azioni motorie.Il rapporto fra robot indossabile e persona si basa quindi non solo su una tecnologia robotica evoluta e affidabile ma soprattutto su un controllo di interazione adeguato e un’interfaccia in grado di leggere e interpretare le intenzioni del soggetto, senza prevaricarlo mai e comprendendo i comandi incipienti in tempo reale. Tale sistema può essere definito, con un concetto azzardato dal punto di vista filosofico ed etico, ma comunque appropriato da un punto di vista tecnico, come simbiosi uomo-macchina attraverso tecnologie ICT indossabili. Se la società saprà credere in una soluzione robotica al welfare ed investirà nello sviluppo di queste tecnologie in modo adeguato, i sistemi sviluppati fino ad ora evolveranno proba-bilmente in modo analogo a quanto accadde nel passato al personal computer (come previsto da J.C.R. Licklider nel suo lavoro Man-Computer Symbiosis, nel 1960, agli albori dell’informatica) che gradualmen-te è diventato uno smart phone che si adatta progressivamente al proprietario fino a funzionare in simbiosi e a prolungarne le abilità cognitive.Si può discutere sulle implicazioni che possono discendere da una simile evoluzione sociale della roboti-ca e della biorobotica, e immaginarne le sue conseguenze da un punto di vista etico, politico e industriale. Il compito della scienza è proprio anticipare il futuro e anche confrontarsi con le grandi domande che pone l’umanità. Questa presentazione introdurrà i risultati ottenuti negli anni passati dalla squadra di in-gegneri neuro-robotici dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna. Nel particolare, ver-ranno presentate le seguenti tecnologie: NEUROExos, esoscheletro che potenzia il gomito, HANDEXOS, mano esoscheletrica, il senso artificiale del tocco e plantari del piede sensoriali.

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ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN TEMA DI ICTUS

Riperfusione e non solo ricanalizzazione dopo trombolisiGallerini S. U.O. Neurologia, Grosseto

La trombolisi endovenosa con rtPA entro 4,5 ore dall’esordio dei sintomi rappresenta l’unico trattamento approvato nell’ictus ischemico. Tuttavia alcuni modelli di combinazione della trombolisi endovenosa e in-trarteriosa (“bridging”) si stanno diffondendo per aumentare la ricanalizzazione e migliorare l’outcome nei pazienti con occlusione dei grossi vasi. Negli studi endovascolari, però, gli alti tassi di ricanalizzazione non sono sempre associati ad un buon outcome clinico creando il cosiddetto “revascularization-outcome paradox”, scenario in cui ricanalizzazione e riperfusione sono incongruenti. In modelli animali, a dispetto di una ricanalizzazione macrovascolare, non sempre si realizza tuttavia una riperfusione a livello capilla-re: tale fenomeno è definito “no-reflow”. Il “no-reflow” può dipendere da una frammentazione del trombo con embolia a valle del segmento occluso o da edema interstiziale nel territorio vascolare. Anche quando la ricanalizzazione si associa a riperfusione nel contesto di un tessuto non più vitale l’outcome sarà sfa-vorevole. In questo contesto recentemente è stato proposto un nuovo paradigma nella valutazione dello stroke ischemico rappresentato dallo studio dei circoli collaterali (“collateral perfusion paradigm”) e della persistenza della penombra ischemica (“penumbra is brain”)per predire una buona risposta clinica. L’ima-ging CT/MR multimodale può offrire nuovi criteri di selezione dei pazienti per massimizzare l’efficacia del trattamento trombolitico (EV/IA). L’impiego di farmaci neuroprotettivi per prolungare la sopravvivenza del tessuto ischemico e nuovi fibrinolitici sono tuttora in corso.

Come riconoscere se la fibrillazione atriale è causa di ictusChiti A. Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O.C. Neurologia, A.O.U. Pisa

Circa un quarto dei casi di ictus ischemico rimane da causa sconosciuta (“ictus criptogenico”). La fibrilla-zione atriale parossistica subclinica (SPAF) potrebbe essere la causa di almeno una parte di tali ictus; so-spettarla e diagnosticarla potrebbe avere rilevanti implicazioni per la prevenzione secondaria, orientando verso la terapia anticoagulante orale piuttosto che verso la terapia antiaggregante. Sistemi di monitoraggio del ritmo cardiaco di lungo termine (esterni o impiantabili) sono in grado di rilevare episodi di SPAF che altrimenti rimarrebbero non diagnosticati; l’individuazione di fattori e score di rischio per SPAF (in base a criteri clinico-anamnestici, laboratoristici e strumentali) consentirebbe la selezione dei casi con più alto rischio pre-test, aumentando la cost-effectiveness della metodica diagnostica. E’ da sottolineare che il rin-novato interesse diagnostico per la detezione di episodi di SPAF (anche di brevissima durata) si sta accom-pagnando alla ridiscussione della relazione etiopatogenetica tra fibrillazione atriale e ictus, suggerendo che tale aritmia, quanto meno in alcuni casi, potrebbe rappresentare un marker di “cardiomiopatia atriale emboligena” piuttosto che un fattore di rischio. Se la fibrillazione atriale non è causa di ictus criptogenico non-lacunare, né sono individuate altre fonti cardioemboliche maggiori, aterosclerosi dei grossi vasi con stenosi superiore al 50% o cause più rare e specifiche (quali dissezioni e vasculiti), tale ictus potrebbe essere definito come “embolic stroke of unknown source” (ESUS). Nel suo complesso il suddetto fermento diagnostico, che si innesta su sistemi classificativi spesso ritenuti semplicistici e poco chiari (TOAST) o troppo complessi (ASCOD), necessita di trovare validazione in studi condotti con criteri chiari ed omoge-nei, con l’obiettivo finale di offrire al paziente una terapia sicura, efficace e personalizzata.

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Ictus: biomarcatori circolanti e correlati di neuroimagingPiccardi B. Dipartimento Neurofarba, Università di Firenze

Nei paesi occidentali l’ictus rappresenta la seconda causa di morte e la prima di disabilità nella popo-lazione adulta. Il trattamento trombolitico ed il ricovero in Stroke Unit possono migliorare l’outcome funzionale in una proporzione considerevole di pazienti. La ricanalizzazione tuttavia non è sempre ac-compagnata ad un miglioramento clinico poiché può verificarsi il così detto “danno da riperfusione”. La rottura della unità vascolare ed in particolare una lesione a livello della barriera emato-encefalica (BEE) sono considerati fenomeni chiave nella determinazione del danno tissutale post-perfusionale responsabili di complicanze quali trasformazione emorragica sintomatica, edema e peggioramento clinico. Lo studio multicentrico italiano Markers BioloGici associati all’Ictus Cetebrale (MAGIC) ha mostrato come le varia-zioni relative, pre e post trattamento trombo litico, dei livelli di metallo proteinasi-9 (MMP-9) si associno a trasformazione emorragica sintomatica ed esito clinico funzionale sfavorevole a 3-mesi. Il danno della BEE può essere visualizzato in vivo mediante tecniche avanzate di neuroimaging come l’enhancement contrasto grafico (Gd-DTPA) del liquido cefalorachidiano a livello dei solchi emisferici con sequenze di Risonanza Magnetica o sequenze di permeabilità con la TC di perfusione. La valutazione di marcatori neuroimaging da mettere in relazione con i marcatori biologici circolanti per la valutazione della perme-abilità della BEE potrebbe migliorare la comprensione dei meccanismi neuropatologici sottesi al danno tissutale post-perfusionale in pazienti con ictus ischemico trattati con trombolisi sistemica.

Malattia di Fabry e Ictus: ipotesi di protocollo e screening toscanoNencini P. Stroke Unit e Neurologia, A.O.U. Careggi, Firenze

La malattia di Fabry (MF) è una malattia da accumulo X-linked, determinata da deficit dell’enzima lisoso-miale alfa-Galattosidasi A. I sintomi possono insorgere in età pediatrica, in età giovanile o in età adulta e interessare entrambi i sessi con fenotipo estremamente variabile. Angiocheratoma, acroparestesie dolorose, cornea verticillata o pro-teinuria sono segni precoci nei maschi con fenotipo tipico ma possono essere assenti o minimi sia nelle femmine che nei maschi con fenotipo atipico. I quadri di interessamento cerebrovascolare sono spesso la prima causa di ospedalizzazione di pazienti con MF. Nel complesso si ritiene che la MF sia sotto-diagnosticata.Uno screening sistematico condotto su 108 pazienti (maschi 61%; range età 18-60 anni) con primo epi-sodio/recidiva di ictus ischemico acuto/TIA, ricoverati consecutivamente presso l’AOU Careggi di Firenze, ha permesso di identificare 3 diagnosi De novo di MF (1 maschio e 2 femmine). La prevalenza di MF in questa casistica risulta essere pari a 2.8% (95% 0.57-8.18). Tutti e 3 i pazienti con MF erano affetti da episodi ischemici ricorrenti ed il ritardo diagnostico dal primo ictus era rispettivamente di 4, 5 e 12 anni. In questa casistica di 108 ictus ischemici/TIA in età giovanile-adulta, la presenza di angiocheratoma (p<0.01), storia di dolore mani/piedi (p<0.01), proteinuria (p=0.02) e ictus/TIA ricorrenti (p=0.04) è risul-tata associata alla MF, in analisi univariata.In conclusione, sulla base delle conoscenze attuali, la presenza di MF in giovani adulti con ictus ischemi-co/TIA è rara, ma non trascurabile. Si discuterà sulla utilità e fattibilità di una indagine accurata e sistema-tica per la identificazioni di MF in pazienti con ictus nella pratica clinica.

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ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN TEMA DI SCLEROSI MULTIPLA

La Neuromielite Ottica. Una sfida diagnostica e terapeutica nella pratica clinica Pastò L. Dipartimento NEUROFARBA, Sezione Neuroscienze, Università di Firenze

Neuromyelitis optica (NMO, Devic’s syndrome), long considered a clinical variant of multiple sclerosis, is now regarded as a distinct disease entity, that targets the optic nerve and spinal cord, although it may also target certain areas of the brain. Major progress has been made in the diagnosis and treatment of NMO since aquaporin-4 antibodies (AQP4-Ab; also termed NMO-IgG) were first described in 2004. Testing of AQP4-Ab is essential and is the most important test in the diagnostic work-up of suspected NMO. Fur-thermore, AQP4-Ab testing has expanded our knowledge of the clinical presentation of NMO spectrum disorders (NMOSD). In addition magnetic resonance imaging of the brain and spinal cord, are obligatory in the diagnostic workup. Imaging typically shows longitudinally extensive lesions spanning three or more vertebral segments. It is important to note that brain lesions in NMO and NMOSD are not uncommon, do not rule out the diagnosis, and show characteristic patterns. The clinical course of NMO is dominated by acute attacks. Therapy of NMO should be initiated early. Corticosteroids and plasma exchange are useful for management of acute attacks. Several treatments used to prevent attacks of multiple sclerosis are ineffective in this condition; effective immunotherapies include azathioprine, mycophenolate mofetil and rituximab. Promising new therapies are emerging in the form of anti-IL6 receptor, anti-complement or anti-AQP4- Ab biologicals.

I nuovi algoritmi terapeutici nella SM RR... e per la SM PP? Rossi F. Siena

La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia autoimmune, infiammatoria cronica, demielinizzante del Sistema Nervoso Centrale (SNC). La malattia colpisce, prevalentemente giovani donne tra i 20 e i 40 anni ed è la seconda causa di disabilità nei giovani adulti. La malattia può avere andamento clinico diverso, la forma più frequente è rappresentata dalla forma a ricadute e remissioni (85 % dei casi), caratterizzata dalla com-parsa di un deficit neurologico (deficit di forza, disturbi del visus, vertigini etc) che compaiono acutamente e vanno poi incontro a remissione. Le ricadute, sono iniziate dall’attivazione periferica di leucociti, che entrano nel SNC attraverso una “rottura” della barriera emato-encefalica. La terapia della SM consiste di una serie di farmaci, il cui obiettivo principale è rappresentato, dalla prevenzione delle ricadute di malattia e di conseguenza la progressione della disabilità. Questi farmaci sono definiti “disease modifyng therapies” (DMTs). Sono stati approvati dieci trattamenti per la terapia della SM: quattro forme di Interferoni (IFN), Glatiramer acetato, Natalizumab, Fingolimod, Alemtuzumab, Teriflunomide e Dimetil-Fumarato (BG12). La prima generazione di questi farmaci è rappresentato dagli IFN e dal Glatiramer acetato. Natalizumab è un anticorpo monoclonale che si lega selettivamente alla sub unità α4 della molecola di adesione cellulare VLA-4 espressa sulla superficie di linfociti, bloccandone l’Ingresso nel SNC. Fingolimod la prima molecola utilizzata per via orale, favorisce la redistribuzione ai linfonodi dei linfociti auto-aggressivi riducendone la ricircolazione nel SNC. Alemtuzumab è un anticorpo monoclonale anti-CD52 che determina già in singola dose, una robusta deplezione di linfociti e mono-citi. Dimetil-Fumarato (BG-12), esercita la sua azione attraverso l’attivazione della risposta antiossidante. Teriflunomide inibisce selettivamente un enzima mitocondriale che è necessario, per la sintesi de novo di pirimidine e in tal modo limita l’espansione di cellule B e T stimolate e riduce il numero di linfociti attivati.Tutti questi farmaci agiscono sulla componente infiammatoria di malattia e pertanto trovano indicazione nella SM–RR, ma una o due decadi dopo l’esordio dei sintomi, più della metà dei pazienti sviluppa una forma secondaria progressiva (SP). L’accumulo di deficit neurologici e di lesioni, conduce verosimilmente a perdita assonale. Farmaci immunomodulanti,largamente usati nella SM-RR non hanno condotto a risul-

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tati efficienti quando estesi alla SM-SP (IFN, ciclofosfamide). Strategie di neuro-protezione diretta (lamotri-gina, tetraidrocannabinoidi), hanno fallito. Recentemente sono stati pubblicati i risultati di un trial in fase 2, che utilizza Simvastatina ad alte dosi (80mg) in un gruppo di pazienti con SM-SP. È stata riscontrata una riduzione dell’atrofia cerebrale annualizzata, rispetto a placebo. Nuovi risultati si attendono dagli studi di fase 3.

SM e disturbi del pavimento pelvico. Quale approccio multidisciplinare? Pasquali L. Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O.C. Neurologia-Neurofisiopatologia, Università di Pisa

La disfunzione del pavimento pelvico, che include sintomi urinari, intestinali e/o sessuali, è piuttosto co-mune nei pazienti con Sclerosi Multipla (SM) e ne riduce nettamente la qualità di vita, poiché, oltre ad essere una causa significativa di disabilità, influenza negativamente le relazioni sociali e le attività quoti-diane. I disturbi del pavimento pelvico sono legati primariamente alla localizzazione nel midollo spinale delle placche demielinizzanti, sebbene anche le localizzazioni intracerebrali della malattia possano influen-zare il controllo delle funzioni pelviche. Altri fattori quali fatica, spasticità, disturbi motori nonché fattori psicologici, sociali o culturali incidono sulla presenza di tali disturbi. I disturbi del pavimento pelvico si verificano nel 50-80% dei pazienti con SM durante la malattia, tuttavia nel 3-10% dei pazienti rappresen-tano l’esordio. Poiché i disturbi del pavimento pelvico sembrano correlare positivamente con l’età, l’EDSS e la durata di malattia, è necessario diagnosticarli precocemente per evitare la loro cronicizzazione, con relative compli-canze, e per instaurare una terapia. L’approccio del neurologo si basa sulla corretta raccolta anamnestica, indagando la presenza di disfunzioni genitourinarie e anorettali, nonché sull’eventuale somministrazione ai pazienti di questionari atti a valutare le varie funzioni pelviche quali UBQMS-Urinary Bothersome Questionnaire in Multiple Sclerosis, MSISQ-19-Multiple Sclerosis Intimacy and Sexuality Questionnaire. Successivamente il paziente deve essere affidato ad un team multidisciplinare, comprendente l’urologo, il gastroenterologo, il ginecologo, l’andrologo, il fisiatra e lo psicologo, che, coordinato dal neurologo di riferimento, possa valutare tali disturbi con gli specifici strumenti a propria disposizione. La gestione dei disturbi del pavimento pelvico può tuttavia risultare complicata, a causa dell’evolutività della patologia di base e della presenza di altri segni e sintomi legati alla malattia che possono inficiare l’esito dei trattamenti proposti. Tuttavia è possibile confidare in diversi approcci, più o meno conservativi, da personalizzare in base alle esigenze del paziente, al suo grado di disabilità e alla sua capacità di collaborazione.

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L’ORGANIZZAZIONE DELLE NEUROSCIENZE: LA COSTRUZIONE DEI PERCORSI E LA RETE DEI SERVIZI

L’ictus nel PSSIR 2012 -2015 e nella recente normativa regionale e nazionale Palumbo P.*, Mazzoni M.**, Marconi R.**** Direttore U.O. Neurologia, Nuovo Ospedale di Prato, Prato ** U.O. Neurologia, AUSL 2, Lucca *** U.O. Neurologia, Grosseto

Nel corso del 2013 le neuroscienze della Regione Toscana hanno partecipato ai lavori di un gruppo de-signato dal Consiglio Sanitario Regionale, con il compito di definire il percorso clinico assistenziale del paziente con ictus. Il gruppo che vedeva la partecipazione anche di internisti, fisiatri, altre discipline e professioni non ha trovato una convergenza con il CSR ed il testo presentato, nella bozza di PSSIR, ha visto la netta disapprovazione del mondo delle neuroscienze. Il sottoscritto, durante il II° Meeting SNO (aprile 2014) ha concluso il proprio intervento sull’argomen-to con le seguenti parole “La proposta condivisa dai professionisti (neurologi ed internisti) che trattano l’ictus in Toscana, nonostante numerosi tentativi, non è stata accettata. Siamo impegnati per proporre un emendamento in IV Commissione RT. Ma la domanda inquietante che a tutt’oggi non ha una risposta è la seguente: a chi può servire tutto questo ?”. Successivamente le nostre proposte sono state accolte ed i concetti inseriti nel PSSIR (approvato nel novembre 2014), condivisi anche con gli internisti, affermano che Stroke Unit/Stroke Area è un area di degenza definita per l’assistenza dei pazienti con ictus acuto, con alcuni letti monitorizzati ed utilizzati in modo flessibile (specificamente ma non esclusivamente dedicati così come l’equipe medico infermieristica preposta). In pratica gli aspetti più controversi legati al setting clinico assistenziale ospedaliero sono stati alla fine approvati, con il consenso delle neuroscienze toscane. Questa esperienza ci insegna che solo attraverso un approccio unitario, avanzando proposte condivise, partecipando ed esercitando una legittima pressione è possibile trovare le risposte auspicate presso gli organismi istituzionali.

I percorsi toscani per la chirurgia dell’epilessia Campostrini R.*, Giordano F.**, Rocchi R. **** Dirigente medico c/o Unità operativa di neurologia e neurofisiopatologia dell’ospedale “Misericordia e Dol-ce”, ASL 4 di Prato ** Dirigente Medico di Neurochirurgia Vice responsabile Reparto Neurochirurgia Azienda Ospedaliero-Uni-versitaria Meyer di Firenze *** Responsabile U.O.S. “Epitemologia e Medicina del sonno” Dipartimento di Scienze Neurologiche A.O.U. di Siena

I pDTA sull’epilessia farmacoresistente a livello regionale toscano prendono avvio su inziativa della sezione toscana della ICE nel 2009. Durantre anni di incontri, revisioni, discussioni anche accese si arriva ad un documento condiviso e a quel punto pilotato da una commissione ad hoc istituita dal Consiglio Sanitario Regionale (CSR) che segua uno schema ben preciso (riportato nelle slides di presentazione in cui, si pre-sentano i risultati di 2 censimenti paralleli (Prof Guerrini- Neurologia pediatrica ) per i centri pediatrici (Dr. Roberto Campostrini Neurologia USL 4 Prato) per in centri a cui afferiscono gli adulti. I dati a cui tutti i centri interpellati sono chiamati a rispondere solo il flusso annuale, le capacità diagnosti-che (EEG di base,Video EEG, Holter EEG, valutazione di Neuroimanging –RMN – fRMN, PET, valutazione Neuropsicologica – diversa per le due tipologie di età, capacità di studio ulteriore invasivo con corticografie e stereo eeg e di intervento resettivo/palliativo (stimolatori vagali) dei centri regionali a cui al fine afferisco-no i due gruppi di paz: Meyer e Siena. In ultima istanza si fa riferimento anche alla capacità di diagnostica istopatologica. In prima istanza il progetto viene approvato dal CSR nel giungo 2009, ma non viene fatto proprio dall’Assessorato per la

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Salute della regione nonostante ripetute sollecitazionie ed il fatto che oltre ad una mappatura certa delle tipologie di attività presenti con un percorso ben definito. Nel 2014 siamo richiamati in un gruppo ristretto e su invito diretto dell’assessorato ad aggiornare i dati ed a ripresentare il progetto riapprovato dal CSR con l’inserimento di una nuova aggiunta (valutazione annuale dell’attività di ciascun centro individuato a livello regionale per valutarne il volume di attività clinico diagnostica e per i 2 centri finali chirurgica annuale). Si presentano per il meyer i dati consutivi non distinti per tipologia (circa 100 annuali omnicomprensivi di chirurgia resettiva, studi stereo tassici e di inserimento di devices a tipo stimolatori vagali, mentre per il centro di Siena si riportano in dettaglio le varie tipologie di interventi e studi.

Rete dei servizi Alzheimer e sostenibilità finanziariZolo P.*, Bracco L.**, Vista M.*** * Area Funzionale Neuroscienze, USL 8, Arezzo ** SOD Neurologia 1, AOU Careggi Università di Firenze *** U.O. Neurologia, Azienda USL 2, Lucca

In Europa, relativamente ai paesi della UE, le stime più attendibili parlano di 15 milioni di persone affette da demenza nel 2020. La Malattia di Alzheimer rappresenta il 54% di tutte le demenze, con una preva-lenza nella popolazione over65 anni del 4.4%: la prevalenza aumenta con l’età e risulta maggiore nelle donne. Il rimanente 46% è rappresentato da demenze di diagnosi complessa, spesso si tratta di forme genetiche, ad esordio precoce, con particolari e impegnativi problemi assistenziali e di disabilità. In Italia la prevalenza è maggiore (1.55% della popolazione) che in Europa (1.13-1.25%): in Toscana l›Agenzia Regionale di Sanità prevede che dagli attuali 84.212 casi si passi nel 2040 a 142.831 affetti da demenza. L’impatto socioeconomico della demenza è globale, coinvolge le cure mediche, gli interventi sociali e l’assistenza informale e i costi indiretti. A costi medi (anno 2000) per sanità e assistenza, nel 2040 la Toscana potrebbe dover dedicare alle demenze risorse economiche per oltre un miliardo di euro (un bilione nel sistema US e UK). Il problema ovvero la sfida della sostenibilità nasce a questo punto e si fonda oltre allo stato generale dell’economia occidentale, su più determinanti:lo sviluppo della ricerca clinica e farmacoterapeutica e il suo impatto sulla malattia;le caratteristiche epidemiologiche della popolazione affetta;le strategie di tipo preventivo realizzabili con le attuali conoscenze;l’organizzazione sanitaria e sociale ai diversi livelli operativi: europei, nazionali e regionali.Si propongono alcune riflessioni relative a questi punti della discussione, focalizzando lo stato della rete Alzheimer toscana e le prospettive di suo sviluppo nell’arco temporale del Piano Regionale dei Servizi Sanitari e Sociali 2014-2016.

La gestione dell’ambulatorio Parkinson nella dimensione di area vasta Rossi S.*, Maremmani C.**, Cincotta M.*** * Dipartimento di Neuroscienze,U.O.C., Neurologia e Neurofisiologia Clinica, Università di Siena, Siena ** U.O. Neurologia, ASL 1 Massa-Carrara *** UO di Neurologia, Azienda Sanitaria di Firenze

Nella relazione verrà riassunto il percorso effettuato dal gruppo di lavoro di Neurologi toscani per conto della Regione Toscana sulla creazione del PDTA di area vasta per la gestione della Malattia di Parkinson.Verranno inoltre riassunti alcuni dati, elaborati su base multicentrica in collaborazione con l’ARS, sulla prevalenza della patologia in Toscana desunta da dati amministrativi basati sulla prescrizione di farmaci antiparkinsoniani.

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ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN NEUROCHIRURGIA

L’impatto della Gamma Knife sulla gestione della patologia elettiva neurochirurgica in ambito regionale ed extraregionale Pecchioli G., Bono P., Ammannati F., Bordi L. Neurochirurgia 1, AOU Careggi, Firenze

La neuroradiochirurgia con Gamma Knife (Perfexion - Elekta) è ormai definita come una valida opportuni-tà. Ci permette di offrire uno strumento molto utile e talvolta indispensabile nella gestione della patologia elettiva neurochirurgica. Questo grazie alla precisione stereotassica del casco di Leksell (G-Frame, Elekta) associato con la precisione anatomica della RM centrando così la possibilità di poter concentrare, in sedu-ta singola, una grande quantità di energia in un piccolo volume, anche in siti critici, con un interesse molto limitato del parenchima sano, senza dover procedere ad apertura della scatola cranica. Dopo quasi 3 anni di utilizzo continuo si è reso evidente il suo ruolo dominante nella gestione del paziente con indicazioni neuroradiochirurgiche; tra queste: tumori benigni (come meningiomi, schwannomi del nervo acustico, adenomi dell’ipofisi) sia come prima indicazione sia come trattamento post-chirurgico sul residuo opera-torio, metastasi (singole e multiple permettendo un ottimo controllo malattia locale), gliomi, astrocitomi craniofaringiomi, melanomi uveali, neurochirurgia funzionale (nevralgia del trigemino sia come primo approccio che come “salvage therapy”, disturbi del movimento, amartomi ipotalamici). Tutte le indicazioni sono possibili sia come primo approccio sia come trattamento dopo chirurgia o radioterapia permettendo un atto chirurgico meno aggressivo e più sicuro in termini di outcome. Installata presso l’AOU Careggi nel giugno 2012 ha iniziato ad essere utilizzata dall’ottobre 2012. La casisistica ad oggi tocca i 250 pz circa. Alcuni studi dimostrano come il trattamento neuroradiochirugico con Gamma Knife abbia indicazione (secondo l’incidenza per malattia/anno nella popolazione) in ca 236 pz/milione/anno; pertanto, su una popolazione Area Vasta Centro di ca 1.500.000 abitanti (15 ospedali e 2 poli ospedalieri universitari con un totale di ca 4.600 posti letto nel 2009, si trova un valore di 350 ideali trattamenti per anno nella sola Area Vasta Centro, e con 2.100.000 abitanti nelle restanti due Area Vasta si raggiunge ca 470 pz/anno per le altre 2 aree, con un totale 820 possibili indicazioni per anno nella sola Regione Toscana.

Il conflitto neuro vascolare: diagnosi e terapia Aquila F. Neurochirurgia, Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa

I conflitti neurovascolari costituiscono una patologia nota già dagli inizi del secolo scorso. Consistono nel-lo sviluppo, durante l’ontogenesi, di un loop vascolare anomalo nell’angolo ponto-cerebellare, che va a determinare in età adulta l’insorgenza di un contatto aberrante tra un nervo e il loop vascolare stesso. Tale conflitto si traduce in un progressivo danno da demielinizzazione e in una conseguente iperelicitabilità del nervo, con sintomatologia da iperattivazione e disregolazione relativa alla funzione del nervo stesso. Esporremo in questa presentazione le caratteristiche cliniche e radiologiche dei conflitti neurovascolari, ponendo attenzione sulle nuove frontiere diagnostiche aperte dalla Risonanza Magnetica ad alto campo. Discuteremo infine le variegate possibilità di trattamento, sia conservativo che invasivo.

L’approccio endoscopico trans naso sfenoidale al basicranio: nuove possibilità e nuo-ve indicazioni terapeutiche Scagnet M., Mussa F., Giovannetti F., Priore P., Genitori L. Neurochirurgia, ospedale pediatrico Meyer - Firenze

L’endoscopia sta offrendo alla neurochirurgia nuove opportunità per quanto riguarda la diagnosi e la te-rapia di problematiche del basicranio.L’endoscopio proietta la regia e quindi il chirurgo fin dentro il tumore, rendendo possibili manovre deli-cate e in punti molto lontani prima assolutamente impossibili.

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I vantaggi rispetto alla tecnica microchirurgica sono: maggiore definizione visiva, migliore operatività, estensione del campo operatorio, minore invasività.Abbiamo trattato 36 pazienti pediatrici dal 2012 fino al Gennaio 2015. Il ventaglio di patologie è ampio e tra gli altri comprende adenomi ipofisari, craniofaringioni, dermoidi, ascesso cerebrale, cavernoma del tronco, tumori del clivus, fistole liquorali e meningoceli. Fin da subito abbiamo riscontrato una manegge-volezza nell’utilizzo dell’endoscopio con evidenza di una curva di apprendimento molto rapida.I risultati sono stati molto buoni, in tutti i casi siamo riusciti ad ottenere lo scopo del planning preoperato-rio. Non abbiamo avuto in nessun caso un aggravamento dei sintomi neurologici. Tra le complicanze descriviamo 3 rinoliquorree e 1 ascesso cerebrale. In conclusione: è una chirurgia assolutamente innovativa che ci ha portato ad ottenere risultati apprezza-bili con un impatto buono sui piccoli pazienti. Non da ultimo è da considerare l’assenza di cicatrice chi-rurgica, del gonfiore post operatorio e la riduzione dei tempi medi di degenza, hanno da parte dei pazienti e delle famiglie un impatto favorevole.

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ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN TEMA DI EPILESSIE

Meccanismi dei farmaci antiepilettici e predizione di risposta terapeutica nel singolo paziente: a che punto siamo? Giorgi F. Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O.C. Neurologia, Università di Pisa

In questa relazione verrà affrontato brevemente lo stato dell’arte su se e come i meccanismi d’azione dei farmaci antiepilettici consentano ad oggi di prevedere la risposta del singolo paziente. Di fatto attualmente questo è possibile solo in limitate sindromi, per lo più di tipo generalizzato idiopatico. Per alcune catego-rie di farmaci è altresì possibile prevedere l’induzione di peggioramento delle crisi in pazienti con forme idiopatiche, basandosi sulle conoscenze dei loro meccanismi. Nelle forme focali acquisite la prospettiva di terapie mirate in base ai bersagli molecolari è ancora limitata, essendo molteplici e spesso imprevedi-bili i meccanismi patogenetici coinvolti nelle varie forme. Alcuni di questi ultimi iniziano però ad essere chiariti, e verranno discusse alcune possibili prospettive terapeutiche future.

Encefalopatie ed Epilessie autoimmuni: update ed istruzioni per l’uso Rosati E. UO Neurologia, Ospedale S. Stefano, Prato

Circa un terzo delle epilessie in età adulta ed infantile non sono attribuibili ad una causa identificabile ed una parte di esse mostra scarsa risposta alla terapia antiepilettica. In una piccola percentuale di queste epilessie criptogeniche farmaco-resistenti è stata osservata una buona risposta alla terapia immunomodu-lante, e l’eziopatogenesi ipotizzata è di tipo infiammatorio-autoimmunitaria. A conferma di questa ipotesi, negli ultimi anni è stato identificato un numero crescente di anticorpi sierici e/o liquorali rivolti contro an-tigeni neuronali di superficie o intracellulari, correlati in maniera più o meno specifica ad alcune di queste sindromi epilettiche e sono stati descritti fenomeni atrofici ed infiammatori a livello temporo-mesiale in pazienti sottoposti a chirurgia dell’epilessia. Questa particolare epilessia definibile “autoimmune” è stata descritta sia nell’ambito di una chiara sindrome limbica ossia associata ad altri disturbi quali il deteriora-mento cognitivo, modificazioni del comportamento e chiare alterazioni limbiche riscontrate con le neu-roimmagini sia come unica manifestazione clinica del processo autoimmunitario. L’encefalite limbica può a sua volta essere associato ad una neoplasia sistemica oppure no.La crescente attenzione per queste epilessie autoimmuni è conseguenza della loro potenziale suscettibilità ai trattamenti immunomodulanti. La loro identificazione è perciò oggi di fondamentale importanza per avviare il più precocemente possibile il corretto trattamento evitando l’inutile impiego di politerapie antie-pilettiche e prevenendo così la comparsa di danni strutturali anche gravi che portino ad esiti cognitivi ed allo sviluppo di una vera epilessia sintomatica farmaco-resistente. La loro possibile associazione a neopla-sie sistemiche le pone inoltre tra i markers precoci di tali patologie la cui esclusione diventa mandatoria.

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ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN NEURORADIOLOGIA

RMN funzionale prechirurgica dell’epilessia Moretti M. Medico S.O.D. Neuroradiologia Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze

Obiettivi didattici: esplorare le possibilità ed evidenziare i limiti della metodica di Risonanza Magnetica funziona le nella pianificazione degli interventi neurochirurgici in pazienti con tumori cerebrali primitivi situati in vicinanza di aree funzionalmente rilevanti. Introduzione: la fMRI è una metodica non invasiva per il mappaggio corticale prechirurgico utile nella pianificazione dell’intervento in caso di lesioni vicine ad aree corticali eloquenti. La fMRI non ha ancora raggiunto lo status di procedura diagnostica standardizzata in neuroimaging e necessita tuttora di essere eseguita in forma di trial clinico. Materiali e metodi: utilizziamo un apparecchio RM Siemens AERA, sequenza EPI FID, TR 3000 ms, TE 50 ms, spessore fette 3 mm, gap 25%, 36 fette, FOV 256x256, matrice 64x64, 60 volumi, 6 fasi on e 6 fasi off di 15 s ciascuno. Tasks di stimolazione a blocchi che comprendono, a seconda della sede di in-teresse, finger tapping semplice ed alternato, movimento latero-laterale lingua e dorsiflessione piede con frequenza 1 Hz, stimolazione sensitiva della mano e piede con frequenza di 1Hz. Per la localizzazione delle aree del linguaggio facciamo contare il paziente e lo sottoponiamo a ascolto e comprensione di un testo. Presentiamo una casistica di 11 pazienti con lesioni adiacenti ad aree eloquenti. Risultati: in tutti i casi studiati le mappe di attivazione, calcolate con software Siemens Neuro 3D e co-registrate su immagine anatomica morfologica MPRAGE T1 con m.d.c., sono risultate di buona qualità e hanno permesso una adeguata pianificazione dell’intervento chirurgico.Conclusioni: la fMRI prechirurgica permette di ottenere informazioni utili ai fini della pianificazione dell’accesso chirurgico e per valutare i rischi della procedura stessa, la metodica può essere utilizzata a completamento dell’esame morfologico con tempi di acquisizione accettabili.

Tecniche avanzate di RM e prospettive future Pesaresi I. Dirigente Medico I Livello presso U.O. Neuroradiologia A.O.U. di Pisa

Nella prima parte della relazione verranno presentati i principi della metodica EEG-fMRI e le sue appli-cazioni in ambito clinico e di ricerca. Nella seconda parte verranno illustrati potenzialità e limiti degli scanner RM ad alto campo, 3Tesla e 7Tesla.

Neuroradiologia interventistica vertebrale: indicazioni, tecniche e risultati Ferrara M., Bellini M., Cerase A.UOC Neuroimmagini e NeurointerventisticaDipartimento di Scienze Neurologiche e NeurosensorialiAzienda Ospedaliera Universitaria Senese, Policlinico “Santa Maria alle Scotte”, Siena

Un rilevante impatto socio-economico deriva dalla disabilità causata da varie patologie (traumatica, de-generativa, metabolica, neoplastica) della colonna vertebrale, spesso di difficile inquadramento clinico ed eziologico. Ciò ha rappresentato e rappresenta lo stimolo principale per l’introduzione e lo sviluppo di varie tecniche di Neuroradiologia Diagnostica ed Interventistica che si sono dimostrate variamente efficaci nella diagnosi e nel trattamento di tali condizioni morbose.Lo scopo della relazione è illustrare indicazioni, controindicazioni, tecniche, materiali e risultati delle principali procedure mini-invasive percutanee di Neuroradiologia Interventistica Vertebrale (vertebropla-stica e cifoplastica percutanea, chemionucleolisi, decompressioni discali termiche o meccaniche, neuroli-si faccette articolari, infiltrazioni perigangliare ed epidurale, termoablazine con RF), mirate al trattamento

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delle alterazioni che colpiscono disco intersomatico, vertebra e strutture nervose adiacenti. Si commenta-no, inoltre, le più avanzate tecniche interventistiche vertebrali ed i principali vantaggi offerti rispetto alla tecniche chirurgiche tradizionali. I risultati ottenuti presso la nostra Unità Operativa saranno confrontati con quelli della letteratura.

Tempo di ricanalizzazione nel trattamento endovascolare dell’ictus Rosi A. SOD Neuroradiologia Interventistica, A.O.U. Careggi, Firenze

La relazione prenderà in considerazione una breve revisione della letteratura sui trial che hanno progres-sivamente esteso la finestra terapeutica temporale per il trattamento endovascolare dell’ictus ischemico.Varrà sottolineato come il tempo tra l’esordio e l’inizio del trattamento non sia l’unica variabile determi-nante l’outcome, come dimostrato dal fenomeno delle riperfusioni futili, ovvero quei casi in cui pazienti nei quali si ottenga un buon grado di ricanalizzazione entro il tempo limite della finestra terapeutica pre-sentano scarsi risultati in termini di outcome clinico.Saranno presentati i dati della casistica stroke dell’unità di Interventistica Neurovascolare dell’AOU Ca-reggi di Firenze.Il risultato clinico del trattamento endovascolare deve essere valutato in considerazione altri fattori come l’entità dei circoli collaterali, il grado di ricanalizzazione, la sede di occlusione, il tipo di procedura endo-vascolare, i risultati dell’imaging avanzato ed i fattori biologici individuali. Sarebbe auspicabile che in futuro il concetto di finestra terapeutica non si limitasse a considerare l’ora di esordio, bensì si basasse sulla integrazione di più fattori prognosticamente significativi per il trattamento endovascolare, questo potrebbe portare a personalizzare la finestra terapeutica per ogni singolo paziente.

Neuroimaging bio-molecolare: highlights Sestini S. Dirigente Medico della U.O. di Medicina Nucleare della USL4 di Prato

Lo scenario emerso dai numeri relativi alla previsione di prevalenza delle malattie neuro-degenerative ed ai costi ad esse associati nei prossimi 50 anni ha imposto al mondo scientifico la ricerca di strategie mirate alla diagnosi precoce e certa di tali malattie al fine di prevenirne o ritardarne l’esordio clinico e di instaurare trattamenti specifici nei casi clinicamente controversi. Per il raggiungimento di questi obiettivi un enorme sforzo è stato fatto ed è tutt’ora in atto nel tentativo di approfondire la conoscenza dei mecca-nismi sub-cellulari e molecolari che caratterizzano il fisiologico processo di invecchiamento neuronale e delle modificazioni a cui esse vanno incontro in condizioni di patologia nel tentativo di identificare i bio-marker di queste malattie. Un bio-marker è genericamente definito un parametro che può essere misurato in modo oggettivo e la cui misura è un indicatore di un determinato processo biologico, in condizioni di normalità e di patologia e delle modificazioni a cui esso va incontro a seguito di un intervento terapeu-tico. L’obbiettivo di un bio-marker è la diagnosi sensibile e specifica di malattia. Nel caso delle malattie neuro-degenerative, un bio-marker è considerato sensibile se identifica la presenza della malattia prima o nelle prime fasi della comparsa dei sintomi. Un bio-marker è considerato specifico quando differenzia con un margine di errore trascurabile l’una malattia neuro-degenerativa dall’altra o da altre malattie non neuro-degenerative ma clinicamente simili allo scopo di instaurare trattamenti terapeutici mirati. Il miglio-ramento della conoscenza dei fattori etiologici e dei processi patologici coinvolti nelle malattie neuro-degenerative raggiunto in questi ultimi anni unito alla possibilità di rilevare e visualizzare in vivo queste alterazioni mediante tecniche di neuro-imaging bio-molecolare - come la SPECT con FP-CIT nel rilevare il deficit della via nigro-striatale, la PET con fluoro-dessossi-glucosio (FDG) nel rilevare il deficit di funzio-namento di alcune classi di popolazioni neuronali o ultimamente la PET con traccianti che individuano la presenza di amiloide nel cervello - ha fatto si che queste metodiche siano oggi considerate utili nell’iter diagnostico di questa classe di malattie. A fianco di motivazioni puramente scientifiche, anche fattori di ordine tecnico e pratico hanno contribuito alla diffusione di queste tecniche, come ad esempio l’attuale elevata risoluzione spaziale delle immagini acquisite, la riduzione della dose di radioattività assorbita dal

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paziente e, non ultimo, la riduzione dei costi dell’esame ed il recupero di risorse derivanti da una diagnosi precoce e corretta

Lo spettro cognitivo e psichiatrico della malattia di Parkinson: patogenesi e basi neu-rochimiche Ceravolo R. Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O.C. Neurologia, Università di Pisa, A.O.U. Pisa

La malattia di Parkinson (MP) si caratterizza per sintomi motori cardinali ma anche per un ampio corredo di sintomi non motori, tra i quali le manifestazioni cognitive e psichiche costituiscono le piu frequenti e importanti ulteriori cause di disabilità. La presenza di deficit cognitivi è apprezzabile fin dalle fasi iniziali di malattia come disfunzione dei circuiti esecutivi nella quasi totalità dei pazienti. Questi deficit cognitivi sono solo in piccola parte sostenuti da un deficit dopaminergico, anzi spesso la terapia dopaminergica può peggiorare alcune funzioni cognitive in relazione ad un overload del sistema dopaminergico meso-corticale. La comparsa di demenza avviene in una percentuale tra il 20 e il 40% dei soggetti con MP ed è clinicamente contrassegnata dalla sovrapposizione di disturbi a prevalente dominio visuo-spaziale. Il ruolo relativo dei depositi di sinucleina e di amiloide nella genesi dei disturbi cognitivi in corso di MP può essere chiarito da studi in vivo con PET e traccianti specifici. Lo spettro di disturbi psichici è molto ampio comprendendo sia disturbi connessi alla malattia come la depressione, che disturbi connessi alla terapia come psicosi e disturbi del controllo degli impulsi. La personalità premorbosa anche in questi casi gicoa un ruolo essenziale unitamente a fattori di predisposizione genetica. La base neurochimica ed i circuiti coinvolti nelle molte facce della depressione parkinsoniana e nei disordini del controllo degli impulsi sono oggi piu chiare grazie agli studi di esplorazione funzionale del cervello e di imaging molecolare in vivo che hanno consentito non solo un avanzamento delle conoscenze dei meccanismi fisiopatologici ma anche decisi miglioramenti nel management clinico.

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ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN TEMA DI DISTURBI DEL MOVIMENTO

Calcificazione dei gangli della base: quadri clinici e neuroradiologici Mignarri A. Medico in Formazione Specialistica presso U.O. Neurologia Università di Siena

Quella che è stata a lungo chiamata malattia di Fahr (eponimo che rimane tutt’oggi molto utilizzato nella pratica clinica) è in realtà un insieme di condizioni eterogenee accomunate dal riscontro strumentale di calcificazioni dei nuclei della base. Pertanto, possiamo affermare che non esiste una malattia di Fahr in quanto tale. Sicuramente esistono forme familiari di calcificazioni cerebrali (Primary Familal Brain Cal-cification - PFBC), i cui geni causativi sono oggi in parte noti. Le forme di PFBC vanno distinte da altre patologie che causano calcificazioni cerebrali, e ciò presuppone un percorso di diagnosi differenziale im-pegnativo che tenga conto delle numerose cause di depositi di calcio nel cervello. Accanto all’esigenza di identificare un percorso diagnostico razionale, un altro punto rilevante che è emerso dall’analisi di quanto ad oggi compreso sotto il termine di malattia di Fahr e dalle recenti acquisizioni genetiche, è l’opportunità di una ridefinizione nosografica. Pare poco corretto identificare la malattia di Fahr con la PFBC per due motivi: i) non possiamo affermare che la malattia riportata da Fahr fosse una PFBC; ii) il termine malattia di Fahr ha un’accezione molto larga, essendo stato utilizzato in letteratura per descrivere forme di calcifi-cazioni dei nuclei della base con diversa eziologia. I vari studi genotipo-fenotipo hanno confermato che la FIBGC è una malattia eterogenea da un punto di vista clinico e genetico. Futuri studi saranno fonda-mentali per individuare altri geni responsabili di FIBGC, comprendere i meccanismi patogenetici alla base dalla deposizione cerebrale di calcio e proporre terapie in grado di modificare l’evoluzione della malattia.

Neuroimaging nella malattia di Parkinson Frosini D. Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O.C. Neurologia, Università di Pisa, A.O.U. Pisa

La Malattia di Parkinson (MP) è associata con la perdita neuronale a livello della sostanza nera (SN) e con la riduzione del contenuto di dopamina a livello striatale. Il neuroimaging convenzionale con risonanza magnetica a 1.5 T non mostra variazioni individuali nei pazienti con MP e fornisce informazioni solo nella diagnosi differenziale con alcune forme secondarie mentre l’imaging medico nucleare è in grado di evidenziare precocemente e anche in fase preclinica la perdita di neuroni dopaminergici. Questa con-dizione, identificabile ad esempio con l’utilizzo di traccianti selettivi per il trasportatore della dopamina (DAT), è comune alla Malattia di Parkinson e ai parkinsonismi atipici quali Atrofia Multisistemica, Paralisi Sopranucleare Progressiva e Degenerazione Cortico Basale. L’utilizzo di risonanze magnetiche a 3T e lo sviluppo di tecniche di immagine avanzate come il diffu-sion-weighted imaging (DWI) ha consentito di identificare precoci modifiche nei pazienti con MP e con parkinsonismi atipici. Più recentemente il ricorso a risonanze magnetiche a ultra alto campo (7 Tesla) ha permesso per la prima volta di riconoscere alterazioni strutturali a carico della pars compacta della SN già nelle fasi precoci della MP e identificabili con elevata sensibilità e specificità e con una semplice analisi ispettiva di immagini sensibili all’effetto di suscettività magnetica.

Terapie complesse per la malattia di Parkinson: quando e a chi proporle? Torre E. U.O. Neurologia, Ospedale S. Stefano, ASL 4 Prato

Le terapie infusive e chirurgiche (stimolazione cerebrale profonda, infusione duodenale di levodopa gel, infusione sottocute di apomorfina) si sono dimostrate efficaci e sicure nel trattamento della Malattia di Parkinson in fase avanzata, se indicate in pazienti che rispettano i criteri di selezione specifici per ogni singola terapia. L’esperienza clinica degli ultimi decenni ha mostrato un netto beneficio sulle fluttuazioni

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motorie derivante da una stimolazione dopaminergica più continua, a fronte di un profilo complessiva-mente favorevole dal punto di vista degli effetti collaterali. Considerando il rapporto vantaggioso tra rischi e benefici, stanno emergendo dalla letteratura dati relativi all’applicazione di tali terapie in fase più preco-ce di malattia al fine di evitare che le complicanze motorie diventino invalidanti in un’epoca di vita che richiede performances professionali e sociali più prestanti. Scopo della relazione sarà quello di analizzare i dati della letteratura favorevoli e contrari a tale prospettiva.

L’algoritmo diagnostico decisionale nelle malattie muscolari rare: un livello regionale? Siciliano G. Medicina Clinica e Sperimentale, Neurologia, Pisa

Anche nell’ambito delle malattie muscolari la propulsiva innovazione tecnologica realizzatasi negli ultimi anni in campo sanitario ha comportato un innegabile radicale cambiamento dell’approccio diagnostico-terapeutico del neurologo verso queste malattie. L’inclusione, inoltre, di tali patologie tra le malattie rare aggiunge un ulteriore valenza clinica di un tale approccio che necessariamente si deve affiancare a quello delle pur sempre inviolabili modalità tradizionali indicate dalla scienza neurologica. Numerosi sono gli aspetti in cui l’elevata tecnologia si propone come importante mezzo nelle malattie muscolari, ma indub-biamente quello diagnostico riveste una fondamentale importanza, anche in funzione delle ricadute sulle decisioni terapeutiche e di presa in carico sotto il profilo sanitario del paziente con malattia muscolare. In questa prospettiva, un livello di intervento regionale risulta utile nell’ottimizzare mezzi e risorse per una corretta e tempestiva diagnosi di malattia muscolare

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COMUNICAZIONI ORALI

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Gruppo 1: NEUROSCIENZE 1

1. Trattamento endovascolare degli aneurismi di biforcazione con stenting a YLimbucci N.*, Rosi A.*, Nappini S.*, Consoli A.*, Renieri L.*, Ammannati F.**, Mangiafico S.** SOD Interventistica Neurovascolare, AOU Careggi, Firenze** SOD Neurochirurgia 1, AOU Careggi, Firenze

Il trattamento endovascolare degli aneurismi di biforcazione a larga base è spesso complesso. Il coiling assistito dall’impianto di uno stent consente di trattare aneurismi complessi. Tuttavia, in caso di base molto ampia, anche l’impianto dello stent può essere insufficiente per proteggere i rami di biforcazione. Una soluzione tecnica è quella dello stenting a Y. Questa prevede l’impianto di due stent embricati a “Y” nei due rami di biforcazione, in maniera da ricostruire la stessa, con successivo coiling dell’aneurisma. Un vantaggio dello stent a Y è il basso tasso di recidive. Riportiamo la nostra esperienza di trattamento di aneurismi a larga base con stenting a “Y” usando lo stent a celle chiuse Enterprise con follow-up a lungo termine. Sono stati inclusi 52 pazienti. Il follow-up neuroradiologico medio è stato di 26 mesi. Si è ottenu-ta l’occlusione completa immediata nell’87,5% dei casi. All’ultimo follow-up i risultati erano: occlusione completa nel 93,6%, residuo di colletto 4,3%, residuo di aneurisma 2,1%. Ci sono state 2 complicanze (4,2%) con mortalità del 2,1%. Non si sono verificati ictus durante il follow-up.Il coiling assistito da stenting a Y ha un alto tasso di occlusione immediata con eccellente stabilità al follow-up. La procedura è relativamente sicura, considerando che si tratta di aneurismi complessi, ma va riservata a centri ad alto volume di interventi.

2. Videofluorangiografia al verde di indocianina e algoritmo Flow 800 nella resezio-ne di un emangioblastoma midollareAquila F., Benedetto N., Vannozzi R.Neurochirurgia, Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa

Gli emangioblastomi sono tumori riccamente vascolarizzati. Il loro trattamento chirurgico prevede una resezione completa ed un accurato management dei fedeers arteriosi e delle vene drenanti il tumore. L’uso della videofluorangiografia con il verde di indocianina intraoperatoria permette al chirurgo di valu-tare l’esatto pattern vascolare della lesione, oltre ad essere una procedura sicura, di facile esecuzione e, entro certi limiti, ripetibile durante l’intervento chirurgico. L’algoritmo Flow 800 può inoltre permettere al chirurgo di individuare durante l’intervento anche minime variazioni della vascolarizzazione. Il nostro obiettivo è dunque quello di evidenziare come l’utilizzo combinato della videofluorangiografia intraope-ratoria e del software Flow 800 possa rappresentare un fondamentale aiuto per il chirurgo nella resezione completa di questo tipo di lesioni, altrimenti segnati da un consistente rischio di recidiva. Presentiamo dunque un caso di emangioblastoma midollare trattato con l’aiuto della VFA-VIC intraoperatoria e del software Flow 800.

3. Ipofisite Granulomatosa: presentazione della nostra esperienza clinicaBarni I., Barbagli G., Boschi A., Cipolleschi E., Wembagher G.C., Pecchioli G., Ammannati F.Neurochirurgia 1 AOU Careggi, Firenze

L’ipofisite è una rara patologia caratterizzata da infiltrazione infiammatoria della ghiandola pituitaria che può portare a distruzione del tessuto ghiandolare, alterazioni funzionali, endocrinopatie, compressione delle strutture anatomiche adiacenti. La si classifica in secondaria ed idiopatica, di cui si distinguono cin-que tipi: linfocitaria, granulomatosa, xantomatosa, xantogranulomatosa e necrotizzante. L’ipofisite idio-patica granulomatosa si presenta più frequentemente con cefalea cronica e disturbi visivi ingravescenti; imitando quindi un adenoma ipofisario non-functioning. Alla RM si osserva allargamento diffuso della ghiandola ed ispessimento del peduncolo. Presentiamo il caso di un uomo di 36 anni giunto alla nostra attenzione con quadro di cefalea, astenia, vomito e febbre di ndd; alla RM encefalo si evidenziava lesione

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espansiva intrasellare con consensuale ispessimento del peduncolo ipofisario ed allo screening ormonale quadro di ipopituitarismo. Il paziente è stato sottoposto a biopsia escissionale per via TSF; durante la pro-cedura sono stati prelevati campioni di tessuto lesionale di consistenza callosa e compatta, compatibili con tessuto granulomatoso. L’esame istologico ha infine confermato la diagnosi sospetta di ipofisite gra-nulomatosa.

4. Il trattamento chirurgico della Nevralgia del Trigemino all’AOU di CareggiBoschi A.*, Barbagli G.*, Cipolleschi E.*, Barni I.*, Pecchioli G.*, Wembagher G.C.*, Ammannati F.*** SOD Neurochirurgia 1-2 AOU Careggi Università di Firenze** SOD Neurochirurgia 1 AOU Careggi Università di Firenze

La nevralgia del trigemino è descritta come una sensazione di forte dolore , simile ad una scossa elettrica , irradiata ad una o più zone di innervazione sensoriale del V nervo cranico. Tale sintomo, parossistico e di durata variabile, può essere scatenato dalla stimolazione tattile di una zona “trigger” e di solito si accom-pagna ad un classico spasmo facciale simile ad un tic. La patogenesi non è ancora del tutto conosciuta ma probabilmente dipende da una trasmissione efaptica tra le fibre di tipo A e quelle di tipo C del nervo. Questo può dipendere da una compressione vascolare della radice nervosa, una lesione espansiva in fossa cranica posteriore oppure in seguito ad una placca nel tronco encefalico nei pazienti affetti da Sclerosi Multipla. Alla Neurochirurgia di Careggi fin dagli anni settanta sono proposte molteplici opzioni chirurgiche per il trattamento di questa patologia, soprattutto nei casi dove la terapia medica non ha risultati. Dalle me-todiche chirurgiche convenzionali come la Microdecompressione neurovascolare sec. Jannetta o quelle percutanee come la Rizotomia/Microcompressione del ganglio del Gasser, alla radiochirurgia con Gam-maKnife ultima alle frecce disponibili al nostro vista la grande esperienza maturata a Careggi con le pro-cedure stereotassiche. In questo lavoro descriviamo queste tecniche messe in pratica nella nostra SOD.

5. 1H-NMR spectroscopy e Gliomi: studio sperimentale di metabolomica del liquido cefalorachidiano e del plasma dei pazienti affetti da glioma e sua correlazione alla spettroscopia in risonanza magnetica di uso clinico. Presentazione dello studio Cipolleschi E.*, Wembagher G.C.*, Barni I.*, Barbagli G.*, Pecchioli G.*, Boschi A.*, Busoni S.**, Amman-nati F.**** Scuola di Neurochirurgia, Università degli Studi di Firenze** Dipartimento di Fisica sanitaria, A.O.U. Careggi, Firenze*** U.O. Neurochirurgia, AOU Careggi, Firenze

I Gliomi sono classificati in 4 diversi gradi secondo i criteri istopatologici e clinici fissati dalla WHO. Una corretta identificazione del grado proprio del glioma in esame è fondamentale per l’iter terapeutico e per l’aspetto prognostico. Il rimodellamento metabolico è uno dei fenotipi predominanti delle cellule neopla-stiche e riflette il cambiamento nell’utilizzo e/o nella sintesi di importanti metaboliti da parte della cellula tumorale. La metabolomica si avvale di tecniche di analisi molto raffinate come, ad esempio, la spettro-scopia in risonanza magnetica ad alto campo (1H-NMR spectroscopy). Questa, eseguita su tessuti e fluidi biologici, è in grado di fornire uno spettro metabolico riproducibile sia dei metaboliti in condizione di omeostasi del sistema che nelle sue perturbazioni come quelle rappresentate dallo stato di malattia. Dato che i metaboliti propri del liquido cefalorachidiano sono in diretta correlazione con i processi metabolici dell’encefalo, determinare il profilo metabolico puntuale del LCR di un dato paziente permette di acqui-sire importanti informazioni per la diagnosi e il trattamento di vari quadri morbosi intracranici. Lo studio si pone come finalità di implementare le conoscenze già note tra profilo metabolomico e grading gliale; correlare una data impronta metabolomica alla tendenza alla progressione nel grading; determinare una correlazione tra metaboliti del LCR e metaboliti neoplastici; individuare un nesso tra metaboliti plasmatici e metaboliti neoplastici; affinare l’interpretazione della diagnostica MRS in campo clinico; convertire i dati acquisiti in informazioni utili all’outcome del paziente.

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6. Lo Schwannoma Melanotico: presentazione di un caso e revisione della letteraturaPecchioli G., Marchese G., Pansini L., Barbagli G., Romoli S., Ammannati F.Neurochirurgia 1, AOU Careggi, Firenze

Lo schwannoma è un raro tumore del nervo periferico che può presentarsi nelle varianti: classica, cellu-lare, plessiforme, epitelioide e melanotico. Lo schwannoma melanotico è il tipo più raro, descritto per la prima volta nel 1932; colpisce prevalentemente in età adulta (range 10-84 anni, con un picco di incidenza nella quarta decade di vita), e si localizza soprattutto nella regione assiale (46 % dei casi). Nel 20% dei casi si presenta associato ad una seconda neoplasia ed in oltre il 50% dei casi è associato ad una rara sin-drome familiare multitumorale trasmessa con carattere autosomico dominante a penetranza incompleta, nota come Complesso di Carney. Presentiamo di seguito il caso di un paziente maschio di 41 anni con documentazione imaging radiologico, microscopico , istochimico con revisione della letteratura.

7. Microembolismo cerebrale durante procedura di impianto Trans - Catetere di Val-vola Aortica (TAVI): correlati clinici e di NeuroimmagineGiannini N.*, Chiti A.*, Terni E.*, Mancuso M.*, Maccarrone M.*, Brondi M.*, Montano V.*, Petronio A.S.**, Orlandi G.*, Bonuccelli U.** Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa, Dipartimento di Neuroscienze ,UO Neurologia, AOU Pisa** SD Laboratorio Emodinamica, Dipartimento Cardio-Toracico Vascolare, AOU Pisa

Con lo scopo di valutare il carico microembolico cerebrale e le sue possibili correlazioni con eventi ischemici sia clinici che silenti sono stati esaminati 10 pazienti (5 M, età media 80.8 anni) monitorando durante la procedura di TAVI il tratto orizzontale delle arterie cerebrali medie mediante Doppler tran-scranico con software dedicato per la ricerca e l’analisi off-line di segnali microembolici (MES). Il giorno prima e quello successivo all’intervento è stata effettuata RM encefalo per evidenziare lesioni ischemiche periprocedurali. È stata valutata l’insorgenza di deficit neurologici focali anche transitori attribuibili ad eventi ischemici sintomatici. Si sono rilevati in media 177 MES (range 82-220) per ogni cerebrale media monitorata. Durante rilascio della valvola aortica protesica è stato osservato il massimo rate medio di MES (14.8/min), con valor minimo nella fase iniziale di introduzione (1.31/min) e finale di rimozione (1.9/min) dei cateteri e delle guide. Nel 50% dei casi la RM encefalo post-procedurale ha rivelato nuove lesioni ischemiche silenti; in nessun caso si sono verificati eventi ischemici sintomatici. Conoscere in tempo reale il carico microembolico cerebrale durante le varie fasi della procedura può essere utile all’emodinamista per rendere più sicuro l’intervento modificando la modalità di condurlo e inoltre valutando la disponibilità di materiale protesico a minor rischio embolico. Sono comunque necessari dati ulteriori su un campione più ampio.

8. Meningiomatosi emisferica sinistra: la nostra esperienzaWembagher G.C., Barbagli G., Boschi A., Cipolleschi E., Barni I., Pecchioli G., Ammannati F.Neurochirurgia 1, AOU Careggi, Firenze

I meningiomi multipli intracranici sono una condizione patologica in cui vi è rilievo di più di una lesione meningiomatosa nello stesso paziente senza segni di neurofibromatosi. Presentano un’incidenza che va-ria dall’1 al 10%. La prognosi di una meningiomatosi cerebrale non differisce sostanzialmente da quella in cui vi è una sola lesione singola. La chirurgia rimane la migliore opzione per il trattamento di lesioni, laddove esse risultano sintomatiche. Presentiamo il caso di una donna di 49 anni con diagnosi di menin-giomatosi multipla, descrivendone la clinica, l’aspetto radiologico, caratteristiche istologiche. Si sottolinea inoltre il fatto che la paziente ha avuto la prima diagnosi di meningiomatosi nel 2002, sempre localizzata nell’emisfero sinistro, ed ha presentato la comparsa di 5 recidive, sempre a sinistra.

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9. Trattamento chirurgico di MAV gigante emorragica dopo trattamento endovasco-lare aggressivo con Onyx18Barbagli G.*, Consoli A.**, Boschi A.*, Rosi A.**, Mangiafico S.**, Ammannati F.** SOD di Neurochirurgia, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze** SOD di Neuroradiologia Interventistica, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze

Le malformazioni artero-venose sono connessioni anomale tra arterie e vene che by-passano il sistema dei capillari, e con un rischio di rottura annuo che si stima intorno al 2% annuo per MAV non emorragiche e un rischio superiore (dal 4 al 18%) dopo un primo evento emorragico. Dopo gli aneurismi, la rottura di queste lesioni rappresenta la causa più comune di emorragia sub-aracnoidea. Tali lesioni possono es-sere trattate con un approccio singolo (neurochirurgico, endovascolare, radio chirurgico) o combinato. Le dimensioni, il quadro clinico del paziente, la sede e le caratteristiche angioarchitettoniche della MAV orientano la scelta dell’approccio terapeutico. Il trattamento endovascolare, quando ritenuto opportuno, può essere programmato in più sessioni al fine di occludere la lesione gradualmente e, al contempo, non rischiare uno scompenso emodinamico acuto della lesione malformativa; al trattamento chirurgico, nel nostro centro, si procede, quasi esclusivamente, in casi di presentazione emorragica delle MAV e, general-mente, in associazione al trattamento endovascolare (pre-chirurgico). Presentiamo il caso di un uomo di 60 anni con nota MAV temporo-occipitale sinistra emorragica, trattata inizialmente con embolizzazione pre-radiochirurgica, sottoposto a radiochirurgia e, dopo un ulteriore episodio di risanguinamento massivo a distanza di 2 anni dal trattamento radiochirurgico, sottoposto ad asportazione chirurgica immediata-mente a seguito di una terza sessione di embolizzazione subtotale con Onyx18.

10. Ipofisite Linfocitaria: aspetti NeuroradiologiDesideri I.*, Sabato M.*, Lupi I.***, Manetti L.***, Cosottini M. */**,Puglioli M.*** Dipartimento di Ricerca Traslazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa** Unità di Neuroradiologia, AOU Pisa*** Unità di Endocrinologia II, AOU Pisa

L’ipofisite linfocitaria è un processo infiammatorio primitivo ad eziologia autoimmune a carico della ghiandola ipofisaria caratterizzato dalla presenza di infiltrato linfo-plasmacellulare autoreattivo, accom-pagnato da edema e fibrosi, che può interessare l’adenoipofisi, l’infundibulo con la neuroipofisi o entram-bi i distretti.Riportiamo i dati clinici, laboratoristici e neuroradiologici di 5 casi di ipofisite linfocitaria; vengono inoltre descritti l’evoluzione dei reperti a seguito di adeguata terapia cortisonica e cenni di diagnosi differenziale con altre patologie ipofisarie.Le immagini di Risonanza Magnetica hanno messo in evidenza, in tutti i casi riportati, la presenza di una massa ipofisaria simmetrica a segnale e captazione omogenei, cui si associano ispessimento del pedunco-lo, captazione durale circostante e perdita della fisiologica iperintensità della neuroipofisi. A seguito della terapia medica si assiste ad un’evoluzione atrofica del processo infiammatorio.

11. “Case report”: embolismo cerebrale calcifico recidivante precoceGrazzini I.*, La Penna A.*, Monti L.**, Galluzzi P.**, Cerase A.*** Diagnostica per Immagini, Dipartimento Scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze, Università di Siena** UOC Neuroimmagini e Neurointerventistica, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Neurosensoriali, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Policlinico “Santa Maria alle Scotte”, Siena

Gli emboli sono un’importante causa di ischemia cerebrale, originano in varie sedi e presentano varia composizione istopatologica. Gli emboli cerebrali calcifici non sono frequenti, ma comunque possono presentarsi in oltre il 2.5% dei soggetti con ictus che eseguono studio TC dell’encefalo. Possono originare da patologia valvolare cardiaca calcifica o da ateromi calcifici dell’arco aortico e dei vasi epiaortici. Pos-sono presentarsi dopo procedure invasive cardiache o carotidee (valvuloplastica, cateterizzazione cardia-

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ca, angioplastica e stenting), ma nella gran parte sono spontanei.L’obiettivo del Poster è presentare un caso di embolismo cerebrale calcifico spontaneo e recidivante dopo un mese, nell’arteria cerebrale media sinistra di una donna di 79 anni, affetta da ipertensione, diabete, ipercolesterolemia e tachicardia sopraventricolare parossistica. Al primo episodio, il reperto non era stato notato. L’Angio-TC del circolo arterioso cerebro-afferente dimostrava ateromasia parietale calcifica dell’ar-co aortico e placca calcifica della biforcazione carotidea con stenosi <50%. Eventuali emboli calcifici non devono essere sottostimati dall’indagine TC, in quanto possono determinare fortemente l’evoluzione clinica e presentare discreto rischio di recidiva. La monolateralità deve suggerire una valutazione anche dell’arteria carotide, bilateralità quella dell’arco aortico e del cuore, anche per la scelta del programma terapeutico

12. “Pictorial essay”: diagnosi neuroradiologica dell’emorragia subaracnoidea non traumatica della convessità Grazzini I.*, La Penna A.*, Felici S.*, Bellini M.**, Galluzzi P.**, Monti L.**, Zandonella A.*, Arrigucci U.**, Cerase A.** * Diagnostica per Immagini, Dipartimento Scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze, Università di Siena** UOC Neuroimmagini e Neurointerventistica, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Neurosensoriali, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Policlinico “Santa Maria alle Scotte”, Siena

L’emorragia subaracnoidea non-traumatica (ESAnt) della convessità è una entità non frequente in cui l’emorragia subaracnoidea è localizzata esclusivamente in uno o alcuni solchi cerebrali della convessità, senza coinvolgimento delle cisterne basali né della scissura silviana o dei ventricoli. L’ESA delle cisterne basali e della scissura silviana origina dalla rottura di un aneurisma in circa l’85% dei casi e nella gran parte dei rimanenti casi non trova un’eziologia certa (“ESA sine materia”). Un ampio spettro di patologie, invece, possono causare ESAnt della convessità, quali stenosi serrata dell’arteria carotide interna, trombosi venosa (corticale e/o dei seni venosi durali), sindrome da vasocostri-zione cerebrale reversibile, angiopatia amiloide, Moyamoya, condizioni infettive (aneurismi, meningiti/encefalite) e più raramente tumori cerebrali primitivi o secondari. La presentazione clinica è variabile. Solo il corretto e tempestivo inquadramento neuroradiologico consente la diagnosi e la relativa pianifica-zione terapeutica.L’obiettivo del Poster è presentare una rassegna iconografica neuroradiologica di almeno otto pazienti con ESAnt della convessità, per illustrarne le opzioni ed i criteri che ne consentano una diagnosi precoce.

13. Crisi epilettiche subentranti ed alterazioni RM transitorie. Problematiche inter-pretative e gestionaliInsana L., Vatti G., Marino D., Cerase A., Pucci B., Rocchi R.Dipartimento di Scienze Neurologiche e Sensoriali, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese

È noto che le crisi comizali, ed ancor più gli stati epilettici, possono causare lesioni cerebrali visibili alla RM. Le lesioni possono interessare la corteccia cerebrale, l’ippocampo oppure strutture sottocorticali come il talamo, il cervelletto ed il corpo calloso correlandosi sia alla sede di esordio delle crisi sia con le regioni di propagazione della scarica. Si tratta di lesioni che solitamente hanno carattere transitorio poten-dosi risolvere completamente senza reliquati oppure residuare in atrofie più o meno settoriali.La reale incidenza delle lesioni non è nota non essendo mai stata oggetto di studi randomizzati e con-trollati. Infatti, il protocollo di acquisizione RM ed i tempi di esecuzione degli esami sono variabili che possono influenzare la sensibilità della metodica in maniera notevole. Tali lesioni pongono problemi di natura interpretativa e di diagnostica differenziale dal momento che potrebbero rappresentare sia la causa, sia la conseguenza delle crisi epilettiche.Presentiamo quattro casi eterogenei dal punto di vista eziopatogenetico, clinico ed elettroencefalografico, ma accomunati dalla presenza di lesioni corticali “transitorie” associate a crisi o stati epilettici, ciascuno dei quali pone delle specifiche problematiche.

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14. “Pictorial essay”: diagnosi neuroradiologica dei linfomi cerebraliLa Penna A.*, Grazzini I.*, Parrinello A.*, Mercuri P.*, Ferrara M.**, Galluzzi P.**, Monti L.**, Zandonella A.*, Arrigucci U.**, Cerase A.*** Diagnostica per Immagini, Dipartimento Scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze, Università di Siena** UOC Neuroimmagini e Neurointerventistica, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Neurosensoriali, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Policlinico “Santa Maria alle Scotte”, Siena

Il linfoma cerebrale può essere primitivo (1-5% dei tumori cerebrali), tipicamente un linfoma non Hodgkin (LNH) a cellule B, più spesso in nuclei basali, sostanza bianca profonda e corteccia, o secondario (2-23% dei LNH aggressivi), generalmente a localizzazione leptomeningea. La prognosi è infausta, specie negli immunodepressi. La presentazione clinica è variabile; l’ipotesi diagnostica è generalmente neuroradio-logica. L’obiettivo del Poster è la rassegna iconografica dei reperti TC (spesso prima metodica impiegata) e RM tratti da una serie di oltre 35 pazienti (età: 16-83 aa.). La TC dimostra lesioni espansive/infiltrative spontaneamente iperdense (per elevata cellularità) con intensa impregnazione dopo mdc e variabile ede-ma perilesionale. La RM mostra crescita prevalentemente infiltrativa e caratteristiche di segnale derivanti da ipercellularità e scarso citoplasma del tumore, specie la variabile iso-ipointensità T2 e – alla DWI-ADC - la ristretta diffusività che può essere maggiore che nel glioblastoma. La Spettroscopia dimostra elevato rapporto colina/creatina (aumento “turn-over” di membrana) ed ampi picchi di lipidi e/o acido lattico (ne-crosi). La Perfusione dimostra incremento del rCBV, comunque inferiore a quello del glioblastoma. Dopo mdc, l’impregnazione è intensa. La RM è “gold-standard” per diagnosi differenziale (patologie neoplasti-che quali metastasi, gliomi, etc. e non neoplastiche quali sclerosi multipla, infezioni, etc), “follow-up” e protocolli di ricerca.

15. SWI nello studio della Neurosifilide: un nuovo segno radiologico per la diagnosi e il monitoraggio dopo terapiaSabato M., Pesaresi I., Desideri I., Doria R., Guida M., Giorgi F.S., Cosottini M., Puglioli M.Neuroradiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

La paralisi cerebrale è una manifestazione tardiva della neurosifilide che colpisce il tessuto nervoso ence-falico e si manifesta a distanza di diversi anni o decadi dall’infezione primaria con demenza progressiva e sintomi neuropsichiatrici. La presentazione clinica multiforme rende la diagnosi spesso difficoltosa. Il ruolo dell’imaging è marginale per l’aspecificità dei reperti radiologici.Sono stati studiati tre pazienti, maschi e immunocompetenti, ammessi presso il nostro centro per pro-gressivo declino cognitivo. La diagnosi di neurosifilide è stata formulata sulla base dei test sierologici e su liquor. I pazienti sono stati sottoposti a Risonanza Magnetica con apparecchio 3 Tesla prima e dopo la terapia con penicillina.Le sequenze pesate in suscettività magnetica (SWI) hanno rivelato diffusa ipointensità corticale, prevalen-temente fronto-temporale. Il reperto è parzialmente regredito nel controllo dopo terapia con penicillina.Sulla scorta dei dati anatomopatologici potrebbe essere espressione di accumulo di ferro intracellulare a livello della microglia attivata.Tale segno radiologico non è mai stato osservato in altre patologie infettive o infiammatorie e potrebbe essere specifico per la neurosifilide.

16. Cooperazione in Neuroscienze in Toscana: Il “Neurovascular Team” della Azien-da Ospedaliero-Universitaria di CareggiBarbagli G.*, Consoli A.**,Boschi A.*, Rosi A.**, Wembagher G.C.*, Renieri L.**, Cipolleschi E.*, Barni I.*, Pecchioli G.*, Mangiafico S.**, Ammannati F.** SOD di Neurochirurgia, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze** SOD di Neuroradiologia Interventistica, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze

Neurochirurgia ed Neuroradiologia Interventistica costituiscono le branche “operative” delle Neuroscien-

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ze. Pur essendo rami di specializzazioni diverse, una chirurgica ed una radiologica, condividono diversi aspetti della patologia cerebro-vascolare. Sono entrambe, inoltre, le specialità delle emergenza neurolo-gica, con la possibilità di intervenire sulla complessa patologia vascolare cerebrale e spinale. In Toscana, a Firenze, queste due realtà lavorano da più di 10 anni in piena sinergia; per i pazienti più complessi è prevista una discussione e un planning terapeutico in comune accordo al fine di rendere un servizio d’eccellenza al cittadino. Settimanalmente, presso il reparto, si tiene una riunione con discussione dei casi più interessanti a cui vengono invitati a partecipare anche i colleghi che supportano i lavoro del “neurovascular team” come gli anestesisti/rianimatori o i neuroradiologi diagnosti. Inoltre, anche l’attività scientifica è svolta in piena collaborazione tra le Unità Operative. Tutto ciò perché la convinzione della Azienda Careggi è che la cooperazione tra queste due specialità porti enormi benefici al cittadino toscano. Presentiamo su questo poster, l’organizzazione del nostro Team

Gruppo 2: NEUROSCIENZE 2

1. Ictus ischemico: indicazioni alla craniotomia decompressivaCipolleschi E. *, Mariotti F. **, Pansini G.*** Scuola di Neurochirurgia, Università degli Studi di Firenze ** UO Neurochirurgia, AOU. Careggi, Firenze

La craniotomia decompressiva, procedura giudicata da molti desueta, è stata di gran lunga rivalutata alla luce dei più recenti trial clinici evidenziandone l’utilità nel trattamento del trauma cranico e dell’ictus ischemico. È stato esaminato un gruppo di pazienti affetti da ictus maligno in un arco di tempo dal 2005 al 2013, raccogliendo 26 casi, in linea con i maggiori studi presenti in letteratura. Dopo osservazio-ne sistemica e retrospettiva si è potuto valutare l’utilità della procedura decompressiva quando eseguita secondo le indicazioni poste dagli studi pubblicati a partire dl 2007 Dalla nostra esperienza si evince, infatti, che la craniotomia decompressiva rappresenta una reale opzione terapeutica nel paziente con ictus ischemico acuto. Questa procedura eseguita nelle prime 48 ore diminuisce nettamente la mortalità e migliora la funzionalità residua, seppur aumentando il numero complessivo di pazienti con limitazioni funzionali. Le nostre osservazioni indicano che questo dato è vero solo quando le indicazioni chirurgiche sono strettamente rispettate nei casi di pazienti con ictus ischemico in rapido deterioramento neurologico e quadro TC fortemente suggestivo di grave ipertensione endocranica, con GCS ≥ 7, età ≤ 60 anni, esordio dei sintomi al di sotto delle prime 48 ore, senza distinzione tra lato destro e sinistro. Studi multicentrici sono, tuttavia, necessari per ulteriori approfondimenti , in particolare la relazione fra GCS pre-operatorio e NIHSS all’ingresso

2. Teletrombolisi e riduzione del ritardo evitabile nel terriorio della LunigianaPiazza S., Chiti A., Orlandi G.UO Neurologia ASL 1 Massa Carrara e AOU Pisana

La provincia di Massa-Carrara (1156 Km2) conta 199.730 ab. ed è suddivisa nella Zona Apuane (che fa riferimento agli Ospedali di Carrara e di Massa ) e nella Zona Lunigiana (che fa riferimento agli Ospedali di Pontremoli e di Fivizzano). La Lunigiana è la zona più estesa (925 Km2) con circa un quarto (50.714) degli ab. del territorio della provincia. Stimando un’incidenza di primo ictus di 2,35/1000 abitanti (2,93/1000 considerando anche le recidive) in Lunigiana sono attesi ogni anno 119 casi di primo ictus che salgono a 148 con le recidive. La trombolisi endovenosa entro 4,5 ore dall’esordio dei sintomi è la terapia indicata in casi selezionati di ictus ischemico e il fattore tempo è l’elemento cruciale sia di efficacia che di sicurez-za per cui è fondamentale una organizzazione che permetta di ridurre il più possibile il ritardo evitabile. L’unica struttura accreditata per effettuare la trombolisi è l’UO Neurologia dell’Ospedale di Carrara che è difficilmente raggiungibile in tempi utili da molti comuni della Lunigiana a causa delle caratteristiche oro-

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grafiche del territorio e delle lunghe distanze nonostante l’organizzazione del Servizio di Emergenza-Ur-genza Territoriale, la favorevole viabilità autostradale e la disponibilità di elisoccorso H24. Dei 64 pazienti sottoposti a trombolisi endovenosa in un anno di attività (2014) presso la UO Neurologia di Carrara solo 5 (7.8%) provenivano da comuni della Zona Lunigiana (Fivizzano in 4 casi e Bagnone in 1 caso) mentre tutti gli altri provenivano dalla Zona Apuane o dal vicino comune di Sarzana (SP). Per favorire maggiore equità di accesso al trattamento è stato proposto di implementare un sistema di teletrombolisi che facendo riferimento alla UO Neurologia di Carrara permetta di trattare i pazienti nell’Ospedale di Pontremoli. La riduzione dei tempi di percorrenza stimati per la popolazione di tutti i comuni della Lunigiana risulta in media di 24 min (range 13-42 min) e in particolare è superiore a 30 minuti per i comuni di Pontremoli, Mulazzo,Villafranca, Bagnone, Filattiera e Zeri che di per sé corrispondono a una popolazione di 20.383 abitanti per i quali sono attesi ogni anno circa 60 casi di ictus che possono trarre un maggior vantaggio dalla riduzione del ritardo evitabile dovuto ai tempi di percorrenza.

3. Trombolisi sistemica e locoregionale: l’esperienza della Stroke Unit di PratoCaruso A., Del Bene A., Cagliarelli G., Scotto di Luzio A., Rosati E., Falcini M., Torre E., Piersanti P., Fabbri M., Giorgi C., Del Corona A., Massaro F., Grassi E., Palumbo P.UO Neurologia, Nuovo Ospedale di Prato

INTRODUZIONE: la Stroke Unit dell’Ospedale di Prato dal 2004 è un centro accreditato per la trombolisi sistemica. Dal 2008 l’ASL4 ha un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale per l’ictus. Dal 2010 condivide un protocollo di area vasta con Careggi per il trattamento endovascolare. SCOPI: analizzare l’evoluzione dell’applicazione dei percorsi confrontando i tempi intraospedalieri ([Door to CT read], [Door to treatment] e l’onset-to-treatment time [OTT]) e le caratteristiche dei pazienti trattati nel 2014 (età media, NIHSS all’ingresso, mRankin a 3 mesi), con i dati degli anni passati.RISULTATI: nel 2014 sono strati trattati con trombolisi venosa 44 pazienti (26M e 18F), di cui 9 sottopo-sti a trattamento combinato con trombectomia meccanica, età media 70.8aa. Tempi medi: Door to CT read: 18min nel 2014 vs 46min del 2012, Door to treatment: 93min nel 2014 vs 99min del 2012, e OTT: 168min nel 2014 vs 165min del 2012. NIHSS: 12.2 nel 2014 vs 16 del 2009; NIHSS 0-7: 31.8% nel 2014 vs 4.2% nel 2009; mRankin0-2 a 3 mesi: 59% nel 2014 vs 33% del 2009; mRankin6: 6% nel 2014 vs 21% del 2009.CONCLUSIONI: si evidenzia un incremento di trattamento degli ictus lievi e una riduzione del tempo di accesso alla TCcranio. Rimane un eccesso di 33minuti del tempo door to treatment (60min raccomandati rispetto ai 93min del nostro ospedale), che dovrà essere affrontato nella revisione annuale del percorso ictus.

4. La terapia dello stroke acuto nell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese dal 2008 al 2014Di Toro Mammarella L.*, Tassi R.*, Bracco S.**, Cioni S:**, Guideri F.*, Marotta G.*, Acampa M.*, D’Andrea P.*, Lo Giudice G.*, Gennari P.**, Vallone I.**, Romano D.**, Cerase A.**, Rossi A.**, Martini G.** Stroke Unit Azienda Ospedaliera Universitaria Senese** Neuroimmagini e Neurointerventistica Azienda Ospedaliera Universitaria Senese

La fibrinolisi endovenosa (IVT) è l’unica terapia attualmente approvata per il trattamento dell’ischemia cerebrale acuta. Il successo di questo approccio non supera però il 10% nella occlusione della carotide interna (ICA) ed il 30% in quella dell’arteria cerebrale media (MCA). Questo ha portato all’utilizzo di metodiche endovascolari complementari in caso di non risposta alla fibrinolisi sistemica o come terapia primaria qualora esistano controindicazioni alla somministrazione del fibrinolitico. Scopo del presente studio è quello di valutare i risultati ottenuti con la fibrinolisi sistemica in funzione della sede di occlusio-ne e i dati preliminari degli outcomes in pazienti trattati per via endovascolare secondo protocollo Rescue o con trombectomia meccanica primaria (TMP).MATERIALI E METODI: abbiamo condotto un’analisi retrospettiva su un totale di 266 pazienti con ictus

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ischemico acuto, afferiti al nostro Centro dall’aprile 2008 al settembre 2014 e trattati con IVT, TMP o me-todica RESCUE. I pazienti con occlusione di grosso vaso (ICA, MCA prossimale ed occlusione in tandem) sono stati suddivisi in tre gruppi: 1. pazienti sottoposti a IVT 2. pazienti sottoposti a IVT e, in caso di non risposta, a trombectomia meccanica (RESCUE) 3. TMP. L’outcome a 90 giorni è stato definito favorevole se mRS (modified Rankin Scale) ≤ 2. RISULTATI: Dei 266 pazienti analizzati, età media 69.5 anni (range 23-93), il 58.6% era di sesso maschi-le. Il gruppo IVT (n=191) ha presentato una percentuale di outcome favorevole pari al 69.1%, con un tasso di mortalità del 4.7%. Un outcome favorevole nel sottogruppo IVT con occlusione di grosso vaso (n=28) è stato riscontrato nel 39.6%, versus il 19.5% del gruppo TMP (n=41) ed il 44.2% del gruppo RESCUE (n=34). Il tasso di mortalità dei tre gruppi con occlusione di grosso vaso è stato rispettivamente dell’8.3%, 8.8% e 19.5%.CONCLUSIONI: la fibrinolisi sistemica endovenosa resta il trattamento di scelta nello stroke ischemico acuto. Tuttavia in presenza di documentata occlusione di un grosso vaso, il protocollo RESCUE presenta un ottimo profilo di sicurezza migliorando l’efficacia della IVT, mentre il trattamento di trombectomia mec-canica primaria è gravato da un più alto tasso di mortalità e da scarso outcome funzionale probabilmente da correlare ad un intervento più tardivo ed a una maggiore gravità dei pazienti (il 65.9% presentava un NIHss basale ≥19 rispetto al gruppo IVT con occlusione di grosso vaso (48%) o al gruppo RESCUE (47.1%).

5. Trombolosi Endovenosa nell’ictus: un anno di attività nel territorio della ASL 1 di Massa CarraraPiazza S., Gabrielli L., Jensen S., Maremmani C., Maritato P., Milanta S., Nicoletti V., Pardini C., Petri M., Di Coscio E., Sposito R., Orlandi G.UO Neurologia ASL 1 Massa Carrara

Presso la UO Neurologia di Carrara (unico centro accreditato nella ASL-1) in un anno di attività (2014) sono stati sottoposti a trombolisi endovenosa ed inseriti nel registro SITS-ISTR 64 pazienti (39 M e 25 F, età media di 66 ± 13 anni, range 39-86); 9 (92.2%) provenivano dalla Zona Apuane e solo 5 (7.8%) dalla Zona Lunigiana. Stimando che i casi di ictus ischemico (primo evento con recidive) attesi ogni anno nella Zona Apuane sono circa 350 e nella Zona Lunigiana sono circa 120, sono stati trattati 59/350(16.8%) dei pazienti provenienti dalla Zona Apuane e 5/120 (4.1%) dalla Zona Lunigiana.Il 12.5% dei casi è stato selezionato con criteri off-label (6 ultraottantenni e 2 al risveglio) e 2 (3.1%) casi sono risultati misdiagnosi (sclerosi multipla ad esordio ictale e cerebrite). 55 (85.9%) pazienti hanno iniziato la trombolisi entro le 3 ore dall’esordio dei sintomi e 9 (14.1%) fra 3 e 4.5 ore. Il tempo dall’arrivo al pronto soccorso all’inizio del trattamento è stato in tutti i casi inferiore a 60 minuti. Il punteggio medio di NIHSS all’inizio del trattamento è stato 10.8 (range 2-21) e alla dimissione di 4.18 (range 0-21). Si è verificata emorragia cerebrale sintomatica (PH2) in 3 (4.6%) casi. In tutti i casi è stato effettuato programma di presa in carico riabilitativa o domiciliare entro 48 ore dal ricovero e la degenza media è stata di 9 giorni.L’outcome funzionale a 3 mesi nei 50 pazienti che finora hanno terminato il follow-up è stato assenza di disabilità (mRS 0-2) in 33 (66%) casi, moderata disabilità (mRS 3) in 4 (8%) casi, grave disabilità (mRS 4-5) in 9 (18%) casi, mentre la mortalità (mRS 6) è stata dell’ 8% (3 decessi per PH2 e 1 per embolia polmo-nare).Questi dati depongono per una soddisfacente performance della fase ospedaliera sia in termini di efficacia del trattamento che di efficienza organizzativa (rispetto della “golden hour” al pronto soccorso e conte-nimento dei giorni di degenza ospedaliera), ma indicano la priorità di implementare l’organizzazione territoriale per garantire la possibilità di trattamento ad un maggior numero di pazienti, specie a quelli provenienti dalla Lunigiana.

6. La Terapia Endovascolare dell’ictus in fase acuta nell’Area Vasta Sud Est della Re-gione ToscanaMartini G.*, Tassi R.*, Bracco S.*, Cioni S.*, Rossi A.*, Sbrana G.**, Marconi R.**, Bartalucci M.**, Breggia

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M.**, Iannelli G.***, Mandò M.***, Calchetti B.***, Linoli G.**** Azienda Ospedaliera Universitaria Senese** ASL 9 Grosseto*** ASL 8 Arezzo

La fibrinolisi endovenosa con rtPA entro le 4.5 ore dall’inizio dei sintomi è la terapia di scelta nei pazienti con ischemia cerebrale acuta. L’effetto del trattamento è tempo dipendente, pertanto il trattamento pre-coce aumenta le possibilità di esito favorevole. Esistono controindicazioni assolute alla somministrazione del farmaco ed è inoltre noto che la fibrinolisi sistemica con rtPA da sola ha scarsa possibilità di successo quando l’occlusione interessa un grosso vaso intracranico: Arteria Carotide Interna, Arteria Cerebrale Me-dia e Tronco Basilare. Scopo del presente studio è quello di valutare l’outcome a 3 mesi di pazienti con ictus acuto da occlusione di grosso vaso cerebrale ai quali è stata iniziata la fibrinolisi sistemica ad Arezzo o Grosseto e che sono stati trasferiti, con il fibrinolitico in corso, a Siena per essere sottoposti a procedura endovascolare di disostruzione meccanica secondo metodica RESCUE. L’ UOS di Neurointerventistica dell’AOUS è l’unico Centro di Area Vasta che esegue queste procedure.MATERIALI E METODI: Ai pazienti con ictus ichemico acuto afferenti ai DEA di Arezzo e Grosseto con sospetta occlusione di grosso vaso veniva eseguita, oltre la TC cranio scansione di base, anche studio An-gioTC. Se confermata la occlusione di grosso vaso veniva iniziata fibrinolisi sistemica ed inviato il paziente al DEA di Siena tramite il veicolo di soccorso più veloce immediatamente disponibile. A Siena il paziente eseguiva angiografia cerebrale ed eventuale intervento di disostruzione meccanica (trombo aspirazione o stentretriever). RISULTATI: da Giugno 2014 sono stati trasferiti a Siena 5 pazienti maschi, 3 da Arezzo e 2 da Grosseto, di età compresa fra 33 e 75 aa di cui 3 con occlusione a T della carotide e 2 con occlusione prossimale della arteria cerebrale media. Il tempo medio dall’inizio dei sintomi alla fibrinolisi è stato di 170’ e quello fra l’i-nizio dei sintomi e la puntura del vaso di 288’. In tre pazienti è stata ottenuta la completa ricanalizzazione dei vasi occlusi con risoluzione della sintomatologia ((mRs a tre mesi <2). In un paziente la procedura non ha avuto successo per cui è stato sottoposto successivamente a emicraniectomia decompressiva (mRs=4) mentre in un paziente l’esame angiografico ha mostrato la ricanalizzazione del vaso non rendendo neces-saria la terapia meccanica (mRs=0). CONCLUSIONI: questi dati preliminari confermano la sicurezza del trattamento fibrinolitico durante il trasporto anche con elisoccorso nonché l’efficacia della terapia endovascolare secondo la metodica “re-scue” nei pazienti con occlusione di un grosso vaso cerebrale.

7. Il flusso alternante sulla arteria vertebrale non è sempre indicativo di furto della succlavia Gallerini S.*, Bartalucci M.*, Marsili L.*, Rossi F.*, Zocchi M.**, Gambacorta D.**, Marconi R.** UOC Neurologia, Ospedale Misericordia, Grosseto ** UO Neuroradiologia, Ospedale Misericordia, Grosseto

Il riscontro all’ecocolorDoppler di un flusso alternante sull’arteria vertebrale è considerato il pattern carat-teristico del furto della arteria succlavia di tipo permanente e incompleto. Tuttavia, raramente, tale reperto può essere causato da una steno-occlusione del tratto prossimale (V0-V1) dell’arteria vertebrale stessa (1). Riportiamo 3 casi clinici di pazienti (2F e 1M) ricoverati presso l’UO Neurologia di Grosseto che si sono presentati in Pronto Soccorso con segni e sintomi di ischemia del circolo posteriore. La valutazione neuro vascolare urgente ha incluso l’ecocolorDoppler dei tronchi sovraortici e il Doppler transcranico. Sul tratto intertrasversario dell’arteria vertebrale (V2) è stato rilevato in tutti i pazienti un flusso alternante (inversione della fase sistolica con fase diastolica ortodromica). Lo studio del tratto V0-V1, integrato con angio-TC, ha documentato in due pazienti la presenza di una stenosi severa prossimale, mentre nel terzo una occlusio-ne segmentaria prossimale del vaso su verosimile base dissecativa. La vertebrale controlaterale e l’arteria basilare presentavano in tutti i tre i pazienti un flusso ortodromico. L’arteria succlavia ha mostrato un flusso regolare. Due pazienti sono stati sottoposti ad angiografia cerebrale che ha confermato i reperti suddetti e in un caso è stato posizionato uno stent vertebrale con ricanalizzazione del vaso e scomparsa del flusso

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alternante al controllo ecoDoppler. Questi casi dimostrano che la presenza di un flusso alternante sulla vertebrale, specie se associato all’assenza di sintomi di ischemia periferica e alla presenza di polsi radiali normosfigmici e simmetrici, non è sempre indicativo di furto della succlavia e può essere causata da una steno-occlusione prossimale della vertebrale stessa. Si conferma l’utilità dell’ecocolorDoppler nella va-lutazione neuro vascolare urgente dei pazienti con segni di ictus del circolo posteriore e l’importanza di studiare anche il tratto prossimale della vertebrale, completando con angio-TC in casi selezionati o quan-do vi siano difficoltà di finestra acustica.REFERENCE1-Chen SP, Hu YP, Fan LH, Zhu XL. Bidirectional flow in the vertebral artery is not always indicative of the subclavian stel phenomenon. J Ultrasound Med 2013. 32:1945-50.

8. Dissezione dei vasi cerebro-afferenti: caratteristiche cliniche e fattori di rischio in 100 pazienti consecutiviGiannini N., Terni E., Brondi M., Montano V., Maccarrone M., Gabbriellini I., Polese A., Taddei A., Citi R., Orlandi G., Bonuccelli U., Mancuso M.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

La dissezione dei vasi cerebro-afferenti (CAD) è una delle principali cause di ictus ischemico giovanile. Nonostante i fattori di rischio noti, la patogenesi in alcuni casi resta sconosciuta. Abbiamo valutato re-trospettivamente 100 pazienti (26 femmine), età media 49.5 aa (range 23-79) ricoverati dal 1998 al 2014 presso la Clinica Neurologica di Pisa. I fattori di rischio, le comorbidità e i quadri neurologici di esordio verranno discussi. Nel 67% dei casi la valutazione ultrasonologica in urgenza è risultata diagnostica. Nell’80% le neuroim-magini hanno rivelato lesioni cerebrali ischemiche, nel 2% segni di ESA. In acuto, 93 pazienti hanno rice-vuto terapia antiaggregante, 5 sono stati sottoposti a fibrinolisi sistemica e 2 a trattamento loco-regionale con stent intracranico. La percentuale di ricanalizzazione completa a distanza è stata del 16% a 3 mesi e del 37.5% a 6 mesi. Il grado di disabilità secondo la mRS alla dimissione è risultato <2 nel 64% dei casi, a 6 mesi dell’81%. Un corretto management delle CAD richiede un approccio tempestivo e multidisciplinare. Specie nei casi criptogenetici, l’indagine potrebbe essere estesa alla ricerca di eventuali sottostanti condizioni genetiche e/o patologie sistemiche misconosciute.

9. @FAP-strokeFalcini M.*, Badia T.**, Palumbo P.** UO Neurologia, Nuovo Ospedale di Prato** UO Cardiologia, Ospedale Santo Stefano, Prato

Introduzione: Nel 20 al 40% dei casi lo stroke è criptogenetico e documentarne come causa una fibrilla-zione atriale parossistica (FAP) è una sfida combattuta fra il monitoraggio nei primi giorni dopo l’ictus, la ripetizione di un Holter ECG, l’uso di loop recorder. Le quote di successo riportate in letteratura variano dallo 0 al 25%, con un guadagno percentuale di meno del 10% fra Holter e Loop recorder . Evidenti i risvolti terapeutici, per il passaggio dagli antiaggreganti agli anticoagulanti di nuova o vecchia generazio-ne. Il caso. Un uomo di 60 anni, con precedente IMA 5 anni fa, in terapia con aspirina 100 mg, aveva subito nel Settembre 2014 una lesione ischemica minore in area motoria sinistra. Dopo la risoluzione dell’evento aveva sospeso il clopidogrel prescrittogli, tornando ad ASA. Quattro mesi dopo ripresenta-va un parestesia brachiale e lieve ipostenia dx. La tac cranio mostrava una nuova lesione ischemica in prossimita’ del caudato sinistro. Al cardiologo riferiva di aver raramente, e per brevissimi istanti avvertito una sensazione di cardiopalmo. L’Holter EEG non rilevava alterazioni ritmiche. Il cardiologo su internet e trovava un apparecchio di teleECG, poco più grande di una carta di credito, che registrando per 30 sec, dal momento in cui avvertiva cardiopalmo, ha ben presto svelato un episodio di FAP e portato alla prescrizione di NAO.

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10. Ipo-disfibrinogenemia in un paziente con ictus ischemici recidivantiOrsucci D.*/**, Salvetti S.*, Margelli M.***, Terni E. */**, Puglioli M.****, Napolitano A.*, Vista M.*, Maz-zoni M.** S.C. Neurologia, Lucca** Clinica Neurologica, Pisa*** S.C. Medicina Trasfusionale e Immunoematologia, Lucca**** U.O. Neuroradiologia, Pisa

Descriviamo un paziente di 44 anni, che dall’età di 38 anni ha presentato ictus ischemici recidivanti. Ha eseguito numerosi accertamenti, tra cui esame del liquor, PET total-body e due angiografie cerebrali, che non sono risultati diagnostici. Gli esami del sangue hanno evidenziato valori persistentemente bassi di fibrinogeno che hanno portato al sospetto di ipo-disfibrinogenemia congenita. Il paziente è stato quindi trattato con doppia antiaggregazione (clopidogrel 75 mg/die + acido acetilsalicilico 100 mg/die) e negli ultimi due anni non ha presentato ulteriori episodi ischemici. La diagnosi è stata infine confermata dal sequenziamento dei geni codificanti le tre catene del fibrinogeno, che ha evidenziato la transizione in eterozigosi c.945C>T (p.Arg108Stop) nella catena gamma. Tale mutazione, descritta in precedenza, porta alla produzione di una catena gamma del fibrinogeno instabile e severamente troncata. È importante con-siderare la disfibrinogenemia tra le cause possibili di ictus criptogenetico in età giovanile, in particolare in caso di valori persistentemente bassi di fibrinogeno (ipofibrinogenemia), cui spesso si associa.

11. New technologies in stroke rehabilitation: a pilot study to test EMG-triggered synchronization of functional electrical stimulation and robot-assisted gait trainingBertolucci F.*, Nguyen R.**, Di Martino S.*, Tramonti C.*, Micera S.***, Morari M.**, Chisari C.** Unit of Neurorehabilitation, Department of Neuroscience, University Hospital of Pisa.** Automatic Control Laboratory, Swiss Federal Institute of Technology (ETHZ), Zurich, Switzerland.*** Translational Neural Engineering Lab, Center for Neuroprosthetics and Institute of Bioengineering, School of Bioengineering, Swiss Federal Institute of Technology (EPFL), Lausanne, Switzerland. The BioRobotics Insti-tute, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa, Italy.

Robot-assisted gait training for gait recovery after stroke has the advantage of imposing predefined motions with high repeatability and precision, but the patient has little influence over the movement trajectories. Functional electrical stimulation (FES) applied at the appropriate time in conjunction with volitional acti-vation facilitates motor learning and enhances the therapeutic benefits on gait. We aimed to describe the design and implementation of a cooperative controller that combines FES of the quadriceps muscles with a robotic gait orthosis to provide enhanced knee extension during the swing phase of walking in post-stroke patients.Three hemiparetic patients partecipated to 18 robotic gait training sessions; FES was triggered by surface EMG activity of the quadriceps of the paretic leg and synchronized to the Lokomat Assessments were made before and after the treatment through clinical walking tests and 3D gait analysis; quadriceps strength was tested with an isokinetic dynamometer.At the end of the treatment, despite we didn’t observe an increase of muscle strength, patients improved their performance in the walking tests and gait analysis revealed an increase of walking speed and step length. Our newly developed system was demonstrated to be easily applied and efficient in improving gait in hemiparetic patients. It can serve as a launching point for future studies to test and understand the mecha-nisms of the long-term effect of the combination of FES and robotics on stroke rehabilitation.

12. Longitudinal changes in cortical excitability and connectivity after stroke: preli-minary resultsChisari C.*, Fanciullacci C.*/**, Lamola G.*, Panarese A.**, Artoni F.**, Micera S.**/***, Rossi B.** U.O.Neuroriabilitazione, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Italia

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** Istituto di Biorobotica, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa, Italia.*** Translational Neural Engineering Lab, Center for Neuroprosthetics, Lausanne (EPFL), Switzerland

Modern neurorehabilitation is moving towards a “top-down approach”: it aims at enhancing functional motor recovery after stroke by directly modulating CNS activity. Characterizing cortical excitability and connectivity changes after the brain injury is the first step to the target.The aim of this study was to correlate the functional status of a group of stroke subjects and a set of neu-rophysiological parameters within one year of time after the acute event.Clinical evaluations as NIHSS, Barthel Index, Fugl-Meyer Assessment and Wolf Motor Function Test were administered at: T0 (<45 days from the event), T1 (3 months) and T2 (1 year). At the same time, 64-ch EEG at rest, Motor Evoked Potentials (MEPs), facilitatory and inhibitory Paired Pulse TMS (fPP and iPP) and Si-lent Period (SP) were performed.The results underline a reduction of corticospinal reactivity over time: bilaterally MEP amplitude doesn’t change at T1, while at T2 it decreases significantly. With the use of fPP and iPP the unlesioned hemisphe-re become less responsive to induced excitability. In affected arm SP length progressively decrease. We also found changes in alpha band functional connectivity related to improvements in upper limb motor function.This extensive evaluation approach of stroke patients may contribute to a better understanding of the me-chanisms underlying the cortical reorganization after stroke, thus providing the basis for a novel, more efficient and customized rehabilitative intervention.

13. Ricanalizzazione endovascolare nel paziente con stroke ischemico acuto: espe-rienza del nostro centro con la tecnica della tromboapsirazioneRomano D.G.*, Cioni S.*, Vallone I.M.*, Gennari P.*, Leonini S.*, Arrigucci U.*, Tassi R.**, Martini G.**, Bracco S.** UOS Neurointerventistica, Neuroimmagini e Neurointerventistica AOUS ‘‘S. Maria delle Scotte’’ Università di Siena** Stroke Unit, AOUS ‘‘S. Maria delle Scotte’’ Università di Siena

Obiettivi: Negli ultimi anni lo sviluppo dei nuovi devices per il trattamento endovascolare nello stroke ischemico acuto, ha migliorato sia la percentuale tecnica di rivascolarizzazione che i tempi di trattamento, ma non l’outcome, come visto da vari trials; scopo del nostro lavoro è valutare i nostri dati in rapporto con la tecnica di tromboaspirazione (TA).Metodi: Sono stati esaminati 56 pazienti con stroke ischemico acuto trattati, del gennaio 2013 a gennaio 2015 con tentativo di rivascolarizzazione eseguito in prima istanza con tecnica della TA, eventualmente associato a sistema di stent-retrivier (SR).Risultati: 32 pazienti su 56 avevano eseguito r-TPA EV prima del trattamento (Rescue).Tecnicamente, la ricanalizzazione ottimale (>2b TICI scale) è stata ottenuta nell’ 82% dei casi con sola TA; nel 92% dei casi con TA+SR. I tempi di ricanalizzazione sono stati in media di 42 minuti nei trattamenti TA e 48 minuti nei trattamenti TA+SR.L’outcome clinico a 90 giorni dei pazienti risultava <2 MRS nel 45% trattati con Rescue therapy e del 22% dei pazienti con solo trattamento intrarterioso.Conclusioni: Il trattamento dei pazienti stroke ischemico acuto con TA o TA+SR risulta una tecnica sicura, rapida ed efficace in centri ad alta esperienza

14. Trattamento Endovascolare con Stent Flow Diverter di aneurisma BLISTER-LIKE del sifone Carotideo: CASE REPORTRosi A.Interventistica Neurovascolare AOU Careggi, Firenze, Scuola di specializzazione in Radiodiagnostica di Fi-renze

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Gli aneurismi blood blister-like (o “frog-eye”) sono piccoli aneurismi laterali di forma emisferica ad ampia base, che originano a livello dei tratti prossimali alterati dei vasi intracranici maggiori, nelle porzioni prive di biforcazioni o diramazioni (la sede più frequente è rappresentata dal sifone carotideo).Verranno considerati gli elementi che fanno di questo tipo di aneurismi un’entità patologica piuttosto distinta rispetto ai più comuni aneurismi sacculari, sia per la patogenesi che nella prognosi. La patologia non si limita all’aneurisma, ma comprende un intero tratto di arteria.Considerate le caratteristiche morfo-strutturali e la relativa rarità di questa patologia, non esiste un trat-tamento codificato; verranno riportate le opzioni terapeutiche descritte in letteratura, costituita princi-palmente da case-reports. Nel poster verrà infine descritto un caso di aneurisma blister-like del sifone carotideo trattato presso la SOD di Interventistica Neurovascolare dell’AOU Careggi di Firenze tramite il posizionamento di stent flow-diverter.

15. Disturbi del sonno in pazienti con ipertensione resistenteDi Coscio E.*, Bruno R.M.**, Faraguna U.***/****, Di Galante M.****, Carnicelli L., Maestri M.*, Cargiolli M.*****, Ghiadoni V.*****, Bonuccelli U.*/*****, Bonanni E.*/****** Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neurologia, AOU Pisa** Istituto di fisiologia Clinica, CNR Pisa*** Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Università di Pisa, **** IRCCS Fondazione Stella Maris ***** Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Scopo dello studio è stato valutare in una popolazione di soggetti con ipertensione farmaco resistente le caratteristiche del sonno notturno e la presenza di disturbi primari del sonno, Metodi: Sono stati arruolati 20 pazienti con ipertensione arteriosa farmacoresistente (età media 56±18 anni; 4F, 16M) a cui sono stati somministrati questionari validati per qualità del sonno, sonnolenza, fatica, e valutazione di tono dell’umore e quota ansiosa. I soggetti sono quindi stati sottoposti a studio polison-nigrafico notturno; il sonno è stato successivamente esaminato secondo i criteri di scoring AASM 2007.Risultati: Il sonno notturno dei soggetti esaminati appare caratterizzato, rispetto ai valori normativi, da una riduzione del sonno a onde lente (SWS%= 15,0±9,6) e del sonno REM (REM%=14,1±6,4), con corrispon-dente aumento della veglia infrasonno e delle fasi di sonno leggero N1 e N2. I reperti poligrafici indicano una prevalenza significativa del 60% di disturbo respiratorio in sonno, mentre quella di sindrome delle gambe senza riposo (RLS) è del 47% e di movimenti periodici degli arti inferiori (PLMS>15) del 30%. Discussione: Il nostro lavoro conferma la comorbidità tra disturbi del sonno ed ipertensione resistente, ed estende l’ambito dei disturbi primari del sonno ad essa associati alla sindrome delle gambe senza riposo e ai movimenti periodici in sonno degli arti inferiori.

16. Interessamento spinale in corso di arterite gigantocellulareDel Gamba C.*, Frosini D.*, Tavoni A.**, Bonuccelli U.*, Ceravolo R.** Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neurologia, AOU-Pisa** Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa, UO Reumatologia, AOU-Pisa

Introduzione: L’arterite gigantocellulare (AG) è una vasculite dei grandi e medi vasi, che comunemente coinvolge l’arteria temporale superficiale e molto raramente i vasi spinali. Questo caso ne evidenzia la complessità clinica e diagnostica. Materiali e Metodi: Una donna di 72 anni lamenta da 6 mesi algie ai 4 arti, ipoestesia e ipostenia ingravescente agli arti inferiori e, più recentemente, incontinenza urinaria e stipsi. In anamnesi: diagnosi di Polimialgia reumatica circa 2 anni prima, trattata con corticosteroidi,

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sospesi da circa 6 mesi. Alla nostra prima valutazione mostra marcia paraparetica con vivacità dei ROT e Babinski a dx, alterazione della sensibilità superficiale e pallestesica agli arti inferiori. In laboratorio si rilevano VES e PCR elevate, alla rachicentesi danno di barriera, negativa la ricerca virale e batterica. La RMN mostra lesioni midollari cervicali senza segni di captazione contrastografica. La PET total body con FDG mostra ipermetabolismo aortico e articolare. Nell’ipotesi di una vasculite inizia terapia con Metil-prednisolone, con netto miglioramento clinico, riduzione di VES, PCR e delle alterazioni midollari sopra-descritte. I dati bioumorali e l’interesamento aortico supportano una diagnosi di vasculite gigantocellulare a prevalente localizzazione spinale. Conclusione: L’interessamento midollare è raro nella AG, tuttavia la presenza di indici di flogosi elevati suggerisce di considerare tale ipotesi nei casi di mielopatia subacuta

Gruppo 3: NEUROSCIENZE 3

1. La compromissione del sonno nella demenza Frontotemporale è evidente sin dalle fasi iniziali: uno studio di confronto con la malattia di AlzheimerCarnicelli L.*, Maestri M.*, Di Coscio E.*, Economou N.***/****, Bonakis A. **/***/****, Paparrigopoulos T.***, Ktonas P.**, Vagiakis E.****, Thedoropoulos P.**, Papageorgiou S.****, Tognoni G.*, Bonuccelli U.*, Bonanni E.** Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze ,UO Neurologia, AOU Pisa** Centro dei Disturbi del Sonno, Ospedale Evangelismos, Atene*** Università di Atene - Ospedale Eginition, Atene**** Clinica neurologica - Ospedale Eginition, Atene

Obiettivi: Nella demenza frontotemporale (FTD), il sonno è stato scarsamente studiato rispetto ad altre malattie neurodegenerative come la malattia di Alzheimer (AD) ed esigui sono i dati polisonnografici. Obiettivo di questo studio polisonnografico è stato analizzare la macro e la microstruttura (Cyclic Alterna-ting Pattern) del sonno di soggetti con FTD. Materiali e Metodi: Dodici soggetti affetti da variante comportamentale di demenza fronto-temporale (7 M, 5 F; età media 62.5 ± 8.6 anni) sono stati confrontati con 17 pazienti AD (9 M, 8 F; età media 69.0 ± 9.9 anni) e 20 controlli sani (12 M, 8 F; età media 70.2 ± 12.5 anni). Risultati: I due gruppi di pazienti sono risultati sovrapponibili in termini di alterazioni delle funzioni cognitive. I soggetti con AD presentavano una durata di malattia significativamente maggiore rispetto ai pazienti con FTD. Il profilo globale del sonno è risultato meglio conservato nei controlli sani. I parametri macrostrutturali sono risultati meno alterati nei pazienti con AD rispetto ai pazienti con FTD; lo studio del CAP confermava nei soggetti con FTD una maggior compromissione della normale fisiologia del sonno. Discussione e Conclusione: Il sonno dei pazienti con FTD risulta parimenti o maggiormente compromesso dal processo neurodegenerativo rispetto ai soggetti con AD, malgrado una durata di malattia più breve, sia da un punto di vista macrostrutturale che, con maggiore evidenza, microstrutturale, che può essere nello specifico correlata all’alterata funzione dei lobi frontali. Tali dati confermano la necessità di valutare sin dalle prime fasi di malattia, la presenza di disturbi del sonno nei soggetti con malattie neurodegenerative.

2. Molecular imaging and psychometric predictors of cognitive outcome in Parkin-son’s disease Frosini D.*, Unti E.*, Pagni C.*, Giuntini M .*, Del Prete E.*, Volterrani D.**, Bonuccelli U.*, Ceravolo R.**** Department of Clinical and Experimental Medicine, University of Pisa/Department of Neuroscience, Neu-rology Unit, AOU Pisa ** Department of Translational Research and New Technologies in Medicine and Surgery, University of Pisa, Pisa

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*** Department of Neuroscience, S. Chiara Hospital, Pisa

Introduction: Dopamine transporter (DAT) imaging is a diagnostic tool for Parkinson’s Disease (PD) but it is also suggested as prognostic marker for motor and non motor outcomes. The ability of coping intersecting pentagons is considered a predictor of cognitive decline. We aimed to evaluate the prognostic role of DAT imaging and pentagon copy for cognitive outcome in a cohort of PD patients with a follow-up of five years.Methods 95 de novo PD patients underwent 123I-FP-CIT SPECT at baseline. Striatal indices were calculat-ed with Basal Ganglia Matching Tool. All the patients were assessed with UPDRS III and MMSE at baseline and each year for the five years, recording occurrence of dementia. Results: 18% of patients developed dementia; these patients had lower striatal binding at baseline (p<0.01) and showed a higher frequency of impairment in pentagon copy (χ2=9.9,p<0.001). Binary logistic regres-sion analysis was performed. The model contained two independent variables (striatal uptake and penta-gon copy) was statistically significant (χ2=20.7,p<0.001) and as whole it was able to predict the 35% of the variance in cognitive outcome. Both variables independently contributed to the model with an Odd Ratio respectively of 15.9 and 4.9 for low striatal baseline uptake and pentagon copy impairment. Conclusion: Our findings indicate that DAT imaging at baseline and visuospatial and constructional abil-ity as evaluated by pentagon copy intersection test are associated with cognitive outcome in PD patients.

3. Parkinson di origine tossica: una coorte di pazienti accomunati dall’esposizione a solventi nello stesso ambiente lavorativo nel campo dell’abbigliamentoColeschi P., Bianchi A. U.O. Neurologia - Neurofisiopatologia Osp. S. Donato, Arezzo

Le cause della Malattia di Parkinson rimangono solo in parte comprese, sebbene alcune sostanze tossi-che utilizzate in ambiente lavorativo sembrino poter giocare un ruolo eziologico. Casi di parkinsonismo sono stati collegati all’esposizione a vari solventi, soprattutto tricloroetilene e suoi derivati, che hanno dimostrato di essere dannosi per il sistema nigro-striatale, anche se un modello animale di Malattia di Parkinson indotta da solventi non è ancora stato dimostrato. Riportiamo una casistica di 13 pazienti affetti da M. di Parkinson insorto in età giovanile (40-50 anni) accomunati da esposizione a solventi per la lavorazione di stoffe all’interno dello stesso ambiente lavo-rativo. Tra i pazienti la malattia ha seguito un andamento non uniforme ma con alcuni punti in comune, come l’insorgenza in età giovanile, il tremore e l’instabilità posturale precoce. Il presente lavoro appunta l’attenzione su una causa di parkinsonismo secondario ancora poco conosciuta ma che potrebbe emer-gere trasformandolo in malattia professionale.

4. Caso clinico di sindrome corticobasale esordita con emisindrome mioclonicaDe Luca C., Frosini D., Unti E., Palermo G., Ceravolo R., Gori S., Bonuccelli U.

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa, Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

La Degenerazione Corticobasale (CBD) è un raro disturbo dell’età media che include sia sintomi motori che disturbi cognitivi. Riportiamo il caso di un uomo di 67 anni che si presenta con una sindrome mioclonica, prevalente all’e-misoma sinistro, con instabilità della marcia per cedimento dell’arto inferiore sinistro. Alla valutazione obiettiva emergono anche deficit propriocettivo dell’arto superiore sinistro e lieve bradicinesia globale, più accentuata a sinistra. Sono state escluse cause secondarie e metaboliche di mioclono, anche la deter-minazione degli anticorpi anti Hu-Yo-Ri e dei markers paraneoplastici è risultata negativa. L’EEG, ripetuto nel follow-up, non orienta per una patologia prionica. La RM evidenzia atrofia in regione parietale destra con aspetto “a lama di coltello” del giro post-rolandico di destra. I test neuropsicologici, pur con MMSE nella norma (23.30/30), dimostrano la presenza di aprassia ideomotoria, compromissione delle capacità visuo-percettive, delle funzioni esecutive e agnosia digitorum. La SPECT cerebrale con DATSCAN non

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evidenzia degenerazione nigro-striatale, la PET con FDG mostra un pattern di ipometabolismo parieto-temporale destro. La diagnosi clinica formulata è quella di CBD. Il caso presentato dimostra come una CBD possa insorgere senza evidenza di degenerazione nigro striatale e con interessamento primario cor-ticale supportato dall’esordio clinico con sindrome emi-mioclonica.

5. Does STN stimulation influence Theory of Mind?Del Prete E., Unti E., Turcano P., Frosini D., Nicoletti V., Bonuccelli U., Ceravolo R.Department of Clinical and Experimental Medicine, University of Pisa/Department of Neuroscience, Neuro-logy Unit, AOU Pisa

Introduction: Deep brain stimulation (DBS) of the subthalamic nucleus (STN) is an effective surgical treat-ment for Parkinson’s disease. Theory of Mind (ToM) refers to ability to infer other people’s thoughts, inten-tions or emotions. The effect of the stimulation on TOM is controversial. Objective: The aim of the present study is to analyze the effect of STN-DBS on ToM. Methods: Participants included 11 PD patients with STN DBS tested in two conditions: with stimulator turned on in on medication (ON condition) and after 1 hours of stimulator turned off in on medication(OFF condition); 9 healthy controls (HC), matched for age and education. All participants were administered 5 different tasks to assess cognitive and affective ToM abilities. Results: We observed that patients in “ON” condition have significant worse performances in Bush test (p= 0.03) and in Faux pas (p=0.047) compared to HC, whereas no differences were found in these tasks between “OFF” condition and HC; we also found significant impairment (p=0.04) in “ON” condition compared to “OFF” condition in Stranges Stories. Conclusion: Our study reported a worse per-formance on ToM specific tasks in PD patient in “ON” condition with respect to “OFF” condition and/or HC, thus supporting the hypothesis of a possible role of STN stimulation in ToM. Therefore the evidence of a predominant cognitive task impairment in “ON” condition suggests a possible different effect on cortical connections subserving the ToM substrates.

6. Disreattività dopaminergica del Reward Circuit: Sindrome di Stendhal revisitedGrassi E., Torre E., Piersanti P., Scotto di Luzio A., Palumbo P.Ospedale di Prato, PratoU.O. Neurologia, Nuovo Ospedale di Prato

La musica è uno stimolo uditivo articolato in maniera complessa. Molti processi percettivi si svolgono contemporaneamente in diverse aree cerebrali. Il cervello così elabora la musica in maniera gerarchica e distribuita. Alla base dell’effetto emotivo della musica si trova l’attivazione di meccanismi di aspettativa e di anticipazione di uno stimolo desiderabile, mediati dal neurotrasmettitore dopamina: nel caso di un bra-no già familiare, il meccanismo dell’aspettativa sarebbe evocato dall’anticipazione mentale dei passaggi più godibili. Il nucleus accumbens interagisce con la corteccia uditiva, area del cervello che immagazzina le informa-zioni sui suoni e sulla musica ascoltata. Maggiore il piacere nell’ascoltare un pezzo musicale, maggiore l’interazione tra queste aree. Il cervello così valorizza la musica per mezzo dell‘interazione di un antico circuito di ricompensa dopaminergico coinvolto nel rinforzare (tramite il piacere) comportamenti neces-sari alla nostra sopravvivenza come mangiare e fare sesso, con alcune delle regioni più evolute del cer-vello, coinvolte nei processi cognitivi tipici solo degli esseri umani. Una disreattività di questo circuito del reward è alla base di una serie di disturbi legati alla fruizione e all’esecuzione dell’opera d’arte in varie modalità sensoriali. In questa comunicazione esaminiamo i risvolti sull’esperienza musicale.

7. Ruolo della terapia fisica ambulatoriale nella gestione integrata del paziente con Malattia di Parkinson: risultati di uno studio in aperto di 4 anniRossi C.*, Pedreschi A.**, Rossi A.**, Martinelli I.**, Menichetti C.***, Gambaccini G.*, Virgili M.P.*, Maluc-cio M.R.*, Frittelli C.*, Galli R.*

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* Area Clinico-Assistenziale Degenza Medica e U.O.C. Neurofisiopatologia - Ospedale “F. Lotti”, Pontedera** Studio associato fisioterapico Valmaira, Castelnuovo Garfagnana (LU)*** UO Neurologia, Ospedale San Jacopo, Pistoia

I trattamenti riabilitativi intensivi hanno dimostrato effetti benefici significativi in acuto nei pazienti con Malattia di Parkinson (MP). Tuttavia poche evidenze hanno analizzato il ruolo di una terapia fisica ambu-latoriale in cronico. Per valutare l’efficacia di tale trattamento nel tempo, abbiamo confrontato un gruppo di pazienti sottopo-sto ad attività fisica adattata (n.20) con un gruppo di controllo, omogeneo per età, sesso e caratteristiche cliniche, non sottoposto a trattamento fisioterapico (n. 20). La valutazione clinica è stata eseguita annual-mente attraverso le scale UPDRS II e III, punteggio dei sintomi assiali (UPDRS II items 13-15 + UPDRS III items 27-31) ed incremento annuale della terapia dopaminergica (Δ LEDD). Venivano infine registrati il numero di accessi alla struttura (aggiuntivi a quelli programmati) per aggiustamento terapeutico urgente.I pazienti sottoposti a terapia fisica hanno mostrato una riduzione significativa dei punteggi di UPDRS II, della scala per i sintomi assiali e del Δ LEDD (p<0.01). È stato infine registrato un numero inferiore di accessi straordinari alla struttura per aggiustamento terapeutico.In conclusione i nostri risultati dimostrano l’efficacia della terapia fisica ambulatoriale nella MP e suggeri-scono un’ipotetica modifica del decorso della malattia. La scarsa numerosità del campione ed il disegno in aperto richiedono tuttavia una conferma con trial clinici randomizzati.

8. Mutazione del gene Twinkle in una famiglia con miopatia mitocondriale e malattia di Parkinson ad esordio tardivoOrsucci D., Kiferle L., Caldarazzo Ienco E., Lo Gerfo A., Petrozzi L., Chico L., Rocchi A., Simoncini C., Bron-di M., Montano V., Ceravolo R., Siciliano G., Mancuso M., Bonuccelli U.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

La disfunzione mitocondriale è stata implicata nella patogenesi delle forme sporadiche, idiopatiche, di malattia di Parkinson (PD). In alcuni casi, mutazioni del DNA mitocondriale o, più spesso, di geni nucleari necessari per la stabilità e la replicazione del DNA mitocondriale possono causare forme di parkinsoni-smo, che non hanno caratteristiche distintive rispetto alle forme idiopatiche di PD. Altri segni e sintomi suggestivi di disfunzione mitocondriale (ad esempio ptosi palpebrale, miopatia, neuropatia) possono gui-dare verso una diagnosi di “parkinsonismo mitocondriale”.Descriviamo una famiglia con oftalmoplegia esterna progressiva, neuropatia e malattia di Parkinson ad esordio tardivo presente nei membri più anziani. Gli studi genetici condotti in questa famiglia hanno per-messo di rilevare la mutazione patogenetica G1750A dell’elicasi mitocondriale Twinkle (gene c10orf2), espandendo la variabilità clinica associata a questo gene. È importante considerare una possibile diagnosi di malattia mitocondriale in pazienti con PD ed altre manifestazione suggestive di disfunzione mitocon-driale.

9. Platelet BDNF in huntington’s disease: evidence from a preliminary studyUnti E.*, Mazzucchi S.*, Kiferle L.*, Palego L.*, Giannaccini G.**, Lucacchini A.**, Bonuccelli U.*, Ceravolo R.**** Department of Clinical and Experimental Medicine, University of Pisa/Department of Neuroscience, Neu-rology Unit, AOU Pisa** Department of Pharmacology, University of Pisa*** Department of Neuroscience, S. Chiara Hospital, Pisa

Objectives: BDNF is a neurotrophin implicated in neurodegenerative highly expressed in central nervous system. Several studies investigated BDNF in Huntington’s disease (HD) patients demostrating lower val-ues in brain tissues from HD mice and in human post-mortem material. In order to identify possible bio-

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logical predictors, more recent studies reported reduction of BDNF levels in peripheral blood, serum and plasma; however results were not always confirmed. Platelet storage could be a more reliable biomarker.Materials and Methods: 12 HD patients and 10 controls, matched for age and educational level were in-vestigated by means of neuropsychological tests (MoCa, MMSE, FAB), psychiatric scales and motor evalu-ation. Blood samples were collected and processed within 30 minutes to investigate BDNF platelet levels determined by ELISA. Results: HD patients showed statistically significant lower performances at MoCa (p<0.01) and FAB (p<0.01). Platelet BDNF was higher in patients (2950.5±749.1 pg/ml) with respect to controls (2481.6±1063.8 pg/ml) but the difference was not statistically significant. Discussion and conclusions: Our finding of a lack of significant difference in platelet BDNF between HD and controls could suggest, along with recent studies on human blood, that peripheral levels of BDNF are not informative as HD biomarkers. Further investigations with larger populations are needed to confirm the possible role of platelets as BDNF reservoir even in different phases of the disease.

10. Primary lateral sclerosis mimicking atypical parkinsonism: two case reportsPalermo G., Del Gamba C., Frosini D., Gori S., Ceravolo R., Bonuccelli U.Department of Clinical and Experimental Medicine, University of Pisa/Department of Neuroscience, Neuro-logy Unit, AOU Pisa

Introduction: Primary lateral sclerosis (PLS) is a rare variant of motor neuron disorders, characterised by spasticity, hyperreflexia and mild weakness, due to upper motor neuron degeneration. The symptoms on-set can be so slowly progressive and insidious that it can occasionally results in misdiagnosis of PLS as an atypical parkinsonism.Material and methods: We describe two cases initially suggestive for an atypical parkinsonism and subse-quently found to have features consistent with PLS. In both, unilateral limb slowness or clumsiness was the initial complaint, associated with impaired balance, falls and a poor response to the dopaminergic treatment, whereby it was proposed a diagnosis of CBD (case 1) and MSA (case 2), respectively. Repeated finger tapping and hand grips were slow but without decrement or fatiguing. In case 1, FDG-PET showed decreased glucose uptake in the fronto-parietal regions, especially in the precentral gyrus. In both motor evoked potential showed marked reduction in amplitude in arms and legs, bilaterally.Conclusions: PLS has a heterogeneous clinical presentation. Slowness of movements, limb stiffness and postural instability can sometimes mislead clinicians suggesting a parkinsonian syndrome. FDG PET and electrophysiological study can have a key role for an early diagnosis. Our report confirms the possibility that motor neuron disorders can mimick an atypical parkinsonism.

11. SLA familiare: eterogeneità clinica ed alterazioni mitocondriali, descrizione di una famigliaCaldarazzo Ienco E., Fabbrini M., Rossi M., Mancuso M., Orsucci D., Simoncini C., Lo Gerfo A., Chico l., Bonuccelli U., Siciliano G.

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

È noto che disfunzioni mitocondriali rivestano un ruolo chiave nell’eziopatogenesi sia della SLA sporadica che familiare. Si stima che un 10% dei casi di SLA sia familiare, potendosi presentare anche con ampia variabilità fenotipica all’interno di una stessa famiglia. Qui descriviamo una famiglia SLA con eterogeneità clinica e evidenza di disfunzione mitocondriale. Madre: esordio 61 aa con ipostenia prossimale, crampi, iperCKemia (400 U/L); EMG misto neurogeno-miopatico con fascicolazioni 4 arti; biopsia muscolare: fibre COX negative e ridotta attività dei complessi II+III della catena respiratoria mitocondriale con positività per delezioni multiple del DNA mitocondriale; storia di malattia: 9 aa tutt’oggi; EON attuale: modesta te-traparesi specie prossimale, non disfagia, non insufficienza respiratoria, rallentamento ideomotorio. Figlio:

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esordio 44 aa con deficit di forza mano destra e ipotrofia della muscolatura intrinseca; EMG netto danno cronico/acuto del II motoneurone; biopsia muscolare: fibre COX-iporeattive con negatività per delezioni multiple del DNA mitocondriale; storia clinica: rapida tetraplegia e insufficienza respiratoria con necessità di tracheotomia a 1 aa dalla diagnosi e decesso dopo 3 aa dalla diagnosi. La genetica di madre e figlio è risultata negativa per SOD1, FUS, TDP43, in corso approfondimenti sul DNA mitocondriale.

12. Syringomyelia and Arnold-Chiari type I malformation presenting with head tre-morMazzucchi S., Unti E., Baldacci F., Bonuccelli U., Ceravolo R.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

Introduction: A 53-year-old woman came to our attention complaining head and left arm tremor, progres-sively worsening. Family history was positive for Parkinson’s Disease.Methods: Neurological examination was normal except for negative head tremor with minimal head shift and slight rest and postural left arm tremor. Serum PTH, copper, ceruloplasmin and thyroid function were normal. Electrophysiological recording demonstrated postural head tremor (7-8 Hz) and spontane-ous MUPs in the sternocleidomastoid muscles. Brain and cervical MRI demonstrated Arnold-Chiari type I malformation associated with a notable C4-D1 syringomyelia; surgical correction was recommended. Syringomyelia, frequently associated to Arnold-Chiari I malformation, can cause involuntary movements in 22% of patients; the largest case series have reported arm/finger dystonia, hand tremor, torticollis, blepharospasm, myoclonus, athetosis, abnormal head, shoulder and arm postures. According to the main hypothesis central spinal cord lesions could predispose to spinal motor neuron hyperexcitability, leading to involuntary movements.Conclusions: Our report confirms the importance to perform cervical MRI besides brain MRI in patients with head tremor to exclude secondary causes. This could be the first case of head tremor secondary to syringomyelia and Arnold Chiari type I malformation however, follow-up after surgery will be crucial to understand the etiological relationship between radiological findings and head tremor

13. Contributo della sequenza SWI alla differenziazione con MRI della patogenesi di lesioni della sostanza bianca cerebrale in corso di sclerosi multipla e di vasculopatie infiammatorie del sistema nervoso centraleVuolo L.*, Emmi G.**, Carlucci G.***, Repice A. M.***, Mechi C.***, Grammatico M.*, Prisco D.**/****, Silvestri E.**, Barilaro A.****, Emmi L.****, Massacesi L.*/*** * Dipartimento Neuroscienze e ** Dipartimento Medicina Sperimentale e Clinica, Università di Firenze *** SOD Neurologia 2 e **** SOD Patologia Medica, AOU Careggi

All’esame MRI della sostanza bianca cerebrale (SBC) le lesioni da sclerosi multipla (SM) sono spesso difficili da differenziare dalle lesioni associate a vasculopatie infiammatorie croniche. Tuttavia le prime si sviluppano intorno a venule mentre le seconde prevalentemente intorno ad arteriole. In questo studio la frequenza di lesioni perivenulari (LPV) della SBC è stata analizzata in lesioni di SM ed in malattie autoim-muni sistemiche con vasculopatie infiammatorie e coinvolgimento cerebrale (MAS).Pazienti selezionati: SM (n= 30), MAS (n= 20). Esame MRI: sequenze SWI, 2 minuti dopo Gadolinio; se-quenze FLAIR. Il numero totale di lesioni è stato analizzato in FLAIR; le venule ed il loro rapporto con le lesioni è stato analizzato in SWI coregistrate su FLAIR. Lesioni considerate perivenulari, se l’iperintensità circondava la venula in almeno un piano. Vena definita: ipointensità di morfologia compatibile, visibile in almeno due piani perpendicolari. Dati preliminari: da 424 lesioni nei primi 10 pazienti SM e primi 3 pazienti MAS. Il numero di lesioni/paziente era più basso nelle SM, mentre il loro volume era maggiore. Il numero percentuale medio di LPV, significativamente maggiore (p<0.05; Wilcoxon’s test) nei pazienti SM (81%±11) che nei pazienti MAS (9.4%±10). Benché LPV possano essere osservate anche in MAS, la loro

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frequenza rispetto al numero complessivo di lesioni sembra molto più alta nelle SM, suggerendo che esse possano rappresentare uno specifico marker di malattia.

14. Case report: Sclerosi multipla in una paziente affetta da Sindrome di RettColeschi P., Guadagni M., Bianchi A. U.O. Neurologia e Neurofisiopatologia Osp. S. Donato, Arezzo

La Sindrome di Rett è un disordine dello sviluppo neurologico X-legato caratterizzato da comportamento autistico, deficit cognitivo, movimenti stereotipati delle mani. E’ la seconda causa per frequenza di ritardo mentale da causa genetica nelle femmine; la sindrome è per lo più causata dalla mutazione del gene che programma per la proteina MECP2, nel sito Xq28. L’MECP2 agisce come repressore trascrizionale per il BDNF (Brain-derived neurotrophic factor), che da recenti studi sulla sclerosi multipla appare utile nella riparazione della mielina. Riportiamo il caso clinico di una paziente che, affetta da S. di Rett, ha riportato in età adolescenziale una Sclerosi multipla che ha avuto un andamento inizialmente di tipo Relapsing-Remitting, poi secondaria-mente progressiva. L’interesse del caso sorge dalla coesistenza delle due diverse patologie nello stesso paziente e la possibile concatenazione nella patogenesi, in assenza di precedenti noti nella letteratura internazionale.

15. The cognitive reserve theory in the setting of pediatric-onset multiple sclerosisPortaccio E.*, Goretti B.*, Ghezzi A.**, Lori S.***, Hakiki B., Giannini M.*, Pastò L.*, Razzolini L.*, Moiola L., Falautano M****, Viterbo R.G.*****, Patti F.******, Cilia S.******, Pozzilli C.*******, Bianchi V.*******, Roscio M.**, Martinelli V.****, Comi G.****, Trojano M.*****, Amato M.P.* on behalf of the MS Study Group of the Italian Neurological Society*Department of Neurology, University of Florence, Florence, Italy ** MS Centre, Hospital of Gallarate, Gallarate, Italy*** Neurological Unit, Meyer Hospital, Florence, Italy **** Department of Neurology, San Raffaele Scientific Institute, Milan, Italy ***** Department of Neurology, University of Bari, Bari, Italy****** Department of Neurology, University of Catania, Catania, Italy******* Department of Neurological Sciences, “La Sapienza” University, Rome, Italy

Background: cognitive impairment (CI) is increasingly appreciated in pediatric-onset multiple sclerosis (POMS). In the setting of adult-onset MS, the theory of cognitive reserve is receiving growing attention. In fact, studying cognitive reserve in relationship with cognitive efficiency may provide cues to identifying subjects at higher risk of impairment and scope for therapeutic strategies. Objectives: To assess the potential impact of cognitive reserve on cognition in a cohort of POMS. Methods: Forty-eight POMS patients (25 females; age 19.7 +/- 2.7 years) were followed-up for 4.7 + 0.4 years. CI was defined as the failure of >3 tests on an extensive neuropsychological battery. An individual cognitive change index (CCI) was also calculated. At baseline, cognitive reserve was estimated by mea-suring the intelligence quotient (IQ) through the Wechsler Intelligence Scale for Children-Revised. The relationships between estimated cognitive reserve and cognitive performance were assessed through mul-tivariate logistic regression analyses.Results: At baseline, CI was detected in 14/48 (29.2%) patients. In the multivariate analysis, it was pre-dicted only by a lower reserve in terms of IQ score (OR=0.94; 95%CI 0.89-0.99;p=0.011). At follow-up assessment, CI was found in 18/48 subjects (37.5%). As for the CCI, a deteriorating performance was observed in 27/48 patients (56.3%). In the whole group, no demographic or clinical characteristics pre-dicted the cognitive outcome at follow-up. However, among the 34 cases who were cognitively preserved at baseline, a higher reserve predicted stable/improving performance, whereas lower reserve was associa-ted with deteriorating performance at follow-up (OR=0.89; 95% CI 0.82-0.97; p=0.005). Conclusions: Our results suggest that also in POMS patients higher cognitive reserve may protect from CI.

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Over the follow-up, this effect remained significant in subjects with initial cognitive preservation, whereas it disappeared in subjects starting with CI. These findings can have relevant implications for counselling and rehabilitation strategies in POMS.

16. Pregnancy outcomes and disease activity after exposure to natalizumab in pa-tients with multiple sclerosisPortaccio E.*, Hakiki B.*, Pastò L.*, Giannini M.*, Pecori C.*, Razzolini L.*, Tortorella C**, D’Onghia M.**, Trojano M.**, Cocco E.***, Melis M.***, Marrosu M.G.***, Di Tommaso V.****, Farina D.****, Lugaresi A.****, Annovazzi P.*****, Ghezzi A.*****, Gasperini C.******, Iudice A.*******, Fantozzi R.********, Bel-lantonio P.********, Messina S.*********, Patti F.*********, Masera S.***********, Cavalla P.**********, Protti A.***********, Rossi M.************, Totaro R.************, Amato M.P.*, MS Study Group of the Italian Neurological Society* University of Florence, Department of NEUROFARBA, Florence, Italy, ** University of Bari, Bari, Italy, *** University of Cagliari, Cagliari, Italy, **** University of Chieti, Chieti, Italy, ***** Hospital of Gallarate, Gallarate (VA), Italy, ****** San Camillo Hospital, Rome, Italy, ******* University of Pisa, Pisa, Italy, ******** Istituto Neurologico Mediterraneo, Pozzilli (IS), Italy, ********* University of Catania, Catania, Italy, ********** University of Torino, Torino, Italy, *********** Niguarda Hospital, Milan, Italy, ************ University of L’Aquila, L’Aquila, Italy

Background: Little is known on pregnancy outcome and disease activity after in utero exposure to natali-zuamb in multiple sclerosis (MS) patients. Objective: to assess the impact of natalizumab on pregnancy outcomes in an Italian cohort of MS patients. Methods: we recruited natalizumab exposed (NE) pregnancies in MS patients prospectively followed-up in Italian MS Centres, in the period 2010-2013. Exposure to natalizumab was defined as suspension of the drug < three months prior to conception. Pregnancy outcomes and clinical relapses during pregnancy were compared with data from the Italian pregnancy dataset (Amato et al. 2010). Data on pregnancy outcomes for the Italian population were also available. All the patients were administered a structured interview which gathered detailed information on pregnancy course and outcomes, as well as on possible confounders. Group comparisons were assessed through the c2 test or the analysis of variance with Bonfer-roni correction for multiple comparisons, when appropriate. Results: so far 28 pregnancies were recruited. Pregnancies resulted in 20 live births, six spontaneous abor-tions and two voluntary abortions (one due to Down Syndrome). Proportion of spontaneous abortion in NE pregnancies (21.4%) was higher than that previously observed in interferon-beta exposed (IFNBE) preg-nancies (8%; p=0.015), although it fell within the upper limit of that expected in the general population. Proportion of pre-term deliveries (29.4%), mean birth-weight (2904gr) and birth-length (48.9cm) were comparable to those of IFNBE pregnancies. The occurrence of relapses during the NE pregnancies (25%) was higher than that observed in the IFNBE patients (13.3%; p=0.01). Conclusions: our findings do not show any major safety issues due to pregnancy exposure to natalizumab in terms of spontaneous abortion and other outcomes. Detailed analyses of relapse-rate before, during and after pregnancy are ongoing.

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Gruppo 4: NEUROSCIENZE 4

1. The broad spectrum of autoimmune encephalopathies: a clinical experiencePradella S.*/**, Pizzo F. */**, Maestrini S.*, Ielapi C. *, Biagioli T.**, Franciotta D. ***, Barilaro A. **, Massa-cesi L.**, Paganini M.*/*** CdRR Epilessie, AOU Careggi, Firenze, Italia ** SOD Neurologia II, Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino, Università degli Studi di Firenze *** Laboratorio di Neuroimmunologia, IRCCS Istituto Neurologico Nazionale Mondino, Pavia, Italia

Antibodies(Abs) against neuronal antigens are not always associated with cancer. We present 3 cases with and without known tumor association: A 71 year old(yo) ♀ with breast cancer, suddenly developed speech disturbances and temporal disorientation. Bilateral fronto-temporal theta activity was seen on EEG, bitha-lamic T2 hyperintensity with contrast enhancement on left on brain MRI and oligoclonal bands on CSF. Abs against neuronal antigens are ongoing. Breast cancer surgical resection, plasma exchange(PE) and corticosteroids(CCS) lead to almost complete recovery with normal MRI and EEG.A 42 yo ♀ with a polyendocrine autoimmune syndrome presented with recurrent temporal seizures. Dia-gnostic assessment was normal except for highly positive anti-GAD65 Abs title. AEDs were ineffective and she developed Lyell syndrome after CBZ. The association of PE and CCS gave only partial benefits, rituximab(RTX) led to allergic reaction, while cyclophosphamide brought seizures reducition.A 60 yo ♂ was referred for new onset temporal seizures. EEG showed epileptic discharges in the right tem-poral areas, confirmed by limbic hypermetabolism on brain FDG18PET, with negative MRI, Caspr2, Abs were positive. After PE and 4 months CCS, no clinical response was seen and RTX was started.Autoimmune encephalopathies can present with different clinical pictures. It is fundamental to recognize and treat these cases as soon as possible since early targeted treatment seems associated with better out-come.

2. Paraneoplastic cerebellar degeneration associated to tongue cancerRossi F.*, Marsili L.*, Gallerini S.*, Chiri Z.**, Boccuzzi S.**, Marconi R.** UOC Neurologia ** UOC Otorinolaringoiatria, Ospedale Misericordia, Grosseto

Paraneoplastic neurological disorders are broadly defined as neurological signs and symptoms associated with malignancy, which are not explained by direct tumor invasion, metastasis, or iatrogenic causes such as chemotherapy or radiation. Some movement disorders, i.e. chorea, opsoclonus-myoclonus, cerebellar ataxia, can be associated to cancer. We observed a 75 year-old woman that developed a subacute onset of cerebellar ataxia. Family history was negative for hereditary ataxia. In the diagnostic tests, serum antibodies reactive against neural tissue antigens have been investigated, and the anti-Yo antibody was positive. Computerized tomography scan of chest, abdomen and pelvis was negative for an underlying tumor. In the face of the presence of a predictive antibody, whole body fluoro-deoxyglucose positron emission tomography (FDG-PET) has been be considered that showed an abnor-mality in the lingual region. A surgical procedure was effectuated and revealed tongue cancer. In case of a rapid onset of a movement disorder, if routine imaging is negative, in the face of high clinical suspicion of a paraneoplastic syndrome or the presence of a predictive antibody, whole body fluorodeoxyglucose positron emission tomography (FDG-PET) should be considered. These disorders typically appear well before cancer is discovered, hence the initial diagnosis of PND is made by the neurologist rather than the oncologist.

3. Caratteristiche cliniche e sierologiche dei pazienti Miastemici con anticorpi ANTI–MUSKDe Rosa A.*, Maestri M.**, Mussi A.***, Bonuccelli U.*/**, Ricciardi R.**/**** Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze ,UO

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Neurologia, AOU Pisa** UO Neurologia, Dipartimento di Neuroscienze, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana*** Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica, Università di Pisa

La Miastenia Gravis con anticorpi anti-MuSK è una forma caratterizzata da un predominante interessa-mento facciale, bulbare e respiratorio. Gli anticorpi anti-MuSK sono prevalentemente di classe IgG4, non attivano il complemento e il loro ruolo eziopatogenetico è ancora sconosciuto.Lo scopo di questo studio è di analizzare retrospettivamente le caratteristiche cliniche e sierologiche della nostra popolazione di pazienti antiMuSK.Descriviamo una casistica di 84 pazienti con anticorpi anti-MuSK (15 uomini, 69 donne; età media d’ esordio della malattia: 40±7.7 anni, dosaggio sierico: 0.15-2.62 nmoli/l). Clinicamente, l’89% dei pazienti presentava una forma bulbare.La terapia steroidea ed immunomodulante ha permesso di raggiungere la remissione completa o farmaco-logica nel 44,5 % dei pazienti mentre la risposta alla terapia anticolinesterasica e alla timectomia è stata scarsa.Sierologicamente, ogni campione di sangue è stato analizzato in base alle varie sottoclassi di IgG; oltre la netta prevalenza di IgG4, è stata rilevata un’ elevata presenza di IgG1 e le IgG2; inoltre, maggiore era il grado di severità di malattia, più elevati risultavano essere i valori anticorpali. In conclusione i nostri dati confermano le caratteristiche demografiche e cliniche dei pazienti con mia-stenia antiMuSK. E’ stato interessante rilevare in un discreto numero di sieri la presenza di IgG1 e IgG2 e titoli anticorpali più elevati nelle classi più severe di miastenia.

4. Trattamento combinato con plasma exchange ed Ig-vena in pazienti affetti da po-liradicolonevrite acuta (SGB): esperienza della USL 4 di PratoBriccoli M., Piersanti P., Massaro F., Fabbri M., Del Corona A., Torre E., Palumbo P.UO Neurologia, Nuovo Ospedale di Prato

Guillain-Barré syndrome (GBS) is clinically defined as an acute peripheral neuropathy causing limb we-akness that progresses over a time period of days or, at the most, up to 4 weeks. GBS is considered to be an autoimmune disease triggered by a preceding bacterial or viral infection. Campylobacter jejuni, cytomegalovirus, Epstein-Barr virus and Mycoplasma pneumoniae are commonly identified antecedent pathogens GBS occurs throughout the world with a median annual incidence of 1.3 cases per population of 100 000, with men being more frequently affected than women. . In The prognosis of GBS is generally favourable, but it is a serious disease with a mortality of approximately 10% and approximately 20% of patients are left with severe disability. Treatment of GBS is subdivided into: (1) the management of seve-rely paralysed patients with intensive care and ventilatory support; and (2) specific immunomodulating treatments that shorten the progressive course of GBS, presumably by limiting nerve damage. High-dose intravenous immunoglobulin (IVIg) therapy and plasma exchange aid more rapid resolution of the disease. We describe our experience with combined treatment IVIg therapy and plasma exchange.

5. Uno strano caso di miopatia infiammatoriaSimoncini C., Ricci G., Caldarazzo Ienco E., Giorgetti M., Servadio A., Mancuso M., Bonuccelli U., Siciliano G.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

Una donna di 63 anni è giunta alla nostra attenzione per una sintomatologia, insorta un paio di anni pri-ma, caratterizzata da dispnea, facile affaticabilità, cervicalgia e limitazione nei movimenti di abduzione degli arti superiori specie a dx; concomitava incostante disfagia. Un esame elettromiografico rivelava un quadro di sofferenza neurogena diffusa con sporadiche fascicolazioni al cingolo scapolare, tuttavia con associato modesto pattern miopatico a carico dei muscoli deltoidi. Un primo esame obiettivo neurologi-

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co rivelava inoltre riflessi osteotendinei policinetici. Data la presenza di segni di I e II motoneurone, nel sospetto di una malattia del motoneurone, la paziente veniva ricoverata presso la nostra UO per un miglior inquadramento diagnostico. L’esame obiettivo neurologico all’ingresso mostrava una deambulazione anserina-iperlordotica, modesta ipostenia del cingolo scapolare alle manovre contro-resistenza con ipotrofia muscolare del cingolo scapolare, prevalenza dei riflessi osteotendinei a dx in assenza di evidenti fascicolazioni. Un secondo esame elettromiografico evidenziava un pattern miopatico diffuso ai quattro arti. È stata quindi eseguita una biopsia muscolare che ha mostrato un pattern infiammatorio, con positi-vità degli HLA e MAC.

6. Malattia di Fabry ed aplogruppi mitocondriali: luci ed ombreSimoncini C., Orsucci D., Caldarazzo Ienco E., Lo Gerfo A., Montano V., Brondi M., Petrozzi L., Chico L., Siciliano G., Bonuccelli U., Mancuso M.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

La malattia di Fabry è una malattia multisistemica lisosomiale, X-linked, causata da un deficit dell’enzima alfa-galattosidasi A, che comporta accumulo di sfingolipidi all’interno delle cellule con conseguente dan-no cellulare e disfunzione d’organo. La malattia si manifesta con un ampio spettro fenotipico, variando da forme pauci-sintomatiche nelle donne a quadri severi negli uomini. Nonostante sia ben conosciuto il gene causa di malattia, non è chiaro il motivo per il quale la medesima mutazione porti a quadri fenotipici diversi anche nei membri di una stessa famiglia. Abbiamo ipotizzato un possibile ruolo dei mitocondri e dello stress ossidativo nello sviluppo e nella modulazione fenotipica di tale patologia.È stata valutata la frequenza degli aplogruppi mitocondriali in 75 pazienti di razza caucasica e in 155 con-trolli sani. Nei pazienti è poi stata studiata la possibile correlazione tra specifici aplogruppi mitocondriali e fenotipo clinico di malattia.Risultati: lo studio ha mostrato una prevalenza del cluster di aplogruppo HV nei pazienti rispetto ai con-trolli. Nessuna associazione è stata trovata tra frequenza degli aplogruppi mitocondriali e fenotipo di malattia.Gli aplogruppi mitocondriali sembrano giocare un ruolo patogenetico nella malattia di Fabry, in ipotesi influenzando la risposta cellulare allo stress ossidativo.

7. Encefalopatia acuta dei lobi temporali a genesi mitocondrialeTerni E., Orsucci D., Caldarazzo Ienco E., Giannini N., Montano V., Maccarrone M., Brondi M., Lo Gerfo A., Petrozzi L., Siciliano G., Bonuccelli U., Mancuso M.U.O. Neurologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

La sindrome MELAS costituisce una rara condizione genetica che entra in diagnosi differenziale con l’ictus giovanile e talvolta con malattie infiammatorie/infettive del SNC. Un uomo di 45 anni con episodi confusionali e cefalea nelle ultime 3 settimane giunge al P.S. per du-plice episodio critico convulsivo (GCS 5). La RM Encefalo mostra iperintensità T2 dei lobi temporali con restrizione di diffusività protonica e captazione di mdc corticale e iperintensità T1 di pallidi e caudati. La spettroscopia mostra picco di lattato con riduzione di N-Acetil-Aspartato. Il liquor presenta aspetto lim-pido, aumento di proteine, glucosio e lattato, quest’ultimo incrementato anche a livello plasmatico. Vista la scarsa efficacia della terapia antivirale e antibiotica ad ampio spettro, nell’ipotesi di una condizione mitocondriale viene introdotta terapia con carnitina e.v., con progressivo miglioramento clinico (GCS 13). L’esame genetico su cellule urinarie mostra mutazione 3243A>G nel mtDNA, compatibile con sindrome MELAS. Si associa terapia con coenzima Q10 e complesso vitaminico B. Il controllo RM a 1 mese mostra stabilizzazione delle lesioni temporali, regressione dell’edema cerebrale e netta riduzione del lattato.In conclusione, la MELAS può presentarsi con caratteristiche cliniche e di neuroimaging simili a quelle dell’encefalite erpetica. L’accuratezza anamnestica, la precocità degli esami laboratoristici e del neuroi-maging multimodale sono essenziali per la diagnosi differenziale.

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8. Emicrania cronica e tossina botulinica: “Variazione sul Tema”Cafalli M., Baldacci F., Lucchesi C., Mazzucchi S., Dini E., Bonuccelli U., Gori S.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

Introduzione. L’onabotulinumtoxinA è utilizzata nella profilassi dell’emicrania cronica. Riportiamo il caso di una donna trattata con tossina secondo procedura standard riportando effetti collaterali caratterizzati da lacrimazione e fotofobia bilaterali.Descrizione del caso. Paziente di 52 anni seguita da anni per emicrania cronica e abuso di sintomatici, refrattaria a più di 2 profilassi antiemicraniche. Nell’Aprile somministriamo 155 U.I. secondo protocollo standard. La paziente dopo 2 giorni riporta l’insorgenza di fotofobia e lacrimazione bilaterali. Visita oculi-stica esclude patologie di pertinenza. Tale sintomatologia va ad attenuarsi gradualmente e scompare in un mese. A tre mesi dalla procedura la paziente riferisce notevole miglioramento della cefalea: la frequenza da quotidiana diventa 8-10 giorni/mese, con decremento dell’intensità del dolore (da 8 a 5-6 in una scala numerica verbale); scompare l’abuso di sintomatici. Viene eseguito secondo ciclo con onabotulinumtoxi-nA evitando l’approccio frontale, quindi temporale 50 UI, occipitale 40 UI, cervicale 20 UI, trapezio 50 UI, nei siti di iniezione raccomandati. A due mesi non eventi avversi e permane il beneficio. Conclusioni. Il caso suggerisce che, mantenendosi nel range posologico consigliato (155-195 UI), anche variazioni dalla procedura standard possono risultare efficaci. Tale osservazione, se confermata, potrebbe rivelarsi utile nei pazienti che, pur con effetti collaterali, hanno un significativo beneficio dalla profilassi con onabotulinumtoxinA.

9. Emicrania cronica refrattaria e tossina botulinica: l’esperienza pisanaCafalli M., Baldacci F., Lucchesi C., Mazzucchi S., Dini E., Bonuccelli U., Gori S.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

Introduzione. L’onabotulinumtoxinA è usata nella profilassi dell’emicrania cronica. Lo scopo di è stato verificarne efficacia e tollerabilità nell’emicrania cronica refrattaria.Materiali e metodi. Nel periodo Marzo 2014-Gennaio 2015 sono stati arruolati consecutivamente pazienti con emicrania cronica e abuso di sintomatici, refrattari a più di due profilassi antiemicraniche specifiche. In occasione del primo ciclo di terapia con onabotulinumtoxinA e al controllo a 6 mesi, ai pazienti è stato somministrato un questionario strutturato per valutare le caratteristiche della cefalea. Endpoint primario è stato considerato una riduzione del numero di giorni con cefalea/mese >50% rispetto al baseline. Risultati. Caratteristiche della popolazione arruolata: M/F=6/23; età media:52,8±10,9; durata media della malattia emicranica:29,7±13,1; età media di esordio della cefalea: 23,1±14,6; anni di abuso di sintomati-ci:9,8±6,2; numero medio di giorni di cefalea nei tre mesi precedenti alla valutazione:24,6±6,2. Un solo paziente ha interrotto il trattamento dopo il primo ciclo per effetti collaterali (ptosi palpebrale bilaterale). Otto pazienti hanno praticato un ciclo di terapia; di questi, 5 (62,5%) sono risultati responders (in 4 pa-zienti con pattern cronico quotidiano la frequenza è divenuta <15 giorni/mese). Dodici hanno praticato 2 cicli di cui 8 (66.6%) valutati a 6 mesi sono risultati responders, 3 hanno riportato una riduzione di frequenza (≤10 giorni/mese).Discussione. Tali risultati supportano l’impiego di onabotulinumtoxinA in pazienti con emicrania cronica refrattaria alle comuni profilassi orali, anche in virtù della buona tollerabilità mostrata.

10. Mielopatia Cervicale carenziale con modalità atipica di esordio: descrizione di un casoPiazza S., Gabrielli L., Petri M., Nicoletti V., Pardini C., Milanta S., Maremmani C., Jensen S., Maritato P., Orlandi G.

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UO Neurologia ASL1 Massa Carrara

Descriviamo il caso di un uomo di 73 anni giunto alla nostra osservazione per parestesie (“intorpidimen-to”) ai 4 arti insorte acutamente dopo un trauma distorsivo del rachide cervicale. Erano obiettivabili atassia sensitiva, ipoestesia tattile e vibratoria alle mani e alle gambe bilateralmente e areflessia propriocettiva ai 4 arti. La RM del rachide cervico-dorsale con mdc mostrava un quadro spondilosico non chirurgico con associata alterazione di segnale della corda midollare nel tratto C2-C6, non captante il mdc. L’elettromio-grafia ai 4 arti metteva in evidenza un quadro di neuropatia assonale sensitiva. Gli esami ematochimici evidenziavano riduzione dei livelli ematici di vitamina B12. La EGDS mostrava un quadro di gastrite atro-fica antrale. E’ stato dimesso con diagnosi di “mielopatia cervicale da ipovitaminosi B12 in recente trauma distorsivo del rachide cervicale; neuropatia assonale sensitiva carenziale” e trattato con terapia sostitutiva. Il controllo dopo circa un mese evidenziava un netto miglioramento della sintomatologia, innalzamento dei valori di vitamina B12, aumento delle ampiezze dei nervi sensitivi e riduzione dell’estensione dell’al-terazione di segnale alla RM cervico-dorsale. La peculiarità del caso è rappresentata dalle modalità d’insorgenza dei sintomi. L’ipotesi eziopatogene-tica è che l’evento traumatico, agendo su midollo affetto da mielopatia carenziale da deficit cronico di vitamina B12, abbia determinato un peggioramento del danno preesistente con conseguente passaggio improvviso dalla fase subclinica a quella clinicamente conclamata.

11. A meta-analysis of the cortical silent period in epilepsiesGiovannelli F.,*/** Cincotta M.*, Borgheresi A.*, Tramacere L., Viggiano M.P.**, Zaccara G.** Unit of Neurology, Azienda Sanitaria di Firenze, Florence, Italy** Department of Neurosciences, Psychology, Drug Research and Child Health (NEUROFARBA), University of Florence, Florence, Italy

The cortical silent period (CSP) following transcranial magnetic stimulation reflects GABAB-mediated inhi-bition in the primary motor cortex and could contribute to understand the pathophysiological substrates of epileptic conditions. Increased CSP duration has been reported in idiopathic generalized epilepsy (IGE) and in partial epilepsy (PE), although other studies yielded discordant findings. We used meta-analysis to systematically assess the consistency of CSP changes in untreated patients with epilepsies. Databases were searched for controlled studies evaluating the CSP in drug-naïve or drug-free patients with IGE or PE. For each study, the mean difference with 95% confidence intervals (CIs) between CSP duration obtained in patients and controls was calculated. Fourteen studies (267 patients and 234 controls) were included. A si-gnificant mean difference (14.16 ms, 95% CI, 1.20, 27.11 ms) was found, with longer CSP in patients than in controls. The mean difference was still greater (18.05 ms) if only the 202 IGE patients were analyzed. Meta-analysis confirms CSP modifications in epilepsies, with enhancement of this cortical inhibitory me-asure at least in most IGE patients. This provides rationale for further investigations aiming to verify the hypotheses that increased CSP reflects compensatory neural phenomena counteracting transition from the interictal to ictal state and that CSP variability reflects the pathophysiological heterogeneity of epileptic syndromes.

12. Adverse events, placebo and nocebo effects in placebo-treated paediatric pa-tients with refractory focal epilepsies. Analysis of double-blind studiesGiovannelli F.*/** , Franco V.***, Cincotta M., Tramacere L.*, Verrotti A.****, Zaccara G.** Unit of Neurology, Department of Medicine, Florence Health Authority, Firenze, Italy** Department of Neuroscience, Psychology, Pharmacology and Child Health (NEUROFARBA), University of Florence, Firenze, Italy*** Clinical and Experimental Pharmacology Unit, Department of Internal Medicine and Therapeutics, Uni-versity of Pavia, Pavia**** Department of Pediatrics, University of Perugia, Perugia, Italy

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The aim was to assess placebo and nocebo effects and to evaluate background incidence of some prede-fined adverse effects (AEs) of antiepileptic drugs (AEDs) in placebo-treated paediatric patients recruited in randomized controlled studies (RCTs) of refractory focal epilepsies. We searched all RCTs in paediatric patients with focal epilepsies. Number of responders, number of pa-tients withdrawing because of AEs, number of patients with AEs, and number of patients with 11 prede-fined AEs were extracted. The association between placebo and active treatment AEs was also explored.Seven RCTs were included. In placebo-treated patients, overall responder rate was 19.7% [(95% CI), (16.0, 23.4)], proportion of placebo-treated patients withdrawing because of AEs was 3.6% (2.1, 5.1%), and proportions of patients with any AE was 81.3% (68.5, 94.1%). The three most frequently reported AEs were headache (PR = 11.4%, 6.4,16.3%) somnolence (PR = 9.6%, 4.9, 14.3%), and ataxia (PR = 4.6, -1.1, 10.2). A significant correlation between placebo–treated patients and those treated with the active drug was found for the outcome measure any AE and the AEs somnolence, headache and fatigue. Both placebo and nocebo effects assessed in this paediatric population did not differ from findings repor-ted in adults. Also specific AEs, which are at least in part, caused by the background treatment, failed to show significant differences from what previously observed in adult RCTs.

13. Stimolazione Vagale nel trattamento dell’epilessia: venti anni di esperienza pisana Guida M.*, Pizzanelli C.*, Giorgi F.S.*, Lutzemberger L.**, Maestri M.*, Di Coscio E.*, Bonanni E.*, Galli R.***, Iudice A.*, Bonuccelli U.** U.O. Neurologia,Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa e AOUP** U.O. Neurochirurgia, Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chi-rurgia Università di Pisa e AOUP*** U.O.C. Neurofisiopatologia, Ospedale Lotti, Pontedera USL 5, Pisa

Razionale e Obiettivi: La VNS è una metodica di ampio uso per il trattamento dei pazienti con epilessie farmaco-resistenti non candidati alla chirurgia resettiva. Approvata dalla FDA nel 1997, oggi rappresenta il trattamento chirugico più diffuso nel mondo per l’epilessia farmaco-resistente. Vengono presentati i dati dell’esperienza pisana.Materiali e Metodi: Trentadue pazienti con epilessia focale e generalizzata sono stati sottoposti a tratta-mento con VNS dal 1995 ad oggi. Oltre alle valutazioni di efficacia e tollerabilità nel tempo, i pazienti sono stati sottoposti ad una serie di ulteriori valutazioni riguardanti vigilanza, sonno, qualità di vita.Risultati: Complessivamente la metodica presenta un buon profilo di efficacia con una riduzione delle crisi di circa il 35% dopo un anno ed un incremento dell’efficacia nel corso degli anni successivi con riduzione di circa il 50-60% al massimo follow-up. Effetti positivi sono stati osservati su vigilanza, sonno, qualità di vita; beneficio globale in particolare in pazienti con gravi ritardi e comorbidità psichiatriche. Gli effetti collaterali più rilevanti sono stati: 1 infezione della tasca sottocutanea, 1 dislocazione post-traumatica del generatore, 2 alterazioni dell’impedenza dell’elettrocatetere.Conclusioni: La VNS è una tecnica efficace e ben tollerata da prendere in considerazione nei casi di epi-lessie farmaco-resistenti non chirurgiche. Anche il potenziale beneficio globale è un aspetto da conside-rare, specie nei pazienti con gravi disabilità. Nel lungo termine devono essere gestiti i possibili “problemi tecnici”.

14. Valutazione delle funzioni cognitive nell’Epilessia Mioclonica GiovanileGuida M., Giorgi F.S., Caciagli L., Pagni C., Pizzanelli C., Tognoni G., Bonuccelli U.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

Razionale e Obiettivi: L’epilessia mioclonica giovanile (JME) è una tra le più frequenti forme di epilessia generalizzata idiopatica. Nonostante sia stata da sempre considerata una forma “benigna”, recenti studi hanno dimostrato in pazienti con JME una compromissione cognitiva diffusa, in particolare a carico delle funzioni esecutive. Abbiamo pertanto condotto una valutazione neuropsicologica completa in un gruppo di pazienti JME afferenti al nostro Centro, volta a caratterizzarne il profilo cognitivo.

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Materiali e Metodi: Venti pazienti JME e altrettanti controlli sani appaiati per sesso, età e scolarità sono stati sottoposti a una batteria di tests neuropsicologici comprendente Test delle 15 parole di Rey, Figura di Rey, Digit Span, Corsi Span, Stroop Test, Trail Making Test, Fluenze fonemiche e semantiche e Test d’Intel-ligenza Breve. Risultati: Non sono state evidenziate differenze significative in termini di QI tra i due gruppi. Rispetto ai controlli, i pazienti JME hanno mostrato performances inferiori, con significatività statistica, per i Test del-le 15 parole di Rey (richiamo differito), Figura di Rey (richiamo immediato e differito), Digit Span, Corsi Span, TMT-A, Fluenze fonemiche e semantiche.Conclusioni: Abbiamo individuato, in linea con recenti evidenze in letteratura, una diffusa compromis-sione del funzionamento cognitivo nei pazienti con JME. In particolare, abbiamo evidenziato un deficit della memoria visuo-spaziale, non descritto in precedenza. Ne deriva un profilo cognitivo peculiare, con possibili ripercussioni sulla qualità della vita.

15. Encefalite “Rasmussen like” dell’adulto: descrizione di tre casiPizzo F., Pradella S., Maestrini S., Ielapi C., Paganini M.CdRR Epilessie, AOU Careggi, FirenzeSOD Neurologia II, Dipartimento di Neuroscienze

A ♀52aa da due anni “scosse” agli arti superiori (> sn) con screening per malattie extrapiramidali nega-tivo. Esegue LTVEEG: durante gli episodi brevi sequenze di attività rapida ritmica e di onde puntute sulle derivazioni centro temporali prevalenti a dx. Negativi RM encefalo,liquor e anticorpi onconeurali,in corso anti-antigeni di superficie. Inefficaci nel controllo del mioclono LEV, PRI,VPA,lieve miglioramento clinico con CLZ+ZNS.Beneficio con CCS. B ♀19aa da 4 mesi clonie continue della mano destra. Sei mesi prima 3 crisi generalizzate a 2 settimane dal vaccino per papilloma virus.La video-EEG poligrafica conferma il mioclono continuo della mano dx,i PES sono di ampiezza aumentata,il C-reflex facilitato. Negative le indagini biochimiche, microbiologiche e immunologiche su sangue e liquor. Una RM encefalo mostra minima atrofia frontale sinistra,invariata ai controlli e nella stessa area ipermetabolismo alla PET.Trattata con Ig ev e’ progressivamente migliorata. C ♂42 anni recidiva di SE parziale motorio emisoma sn trattato con PHT,interrotta per DRESS,e LVT.Pregressa infezione da HHV6. Nel liquor bande oligoclonali,negativi anticorpi allo studio infettivologico ed autoimmune. Alla RM infolding del solco frontale anteriore destro. Risoluzione con Ig ev. Nei 3 casi la sintomatologia mioclonica, la scarsa risposta alla terapia antiepilettica e la buona riposta al trattamento immunomodulante fanno sospettare una encefalite “Rasmussen like”,pur in mancanza di diagnosi istologica

16. Orbital apex syndrome in a patient with herpes zoster ophthalmicus and carotid occlusionGiuntini M.*, Chiti A.*, Kiferle L.*, Maestri M.*, Pesaresi I.**, Menichetti F.***, Bonuccelli U.** Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neurologia, AOU Pisa** UO Neuroradiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa*** UO Malattie Infettive, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa

Introduction: Herpes zoster ophthalmicus (HZO) is characterized by skin rash and neurosensory distur-bances in the first trigeminal division. Severe involvement of orbital and retro-orbital structures (“orbital apex syndrome”) has been rarely described in patients with HZO, probably due to both a direct viral cyto-pathic effect and a reactive immunologic response.Case Report: A 68-year-old man presented with proptosis, orbital pain, fixed midriasis, opthalmoplegia and blindness in the left-eye. In the previous two weeks he was treated for HZO with Valacyclovir. In past medical history, ischemic stroke due to left carotid occlusion was reported. Cranial and orbital MRI was suggestive of diffuse inflammatory involvement of ocular muscles, cranial nerves and orbital soft tissues.

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Systemic administration of Acyclovir, high-dose corticosteroids and topical therapy were started, with progressive clinical and neuroradiological improvement. At 1 month follow-up, cranial neuropathy and orbital inflammation resolved, with the exception of the optic nerve involvement, which presented mild contrast enhancement on MRI. Ultra-early vasculitis of vasa nervorum may account for irreversible dama-ge of the optic nerve; moreover, optic nerve hypoperfusion associated with left carotid occlusion might have acted as a predisposing factor for subsequent severe ischemic damage. Discussion: Orbital apex syndrome should be considered among potential complications of HZO, as an early diagnosis and treatment can modify clinical course.

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1. Correlazione tra i livelli plasmatici e liquorali di marcatori di stress ossidativo e sintesi intratecale di Ig in pazienti con sclerosi multiplaPecori C.*/**, Pasquali L.*, Amidei A.*, Petrucci L.*, Calabrese I.*, Chico L.*, Iudice A.*, Siciliano G.*, Bo-nuccelli U.* * Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale/UOC, Università di Pisa/AOU Pisa** Azienda ULSS 12 “Veneziana”, Ospedale dell’Angelo Unità di Neurologia, Mestre

Lo scopo dello studio è stato quello di valutare se i marcatori liquorali di stress ossidativo (prodotti di ossidazione avanzata delle proteine [AOPPs] e capacità ferro riducente [FRA]), correlano con i livelli plasmatici e con la sintesi intratecale di Ig in pazienti con sclerosi multipla (SM) o sindrome clinicamente isolata (CIS) suggestiva di SM. A tale scopo sono stati inclusi nello studio 51 pazienti con CIS o SM. Nei campioni di sangue e di liquor raccolti al momento della diagnosi sono stati dosati i livelli di AOPPs e FRA; nei campioni liquorali è stata valutata anche la presenza di bande oligoclonali di Ig. La sintesi intratecale di bande oligoclonali di Ig è stata rilevata nel 100% dei pazienti. In 12 pazienti (23,5%) è stata riscontrata la sintesi intratecale di IgM.I livelli plasmatici e liquorali di FRA, ma non quelli di AOPPs, hanno mostrato una correlazione positiva significativa (ρ 0.28, p=0.04). Non è stata riscontrata un differenza tra i livelli plasmatici e liquorali di AOPPs e FRA nei pazienti con CIS o SM recidivante-remittente e in quelli con andamento progressivo di malattia. Inoltre non sono state riscontrate differenze nei livelli liquorali di AOPPs o di FRA tra i pazienti con e senza sintesi intratecale di IgM.I risultati dello studio sembrano indicare la presenza di una stretta connessione tra i livelli plasmatici e quelli liquorali di FRA, ma non tra i marcatori di stress ossidativo nel liquor e la sintesi intratecale di Ig.

2. Biomarcatori di stress ossidativo plasmatico nella Malattia di Alzheimer e nel de-terioramento cognitivo lieveBaldacci F., Giampietri L., Volpi L., Chico L., Kiferle L., Giorgi F., Tognoni G., Siciliano G., Bonuccelli U.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

Obiettivi. L’incremento di stress ossidativo è un’ipotesi patogenetica della malattia di Alzheimer (AD). L’obiettivo è stato verificare: (1) differenze nei livelli plasmatici di stress ossidativo, al basale, tra Mild Cognitive Impairment (MCI) ed AD, considerando possibili fattori confondenti, (2) differenze tra livelli di stress ossidativo basali e di follow-up negli MCI evoluti in AD, (3) differenze nei livelli di stress ossidativo, al basale, tra MCI evoluti ed MCI non evoluti in AD al follow-up. Materiali e metodi. 59 soggetti (30 AD e 29 MCI). Abbiamo usato un questionario su stile di vita, esposi-zione a tossici, comorbilità/terapie. Abbiamo dosato nel plasma i prodotti di ossidazione avanzata delle proteine (AOPP), la capacità antiossidante ferro-riducente (FRAP) e i tioli plasmatici. Gli MCI sono stati rivalutati clinicamente dopo 18 mesi e quelli evoluti in AD hanno ripetuto il dosaggio. Risultati. Gli MCI avevano aumentati livelli di AOPP (p=0,030) e ridotti livelli di tioli (p=0,010), indicativi di maggior stress ossidativo. Gli MCI evoluti in AD (7 pazienti) al secondo prelievo, rispetto al basale, ave-vano un aumento dei tioli plasmatici (p=0,043), indicativo di aumento delle difese antiossidanti. Gli MCI evoluti in AD al follow-up rispetto ai non evoluti presentavano aumentati livelli basali di AOPP (p=0,014), indicativi di maggior stress ossidativo. Conclusioni. Nel complesso il risultato più rilevante in favore dell’i-potesi dello stress ossidativo e del suo impiego come biomarker è l’aumento delle AOPP nella valutazione basale degli MCI evoluti rispetto ai non evoluti (p=0,014).

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3. Variante visiva della Malattia di Alzheimer: un caso clinico ad esordio atipicoDini E ., Pagni C ., Frosini D ., Palermo G ., Tognoni G ., Bonuccelli U.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

Presentiamo il caso clinico di un paziente di 59 anni, giunto alla nostra osservazione per disturbo lenta-mente ingravescente della vista. Il paziente riferiva da circa un anno perdita di acuità visiva con offusca-mento della vista e difficoltà nel riconoscimento di volti ed oggetti specie se inseriti in un contesto visivo complesso.Sono stati inizialmente effettuati accertamenti in ambito oculistico tra cui: esame del campo visivo, fluo-roangiografia retinica ed OCT risultati nella norma. La risonanza magnetica mostrava segni di encefalopatia vascolare ischemica cronica con focali aree di alterato segnale nel contesto della sostanza bianca degli emisferi cerebrali, a prevalente disposizione peri e sovraventricolare. Il paziente sottoposto a test neuropsicologici mostrava un Mini Mental State Examination nella norma con punteggio di 29.53/30, ed un quadro isolato di alessia. Alla PET con FDG si evidenziava un diffuso ipometabolismo glucidico in sede bitemporo-occipitale più evidente a sinistra associata a lieve ipometabolismo glucidico in sede parietale bilateralmente. È descritto in letteratura come la malattia di Alzheimer nella sua variante visiva possa esordire come atrofia corticale posteriore. Quello che si evidenzia da questo caso è la conservazione della memoria verbale e visuo-spaziale, l’assenza di deficit di gnosie visuo-percettive e degli restanti Items indagati dai test NPS.

4. Prevalenza di epilessia nei pazienti con Malattia di AlzheimerDini E ., Giorgi F ., Baldacci F ., Vergallo A ., Volpi L ., Chico L ., Kiferle L ., Tognoni G ., Bonuccelli U.Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neu-rologia, AOU Pisa

Obiettivo: la prevalenza dell’epilessia nella malattia di Alzheimer varia anche significativamente da studio a studio, ma è comunque considerata in essere maggiore che nella popolazione generale. Non esistono ad oggi studi su ampie casistiche in Centri italiani.Materiali e metodi: È stato condotto uno studio retrospettivo identificando i pazienti con demenza di tipo Alzheimer e concomitante diagnosi di epilessia nel database del Centro per i Disturbi Cognitivi della UO Neurologia dell’Università di Pisa/AOUP.Sono stati valutati vari parametri tra i quali l’età di insorgenza di demenza, il tipo di crisi epilettiche, la terapia con antiepilettici, il controllo della sintomatologia e le caratteristiche di neuroimaging ed elettro-encefalografiche dei pazienti.Risultati: su 1223 pazienti con malattia di Alzheimer 38 risultano avere una diagnosi di epilessia e sono in terapia anticomiziale. Di questi, 25 hanno lesioni strutturali quali tumori cerebrali, esiti di ictus emorragi-co e/o ischemico, malformazioni artero-venose ed esiti post-traumatici. I restanti 13 pazienti non presen-tavano lesioni organiche sostanziali cui potesse essere direttamente imputata la comparsa di epilessia. Di questi ultimi, 9 presentavano esclusivamente crisi generalizzate tonico-cloniche, 2 crisi parziali comples-se ed 1 paziente crisi parziali con frequente secondaria generalizzazione.Conclusioni: il nostro studio evidenzia come nella malattia di Alzheimer, una patologia prettamente cor-ticale, la prevalenza di epilessia conclamata sia relativamente bassa rispetto alle attese. Tali dati sono in parte in linea con simili analisi retrospettive compiute in Centri di altri paesi, risentendo probabilmente di bias simili in termini di analisi di popolazione/registrazione dati. Uno studio cross-sectional attualmente in corso presso il nostro Centro potrà aiutare a chiarire meglio la reale prevalenza e tipologia dell’epilessia nei pazienti con malattia di Alzheimer.

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5. DBS, freezing of gate and rasagilineGrassi E., Torre E., Piersanti P., Scotto di Luzio A., Palumbo P.U.O. Neurologia, Nuovo Ospedale di Prato

Le basi neurobiologiche del freezing della marcia (FOG) sono al momento poco conosciute: il sistema dopaminergico, colinergico e noradrenergico sono coinvolti nella patogenesi di questo disturbo disabili-tante.Oggi sappiamo che il mantenimento della stazione eretta e la marcia non rappresentano semplici task motori regolati da meccanismi di controllo sottocorticali, ma richiedono il coinvolgimento di complessi network associativi corticali influenzati a sua volta da vari processi mentali.La modulazione della frequenza di scarica dell’ impianto di DBS subtalamico e l’utilizzo della rasagilina rappresentano entrambi delle opzioni nel trattamento del FOG.

6. Usefulness of FDG-PET in the differential diagnosis of parkinsonisms on individual basisFrosini D.*, Accorroni A.*, Giorgetti A.**, Volterrani D.***, Puccini G.***, Filidei E.**, Bonuccelli U.*, Ce-ravolo R.* * Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze ,UO Neurologia, AOU Pisa** Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa*** UO Medicina Nucleare, Dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa

Objective: The distinction between atypical parkinsonisms (AP) and Parkinson’s disease (PD) in early stage might be very difficult. Positron emission tomography (PET) with 18F-fluorodeoxyglucose (FDG) can iden-tify characteristic patterns of regional glucose metabolism in PD and AP, however most previous studies were based on a group-comparison approach. Aim of this study is to evaluate the diagnostic accuracy of FDG-PET in parkinsonisms on an individual basis. Materials and Methods: One-hundred and one patients with parkinsonisms underwent FDG-PET at base-line (within 1 year since the symptom onset) and were then followed-up for at least 5 years. The FDG-PET were then retrospectively processed by a dedicated software Pneuro, and maps obtained were evaluated by two blinded examiners Results: The clinical diagnosis at the 5-years follow up were: 17 PD (mean age 65), 23 Multiple System Atrophy (MSA) (mean age 72), 30 Progressive Supranuclear Palsy (PSP) (mean age 74), 16 Cortico-Basal Degeneration (CBD) (mean age 72), 15 Lewy Body Dementia (LBD) (mean age 75). The sensitivity and specificity for the diagnosis of AP were 94% and 88% respectively. The inter-rater agreement was between good and excellent (Kappa Cohen 0.60 to 0.86)Discussion: Our data demonstrate the usefulness of a computer-supported FDG-PET analysis to help the clinicians in early distinction between PD, PSP, MSA, CBD and LBD from each other on a single case basis

7. Dolore addominale acuto sintomo d’esordio di una sindrome di Gullain-BarreGrassi E., Piersanti P., Massaro F., Falcini M., Del Corona A., Fabbri M., Briccoli M., Torre E., Campostrini R., Giorgi C., Caruso A., Rosati E., Scotto di Luzio A., Palumbo P.U.O. Neurologia, Nuovo Ospedale di Prato

Nella letteratura scientifica la sindrome di Guillain Barre è generalmente descritta come una neuropatia prevalentemente motoria, in realtà, il sintomo dolore è frequentemente parte preponderante del quadro clinico. La descrizione originale di Landry include un pressante dolore delle estremità, “dull aches aggra-vated by the least movement”, e il secondo paziente descritto da Guillain, Barrè e Strohl presentava dolore come sintomo d’esordio.Sebbene i disturbi della sensibilità siano caratterizzati principalmente da parestesie e disestesie distali, tut-

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tavia un dolore da moderato a severo è spesso frequente. La sindrome dolorosa è proteiforme, includendo dolore assiale e radicolare, segni di irritazione meningeale, mialgie diffuse, dolore articolare, e raramente dolore viscerale. Nel nostro lavoro descriviamo un caso di GBS in cui l’esordio clinico è stato un violento dolore addomina-le, seguito dopo 48 ore da dolore dorsale, disturbi della marcia con progressiva ipostenia degli arti inferiori associata a parestesie e perdita dei riflessi osteo-tendinei.

8. Livelli liquorali degli ormoni tiroidei in pazienti affetti da MA: uno studio con spettrometria di massaVergallo A.*, Giorgi F.S.*, Accorroni A.**, Donzelli R.***, Saba A.***, Baldacci F.*, Kiferle L*., Petrozzi L.*, Siciliano G.*, Tognoni G.*, Zucchi R.***, Bonuccelli U.** Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa/Dipartimento di Neuroscienze, UO Neurologia AOU-Pisa** S.S.S.U.P. “Sant’Anna”, Pisa*** Dipartimento di Patologia, Università di Pisa

Background: Gli ormoni tiroidei (OT) potrebbero essere almeno in parte coinvolti nella patogenesi della Malattia di Alzheimer (MA). Negli ultimi anni sono stati pubblicati molti studi sui livelli serici e liquorali nei pazienti con MA, che hanno mostrato risultati assai contrastanti tra loro. Attraverso la spettrometria di massa (SM), rispetto ai tradizionali metodi immunoenzimatici, è possibile una quantificazione assai pre-cisa dei loro valori e una migliore discriminazione tra i livelli di triiodiotironina (T3) e di reverse T3 (rT3) [prodotte dalla conversione della tiroxina (T4) rispettivamente dalla deiodinasi di tipo II e III in specifici sottotipi cellulari del SNC].Metodi: Dieci pazienti consecutivi affetti da MA (secondo i criteri NINCDS-ADRDA) sono stati sottoposti ad analisi del liquor (per dosaggio di Ab1-42, tau e fosfo-tau), valutazione neuropsicologica completa e studio di neuroimaging. In tali pazienti sono stati misurati tramite SM i livelli di T3, rT3, T4 sia nel liquor che nel siero. Gli stessi dosaggi ormonali sono stati effettuati nel liquor/siero di pazienti sottoposti a rachi-centesi nel sospetto di altre patologie non neurodegenerative e con assenza di danno di barriera.Risultati: I valori serici e liquorali di OT erano simili in pazienti con MA rispetto ai controlli, mentre il rap-porto tra rT3/T3 nel liquor era più basso nei MA rispetto ai controlli. E’ stata inoltre eseguito uno studio di correlazione tra i livelli liquorali di OT, i vari biomarkers liquorali, ed i parametri neuropsicologici.Conclusioni: I nostri dati mostrano un ridotto rapporto rT3/T3 nel liquor dei MA, usando la SM. Un’esten-sione attualmente in corso a popolazioni di pazienti più ampie aiuterà a chiarire le possibili correlazioni di tali parametri con le caratteristiche dei pazienti.

9. Ricanalizzazione endovascolare nelle lesioni tandem di arteria carotide interna nel paziente con stroke ischemico acuto: esperienza del nostro centro negli ultimi 2 anniRomano D.G.*, Cioni S.*, Vallone I.M.*, Gennari P.*, Leonini S.*, Arrigucci U.*, Tassi R.**, Martini G.**, Bracco S.** UOS Neurointerventistica, Neuroimmagini e Neurointerventistica AOUS ‘‘S. Maria delle Scotte’’ University Hospital, Siena, Italy** Stroke Unit, AOUS “S. Maria delle Scotte’’ University Hospital, Siena, Italy

Obiettivo: Lo Stenting - PTA del tratto extracranico delle arterie carotidi interne associato alla trombecto-mia meccanica distale, nelle cosiddette”lesioni tandem”, può essere considerata una opzione terapeutica sicura ed efficace.Introduzione: Approssimativamente il 25% dei pazienti con occlusione tromboembolica di ACM possono avere una concomitante occlusione di ACI extracranica ed il 50% dei pazienti con occlusione di ACI ex-tracranica possono avere una occlusione tromboembolica (TE) prossimale di ACM. L’occlusione del tratto cervicale di ICA associata a occlusione TE di ACM presenta una bassa percentuale di ricanalizzazione ed

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uno scarso outcome, se la terapia effettuata si limita alla trombolisi intravenosa.Materiali/metodi: È stata fatta un’analisi retrospettiva dal nostro database del 2013-2014, riguardante 7 pazienti con occlusioni tandem. Abbiamo quindi esaminato il miglioramento clinico-neurologico con la NIHSS scale dopo 24 h e con la Modified Ranking Score (MRS) a 0-3 mesi, nonché la percentuale di rica-nalizzazione del circolo arterioso intracranico basandoci sulla scala TICI.Risultati: Solo in uno tra i 7 pazienti trattati, non si è ottenuta una ricanalizzazione TICI tecnicamente valida (TICI<2b); i restanti pazienti trattati presentavano un rapido miglioramento delle condizioni neuro-logiche, con riduzione a 24h di almeno 8 punti nella scala NIHSS. Tra i 7 pazienti trattati, 3 presentavano una MRS <2 nel controllo a distanza di 90 giorni.Conclusioni: Le occlusioni tandem di ACI/ACM necessitano spesso, per ottenere un ottimale ricanaliz-zazione, di un trattamento multimodale, consistente in Stenting-PTA delle ACI extracraniche, associato a trombectomia meccanica. Tale approcio terapeutico, rappresenta un metodo sicuro ed efficace