RELAZIONI · 2016. 6. 23. · 4 III MEETING SNO TOSCANA INNOVAZIONE E HIGH TECHNOLOGY NELLE...

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    III MEETING SNO TOSCANA INNOVAZIONE E HIGH TECHNOLOGY NELLE NEUROSCIENZE TOSCANE Relazioni

    Human-machine symbiosis and social robotics Carrozza M.C.Rettore della Scuola Superiore Sant’Anna, Professore Ordinario di Bioingegneria Industriale (ING-IND/34) presso l’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

    La sostenibilità del welfare verrà gradualmente messa in discussione dal progressivo invecchiamento della popolazione, una delle sfide più critiche che le attuali nazioni industrializzate dovranno affrontare nei prossimi decenni. In 40 anni da oggi ci si attende che quasi il 35% della popolazione europea avrà un età di oltre 60 anni: se queste tendenze di evoluzione demografica saranno confermate, sarà importante elaborare soluzioni basate su servizi e tecnologie abilitanti che permettano alle generazioni più anziane di rimanere attivi, produttivi, creativi e soprattutto indipendenti. Insieme alle malattie tipiche dell’invecchiamento, i disturbi del cammino e le difficoltà di controllo degli arti superiori sono le conseguenze più comuni e frequenti che comportano un peggioramento della qualità della vita, e una crescente mortalità. Nei prossimi anni, le disabilità e le disfunzioni degli arti superiori e inferiori legate all’invecchiamento potenzialmente porteranno ad un incremento del numero di persone che dovranno richiedere assistenza nello svolgere le fondamentali attività della vita quotidiana. In questo scenario, le persone saranno sempre di più dipendenti dalle tecnologie per poter vivere una vita piena ed indipendente.La risposta della ricerca a questo evidente ed incombente bisogno progressivo di ausili per le attività motorie di vita quotidiana può essere basata sullo sviluppo di robot e sensori indossabili, strumenti che permettano non solo un monitoraggio continuo dello stato di salute ma soprattutto un ausilio continuo, gentile, trasparente e senziente nel compiere le azioni motorie.Il rapporto fra robot indossabile e persona si basa quindi non solo su una tecnologia robotica evoluta e affidabile ma soprattutto su un controllo di interazione adeguato e un’interfaccia in grado di leggere e interpretare le intenzioni del soggetto, senza prevaricarlo mai e comprendendo i comandi incipienti in tempo reale. Tale sistema può essere definito, con un concetto azzardato dal punto di vista filosofico ed etico, ma comunque appropriato da un punto di vista tecnico, come simbiosi uomo-macchina attraverso tecnologie ICT indossabili. Se la società saprà credere in una soluzione robotica al welfare ed investirà nello sviluppo di queste tecnologie in modo adeguato, i sistemi sviluppati fino ad ora evolveranno proba-bilmente in modo analogo a quanto accadde nel passato al personal computer (come previsto da J.C.R. Licklider nel suo lavoro Man-Computer Symbiosis, nel 1960, agli albori dell’informatica) che gradualmen-te è diventato uno smart phone che si adatta progressivamente al proprietario fino a funzionare in simbiosi e a prolungarne le abilità cognitive.Si può discutere sulle implicazioni che possono discendere da una simile evoluzione sociale della roboti-ca e della biorobotica, e immaginarne le sue conseguenze da un punto di vista etico, politico e industriale. Il compito della scienza è proprio anticipare il futuro e anche confrontarsi con le grandi domande che pone l’umanità. Questa presentazione introdurrà i risultati ottenuti negli anni passati dalla squadra di in-gegneri neuro-robotici dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna. Nel particolare, ver-ranno presentate le seguenti tecnologie: NEUROExos, esoscheletro che potenzia il gomito, HANDEXOS, mano esoscheletrica, il senso artificiale del tocco e plantari del piede sensoriali.

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    ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN TEMA DI ICTUS

    Riperfusione e non solo ricanalizzazione dopo trombolisiGallerini S. U.O. Neurologia, Grosseto

    La trombolisi endovenosa con rtPA entro 4,5 ore dall’esordio dei sintomi rappresenta l’unico trattamento approvato nell’ictus ischemico. Tuttavia alcuni modelli di combinazione della trombolisi endovenosa e in-trarteriosa (“bridging”) si stanno diffondendo per aumentare la ricanalizzazione e migliorare l’outcome nei pazienti con occlusione dei grossi vasi. Negli studi endovascolari, però, gli alti tassi di ricanalizzazione non sono sempre associati ad un buon outcome clinico creando il cosiddetto “revascularization-outcome paradox”, scenario in cui ricanalizzazione e riperfusione sono incongruenti. In modelli animali, a dispetto di una ricanalizzazione macrovascolare, non sempre si realizza tuttavia una riperfusione a livello capilla-re: tale fenomeno è definito “no-reflow”. Il “no-reflow” può dipendere da una frammentazione del trombo con embolia a valle del segmento occluso o da edema interstiziale nel territorio vascolare. Anche quando la ricanalizzazione si associa a riperfusione nel contesto di un tessuto non più vitale l’outcome sarà sfa-vorevole. In questo contesto recentemente è stato proposto un nuovo paradigma nella valutazione dello stroke ischemico rappresentato dallo studio dei circoli collaterali (“collateral perfusion paradigm”) e della persistenza della penombra ischemica (“penumbra is brain”)per predire una buona risposta clinica. L’ima-ging CT/MR multimodale può offrire nuovi criteri di selezione dei pazienti per massimizzare l’efficacia del trattamento trombolitico (EV/IA). L’impiego di farmaci neuroprotettivi per prolungare la sopravvivenza del tessuto ischemico e nuovi fibrinolitici sono tuttora in corso.

    Come riconoscere se la fibrillazione atriale è causa di ictusChiti A. Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O.C. Neurologia, A.O.U. Pisa

    Circa un quarto dei casi di ictus ischemico rimane da causa sconosciuta (“ictus criptogenico”). La fibrilla-zione atriale parossistica subclinica (SPAF) potrebbe essere la causa di almeno una parte di tali ictus; so-spettarla e diagnosticarla potrebbe avere rilevanti implicazioni per la prevenzione secondaria, orientando verso la terapia anticoagulante orale piuttosto che verso la terapia antiaggregante. Sistemi di monitoraggio del ritmo cardiaco di lungo termine (esterni o impiantabili) sono in grado di rilevare episodi di SPAF che altrimenti rimarrebbero non diagnosticati; l’individuazione di fattori e score di rischio per SPAF (in base a criteri clinico-anamnestici, laboratoristici e strumentali) consentirebbe la selezione dei casi con più alto rischio pre-test, aumentando la cost-effectiveness della metodica diagnostica. E’ da sottolineare che il rin-novato interesse diagnostico per la detezione di episodi di SPAF (anche di brevissima durata) si sta accom-pagnando alla ridiscussione della relazione etiopatogenetica tra fibrillazione atriale e ictus, suggerendo che tale aritmia, quanto meno in alcuni casi, potrebbe rappresentare un marker di “cardiomiopatia atriale emboligena” piuttosto che un fattore di rischio. Se la fibrillazione atriale non è causa di ictus criptogenico non-lacunare, né sono individuate altre fonti cardioemboliche maggiori, aterosclerosi dei grossi vasi con stenosi superiore al 50% o cause più rare e specifiche (quali dissezioni e vasculiti), tale ictus potrebbe essere definito come “embolic stroke of unknown source” (ESUS). Nel suo complesso il suddetto fermento diagnostico, che si innesta su sistemi classificativi spesso ritenuti semplicistici e poco chiari (TOAST) o troppo complessi (ASCOD), necessita di trovare validazione in studi condotti con criteri chiari ed omoge-nei, con l’obiettivo finale di offrire al paziente una terapia sicura, efficace e personalizzata.

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    Ictus: biomarcatori circolanti e correlati di neuroimagingPiccardi B. Dipartimento Neurofarba, Università di Firenze

    Nei paesi occidentali l’ictus rappresenta la seconda causa di morte e la prima di disabilità nella popo-lazione adulta. Il trattamento trombolitico ed il ricovero in Stroke Unit possono migliorare l’outcome funzionale in una proporzione considerevole di pazienti. La ricanalizzazione tuttavia non è sempre ac-compagnata ad un miglioramento clinico poiché può verificarsi il così detto “danno da riperfusione”. La rottura della unità vascolare ed in particolare una lesione a livello della barriera emato-encefalica (BEE) sono considerati fenomeni chiave nella determinazione del danno tissutale post-perfusionale responsabili di complicanze quali trasformazione emorragica sintomatica, edema e peggioramento clinico. Lo studio multicentrico italiano Markers BioloGici associati all’Ictus Cetebrale (MAGIC) ha mostrato come le varia-zioni relative, pre e post trattamento trombo litico, dei livelli di metallo proteinasi-9 (MMP-9) si associno a trasformazione emorragica sintomatica ed esito clinico funzionale sfavorevole a 3-mesi. Il danno della BEE può essere visualizzato in vivo mediante tecniche avanzate di neuroimaging come l’enhancement contrasto grafico (Gd-DTPA) del liquido cefalorachidiano a livello dei solchi emisferici con sequenze di Risonanza Magnetica o sequenze di permeabilità con la TC di perfusione. La valutazione di marcatori neuroimaging da mettere in relazione con i marcatori biologici circolanti per la valutazione della perme-abilità della BEE potrebbe migliorare la comprensione dei meccanismi neuropatologici sottesi al danno tissutale post-perfusionale in pazienti con ictus ischemico trattati con trombolisi sistemica.

    Malattia di Fabry e Ictus: ipotesi di protocollo e screening toscanoNencini P. Stroke Unit e Neurologia, A.O.U. Careggi, Firenze

    La malattia di Fabry (MF) è una malattia da accumulo X-linked, determinata da deficit dell’enzima lisoso-miale alfa-Galattosidasi A. I sintomi possono insorgere in età pediatrica, in età giovanile o in età adulta e interessare entrambi i sessi con fenotipo estremamente variabile. Angiocheratoma, acroparestesie dolorose, cornea verticillata o pro-teinuria sono segni precoci nei maschi con fenotipo tipico ma possono essere assenti o minimi sia nelle femmine che nei maschi con fenotipo atipico. I quadri di interessamento cerebrovascolare sono spesso la prima causa di ospedalizzazione di pazienti con MF. Nel complesso si ritiene che la MF sia sotto-diagnosticata.Uno screening sistematico condotto su 108 pazienti (maschi 61%; range età 18-60 anni) con primo epi-sodio/recidiva di ictus ischemico acuto/TIA, ricoverati consecutivamente presso l’AOU Careggi di Firenze, ha permesso di identificare 3 diagnosi De novo di MF (1 maschio e 2 femmine). La prevalenza di MF in questa casistica risulta essere pari a 2.8% (95% 0.57-8.18). Tutti e 3 i pazienti con MF erano affetti da episodi ischemici ricorrenti ed il ritardo diagnostico dal primo ictus era rispettivamente di 4, 5 e 12 anni. In questa casistica di 108 ictus ischemici/TIA in età giovanile-adulta, la presenza di angiocheratoma (p

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    ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN TEMA DI SCLEROSI MULTIPLA

    La Neuromielite Ottica. Una sfida diagnostica e terapeutica nella pratica clinica Pastò L. Dipartimento NEUROFARBA, Sezione Neuroscienze, Università di Firenze

    Neuromyelitis optica (NMO, Devic’s syndrome), long considered a clinical variant of multiple sclerosis, is now regarded as a distinct disease entity, that targets the optic nerve and spinal cord, although it may also target certain areas of the brain. Major progress has been made in the diagnosis and treatment of NMO since aquaporin-4 antibodies (AQP4-Ab; also termed NMO-IgG) were first described in 2004. Testing of AQP4-Ab is essential and is the most important test in the diagnostic work-up of suspected NMO. Fur-thermore, AQP4-Ab testing has expanded our knowledge of the clinical presentation of NMO spectrum disorders (NMOSD). In addition magnetic resonance imaging of the brain and spinal cord, are obligatory in the diagnostic workup. Imaging typically shows longitudinally extensive lesions spanning three or more vertebral segments. It is important to note that brain lesions in NMO and NMOSD are not uncommon, do not rule out the diagnosis, and show characteristic patterns. The clinical course of NMO is dominated by acute attacks. Therapy of NMO should be initiated early. Corticosteroids and plasma exchange are useful for management of acute attacks. Several treatments used to prevent attacks of multiple sclerosis are ineffective in this condition; effective immunotherapies include azathioprine, mycophenolate mofetil and rituximab. Promising new therapies are emerging in the form of anti-IL6 receptor, anti-complement or anti-AQP4- Ab biologicals.

    I nuovi algoritmi terapeutici nella SM RR... e per la SM PP? Rossi F. Siena

    La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia autoimmune, infiammatoria cronica, demielinizzante del Sistema Nervoso Centrale (SNC). La malattia colpisce, prevalentemente giovani donne tra i 20 e i 40 anni ed è la seconda causa di disabilità nei giovani adulti. La malattia può avere andamento clinico diverso, la forma più frequente è rappresentata dalla forma a ricadute e remissioni (85 % dei casi), caratterizzata dalla com-parsa di un deficit neurologico (deficit di forza, disturbi del visus, vertigini etc) che compaiono acutamente e vanno poi incontro a remissione. Le ricadute, sono iniziate dall’attivazione periferica di leucociti, che entrano nel SNC attraverso una “rottura” della barriera emato-encefalica. La terapia della SM consiste di una serie di farmaci, il cui obiettivo principale è rappresentato, dalla prevenzione delle ricadute di malattia e di conseguenza la progressione della disabilità. Questi farmaci sono definiti “disease modifyng therapies” (DMTs). Sono stati approvati dieci trattamenti per la terapia della SM: quattro forme di Interferoni (IFN), Glatiramer acetato, Natalizumab, Fingolimod, Alemtuzumab, Teriflunomide e Dimetil-Fumarato (BG12). La prima generazione di questi farmaci è rappresentato dagli IFN e dal Glatiramer acetato. Natalizumab è un anticorpo monoclonale che si lega selettivamente alla sub unità α4 della molecola di adesione cellulare VLA-4 espressa sulla superficie di linfociti, bloccandone l’Ingresso nel SNC. Fingolimod la prima molecola utilizzata per via orale, favorisce la redistribuzione ai linfonodi dei linfociti auto-aggressivi riducendone la ricircolazione nel SNC. Alemtuzumab è un anticorpo monoclonale anti-CD52 che determina già in singola dose, una robusta deplezione di linfociti e mono-citi. Dimetil-Fumarato (BG-12), esercita la sua azione attraverso l’attivazione della risposta antiossidante. Teriflunomide inibisce selettivamente un enzima mitocondriale che è necessario, per la sintesi de novo di pirimidine e in tal modo limita l’espansione di cellule B e T stimolate e riduce il numero di linfociti attivati.Tutti questi farmaci agiscono sulla componente infiammatoria di malattia e pertanto trovano indicazione nella SM–RR, ma una o due decadi dopo l’esordio dei sintomi, più della metà dei pazienti sviluppa una forma secondaria progressiva (SP). L’accumulo di deficit neurologici e di lesioni, conduce verosimilmente a perdita assonale. Farmaci immunomodulanti,largamente usati nella SM-RR non hanno condotto a risul-

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    tati efficienti quando estesi alla SM-SP (IFN, ciclofosfamide). Strategie di neuro-protezione diretta (lamotri-gina, tetraidrocannabinoidi), hanno fallito. Recentemente sono stati pubblicati i risultati di un trial in fase 2, che utilizza Simvastatina ad alte dosi (80mg) in un gruppo di pazienti con SM-SP. È stata riscontrata una riduzione dell’atrofia cerebrale annualizzata, rispetto a placebo. Nuovi risultati si attendono dagli studi di fase 3.

    SM e disturbi del pavimento pelvico. Quale approccio multidisciplinare? Pasquali L. Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O.C. Neurologia-Neurofisiopatologia, Università di Pisa

    La disfunzione del pavimento pelvico, che include sintomi urinari, intestinali e/o sessuali, è piuttosto co-mune nei pazienti con Sclerosi Multipla (SM) e ne riduce nettamente la qualità di vita, poiché, oltre ad essere una causa significativa di disabilità, influenza negativamente le relazioni sociali e le attività quoti-diane. I disturbi del pavimento pelvico sono legati primariamente alla localizzazione nel midollo spinale delle placche demielinizzanti, sebbene anche le localizzazioni intracerebrali della malattia possano influen-zare il controllo delle funzioni pelviche. Altri fattori quali fatica, spasticità, disturbi motori nonché fattori psicologici, sociali o culturali incidono sulla presenza di tali disturbi. I disturbi del pavimento pelvico si verificano nel 50-80% dei pazienti con SM durante la malattia, tuttavia nel 3-10% dei pazienti rappresen-tano l’esordio. Poiché i disturbi del pavimento pelvico sembrano correlare positivamente con l’età, l’EDSS e la durata di malattia, è necessario diagnosticarli precocemente per evitare la loro cronicizzazione, con relative compli-canze, e per instaurare una terapia. L’approccio del neurologo si basa sulla corretta raccolta anamnestica, indagando la presenza di disfunzioni genitourinarie e anorettali, nonché sull’eventuale somministrazione ai pazienti di questionari atti a valutare le varie funzioni pelviche quali UBQMS-Urinary Bothersome Questionnaire in Multiple Sclerosis, MSISQ-19-Multiple Sclerosis Intimacy and Sexuality Questionnaire. Successivamente il paziente deve essere affidato ad un team multidisciplinare, comprendente l’urologo, il gastroenterologo, il ginecologo, l’andrologo, il fisiatra e lo psicologo, che, coordinato dal neurologo di riferimento, possa valutare tali disturbi con gli specifici strumenti a propria disposizione. La gestione dei disturbi del pavimento pelvico può tuttavia risultare complicata, a causa dell’evolutività della patologia di base e della presenza di altri segni e sintomi legati alla malattia che possono inficiare l’esito dei trattamenti proposti. Tuttavia è possibile confidare in diversi approcci, più o meno conservativi, da personalizzare in base alle esigenze del paziente, al suo grado di disabilità e alla sua capacità di collaborazione.

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    L’ORGANIZZAZIONE DELLE NEUROSCIENZE: LA COSTRUZIONE DEI PERCORSI E LA RETE DEI SERVIZI

    L’ictus nel PSSIR 2012 -2015 e nella recente normativa regionale e nazionale Palumbo P.*, Mazzoni M.**, Marconi R.**** Direttore U.O. Neurologia, Nuovo Ospedale di Prato, Prato ** U.O. Neurologia, AUSL 2, Lucca *** U.O. Neurologia, Grosseto

    Nel corso del 2013 le neuroscienze della Regione Toscana hanno partecipato ai lavori di un gruppo de-signato dal Consiglio Sanitario Regionale, con il compito di definire il percorso clinico assistenziale del paziente con ictus. Il gruppo che vedeva la partecipazione anche di internisti, fisiatri, altre discipline e professioni non ha trovato una convergenza con il CSR ed il testo presentato, nella bozza di PSSIR, ha visto la netta disapprovazione del mondo delle neuroscienze. Il sottoscritto, durante il II° Meeting SNO (aprile 2014) ha concluso il proprio intervento sull’argomen-to con le seguenti parole “La proposta condivisa dai professionisti (neurologi ed internisti) che trattano l’ictus in Toscana, nonostante numerosi tentativi, non è stata accettata. Siamo impegnati per proporre un emendamento in IV Commissione RT. Ma la domanda inquietante che a tutt’oggi non ha una risposta è la seguente: a chi può servire tutto questo ?”. Successivamente le nostre proposte sono state accolte ed i concetti inseriti nel PSSIR (approvato nel novembre 2014), condivisi anche con gli internisti, affermano che Stroke Unit/Stroke Area è un area di degenza definita per l’assistenza dei pazienti con ictus acuto, con alcuni letti monitorizzati ed utilizzati in modo flessibile (specificamente ma non esclusivamente dedicati così come l’equipe medico infermieristica preposta). In pratica gli aspetti più controversi legati al setting clinico assistenziale ospedaliero sono stati alla fine approvati, con il consenso delle neuroscienze toscane. Questa esperienza ci insegna che solo attraverso un approccio unitario, avanzando proposte condivise, partecipando ed esercitando una legittima pressione è possibile trovare le risposte auspicate presso gli organismi istituzionali.

    I percorsi toscani per la chirurgia dell’epilessia Campostrini R.*, Giordano F.**, Rocchi R. **** Dirigente medico c/o Unità operativa di neurologia e neurofisiopatologia dell’ospedale “Misericordia e Dol-ce”, ASL 4 di Prato ** Dirigente Medico di Neurochirurgia Vice responsabile Reparto Neurochirurgia Azienda Ospedaliero-Uni-versitaria Meyer di Firenze *** Responsabile U.O.S. “Epitemologia e Medicina del sonno” Dipartimento di Scienze Neurologiche A.O.U. di Siena

    I pDTA sull’epilessia farmacoresistente a livello regionale toscano prendono avvio su inziativa della sezione toscana della ICE nel 2009. Durantre anni di incontri, revisioni, discussioni anche accese si arriva ad un documento condiviso e a quel punto pilotato da una commissione ad hoc istituita dal Consiglio Sanitario Regionale (CSR) che segua uno schema ben preciso (riportato nelle slides di presentazione in cui, si pre-sentano i risultati di 2 censimenti paralleli (Prof Guerrini- Neurologia pediatrica ) per i centri pediatrici (Dr. Roberto Campostrini Neurologia USL 4 Prato) per in centri a cui afferiscono gli adulti. I dati a cui tutti i centri interpellati sono chiamati a rispondere solo il flusso annuale, le capacità diagnosti-che (EEG di base,Video EEG, Holter EEG, valutazione di Neuroimanging –RMN – fRMN, PET, valutazione Neuropsicologica – diversa per le due tipologie di età, capacità di studio ulteriore invasivo con corticografie e stereo eeg e di intervento resettivo/palliativo (stimolatori vagali) dei centri regionali a cui al fine afferisco-no i due gruppi di paz: Meyer e Siena. In ultima istanza si fa riferimento anche alla capacità di diagnostica istopatologica. In prima istanza il progetto viene approvato dal CSR nel giungo 2009, ma non viene fatto proprio dall’Assessorato per la

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    Salute della regione nonostante ripetute sollecitazionie ed il fatto che oltre ad una mappatura certa delle tipologie di attività presenti con un percorso ben definito. Nel 2014 siamo richiamati in un gruppo ristretto e su invito diretto dell’assessorato ad aggiornare i dati ed a ripresentare il progetto riapprovato dal CSR con l’inserimento di una nuova aggiunta (valutazione annuale dell’attività di ciascun centro individuato a livello regionale per valutarne il volume di attività clinico diagnostica e per i 2 centri finali chirurgica annuale). Si presentano per il meyer i dati consutivi non distinti per tipologia (circa 100 annuali omnicomprensivi di chirurgia resettiva, studi stereo tassici e di inserimento di devices a tipo stimolatori vagali, mentre per il centro di Siena si riportano in dettaglio le varie tipologie di interventi e studi.

    Rete dei servizi Alzheimer e sostenibilità finanziariZolo P.*, Bracco L.**, Vista M.*** * Area Funzionale Neuroscienze, USL 8, Arezzo ** SOD Neurologia 1, AOU Careggi Università di Firenze *** U.O. Neurologia, Azienda USL 2, Lucca

    In Europa, relativamente ai paesi della UE, le stime più attendibili parlano di 15 milioni di persone affette da demenza nel 2020. La Malattia di Alzheimer rappresenta il 54% di tutte le demenze, con una preva-lenza nella popolazione over65 anni del 4.4%: la prevalenza aumenta con l’età e risulta maggiore nelle donne. Il rimanente 46% è rappresentato da demenze di diagnosi complessa, spesso si tratta di forme genetiche, ad esordio precoce, con particolari e impegnativi problemi assistenziali e di disabilità. In Italia la prevalenza è maggiore (1.55% della popolazione) che in Europa (1.13-1.25%): in Toscana l›Agenzia Regionale di Sanità prevede che dagli attuali 84.212 casi si passi nel 2040 a 142.831 affetti da demenza. L’impatto socioeconomico della demenza è globale, coinvolge le cure mediche, gli interventi sociali e l’assistenza informale e i costi indiretti. A costi medi (anno 2000) per sanità e assistenza, nel 2040 la Toscana potrebbe dover dedicare alle demenze risorse economiche per oltre un miliardo di euro (un bilione nel sistema US e UK). Il problema ovvero la sfida della sostenibilità nasce a questo punto e si fonda oltre allo stato generale dell’economia occidentale, su più determinanti:lo sviluppo della ricerca clinica e farmacoterapeutica e il suo impatto sulla malattia;le caratteristiche epidemiologiche della popolazione affetta;le strategie di tipo preventivo realizzabili con le attuali conoscenze;l’organizzazione sanitaria e sociale ai diversi livelli operativi: europei, nazionali e regionali.Si propongono alcune riflessioni relative a questi punti della discussione, focalizzando lo stato della rete Alzheimer toscana e le prospettive di suo sviluppo nell’arco temporale del Piano Regionale dei Servizi Sanitari e Sociali 2014-2016.

    La gestione dell’ambulatorio Parkinson nella dimensione di area vasta Rossi S.*, Maremmani C.**, Cincotta M.*** * Dipartimento di Neuroscienze,U.O.C., Neurologia e Neurofisiologia Clinica, Università di Siena, Siena ** U.O. Neurologia, ASL 1 Massa-Carrara *** UO di Neurologia, Azienda Sanitaria di Firenze

    Nella relazione verrà riassunto il percorso effettuato dal gruppo di lavoro di Neurologi toscani per conto della Regione Toscana sulla creazione del PDTA di area vasta per la gestione della Malattia di Parkinson.Verranno inoltre riassunti alcuni dati, elaborati su base multicentrica in collaborazione con l’ARS, sulla prevalenza della patologia in Toscana desunta da dati amministrativi basati sulla prescrizione di farmaci antiparkinsoniani.

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    ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN NEUROCHIRURGIA

    L’impatto della Gamma Knife sulla gestione della patologia elettiva neurochirurgica in ambito regionale ed extraregionale Pecchioli G., Bono P., Ammannati F., Bordi L. Neurochirurgia 1, AOU Careggi, Firenze

    La neuroradiochirurgia con Gamma Knife (Perfexion - Elekta) è ormai definita come una valida opportuni-tà. Ci permette di offrire uno strumento molto utile e talvolta indispensabile nella gestione della patologia elettiva neurochirurgica. Questo grazie alla precisione stereotassica del casco di Leksell (G-Frame, Elekta) associato con la precisione anatomica della RM centrando così la possibilità di poter concentrare, in sedu-ta singola, una grande quantità di energia in un piccolo volume, anche in siti critici, con un interesse molto limitato del parenchima sano, senza dover procedere ad apertura della scatola cranica. Dopo quasi 3 anni di utilizzo continuo si è reso evidente il suo ruolo dominante nella gestione del paziente con indicazioni neuroradiochirurgiche; tra queste: tumori benigni (come meningiomi, schwannomi del nervo acustico, adenomi dell’ipofisi) sia come prima indicazione sia come trattamento post-chirurgico sul residuo opera-torio, metastasi (singole e multiple permettendo un ottimo controllo malattia locale), gliomi, astrocitomi craniofaringiomi, melanomi uveali, neurochirurgia funzionale (nevralgia del trigemino sia come primo approccio che come “salvage therapy”, disturbi del movimento, amartomi ipotalamici). Tutte le indicazioni sono possibili sia come primo approccio sia come trattamento dopo chirurgia o radioterapia permettendo un atto chirurgico meno aggressivo e più sicuro in termini di outcome. Installata presso l’AOU Careggi nel giugno 2012 ha iniziato ad essere utilizzata dall’ottobre 2012. La casisistica ad oggi tocca i 250 pz circa. Alcuni studi dimostrano come il trattamento neuroradiochirugico con Gamma Knife abbia indicazione (secondo l’incidenza per malattia/anno nella popolazione) in ca 236 pz/milione/anno; pertanto, su una popolazione Area Vasta Centro di ca 1.500.000 abitanti (15 ospedali e 2 poli ospedalieri universitari con un totale di ca 4.600 posti letto nel 2009, si trova un valore di 350 ideali trattamenti per anno nella sola Area Vasta Centro, e con 2.100.000 abitanti nelle restanti due Area Vasta si raggiunge ca 470 pz/anno per le altre 2 aree, con un totale 820 possibili indicazioni per anno nella sola Regione Toscana.

    Il conflitto neuro vascolare: diagnosi e terapia Aquila F. Neurochirurgia, Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa

    I conflitti neurovascolari costituiscono una patologia nota già dagli inizi del secolo scorso. Consistono nel-lo sviluppo, durante l’ontogenesi, di un loop vascolare anomalo nell’angolo ponto-cerebellare, che va a determinare in età adulta l’insorgenza di un contatto aberrante tra un nervo e il loop vascolare stesso. Tale conflitto si traduce in un progressivo danno da demielinizzazione e in una conseguente iperelicitabilità del nervo, con sintomatologia da iperattivazione e disregolazione relativa alla funzione del nervo stesso. Esporremo in questa presentazione le caratteristiche cliniche e radiologiche dei conflitti neurovascolari, ponendo attenzione sulle nuove frontiere diagnostiche aperte dalla Risonanza Magnetica ad alto campo. Discuteremo infine le variegate possibilità di trattamento, sia conservativo che invasivo.

    L’approccio endoscopico trans naso sfenoidale al basicranio: nuove possibilità e nuo-ve indicazioni terapeutiche Scagnet M., Mussa F., Giovannetti F., Priore P., Genitori L. Neurochirurgia, ospedale pediatrico Meyer - Firenze

    L’endoscopia sta offrendo alla neurochirurgia nuove opportunità per quanto riguarda la diagnosi e la te-rapia di problematiche del basicranio.L’endoscopio proietta la regia e quindi il chirurgo fin dentro il tumore, rendendo possibili manovre deli-cate e in punti molto lontani prima assolutamente impossibili.

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    I vantaggi rispetto alla tecnica microchirurgica sono: maggiore definizione visiva, migliore operatività, estensione del campo operatorio, minore invasività.Abbiamo trattato 36 pazienti pediatrici dal 2012 fino al Gennaio 2015. Il ventaglio di patologie è ampio e tra gli altri comprende adenomi ipofisari, craniofaringioni, dermoidi, ascesso cerebrale, cavernoma del tronco, tumori del clivus, fistole liquorali e meningoceli. Fin da subito abbiamo riscontrato una manegge-volezza nell’utilizzo dell’endoscopio con evidenza di una curva di apprendimento molto rapida.I risultati sono stati molto buoni, in tutti i casi siamo riusciti ad ottenere lo scopo del planning preoperato-rio. Non abbiamo avuto in nessun caso un aggravamento dei sintomi neurologici. Tra le complicanze descriviamo 3 rinoliquorree e 1 ascesso cerebrale. In conclusione: è una chirurgia assolutamente innovativa che ci ha portato ad ottenere risultati apprezza-bili con un impatto buono sui piccoli pazienti. Non da ultimo è da considerare l’assenza di cicatrice chi-rurgica, del gonfiore post operatorio e la riduzione dei tempi medi di degenza, hanno da parte dei pazienti e delle famiglie un impatto favorevole.

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    ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN TEMA DI EPILESSIE

    Meccanismi dei farmaci antiepilettici e predizione di risposta terapeutica nel singolo paziente: a che punto siamo? Giorgi F. Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O.C. Neurologia, Università di Pisa

    In questa relazione verrà affrontato brevemente lo stato dell’arte su se e come i meccanismi d’azione dei farmaci antiepilettici consentano ad oggi di prevedere la risposta del singolo paziente. Di fatto attualmente questo è possibile solo in limitate sindromi, per lo più di tipo generalizzato idiopatico. Per alcune catego-rie di farmaci è altresì possibile prevedere l’induzione di peggioramento delle crisi in pazienti con forme idiopatiche, basandosi sulle conoscenze dei loro meccanismi. Nelle forme focali acquisite la prospettiva di terapie mirate in base ai bersagli molecolari è ancora limitata, essendo molteplici e spesso imprevedi-bili i meccanismi patogenetici coinvolti nelle varie forme. Alcuni di questi ultimi iniziano però ad essere chiariti, e verranno discusse alcune possibili prospettive terapeutiche future.

    Encefalopatie ed Epilessie autoimmuni: update ed istruzioni per l’uso Rosati E. UO Neurologia, Ospedale S. Stefano, Prato

    Circa un terzo delle epilessie in età adulta ed infantile non sono attribuibili ad una causa identificabile ed una parte di esse mostra scarsa risposta alla terapia antiepilettica. In una piccola percentuale di queste epilessie criptogeniche farmaco-resistenti è stata osservata una buona risposta alla terapia immunomodu-lante, e l’eziopatogenesi ipotizzata è di tipo infiammatorio-autoimmunitaria. A conferma di questa ipotesi, negli ultimi anni è stato identificato un numero crescente di anticorpi sierici e/o liquorali rivolti contro an-tigeni neuronali di superficie o intracellulari, correlati in maniera più o meno specifica ad alcune di queste sindromi epilettiche e sono stati descritti fenomeni atrofici ed infiammatori a livello temporo-mesiale in pazienti sottoposti a chirurgia dell’epilessia. Questa particolare epilessia definibile “autoimmune” è stata descritta sia nell’ambito di una chiara sindrome limbica ossia associata ad altri disturbi quali il deteriora-mento cognitivo, modificazioni del comportamento e chiare alterazioni limbiche riscontrate con le neu-roimmagini sia come unica manifestazione clinica del processo autoimmunitario. L’encefalite limbica può a sua volta essere associato ad una neoplasia sistemica oppure no.La crescente attenzione per queste epilessie autoimmuni è conseguenza della loro potenziale suscettibilità ai trattamenti immunomodulanti. La loro identificazione è perciò oggi di fondamentale importanza per avviare il più precocemente possibile il corretto trattamento evitando l’inutile impiego di politerapie antie-pilettiche e prevenendo così la comparsa di danni strutturali anche gravi che portino ad esiti cognitivi ed allo sviluppo di una vera epilessia sintomatica farmaco-resistente. La loro possibile associazione a neopla-sie sistemiche le pone inoltre tra i markers precoci di tali patologie la cui esclusione diventa mandatoria.

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    ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN NEURORADIOLOGIA

    RMN funzionale prechirurgica dell’epilessia Moretti M. Medico S.O.D. Neuroradiologia Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze

    Obiettivi didattici: esplorare le possibilità ed evidenziare i limiti della metodica di Risonanza Magnetica funziona le nella pianificazione degli interventi neurochirurgici in pazienti con tumori cerebrali primitivi situati in vicinanza di aree funzionalmente rilevanti. Introduzione: la fMRI è una metodica non invasiva per il mappaggio corticale prechirurgico utile nella pianificazione dell’intervento in caso di lesioni vicine ad aree corticali eloquenti. La fMRI non ha ancora raggiunto lo status di procedura diagnostica standardizzata in neuroimaging e necessita tuttora di essere eseguita in forma di trial clinico. Materiali e metodi: utilizziamo un apparecchio RM Siemens AERA, sequenza EPI FID, TR 3000 ms, TE 50 ms, spessore fette 3 mm, gap 25%, 36 fette, FOV 256x256, matrice 64x64, 60 volumi, 6 fasi on e 6 fasi off di 15 s ciascuno. Tasks di stimolazione a blocchi che comprendono, a seconda della sede di in-teresse, finger tapping semplice ed alternato, movimento latero-laterale lingua e dorsiflessione piede con frequenza 1 Hz, stimolazione sensitiva della mano e piede con frequenza di 1Hz. Per la localizzazione delle aree del linguaggio facciamo contare il paziente e lo sottoponiamo a ascolto e comprensione di un testo. Presentiamo una casistica di 11 pazienti con lesioni adiacenti ad aree eloquenti. Risultati: in tutti i casi studiati le mappe di attivazione, calcolate con software Siemens Neuro 3D e co-registrate su immagine anatomica morfologica MPRAGE T1 con m.d.c., sono risultate di buona qualità e hanno permesso una adeguata pianificazione dell’intervento chirurgico.Conclusioni: la fMRI prechirurgica permette di ottenere informazioni utili ai fini della pianificazione dell’accesso chirurgico e per valutare i rischi della procedura stessa, la metodica può essere utilizzata a completamento dell’esame morfologico con tempi di acquisizione accettabili.

    Tecniche avanzate di RM e prospettive future Pesaresi I. Dirigente Medico I Livello presso U.O. Neuroradiologia A.O.U. di Pisa

    Nella prima parte della relazione verranno presentati i principi della metodica EEG-fMRI e le sue appli-cazioni in ambito clinico e di ricerca. Nella seconda parte verranno illustrati potenzialità e limiti degli scanner RM ad alto campo, 3Tesla e 7Tesla.

    Neuroradiologia interventistica vertebrale: indicazioni, tecniche e risultati Ferrara M., Bellini M., Cerase A.UOC Neuroimmagini e NeurointerventisticaDipartimento di Scienze Neurologiche e NeurosensorialiAzienda Ospedaliera Universitaria Senese, Policlinico “Santa Maria alle Scotte”, Siena

    Un rilevante impatto socio-economico deriva dalla disabilità causata da varie patologie (traumatica, de-generativa, metabolica, neoplastica) della colonna vertebrale, spesso di difficile inquadramento clinico ed eziologico. Ciò ha rappresentato e rappresenta lo stimolo principale per l’introduzione e lo sviluppo di varie tecniche di Neuroradiologia Diagnostica ed Interventistica che si sono dimostrate variamente efficaci nella diagnosi e nel trattamento di tali condizioni morbose.Lo scopo della relazione è illustrare indicazioni, controindicazioni, tecniche, materiali e risultati delle principali procedure mini-invasive percutanee di Neuroradiologia Interventistica Vertebrale (vertebropla-stica e cifoplastica percutanea, chemionucleolisi, decompressioni discali termiche o meccaniche, neuroli-si faccette articolari, infiltrazioni perigangliare ed epidurale, termoablazine con RF), mirate al trattamento

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    delle alterazioni che colpiscono disco intersomatico, vertebra e strutture nervose adiacenti. Si commenta-no, inoltre, le più avanzate tecniche interventistiche vertebrali ed i principali vantaggi offerti rispetto alla tecniche chirurgiche tradizionali. I risultati ottenuti presso la nostra Unità Operativa saranno confrontati con quelli della letteratura.

    Tempo di ricanalizzazione nel trattamento endovascolare dell’ictus Rosi A. SOD Neuroradiologia Interventistica, A.O.U. Careggi, Firenze

    La relazione prenderà in considerazione una breve revisione della letteratura sui trial che hanno progres-sivamente esteso la finestra terapeutica temporale per il trattamento endovascolare dell’ictus ischemico.Varrà sottolineato come il tempo tra l’esordio e l’inizio del trattamento non sia l’unica variabile determi-nante l’outcome, come dimostrato dal fenomeno delle riperfusioni futili, ovvero quei casi in cui pazienti nei quali si ottenga un buon grado di ricanalizzazione entro il tempo limite della finestra terapeutica pre-sentano scarsi risultati in termini di outcome clinico.Saranno presentati i dati della casistica stroke dell’unità di Interventistica Neurovascolare dell’AOU Ca-reggi di Firenze.Il risultato clinico del trattamento endovascolare deve essere valutato in considerazione altri fattori come l’entità dei circoli collaterali, il grado di ricanalizzazione, la sede di occlusione, il tipo di procedura endo-vascolare, i risultati dell’imaging avanzato ed i fattori biologici individuali. Sarebbe auspicabile che in futuro il concetto di finestra terapeutica non si limitasse a considerare l’ora di esordio, bensì si basasse sulla integrazione di più fattori prognosticamente significativi per il trattamento endovascolare, questo potrebbe portare a personalizzare la finestra terapeutica per ogni singolo paziente.

    Neuroimaging bio-molecolare: highlights Sestini S. Dirigente Medico della U.O. di Medicina Nucleare della USL4 di Prato

    Lo scenario emerso dai numeri relativi alla previsione di prevalenza delle malattie neuro-degenerative ed ai costi ad esse associati nei prossimi 50 anni ha imposto al mondo scientifico la ricerca di strategie mirate alla diagnosi precoce e certa di tali malattie al fine di prevenirne o ritardarne l’esordio clinico e di instaurare trattamenti specifici nei casi clinicamente controversi. Per il raggiungimento di questi obiettivi un enorme sforzo è stato fatto ed è tutt’ora in atto nel tentativo di approfondire la conoscenza dei mecca-nismi sub-cellulari e molecolari che caratterizzano il fisiologico processo di invecchiamento neuronale e delle modificazioni a cui esse vanno incontro in condizioni di patologia nel tentativo di identificare i bio-marker di queste malattie. Un bio-marker è genericamente definito un parametro che può essere misurato in modo oggettivo e la cui misura è un indicatore di un determinato processo biologico, in condizioni di normalità e di patologia e delle modificazioni a cui esso va incontro a seguito di un intervento terapeu-tico. L’obbiettivo di un bio-marker è la diagnosi sensibile e specifica di malattia. Nel caso delle malattie neuro-degenerative, un bio-marker è considerato sensibile se identifica la presenza della malattia prima o nelle prime fasi della comparsa dei sintomi. Un bio-marker è considerato specifico quando differenzia con un margine di errore trascurabile l’una malattia neuro-degenerativa dall’altra o da altre malattie non neuro-degenerative ma clinicamente simili allo scopo di instaurare trattamenti terapeutici mirati. Il miglio-ramento della conoscenza dei fattori etiologici e dei processi patologici coinvolti nelle malattie neuro-degenerative raggiunto in questi ultimi anni unito alla possibilità di rilevare e visualizzare in vivo queste alterazioni mediante tecniche di neuro-imaging bio-molecolare - come la SPECT con FP-CIT nel rilevare il deficit della via nigro-striatale, la PET con fluoro-dessossi-glucosio (FDG) nel rilevare il deficit di funzio-namento di alcune classi di popolazioni neuronali o ultimamente la PET con traccianti che individuano la presenza di amiloide nel cervello - ha fatto si che queste metodiche siano oggi considerate utili nell’iter diagnostico di questa classe di malattie. A fianco di motivazioni puramente scientifiche, anche fattori di ordine tecnico e pratico hanno contribuito alla diffusione di queste tecniche, come ad esempio l’attuale elevata risoluzione spaziale delle immagini acquisite, la riduzione della dose di radioattività assorbita dal

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    paziente e, non ultimo, la riduzione dei costi dell’esame ed il recupero di risorse derivanti da una diagnosi precoce e corretta

    Lo spettro cognitivo e psichiatrico della malattia di Parkinson: patogenesi e basi neu-rochimiche Ceravolo R. Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O.C. Neurologia, Università di Pisa, A.O.U. Pisa

    La malattia di Parkinson (MP) si caratterizza per sintomi motori cardinali ma anche per un ampio corredo di sintomi non motori, tra i quali le manifestazioni cognitive e psichiche costituiscono le piu frequenti e importanti ulteriori cause di disabilità. La presenza di deficit cognitivi è apprezzabile fin dalle fasi iniziali di malattia come disfunzione dei circuiti esecutivi nella quasi totalità dei pazienti. Questi deficit cognitivi sono solo in piccola parte sostenuti da un deficit dopaminergico, anzi spesso la terapia dopaminergica può peggiorare alcune funzioni cognitive in relazione ad un overload del sistema dopaminergico meso-corticale. La comparsa di demenza avviene in una percentuale tra il 20 e il 40% dei soggetti con MP ed è clinicamente contrassegnata dalla sovrapposizione di disturbi a prevalente dominio visuo-spaziale. Il ruolo relativo dei depositi di sinucleina e di amiloide nella genesi dei disturbi cognitivi in corso di MP può essere chiarito da studi in vivo con PET e traccianti specifici. Lo spettro di disturbi psichici è molto ampio comprendendo sia disturbi connessi alla malattia come la depressione, che disturbi connessi alla terapia come psicosi e disturbi del controllo degli impulsi. La personalità premorbosa anche in questi casi gicoa un ruolo essenziale unitamente a fattori di predisposizione genetica. La base neurochimica ed i circuiti coinvolti nelle molte facce della depressione parkinsoniana e nei disordini del controllo degli impulsi sono oggi piu chiare grazie agli studi di esplorazione funzionale del cervello e di imaging molecolare in vivo che hanno consentito non solo un avanzamento delle conoscenze dei meccanismi fisiopatologici ma anche decisi miglioramenti nel management clinico.

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    ATTUALITÀ E PROSPETTIVE IN TEMA DI DISTURBI DEL MOVIMENTO

    Calcificazione dei gangli della base: quadri clinici e neuroradiologici Mignarri A. Medico in Formazione Specialistica presso U.O. Neurologia Università di Siena

    Quella che è stata a lungo chiamata malattia di Fahr (eponimo che rimane tutt’oggi molto utilizzato nella pratica clinica) è in realtà un insieme di condizioni eterogenee accomunate dal riscontro strumentale di calcificazioni dei nuclei della base. Pertanto, possiamo affermare che non esiste una malattia di Fahr in quanto tale. Sicuramente esistono forme familiari di calcificazioni cerebrali (Primary Familal Brain Cal-cification - PFBC), i cui geni causativi sono oggi in parte noti. Le forme di PFBC vanno distinte da altre patologie che causano calcificazioni cerebrali, e ciò presuppone un percorso di diagnosi differenziale im-pegnativo che tenga conto delle numerose cause di depositi di calcio nel cervello. Accanto all’esigenza di identificare un percorso diagnostico razionale, un altro punto rilevante che è emerso dall’analisi di quanto ad oggi compreso sotto il termine di malattia di Fahr e dalle recenti acquisizioni genetiche, è l’opportunità di una ridefinizione nosografica. Pare poco corretto identificare la malattia di Fahr con la PFBC per due motivi: i) non possiamo affermare che la malattia riportata da Fahr fosse una PFBC; ii) il termine malattia di Fahr ha un’accezione molto larga, essendo stato utilizzato in letteratura per descrivere forme di calcifi-cazioni dei nuclei della base con diversa eziologia. I vari studi genotipo-fenotipo hanno confermato che la FIBGC è una malattia eterogenea da un punto di vista clinico e genetico. Futuri studi saranno fonda-mentali per individuare altri geni responsabili di FIBGC, comprendere i meccanismi patogenetici alla base dalla deposizione cerebrale di calcio e proporre terapie in grado di modificare l’evoluzione della malattia.

    Neuroimaging nella malattia di Parkinson Frosini D. Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale, U.O.C. Neurologia, Università di Pisa, A.O.U. Pisa

    La Malattia di Parkinson (MP) è associata con la perdita neuronale a livello della sostanza nera (SN) e con la riduzione del contenuto di dopamina a livello striatale. Il neuroimaging convenzionale con risonanza magnetica a 1.5 T non mostra variazioni individuali nei pazienti con MP e fornisce informazioni solo nella diagnosi differenziale con alcune forme secondarie mentre l’imaging medico nucleare è in grado di evidenziare precocemente e anche in fase preclinica la perdita di neuroni dopaminergici. Questa con-dizione, identificabile ad esempio con l’utilizzo di traccianti selettivi per il trasportatore della dopamina (DAT), è comune alla Malattia di Parkinson e ai parkinsonismi atipici quali Atrofia Multisistemica, Paralisi Sopranucleare Progressiva e Degenerazione Cortico Basale. L’utilizzo di risonanze magnetiche a 3T e lo sviluppo di tecniche di immagine avanzate come il diffu-sion-weighted imaging (DWI) ha consentito di identificare precoci modifiche nei pazienti con MP e con parkinsonismi atipici. Più recentemente il ricorso a risonanze magnetiche a ultra alto campo (7 Tesla) ha permesso per la prima volta di riconoscere alterazioni strutturali a carico della pars compacta della SN già nelle fasi precoci della MP e identificabili con elevata sensibilità e specificità e con una semplice analisi ispettiva di immagini sensibili all’effetto di suscettività magnetica.

    Terapie complesse per la malattia di Parkinson: quando e a chi proporle? Torre E. U.O. Neurologia, Ospedale S. Stefano, ASL 4 Prato

    Le terapie infusive e chirurgiche (stimolazione cerebrale profonda, infusione duodenale di levodopa gel, infusione sottocute di apomorfina) si sono dimostrate efficaci e sicure nel trattamento della Malattia di Parkinson in fase avanzata, se indicate in pazienti che rispettano i criteri di selezione specifici per ogni singola terapia. L’esperienza clinica degli ultimi decenni ha mostrato un netto beneficio sulle fluttuazioni

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    motorie derivante da una stimolazione dopaminergica più continua, a fronte di un profilo complessiva-mente favorevole dal punto di vista degli effetti collaterali. Considerando il rapporto vantaggioso tra rischi e benefici, stanno emergendo dalla letteratura dati relativi all’applicazione di tali terapie in fase più preco-ce di malattia al fine di evitare che le complicanze motorie diventino invalidanti in un’epoca di vita che richiede performances professionali e sociali più prestanti. Scopo della relazione sarà quello di analizzare i dati della letteratura favorevoli e contrari a tale prospettiva.

    L’algoritmo diagnostico decisionale nelle malattie muscolari rare: un livello regionale? Siciliano G. Medicina Clinica e Sperimentale, Neurologia, Pisa

    Anche nell’ambito delle malattie muscolari la propulsiva innovazione tecnologica realizzatasi negli ultimi anni in campo sanitario ha comportato un innegabile radicale cambiamento dell’approccio diagnostico-terapeutico del neurologo verso queste malattie. L’inclusione, inoltre, di tali patologie tra le malattie rare aggiunge un ulteriore valenza clinica di un tale approccio che necessariamente si deve affiancare a quello delle pur sempre inviolabili modalità tradizionali indicate dalla scienza neurologica. Numerosi sono gli aspetti in cui l’elevata tecnologia si propone come importante mezzo nelle malattie muscolari, ma indub-biamente quello diagnostico riveste una fondamentale importanza, anche in funzione delle ricadute sulle decisioni terapeutiche e di presa in carico sotto il profilo sanitario del paziente con malattia muscolare. In questa prospettiva, un livello di intervento regionale risulta utile nell’ottimizzare mezzi e risorse per una corretta e tempestiva diagnosi di malattia muscolare

  • COMUNICAZIONI ORALI

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    Gruppo 1: NEUROSCIENZE 1

    1. Trattamento endovascolare degli aneurismi di biforcazione con stenting a YLimbucci N.*, Rosi A.*, Nappini S.*, Consoli A.*, Renieri L.*, Ammannati F.**, Mangiafico S.** SOD Interventistica Neurovascolare, AOU Careggi, Firenze** SOD Neurochirurgia 1, AOU Careggi, Firenze

    Il trattamento endovascolare degli aneurismi di biforcazione a larga base è spesso complesso. Il coiling assistito dall’impianto di uno stent consente di trattare aneurismi complessi. Tuttavia, in caso di base molto ampia, anche l’impianto dello stent può essere insufficiente per proteggere i rami di biforcazione. Una soluzione tecnica è quella dello stenting a Y. Questa prevede l’impianto di due stent embricati a “Y” nei due rami di biforcazione, in maniera da ricostruire la stessa, con successivo coiling dell’aneurisma. Un vantaggio dello stent a Y è il basso tasso di recidive. Riportiamo la nostra esperienza di trattamento di aneurismi a larga base con stenting a “Y” usando lo stent a celle chiuse Enterprise con follow-up a lungo termine. Sono stati inclusi 52 pazienti. Il follow-up neuroradiologico medio è stato di 26 mesi. Si è ottenu-ta l’occlusione completa immediata nell’87,5% dei casi. All’ultimo follow-up i risultati erano: occlusione completa nel 93,6%, residuo di colletto 4,3%, residuo di aneurisma 2,1%. Ci sono state 2 complicanze (4,2%) con mortalità del 2,1%. Non si sono verificati ictus durante il follow-up.Il coiling assistito da stenting a Y ha un alto tasso di occlusione immediata con eccellente stabilità al follow-up. La procedura è relativamente sicura, considerando che si tratta di aneurismi complessi, ma va riservata a centri ad alto volume di interventi.

    2. Videofluorangiografia al verde di indocianina e algoritmo Flow 800 nella resezio-ne di un emangioblastoma midollareAquila F., Benedetto N., Vannozzi R.Neurochirurgia, Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa

    Gli emangioblastomi sono tumori riccamente vascolarizzati. Il loro trattamento chirurgico prevede una resezione completa ed un accurato management dei fedeers arteriosi e delle vene drenanti il tumore. L’uso della videofluorangiografia con il verde di indocianina intraoperatoria permette al chirurgo di valu-tare l’esatto pattern vascolare della lesione, oltre ad essere una procedura sicura, di facile esecuzione e, entro certi limiti, ripetibile durante l’intervento chirurgico. L’algoritmo Flow 800 può inoltre permettere al chirurgo di individuare durante l’intervento anche minime variazioni della vascolarizzazione. Il nostro obiettivo è dunque quello di evidenziare come l’utilizzo combinato della videofluorangiografia intraope-ratoria e del software Flow 800 possa rappresentare un fondamentale aiuto per il chirurgo nella resezione completa di questo tipo di lesioni, altrimenti segnati da un consistente rischio di recidiva. Presentiamo dunque un caso di emangioblastoma midollare trattato con l’aiuto della VFA-VIC intraoperatoria e del software Flow 800.

    3. Ipofisite Granulomatosa: presentazione della nostra esperienza clinicaBarni I., Barbagli G., Boschi A., Cipolleschi E., Wembagher G.C., Pecchioli G., Ammannati F.Neurochirurgia 1 AOU Careggi, Firenze

    L’ipofisite è una rara patologia caratterizzata da infiltrazione infiammatoria della ghiandola pituitaria che può portare a distruzione del tessuto ghiandolare, alterazioni funzionali, endocrinopatie, compressione delle strutture anatomiche adiacenti. La si classifica in secondaria ed idiopatica, di cui si distinguono cin-que tipi: linfocitaria, granulomatosa, xantomatosa, xantogranulomatosa e necrotizzante. L’ipofisite idio-patica granulomatosa si presenta più frequentemente con cefalea cronica e disturbi visivi ingravescenti; imitando quindi un adenoma ipofisario non-functioning. Alla RM si osserva allargamento diffuso della ghiandola ed ispessimento del peduncolo. Presentiamo il caso di un uomo di 36 anni giunto alla nostra attenzione con quadro di cefalea, astenia, vomito e febbre di ndd; alla RM encefalo si evidenziava lesione

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    espansiva intrasellare con consensuale ispessimento del peduncolo ipofisario ed allo screening ormonale quadro di ipopituitarismo. Il paziente è stato sottoposto a biopsia escissionale per via TSF; durante la pro-cedura sono stati prelevati campioni di tessuto lesionale di consistenza callosa e compatta, compatibili con tessuto granulomatoso. L’esame istologico ha infine confermato la diagnosi sospetta di ipofisite gra-nulomatosa.

    4. Il trattamento chirurgico della Nevralgia del Trigemino all’AOU di CareggiBoschi A.*, Barbagli G.*, Cipolleschi E.*, Barni I.*, Pecchioli G.*, Wembagher G.C.*, Ammannati F.*** SOD Neurochirurgia 1-2 AOU Careggi Università di Firenze** SOD Neurochirurgia 1 AOU Careggi Università di Firenze

    La nevralgia del trigemino è descritta come una sensazione di forte dolore , simile ad una scossa elettrica , irradiata ad una o più zone di innervazione sensoriale del V nervo cranico. Tale sintomo, parossistico e di durata variabile, può essere scatenato dalla stimolazione tattile di una zona “trigger” e di solito si accom-pagna ad un classico spasmo facciale simile ad un tic. La patogenesi non è ancora del tutto conosciuta ma probabilmente dipende da una trasmissione efaptica tra le fibre di tipo A e quelle di tipo C del nervo. Questo può dipendere da una compressione vascolare della radice nervosa, una lesione espansiva in fossa cranica posteriore oppure in seguito ad una placca nel tronco encefalico nei pazienti affetti da Sclerosi Multipla. Alla Neurochirurgia di Careggi fin dagli anni settanta sono proposte molteplici opzioni chirurgiche per il trattamento di questa patologia, soprattutto nei casi dove la terapia medica non ha risultati. Dalle me-todiche chirurgiche convenzionali come la Microdecompressione neurovascolare sec. Jannetta o quelle percutanee come la Rizotomia/Microcompressione del ganglio del Gasser, alla radiochirurgia con Gam-maKnife ultima alle frecce disponibili al nostro vista la grande esperienza maturata a Careggi con le pro-cedure stereotassiche. In questo lavoro descriviamo queste tecniche messe in pratica nella nostra SOD.

    5. 1H-NMR spectroscopy e Gliomi: studio sperimentale di metabolomica del liquido cefalorachidiano e del plasma dei pazienti affetti da glioma e sua correlazione alla spettroscopia in risonanza magnetica di uso clinico. Presentazione dello studio Cipolleschi E.*, Wembagher G.C.*, Barni I.*, Barbagli G.*, Pecchioli G.*, Boschi A.*, Busoni S.**, Amman-nati F.**** Scuola di Neurochirurgia, Università degli Studi di Firenze** Dipartimento di Fisica sanitaria, A.O.U. Careggi, Firenze*** U.O. Neurochirurgia, AOU Careggi, Firenze

    I Gliomi sono classificati in 4 diversi gradi secondo i criteri istopatologici e clinici fissati dalla WHO. Una corretta identificazione del grado proprio del glioma in esame è fondamentale per l’iter terapeutico e per l’aspetto prognostico. Il rimodellamento metabolico è uno dei fenotipi predominanti delle cellule neopla-stiche e riflette il cambiamento nell’utilizzo e/o nella sintesi di importanti metaboliti da parte della cellula tumorale. La metabolomica si avvale di tecniche di analisi molto raffinate come, ad esempio, la spettro-scopia in risonanza magnetica ad alto campo (1H-NMR spectroscopy). Questa, eseguita su tessuti e fluidi biologici, è in grado di fornire uno spettro metabolico riproducibile sia dei metaboliti in condizione di omeostasi del sistema che nelle sue perturbazioni come quelle rappresentate dallo stato di malattia. Dato che i metaboliti propri del liquido cefalorachidiano sono in diretta correlazione con i processi metabolici dell’encefalo, determinare il profilo metabolico puntuale del LCR di un dato paziente permette di acqui-sire importanti informazioni per la diagnosi e il trattamento di vari quadri morbosi intracranici. Lo studio si pone come finalità di implementare le conoscenze già note tra profilo metabolomico e grading gliale; correlare una data impronta metabolomica alla tendenza alla progressione nel grading; determinare una correlazione tra metaboliti del LCR e metaboliti neoplastici; individuare un nesso tra metaboliti plasmatici e metaboliti neoplastici; affinare l’interpretazione della diagnostica MRS in campo clinico; convertire i dati acquisiti in informazioni utili all’outcome del paziente.

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    6. Lo Schwannoma Melanotico: presentazione di un caso e revisione della letteraturaPecchioli G., Marchese G., Pansini L., Barbagli G., Romoli S., Ammannati F.Neurochirurgia 1, AOU Careggi, Firenze

    Lo schwannoma è un raro tumore del nervo periferico che può presentarsi nelle varianti: classica, cellu-lare, plessiforme, epitelioide e melanotico. Lo schwannoma melanotico è il tipo più raro, descritto per la prima volta nel 1932; colpisce prevalentemente in età adulta (range 10-84 anni, con un picco di incidenza nella quarta decade di vita), e si localizza soprattutto nella regione assiale (46 % dei casi). Nel 20% dei casi si presenta associato ad una seconda neoplasia ed in oltre il 50% dei casi è associato ad una rara sin-drome familiare multitumorale trasmessa con carattere autosomico dominante a penetranza incompleta, nota come Complesso di Carney. Presentiamo di seguito il caso di un paziente maschio di 41 anni con documentazione imaging radiologico, microscopico , istochimico con revisione della letteratura.

    7. Microembolismo cerebrale durante procedura di impianto Trans - Catetere di Val-vola Aortica (TAVI): correlati clinici e di NeuroimmagineGiannini N.*, Chiti A.*, Terni E.*, Mancuso M.*, Maccarrone M.*, Brondi M.*, Montano V.*, Petronio A.S.**, Orlandi G.*, Bonuccelli U.** Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa, Dipartimento di Neuroscienze ,UO Neurologia, AOU Pisa** SD Laboratorio Emodinamica, Dipartimento Cardio-Toracico Vascolare, AOU Pisa

    Con lo scopo di valutare il carico microembolico cerebrale e le sue possibili correlazioni con eventi ischemici sia clinici che silenti sono stati esaminati 10 pazienti (5 M, età media 80.8 anni) monitorando durante la procedura di TAVI il tratto orizzontale delle arterie cerebrali medie mediante Doppler tran-scranico con software dedicato per la ricerca e l’analisi off-line di segnali microembolici (MES). Il giorno prima e quello successivo all’intervento è stata effettuata RM encefalo per evidenziare lesioni ischemiche periprocedurali. È stata valutata l’insorgenza di deficit neurologici focali anche transitori attribuibili ad eventi ischemici sintomatici. Si sono rilevati in media 177 MES (range 82-220) per ogni cerebrale media monitorata. Durante rilascio della valvola aortica protesica è stato osservato il massimo rate medio di MES (14.8/min), con valor minimo nella fase iniziale di introduzione (1.31/min) e finale di rimozione (1.9/min) dei cateteri e delle guide. Nel 50% dei casi la RM encefalo post-procedurale ha rivelato nuove lesioni ischemiche silenti; in nessun caso si sono verificati eventi ischemici sintomatici. Conoscere in tempo reale il carico microembolico cerebrale durante le varie fasi della procedura può essere utile all’emodinamista per rendere più sicuro l’intervento modificando la modalità di condurlo e inoltre valutando la disponibilità di materiale protesico a minor rischio embolico. Sono comunque necessari dati ulteriori su un campione più ampio.

    8. Meningiomatosi emisferica sinistra: la nostra esperienzaWembagher G.C., Barbagli G., Boschi A., Cipolleschi E., Barni I., Pecchioli G., Ammannati F.Neurochirurgia 1, AOU Careggi, Firenze

    I meningiomi multipli intracranici sono una condizione patologica in cui vi è rilievo di più di una lesione meningiomatosa nello stesso paziente senza segni di neurofibromatosi. Presentano un’incidenza che va-ria dall’1 al 10%. La prognosi di una meningiomatosi cerebrale non differisce sostanzialmente da quella in cui vi è una sola lesione singola. La chirurgia rimane la migliore opzione per il trattamento di lesioni, laddove esse risultano sintomatiche. Presentiamo il caso di una donna di 49 anni con diagnosi di menin-giomatosi multipla, descrivendone la clinica, l’aspetto radiologico, caratteristiche istologiche. Si sottolinea inoltre il fatto che la paziente ha avuto la prima diagnosi di meningiomatosi nel 2002, sempre localizzata nell’emisfero sinistro, ed ha presentato la comparsa di 5 recidive, sempre a sinistra.

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    9. Trattamento chirurgico di MAV gigante emorragica dopo trattamento endovasco-lare aggressivo con Onyx18Barbagli G.*, Consoli A.**, Boschi A.*, Rosi A.**, Mangiafico S.**, Ammannati F.** SOD di Neurochirurgia, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze** SOD di Neuroradiologia Interventistica, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze

    Le malformazioni artero-venose sono connessioni anomale tra arterie e vene che by-passano il sistema dei capillari, e con un rischio di rottura annuo che si stima intorno al 2% annuo per MAV non emorragiche e un rischio superiore (dal 4 al 18%) dopo un primo evento emorragico. Dopo gli aneurismi, la rottura di queste lesioni rappresenta la causa più comune di emorragia sub-aracnoidea. Tali lesioni possono es-sere trattate con un approccio singolo (neurochirurgico, endovascolare, radio chirurgico) o combinato. Le dimensioni, il quadro clinico del paziente, la sede e le caratteristiche angioarchitettoniche della MAV orientano la scelta dell’approccio terapeutico. Il trattamento endovascolare, quando ritenuto opportuno, può essere programmato in più sessioni al fine di occludere la lesione gradualmente e, al contempo, non rischiare uno scompenso emodinamico acuto della lesione malformativa; al trattamento chirurgico, nel nostro centro, si procede, quasi esclusivamente, in casi di presentazione emorragica delle MAV e, general-mente, in associazione al trattamento endovascolare (pre-chirurgico). Presentiamo il caso di un uomo di 60 anni con nota MAV temporo-occipitale sinistra emorragica, trattata inizialmente con embolizzazione pre-radiochirurgica, sottoposto a radiochirurgia e, dopo un ulteriore episodio di risanguinamento massivo a distanza di 2 anni dal trattamento radiochirurgico, sottoposto ad asportazione chirurgica immediata-mente a seguito di una terza sessione di embolizzazione subtotale con Onyx18.

    10. Ipofisite Linfocitaria: aspetti NeuroradiologiDesideri I.*, Sabato M.*, Lupi I.***, Manetti L.***, Cosottini M. */**,Puglioli M.*** Dipartimento di Ricerca Traslazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa** Unità di Neuroradiologia, AOU Pisa*** Unità di Endocrinologia II, AOU Pisa

    L’ipofisite linfocitaria è un processo infiammatorio primitivo ad eziologia autoimmune a carico della ghiandola ipofisaria caratterizzato dalla presenza di infiltrato linfo-plasmacellulare autoreattivo, accom-pagnato da edema e fibrosi, che può interessare l’adenoipofisi, l’infundibulo con la neuroipofisi o entram-bi i distretti.Riportiamo i dati clinici, laboratoristici e neuroradiologici di 5 casi di ipofisite linfocitaria; vengono inoltre descritti l’evoluzione dei reperti a seguito di adeguata terapia cortisonica e cenni di diagnosi differenziale con altre patologie ipofisarie.Le immagini di Risonanza Magnetica hanno messo in evidenza, in tutti i casi riportati, la presenza di una massa ipofisaria simmetrica a segnale e captazione omogenei, cui si associano ispessimento del pedunco-lo, captazione durale circostante e perdita della fisiologica iperintensità della neuroipofisi. A seguito della terapia medica si assiste ad un’evoluzione atrofica del processo infiammatorio.

    11. “Case report”: embolismo cerebrale calcifico recidivante precoceGrazzini I.*, La Penna A.*, Monti L.**, Galluzzi P.**, Cerase A.*** Diagnostica per Immagini, Dipartimento Scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze, Università di Siena** UOC Neuroimmagini e Neurointerventistica, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Neurosensoriali, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Policlinico “Santa Maria alle Scotte”, Siena

    Gli emboli sono un’importante causa di ischemia cerebrale, originano in varie sedi e presentano varia composizione istopatologica. Gli emboli cerebrali calcifici non sono frequenti, ma comunque possono presentarsi in oltre il 2.5% dei soggetti con ictus che eseguono studio TC dell’encefalo. Possono originare da patologia valvolare cardiaca calcifica o da ateromi calcifici dell’arco aortico e dei vasi epiaortici. Pos-sono presentarsi dopo procedure invasive cardiache o carotidee (valvuloplastica, cateterizzazione cardia-

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    ca, angioplastica e stenting), ma nella gran parte sono spontanei.L’obiettivo del Poster è presentare un caso di embolismo cerebrale calcifico spontaneo e recidivante dopo un mese, nell’arteria cerebrale media sinistra di una donna di 79 anni, affetta da ipertensione, diabete, ipercolesterolemia e tachicardia sopraventricolare parossistica. Al primo episodio, il reperto non era stato notato. L’Angio-TC del circolo arterioso cerebro-afferente dimostrava ateromasia parietale calcifica dell’ar-co aortico e placca calcifica della biforcazione carotidea con stenosi

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    14. “Pictorial essay”: diagnosi neuroradiologica dei linfomi cerebraliLa Penna A.*, Grazzini I.*, Parrinello A.*, Mercuri P.*, Ferrara M.**, Galluzzi P.**, Monti L.**, Zandonella A.*, Arrigucci U.**, Cerase A.*** Diagnostica per Immagini, Dipartimento Scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze, Università di Siena** UOC Neuroimmagini e Neurointerventistica, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Neurosensoriali, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Policlinico “Santa Maria alle Scotte”, Siena

    Il linfoma cerebrale può essere primitivo (1-5% dei tumori cerebrali), tipicamente un linfoma non Hodgkin (LNH) a cellule B, più spesso in nuclei basali, sostanza bianca profonda e corteccia, o secondario (2-23% dei LNH aggressivi), generalmente a localizzazione leptomeningea. La prognosi è infausta, specie negli immunodepressi. La presentazione clinica è variabile; l’ipotesi diagnostica è generalmente neuroradio-logica. L’obiettivo del Poster è la rassegna iconografica dei reperti TC (spesso prima metodica impiegata) e RM tratti da una serie di oltre 35 pazienti (età: 16-83 aa.). La TC dimostra lesioni espansive/infiltrative spontaneamente iperdense (per elevata cellularità) con intensa impregnazione dopo mdc e variabile ede-ma perilesionale. La RM mostra crescita prevalentemente infiltrativa e caratteristiche di segnale derivanti da ipercellularità e scarso citoplasma del tumore, specie la variabile iso-ipointensità T2 e – alla DWI-ADC - la ristretta diffusività che può essere maggiore che nel glioblastoma. La Spettroscopia dimostra elevato rapporto colina/creatina (aumento “turn-over” di membrana) ed ampi picchi di lipidi e/o acido lattico (ne-crosi). La Perfusione dimostra incremento del rCBV, comunque inferiore a quello del glioblastoma. Dopo mdc, l’impregnazione è intensa. La RM è “gold-standard” per diagnosi differenziale (patologie neoplasti-che quali metastasi, gliomi, etc. e non neoplastiche quali sclerosi multipla, infezioni, etc), “follow-up” e protocolli di ricerca.

    15. SWI nello studio della Neurosifilide: un nuovo segno radiologico per la diagnosi e il monitoraggio dopo terapiaSabato M., Pesaresi I., Desideri I., Doria R., Guida M., Giorgi F.S., Cosottini M., Puglioli M.Neuroradiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

    La paralisi cerebrale è una manifestazione tardiva della neurosifilide che colpisce il tessuto nervoso ence-falico e si manifesta a distanza di diversi anni o decadi dall’infezione primaria con demenza progressiva e sintomi neuropsichiatrici. La presentazione clinica multiforme rende la diagnosi spesso difficoltosa. Il ruolo dell’imaging è marginale per l’aspecificità dei reperti radiologici.Sono stati studiati tre pazienti, maschi e immunocompetenti, ammessi presso il nostro centro per pro-gressivo declino cognitivo. La diagnosi di neurosifilide è stata formulata sulla base dei test sierologici e su liquor. I pazienti sono stati sottoposti a Risonanza Magnetica con apparecchio 3 Tesla prima e dopo la terapia con penicillina.Le sequenze pesate in suscettività magnetica (SWI) hanno rivelato diffusa ipointensità corticale, prevalen-temente fronto-temporale. Il reperto è parzialmente regredito nel controllo dopo terapia con penicillina.Sulla scorta dei dati anatomopatologici potrebbe essere espressione di accumulo di ferro intracellulare a livello della microglia attivata.Tale segno radiologico non è mai stato osservato in altre patologie infettive o infiammatorie e potrebbe essere specifico per la neurosifilide.

    16. Cooperazione in Neuroscienze in Toscana: Il “Neurovascular Team” della Azien-da Ospedaliero-Universitaria di CareggiBarbagli G.*, Consoli A.**,Boschi A.*, Rosi A.**, Wembagher G.C.*, Renieri L.**, Cipolleschi E.*, Barni I.*, Pecchioli G.*, Mangiafico S.**, Ammannati F.** SOD di Neurochirurgia, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze** SOD di Neuroradiologia Interventistica, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze

    Neurochirurgia ed Neuroradiologia Interventistica costituiscono le branche “operative” delle Neuroscien-

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    ze. Pur essendo rami di specializzazioni diverse, una chirurgica ed una radiologica, condividono diversi aspetti della patologia cerebro-vascolare. Sono entrambe, inoltre, le specialità delle emergenza neurolo-gica, con la possibilità di intervenire sulla complessa patologia vascolare cerebrale e spinale. In Toscana, a Firenze, queste due realtà lavorano da più di 10 anni in piena sinergia; per i pazienti più complessi è prevista una discussione e un planning terapeutico in comune accordo al fine di rendere un servizio d’eccellenza al cittadino. Settimanalmente, presso il reparto, si tiene una riunione con discussione dei casi più interessanti a cui vengono invitati a partecipare anche i colleghi che supportano i lavoro del “neurovascular team” come gli anestesisti/rianimatori o i neuroradiologi diagnosti. Inoltre, anche l’attività scientifica è svolta in piena collaborazione tra le Unità Operative. Tutto ciò perché la convinzione della Azienda Careggi è che la cooperazione tra queste due specialità porti enormi benefici al cittadino toscano. Presentiamo su questo poster, l’organizzazione del nostro Team

    Gruppo 2: NEUROSCIENZE 2

    1. Ictus ischemico: indicazioni alla craniotomia decompressivaCipolleschi E. *, Mariotti F. **, Pansini G.*** Scuola di Neurochirurgia, Università degli Studi di Firenze ** UO Neurochirurgia, AOU. Careggi, Firenze

    La craniotomia decompressiva, procedura giudicata da molti desueta, è stata di gran lunga rivalutata alla luce dei più recenti trial clinici evidenziandone l’utilità nel trattamento del trauma cranico e dell’ictus ischemico. È stato esaminato un gruppo di pazienti affetti da ictus maligno in un arco di tempo dal 2005 al 2013, raccogliendo 26 casi, in linea con i maggiori studi presenti in letteratura. Dopo osservazio-ne sistemica e retrospettiva si è potuto valutare l’utilità della procedura decompressiva quando eseguita secondo le indicazioni poste dagli studi pubblicati a partire dl 2007 Dalla nostra esperienza si evince, infatti, che la craniotomia decompressiva rappresenta una reale opzione terapeutica nel paziente con ictus ischemico acuto. Questa procedura eseguita nelle prime 48 ore diminuisce nettamente la mortalità e migliora la funzionalità residua, seppur aumentando il numero complessivo di pazienti con limitazioni funzionali. Le nostre osservazioni indicano che questo dato è vero solo quando le indicazioni chirurgiche sono strettamente rispettate nei casi di pazienti con ictus ischemico in rapido deterioramento neurologico e quadro TC fortemente suggestivo di grave ipertensione endocranica, con GCS ≥ 7, età ≤ 60 anni, esordio dei sintomi al di sotto delle prime 48 ore, senza distinzione tra lato destro e sinistro. Studi multicentrici sono, tuttavia, necessari per ulteriori approfondimenti , in particolare la relazione fra GCS pre-operatorio e NIHSS all’ingresso

    2. Teletrombolisi e riduzione del ritardo evitabile nel terriorio della LunigianaPiazza S., Chiti A., Orlandi G.UO Neurologia ASL 1 Massa Carrara e AOU Pisana

    La provincia di Massa-Carrara (1156 Km2) conta 199.730 ab. ed è suddivisa nella Zona Apuane (che fa riferimento agli Ospedali di Carrara e di Massa ) e nella Zona Lunigiana (che fa riferimento agli Ospedali di Pontremoli e di Fivizzano). La Lunigiana è la zona più estesa (925 Km2) con circa un quarto (50.714) degli ab. del territorio della provincia. Stimando un’incidenza di primo ictus di 2,35/1000 abitanti (2,93/1000 considerando anche le recidive) in Lunigiana sono attesi ogni anno 119 casi di primo ictus che salgono a 148 con le recidive. La trombolisi endovenosa entro 4,5 ore dall’esordio dei sintomi è la terapia indicata in casi selezionati di ictus ischemico e il fattore tempo è l’elemento cruciale sia di efficacia che di sicurez-za per cui è fondamentale una organizzazione che permetta di ridurre il più possibile il ritardo evitabile. L’unica struttura accreditata per effettuare la trombolisi è l’UO Neurologia dell’Ospedale di Carrara che è difficilmente raggiungibile in tempi utili da molti comuni della Lunigiana a causa delle caratteristiche oro-

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    grafiche del territorio e delle lunghe distanze nonostante l’organizzazione del Servizio di Emergenza-Ur-genza Territoriale, la favorevole viabilità autostradale e la disponibilità di elisoccorso H24. Dei 64 pazienti sottoposti a trombolisi endovenosa in un anno di attività (2014) presso la UO Neurologia di Carrara solo 5 (7.8%) provenivano da comuni della Zona Lunigiana (Fivizzano in 4 casi e Bagnone in 1 caso) mentre tutti gli altri provenivano dalla Zona Apuane o dal vicino comune di Sarzana (SP). Per favorire maggiore equità di accesso al trattamento è stato proposto di implementare un sistema di teletrombolisi che facendo riferimento alla UO Neurologia di Carrara permetta di trattare i pazienti nell’Ospedale di Pontremoli. La riduzione dei tempi di percorrenza stimati per la popolazione di tutti i comuni della Lunigiana risulta in media di 24 min (range 13-42 min) e in particolare è superiore a 30 minuti per i comuni di Pontremoli, Mulazzo,Villafranca, Bagnone, Filattiera e Zeri che di per sé corrispondono a una popolazione di 20.383 abitanti per i quali sono attesi ogni anno circa 60 casi di ictus che possono trarre un maggior vantaggio dalla riduzione del ritardo evitabile dovuto ai tempi di percorrenza.

    3. Trombolisi sistemica e locoregionale: l’esperienza della Stroke Unit di PratoCaruso A., Del Bene A., Cagliarelli G., Scotto di Luzio A., Rosati E., Falcini M., Torre E., Piersanti P., Fabbri M., Giorgi C., Del Corona A., Massaro F., Grassi E., Palumbo P.UO Neurologia, Nuovo Ospedale di Prato

    INTRODUZIONE: la Stroke Unit dell’Ospedale di Prato dal 2004 è un centro accreditato per la trombolisi sistemica. Dal 2008 l’ASL4 ha un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale per l’ictus. Dal 2010 condivide un protocollo di area vasta con Careggi per il trattamento endovascolare. SCOPI: analizzare l’evoluzione dell’applicazione dei percorsi confrontando i tempi intraospedalieri ([Door to CT read], [Door to treatment] e l’onset-to-treatment time [OTT]) e le caratteristiche dei pazienti trattati nel 2014 (età media, NIHSS all’ingresso, mRankin a 3 mesi), con i dati degli anni passati.RISULTATI: nel 2014 sono strati trattati con trombolisi venosa 44 pazienti (26M e 18F), di cui 9 sottopo-sti a trattamento combinato con trombectomia meccanica, età media 70.8aa. Tempi medi: Door to CT read: 18min nel 2014 vs 46min del 2012, Door to treatment: 93min nel 2014 vs 99min del 2012, e OTT: 168min nel 2014 vs 165min del 2012. NIHSS: 12.2 nel 2014 vs 16 del 2009; NIHSS 0-7: 31.8% nel 2014 vs 4.2% nel 2009; mRankin0-2 a 3 mesi: 59% nel 2014 vs 33% del 2009; mRankin6: 6% nel 2014 vs 21% del 2009.CONCLUSIONI: si evidenzia un incremento di trattamento degli ictus lievi e una riduzione del tempo di accesso alla TCcranio. Rimane un eccesso di 33minuti del tempo door to treatment (60min raccomandati rispetto ai 93min del nostro ospedale), che dovrà essere affrontato nella revisione annuale del percorso ictus.

    4. La terapia dello stroke acuto nell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese dal 2008 al 2014Di Toro Mammarella L.*, Tassi R.*, Bracco S.**, Cioni S:**, Guideri F.*, Marotta G.*, Acampa M.*, D’Andrea P.*, Lo Giudice G.*, Gennari P.**, Vallone I.**, Romano D.**, Cerase A.**, Rossi A.**, Martini G.** Stroke Unit Azienda Ospedaliera Universitaria Senese** Neuroimmagini e Neurointerventistica Azienda Ospedaliera Universitaria Senese

    La fibrinolisi endovenosa (IVT) è l’unica terapia attualmente approvata per il trattamento dell’ischemia cerebrale acuta. Il successo di questo approccio non supera però il 10% nella occlusione della carotide interna (ICA) ed il 30% in quella dell’arteria cerebrale media (MCA). Questo ha portato all’utilizzo di metodiche endovascolari complementari in caso di non risposta alla fibrinolisi sistemica o come terapia primaria qualora esistano controindicazioni alla somministrazione del fibrinolitico. Scopo del presente studio è quello di valutare i risultati ottenuti con la fibrinolisi sistemica in funzione della sede di occlusio-ne e i dati preliminari degli outcomes in pazienti trattati per via endovascolare secondo protocollo Rescue o con trombectomia meccanica primaria (TMP).MATERIALI E METODI: abbiamo condotto un’analisi retrospettiva su un totale di 266 pazienti con ictus

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    ischemico acuto, afferiti al nostro Centro dall’aprile 2008 al settembre 2014 e trattati con IVT, TMP o me-todica RESCUE. I pazienti con occlusione di grosso vaso (ICA, MCA prossimale ed occlusione in tandem) sono stati suddivisi in tre gruppi: 1. pazienti sottoposti a IVT 2. pazienti sottoposti a IVT e, in caso di non risposta, a trombectomia meccanica (RESCUE) 3. TMP. L’outcome a 90 giorni è stato definito favorevole se mRS (modified Rankin Scale) ≤ 2. RISULTATI: Dei 266 pazienti analizzati, età media 69.5 anni (range 23-93), il 58.6% era di sesso maschi-le. Il gruppo IVT (n=191) ha presentato una percentuale di outcome favorevole pari al 69.1%, con un tasso di mortalità del 4.7%. Un outcome favorevole nel sottogruppo IVT con occlusione di grosso vaso (n=28) è stato riscontrato nel 39.6%, versus il 19.5% del gruppo TMP (n=41) ed il 44.2% del gruppo RESCUE (n=34). Il tasso di mortalità dei tre gruppi con occlusione di grosso vaso è stato rispettivamente dell’8.3%, 8.8% e 19.5%.CONCLUSIONI: la fibrinolisi sistemica endovenosa resta il trattamento di scelta nello stroke ischemico acuto. Tuttavia in presenza di documentata occlusione di un grosso vaso, il protocollo RESCUE presenta un ottimo profilo di sicurezza migliorando l’efficacia della IVT, mentre il trattamento di trombectomia mec-canica primaria è gravato da un più alto tasso di mortalità e da scarso outcome funzionale probabilmente da correlare ad un intervento più tardivo ed a una maggiore gravità dei pazienti (il 65.9% presentava un NIHss basale ≥19 rispetto al gruppo IVT con occlusione di grosso vaso (48%) o al gruppo RESCUE (47.1%).

    5. Trombolosi Endovenosa nell’ictus: un anno di attività nel territorio della ASL 1 di Massa CarraraPiazza S., Gabrielli L., Jensen S., Maremmani C., Maritato P., Milanta S., Nicoletti V., Pardini C., Petri M., Di Coscio E., Sposito R., Orlandi G.UO Neurologia ASL 1 Massa Carrara

    Presso la UO Neurologia di Carrara (unico centro accreditato nella ASL-1) in un anno di attività (2014) sono stati sottoposti a trombolisi endovenosa ed inseriti nel registro SITS-ISTR 64 pazienti (39 M e 25 F, età media di 66 ± 13 anni, range 39-86); 9 (92.2%) provenivano dalla Zona Apuane e solo 5 (7.8%) dalla Zona Lunigiana. Stimando che i casi di ictus ischemico (primo evento con recidive) attesi ogni anno nella Zona Apuane sono circa 350 e nella Zona Lunigiana sono circa 120, sono stati trattati 59/350(16.8%) dei pazienti provenienti dalla Zona Apuane e 5/120 (4.1%) dalla Zona Lunigiana.Il 12.5% dei casi è stato selezionato con criteri off-label (6 ultraottantenni e 2 al risveglio) e 2 (3.1%) casi sono risultati misdiagnosi (sclerosi multipla ad esordio ictale e cerebrite). 55 (85.9%) pazienti hanno iniziato la trombolisi entro le 3 ore dall’esordio dei sintomi e 9 (14.1%) fra 3 e 4.5 ore. Il tempo dall’arrivo al pronto soccorso all’inizio del trattamento è stato in tutti i casi inferiore a 60 minuti. Il punteggio medio di NIHSS all’inizio del trattamento è stato 10.8 (range 2-21) e alla dimissione di 4.18 (range 0-21). Si è verificata emorragia cerebrale sintomatica (PH2) in 3 (4.6%) casi. In tutti i casi è stato effettuato programma di presa in carico riabilitativa o domiciliare entro 48 ore dal ricovero e la degenza media è stata di 9 giorni.L’outcome funzionale a 3 mesi nei 50 pazienti che finora hanno terminato il follow-up è stato assenza di disabilità (mRS 0-2) in 33 (66%) casi, moderata disabilità (mRS 3) in 4 (8%) casi, grave disabilità (mRS 4-5) in 9 (18%) casi, mentre la mortalità (mRS 6) è stata dell’ 8% (3 decessi per PH2 e 1 per embolia polmo-nare).Questi dati depongono per una soddisfacente performance della fase ospedaliera sia in termini di efficacia del trattamento che di efficienza organizzativa (rispetto della “golden hour” al pronto soccorso e conte-nimento dei giorni di degenza ospedaliera), ma indicano la priorità di implementare l’organizzazione territoriale per garantire la possibilità di trattamento ad un maggior numero di pazienti, specie a quelli provenienti dalla Lunigiana.

    6. La Terapia Endovascolare dell’ictus in fase acuta nell’Area Vasta Sud Est della Re-gione ToscanaMartini G.*, Tassi R.*, Bracco S.*, Cioni S.*, Rossi A.*, Sbrana G.**, Marconi R.**, Bartalucci M.**, Breggia

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    M.**, Iannelli G.***, Mandò M.***, Calchetti B.***, Linoli G.**** Azienda Ospedaliera Universitaria Senese** ASL 9 Grosseto*** ASL 8 Arezzo

    La fibrinolisi endovenosa con rtPA entro le 4.5 ore dall’inizio dei sintomi è la terapia di scelta nei pazienti con ischemia cerebrale acuta. L’effetto del trattamento è tempo dipendente, pertanto il trattamento pre-coce aumenta le possibilità di esito favorevole. Esistono controindicazioni assolute alla somministrazione del farmaco ed è inoltre noto che la fibrinolisi sistemica con rtPA da sola ha scarsa possibilità di successo quando l’occlusione interessa un grosso vaso intracranico: Arteria Carotide Interna, Arteria Cerebrale Me-dia e Tronco Basilare. Scopo del presente studio è quello di valutare l’outcome a 3 mesi di pazienti con ictus acuto da occlusione di grosso vaso cerebrale ai quali è stata iniziata la fibrinolisi sistemica ad Arezzo o Grosseto e che sono stati trasferiti, con il fibrinolitico in corso, a Siena per essere sottoposti a procedura endovascolare di disostruzione meccanica secondo metodica RESCUE. L’ UOS di Neurointerventistica dell’AOUS è l’unico Centro di Area Vasta che esegue queste procedure.MATERIALI E METODI: Ai pazienti con ictus ichemico acuto afferenti ai DEA di Arezzo e Grosseto con sospetta occlusione di grosso vaso veniva eseguita, oltre la TC cranio scansione di base, anche studio An-gioTC. Se confermata la occlusione di grosso vaso veniva iniziata fibrinolisi sistemica ed inviato il paziente al DEA di Siena tramite il veicolo di soccorso pi�