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L.R. N. 37/99: USI ECONOMICAMENTE SOSTENIBILI DEGLI SCARTI E DEI SOTTOPRODOTTI DELLA LAVORAZIONE DELLE OLIVE Relazione sull’attività svolta e risultati ottenuti II anno di progetto (giugno 2008 / maggio 2009) Responsabile Tecnico-Scientifico: Prof. Natale Giuseppe Frega Facoltà di Agraria, Dipartimento di Biotecnologie Agrarie ed Ambientali Soggetto Coordinatore: Prof. Lucia Montanini Facoltà di Economia G. Fuà, Dipartimento di Management e Organizzazione Industriale

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L.R. N. 37/99:

USI ECONOMICAMENTE SOSTENIBILI DEGLI SCARTI E

DEI SOTTOPRODOTTI DELLA LAVORAZIONE DELLE OLIVE

Relazione

sull’attività svolta e risultati ottenuti II anno di progetto (giugno 2008 / maggio 2009)

Responsabile Tecnico-Scientifico: Prof. Natale Giuseppe Frega Facoltà di Agraria, Dipartimento di Biotecnologie Agrarie ed Ambientali

Soggetto Coordinatore: Prof. Lucia Montanini Facoltà di Economia G. Fuà, Dipartimento di Management e Organizzazione Industriale

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Indice

1 Premessa Pag. 1

1.1 Note metodologiche Pag. 4

2 Utilizzo energetico della biomasse Pag. 7

2.1 Scenario nazionale Pag. 7

2.2 Contesto normativo – programmatico italiano Pag. 9

2.3 Risorse primarie di biomasse per la produzione di energia: classificazione schematica

Pag. 10

2.4 Principali forme di conversione energetica delle biomasse Pag. 12

2.4.1 Processi termochimici Pag. 12

2.4.2 Processi biochimici Pag. 13

3 Combustione diretta Pag. 15

3.1 Caratterizzazione energetica e merceologica delle biomasse vegetali Pag. 15

3.2 Metodi di analisi normalizzati: significato e stato di avanzamento a livello europeo

Pag. 15

3.3 Prove di laboratorio Pag. 17

3.3.1 Descrizione convenzionale del “combustibile biomassa” Pag. 17

3.3.2 Potere calorifero Pag. 18

3.3.3 Umidità Pag. 21

3.3.4 Ceneri Pag. 23

3.3.5 Conclusioni Pag. 25

4 Digestione anaerobica Pag. 28

4.1 Processo Pag. 28

4.1.1 Biogas Pag. 30

4.1.2 Digestato Pag. 33

4.2 Materie prime utilizzate o di possibile impiego Pag. 33

4.2.1 Scarti di industrie agro-alimentari e residui urbani Pag. 34

4.3 Sperimentazione su campioni di sansa e AV Pag. 36

4.3.1 Introduzione Pag. 36

4.3.2 Procedure codificate e standardizzate Pag. 37

4.3.3 Metodiche di valutazione della biodegradabilità anaerobica e BMP Pag. 38

4.3.4 Conduzione della sperimentazione BMP Pag. 40

4.3.5 Sezione di preparazione del substrato Pag. 42

4.3.6 Valutazione della produzione di Biogas Pag. 45

4.3.7 Risultati della sperimentazione Pag. 47

4.3.8 Conclusioni Pag. 49

5 Compostaggio Pag. 51

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5.1 Processo Pag. 51

5.1.1 Fasi del processo Pag. 52

5.1.2 Parametri del processo Pag. 54

5.1.3 Valutazione della qualità del compost Pag. 55

5.2 Normativa per la produzione di compost da sanse vergini. Pag. 56 5.3 Sperimentazione del compostaggio su campioni di sansa Pag. 57

5.3.1 Introduzione Pag. 57 5.3.2 Compostaggio della sansa vergine Pag. 58

5.3.3 Risultati della sperimentazione Pag. 59 5.3.4 Conclusioni della sperimentazione Pag. 60 6 Analisi ambientale Pag. 63

6.1 Introduzione Pag. 63

6.2 Identificazione e quantificazione degli aspetti ambientali oggetto di analisi Pag. 63 6.3 Digestione aerobica (DA) e Combustione diretta (C) Pag. 64 6.3.1 Bilancio ambientale della DA e C Pag. 64 6.4 Compostaggio Pag. 67 7 Valutazione economica Pag. 70

7.1 Introduzione Pag. 70 7.2 Risorse energetiche e sviluppo sostenibile Pag. 71 7.2.1 Politica energetica: comunitaria, nazionale e regionale Pag. 74 7.3 Analisi di mercato dell’energia: il valore di mercato del kWh Pag. 86 7.3.1 Infrastrutture e produzione di energia elettrica Pag. 86

7.3.2 Biomasse: produzione, potenza e numero di impianti Pag. 94 7.3.3 Valore di mercato del kWh Pag. 100

7.4 Analisi di mercato dei fertilizzanti: valutazione di mercato dei fertilizzanti prodotti con la tecnica del compostaggio

Pag. 105

7.5 Analisi dei costi di lavorazione degli oleifici Pag. 111

7.5.1 Tratti identificativi del campione Pag. 112

7.5.2 Costi di lavorazione Pag. 114

7.6 Analisi dei costi di lavorazione agricola Pag. 119

7.7 Analisi dei costi di esercizio degli impianti di produzione di energia Pag. 120

7.7.1 Combustione diretta Pag. 121

7.7.2 Produzione di biogas Pag. 126

7.8 Analisi dei costi di esercizio per la produzione di compost Pag. 128

7.9 Riflessioni sui punti critici e sui risultati economici di ogni processo di riutilizzo della sansa

Pag. 130

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Conclusioni Pag. 133

Bibliografia Pag. 137

Allegati Pag. 143

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Responsabile Tecnico-Scientifico: Prof. Natale Giuseppe Frega Facoltà di Agraria, Dipartimento di Biotecnologie Agrarie ed Ambientali Soggetto Coordinatore: Prof. Lucia Montanini Facoltà di Economia G. Fuà, Dipartimento di Management e Organizzazione Industriale

Hanno partecipato alla realizzazione del progetto:

• Istituto di Ricerca per lo Sviluppo Tecnologico e la Ricerca Applicata “ASTERIA Soc.

cons.p.a.” - Macroarea Processi Produttivi – Dott.ssa Barbara Zambuchini

• Dipartimento di Management e Organizzazione Industriale - Facoltà di Economia G. Fuà, Ancona - Prof.ssa Lucia Montanini - Dott.ssa Anna Maria Morganti

• Frantoi partner del progetto:

o Agostini Alfredo o Concadoro o Petrelli Vincenzo

• Altri frantoi coinvolti:

o Silvestri Rosina o Micheli Rossella

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1 Premessa L’energia così come si trova in natura non può essere utilizzata. Per una legge fondamentale

della fisica, l’energia non può essere creata né distrutta ma solo trasformata da una forma

all’altra. L’elettricità si ricava dalle fonti presenti in natura. Alcune, carbone, petrolio1, gas

naturale, vengono dette non rinnovabili perché disponibili in quantità limitata; sono le più

utilizzate e quelle a più alto impatto ambientale.

Le fonti rinnovabili (acqua, sole, vento, calore della terra, biomasse), che non hanno problemi di

esaurimento, hanno un impatto ambientale molto minore e per questo sono destinate ad un

grande sviluppo. Tutte queste risorse naturali, attualmente ancora poco usate, potranno essere

davvero sfruttate attraverso nuovi e importanti investimenti nella ricerca e nella tecnologia.

“La disponibilità di energia condiziona il progresso economico e sociale di una nazione, ma il

modo in cui l’energia viene resa disponibile può condizionare negativamente l’ecosistema e

quindi la qualità della vita. Se le nazioni industrializzate continueranno a prelevare e consumare

le fonti fossili al ritmo attuale – e le nazioni emergenti tenderanno ad imitarle – il pericolo

maggiore, nel breve e nel medio termine, non sarà tanto quello dell’esaurimento di tali fonti […],

quanto quello di provocare danni irreversibili all’ambiente”2.

Il settore primario, l’agricoltura, per sua vocazione è quello più legato alle problematiche

ambientali; in particolare nel settore dell’olivicoltura, è interessante analizzare come sia

possibile rispondere positivamente all’incessante richiesta di energia, tenendo costantemente

sotto controllo i livelli di pressione ambientale.

Alla luce di tali riflessioni, nazioni e organismi sovranazionali hanno cercato vie alternative per

un progresso continuo ma più rispettoso dell’ambiente atmosferico. Il ricorso ad un maggiore

utilizzo di fonti rinnovabili di energia garantisce un impatto minore rispetto alle fonti

convenzionali.

In particolare, nell’ultimo decennio il settore energetico nazionale è stato interessato da

significativi cambiamenti del contesto istituzionale e di mercato che hanno avuto, fra gli altri, i

seguenti obiettivi: favorire l’apertura del mercato dell’energia, assicurare lo sviluppo delle fonti

rinnovabili, incentivare misure di risparmio energetico e di riduzione dell’emissione dei gas

serra.

1 Il petrolio, che nel mix energetico riveste una posizione di primo piano, sta diventando una materia prima sempre più cara. È indubbio che nessuna materia prima, negli ultimi 70 anni, ha avuto l’importanza del petrolio sullo scenario politico ed economico mondiale, per l’incidenza che ha sulla economia degli Stati e, di conseguenza, nel condizionare le relazioni internazionali, determinando le scelte per garantire la sicurezza nazionale; forse, nessuna materia prima ha mai avuto la valenza strategica del petrolio e, per questo, nessuna materia prima ha tanto inciso sul destino di interi popoli. Cfr: Data Book, Energia e Petrolio, Unione Petrolifera, 2008, p. 81. 2 Libro Bianco, Per la valorizzazione energetica delle FONTI RINNOVABILI, Roma, aprile 1999.

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Tali cambiamenti hanno interessato punti cruciali del sistema energetico, come il riequilibrio dei

poteri tra Stato e Regioni, il processo di liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, lo

sviluppo di grandi reti di trasporto dell’energia.

In particolare la comunità scientifica internazionale indica tra gli obiettivi primari di politica

energetica il contenimento dei consumi di energia e il ricorso crescente a fonti rinnovabili di

energia, anche se le previsioni dei principali osservatori internazionali affermino che le fonti

fossili costituiranno ancora per qualche decennio la principale fonte di approvvigionamento

energetico3.

Alla luce di quanto detto intendiamo analizzare se la sansa rappresenta una fonte rinnovabile di

approvvigionamento energetico.

La sansa , che fino al recente passato costituiva una fonte di reddito per i frantoi, negli ultimi

anni è diventata un sottoprodotto (scarto) da smaltire a causa:

- della crescente preferenza da parte dei consumatori per olio di oliva di maggiore qualità

(extra vergini);

- dell’aumento della percentuale di umidità (acqua) nella sansa, derivante dall’utilizzo

delle nuove tecnologie estrattive (metodi di estrazione continui);

- della riduzione dei margini di guadagno dei sansifici, a causa, anche, della competizione

commerciale dell’olio di sansa con gli altri olii di semi;

- del rispetto dei parametri atti a garantire la sostenibilità ambientale.

Nel presente lavoro, si è ritenuto, pertanto, interessante valutare le possibilità di impiego di tali

sottoprodotti in termini energetici per la produzione di elettricità e/o calore e per la

trasformazione in biogas, determinando le premesse per la creazione di una cosiddetta“filiera

energetica corta” sul territorio e portando benefici anche ad altri settori di sviluppo.

Si è inoltre valutato il processo di compostaggio, prospettiva molto promettente nella politica del

riciclo dei sottoprodotti organici, in vista della produzione di fertilizzanti da impiegare tal quali o

come base per formulati. Per loro natura, infatti, i sottoprodotti della lavorazione olearia possono

essere considerati un ottimo materiale di partenza per ottenere compost di “qualità”.

3 ENEA (a cura di Carlo Manna), Le fonti rinnovabili. Lo sviluppo delle rinnovabili in Italia tra necessità e opportunità, 2005.

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Nel Capitolo 2 dopo una iniziale panoramica dell’utilizzo energetico delle biomasse a livello

nazionale sono riportate le principali forme di conversione energetica delle biomasse,

mediante processi termochimici e biochimici.

Nei Capitoli 3 e 4 sono valutati, mediante sperimentazione in laboratorio, rispettivamente il

processo termochimico (combustione diretta) che biochimico (digestione anaerobica) delle

sanse provenienti da impianti di diversa tipologia (continuo 3 fasi e 2,5 fasi).

Nel Capitolo 5, è valutato il processo di compostaggio della sansa, in miscela con altre

biomasse tecnicamente ed economicamente idonee (residui di potatura, segatura, letame e

polvere calcarea).

Nel Capitolo 6, si riportano alcune evidenze relative all’analisi ambientale (in termini di CO2)

del processo di digestione anaerobica (DA) e combustione diretta (CD) confrontandole

rispettivamente, con i valori di un motore a combustione interna che produce la stessa quantità di

energia elettrica ma alimentato a gasolio e con i valori di una caldaia (con potenza termica < 50

MW) che utilizza carbone; inoltre è stato stimato l’impatto ambientale del processo di

compostaggio.

Nel Capitolo 7, sulla base delle evidenze dei capitoli precedenti (3-4-5-6), si effettua una analisi

economica dei possibili processi di riutilizzo dei sottoprodotti della lavorazione degli oleifici (in

particolar modo della sansa). Lo studio ha preso in considerazione i seguenti aspetti: analisi di

mercato dell’energia elettrica e in particolare il valore di mercato del kWh; analisi di mercato dei

fertilizzanti e in particolare del compostaggio; analisi dei costi di lavorazione degli oleifici e di

lavorazione agricola (laddove i frantoi coltivino le olive che poi lavorano); analisi dei costi di

esercizio degli impianti di produzione di energia (limitatamente alla combustione diretta e alla

produzione di biogas applicati ad un frantoio partner del progetto); analisi dei costi di esercizio

per la produzione di compostaggio; riflessioni sui punti critici e sugli utili di ogni processo di

riutilizzo della sansa.

L’elaborato si conclude con alcune riflessioni.

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1.1 Note metodologiche

La metodologia è espressa dall’insieme di tecniche e procedure applicate nell'attività di ricerca.

In primo luogo si è provveduto a richiamare gli obiettivi conoscitivi del II anno del progetto di

ricerca “Usi economicamente sostenibili degli scarti dei sottoprodotti della lavorazione delle

olive”.

Essi possono essere così sintetizzati:

1. l’analisi energetica relativa ad ogni fase dei processi di combustione diretta e di

digestione anaerobica;

2. l’analisi delle caratterizzazioni dei fertilizzanti prodotti attraverso la tecnica del

compostaggio e della digestione anaerobica;

3. l’analisi dell’impatto ambientale dei processi di riutilizzo della sansa;

4. la valutazione economica dei diversi processi di riutilizzo sulla base delle evidenze

dell’analisi energetica ed ambientale.

Ai fini della realizzazione del presente lavoro si farà ricorso al metodo induttivo, deduttivo e

sperimentale.

Il metodo induttivo si basa sull’osservazione di fatti, informazioni, eventi e casi particolari, per

postulare un'ipotesi, una regola, che dia un senso logico, di carattere generale, ai fenomeni

osservati. Sostanzialmente si ricercano i principi generali impliciti nell'osservazione del

particolare.

L'indagine di tipo induttivo presuppone la ricerca e la schedatura preventiva di tutti (o della

maggior quantità possibile) i casi in cui un fenomeno avviene, non avviene, aumenta o

diminuisce di intensità.

Il metodo deduttivo è espresso da un procedimento logico consistente nel derivare, da una o più

premesse date, una conclusione che ne rappresenta la conseguenza logicamente necessaria.

L’indagine induttiva e deduttiva non sono antitetiche ma possono essere condotte in sinergia,

l'una al fianco dell'altro.

Il metodo sperimentale permette di giungere all'enunciazione di leggi mediante conferma, o

falsificazione, sperimentale di ipotesi basate sulle osservazioni ripetute di determinati fenomeni.

L’obiettivo di tale metodo è quello di arrivare a convalidare o falsificare l’ipotesi di partenza.

Il metodo sperimentale si avvale nel corso del suo svolgimento, sia dell’induzione che della

deduzione.

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In secondo luogo si è definito il campione di riferimento, costituito dai tre oleifici che

collaborano con i soggetti attuatori del progetto alla realizzazione dell’analisi energetica,

ambientale ed economica del riutilizzo dei reflui oleari (Agostini Alfredo, Conca d’oro di

Alessandro Alessandrini, Petrelli).

Inoltre, la sperimentazione per la combustione diretta e l’analisi dei costi di lavorazione degli

oleifici e di lavorazione agricola sono state estese anche ad un frantoio con impianto tradizionale

(Silvestri Rosina) e ad un frantoio con impianto continuo a due fasi (Micheli Rossella), al fine di

avere maggiori informazioni relative ad impianti produttivi di diversa tipologia4.

Le sperimentazioni di laboratorio costituiscono il metodo per raccogliere le informazioni relative

alle analisi energetica ed ambientale.

Per l’analisi economica il metodo di raccolta dei dati è costituito da questionari e contatti ad

personam (frantoi, operatori del settore, professionisti e studiosi nelle aree disciplinari

ingegneristiche, economiche ed agrarie).

Il questionario5 impiegato per la rilevazione dei dati economici è strutturato in tre sezioni, a

domande aperte e a risposte multiple.

Nella prima sezione, le domande riguardano l’inquadramento generale delle aziende

(denominazione, numero di dipendenti, classe di fatturato).

La seconda sezione evidenzia le fasi del processo produttivo, con l’indicazione delle quantità dei

prodotti e dei sottoprodotti con riferimento alla campagna molitoria 2007/2008.

Infine, l’ultima sezione è finalizzata alla rilevazione dei costi sostenuti da ciascuna azienda nelle

varie fasi del processo produttivo, sempre, con riferimento alla campagna molitoria 2007/2008.

4 Per approfondimenti sulla identificazione del campione si rinvia al paragrafo 7.5. 5 Il questionario è riportato in allegato.

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2 Utilizzo energetico delle biomasse

2.1 Scenario nazionale La Direttiva 2001/77/CE ha riaffermato che la promozione dell’elettricità prodotta da fonti

energetiche rinnovabili (FER) “è un obiettivo altamente prioritario per motivi di sicurezza e

diversificazione dell’approvvigionamento energetico, protezione dell’ambiente e coesione

economica e sociale”. Per quanto riguarda l’Italia, la direttiva prevede un incremento

dell’energia elettrica da fonte rinnovabile al 25%, contro l’attuale 16%.

L’Italia ha dichiarato che il 22% potrebbe essere una cifra realistica nell’ipotesi che nel 2010 il

consumo interno lordo di elettricità ammonti a 340 TWh. Tale percentuale deriva dall’ipotesi che

la produzione interna lorda di elettricità a partire da fonti energetiche rinnovabili rappresenterà,

nel 2010, fino a 76 TWh (come previsto nel Libro Bianco per la valorizzazione delle fonti

rinnovabili in Italia), cifra che comprende anche l’apporto della parte non biodegradabile dei

rifiuti urbani e industriali utilizzati in conformità della normativa comunitaria sulla gestione dei

rifiuti.

In tale contesto si collocano anche le strategie nazionali di intervento, che prevedono,

nell’ambito degli impegni presi per la riduzione delle emissioni di gas serra, oltre ad un aumento

dell’efficienza energetica, un sostanziale incremento della quota di energia derivante da fonti

rinnovabili. Secondo stime autorevoli, l’incremento per le biomasse al 2010-2015 è

particolarmente significativo per il settore elettrico (Fig. 2.1).

Fig. 2.1. Previsioni al 2005-2015 di produzioni di elettricità e calore da biomassa (Fonte: GRIN e UP).

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Per fare delle “rinnovabili” una fonte energetica realmente competitiva nei confronti dei

combustibili tradizionali, è tuttavia necessario che le FER, oltre a proporsi come fonti

energetiche efficienti e sicure in termini ambientali e di approvvigionamento, siano in grado di

sopravvivere, in prospettiva, anche in assenza di una politica di incentivi. La politica europea (e

nazionale) dovrebbe dunque essere indirizzata verso il loro miglior utilizzo – energetico e

ambientale - a costi sostenibili.

Il perseguimento di tale obiettivo comporta un’indagine a 360 gradi finalizzata ad ottimizzare le

filiere della bioenergia anche attraverso un confronto critico con l’energia da combustibili fossili,

con la quale, necessariamente, le rinnovabili si devono confrontare. L’esigenza di approfondire

la conoscenza sulle caratteristiche delle varie tipologie di biomassa – in termini merceologici,

energetici e ambientali – scaturisce dalla necessità di colmare, almeno parzialmente, la lacuna

informativa del panorama energetico nazionale, lacuna che può costituire uno degli ostacoli al

decollo delle filiere. Anche la risposta del mercato alla politica nazionale di incentivi verso

l’impiego delle biomasse sembra rispecchiare tale esigenza di informazioni: un monitoraggio

effettuato dall’istituto SSC- Stazione Sperimentale per i Combustibili - punto di osservazione

significativo in materia di qualità dei combustibili - sull’andamento delle richieste di analisi sui

combustibili alternativi (Fig. 2.2) rivela infatti un marcato incremento, specie per le biomasse

vegetali, che rispecchia la maggiore attenzione da parte del mercato (produttori e utilizzatori) sul

“prodotto biomassa” e la richiesta di maggiori garanzie sulla sua qualità.

Fig. 2.2. Andamento delle richieste di analisi su campioni di combustibili alternativi (Fonte: SSC 1998-

2003).

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L’indagine entra nel dettaglio delle caratteristiche energetiche e merceologiche, dei metodi di

prova e del loro significato fisico - evidenziando differenze quali/quantitative rispetto ai

combustibili fossili, con l’obiettivo di fornire una chiave interpretativa esplicita dei parametri

analitici correntemente impiegati per descrivere le caratteristiche prestazionali ai fini energetici

di un combustibile.

2.2 Contesto normativo - programmatico italiano Il Libro bianco per la valorizzazione delle fonti rinnovabili. Discusso ed approvato nell’ambito

della Conferenza Nazionale per l’Energia e l’Ambiente, 24-28 novembre 1998, successivamente,

è divenuto strumento di programmazione nazionale con provvedimento CIPE del 6 agosto 1999.

Esso contiene gli obiettivi, le strategie e gli strumenti necessari per dare corso e attuazione, a

livello nazionale, al Libro Bianco comunitario e alla delibera CIPE 137/98 relativa alla riduzione

delle emissioni di “gas serra” (CO2 e CO2 equivalente).

Rispetto al 1997, anno di riferimento del Libro Bianco, si ritiene possibile un contributo

aggiuntivo delle fonti energetiche rinnovabili di circa 8,6 Mtep, passando da 11,7 Mtep a 20,3

Mtep nel periodo 2008-2012, comprendente sia la produzione di energia elettrica sia la

produzione di energia termica.

Di questi ultimi, circa 16,7 Mtep deriveranno da produzione di energia elettrica e 3,5 Mtep da

produzione ed uso di calore e biocombustibili.

In particolare, la situazione di mercato delle fonti energetiche rinnovabili, nella produzione di

energia elettrica, evolverebbe secondo quanto riportato nella tabella successiva.

La potenza elettrica alimentata da fonti rinnovabili passerebbe, dal 1997 al 2008-2012, da 17100

MW a 24700 MW, con un incremento di oltre 7600 MW ed una produzione complessiva di circa

76.000 GWh (Tab. 2.1).

Tab. 2.1. La potenza elettrica alimentata da fonti rinnovabili.

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Nel caso della produzione di energia termica la situazione evolverebbe secondo quanto riportato

nella tabella 2.2.

Tab. 2.2. La potenza termica alimentata da fonti rinnovabili.

Come si può vedere, gli incrementi più significativi sono attribuiti alle biomasse - sia per la

produzione di elettricità e calore, sia per biocombustibili - nonché all'idroelettrico ed all’eolico.

Rilevanti anche gli apporti della geotermia e dei rifiuti.

Sebbene siano modesti i contributi del solare termico e fotovoltaico, conviene comunque non

trascurare queste tecnologie per il loro significato industriale e strategico.

2.3 Risorse primarie di biomasse per la produzione di energia: classificazione schematica In campo energetico, col termine biomassa, si intende genericamente ogni sostanza organica, di

origine vegetale o animale, da cui sia possibile ricavare energia. Ai sensi del decreto di

recepimento della Direttiva Europea 2001/77/CE sulla promozione dell’energia elettrica prodotta

da fonti rinnovabili (D.Lgs 29 dicembre 2003, n. 387), per “biomassa si intende la parte

biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze

vegetali e animali), e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte

biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”. Obiettivo della direttiva è quello di promuovere

un maggior utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili nella produzione di energia elettrica

nell’ambito del mercato europeo e creare le basi per un futuro quadro legislativo in materia. Tale

obiettivo ha il duplice scopo di ridurre l’impatto sull’ambiente del sistema energetico e,

contemporaneamente, di limitare l’incertezza derivante dalla dipendenza energetica europea.

Le Figure 2.3 e 2.4 riportano due possibili classificazioni schematiche delle fonti primarie di

biomasse sfruttabili per uso energetico.

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Le risorse comprendono dunque una gamma molto vasta di prodotti, che va dai residui di origine

vegetale (colture spontanee e residui del settore agroforestale, residui dell’industria agro-

alimentare e non (industria del legno, della carta, ecc.), oltre alle colture energetiche dedicate,

alle biomasse di origine animale (reflui zootecnici), alla frazione biodegradabile dei rifiuti.

Fig. 2.3. Schema semplificato delle fonti primarie di biomasse (Fonte: SSC, 2004 - T. Zerlia - G. Pinelli)

Fig. 2.4. Provenienza delle fonti primarie di biomasse (Fonte: ISES – Ecoenergie n. 3 – dicembre 2002)

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L’energia delle biomasse può essere sfruttata per via diretta (combustione) per ottenere calore

e/o energia o per via indiretta, trasformando la biomassa in prodotti derivati - solidi liquidi gas

(Fig. 2.5).

Fig. 2.5. Sintesi dei processi effettuabili da biomasse (Fonte: EUBIA, European Biomass Industry Association).

La via ottimale per lo sfruttamento è legata in maniera significativa (anche) alle caratteristiche

delle varie tipologie di biomassa. La conoscenza delle proprietà costituisce dunque uno stadio

vincolante nello sviluppo della filiera.

2.4 Principali forme di conversione energetica delle biomasse La conversione di biomasse in combustibili può essere ottenuta con diversi processi

termochimici o biochimici.

2.4.1 Processi termochimici La combustione diretta è il più antico e più semplice mezzo per lo sfruttamento energetico delle

biomasse, adatta a sostanze abbastanza secche. I principali prodotti della combustione sono

costituiti da anidride carbonica, vapore d'acqua, e ceneri.

Un altro processo importante è la pirolisi, che prevede il riscaldamento delle biomasse in assenza

di aria, e che permette di ottenere prodotti liquidi, solidi e gassosi in proporzioni diverse, a

seconda della temperatura alla quale si effettua il processo. La pirolisi avviene a bassi livelli di

temperatura, che favoriscono la formazione dei combustibili liquidi e solidi. Se la temperatura è

inferiore a 4OO-5OO°C, la pirolisi è definita carbonizzazione, e produce carbone di legna,

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combustibili gassosi, e combustibili liquidi (oli pesanti e leggeri). Quando la temperatura

raggiunge i 1000°C si ha la gassificazione completa della biomassa.

2.4.2 Processi biochimici Tra questi è annoverata la digestione anaerobica, dovuta a particolari famiglie di microbi, in

assenza di ossigeno. Il gas prodotto (biogas) è costituito principalmente da metano, anidride

carbonica, idrocarburi saturi, e tracce di acido solfidrico. Si applica, con ottimi risultati, ai residui

organici caratterizzati dal rapporto carbonio/azoto (C/N) compreso tra 16 e 30, e da una

percentuale di umidità superiore al 50%, quali sono le deiezioni animali, e molti sottoprodotti di

colture vegetali (mais, patate, pomodori, barbabietole, colture ortive).

A questa si possono aggiungere la trasformazione idrolitica dei materiali cellulosici di scarto in

monomeri zuccherini, e successiva fermentazione ad alcool etilico (etanolo), ed altri prodotti

chimici.

Altri processi come la digestione aerobica ed il compostaggio, richiamati per completare il

quadro, non sono destinati alla produzione di energia. Infatti la digestione aerobica o

metabolizzazione di sostanze organiche attraverso l’azione di microrganismi, che si sviluppano in

presenza di ossigeno viene utilizzata prevalentemente per la depurazione di liquame e acque di

scarto industriale. Il compostaggio o decomposizione biologica della materia organica,

prevalentemente solida, in condizioni aerobiche, è utilizzato per la produzione di ammendanti

agricoli.

Solitamente a monte di tutti i processi di conversione sono necessari opportuni pretrattamenti del

materiale di base. Questi possono comprendere lavaggio con acqua, essiccazione con mezzi

meccanici (pressatura) o termici, riduzione in piccole dimensioni, densificazione (produzione di

pellets, cubetti o formelle), separazione delle fibre (estrazione con solventi). I prodotti finali, a

seconda dell'impiego, debbono, a loro volta, essere trattati: per separarli (ad es. dal substrato che

non ha reagito, dai catalizzatori, dai microrganismi, dai solventi), per purificarli e per

concentrarli. Si ricorre, a seconda dei casi, alla sedimentazione, alla filtrazione, alla

centrifugazione, alla distillazione, all'assorbimento, alla estrazione con solventi, ecc.

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3 Combustione diretta

3.1 Caratterizzazione energetica e merceologica delle biomasse vegetali Lo sviluppo e la competitività della “filiera biomasse”, obiettivo che accomuna produttore e

utilizzatore, ha nella caratterizzazione analitica della biomassa un passaggio obbligato. Infatti,

solo la conoscenza delle caratteristiche energetiche e merceologiche può permettere di definire

la qualità del prodotto, di verificarne la rispondenza rispetto a specifiche tecniche, di stabilire

come utilizzarlo al meglio in funzione dei diversi impieghi.

La caratterizzazione di laboratorio dei combustibili, biomasse comprese, si basa su un numero

relativamente limitato di prove, che mirano a definire le proprietà macroscopiche del materiale in

condizioni sperimentali ben definite. Le caratteristiche merceologiche, i relativi metodi di prova

e il loro significato fisico vengono discussi nei seguenti paragrafi:

I metodi di analisi normalizzati: significato e stato di avanzamento a livello europeo

- Le prove di laboratorio

Descrizione convenzionale del “combustibile biomassa”

Potere calorifico

Umidità

Ceneri

3.2 Metodi di analisi normalizzati: significato e stato di avanzamento a livello europeo La valutazione delle proprietà energetiche di un materiale consente di indirizzare la scelta verso

il suo miglior utilizzo energetico.

Tuttavia, il comportamento di un combustibile (e il risultato che ne deriva) è fortemente

influenzato dalle condizioni sperimentali. È evidente quindi che, per confrontare prove eseguite

da laboratori differenti o combustibili diversi su base omogenea, devono essere adottate le stesse

condizioni di prova. Ciò comporta il ricorso a prove di laboratorio normalizzate, eseguite cioè

nel rispetto di procedure operative e condizioni sperimentali note e ben definite.

La possibilità di disporre di metodi di analisi normalizzati è quindi fondamentale per definire

accuratamente la qualità merceologica ed energetica del “combustibile biomassa”.

L’attività di normazione internazionale e nazionale nel campo dei combustibili fossili, che in

circa 50 anni ha consentito di affinare progressivamente i metodi di prova sulla base di

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specifiche tecniche e/o ambientali sempre più severe, sarà fondamentale anche per lo sviluppo

competitivo dei nuovi combustibili.

Al momento, in attesa di norme sviluppate a livello europeo per i biocombustibili, si ricorre

frequentemente a metodi normalizzati sviluppati per altri combustibili solidi (carbone e RDF),

metodi che all’atto pratico hanno dimostrato una buona applicabilità anche per le biomasse.

Il crescente interesse e la diffusione delle biomasse per uso energetico, con relative implicazioni

commerciali e ambientali, sta comunque accelerando il percorso europeo verso una normazione

tecnica mirata ai biocombustibili solidi. Su mandato della CE, all’interno del Comitato Europeo

di Normazione (CEN) è stato costituito un comitato tecnico (CEN-TC 335 Biocombustibili

solidi) avente come obiettivo la normazione dei biocombustibili solidi, con riferimento alle

specifiche dei combustibili, alla loro qualità, alle metodiche di campionamento e analisi. Per

quanto riguarda la caratterizzazione analitica, nella tabella 3.1 vengono riportati sia i metodi di

prova pubblicati sia quelli in fase di sviluppo, di cui si sta occupando il CEN-TC 3356, e quelli

attualmente più utilizzati.

Tab. 3.1. Metodi di prova per l’analisi delle biomasse

6 CEN TC/335 WG 2, Guideline for developmentand implementation of Quality Assurance for solid biofuels, dicembre 2004.

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3.3 Prove di laboratorio 3.3.1 Descrizione convenzionale del “combustibile biomassa” Per comodità descrittiva, finalizzata all’interpretazione delle prove di laboratorio, il

“combustibile biomassa”, analogamente ai combustibili solidi fossili, può essere suddiviso in due

frazioni (Fig. 3.1): una combustibile, costituita da una frazione idrocarburica (C, H), nella quale

sono presenti anche ossi-quantitativamente meno rilevanti, una seconda, non combustibile,

costituita da umidità e ceneri.

Fig. 3.1.Rappresentazione schematica del “combustibile biomassa”.

Questa chiave di lettura, semplificata ed empirica, consente di esprimere i risultati delle prove di

laboratorio su basi diverse - identificate dalle definizioni sotto riportate - che vengono

comunemente riportate sui certificati di analisi:

- sul campione come ricevuto (talvolta indicato come a.r.);

- sul campione secco ( s.s.);

- sul campione secco e privo di ceneri (d.a.f.).

Si tratta nella pratica di modi diversi, tipici dell’analisi del carbone, di esprimere i risultati

analitici. Il dato di un’analisi (ad esempio, il potere calorifico), riferito al campione come

ricevuto, fornisce il valore della proprietà considerata nelle condizioni in cui il campione è

pervenuto in laboratorio.

Un’analisi riferita al campione secco è calcolata al netto dell’umidità; infine, l’analisi riferita

campione secco e privo di ceneri è calcolata al netto di umidità e ceneri, si riferisce cioè alla

“frazione combustibile”.Un confronto tra combustibili diversi è dunque significativo solo se i

dati vengono espressi su base omogenea, che dovrebbe essere sempre precisata.

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Nella tabella 3.2 viene riportata una tabella di conversione per il calcolo su basi diverse7.

Tab. 3.2. Metodi di prova per l’analisi delle biomasse.

3.3.2 Potere calorifico Il potere calorifico indica la quantità di calore che si sviluppa dall’unità di massa (peso) di un

materiale nella sua combustione completa con ossigeno in un calorimetro normalizzato8. Viene

generalmente espresso in kcal/kg o in MJ/kg. Il tipico campo di variabilità del potere calorifico

delle biomasse è confrontato con quello del carbone nel grafico della Figura 3.2 (dati medi di

letteratura)9. Sotto il profilo energetico, il potere calorifico è uno dei parametri più significativi

di un combustibile.

7 ASTM D 3180-89 (2002), American Society For Testing and Materials, 100 Barr Harbor Drive, West Conshohocken, PA 19428. 8 A. GIRELLI, Riv. Combustibili (1978), 32, 357. 9 Biomass co-firing - an efficient way to reduce greenhouse gas emissions, European Bioenergy Networks (2003).

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Il potere calorifico viene distinto in:

- potere calorifico superiore (PCS), che comprende il calore di condensazione dell’ acqua

contenuta nel combustibile o formatasi durante la combustione (si considera l’ acqua ottenuta

allo stato liquido);

- potere calorifico inferiore (PCI), che non comprende il calore di condensazione dell’ acqua

(considera l’acqua ottenuta allo stato vapore).

La prova di laboratorio, comunemente effettuata con un calorimetro adiabatico (bomba di

Mahler), serve a determinare il PCS. Le condizioni nella bomba infatti sono tali per cui, al

termine della prova, l’acqua presente nel combustibile o formatasi durante la combustione si

trova allo stato liquido.

La determinazione sperimentale del potere calorifico superiore (a volume costante) è la sola

prova di laboratorio in grado di fornire la misura del valore energetico intrinseco di un materiale.

Assieme alla determinazione del contenuto di idrogeno, il PCS serve per calcolare il potere

calorifico inferiore.

Il PCI viene calcolato al netto del contributo dell’umidità del combustibile e dell’acqua che si

forma nella reazione di combustione; si considera cioè che tutta l’acqua, presente nel

combustibile e quella formatasi nella combustione, rimanga allo stato vapore.

Per questo calcolo si sottrae dal PCS il calore di condensazione dell’acqua prodotta nella

combustione mediante la seguente formula :

PCI (kcal/kg) = PCS - 51,14 x Htot.

Fig. 3.2. Campo di variabilità del PCI: confronto biomasse-carbone Fonte: database analisi SSC.

0

5

10

15

20

25

30

biomassa carbone

PCI

(MJ/

Kg)

min max

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dove: PCS = potere calorifico superiore (kcal/kg);

Htot = idrogeno totale (%), che comprende anche l’idrogeno dell’umidità presente nel campione

Nella pratica, per valutare il rendimento di combustione in impianto, ci si riferisce al potere

calorifico inferiore: in impianto, infatti, i gas di combustione non vengono mai scaricati a

temperatura tanto bassa da far condensare l’acqua presente e quindi non viene recuperato il

calore di condensazione.

L’Istituto Asteria ha determinato i PCI e PCS di campioni di sansa ottenuti da impianti di diversa

tipologia ( tradizionale, continuo 3 fasi, 2 fasi e 2,5 fasi) e i risultati sono riportati in tabella 3.2.

Tabella 3.2. Valori del PCI e PCS di campioni di sansa ottenuti da impianti di tipologia diversa.

PCI* PCS*

Tipologia d’impianto Kcal/Kg MJ/Kg Kcal/Kg MJ/Kg

Tradizionale 4.758 19,82 5.094 21,22

Continuo 3 fasi 4.858 20,24 5.212 21,72

Continuo 2,5 fasi 4.675 19,48 5.020 20,92

Continuo 2,5 fasi 4.731 19,71 5.079 21,16

Continuo 2 fasi 4.639 19,33 4.976 20,73

* Valori medi riferiti alla sostanza secca e da correggere in funzione del contenuto in umidità.

Bisogna tuttavia tener presente che il calore reale prodotto in impianto, per quanto sia legato al

PCI, dipende da numerosi altri fattori, quali: mezzo di combustione (aria, altro), sistema di

combustione e disegno costruttivo, condizioni di esercizio dell’impianto, altre caratteristiche

chimi che e fisiche del combustibile.

Tra i fattori che influenzano maggiormente il potere calorifico delle biomasse particolare

importanza rivestono l’umidità e le ceneri.

Si può stimare una produzione media di CO2 del processo di combustione sperimentale pari a

1.500 Kg CO2/t sansa.

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3.3.3 Umidità Per umidità si intende la quantità di acqua (libera e legata) presente nel materiale (ad una data

temperatura). In laboratorio il contenuto di umidità è stato determinato calcolando la perdita in

massa di un campione sottoposto ad essiccamento, in condizioni normalizzate, alla temperatura

di 105 °C.

L’umidità delle biomasse, materiale fortemente igroscopico, può raggiungere valori superiori al

50%. L’intervallo tipico per le biomasse, confrontato con quello del carbone è rappresentato nel

grafico della Figura 3.3 (dati medi di letteratura)10.

In tabella 3.3 è riportata l’umidità (%) di campioni di sansa ottenuti da impianti di diversa tipologia

(tradizionale, continuo 3 fasi, 2 fasi e 2,5 fasi).

10 Biomass co-firing - an efficient way to reduce greenhouse gas emissions, European Bioenergy Networks (2003).

Fig. 3.3. Campo di variabilità del contenuto di umidità: confronto biomasse-carbone (Fonte: database analisi SSC).

0

20

40

60

80

100

biomassa carbone

Um

idità

(% m

/m)

min max

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Tabella 3.3.. % di umidità di campioni di sansa ottenuti dai impianti di tipologia diversa.

Tipologia d’impianto

Umidità (%)*

Tradizionale 27,4

Continuo 3 fasi 47,9

Continuo 2,5 fasi 56,1

Continuo 2,5 fasi 57,3

Continuo 2 fasi 65,5

* Valori medi.

L’umidità è un fattore molto importante sotto il profilo economico: viene infatti considerato un

parametro del valore energetico/commerciale della biomassa e come tale può influire sul prezzo.

Può essere suddivisa in umidità inerente, propria della struttura della biomassa, e umidità

superficiale, fortemente influenzata dalla pezzatura e dalla condizioni ambientali. L’umidità

della biomassa è una proprietà dinamica: tende a portarsi in equilibrio con l’ambiente e varia in

maniera consistente in funzione del tipo di biomassa, del terreno di coltivazione, delle condizioni

ambientali, delle modalità e dei tempi di trasporto e stoccaggio.

Il contenuto di umidità, generalmente espresso come percentuale in massa, è una parametro

importante sia sotto il profilo tecnico-operativo sia in relazione ad alcune caratteristiche

qualitative del materiale. Un’elevata umidità superficiale, ad esempio, è particolarmente negativa

sul funzionamento dei polverizzatori (diminuisce la capacità effettiva), sui trasportatori

meccanici e, più in generale, può creare inconvenienti nella movimentazione della biomassa, in

particolare nelle fasi di carico e scarico in caso di gelate. Per quanto riguarda altri effetti

indesiderati, il contenuto di umidità influenza fortemente la densità e il potere calorifico.

L’umidità infatti incide sfavorevolmente sul peso del prodotto e sui costi di trasporto e di

essiccamento, e soprattutto abbassa il contenuto energetico della biomassa. Questo effetto è

evidenziato nel diagramma della Figura 3.4 dove viene rappresentata la variazione del potere

calorifico in funzione dell’umidità.

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Per quanto riguarda le prestazioni in impianto, in generale si osserva un calo dell’efficienza di

combustione all’aumentare dell’umidità. L’umidità infatti incide sfavorevolmente sul peso del

prodotto e sui costi di trasporto. Dati sperimentali indicano un’efficienza massima di

combustione per un contenuto di umidità attorno a circa il 5%: l’acqua eserciterebbe un’azione

moderatrice nella combustione, creando condizioni più favorevoli al trasferimento di calore

rispetto al brusco passaggio in presenza di legno molto secco. Del resto l’umidità influisce su

numerose proprietà termiche e fisiche (anisotrope) delle biomasse (conducibilità, permeabilità,

diffusione termica, densità).

3.3.4 Ceneri Nella prova di laboratorio, per ceneri si intende il materiale inorganico che rimane dopo la

combustione (a circa 600 °C in condizioni normalizzate) di un campione di biomassa.

Il campo di variabilità del contenuto in ceneri delle biomasse viene confrontato con quello del

carbone nel grafico della Figura 3.5 (dati medi di letteratura)11.

In tabella 3.4 sono riportati i valori medie delle ceneri (%) di campioni di sansa ottenuti da impianti di

diversa tipologia (tradizionale, continuo 3 fasi, 2 fasi e 2,5 fasi).

11 Biomass co-firing - an efficient way to reduce greenhouse gas emissions, European Bioenergy Networks (2003).

Fig. 3.4. Variazione del potere calorifico inferiore in funzione del contenuto di umidità per un campione che “sul secco” ha un potere calorifico inferiore

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Tabella 3.4.. % (m/m) ceneri di campioni di sansa ottenuti dai impianti di tipologia diversa.

Tipologia d’impianto

Cenereri (%)*

Tradizionale 5,30

Continuo 3 fasi 1,00

Continuo 2,5 fasi 1,26

Continuo 2,5 fasi 1,22

Continuo 2 fasi 4,45

* Valori medi.

Le ceneri derivano direttamente dai costituenti inorganici presenti nella biomassa di partenza.

L’origine del materiale inorganico può essere duplice: inerente - cioè costituzionale - o di natura

accidentale; vale a dire che il materiale inorganico può venire incorporato dalla biomassa

attraverso i vari stadi della lavorazione, in particolar modo durante la raccolta.

Tra gli elementi quantitativamente più abbondanti vanno segnalati alcuni macronutrienti, come

calcio, potassio, magnesio e fosforo, i quali, come vedremo in seguito, esercitano un ruolo

importante sulle prestazioni in impianto e, in particolare, sul comportamento delle ceneri.

Fig. 3.5. Campo di variabilità del contenuto di umidità: confronto biomasse-carbone. (Fonte: database analisi SSC, dati medi di letteratura )

0

10

20

30

40

biomassa carbone

Cen

eri (

% m

/m)

min max

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Sebbene il valore di ceneri che si determina in laboratorio non corrisponda né in qualità né in

quantità al materiale solido scaricato, con lo stesso nome, da una combustione in impianto reale

(materiale che contiene ancora incombusti), il dato analitico, come sintetizzato nella Figura 11, è

comunque in relazione con alcuni parametri principali: potere calorifico, quantità di materiale

solido da scaricare, materiale particellare nei gas di combustione, fenomeni di erosione,

corrosione e incrostazioni. La quantità di cenere prodotta in impianto dipende dal tipo di

biomassa, dalla tecnologia impiegata per la conversione energetica, dalle condizioni e

dall’efficienza di combustione. Mediamente le biomasse presentano un contenuto di ceneri più

basso rispetto al carbone; tenori elevati sono riscontrabili solo per alcune specie come, ad

esempio, la lolla di riso. L’influenza delle ceneri sul comportamento della biomassa nella

combustione e sull’esercizio dell’impianto, è legata, oltre che alla quantità, alla qualità delle

ceneri, cioè alla loro composizione che, a sua volta, influenza in maniera significativa il

comportamento alla fusione delle ceneri. Composizione e comportamento alla fusione possono

fornire importanti indicazioni sulla propensione delle ceneri a formare scorie e depositi in

impianto.

3.3.5 Conclusioni La combustione è da un punto di vista termodinamico, un processo di conversione dell’energia

chimica del combustibile (biomasse) in calore.

Il calore si genera grazie alla reazione di ossidazione del carbonio in presenza di sufficiente

ossigeno secondo la reazione:

C+O2 ➝ CO2 + calore

Fig. 3.6. Relazione tra la quantità di ceneri di biomassa e alcuni parametri principali.

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Dai risultati della sperimentazione la sansa possiede un contenuto energetico medio pari 4.732

Kcal/kg o 19,65 MJ/Kg, che vengono convertiti con la combustione in energia termica o, nel

caso di impianti di cogenerazione, in energia elettrica e calore, recuperabile per altri usi

(riscaldamento, raffreddamento ecc.)

Con l’utilizzo di una Caldaia con potenza termica < 50 MW in cogenerazione è possibile il

seguente bilancio energetico:

Note: (calore + elettricità) non è uguale a 100 perché c'è sempre una quantità di calore disperso, circa il 19%. 1può essere recuperato mediante scambiatori di calore. Si deduce che il processo di combustione è utilizzabile solamente se partiamo da prodotti aventi

il più basso grado di umidità possibile, e comunque l’essicazione deve avvenire attraverso o

l’azione del sole, che rende il processo economicamente conveniente o anche utilizzando, ad

esempio, il calore residuo dei fumi di combustione.

C

Sansa (t) P.C.I. (19,65 MJ/kg)

Motore

cogenerativo

30%

elettrico

51%

calore1

5.458,34 kWh

19% calore

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4 Digestione Anaerobica 4.1 Processo La digestione anaerobica è un processo biologico complesso per mezzo del quale, in assenza di

ossigeno, la sostanza organica viene trasformata in biogas, costituito principalmente da metano e

anidride carbonica. La percentuale di metano nel biogas varia a secondo del tipo di sostanza

organica digerita e delle condizioni di processo, da un minimo del 50% fino all’80% circa.

Affinché il processo abbia luogo è necessaria l’azione di diversi gruppi di microrganismi in

grado di trasformare la sostanza organica in composti intermedi, principalmente acido acetico,

anidride carbonica ed idrogeno, utilizzabili dai microrganismi metanigeni che concludono il

processo producendo il metano.

I microrganismi anaerobi presentano basse velocità di crescita e basse velocità di reazione e

quindi occorre mantenere ottimali, per quanto possibile, le condizioni dell’ambiente di reazione.

Nonostante questi accorgimenti, i tempi di processo sono relativamente lunghi se confrontati con

quelli di altri processi biologici; tuttavia il vantaggio del processo è che la materia organica

complessa viene convertita in metano e anidride carbonica e quindi porta alla produzione finale

di una fonte rinnovabile di energia sotto forma di un gas combustibile ad elevato potere

calorifico.

L’ambiente di reazione, definito solitamente reattore anaerobico, per consentire la crescita

contemporanea di tutti i microrganismi coinvolti, dovrà risultare da un compromesso tra le

esigenze dei singoli gruppi microbici. Il pH ottimale, ad esempio, è intorno a 7-7,5.

La temperatura ottimale di processo è intorno ai 35°C, se si opera con i batteri mesofili, o intorno

a 55°, se si utilizzano i batteri termofili. Le figure 4.1 e 4.2 descrivono il processo di digestione

anaerobica.

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Fig. 4.1 – Schema riassuntivo della digestione anaerobica delle sostanze organiche durante la digestione. I composti polimerici ad alto peso molecolare, carboidrati, grassi e proteine vengono frammentati in sostanze più semplici, zuccheri, glicerolo, acidi grassi e aminoacidi.

Fig. 4.2 – Schema del processo biologico di digestione anaerobica.

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4.1.1 Biogas La degradazione biologica della sostanza organica in condizioni di anaerobiosi, cioè in assenza

di ossigeno molecolare, procede con la formazione di svariati prodotti quali azoto, anidride

solforosa (idrogeno solforato), idrogeno, ossigeno, ammoniaca, biossido di carbonio e metano.

Questi ultimi due composti, CO2 e CH4, sono quelli che si formano in maggior copia,

rappresentando insieme la quasi totalità percentuale della miscela di biogas. Prendendo in esame

la sola molecola di metano essa è presente nel biogas in ragione del 50-80% (Fig. 4.3). La

quantità di biogas recuperabile dal rifiuto tramite digestione anaerobica è variabile, in particolare

dipende dalla frazione biodegradabile del substrato da trattare e dalle condizioni operative di

processo.

Fig. 4.3. Composizione percentuale del biogas (Fonte: http://www.sekospa.com).

Il potere calorifico del biogas è determinato dalla concentrazione di CH4 nella miscela: maggiore

è la sua percentuale più alto risulta il p.c.i.121. L’effetto contrario è determinato dalla presenza di

anidride carbonica, azoto e acqua; il p.c.i. varia da 4.500 a 6.500 kcal/m3, contro le 8.600 kcal/m3

circa del metano. La composizione del biogas è la seguente:

-Metano (CH4) È l’idrocarburo alcano di base. A temperatura ambiente si presenta allo stato

gassoso, incolore e inodore; è più leggero dell’aria e quindi non si accumula al suolo.

12 Il potere calorifico inferiore (kcal/m3) esprime la quantità di calore che si sviluppa con la combustione completa di 1 m3 di metano, considerando l’acqua allo stato di vapore a 100 °C, ossia considerando la sola quota parte di calore effettivamente utilizzabile.

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Il passaggio dallo stato gassoso a quello liquido avviene sia per raffreddamento a – 165 °C, sia

per compressione a 400 atmosfere. La reazione di combustione del metano è la seguente:

CH4 + 2O2 CO2 + 2H2O + 212 kcal (+891 kJ)

La quantità di calore prodotta corrisponde circa a 9000 kcal/m3 o 36 MJ/m3; la temperatura di

combustione si aggira intorno a 1500-2000 °C.

-Anidride carbonica (CO2)

È un gas incolore e inodore, più pesante dell’aria e del metano; a un’atmosfera e – 80 °C

solidifica. In presenza di acqua si trasforma in acido carbonico secondo la seguente reazione:

CO2 + H2O H2CO3

La percentuale di CO2 nel biogas varia a seconda delle reazioni batteriche, della temperatura, del

materiale utilizzato, della tecnica di digestione.

-Azoto (N2)

L’azoto è un gas incolore, inodore, presente in percentuale preponderante nell’atmosfera; qualora

la sua presenza nel biogas sia eccessiva è indice di malfunzionamento dovuto a presenza di

ossigeno nel reattore.

-Idrogeno Solforato (H2S)

È un gas incolore ma dall’odore nauseante, presente in natura spesso mescolato al gas naturale.

Data la sua natura acida reagisce con gli alcali ed intacca i metalli, pertanto la sua presenza deve

essere continuamente monitorata.

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Fig. 4.4. Digestione anaerobica (Fonte SSC- maggio 2005).

La trasformazione del biogas in energia utilizzabile può avvenire:

per combustione diretta in caldaia, con produzione di sola energia termica;

per combustione in motori azionanti gruppi elettrogeni per la produzione di energia

elettrica;

per combustione in cogeneratori per la produzione combinata di energia elettrica e di

energia termica. Con 1 m3 di biogas è possibile produrre mediamente 1,8-2 KWh di

energia elettrica e 2-3 KWh di energia termica13.

Il biogas, dopo essere purificato a metano 95-98%, può essere utilizzato per autotrazione

(tale uso del biogas non è attualmente incentivato in Italia, a differenza di altri

biocarburanti, quali biodisel e bioetanolo) e/o immesso nella rete di distribuzione del gas

naturale (Fig. 4.4).

Immissione nella rete di distribuzione del gas naturale.

13 W. Francescano, E. Antonimi (AIEL), “Energia elettrica e calore dal biogas– Una concreta opportunità per gli agricoltori”, Commissione Europea Intelligence Energy Executive Agency (IEEA) / Associazione Italiana Energie Agroforestali (AIEL), 2007.

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4.1.2 Digestato Il processo anaerobico di digestione di biomasse agricole o agroindustriali oltre a fornire biogas,

dà origine al digestato, a sua volta suddivisibile, se avviato a separazione meccanica (ad esempio

con estrattore centrifugo o nastro pressa) in due diversi tipi di reflui, uno di natura liquida,

comunemente definito effluente (liquor), e uno di natura solida, il fango pressato o fibre in

anglosassone (Fig. 4.4).

Le trasformazioni chimico-fisiche e biologiche sono complesse: circa la metà del carbonio viene

rilasciato sottoforma di metano e CO2, il contenuto di sostanza secca diminuisce, così come la

domanda chimica di ossigeno (COD) e l’attività respirometrica dei microrganismi. Si assiste poi

ad un incremento del pH di almeno mezza unità, attestandosi prevalentemente su valori di 7,4-

8,0. L’azoto, elemeto princeps per una valutazione agronomica del digestato, subisce, in parte,

quella della sua quota organica presente nella biomassa originaria (proteine, ecc), una

conversione in ammoniaca, mentre la restante rimane sottoforma organica suscettibile, una volta

distribuita in campo, al processo di mineralizzazione da parte dei batteri tellurici.

4.2 Materie prime utilizzate o di possibile impiego Secondo una semplice definizione i substrati avviabili alla digestione anaerobica includono

qualsiasi materiale che può essere convertito in metano dalla flora anaerobica; perciò l’unico

vincolo che ne risulta è la presenza di quantità rilevante di sostanza organica.

Queste materie possono essere raggruppare nel grande insieme delle cosiddette biomasse, ovvero

materiali di matrice organica originati dall’accumulo di energia solare da parte di vegetali

attraverso la fotosintesi e, per tale motivo, considerate fonte energetica neutrale rispetto alle

emissioni di gas serra, in primis CO2. Se in passato, soprattutto in Europa, la digestione

anaerobica è stata associata principalmente al trattamento di deiezioni animali e di acque reflue,

dagli anni ‘70 si è avuto un allargamento degli orizzonti legati a questa tecnologia. Attraverso le

figure riportate è possibile citare l’agricoltura come la maggiore fonte di substrati impiegabili,

anche se non l’unica (Fig. 4.5).

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Fig. 4.5. Fonti di provenienza dei principali substrati14

4.2.1 Scarti di industrie agro-alimentari e residui urbani Alcuni materiali di scarto delle industrie agro-alimentari si prestano egregiamente al trattamento

anaerobico di digestione per il loro elevato carico organico e l’alta percentuale di acqua. In Italia

un settore di particolare importanza è rappresentato da quello lattiero caseario. Qui si producono

ingenti quantitativi di siero (sottoprodotto principale della lavorazione del formaggio, in ragione

dell’80-90% del latte lavorato) che oltre al “riciclo” in alimentazione animale può venire

convenientemente impiegato per la produzione di biogas, con un rendimento di circa 0,35 m3/kg

ss. Altri comparti agro-alimentari sono quello della macellazione, della lavorazione di prodotti

ittici, di industrie conserviere, di produzione di bevande e di industrie saccarifere, tutti settori

caratterizzati dalla produzione di scarti con elevato carico organico.

Come vedremo più avanti questi sottoprodotti vengono ritenuti più idonei alla codigestione

piuttosto che alla digestione singola. Il D.M. 5 maggio 2006, elenca tutta una serie di scarti, sia

di origine industriale che umana, avviabili a digestione anaerobica e sottostanti agli incentivi

concessi con i certificati verdi, tabella 4.1.

14 R. Steffen, O. Szolar, R. Braun, “Feedstocks for anaerobic digestion”, Institute for Agrobiotechnology Tulln, University of Agricultural Sciences Vienna, 1998.

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Tab. 4.1. Sottoprodotti finanziabili attraverso i certificati verdi presenti nell’European Waste Catalog

secondo quanto stabilito dal D.M. 5 maggio 200615

In tabella 4.2 è riportata la resa indicativa di biogas di varie biomasse e scarti organici.

15 S. Miele, E. Vincenti, E. Bargiacchi, “New life for expired food products by anaerobic digestion”, New technologies for the treatments and valorisation of agro by-products, ISRIM, Terni, 3rd-5th October 2007

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Tab. 4.2. Biomasse e rifiuti organici per la digestione anaerobica e loro resa indicativa in termini di

biogas (m3 per tonnellata di solidi volatili).

SV: solidi volatili: frazione della sostanza secca costituita da sostanza organica.

4.3 Sperimentazione su campioni di sansa e AV 4.3.1 Introduzione Attualmente, il tema della biodegradabilità anaerobica sta suscitando un rinnovato interesse in

considerazione dei vantaggi offerti dal processo di degradazione anaerobica in termini sia di

riduzione del carico organico della matrice trattata, e quindi del suo potenziale impatto

ambientale, sia di valorizzazione energetica della sostanza organica.

La valutazione della biodegradabilità anaerobica di una matrice organica consente, in questo

contesto, di valutare la fattibilità dell’impiego della via anaerobica per la biodegradazione della

sansa e dell’AV, in termini di percentuale di rimozione della sostanza organica e di resa di

metanizzazione e quindi di recupero del potere calorifico della matrice. In generale, per

prevedere la produzione di biogas che la degradazione anaerobica di una matrice organica può

comportare è opportuno effettuare una determinazione sperimentale. Infatti, se indicazioni

riguardo alla produzione potenziale di biogas, ed alla sua composizione possono essere ottenute

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a partire dalla composizione elementare della sostanza di interesse (relazioni di Malpei e

Gardoni), l’effettiva capacità degradazione del consorzio microbico anaerobico è difficilmente

prevedibile, soprattutto quando si abbia a che fare con substrati complessi come la sansa di oliva

o le acque di vegetazione che possono presentare problematiche di tossicità biologica.

In condizioni reali, a causa della incompletezza delle reazioni di biodegradazione, non tutto il

contenuto di sostanza organica presente nella matrice in digestione viene effettivamente

convertito in biogas. In condizioni favorevoli di materia organica solubile, si possono ottenere

livelli di conversione superiori al 90-95%.

4.3.2 Procedure codificate e standardizzate A livello comunitario, le metodiche ufficiali, a cui gli altri stati membri sono tenuti ad attenersi,

sono riassunti nell’Allegato V della direttiva 67/548/EEC (adottata nel 1967), che viene

periodicamente aggiornata mediante la procedura ATP (Adaptation to Technical Progress,

l’ultimo aggiornamento risale al giugno 2004) mano a mano che nuove metodiche vengono

codificate e validate. In particolare, i metodi per la determinazione della biodegradabilità sono

contenuti nella Sezione C (Metodi eco tossicologici).

Esistono diverse norme nazionali ed internazionali sul tema della biodegradabilità anaerobica16,

di cui le più rilevanti sono riassunte in tabella 4.1.

Tutte le norme riportate concordano sulle condizioni generali di prova, così riassumibili:

Inoculo: fango digerito lavato e risospeso (1-5 g/L);

Temperatura: 35°C ±2°C;

Reattore: contenitore in vetro con chiusura a setto impermeabile ai gas resistente ad una

pressione di 2 bar;

Metodo di misura: misura manometrica del biogas.

16 Müller W.R., Fromment H.B., (1996). “Standardized methods for anaerobic biodegradability testing” Reviews in Environmental Science and Bio/Technology 3.

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Tab. 4.3. Principali norme internazionali in materia di degradabilità anaerobica 17

4.3.3 Metodiche di valutazione della biodegradabilità anaerobica e BMP In generale, sia metodi di valutazione della biodegradabilità anaerobica e del BMP suggeriti in

letteratura sia le metodiche standard prevedono che la materia organica sia posta a contatto con

un adeguato inoculo di biomassa batterica in condizioni ambientali controllate (in termini di pH,

temperatura e potenziale redox, con l’eventuale aggiunta di una soluzione diluente di nutrienti,

oligoelementi e vitamine per creare le condizioni ottimali per la crescita dei microorganismi) in

modo tale che essa venga degradata sviluppando biogas.

Le metodiche si distinguono poi per il tipo di reattore impiegato e per il metodo di

determinazione dell’entità della biodegradazione.

Lo svolgimento della prova sperimentale di degradazione anaerobica si basa sulla misura nel

tempo di una o più variabili il cui valori si modifica per effetto del processo di degradazione. Si

possono distinguere i metodi basati sulla valutazione della scomparsa dei substrati e quelli basati

sulla determinazione dei prodotti di degradazione (Fig. 4.6).

17 ISO 11734, (1995). “ Water quality – Evaluation of the ultimate anaerobic biodegradability of organic compounds in digested sludge – method by measurement of the biogas production” International Standard (First Edition 15-12-1995).

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Fig. 4.6. Classificazione dei metodi di degradazione anaerobica18

Questo tipo di classificazione è tuttavia complicata dal fatto che, essendo la degradazione

anaerobica il risultato dell’azione di molteplici biotrasformazioni operanti in serie quanto in

parallelo, i prodotti di reazione di un sottoprocesso rappresentano i substrati di quello successivo.

In quest’ottica, gli unici prodotti ultimi di reazione sono, a rigore, il metano, la CO2 e l’idrogeno

molecolare. Le procedure basate sul monitoraggio della produzione di biogas sono certamente

più diffuse e possono essere ulteriormente classificate in base al metodo impiegato per la misura

del volume prodotto, che può essere effettuata a pressione costante (metodi volumetrici), o a

volume costante (metodi manometrici) o, ancora, determinando, per via gascromatografica, la

concentrazione dei singoli gas nello spazio di testa di reattori chiusi.

Tra i metodi volti alla valutazione della formazione di prodotti di reazioni vanno annoverati

anche quelli basati sul principio della titolazione a set-point19 e quelli calorimetrici20.

18 Rozzi A., Remigi E., e Buckley C., (2001). “Methanogenic activity measurements by the MAIA biosensor: Instruction guide” Water Sci. Technol. 44(4): 287-294. 19 Caffaz, Ficara e Giordano, (2008). 20 Jolicoeur C., To T. e Beaubien A., (1998). “Flow microcalorimetry in monitoring biological activity of aerobic and anaerobic wastewater treatment processes” Anal. Chim. Acta 213: 165-176.

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Un’ulteriore classificazione dei metodi per la misura del BMP è relativa alla tipologia di reattore

adottato (Fig. 4.6).

La configurazione più diffusa, in relazione alla maggior semplicità realizzativa, è basata

sull’impiego di reattori di tipo batch.

In essi, l’alimentazione della biomassa di inoculo e di materia organica da biodegradare viene

effettuata all’inizio della prova mentre, successivamente la reazione procede senza ulteriori

scambi di massa, se non in relazione all’eventuale sfiato del biogas prodotto. Una configurazione

concettualmente analoga a quella del singolo reattore completamente miscelato è la batteria di n

reattori batch di limitato volume, del tutto identici ed incubati nelle stesse condizioni, ciascuno

dei quali è impiegato, a tempi diversi, per la determinazione distruttiva della concentrazione del

substrati o del biogas prodotto. In alternativa, si può adottare un reattore completamente

miscelato (CSTR) ad alimentazione continua o semi-continua (Fig. 4.6).

4.3.4 Conduzione della sperimentazione BMP Il processo di trasformazione dei substrati organici complessi in metano avviene attraverso tre

differenti fasi, nelle quali agiscono tre gruppi metabolici distinti di microrganismi che si

differenziano sia per i substrati che per i prodotti del loro metabolismo:

1. prima fase: idrolitica e acidogenica: degradazione di substrati organici complessi particolati o

solubili, quali proteine, grassi e carboidrati, con formazione di acidi grassi volatili, chetoni ed

alcoli;

2. seconda fase Acetogenica: a partire dagli acidi grassi, si ha la formazione di acido acetico,

acido formico, biossido di carbonio ed idrogeno molecolare,

3. terza fase: metanogenesi: formazione di metano a partire dall’acido acetico o attraverso la

riduzione del biossido di carbonio utilizzando l’idrogeno come co-substrato. In minor misura si

ha la formazione di metano a partire dall’acido formico.

I processi di digestione anaerobici possono avvenire in condizioni operative molto differenti, in

base a:

• condizioni termiche di reazione:

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o psicrofilia (20°C)

o mesofilia (35-37°C)

o termofilia (>55°C)

• fasi biologiche:

o unica (un solo reattore)

o fasi idrolitica e metanogenica separate, in reattori distinti.

• contenuto di solidi in reattore:

o processo umido (Frazione Solida: 5-8%)

o semi-secco (FS: 8-20%)

o secco (FS >20%)

La sperimentazione è stata condotta, in condizioni mesofile (35°C ± 1°C), che garantiscono un

processo continuo e flessibile in grado di gestire variazioni del mix in alimentazione anche se

non completamente performante.

Il nutrimento dei batteri è assicurato da carbonio azoto fosforo e zolfo che non devono mai

mancare. Perché si abbia un rendimento in metano ottimale il rapporto Carbonio/Azoto non deve

mai superare il 35 con un ottimo di trenta. La sansa intorno al 50 e quindi le quantità vanno

accuratamente dosate in funzione della qualità del rimanente substrato.

La digestione è avvenuta in reattori, alimentati in batch, dotati di sistemi di captazione del biogas

(Fig. 4.7). Il digestore, o reattore, è il contenitore nel quale avvengono le reazioni che portano

alla trasformazione della sostanza volatile del biogas. Il reattore di digestione viene riempito con

materiale organico ad elevato tenore di sostanza solida (10% ST), in presenza o meno di inoculo,

in questo caso è stato aggiunto fango, e viene quindi lasciato fermentare.

Il processo opera per fasi successive:

a) fase idrolitica ed acidogenica,

b) fase in cui gli acidi grassi volatili vengono trasformati in metano.

Alcuni Vantaggi sono che è semplice e robusto, buona affidabilità di processo, ridotto utilizzo di

acqua, possibilità di utilizzo modulare e rendimento maggiore .

I principali Svantaggi è che può subire intasamenti, rischi di esplosività durante la fase di

caricamento del reattore, minimi carichi organici applicabili, problemi di innesco del processo

dovuti al riempimento/svuotamento del digestore.

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In questo caso umido con un tenore di solidi (10 % TS).

Durante la sperimentazione è stato periodicamente monitorato il biogas prodotto (CH4).

L’estrazione periodica del gas è un’operazione necessaria per prevenire possibili perdite o

esplosioni dovute all’eccessiva pressione, la differenza tra l’interno del reattore e l’esterno non

deve mai superare le 0,5 atm, e la quantità di gas raccolto è in media di 50cc per evitare errori di

misura.

Fig. 4.7. Reattore in “batch”.

4.3.5 Sezione di preparazione del substrato E’ importante caratterizzare il substrato da inviare al processo anaerobico di digestione

mediante:

TS: solidi totali, espressi in percentuale, ovvero il contenuto di sostanza secca di un

campione; corrispondono approssimativamente alla somma della frazione organica e di

quella inerte del substrato. Si determinano per essiccamento del campione in stufa a

105°C fino a peso costante.

TVS: solidi totali volatili, espressi in percentuale dei TS, cioè, in prima

approssimazione, esclusivamente la frazione organica della sostanza secca.

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Non è stato determinato il COD sulle AV perché a questi valori l’errore dell’analisi è talmente

alta che ha poco significato. I campioni di sansa analizzati (degli impianti continuo a 2,5 fasi e a

3 fasi) e AV (dell’impianto continuo a 2,5 fasi) presentavano i seguenti valori medi di TS e VS:

TS 77.80 VS 76.40 tutti due sono sul tal quale in g%.

La preparazione del substrato consiste nell’ottenimento delle caratteristiche fisico-chimiche

ottimali per l’immissione nel digestore.

La regolazione del contenuto di umidità, può essere eseguita anche un’eventuale diluizione con

fanghi e acqua, in base al contenuto dei solidi previsto per il processo (umido, semisecco, secco).

Infatti nel Ns caso abbiamo aggiunto fanghi sia per ottimizzare il processo di digestione sia il

contenuto di umidità.

La regolazione della temperatura può essere operata all’esterno o all’interno del digestore, in

base al regime termico previsto per l’impianto. Nei reattori mesofili la durata del processo

(tempo di residenza) è di 14-30 giorni; nei termofili il tempo è circa 14-16 giorni.; nel nostro

caso le prove sono condotte in bottiglie chiuse, in batch, e il riscaldamento lo si ottiene

mantenendo la bottiglia in stufa a T costante.

La regolazione del pH ed alcalinità (effetto tampone); Il pH indica se l’ambiente del digestore è

favorevole alla reazione. Per valori di pH compresi tra 6.5 e 7.5 il processo di digestione è

stabile. In fase acidogena i batteri producono acidi grassi e quindi fanno diminuire il pH e già a

pH=6,2 i batteri metanogeni sono inibiti mentre gli acidogeni lavorano fino ad un pH di 4,5.

Bisogna quindi bloccare la produzione di acidi grassi in modo che il pH non scenda sotto a 6,2,

questa operazione viene fatta con il controllo dell’alcalinità.

L’alcalinità rappresenta la capacità di neutralizzare gli ione idrogeno ed è generalmente espressa

come concentrazione di carbonato di calcio. Valori di alcalinità dell’ordine di 3.000-5.000 mg

CaCO3 per litro sono tipici per i digestori anaerobici operanti in condizioni stabili.

Uno dei problemi che comunque si pone nelle prove di biometanazione è la loro gestione e la

loro confrontabilità anche a distanza di tempo. Si rende necessario perciò stabilire alcune norme

che permettono di rendere il più ripetibile possibile un test di questo tipo. Il primo problema è il

tipo di inoculo che si intende usare. Esso può essere prelevato da un tradizionale digestore

mesofilo della linea fanghi di un depuratore21.

21 Owen M.F., Stuckey D.C., Healy J.B., Young L.Y. e McCarthy P.L., (1979). “Bioassay for monitoring biochemical methane potential and anaerobic toxicity” Water Res. 13: 485-492.

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La concentrazione di biomassa può variare nell’intervallo 0,8-8 gSV/L22.

La metodica standard ISO 11734 suggerisce di operare con una concentrazione di biomassa nel

reattore compresa tra 1 e 3gST/L.

Un range così ampio è legato alla diversa velocità di idrolizzazione e aceto genesi che i diversi

substrati possono avere, e che porterebbero se non ben controllati ad un abbassamento del pH

sotto i limiti di accettabilità del per i metani geni.

La concentrazione iniziale di materia organica suggerita dalla metodica standard è piuttosto

bassa e pari a 100mgC/L. tuttavia, per misurare sovrapressioni significative, nel caso non ci si

attendano fenomeni inibitori rilevanti, la concentrazione può essere anche significativamente

maggiore (ad es. 2 e 2,5 g COD/l). In generale, il rapporto tra materia organica e inoculo,

definibile come F/M (food to microrganism ratio) influisce sulla durata del processo di

digestione (decrescente con F/M), sulla quantità complessiva di biogas prodotto durante la prova

(decrescente con F/M), sull’eventuale sviluppo di fenomeni inibitori dovuti a sostanze presenti

nel campioni o ad intermedi di degradazione.

Tali aspetti suggerirebbero di limitare il più possibile il valore di F/M, tuttavia, valori troppo

bassi rendono difficilmente distinguibile la produzione di biogas dall’inoculo da quella legata

alla materia organica aggiunta. Secondo Chynoweth et al., (1993) l’F/M ottimale, espresso come

solidi volatili, deve essere intorno 0,523.

Altro fattore particolarmente importante nella formulazione del medium è la capacita tampone,

che deve essere proporzionata alla quantità di acidi che ci si attende di ottenere durante la fase

idrolitica del processo di digestione. Se questi non vengono adeguatamente tamponati, il pH

scende a valori non compatibili con l’attività microbica e comunque non rappresentativi della

realtà di un processo anaerobico. Esempi di soluzioni diluenti suggerite in letteratura sono

riportati in tabella 4.4.

22 Soto M., Mendez R. e Lema J.M., (1993). “Methanogenic activity tests. Theoretical basis and experimental setup” Water Res. 27: 850-857. 23 Chynoweth D.P., Turick C.E., Owens J.M., Jerger D.E., and Peck M.W., (1993). “Biochemical Methane Potential of Biomass and Waste Feedstocks” Biomass and Bioenergy, 5,95-111.

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Tab. 4.4. Soluzioni diluenti suggerite in letteratura 24

4.3.6 Valutazione della produzione di biogas Tra i metodi applicabili alla determinazione del grado di degradazione, quelli ampiamente più

diffusi e suggeriti nelle metodiche standardizzate sono basati sulla misura del biogas prodotto.

24 Rozzi A. e Remigi E., (2004). “Methods of assessing microbial activity and inhibition under anaerobic conditions: a literature review” Reviews in Environmental Science and Bio/Technology 3: 93-115.

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Il metodo utilizzato è stato quello manometrico e prevede l’impiego di un reattore batch a

volume costante a tenuta, in cui la pressione prodotta dall’evoluzione del biogas nello spazio di

testa è valutata mediante un misuratore di pressione (manometro differenziale o trasduttore di

pressione). La tipica configurazione di un reattore batch per la misura manometrica del biogas

prodotto è raffigurato in figura 4.8.

Gli strumenti manometrici hanno preso origine dal respirometro di Warburg nel quale il gas

prodotto in un volume costante è misurato dall’incremento di pressione registrata da un

manometro differenziale25.

Il gas prodotto è periodicamente sfiatato per evitare che i valori di pressione superino la soglia

suggerita dal costruttore, oltre la quale la tenuta del sistema non è più garantita. La precisione

dello strumento è dell’ordine del mL di gas prodotto. Un volume noto di biogas, prelevato dallo

spazio di testa delle bottiglie, è stato fatto gorgogliare in una soluzione di soda che consente di

assorbire la CO2 presente e di valutare il volume restante, ascrivibile al gas metano (CH4); utile

per stimare il BMP.

I principali vantaggi del metodo manometrico sono:

- impiego di strumenti di larga diffusione;

- misura in continuo dei dati di pressione;

- possibilità di misurare, la composizione del biogas, in termini di produzione di metano e

quindi, il BMP.

-

Fig. 4.8. Illustrazione schematica di un sistema di misura manometrico.

25 Umbreit W.W., Burris R.H. e Stayffer J.F., (1964). “Manometric Techniques” 4th ed. Burgess, Berks.

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4.3.7 Risultati della sperimentazione La durata della sperimentazione del processo di digestione anaerobica va da 30 a 120 giorni, nel

caso di substrati lignocellulosici. Si riportano i dati parziali della sperimentazione effettuata

presso i laboratori dell’Istituto Asteria dopo 80 giorni di digestione per la sansa e 70 per l’acqua

di vegetazione (AV).

Nella tabella 4.5 e Figura 4.9 sono riportati rispettivamente i dati di produzione media di biogas l

(CH4), e le rispettive curve di produzione di metano per la digestione anaerobica della sansa,

mentre in tabella 4.6 e figura 4.10 per AV.

Da questi dati si vede come in termini le AV hanno una produttività decisamente superiore a

quella delle sanse nonostante il pH basso e la presenza dei polifenoli. È interessante notare anche

come in circa 20 giorni le AV hanno già praticamente espresso tutta la loro capacità mentre le

sanse hanno ancora la possibilità di incrementare la loro produzione di probabilmente un altro

10-15%.

Tab. 4.5. Produzione media di biogas (CH4) dalla sansa*. media produzione specifica l CH4/kgSV

media produzione specifica l CH4/kgST

media produzione specifica l CH4/kgTQ

860,50 465,30 72,50* Valori medi di 3 campioni di sansa (due da impianto continuo 2,5 fasi e uno da 3 fasi).

Fig. 4.9. Curve di produzione media di biogas (CH4) dalla sansa*.

* Valori medi di 3 campioni di sansa (due da impianto continuo 2,5 fasi e uno da 3 fasi).

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Tab. 4.6. Produzione media di biogas (CH4) da Acqua di vegetazione*.

*Valori medi di un campione AV(da impianto continuo 2,5 fasi).

Fig. 4.10. Curve di produzione media di biogas (CH4) da Acqua di vegetazione.

*Valori medi di un campione AV (da impianto continuo 2,5 fasi). Si può considerare nella sperimentazione una produzione media di CO2 pari a 48,33 l CO2/Kg

TQ sansa ( 48,33m3 CO2/ tTQ sansa), che corrisponde a 94,90 Kg CO2/t TQ sansa.

Non essendo disponibile il digestato (contenuto all’interno del reattore per la DA), in quanto la

sperimentazione è ancora in corso, non è stato possibile valutare il suo riutilizzo come

fertilizzante. Alla fine della sperimentazione, stimata per la prima settimana di agosto, si potrà

procedere alla sua caratterizzazione mediante le seguenti determinazioni (sostanza organica

totale, azoto totale e fosforo totale).

media produzione specifica l CH4/kgSV

media produzione specifica l CH4/kgST

media produzione specifica l CH4/kgTQ

5498,84 2115,97 165,63

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4.3.8 Conclusioni Anche la composizione del gas prodotto nelle prove sperimentali può differire da quelle

stechiometricamente attesa perché l’anidride carbonica, presentando una solubilità circa 20 volte

maggiore rispetto a quella del metano, è parzialmente disciolta nella fase liquida dove può

ionizzare a dare bicarbonato e carbonati. Ne consegue che la percentuale di metano nel biogas è

generalmente più alta di quella prevista dalla stechiometria. La reale produzione di metano,

anche definita in letteratura come BMP (Biochemical Methane Potential, Potenziale Biochimico

di Metanizzazione), è definita come la produzione del gas che si osserverebbe per un tempo di

degradazione infinito. Sperimentalmente, il tempo di degradazione è finito e il potenziale

metanigeno può essere stimato dall’estrapolazione di una curva di produzione di metano nel

tempo (Fig. 4.9).

Dai risultati della sperimentazione la sansa produce un valore medio di 860.50 l CH4/kgSV che

sono circa 0,860 m3 di metano/Kg SV e dato che rappresenta il 60% del biogas, corrisponde a

1,43 m3 di biogas/KgSV o 1.430 m3 di biogas/tSV invece in termini di sansa tal quale

corrisponde a 0,121 m3 di biogas/KgTQ o 121 m3 di biogas/tTQ (121.000 l di biogas/tTQ ).

72,50 l CH4/kgTQ =0,0725 m3 di metano/KgTQ).

La produzione di biogas per tonnellata di sansa (SV) è di 1.430 m3 di biogas, in cogenerazione è

possibile ricavare da 1 m3 di biogas mediamente 1,8 kWh di energia elettrica (kWhe) e 2,2 kWh

di energia termica (kWht), si può schematizzare il seguente bilancio energetico:

1 per funzionamento del digestore. 2(valore medio) per il riscaldamento e mantenimento costante della t del digestore.

DA

Sansa (t) Biogas (1.430 m3 di biogas/tSV)

Motore

cogenerativo

Digestato

2.574 (kWhe)

3.146 (kWht)

10%autoconsumo1

90%ventida/utilizz

40% autoconsumo2

60% utilizzabile

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5 Compostaggio 5.1 Processo Il compostaggio è un processo biologico che consiste nella decomposizione aerobica (in

presenza di ossigeno) della frazione organica di residui fermentescibili di origine naturale

(vegetali o animali) in un prodotto finale stabilizzato, ricco di sostanze simili all’humus, detto

compost, dal latino “compositum” ossia costituito da più materiali. Il processo può avvenire

spontaneamente in natura, è il caso della decomposizione della lattiera dei terreni forestali o della

maturazione del letami in cumuli, oppure può essere controllato o orientato dall’uomo attraverso

tecniche che consentono di ottimizzare le varie fasi.

Il compostaggio è un “processo aerobico di decomposizione biologica della sostanza organica

che avviene in condizioni controllate e permette di ottenere un prodotto biologicamente stabile in

cui la componente organica presenta un elevato grado di evoluzione”26.

Si tratta, essenzialmente, dello stesso processo di trasformazione che in natura ricorre spesso in

diversi contesti quali, per esempio, la lettiera dei terreni forestali o i cumuli di letame in

maturazione, con la differenza che, nelle applicazioni tecnologiche, esso viene opportunamente

incrementato ed accelerato.

La matrice del compostaggio è costituita da scarti, residui e rifiuti organici fermentescibili,

provenienti dal sistema di gestione dei rifiuti e in seguito trasportati in appositi impianti. È

possibile così stornare una cospicua quantità di rifiuti altrimenti destinati alle discariche ed agli

inceneritori. Questo sistema è un indispensabile complemento alle tradizionali forme di

riciclaggio; esso consente infatti di recuperare sostanza organica per reintegrarla nei terreni,

prevenendo i fenomeni di erosione, incrementando la fertilità biologica dei suoli e contribuendo

al ripristino dei siti contaminati da composti tossici. Aggiungendo al riciclaggio della carta, del

vetro, dei metalli e delle plastiche il riciclaggio della frazione putrescibile, non è irrealistico

arrivare a livelli di recupero del 60-70% sull’intero quantitativo di partenza.

Va fatta distinzione, fondamentale, tra compost proveniente da rifiuti preselezionati, nominato

convenzionalmente compost di qualità; e compost proveniente da rifiuti separati a valle,

attraverso impianti di trattamento meccanico-biologico, nominato compost da rifiuti o

biostabilizzato. Per rifiuti preselezionati si intende la frazione organica da raccolta differenziata

degli RU (rifiuti urbani) e i residui organici delle attività agro-industriali, quali: le industrie della

26 Keener M, Marugg C., Grebus M., Hansen R.C., and Hoitink H. A. J.. (1993) A Kinetic Model of the Yard Waste Composting Process, Compost Science and Utilization. 1(1): 38-51

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carne (macelli, salumifici, lavorazione e inscatolamento carne…), le industrie delle conserve

vegetali e delle bevande, gli zuccherifici, le distillerie, gli stabilimenti enologici, l’industria della

birra, i frantoi oleari e gli allevamenti zootecnici.

5.1.1 Fasi del processo Il materiale organico di partenza può contenere percentuali diverse di sostanza organica in grado

di fermentare. La fermentazione avviene ad opera di microrganismi aerobi che attaccano e

degradano i composti organici traendo da essi l’energia necessaria per le loro attività

metaboliche.

Fig. 5.1. Il processo di compostaggio27

27 Donato R., Della Medaglia D.A., Sacchi R.. Il compostaggio della sansa vergine - Risultati delle prove sperimentali condotte in Campania e Guida pratica al compostaggio della sansa vergine. Dipartimento di Scienza degli Alimenti, Università di Napoli Federico II. Facoltà Agraria, Portici (Napoli), Italy.

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Il compostaggio si svolge essenzialmente attraverso due fasi principali (Fig. 5.1): una fase di bio-

ossidazione e una fase di maturazione. Nella fase di bio-ossidazione si sviluppa inizialmente una

microflora mesofila in grado di vivere in condizioni di temperatura compresa tra 15 e 45 °C,

prevalentemente tra 37 e 40°C.

La microflora mesofila inizia la demolizione delle matrici di partenza con la decomposizione dei

composti organici più semplici e prontamente degradabili quali zuccheri semplici, amminoacidi,

proteine, acidi organici.

L’attacco mesofilo può durare da poche ore ad alcuni giorni essendo legata alla natura delle

matrici e alle condizioni ambientali (tenore in acqua e ossigeno), le quali influenzano il

metabolismo microbico e di conseguenza l’andamento e la velocità del processo.

Contemporaneamente alla fase di crescita microbica, si assiste al progressivo aumento della

temperatura della massa in via di decomposizione, poiché, dal metabolismo microbico viene

liberata energia sottoforma di calore che rimane intrappolato nella massa in trasformazione.

L’aumento di temperatura porta alla graduale sostituzione della microflora mesofila con quella

termofila, in grado di vivere in condizioni di temperatura comprese tra 456 e 70 °C. la microflora

che si sviluppa è in grado di operare la decomposizione delle sostanze rapidamente degradabili

con formazione, in un primo momento, di composti intermedi che possono risultare tossici per le

pinte (acidi grassi volatili a corta catena quali ac. Acetico, propionico e butirrico ecc.) i quali

vengono in seguito rapidamente metabolizzate dalle popolazioni microbiche. Questa fase

corrisponde a quella di massima temperatura e di elevata richiesta di ossigeno da parte dei

microrganismi e può durare a lungo in funzione delle condizioni ambientali. Le elevate

temperature che si raggiungono e che si protraggono per più giorni fanno si che il materiale

sottoposto al compostaggio subisca una vera e propria igienizzazione di eventuali semi di

infestanti.

In seguito alla completa decomposizione dei prodotti facilmente degradabili, l’intensità dei

processi metabolici diminuisce e si assiste alla progressiva diminuzione della temperatura della

massa. Inizia la fase di maturazione in cui altri gruppi microbici, tra cui attinomiceti e funghi,

risultano attivamente impegnati nella degradazione di composti più lentamente degradabili quali

cellulosa e lignina essenziali per la formazione dell’humus. In questa fase si assiste alla graduale

scomparsa di prodotto intermedi fitotossici e all’avvio di processi di umificazione della sostanza

organica che porterà alla formazione dell’humus, aggregato di composti di varia natura, non ben

definiti, profondamente diversi dal punto di vista biochimico dai composti di partenza. Nel corso

dell’umificazione, i prodotto di degradazione si associano in strutture complesse umosimili che

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nel corso della maturazione varieranno sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo. All’inizio

saranno maggiormente presenti composti con basso peso molecolare (acidi fulvici) man mano

che il processo di maturazione andrà avanti preverranno i composti ad elevato peso molecolare

(acidi umici).

Nel compost in maturazione lo sviluppo di attinomiceti è fondamentale ai fini dell’umificazione;

il loro intervento è facilmente rilevabile per la produzione di composti aromatici (tra cui la

geosmina) che conferisce il tipico odoro di terriccio al bosco al prodotto finito.

Nella fase finale del compostaggio si potrà assistere alla colonizzazione della massa da parte di

insetti, nematodi, anellidi ed acari, che contribuiranno all’ulteriore amminutamento del materiale

compostato ed al mescolamento dei compost organici e minerali.

5.1.2 Parametri del processo L’attività dei microrganismi nella decomposizione della sostanza organica è influenzata da un

insieme di fattori che condizionano l’andamento del processo di compostaggio, tra questi i

principali sono il rapporto carbonio/azoto, umidità, ossigeno, temperatura.

I composti del carbonio vengono utilizzati dai microrganismi eterotrofi come fonte di energia

mentre l’azoto viene utilizzato per sintetizzare le proteine. In media per ogni atomo di azoto

vengono utilizzati 30 atomi di carbonio. Di conseguenza, la miscela iniziale del materiale da

compostare, dovrebbe assicurare una composizione chimica tale da avere valori di C/N intorno a

30. Valori di carbonio in eccesso possono provocare un rallentamento delle attività microbica e

quindi del processo di decomposizione., valori in eccesso di azoto determinano perdite di azoto

per volatilizzazione dell’ammoniaca accentuate dal pH e temperature elevate.

L’umidità è fondamentale per la vita dei microrganismi e affinché la loro attività si svolga in

condizioni ottimali è necessario che all’interno della massa di fermentazione si abbiano

condizioni di umidità comprese tra il 50-70%. Valori di umidità superiori al 70% possono

ostacolare il ricambio gassoso, mentre al contrario contenuti inferiori al 40% possono

determinare un arresto del processo.

L’ossigeno è indispensabile per una attività microbica e una carenza porta allo sviluppo di

popolazioni microbiche che instaurano processi putrefattivi con produzione di composti

maleodoranti quali ammoniaca (odore pungente) e idrogeno solforato (odore di uova marce). È

fondamentale soddisfare le richieste di ossigeno soprattutto nella fase iniziale del processo e in

corrispondenza della più intensa attività microbica (tra 28-55°C). In particolare, durante la fase

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di bio-ossidazione la presenza di ossigeno dovrebbe essere compresa almeno tra il 5 e il 15% del

volume del cumulo mentre, la fase di maturazione richiede un apporto di ossigeno inferiore (1-

5%).

La temperatura è il parametro che consente di monitorare in modo semplice l’andamento del

processo. È necessario evitare che essa superi i 60°C in quanto provocherebbe la scomparsa della

maggior parte dei microrganismi a vantaggio solo di un ristretto gruppo microbico in grado di

sopravvivere a tali temperature.

5.1.3 Valutazione della qualità del compost La qualità di un compost deve essere valutata tenendo conto di alcuni aspetti fondamentali che

riguardano il grado di stabilità, le proprietà agronomiche e le caratteristiche ambientali.

Dal processo di compostaggio si deve originare un prodotto stabile costituito, cioè, da sostanza

organica stabilizzata. La stabilizzazione porta alla formazione di un materiale maturo ricco di

humus facilmente conservabile ed esente da composti di azione tossica sui vegetali.

L’impiego, infatti, di materiali organici non maturi può provocare un rallentamento dello

sviluppo delle piante dovute a diversi fattori tra cui, la persistenza di prodotti fitotossici che

ancora non sono stati degradati ma che in seguito alla stabilizzazione scompaiono, la presenza di

un elevato rapporto carbonio/azoto che comporta una competizione per l’azoto tra microrganismi

del suolo e radici.

La maturità di un compost può essere valutata attraverso la determinazione di numerosi

parametri sia chimici che biologici.

Le proprietà agronomiche del compost variano in funzione del materiale organico di partenza e

sono, inoltre, direttamente collegate al contenuto di macro e microelementi e in sostanza

organica umificata. Nella tabella 5.1 vengono riportate le caratteristiche agronomiche di base in

diversi tipi di compost.

Il compost da scarti alimentari presenta un rapporto equilibrato tra i tre principali elementi della

fertilità, azoto, fosforo e potassio, inoltre presenta un elevato contenuto in magnesio e ferro e un

valore di conducibilità che può rappresentare un limite nel caso in cui un materiale venga

direttamente a contatto con l’apparato radicale.

Il compost da fanghi biologici presenta caratteristiche similari ad eccezione del più elevato

contenuto in fosforo, dal basso contenuto in potassio e del pH più vicino alla neutralità.

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Il compost da scarti zootecnici ha un migliore dotazione in azoto, un elevato contenuto in fosforo

e valori di conducibilità più contenuti.

Nel compost da scarti verdi il contenuto in macroelementi (N, P, K) e microelementi (Mg, Mn,

Fe) è minore rispetto agli altri.

Tab. 5.1. Caratteristiche agronomiche di base in compost di diversa provenienza.

Scarti alimentari*

Fanghi biologici*

Scarti zootecnici

Scarti verdi

Umidità % 40 – 55 40 -55 35 -50 48 -55 Azoto % ss 1.79 1.78 3.01 1.07 Fosforo (P2O4) % ss 1.38 2.13 8.93 0.74 Potassio (K2O) % ss 1.26 0.67 1.06 0.42 Carbonio Organico Totale % ss 25 24 30 22 pH 8.15 7.21 8.01 7.81 Conducibilità elettrica spec. µS/cm 3.730 2.470 1.890 980 Solidi volatili % ss 49.48 43.67 51.50 43.63 Magnesio % ss 1.53 1.23 1.07 1.08 Manganese mg/Kg ss 294.32 273.33 360.25 303.32 Ferro mg/Kg ss 13.600 9.490 3.410 2.690 (*) il compost da scarti alimentari e da fanghi biologici vengono prodotti a partire da miscele che contengono una certa percentuale lignocellulosici28

5.2 Normativa per la produzione di compost da sanse vergini. La produzione di compost da sanse vergini è regolata da due normative: il D.M. 5 febbraio 1998

e la legge n. 748 del 19 ottobre 198429.

Il D.M. 05/02/98 individua i rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di

recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Decreto Ronchi) e

definisce le norme tecniche che fissano per ciascun rifiuto non pericoloso30: 28 Cementero M., Corti C. Caratteristiche tecniche del compost per un’agricoltura sostenibile. L’informatore agrario, 6, 33-39 (2000). 29 Decreto ministeriale 5 febbraio 1998. “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. S.O.G.U. n. 88 del 16 aprile 1998. (aggiornato con le modifiche apportate dal: D.M. 9 gennaio 2003; D.M. 27 luglio 2004); Legge 19 ottobre 1984, n. 748. “Nuove norme per la disciplina dei fertilizzanti”. S.O.G.U. 305 del 6 novembre 1984.

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- la provenienza,

- le caratteristiche del rifiuto,

- l’attività di recupero,

- le caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti.

Tra le attività di recupero dei rifiuti non pericolosi, il decreto prevede anche il compostaggio,

pertanto, individua nell’allegato 1 al punto 16 le tipologie di rifiuti compostabili che possono

essere sottoposte a tale processo per la produzione di compost di qualità.

Ogni rifiuto è identificato con uno specifico codice, il cosiddetto codice “C.E.R.” (Codice

Europeo Rifiuti).

Tra i rifiuti vegetali non pericolosi derivanti da attività agro-industriali la sansa vergine,

sicuramente, appartiene alla categoria di rifiuti provenienti da produzioni, trattamento e

preparazione di alimenti in agricoltura ecc, (02) e alla sub-categoria dei rifiuti provenienti dalla

preparazione e dal trattamento di oli alimentari (03) la cui lavorazione viene attuata solo

attraverso processi fisico-meccanici.

Il codice completo, a sei cifre, dovrebbe essere 020304 “scarti inutilizzabili per il consumo o la

trasformazione”, poiché, sebbene possa essere considerata una scarto utilizzabile per la

trasformazione (industria mangimistica o degli oli di sansa) è come tale inutilizzabile per il

consumo. Pertanto rientra tra i rifiuti che possono essere avviati al compostaggio.

5.3 Sperimentazione del compostaggio su campioni di sansa. 5.3.1. Introduzione L’attuale normativa in materia di reflui oleari, legge 574/199631, consente l’utilizzazione

agronomica dei reflui tal quali (acque di vegetazione e sanse umide) su terreni adibiti ad uso

agricolo ponendo dei vincoli in merito alle categorie di terreno che possono ricevere tali reflui, ai

tempi di stoccaggio delle A.V. ai quantitativi massimi consentiti.

30 Decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22.”Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti , 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi”. S.O.G.U. n. 38 del 15 febbraio 1997 e s.m.i. 31 Legge 11 novembre 1996, n. 574. ”Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarico del frantoi oleari”. G.U. 265 del 12 novembre 1996.

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Le restrizioni all’uso dei reflui oleari nascono sia dalla necessità di salvaguardare l’ambiente che

di rispettare la capacità del terreno di metabolizzare questo tipo di reflui, riducendo eventuali

problemi legati all’insorgenza di tossicità per le piante e alle alterazioni delle proprietà fisiche,

chimico e biologiche del suolo.

Negli ultimi anni, la necessità di somministrare terreno ai prodotti con più elevato valore

agronomico rispetto ai reflui tal quali ha orientato la ricerca verso l’utilizzazione dei processi

biologici basati sulla stabilizzazione aerobica delle acque di vegetazione e delle sanse vergini.

5.3.2 Compostaggio della sansa vergine L’attività dei microrganismi responsabili della trasformazione della sostanza organica è alla base

del processo di compostaggio il quale per dar luogo ad un prodotto finito di elevata qualità deve

essere condotto in maniera da ottimizzare i fattori che influenzano l’attività microbica (umidità,

aerazione, temperatura).

Sono state realizzate 3 prove di compostaggio in cumuli areati, utilizzando una pala per il

rivoltamento del cumulo che viene effettuata con una cadenza di circa 20 giorni.

Il ciclo di processo è stato lo stesso per tutte le prove effettuate, una con sanse da impianti a 3

fasi e due con sanse da impianti a 2,5 fasi ed può essere così schematizzato:

a) preparazione della matrice organica da compostare costituita dalle opportune miscele

(sansa vergine, letame, segatura e paglia e polvere calcarea), secondo il rapporto riportato

in tabella 5.2;

b) periodico rivoltamento della biomassa (ogni 15-20 giorni) per garantire idonee condizioni

di areazione, umidità, temperatura e ossigenazione della biomassa durante il processo

biossidativo;

c) periodico rilievo (ogni 15-20 giorni) dei valori di temperatura raggiunta dalla biomassa;

d) periodico campionamento della biomassa per la valutazione del contenuto in umidità

della massa organica durante il processo biossidativo;

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e) ultimazione della prova, dopo circa 240 giorni di compostaggio.

Le prove sono state impostate nell’ambito di una attività di ricerca sviluppata presso l’istituto

ASTERIA.

Tab. 5.2. Rapporti di miscelazione, proprietà chimiche iniziali e finali di fertilità, ottenuti dal compostaggio di sanse vergini, segatura e polvere calcarea32 Sansa

VergineLetame Segatura

o paglia Polvere calcarea

Miscela

Composizione

% in peso

80

10

8

2

100

Umidità

%

60

30

10

2

51.84

Azoto totale

% ps

0.76

5.20

0.4

0.01

1.16

Carbonio organico totale

% ps

51.40

41.60

80.30

0.15

51.70

Rapporto C/N

-

-

-

-

33.57

5.3.3 Risultati della sperimentazione I risultati ottenuti dalle prove di compostaggio hanno evidenziato la possibilità di poter

compostare tutti i sottoprodotti della filiera olivicolo-olearia, purché opportunamente miscelati

con altre sostanze organiche ricche di azoto.

Le prove preliminari di compostaggio, avvenute su cumuli posti all’aperto, hanno consentito di

ottenere compost di qualità da miscele a base di sansa vergine proveniente da diverse tipologie

d’impianti (continuo a 3 fasi e 2,5 fasi). La caratterizzazione chimico-fisica del compost ottenuto

è riportata in tabella.5.1.

32 Tomati U.. Stato dell’arte sul problema dell’utilizzazione dei reflui oleari – Programma Nazionale di Ricerca “Reflui del sistema agricolo – industriale” – legge 95/95 – Settore Ambientale, sottoprogetto “ Reflui oleari” CNR – MURST Roma, (2000).

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Tab. 5.1. Caratterizzazione chimico-fisico del compost ottenuto dopo 8 mesi.

Tipologia d’impianto

Continuo a 3 fasi

Continuo 2,5 fasi

Continuo 2,5 fasi

pH*

7,65

7,75

7,70

Sostanza organica*

(% S.O.)

94,80

95,60

95,95

Azoto totale *

(N) %ps

1,70

1,95

1,90

Fosforo totale*

(P2O5) %ps

0,59

0,54

0,52

Metodi APAT IRSA-CNR *Valori medi 5.3.4 Conclusioni della sperimentazione La correlazione dei risultati ottenuti dalle analisi chimico-fisiche, sul prodotto compostato

durante la sperimentazione, consente di trarre le seguenti conclusioni:

• Il recupero della sostanza organica dai sottoprodotti dell’industria olearia e più in

generale dagli scarti vegetali, attraverso un processo di biossidazione, è una pratica utile

se non indispensabile per gestire una moderna agricoltura, attenta alla qualità e

all’ambiente. La sansa vergine non contiene metalli pesanti, inquinanti tossici, o

organismi patogeni, ed è costituita nella sua integralità da sostanza organica di origine

vegetale, per cui rientra perfettamente nella categoria degli ammendanti organici

utilizzabili anche in agricoltura biologica;

• Al fine di valorizzare le caratteristiche agronomiche dei sottoprodotti dell’industria

olearia, è opportuno, tuttavia, procedere ad una idonea umificazione della sostanza

organica, miscelata con altri sottoprodotti ricchi di azoto, con una fase termofila

sufficientemente estesa; infatti molti Autori, sottolineano l’importanza dell’apporto di

altre matrici organiche per la produzione di compost di qualità. Oltre agli scarti delle

filiere agro-alimentari, infatti, tra i quali quelli provenienti dalle filiere olivicolo-oleari,

lattiero-casearia, e viticola-enologica, altre matrici co-compostabili sono costituite dai

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fanghi di depurazione e dalla frazioni umide degli rifiuti solidi urbani da raccolta

differenziata, che a livello quantitativo possono fornire un consistente contributo al

riciclo di sostanza organica al terreno con conseguenti riflessi utili alla salvaguardia

dell’ambiente.

Il compostaggio è una prospettiva molto promettente nella politica del riciclo dei sottoprodotti

organici, in vista della produzione di fertilizzanti da impiegare tal quali o come base per

formulati. Per loro natura, infatti, i sottoprodotti della lavorazione olearia possono essere

considerati un ottimo materiale di partenza per ottenere compost di “qualità”.

Il prodotto finale è esente da xenobiotici, è ricco di nutrienti minerali e di sostanza organica

stabilizzata. Il compostaggio è un processo naturale di trasformazione biologica della

composizione originaria della matrice organica che produce un materiale stabilizzato,

mineralizzato, igienizzato e fitocompatibili.

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6 Analisi ambientale 6.1 Introduzione Il progetto ha anche l’obiettivo di valutare l’eventuale preferibilità ambientale (in termini CO2,

input/output) del processo di combustione (C) e di digestione anaerobica (DA) della sansa per la

produzione di energia elettrica rispetto ai combustibili fossili; inoltre è stato stimato l’impatto

ambientale del processo di compostaggio.

I dati medi di CO2 emessa, nelle prove sperimentali di laboratorio, sono riportate nel paragrafo

3.3.2 Potere calorifico (pag 16), per la combustione e nel paragrafo 4.3.7 Risultati della

sperimentazione (pag 44), per la digestione anaerobica.

6.2 Identificazione e quantificazione degli aspetti ambientali oggetto di analisi La nostra analisi non andrà a valutare gli impatti ambientali derivanti dall’intero ciclo di

produzione di energia elettrica dalla sansa, considerando quindi anche le fasi di coltivazione e

crescita delle piante dell’ulivo, ma si concentrerà esclusivamente sull’attività svolta all’interno

dell’azienda, con l’eccezione della fase di trasporto della sansa vergine allo stabilimento, attività

che viene invece effettuata da aziende terze.

La ragione per cui si è deciso di escludere dall’analisi le fasi relative all’ottenimento della sansa

(escludendo tutte le fasi di coltivazione dell’ulivo) è stata prevalentemente una ragione pratica; si

è optato quindi per un semplificato, altrimenti lo studio sarebbe risultato troppo laborioso, in

particolare per il reperimento dei dati necessari all’analisi.

Inoltre, la sansa, visto il suo valore commerciale, trascurabile rispetto al prodotto principale (cioè

l’olio di oliva), può essere considerata alla stregua di un rifiuto, permettendoci, così, di allocare

al prodotto principale tutti i carichi ambientali relativi alla fase di coltivazione dell’ulivo e di

estrazione dell’olio. Per la maggior parte dei dati utilizzati si tratta di “primary data”, cioè informazioni reperite in

laboratorio, come accennato precedentemente, tuttavia si è reso necessario l’utilizzo di cosiddetti

“secondary data”, cioè dati ricavabili dalla letteratura o da banche dati appositamente

predisposte.

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6.3 Digestione anerobica e Combustione diretta Le biomasse di origine vegetale sono considerate neutre per quanto attiene l'effetto serra poiché

l'anidride carbonica (CO2) rilasciata durante la combustione viene riassorbita dalle piante stesse

mediante il processo di fotosintesi.

Il basso contenuto di zolfo e di altri inquinanti fa sì che, quanto utilizzate in sostituzione di

carbone o di olio combustibile, le biomasse contribuiscano ad alleviare il fenomeno delle piogge

acide. La CO2 prodotta dalla combustione del metano ricavato dalla digestione anaerobica

permette di pareggiare il bilancio dell'anidride carbonica emessa in atmosfera: infatti la CO2

emessa dalla combustione del biogas è la stessa CO2 fissata dalle piante (o assunta dagli animali

in maniera indiretta tramite le piante), al contrario di quanto avviene per la CO2 emessa ex-novo

dalla combustione dei carburanti fossili.

Restano da prendere in considerazione eventualmente solo le emissioni causate dalle operazioni

di trasporto di questi scarti dai luoghi di produzione alle centrali di produzione energetica.

Ulteriore vantaggio ecologico nell'utilizzo del biogas, è quello di impedire la diffusione nella

troposfera del metano emesso naturalmente durante la decomposizione di carcasse e vegetali: il

metano è infatti uno dei gas-serra più potenti ed è quindi auspicabile la sua degradazione in CO2

e acqua per combustione. L'emissione di 1 kg di CH4, in un orizzonte temporale di 100 anni,

equivale ad emettere 21 kg di CO2.

6.3.1 Bilancio ambientale della DA e C Si riportano alcune simulazioni relative impatto ambientale, in termini di CO2, input e output, del

processo di digestione anaerobica (DA) e combustione diretta (C) confrontandole

rispettivamente, con i valori di un motore a combustione interna che produce la stessa quantità di

energia elettrica ma alimentato a gasolio e con i valori di una caldaia (con potenza termica < 50

MW) che utilizza carbone.

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1t CO2 annue riassorbita dalle specie vegetali nel loro ciclo di accrescimento.

Fig. 6.1. Scenario 1: produzione di energia da biogas derivante DA di sansa mediante motore di potenza di100KW. Fattore di emissione CO2 utilizzato per metano è di 55,83 kg/GJ33

Fig. 6.2. Scenario 2: produzione di energia da gasolio mediante motore di potenza di 100KW. Fattore di emissione CO2 utilizzato per il metano è di 74,00 kg/GJ34 La valutazione ambientale, eseguita per l’indicatore di impatto di riscaldamento globale (CO2),

ha portato ai risultati schematizzati nei scenari 1 e 2 per la digestione anaerobica (DA) e nei

scenari 3 e 4 per e combustione (C) (Fig. 6.1-6.4). Per gli scenari 1 e 3 il bilancio ambientale per

33 APAT (Agenzia Nazionale Protezione Ambiente e Servizi Tecnici) (2004). Rapporto sui rifiuti 2004. Volume I: Rifiuti urbani, ONR (Osservatorio Nazionale sui Rifiuti), Roma, APAT-ONR. 34EMEP/CORINAIR, 1999. “Atmospheric Emission Inventory Guidebook”, 2nd edition, September 1999; Database dei fattori di emissioni, http://www.inventaria.sinanet.apat.it.,

INPUT

GASOLIO

OUTPUT

- 213,12 tCO2/a

Motore 100 KW

(800.000Wh/a)

INPUT

Motore 100 KW

(800.000 KWh/a)

BIOGAS

286.000 m3 biogas/SV

Sansa

(200t)

-160,79 tCO2/a1 160,79 tCO2/a

OUTPUT

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la CO2 è uguale a zero, ciò vuol dire che essi determinano un risparmio di t CO2 ( Fig. 6.1 e Fig.

6.3).

1t CO2 annue riassorbita dalle specie vegetali nel loro ciclo di accrescimento.

Fig. 6.3. Scenario 3: produzione di energia mediante combustione diretta di sansa con caldaia con potenza termica <50MW. Fattore di emissione CO2 utilizzato per scarti vegetali è di 16,75 GJ/Kg35

Fig. 6.4. Scenario 4: produzione di energia mediante combustione diretta di sansa con caldaia con potenza termica <50MW. Fattore di emissione CO2 utilizzato per carbone è di 94,00 GJ/Kg36

35 EMEP/CORINAIR, 1999. “Atmospheric Emission Inventory Guidebook”, 2nd edition, September 1999; Database dei fattori di emissioni, http://www.inventaria.sinanet.apat.it/. 36 EMEP/CORINAIR, 1999. “Atmospheric Emission Inventory Guidebook”, 2nd edition, September 1999; Database dei fattori di emissioni, http://www.inventaria.sinanet.apat.it/.

INPUT

Caldaia con

potenza termica < 50 MW

(1.721.112,49Wh/a)

Carbone (200t)

P.C.I 30,98 GJ/t

- 582,36 tCO2/a

OUTPUT

INPUT

Caldaia con

potenza termica < 50 MW

( 1.091.667 Wh/a)

SANSA (200t)

P.C.I 19,65 GJ/t

-65,87 tCO2/a1 65,87 tCO2/a

OUTPUT

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Lo scenario 1 determina un risparmio di emissioni di gas serra pari a 213 tCO2/annue rispetto

all’utilizzo di gasolio; mentre lo scenario 3 un risparmio di 582 tCO2/annue rispetto l’utilizzo di

carbone (Fig. 6.5).

6.4 Compostaggio La valutazione dell’impatto ambientale dalla pratica del compostaggio è molto complessa, dato il

numero di elementi da considerare tra i carichi energetici ed ambientali delle varie fasi del

processo. È rilevante l’aspetto delle emissioni di CO2 in atmosfera, che contribuiscono al 67%

dell’effetto serra37. Infatti, mentre nei processi d’incenerimento il bilancio delle emissioni di CO2

in atmosfera è neutro o quasi, nel compostaggio è negativo: il credito di CO2 non si annulla

poiché una quantità di carbonio organico è intrappolata in modo pressoché permanente

nell’humus in cui si trasforma. Per quanto riguarda questa funzione di carbon sink attribuibile

37 EPEA (Environmental Protection Encouragement Agency) Internationale Umnweltforschung Gmbh (2004), Boden, -Ressourcen und Klimatschutz durch Kompostierung in Deutschland (Tutela del suolo – Risorse e tutela del clima tramite il compostaggio in Germania), Hamburg, http://www.epea.com/Bioabfallkompost.htm.

31

2

4

0

100

200

300

400

500

600

700

DA C

t CO

2/ann

o

Sansa Gasolio/Carbone

Fig. 6.5. Impatto ambientale, tCO2/anno emessa degli scenari 1 e 2 per la DA e 3 e 4 per la C.

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all’uso agronomico del compost, alcuni studi indicano che un aumento dello 0,17% di SO nei

suoli darebbe luogo ad una sottrazione di 18 t/HA di CO2 in atmosfera (CRPA).

L’aumento della SO è anche un indicatore dello stato di salute di un agro-ecosistema (CE). In

particolare il degrado biologico, con la riduzione di SO e di biodiversità, peggiora lo stato di

qualità del suolo (Gli obiettivi da raggiungere riguardano il bilancio dell’azoto, la fertilità fisica,

la biodiversità microbiologica. Le strategie da adottare devono usare simultaneamente rotazioni

lunghe, apporti di letame e ammendanti, tecniche di lavorazione conservativa e restituzioni dei

residui colturali - CE)38.

Non vi sono dati nazionali sulla SO nel suolo ma è noto che essa è scarsa negli ambienti

mediterranei, dove la coltivazione e le condizioni del clima, con stagioni calde seguite da

stagioni fresche e piovose, favoriscono i processi di degradazione e mineralizzazione. L’apporto

di compost può poi contenere la stanchezza del terreno, ricostruire la flora microbica, e assorbire

metalli e fitofarmaci.

A favore del compostaggio vi è anche il contributo della produzione e dell’uso agricolo del

compost nel prevenire la produzione e l’immissione di fertilizzanti chimici nell’ambiente. In

breve, l’applicazione del compost riduce l’impatto ambientale dell’attività agricola e migliora gli

indici di eco-efficienza39.

38 Dono G. e Severini S. Le misure agro-ambientali e il sostegno all’uso agronomico del compost nei suoli delle aziende agricole intensive. Economia & Diritto Agroalimentare, n. 3/2006, pp. 261-267. 39 APAT (2005), Annuario dei dati Ambientali - Edizione 2004, APAT.

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7 Valutazione economica 7.1 Introduzione Importanti conferenze e summit internazionali, quali ad esempio la conferenza di Stoccolma

(1972)40, Kyoto (1997)41, il summit mondiale di Johannesburg (2002)42, evidenziano che la

formula attraverso la quale i governi di tutto il mondo prendono le loro mosse è sempre la stessa:

“necessità di crescita economica coordinata con lo sviluppo sostenibile”43. Allo stesso tempo la

crescita economica è legata alla crescita del consumo energetico e quindi la domanda di energia

è destinata a crescere nei prossimi anni a causa del ritmo di sviluppo dei Paesi Emergenti e

dell’aumento della popolazione mondiale.

L’urgenza di differenziare le fonti energetiche, a seguito della crisi del petrolio, l’aumento della

domanda di energia e il dibattito politico internazionale sui cambiamenti climatici, sta

determinando nel panorama mondiale una crescente attenzione per tutte le risorse energetiche

rinnovabili per il loro contributo alla riduzione della dipendenza dalle importazioni e

all’aumentare della sicurezza dell’approvvigionamento, oltre che all’importante contributo alla

riduzione delle emissioni dei gas-serra. In questo scenario le biomasse giocano un ruolo

fondamentale per la realizzazione di un sistema di generazione distribuita, favorendo, nello

stesso tempo, lo sviluppo locale e la creazione di nuove opportunità per il settore agricolo.

40 Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente Umano, Stoccolma – Svezia, 1972. 41 Il Protocollo di Kyoto venne siglato l'11 dicembre 1997 durante la Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il Protocollo impegna i paesi industrializzati e i paesi ad economia in transizione dell’Est europeo firmatari dello stesso, a ridurre le emissioni di gas serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, per fluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) mediamente del 5,2 %, rispetto ai livelli del 1990, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012. L’Unione europea ha ratificato il Protocollo nel maggio 2002 con l’obiettivo di ridurre dell’8 per cento la produzione dei gas ad effetto serra nel periodo compreso tra gli anni 2008 e 2012, concordando con i singoli Paesi membri una redistribuzione degli impegni di riduzione, che nel caso dell’Italia risultano del 6,5 per cento rispetto ai livelli del 1990. Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore dal 16 febbraio 2005, 90 giorni dopo che, con la ratifica da parte della Russia, è stato soddisfatto il requisito di ratifica da parte di 55 dei Paesi partecipanti alla Convenzione sul Clima, complessivamente responsabili di circa il 55% delle emissioni totali di CO2 emessa nel 1990. In riferimento al settore energetico, il Protocollo prevede, nell’articolo 2, che ciascun Paese applichi politiche e misure riguardanti:

- il miglioramento dell’efficienza energetica; - la ricerca, promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di forme energetiche rinnovabili; - la limitazione e/o riduzione delle emissioni di metano, attraverso il recupero e l’utilizzazione nel settore

della gestione dei rifiuti, come pure nella produzione, nel trasporto e nella distribuzione di energia. 42 Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, Johannesburg - Sud Africa, 2-4 Settembre 2002. 43 La definizione del concetto di sviluppo sostenibile è stato riconosciuto a livello internazionale a partire dal Rapporto Brundtland, Il Nostro Futuro Comune, 1987. Gro Harlem Brundtland, Presidente della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo, formula una efficace definizione di sviluppo sostenibile. Si rinvia al paragrafo 7.2.

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L'utilizzo delle biomasse a scopi energetici, pertanto, è oggi promosso attivamente nelle

politiche internazionali, nazionali e locali44, inoltre, il settore delle bioenergie presenta diversi

aspetti critici legati all’organizzazione delle filiere e la necessità di integrare differenti settori

produttivi (mondo agro-forestale e mondo industriale), oltre che questioni legate all’efficienza

delle tecnologie, la sostenibilità economica ed ambientale e le difficoltà in termini di iter

autorizzativi e accettabilità sociale degli impianti.

La questione dei biocombustibili si collega anche con una componente territoriale legata

all’approvvigionamento delle biomasse che ha diverse implicazioni rispetto alle dimensioni

sopra indicate. La natura strategica delle bioenergie va, infatti, inquadrata nel contesto del

territorio agro-forestale coinvolto nel meccanismo di produzione delle stesse.

L’approvvigionamento delle risorse deve, pertanto, essere pianificato attraverso, in particolare,

un’analisi della disponibilità di residui colturali. Infine, le problematiche legate all’elevata

dispersione della risorsa e le conseguenti difficoltà connesse alla raccolta, condizionamento,

trasporto e stoccaggio, richiedono un approccio dove la dimensione spaziale dell’organizzazione

della filiera riveste un’importanza critica.

7.2 Risorse energetiche e sviluppo sostenibile La definizione del concetto di sviluppo sostenibile trova una prima fondamentale definizione nel

rapporto Bruntland 45 del 1987 che parla di “un processo di cambiamento per cui lo sfruttamento

delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i

mutamenti istituzionali sono armonizzati così da tenere conto sia delle necessità presenti che di

quelle future”.

Questo concetto di sviluppo sostenibile focalizzato sulla variabile ambientale è stato poi esteso

anche sul piano sociale46.

La sostenibilità dello sviluppo può essere articolata, quindi, secondo tre dimensioni:

44 Si rinvia al paragrafo … alla pag. 10 e seguenti. 45 Sustainable development seeks to meet the needs and aspirations of the present without compromising the ability to meet those of the future. Bruntland, G. (ed), (1987), “Our common future: The World Commission on Environment and Development”, Oxford, Oxford University press. 46 Per approfondimenti si rinvia a M.G. CAROLI, Il marketing territoriale. Strategie per la competitività sostenibile per il territorio .Franco Angeli, Milano, 2006, pag. 33 e ss.

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1. dimensione economica (reddito procapite, valore aggiunto procapite, quota di mercato

internazionale, innovazione e sviluppo della conoscenza, tasso di natalità netta e di

crescita delle imprese, tasso di accumulazione della ricchezza);

2. dimensione ambientale (controllo dell’inquinamento, eco-efficienza, fonti alternative,

riciclo materiali, salvaguardia ambienti naturali);

3. dimensione sociale (tasso di occupazione, livelli di formazione, varianza distribuzione

della ricchezza, indice di povertà, indici di salute, sostegno gruppi sociali svantaggiati).

Il nostro studio si focalizza sugli aspetti ambientali delle bioenergie.

La rapidità dell’evoluzione dei processi di degrado ambientale e di sfruttamento delle risorse

naturali sono stati osservati negli ultimi decenni con crescente preoccupazione in riferimento alla

gravità delle loro conseguenze sulle prospettive di sviluppo futuro. Il concetto di sviluppo

sostenibile, come è già stato ricordato, è stato riconosciuto a livello internazionale a partire dal

Rapporto Brundtland (1987), e, soprattutto dopo la Conferenza di Rio (1993), è diventato un

principio base per il perseguimento di un equilibrio a lungo termine tra sviluppo umano e

conservazione delle risorse naturali. Dalla Conferenza di Rio nacque un documento, Agenda

2147, sulle “cose da fare nel XXI Secolo”, che stabilisce i principi guida cui devono orientarsi

tutte le politiche (globali, nazionali e locali) in materia di ambiente, economia e società, al fine di

migliorare le condizioni di vita, non soltanto a favore delle generazioni presenti, ma anche e

sopratutto per le generazioni future. Secondo questi principi la tutela della sostenibilità implica

l’attuazione di azioni di controllo, salvaguardia e recupero delle risorse, ovvero l’assunzione di

un "approccio pro-attivo" che permetta di percepire anticipatamente le tendenze ed i

cambiamenti futuri per pianificare le azioni opportune. Un tale obiettivo è perseguibile solo

attraverso programmi di sviluppo a lungo termine che tengano in debita considerazione la tutela

dell’ambiente e lo sfruttamento adeguato di tutte le risorse in funzione della capacità di carico

dell’ambiente. Ciò significa che il tasso di consumo delle risorse materiali rinnovabili non deve

superare il loro tasso di ricostruzione e, nello stesso tempo, il tasso di consumo delle risorse non

rinnovabili non deve superare il tasso di sostituzione con le risorse rinnovabili.

In questo contesto, un ruolo cruciale va riconosciuto alle risorse energetiche, l’uso sempre

maggiore dei combustibili fossili ha infatti creato diversi problemi sociali e ambientali, legati sia

alla scarsità delle risorse e il conseguente aumento del prezzo dei combustibili, sia all’impatto 47 La Conferenza di Rio de Janeiro del giugno 1992, promossa dall’ONU su “Ambiente e Sviluppo” (UNCED), portò alla redazione della Dichiarazione di Rio, di Agenda XXI e della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici. Questo ultimo documento fu sottoscritto da 166 Paesi, tra cui l’Italia, ed entrò in vigore, come atto di diritto internazionale, il 21 marzo 1994.

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ambientale. Lo stretto legame tra energia e sviluppo sostenibile è stato espressamente affrontato,

in ambito internazionale, a partire dal Millennium Summit delle Nazioni Unite del 2000

attraverso la definizione del settimo obiettivo del Millennium Development Goals delle Nazioni

Unite48 e successivamente dalla Dichiarazione di Johannesburg sullo Sviluppo Sostenibile del

2002 che definisce l’energia come un bene primario. Diverse risoluzioni internazionali sono state

discusse ed avviate al fine di affrontare il problema energetico, individuando nel risparmio e

nello sviluppo di fonti rinnovabili le principali strategie da attuare con urgenza. Le fonti

energetiche rinnovabili sono quelle fonti energetiche che si rigenerano almeno alla stessa

velocità con cui vengono utilizzate, ed hanno un impatto ambientale minore rispetto ai

combustibili tradizionali. Le risorse energetiche rinnovabili (FER) possono inoltre contribuire a

ridurre la dipendenza dalle importazioni di energia ed incrementare la sicurezza della fornitura

attraverso la diffusione e differenziazione dell’offerta di energia a livello locale.

Secondo la normativa di riferimento italiana, vengono considerate fonti energetiche rinnovabili

“il sole, il vento, le risorse idriche, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la

trasformazione in energia elettrica dei prodotti vegetali o dei rifiuti organici e inorganici” (DL 16

marzo 1999, n.79, art. 2,15) e quindi rientrerebbero nella definizione di energie rinnovabili

l’energia idroelettrica, l’energia geotermica, l’energia solare (termica e fotovoltaica), l’energia

eolica, l’energia da biomasse la termovalorizzazione di CDR49.

Le biomasse costituiscono la fonte energetica rinnovabile più diffusa nel mondo anche se, nella

maggior parte dei casi, si tratta di usi tradizionali la cui conversione energetica è ancora

caratterizzata da bassi rendimenti. Il suo peso è particolarmente importante nei paesi in via di

sviluppo, dove le biomasse di origine vegetale costituiscono ancora in molti casi l’unica risorsa

disponibile. A livello mondiale, le biomasse costituiscono la quarta fonte di energia, dopo il

carbone, il petrolio ed il gas naturale, coprendo il 14% del fabbisogno energetico del pianeta50.

In particolare per quanto riguarda la situazione ambientale del comparto olivicolo è possibile

rilevare che l’industria olearia produce annualmente un enorme volume di sottoprodotti di scarto

(residuo solido, la sansa, e residuo liquido, le acque di vegetazione). Il loro smaltimento

rappresenta una pressione ambientale notevole sia per le quantità e la concentrazione territoriale

della produzione che per le difficoltà di trattamento. Una misura qualitativa di ciò può essere

fornita dal dato di produzione geografica: il 95% circa della produzione mondiale di olive si 48 La Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite è stata firmata nel settembre del 2000 ed impegna i 191 stati membri dell'ONU a raggiungere gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG) per l'anno 2015. 49 CDR: Combustibile Derivato da Rifiuti. 50 Parikka M., Global biomass fuel resources, Biomass and Bioenergy 27, pagg.613-620, 2004.

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trova nell’area del Mediterraneo; ne deriva una produzione annuale di circa 30 milioni di

tonnellate di residui51. Fra questi, come richiamato nei precedenti capitoli, la sansa ha un elevato

potere calorifero (circa 14÷18 MJ/kg) e le AA.VV. presentano un carico inquinante biologico e

chimico (BOD circa 23÷100g/l) 25÷80 volte superiore a qualsiasi scarico fognario municipale o

comunale. A queste difficoltà se ne affiancano altre del settore di tipo strutturale; infatti, i frantoi

sono fortemente polverizzati sul territorio italiano e il carattere stagionale della produzione

genera un ingente volume di inquinanti concentrato in un periodo breve (durata della stagione

molitoria). Inoltre, la crisi del settore dell’olio di sansa per la scarsa qualità del prodotto sta

spostando il problema della gestione diretta di questo rifiuto dal gestore del sansificio al

frantoiano.

È necessario adottare soluzioni appropriate che siano ambientalmente compatibili, per rispondere

alle direttive e agli obiettivi internazionali di riduzione della pressione inquinante, ed

economicamente sostenibili, per garantire la sopravvivenza della piccola-media impresa. Un

modo per rispondere ad entrambe le esigenze è mirare gli interventi e le politiche al recupero

dell’energia intrinseca dello scarto di lavorazione; così è possibile ridurre l’impatto ambientale e

produrre energia elettrica, finalizzata alla vendita o ai consumi di energia elettrica del frantoio.

7.2.1 Politica energetica: comunitaria, nazionale e regionale La politica energetica riguarda gli interventi nei settori del carbone, dell’elettricità, del gas e del

petrolio, così come dell’energia nucleare e delle fonti rinnovabili, e le attività per migliorare

l’efficienza energetica nell’offerta e nel consumo52. Il tentativo di definire in modo più preciso la

politica energetica incontra tutti i problemi associati con la definizione di una policy53.

Una semplice ma utile distinzione può essere quella tra official energy policy e unofficial polizie

affecting the energy sector54. La prima può essere definita come una strategia chiaramente

elaborata ed esplicitamente formulata dal governo, per governare la bilancia energetica presente

51 F.J. Bas Jimenez, M.J. Colinet Carmona, J. LoboGarcia, The Olive Tree as an Energy Source in the Mediterranean Area: Andalusia, in Proceedings of the First World Conference on Biomass for Energy and Industry, Seville, June 5–9, 2000, pp. 393–395. 52 Mc Gowan F. (1996), Energy Policy, in H. Kassim e A. Menon (a cura di), The European Union and National Industrial Policy, Routledge, London. 53 Per una discussione sul significato di policy, si rinvia a Hogwood B. W., Gunn L. A. (1984), Policy Analysis for the Real Word, Oxford University Press, New York; Capano G., Giuliani M. (1996), Dizionario di politiche pubbliche, La Nuova Italia Scientifica,Roma; Regonini G. (2001), Capire le politiche pubbliche, Il Mulino, Bologna. 54 Mc Gowan F. (1996), Energy Policy, in H. Kassim e A. Menon (a cura di), The European Union and National Industrial Policy, Routledge, London.

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e futura55. In molti casi questo implica impegnarsi in una serie di scelte precise di investimenti e

tecnologia, e realizzare un coordinamento delle attività tra i diversi settori che producono

energia. La seconda riguarda quelle politiche che i governi adottano per tutta una serie di altri

motivi, ma che influenzano i settori energetici, le industrie che vi operano, e la bilancia

energetica, sia intenzionalmente sia accidentalmente.

- La politica energetica comunitaria In ambito europeo sono state emanate diverse norme collegate al Protocollo di Kyoto e alla

promozione delle Fonti Energetiche Rinnovabili (FER).

La politica energetica comunitaria perseguita ha il fine di garantire la diversificazione, la

competitività delle fonti, la tutela e il rispetto dell’ambiente.

Il punto di partenza di una politica energetica più integrata della Commissione è la

liberalizzazione dei mercati energetici, l’introduzione della concorrenza, la promozione

dell’utilizzo delle energie rinnovabili e la realizzazione di un sistema di reti energetiche integrato

e adeguato non solo all’interno degli Stati membri, ma anche tra l’Europa e le principali aree

fornitrici di energia56.

In particolare, per quanto riguarda la promozione dell’utilizzo delle energie rinnovabili, nel

novembre 1997, la Commissione Europea ha approvato il Libro Bianco comunitario che propone

un piano di azione per realizzare l'obiettivo di assegnare all'energia prodotta da fonti rinnovabili

una quota del 12% dell'intero consumo energetico lordo dell'Unione Europea intorno al 2010,

raddoppiando di fatto la quota di produzione da rinnovabili registrata alla fine degli anni novanta

La Direttiva 2001/77/CE rappresenta il principale atto normativo europeo a sostegno delle FER.

Tale direttiva stabilisce che gli Stati membri debbano adottare misure appropriate atte a

promuovere l’aumento del consumo di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili. La

direttiva prevede, inoltre, che gli Stati membri redigano relazioni che stabiliscano gli obiettivi

indicativi nazionali di sviluppo di FER in termini di percentuale del consumo di elettricità e che

predispongano misure per conseguire tali obiettivi. Una delle più importanti misure introdotte

per raggiungere gli obiettivi del Protocollo di Kyoto è stata la nascita di un mercato europeo del

carbonio (Emission Trading, Direttiva 10 2003/87/EC), che stabilisce, per ogni grande operatore 55 In questo ambito rientrano sia le decisioni adottate per il governo dell’offerta di energia (generazione elettrica, rinnovabili, ecc.), sia quelle prese per il governo della domanda di energia (risparmio energetico, efficienza energetica nell’edilizia e nei trasporti, ecc.). 56Libro Verde, Una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura, Commissione Europea, marzo 2006.

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dell’energia, dei limiti di emissioni nell’atmosfera di gas a effetto serra. Secondo questa

direttiva, ogni aumento di produzione di energia viene vincolato al ricorso alle fonti rinnovabili o

all’acquisto di “crediti di carbonio” da chi sia invece riuscito a ridurre le sue emissioni di CO2

sotto il limite imposto.

Nel marzo del 2006, il Libro Verde sulla strategia europea per l’energia prevede una politica

energetica europea incentrata sulla mitigazione dei cambiamenti climatici e la promozione

dell’occupazione e dello sviluppo, attraverso misure tese a migliorare l’efficienza energetica,

innalzare la quota di energia rinnovabile nel mix e rafforzare la solidarietà tra gli Stati membri

con una visione più a lungo termine per lo sviluppo di tecnologie energetiche.

Nel Gennaio 2007 la Commissione Europea propone il Pacchetto integrato sull’energia e sui

cambiamenti climatici, contenente una serie di misure per istituire una nuova politica energetica

per l'Europa finalizzata a combattere i cambiamenti climatici e a rafforzare la sicurezza

energetica e la competitività dell'UE. Il pacchetto di proposte definisce una serie di obiettivi con

riferimento alle emissioni di gas serra, all’energia rinnovabile e all’efficienza energetica e punta

a creare un unico mercato interno dell'energia con ripercussioni favorevoli verso competitività,

sostenibilità e sicurezza. Inoltre, la Commissione ritiene che, con il raggiungimento di un

accordo a livello internazionale applicabile dopo il 2012, entro il 2020 i paesi industrializzati

dovrebbero riuscire ad abbattere le proprie emissioni del 30%, pertanto propone che l’Unione

Europea si impegni a raggiungere un obiettivo vincolante del 20% del mix energetico

complessivo da fonti rinnovabili al 2020, con particolare attenzione ai settori dell’elettricità, dei

biocarburanti e del riscaldamento/raffreddamento.

- La politica energetica nazionale e regionale A livello nazionale la “Seconda Comunicazione Nazionale per la Convenzione Quadro sui

Cambiamenti Climatici”, approvata dal CIPE nel dicembre 1997, precisa come l’Italia intende

rispettare l'obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti, facendo riferimento al risparmio

energetico e allo sviluppo delle fonti rinnovabili.

La successiva Delibera CIPE del 19 novembre 1998 ha individuato alcune politiche di riduzione

dei gas serra e definito il quadro di riferimento per l'approvazione dei programmi attuativi degli

impegni assunti, oltre che predisporre il Libro Bianco nazionale, in aderenza al Libro Bianco

comunitario. Il Libro Bianco prevede consistenti incrementi di energia prodotta da fonti

rinnovabili, incentivando lo sviluppo dell'energia idroelettrica, solare, geotermica, eolica, dai

rifiuti e da biomasse, attraverso l'integrazione delle politiche settoriali e tra i vari soggetti

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istituzionali, nonché l'introduzione di misure regolamentari e fiscali relative al mercato interno,

alla diffusione dell'informazione e allo sviluppo della ricerca.

L’Italia ha recepito la direttiva europea concernente norme comuni per il mercato interno

dell’energia elettrica del 19 dicembre 1996, n.96/92/CE con il Decreto legislativo 16 marzo

1999, n. 79, meglio conosciuto come “Decreto Bersani”, il quale si propone di liberalizzare e

ristrutturare il mercato elettrico italiano. La liberalizzazione, cioè l’apertura del mercato alla

concorrenza, interessa le sole attività di produzione e vendita, mentre trasmissione e

dispacciamento sono riservate allo Stato ed attribuite in concessione al Gestore della Rete di

Trasmissione Nazionale (GRTN)57 e la distribuzione attribuita su concessione dal Ministero

dell’Industria Commercio ed Artigianato (MICA).

La ristrutturazione prevede:

• dal lato della domanda, la creazione di una distinzione fra clienti “vincolati” e clienti

“idonei” (destinata progressivamente a sparire): i primi non ammessi ad operare sul

libero mercato ma soggetti a tariffe regolamentate, i secondi (clienti finali o consorzi di

clienti) liberi di scegliersi sul mercato il proprio fornitore;

• dal lato dell’offerta: la disintegrazione verticale delle fasi della filiera elettrica,

precedentemente gestita dall’ENEL; la ristrutturazione orizzontale delle fasi di

produzione, trasmissione e distribuzione e la creazione di tre nuovi soggetti istituzionali.

Per quanto riguarda l’ultimo punto, i tre nuovi soggetti istituzionali sono:

- Il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN ora GSE), concessionario delle

attività di trasmissione e dispacciamento, a cui è affidato il compito di provvedere alla gestione

unificata della rete di trasmissione nazionale, indipendentemente dalla proprietà della rete stessa,

al fine di garantire la sicurezza del sistema elettrico stesso e la parità di trattamento per tutti gli

operatori elettrici.

- Il Gestore del Mercato Elettrico (GME), a cui è affidata la gestione economica del mercato

elettrico ovvero l’organizzazione del mercato stesso secondo criteri di neutralità, trasparenza,

obiettività, nonché di concorrenza tra produttori, assicurando altresì la gestione economica di

un’adeguata riserva di potenza58.

57 In seguito all’emanazione del Decreto del presidente del consiglio dei ministri dell’11 maggio 2004, dal 1° novembre 2005 il Gestore della rete di trasmissione nazionale (Grtn) ha ceduto a Terna le attività di dispacciamento, trasmissione e sviluppo della rete nazionale e ha mantenuto il compito di promuovere lo sviluppo delle fonti rinnovabili e gestirne i meccanismi incentivanti attraverso la società Gestore dei servizi elettrici (Gse Spa). 58 Nell’ambito dell’organizzazione e gestione economica del mercato elettrico, al GME è affidata, inoltre, l’organizzazione delle sedi di contrattazione dei certificati verdi (attestanti la generazione di energia da fonti

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- L’Acquirente Unico (AU), società che stipula e gestisce contratti di fornitura al fine di

garantire ai clienti vincolati la disponibilità della capacità produttiva di energia elettrica

necessaria e la fornitura di energia elettrica in condizioni di continuità, sicurezza ed efficienza

del servizio nonché di parità del trattamento, anche tariffario; l’organizzazione degli scambi sul

mercato, con la previsione che ad esso partecipino produttori, distributori, clienti finali, clienti

grossisti, clienti vincolati, clienti idonei, GME ed AU, attraverso la creazione di una Borsa

Elettrica.

La creazione del mercato elettrico59 in Italia, comunemente indicato come Borsa Elettrica

Italiana, corrisponde a due esigenze ben precise:

• stimolare la concorrenza nelle attività, potenzialmente competitive, di produzione e

vendita di energia elettrica, attraverso la creazione di una piattaforma di mercato,

• favorire la massima efficienza nella gestione del dispacciamento dell’energia elettrica,

attraverso la creazione di un mercato per l’acquisto delle risorse e per il servizio di

dispacciamento.

La Borsa elettrica consente a produttori, consumatori e grossisti di stipulare contratti orari di

acquisto e vendita di energia elettrica per il giorno successivo. Le transazioni si svolgono su

una piattaforma telematica alla quale gli operatori si connettono attraverso la rete internet,

con procedure di accesso sicuro, tramite certificati digitali, per la conclusione on-line di

contratti di acquisto e di vendita di energia.

Il mercato elettrico si articola nel :

• Mercato Elettrico a Pronti (MEP) composto da:

a. Mercato del giorno prima (MGP) dove produttori, grossisti ed i clienti finali

idonei possono vendere/acquistare energia elettrica per il giorno successivo;

b. Mercato di aggiustamento (MA) dove i produttori, i grossisti ed i clienti

finali possono modificare i programmi di immissione/prelievo determinati sul

MGP;

c. Mercato per il servizio di dispacciamento (MSD), sul quale Terna Spa si

approvvigiona dei servizi di dispacciamento necessari alla gestione e al

controllo del sistema elettrico.

rinnovabili), dei titoli di efficienza energetica ( i cosiddetti certificati bianchi attestanti la realizzazione di politiche di riduzione dei consumi energetici) e delle Unità di Emissione. 59 L’avvio operativo è avvenuto il 31 marzo 2004.

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• Mercato Elettrico a Termine (MTE) dell’energia elettrica con obbligo di consegna e

ritiro, dove gli operatori possono vendere/acquistare forniture future di energia

elettrica.

Nel 1999, in linea con il processo di liberalizzazione, l’ENEL, oltre ad essere societarizzata e

privatizzata, inizia la predisposizione dei piani per la cessione al mercato di impianti di

generazione per circa 15.000 MW, come previsto dal Decreto Bersani.

Enel S.p.A. si scorpora costituendo cinque società separate:

- E.R.G.A. S.p.A.(Energie Rinnovabili Geotermiche ed Alternative S.p.A.);

- ENEL Distribuzione S.p.A. (per la distribuzione e vendita ai clienti vincolati);

- ENEL Trade S.p.A. (per la vendita di energia elettrica ai clienti idonei);

- S.O.G.I.N. S.p.A. (Società Gestione Impianti Nucleari per Azioni, per lo smaltimento delle

centrali elettronucleari dismesse, la chiusura del ciclo del combustibile e le attività connesse e

conseguenti);

- T.E.R.N.A. S.p.A.(Trasmissione Elettricità Rete Nazionale S.p.A. per l’esercizio dei diritti di

proprietà della Rete di Trasmissione e per la manutenzione e sviluppo della rete di sua proprietà

in base alle decisioni in merito assunte dal Gestore della Rete).

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Figura 7.1 – Assetto provvisorio del mercato elettrico 1999-2003

PRODUTTORI INDIPENDENTI

ALTRE AZIENDE

PRODUTRICIGEN.CO.ENEL

PRODUZIONE

PRODUTTORI

IMPIANTI CIP 6/92

TRASMISSIONE

GROSSISTI

ENEL

Atre aziende distributrici

ENEL Distribuzione

CLIENTI VINCOLATICLIENTI IDONEI

DISTRIBUTORI

GRTN

Flussi energetici Fonte: Lazzarin R., La rivoluzione elettrica, Dario Flaccovio Editore, Palermo, settembre 2005

GRTN: Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale. Società per azioni deputata alla promozione, incentivazione e sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia.

GEN.CO.: Generation Comapany. Gruppi di centrali di produzione appositamente costituti da Enel e messe in vendita sul mercato per effetto del Decreto Bersani, in particolare dell’articolo 8, comma 1: “A decorrere dal 1 gennaio 2003 a nessun soggetto è consentito produrre o importare, direttamente o indirettamente, più del 50% del totale dell’energia prodotta ed importata in Italia”: L’assetto previsto dal Decreto Bersani era ovviamente destinato ad essere modificato al fine di

risolvere le difficoltà che inevitabilmente si sarebbero presentate nell’attuazione di una

riorganizzazione di tale importanza e portata.

Con la Legge n. 55/02 di conversione del cosiddetto “Decreto Sblocca Centrali”, per favorire la

liberalizzazione, si cerca di semplificare l’iter autorizzativo per la costruzione di centrali, i cui

progetti siano già approvati dal Ministero dell’Ambiente.

Il 2003 è l’anno della Direttiva 2003/54/CE , che abrogando la Direttiva 96/92/CE, pone come

obiettivo agli Stati membri quello di realizzare un mercato dell’energia elettrica concorrenziale,

sicuro e dal punto di vista ambientale sostenibile. Nel 2003 viene varato il Decreto Legge n.

239/03, il quale adotta disposizioni urgenti per la sicurezza del sistema elettrico nazionale e per il

recupero della potenza di energia elettrica.

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La riunificazione di proprietà e gestione della rete di trasmissione viene effettuata affinché il

sistema elettrico sia più efficiente, sicuro ed affidabile nonché per assicurare la terziarietà della

rete stessa.

La riunificazione viene vista come necessaria per sviluppare la rete sia per risolvere il problema

delle congestioni, sia per far fronte alle esigenze dettate dalla costruzione di nuovi impianti di

generazione, sia nell’ottica del rafforzamento delle interconnessioni con l’estero.

Con la L.n. 239/2004 ovvero la “Legge Marzano”, si è inteso riordinare il sistema energetico

italiano, dando delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia.

Figura 7.2 – Assetto definitivo del mercato elettrico 2004

PRODUTTORI INDIPENDENTI

ENELPRODUZIONE GEN.CO. ALTRE AZIENDE

PRODUTTRICI

PRODUTTORI

IMPIANTI CIP 6/92

TRASMISSIONE

GRTN

GROSSISTI

BORSA

ACQUIRENTE UNICO

DISTRIBUTORIAltre aziende distributrici

ENEL Distribuzione

CLIENTI VINCOLATICLIENTI IDONEI

Fonte: Lazzarin R., La rivoluzione elettrica, Dario Flaccovio Editore, Palermo, settembre 2005

Dal 1° luglio 2007 in Italia, come nel resto dell’Europa, è scattata la completa liberalizzazione

della domanda di energia elettrica, in attuazione della Direttiva UE 54 del 2003.

Apparentemente, si tratta dell'ultimo atto di un processo di liberalizzazione che ha trasformato il

sistema elettrico italiano da un monopolio esercitato attraverso un ente pubblico integrato a un

mercato aperto a più operatori. Consumatori elettrici dunque non più utenti, ma clienti, con

possibilità di scelta tra differenti prodotti e società fornitrici. Tuttavia molte questioni restano

aperte: dalla reale competitività di un mercato con operatori ancora in posizione dominante, ai

rischi legati alla struttura italiana del sistema di approvvigionamento di combustibili.

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Nel decreto Bersani oltre alle misure e disposizioni introdotte per completare e rendere più

concorrenziali i mercati dell’energia elettrica e del gas naturale, sono previsti strumenti di

coordinamento permanente con le Regioni attraverso i quali stimolare un’assunzione di

responsabilità condivisa in ordine al raggiungimento di obiettivi di risparmio energetico e tutela

ambientale.

Il processo di decentramento nella politica energetica era già stato avviato con le Leggi 9

gennaio 1991, n. 9 e n. 10, che assegnavano alle Regioni il compito di predisporre i Piani

energetici regionali (Per), per indirizzare il sistema di incentivi di propria competenza alle

iniziative volte alla riduzione del consumo di energia e alla valorizzazione delle fonti rinnovabili.

In seguito, con il Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (attuazione della Legge 59/97)

vengono definite le competenze di Regioni ed Enti locali in materia di energia; infine la riforma

del titolo V della Costituzione, attuata con la legge 3/2001 confermata da referendum, ha posto

l’energia tra le materie a potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni, pertanto nel settore

energetico è riservata allo Stato la definizione degli indirizzi e dei principi fondamentali, mentre

alle Regioni spetta la potestà legislativa anche regolamentare, con alcune limitazioni, derivanti

dalla necessità di proteggere l’integrità e la funzionalità dell’intero sistema energetico italiano.

I principali obiettivi previsti dalle legislazioni regionali riguardano il risparmio energetico con il

miglioramento dell’efficienza, lo sviluppo delle fonti endogene rinnovabili, la riduzione delle

emissioni inquinanti, la promozione delle attività di ricerca applicata, l’innovazione e il

trasferimento tecnologico per sistemi ad alta efficienza energetica.

Negli ultimi anni tutte le Regioni hanno emanato leggi regionali, dando luogo a specifici

programmi di sostegno per le fonti rinnovabili e il risparmio energetico, insieme a normative che

regolano i sistemi di offerta e di domanda dell’energia. I principali pilastri dell’attività regionale

in campo energetico sono60:

• la promozione e il sostegno normativo, legislativo ed economico per lo sviluppo delle

fonti rinnovabili e del risparmio energetico;

• l’ attivazione e realizzazione dei programmi ministeriali;

• l’attivazione e lo sviluppo dei programmi europei con i fondi comunitari;

60 Ente per le nuove Tecnologie l’Energia e l’Ambiente -Enea- Situazioni ed indirizzi energetico-ambientali regionali al 2006, Rapporto maggio 2006.

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• l’elaborazione e la realizzazione dei Piani Energetici Regionali61.

La maggior parte delle Regioni ha predisposto dei Piani Energetici Regionali, cercando di

determinare le condizioni più favorevoli di incontro della domanda e dell’offerta di energia sul

proprio territorio, e avendo come obiettivi l’efficienza energetica e l’impiego delle fonti

rinnovabili disponibili più convenienti, la promozione di tecnologie innovative di produzione

energetica per elevare la qualità dei servizi energetici a rete sul proprio territorio, talvolta anche

promuovendo la sperimentazione di sistemi locali di produzione-consumo62.

In particolare, analizzando le politiche regionali è possibile individuare alcuni elementi comuni.

Questi riguardano gli atti di recepimento del decreto legislativo 112/98, l’emanazione di linee

guida nella programmazione energetica, la predisposizione di regolamenti attuativi e atti di

indirizzo e coordinamento a livello regionale, l’approvazione di veri e propri Piani energetici

territoriali, e di recente l’approvazione di alcune leggi regionali “quadro” redatte allo scopo di

definire ed attivare, nell’ambito dei programmi regionali di sviluppo, tutte le competenze e gli

strumenti di intervento in materia di energia con particolare attenzione ai servizi e alle

infrastrutture energetiche63.

Oltre alle Regioni un ruolo crescente è affidato alle Province ed ai Comuni (Tab. 7.1). Le prime

hanno il compito di approvare e attuare il Piano-Programma per il risparmio energetico e l’uso

delle fonti rinnovabili (Piani energetici provinciali, Pep), nonché di autorizzare l’installazione e

l’esercizio degli impianti non riservati alle competenze dello Stato e delle Regioni. I Comuni

devono approvare programmi e attuare i progetti atti a qualificare energeticamente il sistema

61 Le Regioni italiane che alla fine del 2007 hanno approvato ufficialmente i Piani Energetico-Ambientali (Pear) sono diciotto, a cui si aggiungono le Province Autonome di Trento e di Bolzano. Per approfondimenti si rinvia a Prontera A., Politiche energetiche e governo locale: il caso delle Marche, in Studi e ricerche, Le Istituzioni del Federalismo 3/4, 2008, pagg 483-517. 62 In questi stessi anni ha assunto sempre più rilevanza la variabile ambientale delle politiche energetiche e la stretta relazione esistente tra le modalità di utilizzo delle risorse energetiche ed il valore complessivo di emissioni climalteranti che si determina. A questo riguardo le Regioni hanno tradotto gli obiettivi nazionali di contenimento delle emissioni di CO2 in indirizzi di Piano Energetico (che per questo motivo è divenuto energetico-ambientale, Pear) evidenziando entità ed efficacia ambientale delle varie opzioni e scelte tecnologiche previste negli scenari di Piano. Per approfondimenti si rinvia a Prontera A., Politiche energetiche e governo locale: il caso delle Marche, in Studi e ricerche, Le Istituzioni del Federalismo 3/4, 2008, pagg 483-517. 63 Tuttavia, il panorama è ancora disomogeneo, e le Regioni rischiano di muoversi in modo scollegato in assenza di una strategia definita a livello centrale. La politica energetica soffre ancora per un insufficiente coordinamento tra i vari attori istituzionali, e a livello nazionale si sente l’assenza di un Piano energetico che stabilisca indirizzi, regole ed obiettivi, necessario anche per un corretto sviluppo del decentramento. Il coordinamento ed il confronto tra i diversi livelli di governo che intervengono nella politica energetica, intesa in senso lato, avvengono nella Conferenza Stato- Regioni e nella Conferenza Unificata. PRONTERA A., Politiche energetiche e governo locale: il caso delle Marche, 2008.

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urbano nei vari campi di intervento, mantengono i rapporti con le aziende municipalizzate64, e

possono aderire a processi partecipativi come Agenda 2165.

A rafforzare ulteriormente le possibilità di intervento dei governi locali sono stati, poi, sia il

processo di liberalizzazione e privatizzazione avvenuto nei settori dell’energia elettrica e del gas,

sia l’intervento dell’Ue in materia di fonti rinnovabili e risparmio energetico.

64 Il ruolo delle municipalizzate nella politica energetica italiana ha assunto un peso crescente. PRONTERA A., Politiche energetiche e governo locale: il caso delle Marche, 2008. 65 Per approfondimenti si rinvia al paragrafo 1.1, Le risorse energetiche e lo sviluppo sostenibile.

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Tab. 7.1 – Le competenze delle Regioni, delle Province e dei Comuni in campo energetico Competenze delle Regioni - Predisposizione dei Piani Energetici Regionali - Funzioni amministrative in tema di energia, ivi comprese quelle relative alle fonti rinnovabili, all’energia nucleare, al petrolio ed al gas - Sviluppo e qualificazione dei servizi energetici di interesse regionale, procedure di autorizzazione, d’intesa con gli Enti Locali interessati. - Programmi di incentivazione e sostegno allo sviluppo socio-economico ed ambientale della Regione (Fondi Strutturali 2001-2006, incentivazione della competitività delle piccole e medie imprese, fondi “Carbon Tax”, 1% accise benzine ecc.) - Normativa di indirizzo e coordinamento degli Enti locali per le funzioni loro delegate, attuativa di leggi nazionali, standard di qualità per livelli di inquinamento ambientale in aree critiche, livelli di prestazione servizi, sistemi e impianti, specifiche tecniche, qualificazioni tecnologiche ecc. - Responsabilità attiva e diretta nei confronti delle politiche e degli indirizzi della UE (in particolare nei processi di riequilibrio/risanamento di aree svantaggiate e in ritardo di sviluppo e nella tutela/valorizzazione di aree di pregio ambientale) Competenze delle Province - Attuazione (con programmazione di interventi) della pianificazione territoriale e settoriale della Regione a livello provinciale - Stesura del Piano Territoriale di Coordinamento (legge 142/90) per la regolamentazione e l’indirizzo dell’attività amministrativa dei Comuni in certi settori e per materie di interesse intercomunale - Funzioni di carattere tecnico-amministrativo e gestionale già delegate dalla Regione o in rasferimento in attuazione del decreto legislativo 112/98 (v. autorizzazioni di impianti per la produzione di energia fino a 300 MW termici) - Valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, programmazione di interventi risparmio energetico e promozione delle fonti rinnovabili di energia Competenze dei Comuni - Amministrazione e gestione dei servizi ai cittadini (rifiuti solidi urbani, trasporti, illuminazione pubblica ecc.) - Piano Energetico Comunale (legge 10/91, art. 5 ultimo comma) - Monitoraggio dell’ambiente cittadino - Eventuale adesione all’Agenda XXI - Rapporti con le Aziende municipalizzate Fonte: Prontera A., Politiche energetiche e governo locale: il caso delle Marche, 2008.

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7.3 Analisi di mercato dell’energia: il valore di mercato del kWh 7.3.1 Infrastrutture e produzione di energia elettrica Per avere una misura analitica della consistenza e della funzionalità ed efficienza delle rete

dell’energia elettrica è importante analizzare il sistema di indicatori di dotazione e di

funzionalità66.

Gli indicatori di dotazione fisica riguardano la rete di trasmissione dell’energia elettrica ad

altissima tensione67 (220 e 380 Kv) e i diversi tipi di impianti di generazione, coprendo quindi in

parte gli aspetti legati alla trasmissione e generazione dell’energia elettrica e tralasciando quello

relativo alla distribuzione della stessa.

L’indicatore relativo alla produzione netta di energia elettrica per chilometro quadrato di

superficie territoriale dà informazioni sulla capacità delle regioni di produrre energia.

La diffusione sul territorio nazionale della rete ad altissima tensione risulta, tra il 2001 e il 2007,

pressoché invariata (Tabella 7.2). Nel 2007 si osserva che il Nord con 94 chilometri di rete per

mille chilometri quadrati di superficie territoriale, ha valori decisamente superiori a quello medio

nazionale di 73 chilometri; tra le regioni del Centro il solo Lazio, con 98 chilometri, supera la

media Italia.

Nel 2007 la regione Marche presenta una lunghezza delle linee elettriche pari a 217,5 chilometri

per la tensione di 380 Kv68 e 100,5 chilometri per la tensione di 220 Kv69, per un totale di 318

chilometri.

66Gli indicatori di dotazione esprimono il livello di infrastrutturazione dell’area in termini fisici; gli indicatori di funzionalità in generale descrivono la modalità con cui la funzione associata all’infrastruttura viene attuata, e possono riguardare gli aspetti organizzativi, l’efficienza e la produttività. Per approfondimenti si rinvia a Chiocchini R., Le infrastrutture dell’energia. La rete di energia elettrica, Atlante statistico territoriale delle infrastrutture, Istat, Indicatori statistici n. 6 -2008. 67 La funzione della rete di trasmissione (rete primaria) è quella di trasportare le potenze prodotte dagli impianti di generazione verso gli impianti di prelievo destinati ad alimentare le utenze. La gran parte degli impianti di prelievo, essenzialmente cabine primarie di distribuzione, è inserita sulla rete in At (rete secondaria). Per approfondimenti si rinvia a Chiocchini R., Le infrastrutture dell’energia. La rete di energia elettrica, Atlante statistico territoriale delle infrastrutture, Istat, Indicatori statistici n. 6 -2008. 68 A livello provinciale, i 217,5 chilometri sono così distribuiti: Ancona 65,5, Pesaro 59,9, Macerata 48,6 e infine Ascoli Piceno 43,5, Terna Rete Elettrica Nazionale, Dati statistici sull’energia elettrica in Italia, L’Elettricità nelle Regioni Marche - Anno 2007. 69 A livello provinciale, i 100,5 chilometri sono così distribuiti: Ascoli 36,6, Macerata 47,5, Ancona 16,1 e Pesaro -.: Terna Rete Elettrica Nazionale, Dati statistici sull’energia elettrica in Italia, L’Elettricità nelle Regioni Marche - Anno 2007.

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Tabella 7.2 - Impianti della rete elettrica italiana – Anni 2001-2007

REGIONI 2001 2002 2003 20004 2005 2006 2007

Marche 40,3 40,3 32 33 33 33 33

Nord-Ovest 105,4 111,5 111,9 111,8 111,6 93* 94*

Nord-Est 77,7 77,7 76,7 76,7 75,4

Centro 68,6 68,4 66,6 64,6 64,1 63 64

Sud 53,7 53,7 53,3 53,3 60 57** 57**

Isole 51 53,2 53 52,9 53

Italia 71 72,6 71,7 71,6 72,7 73 73

Fonte: Elaborazione su dati Istat e Terna Spa (Anni 2001-2007)

* per gli anni 2006-2007 voce Italia Settentrionale ** per gli anni 2006-2007 voce Itali Meridionale e Insulare

Un ulteriore aspetto riguarda la distribuzione sul territorio delle diverse tipologie di impianto

per la generazione di energia elettrica.

La presenza di impianti idroelettrici, che è strettamente legata alla configurazione del territorio, è

superiore alla media in tutte le regioni del Nord, ad eccezione dell’Emilia-Romagna; risulta

marginale nel resto del Paese, a parte che nelle Marche.

Se si considerano nel complesso gli impianti da fonti rinnovabili, che comprendono oltre agli

idroelettrici anche quelli da fonte eolica, fotovoltaica, geotermica e da biomasse, la loro

diffusione nel territorio ricalca esattamente quella per gli impianti idroelettrici.

Per gli impianti termoelettrici le regioni con un valore superiore a quello medio nazionale sono il

Piemonte, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Liguria e la Toscana. Le regioni che

hanno valori inferiori alla metà della media nazionale sia per gli impianti termoelettrici sia per

quelli da fonti rinnovabili sono la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna70.

Gli indicatori di funzionalità per l’energia elettrica inseriti nel Sistema di indicatori di

dotazione e performance delle infrastrutture riguardano la percentuale di produzione di energia

elettrica secondo le diverse tipologie di impianto (idroelettrico, termoelettrico e da fonti

70 Chiocchini R., Le infrastrutture dell’energia. La rete di energia elettrica, Atlante statistico territoriale delle infrastrutture, Istat, Indicatori statistici n. 6 -2008.

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rinnovabili). La presente analisi prende in considerazione la quota di energia prodotta e la

quota di potenza efficiente lorda71 proveniente da impianti da fonti rinnovabili.

Questi indicatori mettono in evidenza la capacità da parte delle regioni di utilizzare le risorse

energetiche naturali per produrre energia elettrica. Le fonti rinnovabili, eolica, fotovoltaica,

geotermica e biomasse, permettono infatti la produzione di energia alternativa ecocompatibile72.

Il primo indicatore è di importanza fondamentale in quanto costituisce uno degli obiettivi

fissato dall’Unione europea nell’ambito delle politiche energetiche. Come abbiamo già detto, in

base a tale obiettivo, stabilito nel 2001, entro il 2010 il 21% dell’energia elettrica generata negli

Stati membri dell’Unione dovrà provenire da fonti energetiche rinnovabili. Al 2007 l’Italia

produce il 15,74 per cento% (Figura 7.3) dell’energia da impianti che utilizzano fonti

rinnovabili, in particolare il nostro Paese si pone come leader indiscusso in Europa per la

produzione di energia da fonti geotermiche con oltre il 95% della capacità totale installata tra i

Paesi membri73.

Figura 7.3 – Rapporto percentuale produzione lorda rinnovabile/produzione lorda in Italia

Anni 1997-2007

1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

18,47 18,0519,57

18,5819,74

17,2316,32

18,35

16,43 16,6315,74

0,00

2,00

4,00

6,00

8,00

10,00

12,00

14,00

16,00

18,00

20,00

Fonte: GSE - Statistiche sulle fonti rinnovabili in Italia – Anno 2007

In particolare, la regione Marche nel 2007 produce il 7,14% dell’energia da impianti che

utilizzano fonti rinnovabili (Figura 7.4).

71 Si definisce potenza efficiente di un impianto di generazione la massima potenza elettrica possibile per una durata di funzionamento uguale o superiore a 4 ore e per la produzione esclusiva di potenza attiva. La potenza efficiente è lorda se misurata ai morsetti dei generatori elettrici dell’impianto, netta se misurata all’uscita dello stesso. 72 Si rinvia al paragrafo 7.2.2. 73 Si veda a tale proposito: http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.

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Figura 7.4 – Produzione lorda di energia elettrica (in GWh) degli impianti da fonti rinnovabili per 100 GWh di produzione lorda di energia elettrica – Anno 2007

7,14%

15,74 %

0,00 20,00 40,00 60,00 80,00 100,00 120,00

Marche

Italia

TOTALE RINNOVABILI PRODUZIONE LORDA

Fonte: Terna Rete Elettrica Nazionale, Dati statistici sull’energia elettrica in Italia, L’Elettricità nelle Regioni Marche - Anno 2007

L’indicatore sulla quota di potenza efficiente lorda degli impianti da fonti rinnovabili

rispetto alla totale esprime quanta parte della potenza proviene da impianti di generazione che

sfruttano fonti rinnovabili ed è strettamente correlato al precedente.

Passando ad analizzare la produzione nazionale netta di energia elettrica nel 2007 risulta

invariata rispetto all’anno precedente, con un valore di 301,3 miliardi di kWh (Tabella 7.3);

Tabella 7.3 – Produzione netta disaggregata per fonte – Italia – Anni 2006-2007 (in GWh)

Produzione netta 2006 2007 2007/2006

IDRICA 42.882,7 37.962,3 -11,47%

TERMICA 250.169,6 254.022,7 1,54%

GEOTERMICA 5.207,7 5.242,8 0,67%

EOLICA 2.963,7 4.032,3 36,06%

FOTOVOLTAICA 2,3 39,0 1595,65%

TOTALE 301.225,9 301.299,0 0,02%

Fonte: nostra elaborazione dati Terna Rete Elettrica Nazionale, Bilanci Energia Elettrica nazionale - Anni 2006-2007

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Disaggregando per fonte i dati relativi alla produzione, si evidenzia una contrazione della

produzione idroelettrica di 4,9 miliardi di kWh bilanciata da un incremento di 3,8 miliardi di

kWh di produzione termoelettrica e di 1,1 miliardi di kWh di produzione eolica. La produzione

da pannelli fotovoltaici ha raggiunto nel 2007 i 39 milioni di kWh.

La produzione netta da fonti rinnovabili è diminuita rispetto al 2006 del 5,4%, in ragione della

contrazione della produzione idroelettrica da apporti naturali per 4,2 miliardi di kWh, solo in

parte compensata dal proseguimento del trend di crescita delle altre fonti rinnovabili, in

particolare la fonte eolica (+1,1 miliardi di kWh).

Mettendo a confronto l’energia elettrica consumata con quella prodotta è possibile evidenziare

da una parte le regioni autosufficienti, cioè i grado di produrre gran parte dell’energia

consumata, dall’altra quelle i cui consumi superano l’energia prodotta.

In Italia il consumo di energia elettrica rispetto alla produzione nazionale ha presentato nel

periodo 1997-2007 una situazione in cui i consumi hanno superato la produzione (Figura 7.5);

nel 2007 per una produzione destinata ai consumi pari a 293.645,50 Gwh ne ha consumata

318.952,5 Gwh.

Figura 7.5 – Produzione e consumo dell’energia elettrica in Italia – Anni 1997-2007

0,00

50.000,00

100.000,00

150.000,00

200.000,00

250.000,00

300.000,00

350.000,00

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

Produzione destinata al consumo Consumi

Fonte: Terna Rete Elettrica Nazionale, Bilanci Energia Elettrica nazionale - Anno 2007

All’interno di questo andamento del dato nazionale si possono distinguere le regioni che sono

comunque autosufficienti: la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige, la Liguria, l’Umbria, il

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Lazio, la Puglia, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna. Tutte le altre regioni presentano di contro

una situazione deficitaria consumando più di quello che producono74.

La distribuzione dei consumi di energia elettrica per settore economico (Tabella 7.4) mostra in

crescita solo i consumi del settore terziario (+2,3%) e dell’agricoltura (+2,8%). In particolare il

terziario assorbe 90,3 miliardi di kWh, con una quota pari al 28,3% del totale dei consumi. In

contrazione, invece, i consumi del settore industriale (-0,2%) e gli usi domestici (-0,6%); i

consumi industriali, con 155,8 miliardi di kWh, rappresentano nel 2007 il 48,8% dei consumi

totali, mentre il domestico con 67,2 TWh75 presenta una quota pari al 21,1%.

Tabella 7.4 – Consumi per categoria di utilizzatori, Italia – Anni 2006-2007

Categorie di utilizzatori 2006 2007 2007/2006

AGRICOLTURA 5.503,5 5.659,2 2,8%

INDUSTRIA 156.150,6 155.804,3 -0,2%

TERZIARIO 88.276,5 90.268,5 2,3%

DOMESTICO 67.602,6 67.220,4 -0,6%

TOTALE 317.533,2 318.952,5 0,4%

Fonte: nostra elaborazione dati Terna Rete Elettrica Nazionale, Bilanci Energia Elettrica nazionale

Anno 2007

La regione Marche presenta un valore della produzione netta pari a 3,8 miliardi di kWh

registrando una contrazione rispetto al 2006 del 3,66% (Tabella 7.5).

Nelle Marche si riscontra una contrazione della produzione idroelettrica di 265 milioni di kWh,

un incremento della produzione termoelettrica e fotovoltaica rispettivamente di 119 milioni e di

un milione di kWh.

Nel 2007 la regione Marche presenta la seguente composizione della produzione lorda degli

impianti da fonte rinnovabili (Figura 7.6): il 77,4% è rappresentata dall’energia idrica, che

rispetto al 2006 ha registrato una contrazione del 55,8%; il 22,2% è rappresentata dalle biomasse

che evidenzia un incremento rispetto l’anno precedente del 26,3%.

74 Per approfondimenti si rinvia a Chiocchini R., Le infrastrutture dell’energia. La rete di energia elettrica, Atlante statistico territoriale delle infrastrutture, Istat, Indicatori statistici n. 6 -2008; Terna Rete Elettrica Nazionale, Bilanci Energia Elettrica nazionale – Anno 2007. 75 Terawattora: un miliardo di kWh.

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Tabella 7.5 – Produzione netta disaggregata per fonte – Marche – Anni 2006-2007 (in GWh)

Produzione netta 2006 2007 2007/2006

IDRICA 472,40 207,80 -56,01%

TERMICA 3.463,70 3.582,80 3,44%

FOTOVOLTAICA 1,2

TOTALE 3.936,10 3.791,90 -3,66%

Fonte: nostra elaborazione dati Terna Rete Elettrica Nazionale, Bilanci Energia Elettrica nazionale

Anni 2006-2007

Figura 7.6 - Composizione della produzione lorda degli impianti da fonti rinnovabili – Marche -

2007

77,4%

0,4%

22,2%

IDROELETTRICO DA APPORTI NATURALI

FOTOVOLTAICO

BIOMASSA E RIFIUTI

Fonte: nostra elaborazione dati Terna Rete Elettrica Nazionale, Bilanci Energia Elettrica nazionale Anno 2007

Le Marche, nel 2007 per una produzione destinata ai consumi pari a 3.791,4 Gwh ne ha

consumata 7.762,7 Gwh, deve richiedere circa il 50 per cento dell’energia che consuma.

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Mettendo a confronto, per l’anno 2007, la produzione di energia destinata al consumo con

l’energia elettrica richiesta è possibile riscontrare un deficit della produzione rispetto alla

richiesta di 4.549,7 GWh (-54,5%)76.

La distribuzione dei consumi di energia elettrica per settore economico nella regione Marche

(Tabella 7.5) mostra in crescita i consumi di tutti i settori, in particolare quello dell’agricoltura

(6,7%), sebbene assorba solo 129,8 milioni di kWh, con una quota pari al 1,7% del totale dei

consumi.

I consumi industriali, con 3,7 miliardi di kWh, rappresentano nel 2007 il 49% dei consumi totali,

seguiti dai consumi del terziario, con 2,1 miliardi di kWh (quota pari al 28,4%), infine il

domestico con 1,5 miliardi di kWh presenta una quota pari al 20,8%.

Tabella 7.5 – Consumi per categoria di utilizzatori, Marche – Anni 2006-2007

Categorie di utilizzatori 2006 2007 2007/2006

AGRICOLTURA 121,6 129,8 6,7%

INDUSTRIA 3.713,5 3.745,9 0,9%

TERZIARIO 2.158,9 2.169,2 0,5 %

DOMESTICO 1.588,1 1.592,3 0,3%

TOTALE 7.582,2 7.637,2 0,7%

Fonte: nostra elaborazione dati Terna Rete Elettrica Nazionale, Bilanci Energia Elettrica nazionale

Anno 2007 (in GWh)

Tabella 7.6 – Consumi per categoria di utilizzatori, Ascoli Piceno– Anni 2006-2007

Categorie di utilizzatori 2006 2007 2007/2006

AGRICOLTURA 24,6 27,9 0,13%

INDUSTRIA 717,8 708,0 -0,01%

TERZIARIO 510,5 502,7 -0,02%

DOMESTICO 384,8 388,4 0,01%

TOTALE 1.637,8 1.626,9 -0,01%

Fonte: nostra elaborazione dati Terna Rete Elettrica Nazionale, Bilanci Energia Elettrica nazionale

Anno 2007

76 Per energia elettrica richiesta in ogni singola regione, nel nostro caso specifico Marche, si intende la somma dei consumi presso gli utilizzatori ultimi e delle perdite di trasmissione e distribuzione.

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Figura 7.7 - Composizione percentuale dei consumi distinti per settore - Ascoli Piceno – 2007

Fonte: nostra elaborazione dati Terna Rete Elettrica Nazionale, Bilanci Energia Elettrica nazionale

Anno 2007

La lettura della Tabella 7.6 ci permette di trarre utili informazioni sulla distribuzione dei consumi

di energia elettrica per settore economico nella provincia di Ascoli Piceno (Figura 7.7).

La distribuzione dei consumi mostra il seguente andamento: in lieve crescita i consumi del

settore agricolo (+0,13%) che rappresentano nel 2007 l’1,7% dei consumi totali e assorbono 27,9

milioni di kWh e del settore domestico (+0,01%) che assorbe 388,4 milioni di kWh, con una

quota pari al 23,9% del totale dei consumi. In lieve contrazione, invece, i consumi del settore

industriale (-0,01%) e terziario (-0,02%); i consumi industriali con 708 milioni di kWh,

rappresentano il 43,5% dei consumi totali mentre il terziario con 502,7 milioni di kWh presenta

una quota pari al 30,9%.

7.3.2 Biomasse: produzione, potenza e numero di impianti Le biomasse sono una fonte di “energia pulita” su cui l’Unione europea ha scelto di investire

riconoscendo loro un ruolo sempre più strategico per contribuire in modo significativo, come

abbiamo ampiamente suesposto, al conseguimento dell’obiettivo comunitario di produrre, entro

il 2020, il 20% dell’energia da fonti rinnovabili.

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L’utilizzo dei biocombustibili consente di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, quindi di

contribuire alla riduzione dell’effetto serra; inoltre permette un recupero sostenibile di diverse

risorse derivanti da attività produttive con un conseguente vantaggio economico e sociale.

“In generale, è biomassa tutto ciò che ha matrice organica, ovvero il materiale organico77

costituito o derivato da organismi vegetali o loro componenti, utilizzabile in processi di

trasformazione termochimica o biochimica. La biomassa utilizzabile ai fini energetici consiste in

tutti quei materiali organici che possono essere utilizzati direttamente come combustibili ovvero

trasformati in altre sostanze (solide, liquide o gassose) di più facile utilizzo negli impianti di

conversione”78.

Le principali tipologie di biomassa comunemente impiegate a fini energetici sono:

• colture energetiche (dedicate) sia arboree che erbacee (ad esempio, Short Rotation

Forestry);

• residui agricoli, agroindustriali, artigianali, industriali, civili (esempi: paglia, sansa di

oliva79, legna vecchia, vinacce, buccette, gusci di frutta secca, stocchi di mais, lolla di

riso, particolari frazioni di rifiuti urbani (RU) e di rifiuti assimilabili agli urbani (A));

• residui forestali, legna da ardere, altri prodotti ligneo-cellulosici puri.”80

Oggi sono disponibili tecnologie affidabili e sperimentate che consentono uno sfruttamento

intensivo, diffuso e distribuito del potenziale energetico delle biomasse, sia di quelle

appositamente coltivate per uso energetico che di quelle derivanti dai sottoprodotti delle attività

agroindustriali e forestali.

Le biomasse sono sempre state impiegate dall’uomo e con diverse finalità. L’utilizzo delle

biomasse a scopo energetico produce consistenti benefici a livello ambientale, occupazionale e di

politica energetica.

77 La materia organica vegetale, di origine biologica e non fossile, sia spontanea che coltivata dall'uomo, è prodotta per effetto del processo di fotosintesi clorofilliana con l'apporto dell'energia della radiazione del sole, di acqua e di svariate sostanze nutritive. Grazie a tale processo, la materia vegetale costituisce in natura la forma più sofisticata per l'accumulo dell'energia solare. 78 All’interno delle varie normative è possibile individuare differenti definizioni di biomassa: D.Lgs n.387 del 29 dicembre 2003, art.2, comma 1, lettera a; DPCM 8 marzo 2002, Allegato III – Individuazione delle biomasse combustibili e delle loro condizioni di utilizzo, art. 3, comma 1, lettera n, e art. 6 comma 1 lettera h; D.Lgs n. 128 del 30 maggio 2005; D.Lgs n. 152 del 03 aprile 2006. Per approfondimenti si rinvia a Bordoni A, Rossi A., Finco A., Analisi tecnico-normativa delle biomasse ad uso energetico, Regione Marche e UNIVPM, 25 marzo 2009. 79 Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2002, la sansa vergine era un combustibile vegetale liberamente utilizzabile, mentre la sansa esausta avendo subito un processo chimico, rientrava formalmente nei rifiuti non pericolosi ed era perciò sottoposta a restrizioni; il Decreto del Presidente del Consiglio dell’8 ottobre 2004, pubblicato sulla G.U. n.295 del 17 dicembre 2004, ha classificato la sansa tra le biomasse combustibili. 80 Caputo P., Romer A., Recupero di energia da biomassa, Mondo Agricolo, 2005, 12, 7-10.

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96

Le biomasse si possono considerare risorse rinnovabili e quindi inesauribili nel tempo, purché

vengano impiegate ad un ritmo non superiore alla capacità di rigenerazione biologica.

L’utilizzazione energetica può essere vantaggiosa quando le fonti di biomassa si presentano

concentrate nello spazio e con sufficiente continuità nel tempo, mentre una eccessiva dispersione

sul territorio e una produzione stagionale rendono difficili ed onerosi la raccolta, il trasporto e lo

stoccaggio.

Nel 2007 la produzione nazionale lorda di energia elettrica da impianti da biomasse, pari a 6,95

miliardi di kWh, è aumentata rispetto l’anno precedente del 3,1% (Tabella 7.7). Le Marche

presentano un valore pari a 60,5 milioni di kWh e si evidenzia un aumento rispetto al 2006 del

26,3% ( Tabella 7.8).

Tabella 7.7 - Produzione lorda degli impianti da biomasse in Italia - Anni 2006-2007

Biomasse e rifiuti 2006 2007 2007/2006

SOLIDI 5.408,3 5.506,4 1,8%

Rifiuti solidi urbani 2.916,6 3.024,9 3,7%

Da colture ed altri rifiuti agro-industriali 2.491,7 2.481,5 -0,4%

BIOGAS 1.336,3 1.447,3 8,3%

Da discariche 1.176,8 1.247,3 6%

Da fanghi 3,3 9 172,7%

Da deiezione animali 44,7 53,3 19,2%

Da colture ed altri rifiuti agro-industriali 111,5 137,7 23,5%

TOTALE 6.744,6 6.953,7 3,1%

Fonte: Terna, Dati statistici sull’energia elettrica 2007 in Italia, giugno 2008

Tabella 7.8 - Produzione lorda degli impianti da biomasse nelle Marche - Anni 2006-2007

2006 2007 2007/2006

Biomasse e rifiuti 47,9 60,5 26,3%

Fonte: Terna, Dati statistici sull’energia elettrica 2007 in Italia, giugno 2008

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97

Analizzando le diverse tipologie di biomasse (Tabella 7.7; Figura 7.8) si evince che nel 2007 la

produzione lorda da impianti da biomasse deriva per il 79% da rifiuti solidi e per il 21% da

biogas.

Dall’analisi della Tabella 7.7 si evidenzia un aumento della produzione da solidi di 98,1 milioni

di kWh (+1,8%) e un incremento da biogas di 111 milioni di kWh (+8,3%).

Disaggregando la voce produzione lorda degli impianti da biomasse-solidi si rileva che il 55% è

rappresentato dai rifiuti solidi ed urbani, il 45% da colture ed altri rifiuti agro-industriali (Figura

7.9).

La produzione lorda da rifiuti solidi ed urbani ha registrato un incremento pari a 108,3 milioni di

kWh (+3,7%) e quella derivante da colture ed altri rifiuti agro-industriali nel 2007 ha registrato

una contrazione di 10,2 milioni di kWh (-0,4%).

Disaggregando la voce produzione lorda degli impianti da biomasse-biogas è possibile

evidenziare che l’86,2% è rappresentato da discariche, il 9,5% da colture ed altri rifiuti agro-

industriali, il 3,7% da deiezione animali e infine lo 0,6% da fanghi (Figura 7.10).

La produzione lorda da discariche ha registrato un incremento pari a 70,5 milioni di kWh (+6%),

quella da colture ed altri rifiuti agro-industriali ha subito un aumento pari a 26,2 milioni di kWh

(+23,5%), quella da deiezione animali ha registrato un incremento di 8,6 milioni di kWh

(+19,2%) e infine quella da fanghi ha registrato un aumento di 5,7 milioni di kWt pari a ben

+172,7%.

Figura 7.8 - Produzione lorda degli impianti da biomasse in Italia 2007

79%

21%

SOLIDI BIOGAS

Fonte: Statistiche sulle fonti rinnovabili in Italia – Anno 2007

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Figura 7.9 - Produzione lorda degli impianti da biomasse “solidi” in Italia 2007

55%

45%

RIFIUTI SOLIDI URBANIDA COLTURE ED ALTRI RIFIUTI AGRO-INDUSTRIALI

Fonte: Statistiche sulle fonti rinnovabili in Italia – Anno 2007

Figura 7.10 - Produzione lorda degli impianti da biomasse “biogas” in Italia 2007

Fonte: Statistiche sulle fonti rinnovabili in Italia – Anno 2007

L’analisi delle Tabelle 7.9 e 7.10 ci permette di rilevare che nel 2007 si è registrato un rilevante

incremento nel numero di impianti fotovoltaici sia a livello nazionale che regionale

rispettivamente di +7.633 e +330 unità. Per quanto riguarda il numero di impianti a biomasse si

registra un incremento di 9 unità a livello nazionale mentre nella regione Marche il loro numero

è rimasto invariato.

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Tabella 7.9 - Potenza efficiente lorda degli impianti da fonti rinnovabili in Italia Numero impianti - Anni 2006-2007

Numero impianti 2006 2007 2007-2006

IDRICA 2.093 2.128 +35

EOLICA 169 203 +34

FOTOVOLTAICA 14 7.647 +7.633

GEOTERMICA 31 31 =

BIOMASSE E RIFIUTI 303 312 +9

TOTALE 2.610 10.321 +7.711

Fonte: nostra elaborazione su dati Terna, Dati statistici sull’energia elettrica 2007 in Italia, VI 2008

Tabella 7.10 - Potenza efficiente lorda degli impianti da fonti rinnovabili nelle Marche Numero impianti - Anni 2006-2007

Numero impianti 2006 2007 2007-2006

IDRICA 96 104 +8

EOLICA 0 0

FOTOVOLTAICA 0 330 +330

GEOTERMICA 0 0

BIOMASSE E RIFIUTI 9 9 =

TOTALE 105 403 +338

Fonte: nostra elaborazione su dati Terna, Dati statistici sull’energia elettrica 2007 in Italia, VI 2008

Le Tabelle 7.11 e 7.12 ci permettono di osservare che a livello nazionale si registra un forte

incremento della potenza efficiente lorda degli impianti fotovoltaici (+1.109%) coerente

all’incremento registrato nel numero degli impianti stessi; rilevante è anche l’incremento della

potenza efficiente lorda degli impianti eolici (+42,2%) seguita dall’incremento da biomasse e

rifiuti (+6,5%). A livello regionale si registrano incrementi della potenza efficiente lorda degli

impianti di tutte le fonti rinnovabili presenti: +5% biomasse , +2,2% idrica.

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Tabella 7.11 - Potenza efficiente lorda degli impianti da fonti rinnovabili in Italia (in Kw) Anni 2006-2007

Impianti da fonti rinnovabili 2006 2007 2007/2006

IDRICA 17.412.060 17.458.614 0,3%

EOLICA 1.908.287 2.714.128 42,2%

FOTOVOLTAICA 7.174 86.750 1109,2%

GEOTERMICA 711.000 711.000 0,0%

BIOMASSE E RIFIUTI 1.255.525 1.336.882 6,5%

TOTALE 21.294.046 22.307.374 4,8%

Fonte: nostra elaborazione su dati Terna, Dati statistici sull’energia elettrica 2007 in Italia, VI 2008

Tabella 7.12 - Potenza efficiente lorda degli impianti da fonti rinnovabili nelle Marche (in Kw) Anni 2006-2007

Impianti da fonti rinnovabili 2006 2007 2007/2006

IDRICA 225.000 230.000 2,2%

EOLICA 0 0

FOTOVOLTAICA 0 2.600

GEOTERMICA 0 0

BIOMASSE E RIFIUTI 10.000 10.500 5%

TOTALE 235.000 243.100 3,4%

Fonte: nostra elaborazione su dati Terna, Dati statistici sull’energia elettrica 2007 in Italia, VI 2008

7.3.3 Valore di mercato del kWh L’analisi delle Tabelle 7.13 e 7.14 ci permette di trarre utili informazioni sull’entità dei prezzi

medi europei e nazionali dell’energia elettrica nel gennaio 2007 con riferimento ad alcune

categorie di consumo: utenti domestici, piccoli utenti commerciali/industriali e medi utenti

industriali81.

81 Per approfondimenti si rinvia a Relazioni Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, 2008, pagg.33-39; Autorità per l'energia elettrica e il gas, Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull'attività svolta, 10 luglio 2008.

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101

Analizzando la Tabella 7.13 è possibile rilevare che al 1° gennaio 2007 il prezzo medio europeo,

al lordo delle imposte, per un consumatore domestico con consumi annui di 3.500 kWh, era

pari a 15,38 c€/kWh, in aumento del 9% rispetto al livello di un anno prima.

L’Italia si colloca ai livelli più elevati del prezzo medio europeo (c€/kWh 23,29) e registra un

incremento del 10,5% rispetto il valore del 2006.

Tabella 7.13 - Prezzi finali dell’energia elettrica per un consumatore domestico tipo (Prezzi al lordo delle imposte con consumi annui di 3.500 kWh, c€/kWh)

PAESI GENNAIO 2007** GEN’07/GEN’06**

ITALIA 23,29 10,5%

EU 27 15,38 9,0%

Fonte: elaborazione AEEG su dati Eurostat

L’analisi della Tabella 7.14 ci consente di confrontare i prezzi per le utenze industriali al 1°

gennaio 2007 (usi in locali diversi dalle abitazioni: industriali, terziari e agricoli) ed di

evidenziare che, con riferimento a un consumo annuo di 2.000 MWh, l’Italia presenta un livello

di prezzo al lordo delle imposte pari a c€/kWh 15,26 in aumento rispetto al livello dell’anno

precedente (+14,8%), registrando un valore più elevato, rispetto al prezzo medio dell’Unione

europea che si attesta sui 10,59 c€/kWh, in aumento del 9,7% rispetto al gennaio 2006.

Tabella 7.14 - Prezzi finali dell’energia elettrica per un consumatore industriale tipo (Prezzi al lordo delle imposte con consumi annui di 2.000 MWh, c€/kWh)

PAESI GENNAIO 2007** GEN’07/GEN’06**

ITALIA 15,26 14,8%

EU 27 10,59 9,7%

Fonte: elaborazione AEEG su dati Eurostat

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Dall’analisi si evince che l’energia elettrica sia in Italia mediamente più costosa rispetto al valore

medio Europeo e rispetto al resto d’Europa82.

Numerosi sono stati i provvedimenti legislativi che hanno incentivato la produzione di energia da

fonti rinnovabili83.

Tutti gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, devono ottenere la qualificazione IAFR, al fine

del riconoscimento di un numero di Certificati Verdi (CV) corrispondente all’energia rinnovabile

prodotta.

I CV, più precisamente, sono titoli al portatore, ognuno del valore di 1 MWh, che certificano

l’origine da fonte rinnovabile dell’energia prodotta.

A partire dal 2008, i certificati verdi emessi dal GSE ai sensi dell’articolo 11, comma 3, del

Decreto Legislativo 16 marzo 1999, n. 79, sono collocati sul mercato a un prezzo, riferito al

MWh elettrico, pari alla differenza tra il valore di riferimento, fissato in sede di prima

applicazione in 180 euro per MWh, e il valore medio annuo del prezzo di cessione dell’energia

elettrica definito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas in attuazione dell’art. 13, comma 3,

del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, registrato nell’anno e comunicato dalla stessa

Autorità entro il 31 gennaio di ogni anno a decorrere dal 2008 (ad oggi risulta di € 0,089 al

kWh), ai sensi dell’Art. 2 comma 145 Finanziaria 2008.

I produttori e gli importatori di energia, sono obbligati ad adempiere all’obbligo previsto dall’art.

11 del D.Lgs. n. 79/99, ovvero presentare al G.S.E. S.p.a. (Gestore dei Servizi Elettrici)84 , le

prove di produzione di un quantitativo di energia, prodotta da fonte rinnovabile, pari ad un

iniziale del 2% dell’energia complessivamente prodotta che verrà incrementato di anno in anno,

ovvero introducendo direttamente in rete la quota d’obbligo, acquistando i CV corrispondenti al

2% dell’energia complessivamente importata.

I soggetti obbligati, quindi, possono decidere se investire direttamente in impianti alimentati da

fonti rinnovabili, oppure acquistare i CV a loro necessari sul mercato.

82 Per approfondimenti si rinvia a Relazioni Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, 2008, pagg.33-39; Autorità per l'energia elettrica e il gas, Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull'attività svolta, 10 luglio 2008. 83 Fra gli altri D.Lgs n. 79 del 16 marzo 1999 (Decreto Bersani), Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica”; D.Lgs n. 387 del 29 dicembre 2003, Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”; L. n. 239 del 23 agosto 2004, “Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia"; la Finanziaria del 2008 ed il Decreto legge n.159 del 1 Ottobre 2007 (Collegato Fiscale), convertito nella Legge n.222 del 29 Novembre 2007, hanno avviato la riforma del sistema d’incentivazione delle fonti rinnovabili. 84 http://www.gse.it

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103

I CV, quindi, possono essere scambiati liberamente tra i soggetti interessati attraverso contratti

bilaterali oppure attraverso un mercato organizzato a livello statale (Borsa dei CV).

Un vantaggio di questo sistema è che i CV sono titoli svincolati dall’energia elettrica per i quali

sono stati emessi; questo consente ai produttori di ottenere un duplice flusso di ricavi, il primo

derivante dalla vendita dell’energia sul mercato elettrico, il secondo dalla vendita dei CV.

In aggiunta alla tariffa incentivante dei CV si deve considerare il beneficio derivante dalla

cessione alla rete elettrica dell’energia prodotta.

Per quanto riguarda le condizioni economiche di ritiro dell’energia elettrica prodotta

dall’impianto di cogenerazione, il soggetto che effettua l’investimento può scegliere due vie:

- Ritiro dedicato;

- Contratti bilaterali con società terze.

In particolar modo per, il ritiro dedicato, ai sensi della delibera AEEG n. 280/07, riconosce, al

soggetto responsabile (produttore) le tariffe indicate nella Tabella 7.15.85.

Tabella 7.15 - Prezzi minimi garantiti per l’anno 2009

Sino a 500.000 kWh/anno 10,11 €cent/kWh

Da 500.001 a 1.000.000 kWh/anno 8,52 €cent/kWh

Da 1.000.001 a 2.000.000 kWh/anno 7,45 €cent/kWh

>2.000.000 kWh/anno86 9,50€ cent/kWh

Fonte: AEEG 2009

I produttori che non hanno fatto richiesta di Certificati Verdi, hanno diritto alla tariffa

omnicomprensiva a partire dalla data di entrata in esercizio commerciale dell’impianto.

Per gli impianti alimentati da biomassa, il GSE applica la tariffa di 0,28 €/kWh relativamente

all’energia elettrica immessa in rete, come riportato in Tabella 7.16.

Allo stato attuale il soggetto responsabile dell’impianto, che voglia aderire alla tariffa

omnicomprensiva, attiva con il GSE una convenzione per il ritiro dedicato dell’energia alle

85 http://www.mercatoelettrico.org 86 Per l’energia eccedente 2.000.000 di kWh annui: il prezzo pari a quello di cessione dall’Acquirente Unico alle imprese distributrici per la vendita al mercato vincolato (attualmente 0,095 kW/h).

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104

modalità citate per i CV e successivamente gli verrà corrisposto il conguaglio tra la tariffa

omnicomprensiva a cui ha diritto e le tariffe del ritiro di cui ha già beneficiato.

Tab. 7.16 Tariffe incentivanti per impianti a biomasse.

Tipologia di biomasse

Potenza impianto

(MW)

Durata certificati

Incentivo

Superiore a 1 MW

15 anni

Coefficiente di moltiplicazione

dell’energia prodotta di 1,8

Derivanti da prodotti agricoli, allevamento e forestali, ivi inclusi i sottoprodotti, ottenuti da intese di filiera, contratti quadro o filiere corte (70 km)

Inferiore a 1 MW

15 anni

Tariffa omnicomprensiva (incentivo + energia

elettrica prodotta) pari a 0,28 €/kWh elettrico

prodotto

(Fonte: Emendamento del Senato su incentivo energia elettrica da biomasse che modifica in parte la legge finanziaria 2008 (L.244/2007) ed il suo collegato (L.222/2007)).

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7.4 Analisi di mercato dei fertilizzanti: valutazione di mercato dei fertilizzanti prodotti con la tecnica del compostaggio Le tipologie di Fertilizzanti e Concimi87 sono le seguenti (Tabella 7.17):

- Concimi Minerali88 con una quota del 62% della totalità dei concimi utilizzati in Italia nel

2007;

- Concimi Organici89 e Organo Minerali90 con una quota rispettivamente del 6% e del 7,28%

sulle quantità;

- Concimi Specialistici quali prodotti idrosolubili, prodotti a rilascio controllato dei nutrienti,

prodotti con effetto biostimolante etc; essi rappresentano circa il 2% del totale.

- Ammendati91 e Correttivi92 con una quota pari rispettivamente al 22% e al 2%. Si possono

annoverare tra questi tutti quei materiali di recupero (in particolare della sostanza organica di

scarto – compost) frutto più di un processo biologico che di un processo chimico vero e proprio.

La rimanente quota dello 0,21% e del 0,02% in termini di volume è rappresentata dai Substrati

di coltivazione93 e dai Prodotti ad azione specifica94.

87 Assofertilizzanti, Tipi di fertilizzanti e concimi. http://www.assofertilizzanti.it/assofertilizzanti/Home.nsf/GlobalHome?OpenForm 88 Concimi minerali prodotti che contengono uno solo o combinazioni, secondo vari rapporti, degli elementi chimici della fertilità. I concimi minerali semplici sono distinti in: azotati, fosfatici e potassici; quelli minerali composti sono suddivisi in binari (azoto-potassici, azoto-fosfatici, fosfo-potassici) e ternari azoto-fosfo-potassici. Per approfondimenti si rinvia a ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008, pag. 12. 89 Concimi organici sono quei prodotti formati da composti organici del carbonio, di origine sia animale che vegetale, legati chimicamente in forma organica agli elementi principali della fertilità; i concimi organici semplici comprendono soltanto gli azotati, mentre quelli composti raggruppano i binari azoto-fosfatici. Per approfondimenti si rinvia a ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008, pag. 12. 90 Concimi organo-minerali riuniscono i formulati ottenuti per reazione o le miscele di uno o più concimi organici con uno o più concimi minerali semplici o composti; i concimi organo-minerali semplici comprendono soltanto gli azotati, mentre quelli composti raggruppano sia i binari che i ternari. Per approfondimenti si rinvia a ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008, pag. 12. 91 Ammendanti raggruppano i prodotti a base di sostanza organica, naturale o sintetica, con un contenuto in elementi nutritivi o fertilizzanti primari (azoto, fosforo e potassio) che non superi il 2% della massa totale; gli ammendanti comprendono: ammendante vegetale non compostato, ammendante compostato, letame, ammendante compostato misto, ammendante torboso composto e altri ammendanti (vermicompost, estratti umici, letame artificiale, ammendante animale idrolizzato, ecc.). Per approfondimenti si rinvia a ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008, pag. 12. 92 Correttivi comprendono i prodotti inorganici, naturali o sintetici, a base di calcio, magnesio e zolfo; i correttivi si distinguono in: calci, calcari, dolomiti e ceneri di calce, solfato di calcio, anidrite e gessi, zolfo per uso agricolo e altri correttivi (solfato di magnesio, ossido di magnesio, solfato ferroso, pirite per uso agricolo, ecc.). Per approfondimenti si rinvia a ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008, pag. 12. 93 Substrati di coltivazione raggruppano i materiali diversi dai suoli in situ, dove sono coltivati i vegetali. Per approfondimenti si rinvia a ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008, pag. 12. 94 Prodotti ad azione specifica prodotti che apportano ad un altro fertilizzante e/o al suolo e/o alla pianta, sostanze che favoriscono o regolano l’assorbimento degli elementi nutritivi o correggono determinate anomalie di tipo

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106

Nel 2007 si rileva un incremento dei fertilizzanti complessivamente distribuiti per uso agricolo.

Rispetto al 2006, infatti, si registra un aumento di 4,18 milioni di quintali (+8,3%) dei

fertilizzanti in complesso, saliti da 50,26 a 54,44 milioni di quintali (Tabella 7.18). In particolare,

l'immissione al consumo dei concimi cresce di 2,2 milioni di quintali (+5,7%) e quella degli

ammendanti di 1,2 milioni di quintali (+10,9%)95; registra un incremento anche la distribuzione

dei correttivi (+0,7 milioni di quintali, pari a +126,2%).

Analizzando il periodo 1998-200796 si rileva una diminuzione dei prodotti minerali bilanciata da

un consistente incremento dei formulati organici (concimi e ammendanti).

Nel periodo considerato la dinamica distributiva dei fertilizzanti risulta generalmente coerente

con le direttive di politica agricola dell’Unione Europea97, che tendono a sviluppare l’impiego di

ammendanti e concimi organici, al posto dei prodotti minerali di sintesi, per migliorare la qualità

delle produzioni, la salvaguardia della salute e il rispetto dell’ambiente.

Tabella 7.17 - Fertilizzanti distribuiti per tipo: composizione percentuale. Anno 2007 (in quintali)

FERTILIZZANTI DISTRIBUITI PER TIPO 2007 %

CONCIMI 41.149.562,00 75,59%

MINERALI 33.852.943,00 62,19%

ORGANICI 3.334.431,00 6,13%

ORGANO-MINERALI 3.962.188,00 7,28%

AMMENDANTI 11.905.514,00 21,87%

CORRETTIVI 1.255.509,00 2,31%

SUBSTRATI DI COLTIVAZIONE 115.729,00 0,21%

PRODOTTI AD AZIONE SPECIFICA 10.993,00 0,02%

FERTILIZZANTI IN COMPLESSO 54.437.307,00 100%

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT- agricoltura

La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008

fisiologico. I prodotti ad azione specifica comprendono prodotti ad azione sui fertilizzanti (inibitori e ricoprenti), prodotti ad azione sul suolo e prodotti ad azione sulla pianta o biostimolanti. Per approfondimenti si rinvia a ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008, pag. 12. 95 Tale andamento conferma, da un lato, la rinnovata potenzialità del comparto e, dall’altro, la stabilità di una sostenuta richiesta per tali prodotti. L’evoluzione in corso dipende anche dai programmi dell’Unione Europea a sostegno dell'agricoltura eco-compatibile e biologica, oltre che dalla crescente attenzione degli agricoltori e dei consumatori per la qualità delle derrate alimentari e per la salvaguardia ambientale. Per approfondimenti si rinvia a ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008, pag. 5. 96 Per approfondimenti si rinvia a ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008, pag.2. 97 Si rinvia a Commissione Europea-Direzione Generale dell’Agricoltura, L’agricoltura e l’ambiente, 2003.

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107

Tabella 7.18 - Fertilizzanti distribuiti per tipo – Anni 2006 – 2007 (in quintali)

FERTILIZZANTI DISTRIBUITI PER TIPO

2006 2007 2007/2006

CONCIMI 38.935.854,00 41.149.562,00 5,69%

MINERALI 32.592.088,00 33.852.943,00 3,87%

ORGANICI 2.894.540,00 3.334.431,00 15,20%

ORGANO-MINERALI 3.449.226,00 3.962.188,00 14,87%

AMMENDANTI 10.730.746,00 11.905.514,00 10,95%

CORRETTIVI 554.988,00 1.255.509,00 126,22%

SUBSTRATI DI COLTIVAZIONE 30.399,00 115.729,00 280,70%

PRODOTTI AD AZIONE SPECIFICA 6.490,00

10.993,00 69,38%

FERTILIZZANTI IN COMPLESSO 50.258.477,00 54.437.307,00 8,31%

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT- agricoltura

La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008

Sotto il profilo territoriale, il 3,23% della distribuzione dei fertilizzanti si concentra nelle

Marche98 (Tabella 7.19). In particolare risulta immesso al consumo l’86,9% dei concimi99 e il

12,7% degli ammendanti; seguono i correttivi con lo 0,3%, i substrati di coltivazione con lo

0,03% ed i prodotti ad azione specifica con lo 0,01% (Figura 7.11). Nel Centro, la regione

Marche s’immette al consumo il 20,10% del quantitativo complessivo distribuito.

Tabella 7.19 - Fertilizzanti distribuiti per tipo e regione – 2007 (in quintali)

MINERALI ORGANICI ORGANO-

MINERALI

CONCIMI

TOTALE

AMMENDANTI CORRETTIVI SUBSTRATI DI

COLTIVAZIONE

PRODOTTI

AD

AZIONE

SPECIFICA

FERTILIZZANTI

IN COMPLESSO

MARCHE 1.279.032 69.287 180.484 1.528.803 224.272 5.182 507 135 1.758.899

CENTRO 4.767.250 749.529 898.313 6.415.092 2.249.865 41.917 39.843 1.500 8.748.217

ITALIA 33.852.943 3.334.431 3.962.188 41.149.562 11.905.514 1.255.509 115.729 10.993 54.437.307

Fonte: ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre

2008

98 Il 16,1% del totale si concentra nel Centro Italia. Per approfondimenti si rinvia a ISTAT- agricoltura – La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008 99 Tale voce risulta composta nel seguente modo: concimi minerali 72,7%, concimi organici 3,9% e concimi organo-minerali 10,3%.

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108

Figura 7.11 - Composizione della produzione per tipo di fertilizzanti – Regione Marche – 2007

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT- agricoltura La distribuzione per uso agricolo dei fertilizzanti – Anno 2007, 10 novembre 2008

Dall’analisi del mercato dei fertilizzanti è emerso lo sviluppo dell’impiego degli ammendanti e

dei concimi organici. In particolare il numero di impianti100 di produzione di Ammendante

Compostato è cresciuto soprattutto nell’ultimo decennio parallelamente alla disponibilità di

biomasse da avviare al compostaggio.

Il compostaggio101 è un processo di riciclaggio dei rifiuti organici (nel nostro caso della sansa)

attraverso il quale si ottiene un ottimo fertilizzante naturale, chiamato compost.

Tra gli scarti organici sottoposti a compostaggio assume sempre maggior importanza la frazione

organica raccolta in ambito urbano (rifiuti urbani biodegradabili provenienti da cucine, mense e

lo scarto vegetale proveniente dai giardini e dai parchi) mentre i fanghi di depurazione

diminuiscono progressivamente. Nel 2005 sono stati ca. un milione all’anno le tonnellate di

Ammendante Compostato102che viene destinato ai vari comparti agricoli: agricoltura di piano

campo, settori specializzati quali l’orticoltura e la viticoltura, il florovivaismo103.

100 Le unità attive sul territorio nazionale nel 2005 sono pari a 215 impianti rispetto ai 10 del 1993. 101 Per approfondimenti si rinvia al capitolo 5 del presente lavoro. 102 Nel rispetto delle caratteristiche stabilite dal D. Lgs 29 aprile 2006 n. 217, Revisione della disciplina in materia di fertilizzanti. 103 Centemero M., L’evoluzione della produzione di ammendanti compostati in Italia: il ruolo del controllo della qualità e della certificazione del prodotto per il consolidamento del mercato, Fertilitas Agrorum 2 (1): 15-22, 2006.

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Negli ultimi anni si è assistito a un incremento dei quantitativi di Ammendante Compostato

impiegati in pieno campo su colture estensive, segno tangibile di una maggiore confidenza da

parte degli agricoltori nei confronti di un nuovo mezzo tecnico, oltre che innovativo, nel vasto

panorama dei fertilizzanti organici104.

Diverse Regioni, in relazione alle diverse condizioni strutturali e territoriali, hanno deciso di

puntare su misure con forte caratterizzazione ambientale.

Analizzando il Piano di Sviluppo Rurale (PSR) di ogni singola regione, si evince che ben undici

regioni hanno introdotto finanziamenti per promuovere la conservazione della fertilità del suolo

e un maggior equilibrio nella pratica della fertilizzazione organica e minerale.

In particolare nel Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 della regione Marche105 è previsto la

concessione di una indennità a favore degli agricoltori destinate al perseguimento dei seguenti

obiettivi:

• promuovere l’adozione di tecniche di coltivazione estensiva in grado di limitare l’impatto

dell’attività agricola sull’ambiente e di favorire l’immobilizzazione di CO2 nei suoli

agrari;

• maggiore tutela della risorsa suolo specie in riferimento alla riduzione dei fenomeni

erosivi nei terreni regionali caratterizzati da una notevole acclività.

Il sostegno è pari a € 190/ha106 e la durata dell’impegno è di 5 anni.

Il sostegno prevede il rispetto delle tecniche di produzione estensive come la fertilizzazione

organica con ammendante compostato verde107 e/o compostato misto108 di cui all’allegato 13 al

D. Lgs n. 217/06, considerati ammissibili per l’utilizzo in agricoltura biologica.

A tal fine sarà necessario predisporre un piano di concimazione basato sull’analisi delle

asportazioni in elementi minerali delle colture e sulle dotazioni del terreno attraverso una analisi

104 Per approfondimenti si rinvia a Centemero M., L’evoluzione della produzione di ammendanti compostati in Italia: il ruolo del controllo della qualità e della certificazione del prodotto per il consolidamento del mercato, Fertilitas Agrorum 2 (1), pag. 15, 2006. 105 Approvato il 19 dicembre 2007; pag 345-346. 106 Non è specificato se il sostegno è annuo. 107 Gli ammendanti compostati verdi (ACV) sono prodotti che derivano dal trattamento di scarti della manutenzione del verde ornamentale, residui delle colture, altri rifiuti di origine vegetale con esclusione di alghe e altre piante marine. Per approfondimenti si rinvia a Centemero M., L’evoluzione della produzione di ammendanti compostati in Italia: il ruolo del controllo della qualità e della certificazione del prodotto per il consolidamento del mercato, Fertilitas Agrorum 2 (1), pag. 16, 2006. 108 Gli ammendanti compostati misti (ACM) sono prodotti che derivano dalla frazione organica proveniente da raccolta differenziata, da rifiuti di origine animale compresi liquami zootecnici, da rifiuti di attività agroindustriale e da lavorazione del legno e del tessile naturale non trattati, da reflui e fanghi, nonché dalle matrici previste per l’ACV. Per approfondimenti si rinvia a Centemero M., L’evoluzione della produzione di ammendanti compostati in Italia: il ruolo del controllo della qualità e della certificazione del prodotto per il consolidamento del mercato, Fertilitas Agrorum 2 (1), pag. 16, 2006.

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110

della fertilità, al fine di provvedere alle dosi di fertilizzazione richieste entro i limiti stabiliti, ed

effettuare la concimazione nelle epoche idonee (in funzione della tessitura del terreno e

dell’epoca di lavorazione.

Nel 2007 i fertilizzanti hanno vissuto una tensione dei prezzi a livello internazionale. Ciò è stato

dovuto al fatto che il mercato dei fertilizzanti è caratterizzato da un’offerta poco elastica e sconta

l’impossibilità da parte della produzione di rispondere in tempi brevi alle accresciute richieste.

I prezzi della maggior parte dei fertilizzanti sono quasi raddoppiati negli ultimi mesi109 e la

tendenza non sembra rallentare (Tabella 7.20).

A tale riguardo, Eurostat ha calcolato che, a livello europeo, i prezzi dei fertilizzanti sono

aumentati del 52,8%.

Tabella 7.20 - Prezzi medi dei principali concimi (€/T) I prezzi si intendono per aziende medio-grandi del nord-centro Italia

PRODOTTI Novembre 2008 Ottobre 2008 Novembre 2007

Urea granulare 46% 600 655 370

Nitrato ammonico 26% 430 440 230

Fosfato biammonico 18/46 920 985 475

Perfosfato semplice 430 435 225

Cloruro di potassio 60 780 780 290

Fonte: Maresca A., Terra e Vita, n.44/2008, pag.8

Uno degli obiettivi della nostra analisi economica consisteva nel conoscere il valore di mercato

del fertilizzanti prodotti attraverso la tecnica del compostaggio e della digestione anaerobica.

Una volta analizzati le caratteristiche chimico-fisiche del compost, ottenuto dai campioni di

sansa prelevati dai frantoi partecipanti al progetto, le informazioni sul valore medio di tale

fertilizzante sono state acquisite attraverso contatti con operatori specializzati del settore in

esame; si è giunti in questo modo ad identificare un valore medio pari a € 13 il quintale.

Non è stato possibile procedere alla stessa analisi riguardo il digestato (sottoprodotto della

Digestione Anaerobica), in quanto ancora in corso di sperimentazione110.

109 Assofertilizzanti, L’Agricoltura e il mercato dei fertilizzanti.. http://www.assofertilizzanti.it/assofertilizzanti/Home.nsf/GlobalHome?OpenForm 110 Per approfondimenti al riguardo si rinvia al Capitolo 4, paragrafo 4.3.7.

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111

7.5 Analisi dei costi di lavorazione degli oleifici Gli obiettivi del presente paragrafo consistono nell’analisi dei costi di lavorazione degli oleifici.

Si è proceduto alla determinazione del costo di lavorazione (costo pieno industriale) degli oleifici

che hanno collaborato con i soggetti attuatori del progetto alla realizzazione dell’analisi

economica, energetico-ambientale dei reflui oleari.

Gli oleifici suddetti, selezionati il I anno 111, sono:

Petrelli Vincenzo (metodo di estrazione continuo a 2 fasi e mezzo);

Agostini Alfredo (metodo di estrazione continuo a 2 fasi e mezzo);

Conca d’oro di Alessandro Alessandrini (metodo di estrazione continuo a 3 fasi).

Durante il II anno del progetto si è voluto ampliare il campione di riferimento inserendo due

frantoi al fine di analizzare i possibili metodi di estrazione dell’olio: il metodo di estrazione per

pressione o tradizionale112 e il metodo di estrazione per centrifugazione o continuo113 a 2 fasi.

Non è stato analizzato in tale ambito il metodo Sinolea in quanto nelle province di Ascoli Piceno

e di Fermo, nostro comprensorio di riferimento, non viene utilizzato.

Considerando le peculiarità dell’impresa minore olearia114 e i diversi metodi di estrazione

dell’olio, l’analisi ha riguardato la determinazione del costo pieno industriale per tipologia di

prodotto e sottoprodotto e il confronto dei risultati sulla base delle evidenze emerse.

111 Si rinvia alla Prima Relazione sull’attività svolta e risultati ottenuti I anno di progetto (giugno 2007-maggio 2008). 112 Il sistema per pressione è un sistema discontinuo in quanto le fasi di frangitura, gramolatura, estrazione e separazione, sono appunto l’una discontinua dall’altra. Per approfondimenti si rinvia a Prima Relazione sull’attività svolta e risultati ottenuti I anno di progetto (giugno 2007-maggio 2008). 113 Il sistema per centrifugazione è un sistema continuo che consente di lavorare velocemente e con ridottissimo uso della manodopera. Per approfondimenti si rinvia a Prima Relazione sull’attività svolta e risultati ottenuti I anno di progetto (giugno 2007-maggio 2008). 114 La caratteristica fondamentale che accomuna la maggior parte dei frantoi è che sono imprese di piccole e piccolissime dimensioni, molto spesso a carattere familiare. A tal proposito la Commissione Europea, nel 2003, ha aggiornato la definizione legislativa di piccola e media impresa e la nozione di microimpresa al fine di poter definire meglio la loro realtà economica. La definizione è contenuta nella Raccomandazione 361/2003 della Commissione, del 6 maggio 2003 ed è entrata in vigore dal 1° Gennaio 2005. Una media impresa è definita come un’impresa il cui organico sia inferiore a 250 persone e il cui fatturato non superi 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a 43 milioni di euro. Una piccola impresa è definita come un’impresa il cui organico sia inferiore a 50 persone e il cui fatturato o il totale del bilancio annuale non superi i 10 milioni di euro. Una microimpresa è definita come un’impresa il cui organico sia inferiore a 10 persone e il cui fatturato o il totale di bilancio annuale non superi i 2 milioni di euro114. Per approfondimenti: www.governo.it, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, legge 124/39 del 20 maggio 2003.

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7.5.1 I tratti identificativi del campione Dalla rielaborazione dei dati raccolti con il questionario è emerso che 3 aziende hanno una

superficie aziendale compresa tra 100mq e 300mq, mentre 2 hanno una superficie aziendale

compresa tra 500mq e 1.000mq.

La distribuzione del valore della produzione risulta concentrata nella fascia reddituale che

corrisponde ad un fatturato compreso tra Euro 25.000 e Euro 150.000.

Solo una azienda ha un fatturato che supera Euro 1.000.000 e un frantoio non raggiunge Euro

25.000.

Dimensioni aziendali Classe di fatturato

Per quanto riguarda la localizzazione, tre aziende su cinque si trovano in zona rurale, le restanti

in zona urbana.

Solo un frantoio ha la forma giuridica di una società in nome collettivo, le altre quattro sono

aziende individuali.

In tutte le aziende c’è la presenza della famiglia e la manodopera è prevalentemente familiare.

Tali imprese si avvalgono di lavoratori stagionali, che vengono assunti limitatamente al periodo

di molitura (ottobre-dicembre).

Manodopera

Manodopera N. Aziende

Familiari 0

Stagionali e familiari 5

Totale 5

Classe di fatturato

N. Aziende

0- 25.00 1 25.000-75.000 1 75.000-150.000 2 150.000-250.000 250.000-500.000 500.000-1.000.000 Oltre 1.000.000 1 Totale 5

Dimensione dell’azienda

N. Aziende

<100 mq Da 100 mq a meno di 300 mq

3

Da 300 mq a meno di 500 mq

Da 500 mq a meno di 1000 mq

2

Oltre 1000 mq Totale 5

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113

Tutte le aziende prese in considerazione possono essere definite come microimprese, in quanto

non superano i 2 milioni di euro di fatturato e hanno un organico inferiore a 10 persone115.

Dalla rielaborazione dei dati della seconda sezione del questionario è emerso che due frantoi

utilizzano il metodo di estrazione per centrifugazione con decanter a 2 fasi e ½; un’azienda

utilizza sia il metodo di estrazione per pressione che quello per centrifugazione a 2 fasi e ½.

Infine, una azienda utilizza il metodo di estrazione per centrifugazione con decanter a 2 fasi e

una quello con decanter a 3 fasi.

Inoltre, i frantoi che utilizzano il metodo di estrazione a 2 fasi e ½ e il metodo tradizionale,

acquistano le olive e lavorano conto terzi; il frantoio a 3 fasi offre solo il servizio di molitura;

l’azienda a 2 fasi coltiva le piante di olivo116, raccoglie le olive da cui produce olio proprio e

inoltre lavora conto terzi.

Sistema di estrazione dell’olio

Sistema di estrazione dell’olio N. Aziende

Estrazione per Pressione + per Centrifugazione 2 fasi e ½ 1

Estrazione per Percolamento Estrazione per Centrifugazione: a 3 fasi 1

Estrazione per Centrifugazione: a 2 fasi 1

Estrazione per Centrifugazione: a 2 fasi e ½ 2

Totale 5

Dal processo produttivo si ottengono tre tipologie di prodotti/sottoprodotti: olio, sansa e acqua di

vegetazione.

Dall’indagine emerge che la sansa viene venduta al sansificio o a imprese private; l’acqua di

vegetazione viene sparsa al suolo come fertilizzante, ad eccezione di una azienda del nostro

campione, che non avendo un terreno su cui spanderla, deve portarla al depuratore, sostenendo

dei costi.

Infine, l’olio prodotto viene venduto dai frantoi, soprattutto, al mercato locale con un proprio

punto vendit. Il mercato di sbocco è regionale e nazionale>, solo per due aziende il mercato si

estende anche ai paesi dell’UE ed extra-UE.

115 www.governo.it, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, legge 124/39 del 20 maggio 2003. 116 La superficie agricola utilizzata per la coltivazione è di circa 9 ettari di cui circa 6 ettari di proprietà dell’azienda; per i costi di lavorazione agricola si rinvia al paragrafo 7.5 del presente lavoro.

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114

Dalle interviste è emerso, inoltre, che la campagna molitoria 2007/2008 è stata piuttosto negativa

e la causa deve essere attribuita principalmente ai fattori climatici sfavorevoli, i quali però non

hanno intaccato la qualità del prodotto.

Alcune aziende hanno dovuto anche acquistare olio sfuso per far fronte alla domanda di olio.

7.5.2 Costi di lavorazione Allo scopo di calcolare il costo di lavorazione degli oleifici si giunge alla determinazione del

costo pieno industriale di prodotto (olio117, sansa e acqua di vegetazione) ponendo così

l’attenzione sul processo di produzione118, articolato in diverse attività.

Il processo produttivo di un’azienda olearia può essere suddiviso nelle seguenti attività:

- approvvigionamento materie prime,

- stoccaggio olive,

- defogliazione e/o lavaggio,

- frangitura (a frangitori meccanici o a molazze),

- gramolatura,

- estrazione (per centrifugazione o per pressione),

- separazione,

- filtrazione,

- conservazione,

- confezionamento,

- stoccaggio sansa e/o stoccaggio acqua di vegetazione.

Come ampiamente analizzato nel corso del I anno della ricerca, i differenti metodi di estrazione

dell’olio pur prevedendo le stesse attività si differenziano per quantità e tipologie di risorse

necessarie (attrezzature, acqua, ecc), di output parziali ottenuti e di tempi di ciascuna fase.

Dall’indagine effettuata presso i frantoi del nostro campione, è stato possibile procedere al

calcolo dei costi diretti, indiretti e dei costi fissi specifici119 dei vari prodotti e sottoprodotti.

117 Il prodotto Olio, si distingue in Olio proprio e Olio conto terzi, poiché i frantoi, oltre a produrre olio da vendere direttamente sul mercato, spesso lavorano le olive conto terzi. In questo ultimo caso il frantoio restituisce l’olio prodotto dietro un compenso per il servizio offerto, e trattiene la sansa e l’acqua di vegetazione. 118 Per la determinazione del costo pieno industriale si è scelto di fare riferimento al metodo dell’Activity Based Costing. Tale metodo permette una attribuzione dei costi in relazione alle diverse attività in cui si articola il processo di produzione . BRUSA L., Contabilità dei costi, contabilità per centri di costo ed Activity Based Costing, Giuffrè, Milano, 1995; BUBBIO A., Calcolo dei costi per attività. Guerini, Milano, 2002. 119 I costi diretti sono quei costi che sono imputabili direttamente all’oggetto.

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115

In sintesi nelle Tabelle 7.21 e 7.22 sono riportati i costi unitari relativi ai diversi metodi di

estrazione120.

Tabella 7.21 – Costi unitari diretti di prodotto per metodo di estrazione Tabella 7.22 - Costi unitari per tipologia

Costi unitari Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda tradizionale

Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda 2 fasi

Azienda3 fasi

C. diretti 1,45 1,66 1,78 1,60 1,58 0,13

C. Fissi Specifici 0,18 0,18 1,88 0,19 0,19

C. Indiretti 1,48 1,17 0,95 0,70 0,31 0,28

Dalle informazioni delle tabelle sopra esposte, si può ottenere il costo pieno industriale unitario

per tipologia di prodotto/sottoprodotto e metodo di estrazione. Nella Tabella 7.23 è evidenziato il

costo pieno industriale di prodotto/sottoprodotto riferito alle cinque aziende considerate nella

ricerca.

Tabella 7.23 - Costi pieni industriali unitari di prodotto/sottoprodotto e metodo di estrazione*

*piccole differenze tra la sommatoria dei costi unitari per tipologia della Tabella 7.22 e il valore del costo pieno industriale unitario totale (Tabella 7.23) derivano dagli arrotondamenti.

I costi indiretti sono quei costi che si imputano all’oggetto di costo secondo criteri di comunanza, cioè mediante un procedimento di ripartizione o allocazione del costo. I costi fissi specifici, sono quelli dei fattori produttivi impiegati in modo specifico ed esclusivo per ottenere un dato oggetto. CINQUINI L., Strumenti per l’analisi dei costi, Vol. I, Fondamenti di Cost Accounting, Giappichelli, Torino, 2003, pp. 13 e seg. 120 In neretto sono evidenziati i frantoi che collaborano al progetto. Gli altri due frantoi (di cui uno presenta due linee di estrazione dell’olio: una tradizionale - III colonna e una continua 2 fasi e mezzo- IV colonna) hanno integrato il nostro campione al fine di analizzare tutti i sistemi di estrazione dell’olio.

Costi unitari Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda tradizionale

Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda 2 fasi

Azienda3 fasi

Materie Prime 1,32 1,45 0,99 1,46 1,18 Manodopera Diretta 0,13 0,21 0,79 0,13 0,40 0,13

Acqua 0,0009 0,0011 0,0007 0,0016

Costi pieni industriali Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda tradizionale

Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda 2 fasi

Azienda3 fasi

Olio proprio /C.P.Ind.U. 1,77 1,75 3,62 1,35 1,31

Olio terzi /C.P.Ind.U. 0,43 0,33 0,59 0,24 0,32 0,32

Sansa/C.P.Ind.U. 0,35 0,50 0,22 0,46 0,45 0,06 AV/C.P.Ind.U. 0,55 0,44 0,18 0,43 0,04 C.P.Ind.U. Totale 3,10 3,02 4,61 2,48 2,08 0,42

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Dall’analisi combinata delle tre tabelle è possibile notare che l’azienda con un costo pieno

unitario di prodotto più consistente è l’azienda che utilizza un metodo di estrazione tradizionale

(per pressione).

Il costo pieno unitario è pari a 4,61€.

Questo risultato è dovuto al fatto che il frantoio, utilizzando il metodo tradizionale, deve far

ricorso a molta più manodopera rispetto ai vari metodi del continuo121; deve sostenere costi fissi

specifici più consistenti (1,88€), con riferimento alle presse e ai fiscoli utilizzati nella fase di

estrazione.

L’azienda con il metodo tradizionale sostiene un costo unitario per la Mod di 0,79€, mentre le

aziende che utilizzano i metodi di estrazione del continuo sostengono un costo molto più basso.

Questo è dovuto al fatto che nei metodi del continuo l’intervento dell’uomo è limitato al carico

delle olive nella tramoggia ed alla raccolta del prodotto finale (Tabella 7.21).

L’azienda con il costo pieno unitario più basso è il frantoio che utilizza il metodo continuo a tre

fasi, con un costo pari a 0,42€.

In questo caso tale valore non dipende dal metodo di estrazione utilizzato ma da altri fattori.

Infatti tale azienda si differenzia dalle altre poiché non acquista olive ma le lavora solo conto

terzi, quindi offrendo solo il servizio di molitura non sostiene i costi di acquisto relativi alla

materia prima.

Il frantoio non sostiene costi fissi specifici, in quanto sono i terzi (clienti privati o aziende) a

trasportare le olive al frantoio; inoltre consegnando l’olio al termine della fase di separazione

non sostiene né i costi per i filtri né i costi per il confezionamento. Il frantoio non sostiene

neanche i costi di trasporto della sansa e dell’acqua di vegetazione (e i relativi costi di

smaltimento) in quanto li colloca presso aziende agricole di proprietà.

Al contrario, gli altri frantoi del campione sostengono dei costi per il trasporto e lo stoccaggio

della sansa.

I costi indiretti del frantoio che lavora solo olive c/terzi hanno un’incidenza minima (0,28€).

Infatti l’azienda sostiene solo i costi di energia, pulizia e manutenzione macchinari, mentre non

ha costi di ammortamento, in quanto tutti i macchinari sono stati ammortizzati. Questo è sintomo

di un’azienda che negli anni non è stata propensa a fare nuovi investimenti.

121 Per approfondimenti si rinvia a Prima Relazione sull’attività svolta e risultati ottenuti I anno di progetto (giugno 2007-maggio 2008).

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Le rese della sansa e dell’acqua di vegetazione Tabella 7.24 – Le rese in termini percentuali

Rese in % Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda tradizionale

Azienda 2 fasi e 1/2

Azienda 2 fasi

Azienda 3 fasi

Sansa 66,6 51 36,34 44,26 88 45 A.V. 22,8 64,34 50 60 65

Possiamo osservare come per la sansa ci sia una “notevole” differenza, a livello di quantità e di

qualità, tra il metodo tradizionale e il metodo continuo. Infatti, mentre la sansa del metodo

tradizionale ha una resa che supera appena il 35%, quella del continuo è superiore al 44%; una

resa di gran lunga superiore si ottiene con il metodo a 2 fasi (88%) (Tabella 7.24).

Inoltre la sansa del tradizionale è più secca mentre quella che deriva dal metodo continuo è più

umida, sino a raggiungere un elevata umidità nel metodo a 2 fasi.

La maggiore umidità comporta sia maggiori difficoltà nella lavorazione, sia costi di essiccazione

più elevati. Si aggiunge, inoltre, che la sansa ottenuta dal metodo a 2 fasi ha una composizione

tale da essere economicamente riutilizzata solo come fertilizzante. Infatti, la stessa non ha una

richiesta da parte di altri operatori economici appartenenti alla filiera olearia. Ci riferiamo, in

particolare, al sansificio specializzato nella lavorazione della sansa per la produzione di olio di

sansa.

Nel nostro caso l’azienda con il metodo di estrazione a 2 fasi, riutilizza la sansa come

fertilizzante e la sparge sul terreno di proprietà adibito a colture diverse.

Come per la sansa anche per l’acqua di vegetazione c’è una differenza tra l’acqua ottenuta con il

metodo tradizionale e quella ottenuta con il metodo continuo.

Si può notare, infatti, che la resa dell’acqua di vegetazione del tradizionale è del 50%, mentre

quella del continuo si aggira intorno al 60% con eccezione dell’azienda con metodo di estrazione

a 2 fasi e 1/2 (prima colonna della Tabella 7.24), che ha una resa dell’acqua intorno al 22,8%.

Per i sottoprodotti, una maggior resa della sansa e dell’acqua di vegetazione comporta un

maggior costo di trasporto sia della sansa che dell’acqua di vegetazione e un maggior costo di

smaltimento dell’acqua di vegetazione.

Però allo stesso tempo una maggiore resa della sansa significa anche un maggior ricavo per il

frantoio derivante dalla sua cessione sul mercato.

In generale, la sansa rappresenta fonte di ricavo per i frantoi se venduta al sansificio o ad altre

aziende o private.

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Va precisato però che la sansa ottenuta dal sistema a 2 fasi, può essere utilizzata solo come

fertilizzante, in quanto è troppo umida e non viene accettata dai sansifici.

L'acqua di vegetazione rappresenta, invece, solamente un costo sia per le aziende che la

utilizzano come fertilizzante, che per le aziende (nel nostro campione una azienda) che la

portano al depuratore.

Infatti per poterla spargere sul terreno, le aziende devono sostenere dei costi, relativi alla

Relazione geologica del terreno da inviare al Comune, all’eventuale affitto del terreno e allo

spandimento.

Per quanto riguarda i possibili riutilizzi dell’acqua di vegetazione, sono stati fatti studi per

cercare metodologie di riutilizzo e di valorizzazione delle acque reflue; le stesse sembrano

difficili da applicare alle singole aziende olearie per i costi di investimento elevati da dover

sostenere.

Per quanto riguarda il riutilizzo della sansa, invece, la scelta della maggior parte delle aziende

olearie è orientata alla vendita al sansificio. In questo caso c’è un guadagno ma spesso irrisorio

poiché si devono sostenere elevati costi di trasporto. Una possibile soluzione potrebbe essere

realizzare una cooperazione tra le aziende finalizzata a creare una filiera per la raccolta della

sansa che agevolerebbe l’abbattimento della spesa.

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7.6 Analisi dei costi di lavorazione agricola Nel nostro campione un solo frantoio non acquista olive ma lavora le olive proprie.

Per la coltivazione, l’azienda sostiene i costi per i trattamenti alle piante, la potatura, la raccolta e

l’affitto di una parte del terreno. La sansa che deriva dal processo di lavorazione è riutilizzata

come fertilizzante spandendola al terreno adibito alla coltivazione di piante di olivo. Il costo di

coltivazione per 1 chilogrammo di olive è di 0,75€ (Tabella 7.26).

Tabella 7.26 – Costi di lavorazione agricola

COLTIVAZIONE COSTI Olive prodotte (in kg)

TRATTAMENTI PIANTE 2.000

POTATURA 10.000

RACCOLTA 6.000

AFFITTO 3.700

VARIE 8.300

TOTALE 30.000 40.000

Il costo di coltivazione, 30.000€, è stato attribuito direttamente all’olio e alla sansa in base alle

loro rese122 (Tabella 7.27).

Tabella 7.27 – Costi di lavorazione agricola dell’olio e della sansa

COSTI DI LAVORAZIONEAGRICOLA

OLIO totaleeuro

OLIO kgeuro

SANSA totale euro

SANSA kg euro

30.000 3.600 0,75 26.400 0,75

122 La resa dell’olio è pari a circa il 12% e la resa della sansa è pari a circa 88%.

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7.7 Analisi dei costi di esercizio degli impianti di produzione di energia Oggetto di questo paragrafo è l’analisi economica dei seguenti processi di riutilizzo della sansa:

la combustione diretta e la digestione anaerobica. Si vuole verificare se la sansa può essere

riutilizzata, al fine così di ridurre il problema del suo smaltimento, ricordando che si tratta di un

materiale a forte pressione ambientale con elevato contenuto organico e minerale123.

A questo proposito esiste una ricca letteratura nazionale ed internazionale sulle diverse opzioni

tecnologiche per la produzione di energia elettrica con impianti alimentati da fonti rinnovabili il

cui obiettivo è comprendere il loro livello di competitività nel mercato dell’energia elettrica124.

Meno ricca sembrerebbe la letteratura sulle diverse possibilità tecnologiche per la produzione

elettrica con impianti alimentati esclusivamente dalla sansa125.

Il mercato degli impianti per la conversione elettrica delle fonti rinnovabili sta vivendo un

momento di particolare pressione a motivo dello squilibrio tra domanda ed offerta a livello

internazionale. La decisione europea di portare al 20% al 2020 il contributo di tali fonti potrebbe

mantenere tale pressione sui mercati anche nei prossimi anni.

Per quanto riguarda la biomassa che nei programmi nazionali dovrebbe incrementare in modo

importante il proprio contributo, rimane un grosso problema legato al costo di acquisizione della

materia prima in quantità sufficienti per alimentare un parco della potenza auspicata.

In generale, il punto debole di tali impianti è l’elevata incidenza del costo del combustibile, che

nel caso di riferimento arriva a 95 €/MWh. Anche il processo autorizzativo richiede tempi e

risorse rilevanti, tali da rendere difficile la realizzazione di impianti capaci di raggiungere la

scala efficiente sul piano economico126.

Allo scopo di analizzare i costi di esercizio degli impianti di produzione di energia, si

considerano, come abbiamo già detto, i processi di riutilizzo della sansa vergine indagati nel

corso dell’analisi energetica127.

In particolare si intende stimare la dimensione degli impianti128 per la combustione diretta e per

la digestione anaerobica al fine di conoscere i costi di gestione degli stessi per un frantoio del

123 Come evidenziato nel capitolo 5 del presente lavoro. 124 Fra gli altri lo studio del CESI (2004); lo studio ENEA (2005); lo studio EER (Emerging Energy Research) per Vestas (2006); lo studio IEA, Renewables 2005, Global Status Report, (2005); per approfondimenti si rinvia a Lorenzoni A. e Bano L. (a cura), I costi di generazione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, Università degli Studi di Padova-Dipartimento di Ingegneria Elettrica, 2007, pag.63 e ss. 125 Si rinvia a Pellerano A. , Pantaleo A., Tenerelli P., Carone M.T., Produzione di energia dai residui della filiera olivicola in Puglia: potenzialità e scenari di valorizzazione energetica, Università degli Studi di Bari, 2007. 126 Per approfondimenti si rinvia a Lorenzoni A. e Bano L. (a cura), I costi di generazione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, Università degli Studi di Padova-Dipartimento di Ingegneria Elettrica, 2007, pag.3 e ss. 127 Per approfondimenti si rinvia a capp. 3 e 4.

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121

nostro campione129, sulla base di tutte le informazioni che sono emerse in sede di analisi

energetica130. La disponibilità di molte informazioni derivano da contatti con operatori del

settore, professionisti e studiosi nelle aree disciplinari ingegneristiche, economiche ed agrarie

che hanno collaborato attivamente alla determinazione delle argomentazioni che seguono.

7.7.1 Combustione diretta Come richiamato nell’analisi energetica, le sanse possono essere incenerite in impianti

controllati o in forni meno controllati e può essere così recuperato calore anche per la produzione

di energia elettrica131.

Nell’analisi economica si è proceduto, in primo luogo, alla determinazione del fabbisogno

energetico del frantoio oggetto di analisi.

Il frantoio ha un capannone di 4.800 m3. Ne deriva, quindi, che il suo fabbisogno energetico in

termini di riscaldamento è pari a 192.000 kcal/a.

Il frantoio ha consumato circa 500 litri/h di acqua calda nel processo di produzione dell’olio per

circa 60 giorni di campagna molitoria132, si desume che il suo fabbisogno di energia termica in

termini di acqua sanitaria è pari a 9.600.000 kca/a.

Ne deriva un fabbisogno complessivo di circa 9.792.000 kcal/a; sapendo che 1 kWh è pari a 860

kcal si determina un fabbisogno di circa 11.400 kWh/a.

Considerando che, con una caldaia da 110 kW, 1 kg di sansa, sulla base delle evidenze di

laboratorio, è in grado di produrre 4.732 kcal133, si ricava che 2 tonnellate di sansa permettono di

soddisfare il fabbisogno termico, in termini di riscaldamento e acqua sanitaria.

E’ bene precisare che la sansa prima di essere bruciata deve essere essiccata, in quanto il

processo di combustione è utilizzabile solamente se si parte da prodotti aventi il più basso grado

128 Per questo secondo anno della ricerca, il dimensionamento degli impianti è frutto delle conclusioni emerse dall’indagine energetica. E’ importante sottolineare che gli impianti alimentati a fonte rinnovabile sono frutto di una combinazione di fattori che sono molto specifici e difficilmente ripetibili, per cui la variabilità del costo complessivo è molto elevata da un caso ad un altro. Per approfondimenti si rinvia a Lorenzoni A. e Bano L. (a cura), I costi di generazione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, Università degli Studi di Padova-Dipartimento di Ingegneria Elettrica, 2007, pag.1 e ss. 129 Si è scelto il frantoio in esame (Agostini Alfredo s.n.c.) poiché rappresenta il più significativo in termini di dimensioni, fatturato, produzione annuale (200t nella campagna molitoria 2007-2008) e forma giuridica. Si veda il paragrafo 7.5 del presente trattato. 130 Si rinvia ai capitoli 3 e 4 del presente lavoro. 131 Per approfondimenti sulla combustione diretta si rinvia al Capitolo 3 del presente lavoro. 132 Campagna molitoria 2007-2008. 133 Si rinvia per approfondimenti al capitolo 3.

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122

di umidità possibile134; ne deriva quindi, che necessita incrementare di circa il 20% (da quanto

emerge dalle considerazioni di laboratorio curate dall’Istituto di ricerca) il quantitativo di base da

impiegare per soddisfare il fabbisogno energetico.

Da tale analisi, supportata dalle conferme del titolare del frantoio in esame, si evince che la sansa

utilizzata per fini energetici, rappresenta il 10% di quella prodotta, il 90% resta da smaltire o da

destinare al mercato dopo il processo di essiccazione.

Partendo da tali considerazioni, nel proseguo si pongono in evidenza i vantaggi e i punti critici

dell’impiego di una caldaia a sansa per il fabbisogno termico e l’acqua sanitaria del frantoio in

confronto all’utilizzo di una caldaia tradizionale.

Dapprima, calcolato il fabbisogno energetico del frantoio, si è considerata la possibilità di

utilizzare una caldaia a sansa da 110 kW in grado di produrre calore e scaldare l’acqua

necessaria per il processo produttivo.

Si consideri che l’acquisto di tale impianto, compresa l’IVA al 20% e le spese di installazione,

prevede un investimento di circa € 50.000, ma grazie agli incentivi fiscali previsti dalla Legge

Finanziaria 2006135 è possibile un recupero del 55% del costo complessivo136 con un

investimento iniziale di circa € 22.250, ammortizzabile in 10 anni. A tale onere si aggiunge il

costo per l’acquisto di un essiccatore di piccole dimensioni in grado di ridurre l’umidità della

sansa (e portarla quindi nelle condizioni ottimali per essere bruciata) e di lavorare circa 1

tonnellata di sansa al giorno. Tale impianto prevede un investimento iniziale minimo di circa €

120.000, ammortizzabile in 10 anni. In aggiunta visto lo sfasamento temporale tra la produzione

della sansa umida (circa di 3 mesi per anno) e il processo di essiccazione che richiede tempi più

lunghi, è necessario considerare il costo di una fossa di cemento armato per lo stoccaggio della

sansa (da circa 22 m3) stimato in € 9.000, ammortizzabile anche in 10 anni. Seppure

l’investimento iniziale può apparire elevato si consideri che la sansa essiccata ha un valore di

mercato di circa € 0,08-0,1/kg137. Pertanto l’utilizzo di un essiccatore oltre a soddisfare il

fabbisogno energetico del frantoio di 2 t di sansa può permettere di ottenere un ricavo dalla

vendita della sansa essiccata, valutato in relazione alla sansa prodotta nella stagione molitoria

che si prende in esame. Nel caso specifico (2007-2008) è stato possibile ottenere un quantitativo

134 Si rinvia al capitolo 3, paragrafo 3.3.5. 135 Legge Finanziaria del 27/12/2006, nr. 296, comm. 344-349, Circolare dell’Agenzia delle Entrate nr. 36 del 31/05/2007. 136 Le spese del 2009 e 2010 potranno essere detratte in cinque anni, mentre quelle del 2008 resta la scelta da tre a dieci anni. Visto il periodo indagato si prende in considerazione il massimo consentito ovvero 10 anni. 137 Si tenga presente che tale valore sul mercato oscilla a seconda del trattamento subito dalla sansa e può giungere fino a 15 euro al quintale.

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123

di sansa essiccata pari a circa 158 t138 che genera un ricavo di circa € 13.500-15.800 annuale. Se

ne deduce che per la stagione molitoria 2007-2008 i ricavi della vendita (€ 13.500-15.800) della

sansa essiccata sono in grado di assorbire le quote di ammortamento dell’investimento

complessivo (circa € 15.000)139. Ma, considerando che tale annata ha presentato una produzione

bassa, le proiezioni potrebbero esser migliori nel caso di un quantitativo di sansa maggiore, per

effetto delle possibili economie di scala pur considerando i relativi costi di gestione in aumento.

Non sono da dimenticare altri vantaggi legati al processo di riutilizzo della sansa: utilizzo di

risorse proprie, minori tempi di approvvigionamento delle materie per il riscaldamento - nella

fattispecie il GPL -, minori costi di amministrazione, impatto socio-ambientale positivo in

termini di risparmio di emissioni di gas serra rispetto all’utilizzo di gasolio e rispetto all’utilizzo

di carbone140.

Successivamente, si è considerata la possibilità di utilizzare una caldaia a GPL da 110 kW in

grado di produrre calore e scaldare l’acqua necessaria per il processo produttivo.

Si consideri che l’acquisto di tale impianto ad alto rendimento energetico, compresa l’IVA al

20% e le spese di istallazione, può comportare un costo di circa € 18.500. In aggiunta si sono

considerati costi di approvvigionamento del gpl, stimati dal titolare del frantoio indagato in circa

€ 6.000-7.000 annui. La sansa vergine derivante dal processo produttivo può esser venduta (non

essiccata) al sansificio141 a circa € 2,5 al quintale, generando nel caso specifico della stagione

molitoria in esame (2007-2008) un ricavo di circa € 5.000 da depurare dei costi di trasporto della

materia prima in oggetto. In alternativa la sansa può esser smaltita spargendola sul terreno in

ottemperanza dei limiti di legge e considerando i costi della manodopera e dei mezzi necessari

per tale processo. L’impiego di una caldaia GPL seppure non comporti costi elevati per

l’investimento iniziale, come suesposto, richiede di contemperare i costi di smaltimento

(attraverso la vendita o lo spargimento al suolo) delle 200 t di sansa complessive (derivanti dal

processo produttivo), il costo di ammortamento della caldaia tradizionale e il mancato ricavo

relativo alla vendita della sansa essiccata.

Consideriamo in secondo luogo la possibilità di utilizzare la sansa a disposizione non solo per

produrre energia termica ma anche energia elettrica. 138 Dalle 200 t iniziali si consideri il 20% in meno derivante dal processo di essiccazione e le 2 necessarie per il fabbisogno del frantoio. 139 Dato derivante dalla somma delle quote di ammortamento della caldaia a sansa, dell’essiccatore e della fossa di cemento. 140 Si rinvia per approfondimenti al Capitolo 6 del presente lavoro. 141 Si veda la relazione del primo anno.

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124

Ipotizziamo la possibilità di utilizzare una caldaia a biomassa da 300 kW con cogenerazione142.

Si consideri che l’acquisto di tale impianto costituito da una caldaia a biomasse, installazione

impianto per la generazione elettrica prevede un investimento di circa € 300.000, a cui va

aggiunto il costo per la costruzione di una fossa di cemento armato (da 22 m3) per lo stoccaggio

della sansa, stimato in circa € 9.000. Detta tipologia di impianto consente di abbattere i costi di

essiccazione in quanto esso prevede la possibilità di ridurre l’umidità della sansa attraverso i

vapori generati dal processo tecnico. L’impianto così stimato comporta un investimento

complessivo di circa € 309.000.

In sede di analisi energetica curata dall’Istituto di ricerca, è stato valutato che con l’utilizzo di

una caldaia con potenza termica < 50 MW in cogenerazione è possibile stimare che 1 tonnellata

di sansa produce 5.458,34 kWh, di questo il 30% energia elettrica, il 51% energia termica e il

19% calore disperso.

Partendo dal quantitativo di sansa a disposizione (200 t) ridotto del 20% (stimiamo così il

quantitativo di sansa dopo il processo di essiccazione) e sulla base delle indicazioni emerse in

sede di analisi del bilancio energetico della combustione diretta della sansa143, si è giunti a

determinare la produzione dell’energia termica ed elettrica; considerando poi l’autoconsumo di

energia elettrica da parte del frantoio oggetto di analisi, che nella campagna molitoria 2007-2008

è stato pari a 15.240 kWh, si è determinata l’energia elettrica disponibile per la vendita. Si tratta

di un dato molto interessante su cui è basata la nostra analisi economica (Tabella 7.28).

Tabella 7.28 - Combustione diretta con cogenerazione

PARAMETRO Valore Unità

Potenza 300 kW

Sansa essiccata a disposizione 160.000 Kg/a

Produzione energia 5.458,34 kWh/t

Ore di funzionamento 8.000 h/a

Produzione energia termica 445.400 Kcal/a

Produzione energia elettrica 262.000 kWh/a

Autoconsumo 15.240 kWh/a

Energia elettrica vendibile 246.760 kWh/a

142 Per la cogenerazione è necessario utilizzare una caldaia più potente; la caldaia scelta è stimata in base ai dati a nostra disposizione. 143Per approfondimenti si rinvia al Capitolo 3, paragrafo 3.3.5 del presente lavoro.

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125

Al fine dell’analisi economica andiamo ad analizzare i costi di esercizio di tale impianto di

cogenerazione e sulla base dell’energia elettrica disponibile per la vendita, che abbiamo visto

essere pari a 246.760 kWh/a, calcoliamo i possibili ricavi di gestione, così da determinare il

risultato di esercizio.

Investimento144: - costo caldaia a biomasse 100.000 - costo addizionale per installazione generazione elettrica 200.000

300.000 - costo fossa di stoccaggio di 22 m3 in cemento armato 9.000

- Durata presunta impianto di cogenerazione e della fossa 10 anni

Costi di gestione - Ammortamento delle attrezzature (anni 10; quote costanti) 30.000 (CF)145 - Ammortamento fossa stoccaggio 900 (CF) - Costi di manutenzione ipotizzati al 3% del costo complessivo(€/anno) 9.270 (CF) - Costi della manodopera (stima €/anno) 16.000 (CV)146 COSTI TOTALI : 56.170

Ricavi

Energia elettrica disponibile per la vendita = 246.760kWhe/a

• vendita certificati verdi147 → 8,866 cent/kWh → (246.760*0,08866)= 21.878

• energia venduta all’Enel148 →10,11 cent/kWh → (246.760*0,1011)= 24.947 RICAVI TOTALI 46.825

Risultato di gestione = 46.825-56.170 = -9.345

Sulla base delle ipotesi di partenza, dall’analisi economica, si evince che l’utilizzo di una caldaia

a biomassa per la cogenerazione determina dei risultati di esercizio negativi. Si ricorda che tale

144 Abbiamo rielaborato i costi di investimento di una caldaia a biomassa con impianto di cogenerazione. Per approfondimenti si rinvia a Scarpini A. – Renagri Srl, Generazione elettrica, cogenerazione e rigenerazione a piccola e media scala: opportunità di sviluppo delle tecnologie connesse, Seminario UNACOMA – aprile 2006. 145 I Costi Fissi sono quei costi che non variano al variare del volume di attività. CINQUINI L., Strumenti per l’analisi dei costi, Vol. I, Fondamenti di Cost Accounting, Giappichelli, Torini, 2003, pp. 15 e seg. 146 I Costi Variabili sono quei costi che variano al variare del volume di attività. CINQUINI L., Strumenti per l’analisi dei costi, Vol. I, Fondamenti di Cost Accounting, Giappichelli, Torini, 2003, pp. 15 e seg. 147 Il Gestore dei Servizi Elettrici ha comunicato il 3 febbraio 2009, che il prezzo di offerta dei propri certificati verdi per l’anno 2009 è pari a 88,66€/MWh, al netto dei IVA. Per approfondimenti si rinvia al paragrafo 7.3.3. 148 Si rinvia alla Tabella 7.15, Prezzi minimi garantiti per l’anno 2009, Fonte: AEEG il 22/1/2009, paragrafo 7.3.3.

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indagine è stata condotta considerando il quantitativo di sansa a disposizione del frantoio nella

campagna molitoria 2007-2008, materia fortemente soggetta a discontinuità nella disponibilità; a

conferma di quanto detto nella stagione olearia 2008-2009 lo stesso frantoio ne ha prodotta ben

405 tonnellate.

7.7.2 Produzione di biogas Il biogas è una miscela di vari tipi di gas che si ottiene dalla naturale fermentazione batterica di

sostanze organiche in assenza di ossigeno. Il biogas può essere utilizzato per produrre energia

elettrica e per il riscaldamento.

In sede di analisi energetica condotta dall’Istituto di ricerca, è emerso che una tonnellata di sansa

(SV) produce 1.430 m3di biogas e in cogenerazione, è possibile ricavare da 1 m3di biogas

mediamente 1,8 kWh di energia elettrica (kWhe) e 2,2 kWh di energia termica (kWht).

Dalla sansa a disposizione del frantoio, sulla base delle indicazioni emerse in sede di analisi del

bilancio energetico della digestione anaerobica149, si stima una produzione di 286.000 m3 di

biogas da cui in cogenerazione è possibile estrarre 514.800 kWhe di energia elettrica e 629.200

kWht di energia termica.

Ci si è soffermati sul dato relativo alla produzione di energia elettrica, in quanto è su tale

variabile che si basa la nostra analisi economica. Considerando l’energia elettrica prodotta,

l’autoconsumo da parte del frantoio nel corso della campagna molitoria 2007-2008, pari a 15.240

kWh e l’energia elettrica consumata per il funzionamento del digestore pari al 10%, si è

determinata l’energia elettrica disponibile per la vendita.

Ipotizziamo l’utilizzo di un impianto per la digestione anaerobica con cogeneratore da 100 kW,

con gruppo elettrogeno con motore a combustione interna che lavori circa 7.000 h (Tabella 7.29).

149 Per approfondimenti si rinvia a Capitolo 4, paragrafo 4.3.8 del presente lavoro.

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Tabella 7.29 - Digestione anaerobica con cogenerazione

PARAMETRO Valore Unità

Potenza media di esercizio 80 kW

Efficienza motore 37 %

Motore Man 1.500 giri Potenza massima generatore

100

kW

Ore di funzionamento 7.000 h/a

Sansa prodotta campagna molitoria 2007-2008 200.000 Kg/a

Produzione energia elettrica 514.800 kWh/a

Autoconsumo 66.720 kWh/a

Energia elettrica vendibile 448.080 kWh/a

Investimento150:

- costo impianto 400.000

- costo fossa di stoccaggio di 22 m3 in cemento armato 9.000

Durata presunta 10 anni

Ipotizziamo che l’intero costo dell’impianto, per il suo importo elevato, sia finanziato attraverso

l’accensione di un mutuo a quote di interessi costanti151, della durata di 10 anni, al tasso bancario

del 4,5%/a.

Costi di gestione

- Interessi passivi su mutui 18.405 (CF)152

- Ammortamento delle attrezzature (anni 10; quote costanti) 40.000 (CF)

- Ammortamento fossa stoccaggio 900 (CF)

- Manutenzione delle attrezzature al 3% del costo complessivo (€/anno) 12.270 (CF)

- Costi della manodopera (€/anno) 16.000 (CV)153

COSTI TOTALI 87.575

150 Abbiamo rielaborato i dati relativi ad impianti, di piccola e media taglia, per produrre biogas alimentati prevalentemente da effluenti zootecnici, Dugoni F., Aggiornamento sulle esperienze realizzate in provincia di Mantova, Foragri expo, gennaio 2009; Enea ,La vendita di energia elettrica-Biogas,2007. 151 Per semplicità ipotizziamo un mutuo a quote di interesse costanti; nella prassi si ricorre più frequentemente al mutuo a rate costanti che prevede la corresponsione periodica di somme di uguale ammontare con quote di capitale crescenti e quote di interesse decrescenti lungo la durata del finanziamento. 152 I Costi Fissi sono quei costi che non variano al variare del volume di attività. CINQUINI L., Strumenti per l’analisi dei costi, Vol. I, Fondamenti di Cost Accounting, Giappichelli, Torini, 2003, pp. 15 e seg. 153 I Costi Variabili sono quei costi che variano al variare del volume di attività. CINQUINI L., Strumenti per l’analisi dei costi, Vol. I, Fondamenti di Cost Accounting, Giappichelli, Torini, 2003, pp. 15 e seg.

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Ricavi

energia disponibile per la vendita = 448.080 kWh

• vendita certificati verdi154 → 8,866 cent/kWh → (448.080*0,08866)=39.727

• energia venduta all’Enel155 →10,11 cent/kWh → (448.080*0,1011)= 45.301

RICAVI TOTALI 85.028

Risultato di gestione = 85.028-87.575 = -2.547

Sulla base delle ipotesi di partenza, dall’analisi economica, si evince che l’utilizzo di un

impianto per la digestione anaerobica con cogeneratore156 da 100 kW implica dei risultati di

esercizio negativi. Anche in questo caso, preme sottolineare che tale indagine economica è stata

condotta considerando il quantitativo di sansa a disposizione del frantoio nella campagna

molitoria 2007-2008, materia fortemente soggetta ad irregolarità nella disponibilità. Infatti si

ricorda che nella stagione olearia 2008-2009 lo stesso frantoio ne ha prodotta ben 405 tonnellate.

7.8 Analisi dei costi di esercizio per la produzione di compost Nel capitolo 5 del presente studio, è stato ampiamente evidenziata la possibilità di compostare

tutti i sottoprodotti della filiera olivicolo-olearia, purché opportunamente miscelati con altre

sostanze organiche ricche di azoto.

Si ipotizza la produzione di compostaggio su cumuli posti all’aperto occupanti un’area di 135m2.

Si consideri che il frantoio del nostro campione, oggetto dell’analisi economica, ha un terreno di

proprietà che potrebbe essere utilizzato in tal senso.

Consideriamo che dalle 200 t di sansa si ottengono 250 t di compost157, infatti dal 100% di

prodotto finito, l’80% è rappresentato dalla sansa vergine, il 10% da letame, l’8% da

segatura/paglia e infine il 2% da polvere calcarea.

154 Il Gestore dei Servizi Elettrici ha comunicato il 3 febbraio 2009, che il prezzo di offerta dei propri certificati verdi per l’anno 2009 è pari a 88,66€/MWh, al netto dei IVA. Per approfondimenti si rinvia al paragrafo 7.2.3. 155 Si rinvia alla Tabella 7.15, Prezzi minimi garantiti per l’anno 2009, Fonte: AEEG il 22/1/2009, paragrafo 7.2.3. 156 Tale cogeneratore ha la capacità di operare in un range di potenze comprese tra 10 e 100 kW. 157 Si rinvia al capitolo 5.

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Sulla base delle informazioni acquisite presso alcuni operatori del settore in merito ai prezzi

medi di mercato dei componenti da miscelare alla sansa vergine, per avere un compost di qualità,

si è determinato il costo di acquisto che il frantoio deve sostenere. Si precisa che il letame ha un

prezzo di mercato mediamente pari a € 2 al quintale (compreso il costo di trasporto); la

segatura/paglia di € 10 al quintale (è compreso il costo di trasporto); la polvere calcarea ha un

prezzo di mercato f.m.v. mediamente pari a € 11 quintale.

Due volte all’anno è necessario provvedere a rivoltare il materiale158 e valutando il quantitativo

da lavorare appare conveniente utilizzare una motopala gommata e un operatore in conto terzi

per un importo medio di 55 euro l’ora, per complessivi € 3.520 Per il confezionamento del

compost si ipotizza l’uso di sacchetti di plastica da 25 kg cadauno al costo di 30 centesimi, per

complessivi 10.000 sacchetti e € 3.000 (Tabella 7.30).

Tabella 7.30 – Compostaggio

PARAMETRO Valore Unità

Sansa consumata 200.000 Kg/a

Produzione compost 250.000 Kg/a

Costo letame 500 Kg/a

Costo segatura/paglia 2.000 Kg/a

Costo polvere calcarea 550 Kg/a

Servizio c/terzisti 3.520 h/a

Confezionamento 3.000 sacco

Costi

- Acquisto materiali da miscelare alla sansa vergine 3.050 (CV)159

- Servizio c/terzisti 3.520 (CV)

- Confezionamento 3.000 (CV)

COSTI TOTALI 9.570 RICAVI TOTALI160 = 250.000 kg * 0,13= € 32.500

158 Grazie ad informazioni ottenute da professionisti del settore, si è stimato che l’operatore ha bisogno di 8 giorni l’anno per rivoltare il materiale, ne deriva un numero di ore complessive pari a 64. 159 I Costi Variabili sono quei costi che variano al variare del volume di attività. CINQUINI L., Strumenti per l’analisi dei costi, cit., pp. 15 e seg. 160 Per il prezzo di vendita del compost si rinvia al paragrafo 7.3.

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Risultato di gestione = 32.500-9.570 = 22.930

Sulla base delle ipotesi di partenza, dall’analisi economica si evince che l’utilizzo della sansa

vergine per produrre compost di qualità determina risultati di gestione positivi. Anche in questo

caso, ricordiamo che tale indagine economica è stata condotta considerando il quantitativo di

sansa a disposizione del frantoio nella campagna molitoria 2007-2008, pari a 200 tonnellate;

quantitativo che risulta aumentato del doppio circa nella campagna molitoria 2008-2009.

7.9 Riflessioni sui punti critici e sui risultati economici di ogni processo di riutilizzo della sansa Le tecniche di riutilizzo della sansa ai fini energetici studiate nel presente lavoro (la

Combustione Diretta e la Digestione Anaerobica), rappresentano in generale delle utilizzazioni

finali oggi tecnicamente ed economicamente competitive con possibilità di forte diffusione

territoriale.

Naturalmente una condizione di base è che sia garantita la disponibilità e la economicità della

biomassa, nel nostro caso della sansa, necessaria ad alimentare gli impianti.

Questo obiettivo può essere raggiunto se si moltiplicano e si ottimizzano le filiere di

coltivazione, taglio, raccolta, trasporto e pretrattamento della biomassa.

Dalla nostra indagine si evince che la sansa presenta tutte le caratteristiche per poter essere

utilizzata a scopi energetici presentando vari benefici tra i quali si ricordano:

- eliminazione del problema dello smaltimento, in quanto da residui si trasformano in

materie prime per produrre energia elettrica e termica e in proposito, si ricorda che la

sansa essiccata presenta un elevato potere calorifero161. Per la produzione di biogas la

sansa, soprattutto se prodotta da impianti continui (con contenuto di umidità elevato),

presenta una buona resa;

- maggiore indipendenza energetica;

- diversificazione energetica;

161 Il primo anello di tutto quanto si argomenta, riguarda il calore prodotto con la biomassa, che dipende strettamente dal contenuto energetico della biomassa stessa. Il calore può considerarsi quindi come l’energia primaria. Per approfondimenti si rinvia a Scarpini A. – Renagri Srl, Generazione elettrica, cogenerazione e rigenerazione a piccola e media scala: opportunità di sviluppo delle tecnologie connesse, Seminario UNACOMA – aprile 2006.

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- riduzione degli inquinanti nell’area e delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra,

con risvolti positivi dal punto di vista socio-ambientale.

Di contro, riguardo gli aspetti critici, si sottolinea che (soprattutto considerando la

cogenerazione):

- le richieste di energia elettrica e calore devono essere il più possibile contestuali;

- il rapporto calore ed elettricità richiesti dalle utenze devono essere il più possibile uguali

a quelli offerti dalle macchine;

- le domande energetiche devono presentarsi per un elevato numero di ore l’anno.

Per quest’anno la nostra analisi economica si è concentrata sulla possibilità di applicare i

processi di riutilizzo suesposti ad un frantoio partner del progetto. In particolare, riguardo la

combustione diretta, il quantitativo di sansa essiccata per produrre energia termica consisterebbe

nel 10% circa del quantitativo prodotto dal frantoio; il 90% resterebbe dunque da smaltire o, a

fronte di un investimento iniziale elevato per il processo di essiccazione, potrebbe diventare una

fonte di reddito (derivante dalla vendita della sansa essiccata), in grado di coprire i costi annuali

dell’investimento.

Riguardo la produzione di biogas si richiedono impianti speciali e costi molto elevati per

l’investimento iniziale e la successiva gestione, così come per un impianto per la combustione

diretta con cogenerazione.

Ha importanza sottolineare che per il dimensionamento degli impianti per il riutilizzo della sansa

a scopi energetici, abbiamo fatto riferimento ai risultati emersi in sede di analisi energetica, al

quantitativo di sansa prodotto nella campagna molitoria 2007-2008 dal frantoio indagato; i dati

ottenuti sono stati poi rielaborati considerando impianti di piccola/media taglia.

Abbiamo più volte sottolineato che la sansa costituisce una materia fortemente soggetta a

discontinuità nella disponibilità, pertanto i processi di riutilizzo analizzati, potrebbero essere

pensati a livello di filiera agro-energetica, anziché per il singolo operatore, con conseguenze

positive per le utenze del territorio di riferimento.

Alla luce dei risultati dell’analisi sperimentale ed economica sul riutilizzo della sansa per

produrre compost di qualità ne deriverebbero possibilità di successo. I benefici derivanti dal

riutilizzo delle sanse sono:

- di natura economica, in quanto si tratta di un sistema non oneroso;

- di natura agronomica, in quanto determina un arricchimento in humus ed elementi

nutritivi;

- di natura ambientale con una conseguente riduzione di fertilizzanti chimici.

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I principali svantaggi di questo metodo di riutilizzo sono:

- i lunghi periodi di maturazione richiesti;

- la possibile presenza di cattivi odori e l’acqua di scolo che deve essere trattata.

A livello di singolo frantoio anche le evidenze empiriche dell’analisi economica hanno

confermato il giudizio suesposto riguardo i benefici.

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Conclusioni

Al termine di questo II anno è possibile fare alcune considerazioni di carattere generale.

Innanzitutto, è importante un’opportuna rivalutazione di questi scarti, in termini energetici, sia

per la produzione di elettricità e/o calore, sia per la trasformazione in biogas e in fertilizzante per

i campi, al fine di concentrare in ambiti locali l’offerta di questo tipo di biomassa e la relativa

domanda, creando la possibilità di innescare una filiera agro-energetica con risvolti positivi per

le utenze del comprensorio di riferimento.

L’uso della sansa a scopi energetici può eliminare il problema di smaltimento e può inoltre

contribuire alla diversificazione energetica. Infatti il potere calorifico della sansa essiccata è in

media di 4.700 Kcal/Kg, quindi piuttosto elevato rispetto alla legna 3.600 Kcal e al gasolio

10.000Kcal/litro.

Inoltre la sansa, derivante in particolare dagli impianti continui (ad elevato contenuto in acqua), è

un materiale con alto potenziale per la biodigestione e la produzione di biogas. Dai risultati della

sperimentazione in batch si ha una produzione media di 1.430 m3 di biogas/tSV utilizzabile in

cogenerazione per produrre sia energia elettrica che termica.

La digestione anaerobica, non solo può essere un mezzo per valorizzare l’agricoltura e gli

agricoltori, ma anche per ottenere una riduzione dei gas serra e per il conveniente smaltimento di

rifiuti organici. Pertanto, si intuisce che la convenienza nell’adottare questa tecnologia non si

rifletti solo in ambito agricolo ma soprattutto in quello umano.

E’ evidente come i benefici dell’uso della sansa a scopi energetici siano molteplici ad es:

- eliminano il problema dei residui trasformandoli in materie prime per generare energia

elettrica ed termica;

- sostituiscono altri combustibili e contribuiscono alla diversificazione energetica;

- riducono gli inquinanti nell’area e le emissioni di gas responsabili dell’effetto serra.

Tenuto conto delle natura dei sottoprodotti della lavorazione olearia, essi possono essere anche

sottoposti al compostaggio con buone possibilità di successo per ottenere compost di qualità,

anche se non sono da sottovalutare le tecnologie mirate all’ottenimento di prodotti da impiegare

in altri settori produttivi.

I benefici derivanti dall’utilizzo agronomico delle sanse sono dunque di natura economica

(sistema di smaltimento non oneroso), agronomica (arricchimento in humus ed elementi

nutritivi) e ambientale (riduzione input chimici).

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Dalle analisi suesposte della combustione diretta, della digestione anaerobica e del compostaggio

della sansa, si evidenziano una serie di benefici.

Altro aspetto indagato ha riguardato l’analisi economica dei processi di riutilizzo

summenzionati, considerando che tale indagine è stata condotta sulla base dei risultati emersi in

sede di analisi energetica ed in sede di caratterizzazione dei fertilizzanti prodotti attraverso la

tecnica del compostaggio ed inoltre tenendo presente il quantitativo di sansa prodotto nella

campagna molitoria 2007-2008 (200 t) dal frantoio partner indagato (nella stagione olearia 2008-

2009 lo stesso frantoio ne ha prodotta ben 405 t).

L’analisi economica ci ha permesso di calcolare:

- i costi e i ricavi di gestione di impianti relativi alla Combustione Diretta e alla Digestione

Anaerobica;

- i costi e i ricavi di esercizio della produzione di compost con la tecnica di Compostaggio.

Per quanto riguarda la Combustione Diretta, l’indagine economica ha evidenziato, in primo

luogo, che l’utilizzo di una caldaia a biomasse di taglia medio /piccola per riscaldamento e acqua

sanitaria, considerando il potere calorifero della sansa e il fabbisogno energetico annuo del

frantoio indagato, comporta costi elevati connessi alla necessità di acquisto di un essiccatore di

piccole dimensioni in grado di ridurre l’umidità della sansa e di una fossa di cemento armato per

lo stoccaggio della sansa. Ma considerando che la sansa essiccata può esser venduta sul mercato

a un valore circa tre volte superiore rispetto alla sansa umida, tali costi possono esser recuperati

nel lungo periodo e tale impianto può generare vantaggi legati a: utilizzo di risorse proprie,

minori tempi di approvvigionamento delle materie per il riscaldamento, minori costi di

amministrazione, impatto socio-ambientale positivo in termini di risparmio di emissioni di gas

serra rispetto all’utilizzo di gasolio e rispetto all’utilizzo di carbone.

Tali vantaggi non sono riscontrabili nel caso di uso di una caldaia a GPL che, seppur

comportando costi estremamente inferiori di investimento iniziale, debba contemperare i costi di

smaltimento (attraverso la vendita o lo spargimento al suolo) della sansa, il costo di

ammortamento dell’impianto e il mancato ricavo relativo alla vendita della sansa essiccata.

In secondo luogo, l’analisi economica ha evidenziato che la Combustione Diretta con

cogenerazione, non sembrerebbe economicamente utilizzabile per un singolo frantoio,

considerando la stagionalità della sansa a disposizione e gli elevati costi di investimento. Le

stesse considerazioni sono evidenziate dall’analisi economica della Digestione Anaerobica con

cogenerazione.

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Gli impianti per la cogenerazione, sulla base di informazioni tratte da contatti con operatori ed

esperti del settore, lavorano su quantità molto maggiori di sansa rispetto a quella prodotta dal

frantoio indagato in particolare, e dal comprensorio162 di riferimento in generale. Alla luce di ciò

si potrebbe pertanto riflettere di associare la sansa con ad altre biomasse dello stesso genere. I

processi di riutilizzo analizzati, inoltre, potrebbero essere pensati a livello di filiera agro-

energetica, anziché per il singolo operatore, con conseguenze positive per le utenze del territorio

di riferimento.

Con riferimento al compostaggio, dalla valutazione economica si evince che, considerando che il

frantoio indagato ha un terreno di proprietà per poter lavorare il compostaggio, tale tecnica di

riutilizzo risulterebbe economicamente possibile.

In generale si evidenzia la necessità di avere quantità sufficienti di sansa per alimentare impianti

di dimensioni tali da conseguire economie di scala, in quanto rilevanti problemi del riutilizzo a

fini energetici della sansa sono legati in particolare, alla scarsità e alla stagionalità, di qui la

necessità di innescare una filiera agro-energetica.

162 Le province di Ascoli Piceno e Fermo.

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_____________________________________________________________________________

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_____________________________________________________________________________

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ALLEGATO 1.

Parte I - NOTIZIE GENERALI SULL’AZIENDA

1. INFORMAZIONI SULL’AZIENDA Denominazione della società o Nome e Cognome della persona fisica LOCALIZZAZIONE DELL’AZIENDA

In area rurale In area urbana

1.1 CLASSE DI FATTURATO

0- 25.000

25.000-75.000

75.000-150.000

150.000-250.000

250.000-500.000

500.000-1.000.000

Oltre 1.000.000

DIMENSIONI DELL’AZIENDA

<100m 2 da 100m 2 a meno di 300m 2 da 300m 2 a meno di 500m 2 da 500m 2 a meno di 1000m 2 oltre

2 CONDUZIONE A. Conduzione diretta

• con solo manodopera familiare

• con manodopera extrafamiliare

Indicare il numero di componenti:_________

B. Conduzione con salariati

C. Altra forma di conduzione

descrivere:___________________

3 PERIODO DI LAVORO

Giorni effettivi___________________

4 MANODOPERA

Impiegati Tempo pieno (40h/settimana)

Numero

Tempo parziale (<40h/settimana)

Numero Operai

Apprendisti

Stagionali

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_____________________________________________________________________________

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Indicare le ore di lavoro e il costo________________________________________________ ___________________________________________________________________________ Parte II SISTEMA PRODUTTIVO

5 TECNOLOGIA 5.1 Tipologia d’impianto:

Tradizionale/discontinuo Continuo Semicontinuo Continuo a risparmio d’acqua

5.2 La separazione dell’olio avviene mediante:

Decantazione Centrifuga verticale

5.3 Processo di estrazione dell’olio: Estrazione per pressione

Estrazione per percolamento

Estrazione per centrifugazione:

1. Decanter a tre fasi

2. Decanter a due fasi

3. Decanter a due fasi e mezzo

6 PRODUZIONE

6.1 L’azienda coltiva direttamente le piante di olio? NO SI

Proprietà Affitto Usufrutto Uso gratuito (comodato) TOTALE 6.2 Descrivere i costi di lavorazione sostenuti e

indicare l’importo relativo: _____________________________________________________________

_____________________________________________________________ _____________________________________________________________

6.3 Lavorate le olive per conto terzi?

NO SI

6.4 Se si, indicare la quantità prodotta______________ 6.5 Acquistate anche olio sfuso? (se No, vai a 7)

SI NO

6.6 In quale % sul totale della produzione? ______

Superficie Agricola Utilizzata (SAU) Mq

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_____________________________________________________________________________

145

7 PROCESSO PRIMARIO

a) CONFERIMENTO DI MATERIE PRIME

7.1 Qual è il quantitativo di olive lavorate? proprie_______ c/terzi_________

7.2 Indicare il prezzo di acquisto______________

7.3 Da cui deriva una produzione annuale di olio: proprio_________L/Kg c/terzi_________L/Kg

7.4 La resa media dell’olio proprio è del ______%

7.5 La resa media dell’olio terzi è del ______%

7.6 La potenzialità produttiva del frantoio in tonnellate di olive movibili in otto ore di lavorazione è di_____________

b) STOCCAGGIO OLIVE

7.7 Qual è il metodo utilizzato per lo stoccaggio delle olive?_______________ 7.8 Il tempo impiegato per lo stoccaggio________________________________

c) DEFOGLIAZIONE 7.9 Indicare per l’utilizzo della macchina defoliatrice:

l’energia elettrica consumata___________________ il tempo impiegato per la defogliazione____________

7.10 Indicare la potenza della macchina________________

7.11 Ogni quanto tempo viene pulita la macchina defoliatrice?______________

7.12 Ogni quanto tempo viene fatta la manutenzione?_____________________

d) LAVAGGIO

7.13 Per le acque di pulitura delle olive, indicare: • il consumo di acqua per kg - di olive lavorate_______

• la destinazione delle acque di pulitura

a fognatura scarico a suolo trattamento depurativo prima dello scarico(descrivere)________

___________________________________________________ altra destinazione (specificare)___________________________

___________________________________________________

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_____________________________________________________________________________

146

7.14 Ogni quanto tempo viene effettuata la pulizia delle vasche?____________

e) MOLITURA o FRANGITURA 7.15 Che tipo di macchinario utilizza l’azienda per ottenere la pasta?

frantoi con molazze frangitore a martelli frangitore a cilindri striati frangitore a dischi dentati

Descrivere i costi sostenuti in questa fase___________________________ ____________________________________________________________ ____________________________________________________________ _______________________________________________________

7.16 Il tempo di funzionamento della frangitura ogni giorno__________

7.17 Indicare la potenza del macchinario___________________________

f) GRAMOLAZIONE

7.18 Indicare il consumo di acqua calda e di energia:____________________

7.19 Il tempo di funzionamento della gramolatura ogni giorno____________

7.20 Indicare la potenza del macchinario_______________________________

7.21 Ogni quanto tempo viene effettuata la pulizia e la manutenzione del

gramolatore?_______________________________ 7.22 L’azienda utilizza il processo di estrazione per pressione?(se NO vai alla 7.20)

SI NO

g) ESTRAZIONE PER PRESSIONE 7.23 Il tempo di funzionamento della pressa ogni giorno____________

7.24 Descrivere i costi sostenuti in questa fase

_______________________________________________________________ _______________________________________________________________ _______________________________________________________________ 7.25 I fiscoli vengono cambiati annualmente?

SI NO

7.26 Se NO ogni quanto tempo si provvede a cambiarli? _____________________________________________________________

h) ESTRAZIONE PER CENTRIFUGA 7.27 L’azienda utilizza il decanter a :

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_____________________________________________________________________________

147

due fasi due fasi e mezzo tre fasi

7.28 Qual è il consumo di acqua e di energia elettrica?_______________

_________________________________________________________

7.29 Il tempo di funzionamento della centrifuga ogni giorno____________ i) CHIARIFICAZIONE

7.30 La separazione dell’olio avviene mediante:

Decantazione Centrifuga verticale

7.31 Il tempo di funzionamento della chiarificazione ogni giorno______

7.32 Descrivere i costi sostenuti _________________________________

_____________________________________________________________ ___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________

j) CONSERVAZIONE 7.33 Cosa utilizza l'azienda per la conservazione?

Serbatoi inox Recipiente in argilla Cisterne di piastrelle Cisterne di pietra

7.34 Descrivere i costi sostenuti e indicare l’importo________________

_____________________________________________________________ ___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________

k) TRAVASO

7.35 Dopo quanto tempo l’azienda effettua il travaso?______________

l) CONFEZIONAMENTO 7.36 L’azienda per l’imbottigliamento utilizza:

bottiglie di vetro scuro recipienti di lamiera stagnanti altro_____________________________________________________________

7.37 Indicare la quantità necessaria e il prezzo_______________________

___________________________________________________________

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_____________________________________________________________________________

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7.38 Descrivere i costi sostenuti in questa fase e indicare l’importo relativo ___________________________________________________________ ___________________________________________________________

m) COMMERCIALIZZAZIONE 7.39 Mercati di riferimento:

i prodotti dell’azienda sono venduti nei seguenti mercati

Locale (Provincia di Ascoli Piceno) % del fatturato_________

Regionale % del fatturato_________

Interregionale (solo in alcune regioni) % del fatturato_________

Nazionale % del fatturato_________

Internazionale – UE % del fatturato_________

Internazionale – Extra UE % del fatturato_________

(specificare i paesi o le zone di esportazione) _________________________________________

7.40 Destinazione dei prodotti I prodotti dell’azienda sono destinati ai seguenti canali di vendita (indicare la % sul fatturato)

Grossisti % del fatturato_________

vendita diretta al consumatore finale % del fatturato_________

punti vendita a marchio proprio % del fatturato_________

dettaglianti o commercianti locali % del fatturato_________

dettaglianti o commercianti nazionali % del fatturato_________

GDO (grande distribuzione: ipermercati, supermercati, hard discount)

% del fatturato_________

Altri___________________________________

8 ATTIVITA’ DI SUPPORTO

a) MOVIMENTAZIONE MATERIE PRIME

8.1 Descrive i costi sostenuti per il movimento delle merci e indicare l’importo relativo_____________________________________________ ____________________________________________________________ ____________________________________________________________ ____________________________________________________________

b) MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI

8.2 Ogni quanto tempo l’azienda effettua la manutenzione ordinaria? ________________________________________________________ Indicare i costi sostenuti__________________________________________

8.3 Ogni quanto tempo l’azienda effettua la manutenzione straordinaria?

___________________________________________________________ Indicare i costi sostenuti__________________________________________________

c) PULIZIA MACCHINARI 8.4 Per le acque di pulitura degli impianti, indicare:

• il consumo di acqua per kg

- di olive______________

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_____________________________________________________________________________

149

• la destinazione

scarico a suolo trattamento depurativo prima dello scarico

(descrivere)________________________________ altra destinazione (specificare)__________________

• il costo dei trattamenti per quantità di acqua consumata____________

d) TRASPORTO OLIVE

8.5 Indicare i costi sostenuti per il trasporto____________________________ _________________________________________________________________ _________________________________________________________________

9 SCARTI DI LAVORAZIONE

9.1 Qual è la % o i mc di Sansa per ogni Kg/q di olive molite?________

9.2 La sansa viene stoccata mediante: Piattaforma Rimorchio Altro…………………………………………

9.3 Qual è la % di acqua di vegetazione per ogni Kg/q di olive molite?_________

9.4 Qual è la produzione stimata di acqua di vegetazione?______mc

9.5 Tipologia dei contenitori destinati allo stoccaggio:

Vasca Cisterna Altro…………………………………………….

Indicare i costi sostenuti:_________________________________________ _________________________________________________________________ _________________________________________________________________ 10 SMALTIMENTO REFLUI OLEARI

10.1 La sansa prodotta viene: 1 Smaltita (come rifiuto ai sensi del D.Lgs 22/97) in che %________________ 2 Sparsa al suolo per fini agronomici (in modo controllato ai sensi della L.574/96) 3 Riutilizzata in che %________ 4 Inviata al sansificio in che %________ 5 Altro in che %________

10.2 Se è inviata al sansificio indicare:

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_____________________________________________________________________________

150

• il costo per tonnellata__________ • le principali voci di costo

(descrivere)_______________________________________________ ___________________________________________________________ ___________________________________________________________ • eventuale corrispettivo riconosciuto dal sansificio______________________

10.3 L’acqua di vegetazione prodotta viene:

1 smaltita (come rifiuto ai sensi del D.Lgs 22/97) in che %________________ 2 sparsa al suolo per fini agronomici (in modo controllato ai sensi della L.574/96) 3 riutilizzata in che %________ 4 altro (specificare) in che %________

10.4 Se l’acqua di vegetazione viene smaltita indicare le modalità

trasportata al depuratore comunale trasportata al sito di depurazione privato ceduto a consorzio di bonifica altro___________________________

10.5 Costo del metodo utilizzato per tonnellata smaltita_______________Principali voci di costo:

(descrivere)______________________________________________________ _______________________________________________________________ _______________________________________________________________

10.6 Se sparsa al suolo, qual è la quantità di acqua di vegetazione utilizzata per mq?_________ Parte III RIEPILOGO COSTI

11 COSTI SOSTENUTI ANNUALMENTE Qual è il consumo energetico annuale espresso in: In €___________________________ In kWh________________________ Qual è il consumo idrico annuale espresso in : In €___________________________ In litri ________________________ Costi della produzione

• Costi materie prime………………………………

• Costi personale……………………………………

• Costi per la formazione…………………………..

• Costi Fiscoli………………………………………

• Costi di manutenzione e pulizia…………………..

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_____________________________________________________________________________

151

• Costi di Ammortamento macchinari………………

Costi della logistica

• Costo stoccaggio olive……………………………

• Costi di immagazzinamento olio…………………

• Costi di imbottigliamento olio……………………

• Costi di stoccaggio sansa…………………...........

• Costi di trasporto olio…………………………….

• Costi di smaltimento sansa……………………….

• Costi di stoccaggio acqua di vegetazione…………

• Costi di smaltimento acqua di vegetazione……….

• Costi di pulitura impianti………………………….