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P.T.C.P. VARIANTE – RELAZIONE ILLUSTRATIVA PROVINCIA DI PARMA - Servizio Programmazione e Pianificazione Territoriale I AUTORI Il Gruppo di Progettazione è composto da: dott. urb. Sergio Peri - coordinamento dott. urb. Nicola Fusco arch. Gianluca Gennari ing. Andrea Corradi ing. Daniela Le Donne d.ssa Isabella Lovino dott. geol. Andrea Pelosio dott. geol. Andrea Ruffini sig.ra Carmen Buratti arch. Fiorella Felloni dott. Andrea Gaiani d.ssa Monica Cavalli ing. Carlo Perrotta d.ssa Beatrice Anelli geom. Gianni Marsigli

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I

AUTORI Il Gruppo di Progettazione è composto da: dott. urb. Sergio Peri - coordinamento dott. urb. Nicola Fusco arch. Gianluca Gennari ing. Andrea Corradi ing. Daniela Le Donne d.ssa Isabella Lovino dott. geol. Andrea Pelosio dott. geol. Andrea Ruffini sig.ra Carmen Buratti arch. Fiorella Felloni dott. Andrea Gaiani d.ssa Monica Cavalli ing. Carlo Perrotta d.ssa Beatrice Anelli geom. Gianni Marsigli

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INDICE

1. GLI OBIETTIVI DELLA VARIANTE E LA FASE DELLA CONCERTAZIONE....... 3

2. MODIFICHE ALL’ASSETTO DELLE INFRASTRUTTURE PER LA VIABILITÀ DI LIVELLO REGIONALE................................................................... 8

2.1 Valutazioni in merito ai corridoi pedemontano e cispadano......................... 9 2.2 Variazioni rispetto al PRIT ......................................................................... 16

3. LE AREE PRODUTTIVE DI RILIEVO SOVRACOMUNALE............................... 21

3.1 Analisi delle prime esperienze provinciali .................................................. 21 3.2 Le conferenze preliminari e di pianificazione per l’attuazione delle aree

produttive sovracomunali ........................................................................... 26 3.3 Obiettivi della variante al PTCP per le aree produttive sovracomunali ...... 26 3.4 Le schede per le aree produttive sovracomunali ....................................... 29

4. ADEGUAMENTO AL PIANO DI ASSETTO IDROGEOLOGICO........................ 30

4.1 Le attività finalizzate all’intesa sull’adeguamento del PTCP al PAI............ 30 4.2 I fenomeni di instabilità geomorfologica: la Carta del Dissesto Provinciale 32 4.3 Nuova classificazione sismica del territorio nazionale ............................... 37 4.4 Modifiche alla tavola C.1 Tutela ambientale, paesistica e storico-culturale 45 4.5 Modifiche normative a seguito dell’adeguamento del PTCP al PAI ........... 48

5. LE ZONE A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE........................................... 51

6. IL RECUPERO DEI COMPLESSI INSEDIATIVI EXTRAURBANI...................... 63

7. L'AGGIORNAMENTO DELLA CARTA FORESTALE......................................... 66

8. LE MODIFICHE NORMATIVE ........................................................................... 72

9. LA VALUTAZIONE DI SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E TERRITORIALE....... 74

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1. GLI OBIETTIVI DELLA VARIANTE E LA FASE DELLA CONCERTAZIONE

La prima motivazione della variante al piano deriva dalla specifica richiesta avanzata dalla Regione in sede di “Intesa” sulla proposta di controdeduzioni alle osservazioni ed alle “riserve” formulate dalla stessa Regione sullo strumento adottato. Nella deliberazione con cui la Giunta regionale (Del. n. 1320 del 07.07.2003) ha espresso l’Intesa sul P.T.C.P., ai sensi dell’art. 27 comma 9 della L.R. 20/2000, l’approvazione del piano è stata condizionata ai seguenti successivi adempimenti: 1. in materia di viabilità è stata formulata la richiesta di procedere attraverso varianti

al PRIT quale soluzione per conferire valenza regionale al prolungamento, proposto dal P.T.C.P., degli assi regionali Cispadano e Pedemontano, previa predisposizione di appositi studi di traffico;

2. l’individuazione di nuove aree produttive di rilievo sovracomunale è stata rinviata all’elaborazione di una successiva variante al fine di dettarne una compiuta disciplina;

3. la Provincia è stata sollecitata ad adeguare il P.T.C.P. al Piano per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.), anche per consentire al P.T.C.P. di assumere il valore e gli effetti del P.A.I. mediante il conseguimento dell’Intesa con l’Autorità di Bacino del Fiume Po, ai sensi dell’art. 27 della L.R. 20/2000.

Nella definizione del programma di lavoro per l’elaborazione degli adempimenti richiesti dalla Regione, la Giunta provinciale (Del. 905 del 9.10.2003) ha ritenuto opportuno aggiungere ulteriori approfondimenti che costituiscono, in alcuni casi, variante al Piano: 4. aree a rischio di incidente rilevante (aggiornamento ed integrazione del Quadro

Conoscitivo e delle disposizioni normative); 5. recepimento dei risultati della ricerca condotta dall’Università di Parma sugli edifici

di valore storico-testimoniale in ambito rurale (indirizzi ai Comuni per il loro recupero);

6. aggiornamento ed integrazione delle norme di attuazione, conseguenti alla prima fase di gestione del Piano, unitamente all’aggiornamento di alcuni elaborati cartografici fra cui la Carta Forestale.

Sulla base dei contenuti definiti nel programma di lavoro, la variante al PTCP persegue quindi i seguenti obiettivi, che vengono dettagliatamente definiti nei successivi capitoli. Viabilità La Regione ha specificato che, per attribuire valenza regionale (grande rete PRIT) al prolungamento della strada Pedemontana oltre l’Autocisa fino alla via Emilia (Fidenza) ed alla Cispadana dall’intersezione con la bretella A15 – A22 al confine piacentino, è necessario: a) supportare tali scelte con adeguati studi di traffico; b) attivare la procedura di variante al PRIT.

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Per quanto riguarda gli studi di traffico richiesti sono stati utilizzati i dati provvisori sui movimenti pendolari (casa-studio e casa-lavoro) del censimento 2001, tali dati sono stati integrati con rilievi di traffico sulle strade provinciali. Aree produttive di rilievo sovracomunale La Regione ha esplicitamente richiesto di rinviare l’individuazione delle nuove aree produttive di rilievo sovracomunale ad una successiva variante al PTCP, per disciplinare compiutamente le caratteristiche urbanistiche e funzionali e stabilirne l’assetto infrastrutturale; infatti gli artt. A-13 e A-14 della L.R. 20/2000, stabiliscono che in tali casi il PTCP assolve le funzioni del PSC. Su questo tema il PTCP vigente si è limitato ad identificare ambiti territoriali di riferimento, costituiti da aggregazioni di Comuni, stabilendo i criteri di localizzazione, il numero complessivo e le soglie dimensionali delle nuove aree produttive sovracomunali, realizzabili attraverso accordi di programma in variante agli strumenti urbanistici comunali sulla base della concertazione fra i comuni interessati. Con l’attuale variante ci si prefigge di raggiungere tre obiettivi: a) effettuare una ricognizione delle aree produttive esistenti idonee ad essere

ampliate per assumere rilievo sovracomunale; b) individuare nuove aree produttive sovracomunali, sulla base dei livelli di

concertazione raggiunti con i Comuni; c) rivedere la norma attuale del PTCP vigente, al fine di semplificare le procedure per

l’attuazione delle aree produttive sovracomunali all’interno degli ambiti territoriali già individuati.

Adeguamento al Piano di Assetto Idrogeologico Al fine di pervenire all’Intesa stabilita dall’art. 57 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in base alla quale il PTCP assume valore ed effetto di piano nel settore della tutela dell’ambiente, delle acque e della difesa del suolo, è necessario che il Piano Provinciale attui il PAI attraverso la predisposizione di elaborati tecnico-normativi conformi ai criteri e alle disposizioni del piano dell’Autorità di Bacino. Allo scopo, è stato istituito un Gruppo di lavoro (determina Direzione Generale Ambiente e Difesa del Suolo Regione ER n. 9975 del 21.7.2004 ) costituito da tecnici dell’Autorità di Bacino del Po, della Regione Emilia-Romagna e della Provincia di Parma. Il Gruppo analizzerà gli aspetti connessi ai dissesti, alle fasce fluviali, definendo i necessari approfondimenti di natura idromorfologica ed idraulica in relazione alle problematiche di sicurezza idraulica, di stabilità dei versanti e di salvaguardia dei valori ambientali e paesistici propri del PTCP. Il programma di lavoro si è sviluppato in diverse fasi: 1. inserimento nel piano delle fasce fluviali dei Torrenti Rovacchia, Rovacchiotto e

Recchio nonché di un breve tratto dello Stirone, già oggetto di analisi idraulica; 2. individuazione nella cartografia del PTCP, sulla base di analisi idraulica-idrologica,

delle fasce fluviali di ulteriori corsi d’acqua; 3. predisposizione delle modifiche normative per l’adeguamento alle disposizioni

delle NTA del PAI degli articoli 12 e 13 delle NTA del PTCP relativi alla tutela delle aree perifluviali;

4. recepimento nel PTCP della nuova Carta “Inventario del Dissesto” (scala 1:10.000) elaborata da parte del Gruppo di lavoro costituito da tecnici della

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Provincia, della Regione, del Servizio Tecnico di Bacino e dall’Università di Parma, e conseguente adeguamento normativo;

5. recepimento nel PTCP delle nuove aree a rischio idrogeologico molto elevato, proposte dalla Regione Emilia-Romagna con Del. G.R. 1407/2000.

Zone a rischio di incidente rilevante Nella delibera di Intesa la Regione aveva sottolineato che si rendeva opportuno integrare il Quadro Conoscitivo con gli elementi raccolti relativi alle zone a rischio di incidente rilevante, ed in particolare con gli elementi che hanno consentito la perimetrazione delle aree di danno per tutti gli stabilimenti a rischio individuati. Si è proceduto quindi all’aggiornamento della situazione delle attività produttive a rischio individuando le aree di danno nella tav. C.4, ad elaborare specifiche schede di interazione tra le stesse ed il territorio su cui insistono ed a modificare le relative disposizioni normative. Recupero dei complessi insediativi extraurbani Le norme del PTCP vigente relative agli ambiti rurali contengono indicazioni sul censimento degli edifici di valore storico-architettonico e direttive sul loro recupero. Tali disposizioni in realtà necessitano di una metodologia di analisi e di intervento ed a tal fine la Provincia da alcuni anni ha attivato una collaborazione con l’Università di Parma per l’elaborazione di corrette metodologie di recupero. Recentemente tale ricerca universitaria è stata ultimata anche con la predisposizione di indirizzi normativi e pertanto è opportuno assumere tali contributi tecnici nel PTCP. In tal senso si è provveduto a: • integrare il Quadro Conoscitivo con la ricerca svolta dall’Università di Parma; • modificare la Relazione Illustrativa integrando in particolare il tema delle Unità di

Paesaggio, di cui gli insediamenti rurali rappresentano elemento caratterizzante; • integrare l’art. 38 delle norme e a predisporre uno specifico allegato tecnico

normativo contenente indirizzi ai Comuni (abachi tipologici ecc.). Varianti normative A seguito delle modifiche introdotte nelle Norme di Attuazione del PTCP dalla Regione e delle valutazioni emergenti nella prima fase di gestione del piano provinciale, si sono evidenziate alcune tematiche per le quali si rendono necessarie ulteriori modifiche normative, oltre a quelle conseguenti i principali temi della variante (adeguamento al PAI, aree produttive sovracomunali, indirizzi per il recupero degli edifici rurali di interesse storico-testimoniale). In particolare sono state apportate modifiche ed integrazioni agli articoli sulle infrastrutture di viabilità (allo scopo di distinguere meglio le modifiche compatibili con il piano da quelle che invece necessitano di varianti), sulla Carta Forestale (al fine di rendere ulteriormente snella la sua procedura di aggiornamento), sui poli funzionali (ridefinendo, ad es., la soglia dimensionale per i centri direzionali), sul dimensionamento dei piani urbanistici comunali in riferimento alle aree produttive.

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La fase della concertazione

Gli obiettivi della variante al piano provinciale, contenuti nel documento preliminare approvato dalla Giunta provinciale con deliberazione n. 68 del 28/1/05, sono stati discussi e condivisi nell’ambito della conferenza di pianificazione che si è svolta ai sensi degli articoli 14 e 27 della LR 20/2000. La conferenza di pianificazione, che si è aperta il 4 marzo 2005, si è articolata in tavoli tematici riferiti al sistema della viabilità, alle aree produttive di rilievo sovracomunale, nonché all’adeguamento al PAI, all’aggiornamento della carta del dissesto e alle fasce di tutela fluviale. Nei tre tavoli di lavoro sono stati analiticamente illustrati i contenuti del quadro conoscitivo, le scelte strategiche del documento preliminare e l’individuazione di massima dei limiti e delle condizioni per lo sviluppo sostenibile del territorio, acquisendo i contributi e le valutazioni degli enti partecipanti. In estrema sintesi dal dibattito sono emersi sostanzialmente i seguenti temi fondamentali: • relativamente al tema della viabilità, i Comuni partecipanti, condividendo il

metodo adottato e la valenza scientifica delle elaborazioni effettuate, hanno sottolineato da un lato la necessità di riflettere sulla opportunità di intensificare l’offerta del trasporto pubblico, che deve essere più funzionale ed attrattivo, dall’altro la necessità di specifici interventi infrastrutturali per risolvere situazioni critiche riguardanti anche le aree connesse alla realizzazione del progetto di collegamento tra A15 della Cisa e A22 del Brennero;

• le associazioni economiche e sociali, hanno posto l’accento sul tema della tutela fluviale in rapporto agli insediamenti produttivi esistenti ed inoltre hanno rilevato la necessità di specificare ulteriormente la normativa riguardante le aree produttive di livello sovracomunale, con particolare riguardo al loro dimensionamento e il rapporto con le previsioni urbanistiche esistenti;

• è stata sottolineata l’importanza di raggiungere l’intesa ai sensi del D.Lgs. 112/98 con l’Autorità di Bacino, al fine di conferire al P.T.C.P. il valore di Piano di settore finalizzato alla tutela ma anche alla programmazione degli interventi; nell’ambito dell’intesa si deve in particolare perseguire anche la finalità di snellimento delle procedure per rendere più agevole da parte degli enti istituzionalmente interessati l’aggiornamento della carta del dissesto alla reale situazione del territorio; a questo proposito la Provincia si è impegnata, oltre ad introdurre nella normativa le procedure di aggiornamento della carta, a valutare approfonditamente, nell’ambito dell’elaborazione della variante, gli studi ed approfondimenti geologici prodotti dai Comuni;

Nel periodo di svolgimento della Conferenza di Pianificazione, sono inoltre pervenuti numerosi contributi e proposte scritte da parte dei Comuni.

Le proposte presentate, che sono state sintetizzate nel verbale della seduta conclusiva della conferenza svoltasi il 20 giugno 2005, non risultano complessivamente in sostanziale contrasto con l’impostazione ed i principi informatori del Documento Preliminare, in tal senso sono state quindi considerate come stimolo per l’approfondimento, il perfezionamento e la verifica del quadro conoscitivo e delle scelte della Variante nel successivo processo di elaborazione.

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Elenco degli elaborati tecnici

Alla luce degli obiettivi e delle elaborazioni descritti nei successivi capitoli gli elaborati tecnici della variante sono:

A. QUADRO CONOSCITIVO

Carta Forestale (aggiornamento della versione vettoriale in scala 1:10.000) Studi Mobilità (aggiornamento) Studi Idraulici - Fasce fluviali (integrazioni) Schede RIR - industrie a rischio incidente rilevante (nuovo elaborato) Ricerca università - recupero dei complessi insediativi extraurbani (nuovo elaborato) Atlante aree produttive (nuovo elaborato in scala 1:50.000)

B. RELAZIONE ILLUSTRATIVA B.1 ADEGUAMENTO AL PAI - RELAZIONE TECNICO-NORMATIVA C. ELABORATI CARTOGRAFICI (modificati)

C.1 Tutela ambientale, paesistica e storico-culturale (scala 1:25.000) C.2 Carta del dissesto (scala 1:10.000) C.3 Carta forestale (scala 1:25.000) C.4 Carta del rischio ambientale e dei principali interventi di difesa (scala 1:50.000) C.a4 Aree di danno ed elementi territoriali ed ambientali vulnerabili C.5 Progetti ed interventi di tutela e valorizzazione (scala 1:50.000) C.6 Ambiti rurali (scala 1:50.000) C.5.a Rete “Natura 2000” Individuazione SIC / ZPS (scala 1:50.000) C.9 Armatura e gerarchia urbana (scala 1:50.000) C.10 Infrastrutture per la mobilità (scala 1:50.000) C.11 Gerarchia funzionale della rete stradale (scala 1:50.000) C.12 Assetto territoriale (scala 1:50.000)

D. NORME DI ATTUAZIONE (articoli modificati)

ALLEGATI ALLE NORME:

All. 2 UNITÀ DI PAESAGGIO (modificato)

All. 5 CORSI D’ACQUA MERITEVOLI DI TUTELA (modificato)

All.9. LOCALIZZAZIONE IMPIANTI DISTRIBUZIONE DELL’ENERGIA ELETTRICA (modificato)

All.10. LINEE DI ASSETTO IDRAULICO E IDROGEOLOGICO (nuovo elaborato)

All.11. INDIRIZZI METODOLOGICI PER IL RECUPERO DELL’EDILIZIA RURALE STORICA (nuovo elaborato)

All.12. AREE PRODUTTIVE SOVRACOMUNALI (nuovo elaborato)

E. VALSAT (integrazione)

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2. MODIFICHE ALL’ASSETTO DELLE INFRASTRUTTURE PER LA VIABILITÀ DI LIVELLO REGIONALE

Nella fase di approvazione del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale sono state recepite alcune disposizioni regionali, relative alla viabilità primaria, contenute nella delibera di espressione dell’Intesa (DGR 1320/2003). In particolare nel PTCP è stata eliminata la valenza regionale (grande rete PRIT) al prolungamento della strada Pedemontana oltre l’Autocisa fino alla via Emilia (Fidenza) ed alla Cispadana dall’intersezione con la bretella A15 – A22 al confine piacentino che era stata attribuita dal Piano provinciale adottato. Nella citata delibera la Regione, a tale proposito, rilevò che per confermare le proposte provinciali era necessario: supportare tali scelte con adeguati studi di traffico, ed attivare la procedura di variante al PRIT. Si è quindi proceduto ad avviare un serie di studi ed indagini per approfondire ed aggiornare il quadro della mobilità nella Provincia di Parma, sia per quanto attiene agli aspetti viabilistici che per la mobilità collettiva, in modo da poter effettuare valutazioni di fattibilità e convenienza su gli interventi infrastrutturali previsti dal PTCP. In tale contesto si inscrivono: a) la realizzazione del reticolo stradale sulla base del programma regionale di

informatizzazione “Contributo alle Province dell’Emilia-Romagna per la realizzazione della Carta Geografica Unica” - settore C - miglioramento dell’informazione geografica stradale DGR 2928/2001;

b) l’aggiornamento delle schede relative alle caratteristiche geometriche e funzionali delle strade provinciali;

c) la codifica e l’informatizzazione degli spostamenti sistematici (casa-scuola e casa lavoro) derivanti dai dati ISTAT del 14° censimento della popolazione 2001;

d) la realizzazione di una serie di rilievi sulla domanda comprendenti: − interviste o/d su 17 sezioni su strada in entrambe le direzioni di marcia poste al

cordone provinciale e ai caselli autostradali, con contestuali rilievi manuali dei flussi di traffico veicolare negli orari 7:00-9:00;

− indagini o/d tramite interviste su 6 sezioni stradali a cordone del comune capoluogo;

− rilievo strumentale 24 h dei flussi di traffico bidirezionali su 31 sezioni stradali; Al fine di sviluppare uno “Studio di prefattibilità tecnico-economica del Servizio Ferroviario Provinciale proposto dal PTCP” sono state effettuate anche indagini sul trasporto ferroviario e sul trasporto pubblico su gomma attraverso interviste origine/destinazione ad un campione di passeggeri su tutti i treni in servizio regionale ed interregionale sulle stazioni provinciali e sulle linee TPL i cui percorsi si svolgono parallelamente alle direttrici ferroviarie provinciali. L’esigenza di riconsiderare in termini più generali i temi della mobilità derivano, al di là della sollecitazione regionale, anche dalla recente predisposizione del progetto di

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metropolitana del comune capoluogo, e di quello della linea ferroviaria pontremolese che hanno posto l’esigenza di approfondire e verificare le proposte del piano provinciale. Inoltre a seguito di approfondimenti tecnici, derivanti anche dalla predisposizione di strumenti urbanistici comunali e studi di fattibilità o progetti preliminari di assi stradali di livello provinciale, regionale e nazionale (ad esempio il nuovo collegamento autostradale A15-A22) sono stati apportati taluni perfezionamenti e/o modifiche di corridoi di fattibilità di infrastrutture per la mobilità previste dal vigente PTCP.

2.1 Valutazioni in merito ai corridoi pedemontano e cispadano Per quanto attiene alle verifiche richieste dalla Regione è stata predisposta una specifica elaborazione, contenuta nel Quadro Conoscitivo, per valutare gli effetti a livello locale derivanti dalla realizzazione dell'Asse Viario Cispadano e dalla realizzazione dell'itinerario Pedemontano nella loro estensione regionale. In questa sede si evidenziano gli aspetti più significativi di tali elaborazioni; le analisi effettuate hanno riguardato essenzialmente il loro rilievo trasportistico a scala regionale, al fine di poterli valutare nel loro complesso ivi inclusi i tratti più ad ovest di cui si propone la classificazione, nel PRIT, come strade regionali. L’efficacia di tali infrastrutture riguarda principalmente la mobilità su gomma, ed i miglioramenti sono misurati in relazione alla diminuzione della congestione della circolazione che si traduce in un abbassamento dei tempi di percorrenza, ma anche nell’incremento della sicurezza della circolazione derivante dalla gerarchizzazione della rete e la riduzione del consumo energetico e delle emissioni inquinanti acustiche ed atmosferiche. Inoltre le due infrastrutture programmate consentono di alleggerire a livello locale la pressione veicolare nelle aree maggiormente urbanizzate. Gli indicatori di efficacia utilizzati, quantificati attraverso un modello di simulazione del traffico (Cube Citylabs), sono: 1. il livello di servizio relativamente al sistema di mobilità della Provincia di Parma

(rapporto volume/capacità, veicoli km, velocità media, tempo di viaggio complessivo dei veicoli in movimento sulla rete);

2. carichi assegnati alle infrastrutture di nuova realizzazione (n° autoveicoli equivalenti);

3. livello di servizio (diminuzione del congestionamento) dei punti critici della rete (in particolare tronchi d’attraversamento degli abitati) (variazione del n° autoveicoli equivalenti).

I dati di base impiegati per la caratterizzazione della domanda di traffico sono desunti da fonti informative disponibili. Alcuni di questi dati sono stati forniti dalla Regione Emilia-Romagna, D.G. Programmazione Territoriale e Sistemi di Mobilità Servizio Pianificazione dei Trasporti e Logistica. Sono stati elaborati tre scenari di riferimento: il primo che rappresenta la situazione della mobilità veicolare all’anno 2002; il secondo, di tipo programmatico, in cui sono stati aggiunti alla rete di base le opere stradali che presentano un'elevata probabilità di attuazione entro il 2015, con esclusione della Pedemontana e Cispadana; il terzo,

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scenario di progetto, comprendente la completa realizzazione dei due assi viari regionali nella configurazione proposta dal PTCP a carreggiata singola. Agli scenari programmatici è stata associata una proiezione delle domanda di traffico dal 2002 al 2015 utilizzando i tassi di crescita programmatica della domanda di trasporto del PRIT98. La situazione di riferimento, lo scenario “zero”, riproduce la situazione di partenza al 2002, a cui corrisponde la rappresentazione grafica di seguito allegata. La distribuzione dei flussi nell'ora di punta del mattino risulta fortemente concentrata sugli assi radiali diretti alla città di Parma. I flussi più consistenti si riscontrano sulla SS 62 della Cisa, nel tratto Collecchio - Parma, dove le correnti di traffico paiono equilibrate nelle due direzioni di marcia, e nella SS 9 Via Emilia nei tratti Ponte Taro - Parma e S.Ilario - Parma. Anche sulle strade provinciali SP343R ed SP62R si riscontrano alti livelli di flussi veicolari in entrata nel centro capoluogo; in tali situazioni le correnti di traffico non sono equilibrate nelle due direzioni, evidenziando la forte attrattività del centro urbano di Parma.

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Gli scenari futuri Nel secondo scenario, quello programmatico, sono stati aggiunti alla rete di base gli archi rappresentativi delle opere stradali che presentano un'elevata probabilità di attuazione all'interno del periodo di riferimento, tra cui il completamento della tangenziale di Fidenza ad ovest e realizzazione di quella a sud; il nuovo Ponte sul Taro della Pedemontana a Collecchio e dal tronco di complanare all'A15 che lo collega alla Via Emilia; il nuovo tratto dell'Asse Viario Cispadano che corre dalla tangenziale nord di Parma a Ponte Taro; il completamento della tangenziale est di S.Ilario, la realizzazione del nuovo casello autostradale di Caprara. In tale scenario si evidenzia un generale peggioramento delle condizioni di circolazione, solo parzialmente mitigate dai nuovi interventi infrastrutturali previsti. L'incremento generalizzato della domanda si ripercuote, infatti, sia sulla via Emilia storica (dove cresce del 17% il flusso in transito nell’ora di punta), sia sull’asse autostradale (dove i flussi crescono del 19%). Sulla via Emilia storica, così come sull’asse autostradale, crescono in generale le condizioni di congestione della circolazione.

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Nel terzo scenario, quello di progetto, che prevede la realizzazione dell'asse Cispadano e dell'itinerario Pedemontano, sono stati introdotti, rispetto allo scenario programmatico, i due tracciati con le caratteristiche di strada a singola carreggiata secondo il percorso contenuto nel PTCP di Parma. In questo scenario le nuove infrastrutture, in particolare la Cispadana, che si sviluppa quasi interamente su un nuovo tracciato, mentre la Pedemontana si appoggia su ampi tratti di viabilità esistente, concentrano una quota consistente dei movimenti di scambio est - ovest. L’attrazione di volumi di traffico esercitata dalle nuove opere contribuisce a migliorare notevolmente le condizioni di circolazione dell’intero corridoio infrastrutturale Est Ovest, dove si assiste ad una fluidificazione generalizzata della circolazione. Il confronto tra le rappresentazioni dei due scenari mostra, un considerevole diminuzione degli archi “rossi”, cioè quelli caratterizzati da congestione della circolazione. I volumi di traffico nei nuovi tratti di Cispadana e Pedemontana assommano mediamente a 1.100 veicoli per direzione di marcia nell'ora di punta del mattino. Tali volumi di traffico risultano dello stesso ordine di grandezza in tutti i tronchi della nuove infrastrutture lungo l'intero tracciato regionale, fenomeno che suggerisce di riconoscere di rango regionale, da affrontare con un progetto unitario dell'intero percorso, anche i tratti ovest della Cispadana e della Pedemontana inseriti nel PTCP. Anche in considerazione delle valutazioni espresse dalla Giunta regionale con atto n. 869/2005 si conferma l’attuale classificazione di strada di interesse interprovinciale per il tratto di Pedemontana ad ovest della autostrada A15 e si attribuisce la classificazione di strada di interesse regionale alla SP10 nel tratto ad ovest con le caratteristiche geometriche previste dal PRIT. Su tale configurazione è stato richiesto il formale accordo con la Provincia di Piacenza con nota n. prot. 84675 del 22.9.05. Per quanto riguarda la relazione infrastrutture-ambiente si evidenzia, per l’asse Pedemontano, che il progetto esecutivo dell’opera di attraversamento del fiume Taro e, quindi del Parco fluviale regionale del Taro, è stato approvato, ed è attualmente in fase di realizzazione. Le previste valutazioni di impatto ambientale e di incidenza sono state effettuate nell’ambito della redazione del progetto dell’infrastruttura. In merito all’asse Cispadano si conferma che la classificazione prevista dalla presente variante riguarda il tratto di viabilità ad ovest del futuro raccordo A15-A22; in particolare il tratto che interessa il sito della Rete natura 2000 (IT4020016) è l’opera di attraversamento del fiume Taro che è già stata realizzata. Infine è da sottolineare che l’aumento di traffico ipotizzato nello studio allegato alla presente variante (scenario di progetto) deriva da quello programmato dal PRIT98.

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2.2 Variazioni rispetto al PRIT Sulla base delle considerazioni e valutazioni sviluppate nel precedente paragrafo si propone di comprendere nella “Grande Rete” del PRIT98 il prolungamento ad ovest dell’asse regionale Cispadano con differente tracciato e tipologia. In particolare il PRIT classifica il tratto stradale ovest del percorso Cispadano come “collegamento regionale” costituito da “tronchi con standard di piattaforma IV CNR con prevalente realizzazione fuori sede”. Tale classificazione prevede la realizzazione di un asse viario in nuova sede ad unica carreggiata, nel tratto compreso tra il nuovo asse autostradale programmato Autocisa – Autobrennero e l’abitato di Busseto. Diversamente nel PTCP approvato è stato individuato un percorso stradale che utilizza in gran parte la viabilità provinciale esistente costituita dalla SP 10 di Cremona, oggetto di numerosi interventi di riqualificazione da parte dell’Amministrazione provinciale. A livello interprovinciale tale viabilità si interconnette con la “viabilità primaria” prevista dal vigente PTCP della Provincia di Piacenza (tav I1 Collegamenti e viabilità territoriale) costituita dalla ex SS 588, la stessa viene peraltro classificata come “viabilità di interesse regionale” (tav. I2 Infrastrutture per la viabilità – Gerarchia funzionale della rete viabilistica). Si ritiene pertanto che la presente richiesta di variante al PRIT sia coerente con la pianificazione provinciale limitrofa e che in tal senso costituisce una proposta organica. E’ opportuno inoltre sottolineare che l’asse stradale, di cui si propone la classificazione come strada di livello regionale, costituisce un collegamento diretto tra il previsto casello della bretella autostradale A15-A22 ed i caselli della A21 Torino-Brescia entrambi nel territorio della Provincia di Piacenza. Nello specifico si propone che l’asse individuato nel vigente PTCP come strada di interesse interprovinciale sia classificata come tronco di interesse regionale, comportando la sua classificazione nel PRIT “intervento di adeguamento della piattaforma stradale allo standard IV CNR, con eventuali varianti e/o rettifiche plano-altimetriche del tracciato e razionalizzazione delle intersezioni”. A tal fine è stata prodotta la versione opportunamente modificata della Carta B – Sistema stradale di previsione all’anno 2010 del PRIT vigente.

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Figura 5 – stralcio cartografia P.R.I.T.

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Gli aspetti procedurali Tra i contenuti innovativi della legge regionale 20/2000 vi è la possibilità di apportare modificazioni “dal basso” agli strumenti di pianificazione sovraordinati; vengono in tal modo sanciti i limiti della rigida gerarchia della pianificazione e regolamentate le modalità con cui i piani “sotto ordinati” possono apportare variazioni. All’art. 22 della legge regionale vengono specificate le procedure per l’approvazione dei piani che propongono modificazioni agli strumenti sovraordinati; in particolare la disciplina per piani territoriali provinciali contenenti proposte di modifica ai piani regionali è quella relativa all’approvazione del PTCP con le seguenti precisazioni: − negli atti deliberativi di adozione e di approvazione, negli avvisi pubblici deve

essere esplicitato lo strumento a cui si propongono modificazioni, nel caso in oggetto il PRIT;

− vanno seguite le forme di deposito e pubblicità previste per il piano di cui si propone la variazione; nello specifico, posto che le modifiche interessano esclusivamente le province limitrofe, la variante al PTCP con le modifiche al PRIT, dopo l’adozione da parte del Consiglio Provinciale, sarà inviata alle Province di Piacenza e Reggio Emilia, nonchè alle Comunità Montane ed ai Comuni della nostra provincia;

− le proposte di modifica devono essere evidenziate in un apposito documento. L’atto di approvazione del piano sottordinato comporta la variazione del piano sovraordinato (PRIT), a condizione che sulle modifiche sia stata acquisita l’Intesa con la Regione. Le modifiche normative Ad oltre un anno dalla data di approvazione PTCP, nell’applicazione ed attuazione delle sue disposizioni, sono emerse alcune esigenze di perfezionamento anche delle norme che riguardano le infrastrutture di mobilità. In tal senso è utile evidenziare che le scelte del PTCP hanno valore in quanto definiscono l’assetto strategico della rete viaria primaria di livello regionale/nazionale e provinciale, mentre l’individuazione planimetrica ha valore indicativo poiché molti fattori possono influenzare la definizione di dettaglio dell’opera. Conseguentemente sono state apportate opportune modifiche ed integrazioni all’art. 34 “Infrastrutture per la mobilità” prevedendo, per gli assi di rilievo nazionale e/o regionale, corridoi infrastrutturali all’interno dei quali gli strumenti urbanistici comunali e la progettazione preliminare potranno definire l’esatta localizzazione dell’infrastruttura; mentre per la viabilità di interesse provinciale sono state definite le possibilità di variazione planimetriche e gli interventi sulle infrastrutture esistenti compatibili con i contenuti del PTCP. Perfezionamenti dei corridoi di fattibilità di infrastrutture per la mobilità previste dal vigente PTCP Le modifiche cartografiche che vengono introdotte nelle tavole C.10 e C.11 per adeguare i tracciati delle infrastrutture a seguito di approfondimenti tecnici, derivanti anche da strumenti urbanistici comunali, studi di fattibilità o progetti preliminari di assi stradali di livello provinciale, regionale e nazionale sono i seguenti:

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1. Asse Pedemontano – modifica del corridoio infrastrutturale sulla base del progetto preliminare relativo al tratto dal ponte sul torrente Parma alla SS 62 in Comune di Collecchio;

2. Asse Cispadano – perfezionamento della variante di tracciato della SP 10 in corrispondenza dell’abitato di S.Secondo;

3. Corridoio Plurimodale Tirreno-Brennero, Progetto definitivo del Raccordo Autostradale A15-A22 Fontevivo-Nogarole Rocca (Dlgs 190/2002) ed i connessi interventi stradali compensativi relativi ai territori dei Comuni di Fontevivo, Fontanellato, Parma, Trecasali;

4. Sistema Pedemontano complanare alla A15 tratto dal nuovo ponte Collecchio - Medesano alla SS 9 in loc. Pontetaro;

5. Viabilità primaria di interesse provinciale: 5.1 SP 665 R Massese – variante di tracciato in corrispondenza dell’abitato di

Corcagnano e perfezionamento della variante in corrispondenza dell’abitato di Pilastro;

5.2 SP 513 R Val d’Enza – modifica delle varianti di tracciato in corrispondenza degli abitati di Botteghino e Pilastrello, rettifica del tracciato in corrispondenza dell’attraversamento del torrente Masdone;

5.3 SP 12 - modifica della variante di tracciato in corrispondenza dell’abitato di Chiusa Ferranda;

5.4 SP 49 – classificazione come tronco stradale esistente da potenziare (osservazione Comune di Collecchio);

6. Viabilità secondaria di interesse provinciale: 6.1 parziale modifica delle varianti di tracciato delle SP 11 e SP 50 in prossimità

degli abitati di Soragna e Carzeto; 6.2 correzione delle varianti di tracciato delle SP 18 e SP 52 in prossimità degli

abitati di Monticelli Terme e Basilicagoiano in relazione alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali (osservazione Comune di Montechiarugolo);

6.3 parziale modifica dell’asse di collegamento tra la SP 72 Parma-Mezzani e la SP 62R della Cisa, relativamente al tratto di innesto con la stessa SP62R.

Infine è stata aggiornata la situazione della rete viaria principale in relazione alla realizzazione dei tronchi realizzati negli ultimi anni (tratto ovest della tangenziale di Fidenza, tangenziale ovest di Parma, nuovo ponte sul fiume Taro, ecc) Infrastrutture ferroviarie. Il progetto preliminare del completamento del raddoppio della linea ferroviaria Pontremolese, predisposto ai sensi dell’art. 3 del Dlgs. 20.8.2002, n. 190, nel tratto Parma-Osteriazza ha previsto una variante di tracciato nel tratto che interessa gli abitati di Parma e Fornovo. Tali varianti vengono recepite apportando le opportune modifiche cartografiche alla tav. C10. Sulla base del “Progetto preliminare della rete portante di trasporto collettivo” che ha approfondito la proposta di Servizio Ferroviario Provinciale indicato dal PTCP è emersa l’opportunità di individuare tre nuove fermate nel territorio del Comune di Parma, due sulla linea Milano-Bologna: aeroporto e via Parigi ed una sulla linea Parma-Fornovo in prossimità della via Emilia-Crocetta. Tali fermate di progetto vengono inserite nella tav C.10. La fattibilità e la convenienza realizzativa di tali fermate dovrà essere preventivamente verificata attraverso specifici studi con la

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Regione Emilia-Romagna e con il Gestore dell’infrastruttura ferroviaria. Considerando inoltre le competenze della Regione nel settore dei servizi ferroviari di interesse regionale, l’eventuale attivazione di detti servizi sarà a carico delle Amministrazioni Locali in relazione alla rilevanza, prettamente urbana, dell’intervento.

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3. Le aree produttive di rilievo sovracomunale 3.1 Analisi delle prime esperienze provinciali La Legge Regionale 20/00 all’art. A – 13 definisce gli Ambiti specializzati per attività produttive come “le parti del territorio caratterizzate dalla concentrazione di attività economiche, commerciali e produttive”. Tali ambiti sono distinti in aree produttive di rilievo comunale e aree produttive di rilievo sovracomunale. Le aree produttive esistenti sono disciplinate dalla pianificazione urbanistica comunale. La nuova legge urbanistica regionale affida al PTCP il compito di individuare, d’intesa con i comuni interessati, le aree produttive esistenti idonee ad essere ampliate per assumere rilievo sovracomunale e gli ambiti più idonei alla localizzazione delle nuove aree produttive di rilievo sovracomunale, nonché di stabilirne l’assetto infrastrutturale e le caratteristiche urbanistiche e funzionali. Il PTCP in tali ipotesi assume il valore e gli effetti di PSC. Un’area produttiva sovracomunale è caratterizzata da interessi economici, urbanistici e infrastrutturali che riguardano più comuni limitrofi, da qui il ruolo di coordinamento della Provincia. La legge regionale 20/00 attribuisce alle aree produttive di rilievo sovracomunale la finalità di razionalizzare il sistema produttivo e il suo sviluppo. Queste aree, inoltre, devono assumere “i caratteri delle aree ecologicamente attrezzate” (art. A-14 comma 4 L.R. 20/00) devono, quindi, essere dotate di infrastrutture, servizi e sistemi idonei a garantire la tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente rispettando le indicazioni contenute nella Delibera di Giunta Regionale 1238/2002. La Regione, in collaborazione con le Province, sta elaborando l’Atto di Coordinamento Tecnico in materia di Aree Ecologicamente Attrezzate previste dalla legislazione vigente. Le Nuove Aree Produttive di rilievo sovracomunale vengono, quindi, definite dalla Provincia all’interno del PTCP attraverso un’intesa con i Comuni interessati. Il tema è già stato affrontato nel PTCP vigente, ma una variante del PTCP su questo tema è necessaria per analizzare le prime esperienze a riguardo che hanno evidenziato i punti di forza e di debolezza dell’attuazione delle norme del Piano, nonché per assumere nel piano provinciale le aree produttive di rilievo sovracomunale, nelle quali si è perfezionata l’intesa con i Comuni interessati. Inoltre, tale variante è necessaria in quanto espressamente richiesta dalla Regione Emilia Romagna in sede di Delibera di Intesa (Del. G.R. 1320/03): “si richiede di rinviare l’individuazione dei nuovi ambiti produttivi di rilievo sovracomunale, che assumono i caratteri di “aree ecologicamente attrezzate”, ad un successivo PTCP ovvero ad una specifica variante al PTCP, per disciplinare compiutamente tali ambiti”. Per la definizione delle aree produttive di rilievo sovracomunale è necessario preliminarmente identificare aggregazioni di Comuni all’interno dei quali definire criteri di localizzazione e ruoli delle aree produttive. Nel vigente PTCP, alla luce delle analisi territoriali ed ambientali svolte, sono stati definite 5 aggregazioni territoriali comunali significative per la pianificazione delle aree produttive. Lo scopo di tali aggregazioni è quello di promuovere accordi territoriali per l’attuazione delle aree produttive favorendo la concertazione e la perequazione tra i comuni coinvolti, inoltre la finalità è quella di razionalizzare e sviluppare il sistema produttivo e di convogliare finanziamenti pubblici ed agevolazioni fiscali (europei, nazionali, regionali, provinciali e comunali) in modo da renderne economicamente vantaggioso l’insediamento di attività produttive.

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Questi ambiti territoriali contenuti nel PTCP fanno riferimento a raggruppamenti di Comuni. Nella tavola C.9 del Piano vigente sono precisate le aggregazioni di Comuni in cui individuare i nuovi ambiti specializzati per attività produttive di rilievo sovracomunale, di cui all’art. A-13 della L.R. 20/2000; tali aggregazioni corrispondono ai seguenti gruppi di Comuni: − 1.1 Colorno, Mezzani, Parma, Sorbolo, Torrile, − 1.2 Collecchio, Felino, Montechiarugolo, Parma, Sala Baganza, Traversetolo; − 2. Busseto, Fidenza, Fontanellato, Fontevivo, Noceto, Polesine P.se,

Salsomaggiore Terme, Roccabianca, San Secondo, Sissa, Soragna, Trecasali, Zibello;

− 3. Bardi, Berceto, Bore, Fornovo, Medesano, Pellegrino P.se, Solignano, Terenzo, Valmozzola, Varano de’ Melegari, Varsi;

− 4. Albareto, Bedonia, Borgo Val di Taro, Compiano, Tornolo; − 5. Calestano, Corniglio, Langhirano, Lesignano, Monchio delle Corti, Neviano

degli Arduini, Palanzano, Tizzano. Secondo il PTCP vigente le nuove aree produttive sovracomunali insediabili all’interno degli ambiti sopra elencati e da inserire all’interno del PTCP, devono possedere i seguenti requisiti urbanistico-prestazionali e le seguenti dimensioni: • Ambito 1.1: in totale 3 aree, ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a

10 ha, in prossimità alla viabilità primaria di interesse regionale – Cispadana – e collegamento con la viabilità primaria di interesse provinciale;

• Ambito 1.2: in totale 4 aree, ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 10 ha, in prossimità alla viabilità primaria di interesse regionale – Pedemontana – e collegamento con la viabilità primaria di interesse provinciale;

• Ambito 2: in totale 6 aree ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 5 ha e prossimità alla viabilità primaria di interesse regionale – Pedemontana e Cispadana – e collegamento con la viabilità primaria di interesse provinciale;

• Ambito 3: in totale 3 aree, ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 4 ha, collocazione esterna alla zona di vulnerabilità degli acquiferi principali e collegamento alla viabilità principale di interesse provinciale;

• Ambito 4: in totale 2 aree, ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 4 ha e collegamento alla viabilità principale di interesse provinciale;

• Ambito 5: in totale 3 aree ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 4 ha, collocazione esterna alla zona di vulnerabilità degli acquiferi principali e collegamento alla viabilità principale di interesse provinciale.

Per l’approfondimento delle analisi e delle valutazioni che hanno condotto all’individuazione di tali ambiti si rinvia al Quadro Conoscitivo del PTCP vigente. Riprendendo brevemente i concetti esposti in tali documenti è sufficiente ricordare, in questa sede, che l’aggregazione dei comuni in ambiti sovracomunali è stata definita

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attraverso due elementi principali: i “sistemi locali del lavoro” e “i sistemi insediativi”. I sistemi locali del lavoro sono determinati prioritariamente con il criterio dell’autocontenimento: la ricerca di un territorio in cui si concentrano attività produttive e servizi in quantità tali da offrire opportunità di lavoro e residenziali alla maggior parte della popolazione che vi è insediata. I sistemi insediativi sono, invece, identificati sulla base di analisi di carattere urbanistico-territoriale. A questi due aspetti sono state associate valutazioni relative al sistema infrastrutturale e della mobilità. Le prime esperienze provinciali per l’attuazione delle aree produttive sovracomunali, disciplinate dall’art. 36 “Ambiti specializzati per attività produttive di rilievo sovracomunale” delle norme del PTCP, riguardano l’inserimento di nuove aree e l’ampliamento di aree esistenti: attraverso accordi di programma in variante al PRG o come nuove aree inserite direttamente nei nuovi PSC. In particolare si tratta delle seguenti aree: ∗ Area in Comune di Polesine P.se: interessa i Comuni di Busseto, Polesine P.se e

Zibello, appartenente all’ambito n. 2; ∗ Area in Comune di Parma: si tratta di un’area produttiva di espansione di un’area

esistente denominata area SPIP appartenente all’ambito n. 1.1; ∗ Area in Comune di Sorbolo: si tratta di due aree limitrofe e confinanti che

interessano il Comune di Sorbolo e che rappresentano un’unica area produttiva (suddivisa in due schede distinte per comodità), appartenente all’ambito n. 1.1;

∗ Area in Comune di Medesano: interessa i Comuni di Medesano e Fornovo, appartenente all’ambito n. 3. In sede di Conferenza di Pianificazione per la variante al PTCP, il Comune di Medesano ha chiesto di introdurre una nuova area produttiva sovracomunale in accordo con il Comune di Noceto e di ridimensionare quella di Felegara ad area produttiva di rilievo comunale;

∗ Area in Comune di Fidenza: interessa il Comune di Fidenza appartenente all’ambito n. 2;

∗ Area in Comune di Bedonia: interessa i Comuni di Bedonia, Tornolo e Compiano appartenenti all’ambito n. 4.

∗ Area in Comune di Solignano: il Comune di Solignano ha richiesto, in sede di Conferenza di Pianificazione per la presente variante al PTCP di inserire una nuova area produttiva sovracomunale;

Per l’analisi dettagliata delle singole aree si rimanda alle schede allegate; è tuttavia interessante evidenziare le prime considerazioni generali riguardanti queste esperienze. Per l’area sita in Comune di Polesine P.se, prevista tra i Comuni di Busseto, Polesine P.se e Zibello, dopo una serie di incontri preliminari in cui i Comuni si sono dimostrati interessati alla proposta e dopo una prima analisi della fattibilità si è deciso di inserire l’area all’interno del PSC del Comune di Polesine P.se adottato. I Comuni dell’ambito hanno formalizzato l’intesa sulla proposta dell’area attraverso la sottoscrizione del verbale di una conferenza dei servizi in cui è stata presentata l’area. Successivamente, verrà sottoscritto l’accordo territoriale dai tre Comuni interessati e dalla Provincia. Nell’accordo territoriale saranno specificati l’assetto infrastrutturale e le caratteristiche urbanistiche e funzionali dell’area.

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Per l’area sita in Comune di Parma si tratta di un ambito specializzato per attività produttive inserito nel PSC vigente, definito nel complesso SPIP. Per l’attuazione del comparto C8 è stato siglato un accordo territoriale tra il Comune di Parma e la Provincia. Tale accordo prevede, a carico del soggetto attuatore: il risezionamento della SP Parma – Mezzani per un tratto in corrispondenza con Via Franklin (potenziamento fino alla categoria C1), il potenziamento di Strada Paradigna, a partire dal margine nord del comparto fino all’intersezione con Via Forlanini e l’intersezione tra le due infrastrutture risolta con una rotatoria, la progettazione dello scalo merci e della fermata del servizio ferroviario regionale di bacino. L’accordo territoriale siglato per il comparto C9 prevede, a carico del soggetto attuatore, il potenziamento fino a categoria C1 della Strada Asolana a partire dall’intersezione con strada Traversante Paradigna fino al cavalcavia posto a sud. Sempre a carico del soggetto attuatore sarà realizzata una pista ciclabile e una parte di viabilità fuori comparto (a sud dello stesso, viabilità est-ovest compresa tra la rotonda adiacente al cavalcavia e via Paradigna). Per l’attuazione delle nuove aree previste dal PSC del Comune di Parma (approvato il 27/03/07) dovrà essere sottoscritto apposito accordo territoriale integrativo di quelli già stipulati. Per l’area sita in Comune di Sorbolo si tratta, a tutti gli effetti, di un’area produttiva sovracomunale prevista dal PSC del Comune di Sorbolo. L’area produttiva sovracomunale è rappresentata in due differenti schede. L’area APS.1 è l’ampliamento di un’area esistente che andrà ad assumere le caratteristiche di area produttiva sovracomunale. Era stata inserita nel PRG comunale attraverso una variante parziale ed è stata confermata nel PSC. L’area verrà attuata a seguito della sigla di un accordo territoriale (tra il Comune e la Provincia) in cui saranno specificati l’assetto infrastrutturale e le caratteristiche urbanistiche e funzionali dell’area. L’area APS è l’ampliamento della precedente ed andrà ad assumere le caratteristiche di area produttiva sovracomunale. È stata inserita nel PSC del Comune di Sorbolo approvato. L’area verrà attuata a seguito della sigla di un accordo territoriale (tra il Comune e la Provincia) in cui saranno specificati l’assetto infrastrutturale e le caratteristiche urbanistiche e funzionali dell’area. Con riferimento all’area di Medesano, in sede di Conferenza di Pianificazione per la variante al PTCP, il Comune di Medesano ha chiesto di introdurre una nuova area produttiva sovracomunale e di ridimensionare quella di Felegara ad area produttiva di rilievo comunale. Per la conseguente attuazione della previsione si provvederà alla definizione e stipula dell’accordo territoriale a cui parteciperanno i Comuni interessati e la Provincia, in cui saranno specificati l’assetto infrastrutturale e le caratteristiche urbanistiche e funzionali dell’area. Per l’area in località Castelletto, da realizzare nel Comune di Fidenza, si è proceduto, come previsto dalla legge regionale 20/00, con un accordo di programma ai sensi dell’art. 40 della L.R. 20/00 finalizzato ad una variante al PRG. Si tratta di un’area produttiva specializzata nella conservazione e movimentazione di prodotti freschi, congelati, surgelati nonché nel deposito di prodotti e merci a temperatura ambiente. Per l’attuazione della previsione si è provveduto alla stipula dell’accordo territoriale tra il Comune di Fidenza e la Provincia, in cui sono stati specificati l’assetto infrastrutturale e le caratteristiche urbanistiche e funzionali dell’area. In particolare la realizzazione dell’area sovracomunale comporterà il potenziamento della viabilità

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sovracomunale direttamente interessata dal nuovo insediamento, attraverso la riqualificazione della SP12 di Soragna. L’area sita in Comune di Bedonia, da realizzare con i Comuni di Compiano e Tornolo è stata inserita nel PSC approvato. Per la sua realizzazione sarà necessaria la predisposizione e la stipula dell’accordo territoriale tra i tre Comuni e la Provincia, in cui saranno specificati l’assetto infrastrutturale e le caratteristiche urbanistiche e funzionali dell’area. Il Comune di Solignano ha richiesto, in sede di Conferenza di Pianificazione per la variante al PTCP di inserire una nuova area produttiva sovracomunale in località Rubbiano. Si tratta di un Ambito specializzato per attività produttive sovracomunale inserito in una variante del PRG di Solignano. L’area è stata concordata con i Comuni dell’aggregazione 3 nel corso della Conferenza dei Servizi che si è svolta il 02/12/2004. Per la conseguente attuazione della previsione si provvederà alla definizione e stipula dell’accordo territoriale a cui parteciperanno il Comune e la Provincia, in cui saranno specificati l’assetto infrastrutturale e le caratteristiche urbanistiche e funzionali dell’area. 3.2 La Conferenza di pianificazione per l’attuazione delle nuove aree

produttive sovracomunali Lo scopo della Conferenza di Pianificazione nel caso di nuova area da inserire all’interno del PTCP, è quello di raccogliere il consenso e/o valutazioni critiche dei Comuni appartenenti all’aggregazione di riferimento e soprattutto per raggiungere l’intesa tra gli stessi Comuni e la Provincia. La partecipazione dei Comuni dell’aggregazione sovracomunale è pertanto indispensabile in quanto devono essere al corrente del fatto che il numero complessivo delle nuove aree all’interno dell’ambito stesso si viene a ridurre; potrebbero, inoltre, partecipare attivamente alla predisposizione dell’area con la conseguente perequazione territoriale con gli altri Comuni promotori. A fianco della conferenza di pianificazione si potrebbero, inoltre, realizzare incontri con altri enti ed organismi pubblici, associazioni economiche e sociali, quindi tutti coloro che nella fase di deposito potrebbero formulare osservazioni, al fine di realizzare la concertazione ed evitare osservazioni o riserve successive.

3.3 Obiettivi della variante al PTCP per le aree produttive sovracomunali Gli obiettivi della presente variante sono rivolti a: a) disciplinare compiutamente, in recepimento alle indicazioni regionali di cui alla

DGR 1320/03, la previsione delle aree produttive di rilievo sovracomunale con particolare riferimento a quelle che sono state oggetto di concertazione tra Comuni e Provincia successivamente all’approvazione del PTCP;

b) definizione di ulteriori aree produttive sovracomunali, attraverso intese con i Comuni che hanno avanzato proposte specifiche (Solignano, Medesano-Noceto);

c) individuazione di aree produttive esistenti che, in riferimento all’art. A-13, comma 4, della L.R. 20/2000, sulla base di specifiche caratteristiche dimensionali e funzionali, sono idonee ad essere ampliate per assumere rilievo sovracomunale;

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d) revisione dell’art. 36 del PTCP, in termini di semplificazioni procedurali, per l’attuazione di nuove aree non previste dal PTCP all’interno delle aggregazioni già individuate e sua integrazione con le modalità attuative delle aree inserite con la presente variante.

a) disciplinare compiutamente, in recepimento alle indicazioni regionali di cui

alla DGR 1320/03, la previsione delle aree produttive di rilievo sovracomunale

Per tale obiettivo sono state specificate nel precedente paragrafo 3.1 le attività sviluppate dalla Provincia in accordo con i Comuni interessati, da cui è derivata la previsione negli strumenti urbanistici comunali di aree produttive di rilievo sovracomunale così come specificate nelle schede allegate. b) individuazione di nuove aree produttive sovracomunali D’intesa con i Comuni interessati, in questa sede, sono individuate nel PTCP nuove aree produttive di rilievo sovracomunale, che avrà, pertanto, valore ed effetto di PSC. Tali aree saranno inserite nella cartografia di progetto (tavola C9) e sono riportate in appositi stralci di dettaglio allegati. Le aree inserite nel PTCP con la presente variante sono due: − il Comune di Medesano aveva inserito nel PSC un’area produttiva

sovracomunale, da realizzare d’intesa con il Comune di Fornovo, in località Felegara. Nell’ambito della Conferenza di Pianificazione della presente variante al PTCP il Comune ha chiesto di ridimensionare l’area produttiva sovracomunale in questione ad area produttiva di rilievo comunale e di inserire una nuova area produttiva sovracomunale in località Travignano, da realizzare in accordo con il Comune di Noceto. Tale richiesta è stata accolta;

− in Comune di Solignano in località Rubbiano, in accordo con i Comuni dell’ambito sovracomunale n. 3;

c) ricognizione delle aree produttive esistenti idonee ad essere ampliate per

assumere rilievo sovracomunale Il Quadro Conoscitivo del vigente PTCP è stato aggiornato con una ricognizione delle aree produttive esistenti idonee ad essere ampliate per assumere rilievo sovracomunale. Pertanto, a corredo della presente variante, è stata prodotta un’integrazione al Quadro Conoscitivo inerente le aree produttive. Partendo dal mosaico dei PRG risalente al 1997 e da alcuni aggiornamenti di quest’ultimo ottenuti con l’inserimento dei nuovi PSC elaborati ad oggi, si è arrivati ad una prima mappatura delle aree produttive esistenti. Queste sono state analizzate considerando la dimensione, l’ubicazione, la presenza o la prospettiva di realizzazione di infrastrutture. Lo scopo di questa analisi è quello di evidenziare le aree produttive esistenti che presentano le caratteristiche necessarie per un possibile ampliamento come aree produttive di rilievo sovracomunale, cioè dimensione rilevante, disponibilità di ulteriori spazi limitrofi di ampliamento, vicinanza alle infrastrutture principali, mancanza di vincoli e prescrizioni inderogabili. Regolamentare in modo preciso, seguendo le indicazioni della nuova legge urbanistica, l’ampliamento delle aree produttive ha la finalità di razionalizzare lo

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sviluppo del sistema produttivo e di ridurre l’impatto sull’ambiente di tali aree. Vengono infatti attuate come aree ecologicamente attrezzate. Questo comporta dei vantaggi in termini di semplificazioni procedurali (ad esempio per le autorizzazioni) e di possibilità di partecipazione a finanziamenti regionali. Come prima indicazione le aree produttive esistenti per essere idonee ad un ampliamento finalizzato alla trasformazione in aree produttive sovracomunali oltre ad avere le caratteristiche su elencate (disponibilità di spazi limitrofi di ampliamento, vicinanza alla infrastrutture principali, mancanza di vincoli e prescrizioni evidenziate nel PTCP) devono necessariamente avere una dimensione minima di 2 ettari, valore di riferimento tratto dall’Atlante Regionale degli insediamenti produttivi della Regione Emilia Romagna. In particolare, un Comune può decidere di ampliare un’area produttiva contenuta all’interno del menzionato Atlante e trasformarla in area produttiva sovracomunale se la Superficie Territoriale dell’esistente più l’ampliamento raggiunge almeno i 5 ettari. L’area dovrà essere ampliata come Area ecologicamente Attrezzata, ai sensi della L.R. 20/00. In questo caso il Comune potrà realizzare l’area in piena autonomia dagli altri Comuni dell’aggregazione. La procedura per la realizzazione delle aree produttive sovracomunali ottenute dall’ampliamento di aree esistenti contenute all’interno dell’Atlante Regionale è di competenza comunale. Qualora la dimensione complessiva (esistente più ampliamento) superi la soglia prevista al per le nuove aree produttive sovracomunali deve essere conseguita l’intesa con i Comuni dell’aggregazione di riferimento. All’interno di un Comune una nuova previsione di area produttiva di rilievo comunale deve avvenire in continuità con un’area esistente o almeno in continuità con il Territorio Urbanizzato e dovrà avere una superficie complessiva massima pari a 1 ettaro. Una deroga a questa indicazione vale per i Comuni del Sistema Montano, qualora il fabbisogno non sia altrimenti soddisfacibile, supportando la richiesta con uno studio di compatibilità ambientale. Nel caso di ampliamento di un’area al di sotto dei 5 ettari si rientra nel caso di area produttiva comunale ed è a discrezione dell’amministrazione realizzarla come area ecologicamente attrezzata (comma 5 dell’art. A-14 della L.R. 20/00). d) revisione della norma attuale, in termini di semplificazioni procedurali, per

l’attuazione di nuove aree non previste dal PTCP all’interno delle aggregazioni già individuate e sua integrazione con le modalità attuative delle aree inserite nel PTCP con la presente variante

Elemento fondamentale della presente variante al PTCP è una revisione normativa che comporti una semplificazione procedurale per l’attuazione di nuove aree produttive sovracomunali non previste (e quindi non inserite) nel PTCP. Le aree produttive sovracomunali di nuovo impianto sono individuate, d’intesa con i Comuni delle Aggregazioni individuate al paragrafo 3.1, dal PTCP vigente o secondo procedure di variante al PTCP previste dalla L.R. 20/00. Per l’ampliamento di aree esistenti individuate dall’Atlante Regionale delle Aree Produttive e contenute all’interno del Quadro Conoscitivo della presente variante si rimanda alla volontà comunale di ampliamento dell’area stessa fino a farle raggiungere la Superficie Territoriale (dimensione complessiva esistente più prevista) di almeno 5 ettari. Ciascuna aggregazione di cui al comma 1 continua ad avere lo stesso numero massimo di nuove aree produttive sovracomunali da realizzare mentre vengono modificate le soglie dimensionali minime nel seguente modo:

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• Aggregazione1.1: in totale 3 aree, ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 15 ha;

• Aggregazione 1.2: in totale 4 aree, ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 15 ha;

• Aggregazione 2: in totale 6 aree ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 10 ha;

• Aggregazione 3: in totale 3 aree, ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 5 ha;

• Aggregazione 4: in totale 2 aree, ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 5 ha;

• Aggregazione 5: in totale 3 aree ciascuno di dimensioni complessive non inferiori a 5 ha.

Infine, per chiarezza e semplicità di linguaggio si precisa che le aree di cui al comma 1 vengono identificate con il termine di aggregazione territoriale comunale (insieme di Comuni in cui è divisa la Provincia), mentre si continua a parlare di area in riferimento alle aree produttive sovracomunali in oggetto. Per le nuove aree (sia per quelle nuove a tutti gli effetti e sia per quelle che sono un ampliamento delle esistenti) inserite con questa variante del Piano, il PTCP ha valore ed effetti del PSC. Per ciascuna sono riportate delle schede dettagliate, comprensive di cartografia, e norme di riferimento per l’attuazione. 3.4 Le schede per le aree produttive sovracomunali SCHEDA 1 – BEDONIA – LA FORANA SCHEDA 2 – MEDESANO – TRAVIGNANA SCHEDA 3 – FIDENZA – CASTELLETTO SCHEDA 4 PARMA – AREA SPIP SCHEDA 5 – POLESINE – LA MOTTA SCHEDA 6.1 – 6.2 – SORBOLO – BOGOLESE 1 (comparti 1 e 2) SCHEDA 7 – SOLIGNANO.

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4. ADEGUAMENTO AL PIANO DI ASSETTO IDROGEOLOGICO 4.1 Le attività finalizzate all’intesa sull’adeguamento del PTCP al PAI Il PTCP vigente, ha individuato, per quanto riguarda le tematiche ambientali, gli ambiti da sottoporre a disposizioni normative di tutela; in particolare, in accordo con le previsioni del Piano per l’Assetto Idrogeologico – PAI (DPCM 24 maggio 2001; G.U. n. 183, 8 agosto 2001, in vigore dal 23 agosto del 2001) e nell’ottica di adeguamento al PAI stesso, sono state definite le zone caratterizzate da fenomeni di dissesto idrogeologico, di tutela idraulica e gli ambiti territoriali soggetti a rischio idraulico e idrogeologico. Per quanto riguarda le zone instabili o potenzialmente instabili per fragilità geomorfologica, la Provincia ha redatto la “Carta del Dissesto” in scala 1:25.000. Essa è stata recepita dall’Autorità di Bacino nell’Elaborato n.2 ”Atlante dei Rischi Idraulici e Idrogeologici - Inventario dei centri abitati collinari/montani esposti a pericolo” (Allegato 4) del PAI, con deliberazione di Comitato Istituzionale n. 1 del 13.03.02, a seguito dell’accoglimento da parte della Regione della specifica osservazione inoltrata dalla Provincia di Parma al Progetto di PAI. Ne consegue che dall’Agosto del 2001, tutti i Comuni della Provincia hanno applicato le disposizioni normative contenute nelle norme tecniche del P.A.I., in riferimento alle zonizzazioni delle aree in dissesto individuate dalla “Carta del Dissesto” provinciale recepita dal P.A.I. Per quanto riguarda le fasce fluviali, ai sensi della L. 183/89, l’Autorità di Bacino del Fiume Po ha provveduto mediante il Piano Stralcio delle Fasce Fluviali, vigente dal novembre 1998, e il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (DPCM 24 maggio 2001), a delimitare, sulla base dei criteri di cui all’allegato 3 del Titolo II delle Norme di attuazione del PAI, le fasce fluviali dei corsi d’acqua del reticolo idrografico principale della Provincia di Parma costituito da Enza, Parma, Baganza, Taro, Stirone e Ongina, relativamente ai tratti di pianura fino alla confluenza con il Fiume Po oltre che dal Po stesso. La disciplina dell’uso del suolo all’interno delle fasce di esondabilità è stata inoltre regolamentata da norme tecniche di attuazione. Applicando la metodologia definita dall’Autorità di Bacino, la Provincia di Parma, utilizzando nuove sezioni topografiche, ha completato e inserito nel PTCP la delimitazione delle fasce di esondabilità pertinenti ai rimanenti tratti fluviali, oltre che di tutta l’asta del T. Ceno, definendo gli indirizzi e le prescrizioni normative da osservarsi in sede di formazione e adeguamento degli strumenti urbanistici comunali. Per tali corsi d’acqua l’Autorità di Bacino ha assunto nel proprio P.A.I. le perimetrazioni definite dalla Provincia relativamente ai soli tratti in sovrapposizione. Con la medesima metodologia, la Provincia di Parma ha esteso lo studio idraulico ad un’ulteriore porzione di reticolo idrografico minore. Relativamente al rischio idraulico e idrogeologico, il PTCP vigente ha raccordato il sistema delle tutele e i quadri conoscitivi contenuti negli strumenti di pianificazione territoriale vigenti. Il PTCP vigente ha perciò affrontato con impegno l’obiettivo dell’adeguamento al PAI con azioni volte ad una sempre maggiore aderenza dei due strumenti nel settore “Difesa del Suolo” ed è in quest’ottica che si pone anche la presente Variante.

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La Provincia, a partire dal processo di adeguamento al PAI già in atto, ha manifestato la volontà di conseguire con la Regione Emilia-Romagna e l’Autorità di Bacino, l’Intesa di cui all’art. 57 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 e all’art. 21, comma 2, della L.R. n. 20 del 24 marzo del 2000. Il raggiungimento di tale Intesa è finalizzato al fatto che il PTCP assuma il valore e gli effetti del PAI, cioè attui il Piano sovraordinato nel settore idraulico e idrogeologico. L’Intesa quindi assume un particolare significato, quale ambito formale di cooperazione interistituzionale per la definizione di azioni di interesse comune da attuare alla scala locale, nel percorso d’attuazione del PAI. Essa pertanto consente di trasporre regole ed indirizzi definiti alla scala della pianificazione di bacino, alla dimensione territoriale e locale specifica. Attraverso approfondimenti di natura idraulica, idrogeologica e geomorfologica, relativi alle problematiche di sicurezza idraulica e di stabilità dei versanti, coordinati con gli elementi ambientali e paesistici propri del PTCP, la Provincia mira a realizzare un sistema di tutela sul territorio aggiornato e non inferiore a quello del PAI. Infatti, sulla base dell’art. 26 della L.R. 20/2000, il Piano Provinciale deve inoltre delineare le caratteristiche di vulnerabilità, criticità e potenzialità dei sistemi naturali ed antropici e definire i bilanci delle risorse territoriali e ambientali, i criteri e le soglie del loro uso, stabilendo le condizioni e i limiti di sostenibilità territoriale e ambientale delle previsioni urbanistiche, qualora comportino effetti tali da esulare dai confini amministrativi. Perché questo processo si fondi su riferimenti capaci di garantire la lettura dei problemi alla dimensione sistemica dell’intero bacino, e non diventi eventuale avvallo di aggiustamenti e modifiche di rilievo locale, non coerenti con il quadro di riferimento complessivo, è necessario che si formalizzi, tra i soggetti istituzionalmente preposti, un metodo di lavoro e di confronto comunemente accettato. Con la stipula dell’Accordo preliminare, sottoscritto il 9 marzo 2004, l’Amministrazione Provinciale di Parma (insieme alle altre Province emiliane), la Regione Emilia-Romagna e l’Autorità di Bacino hanno formalmente assunto l’impegno di raggiungere gli intenti e le finalità di cui sopra per giungere, mediante l’Intesa, alla definizione dell’attuazione del PAI attraverso il Piano di Coordinamento Provinciale. La stipula dell’Accordo preliminare, ha dato avvio all’attività del Gruppo di lavoro “Provincia di Parma” costituito da rappresentanti della Provincia (Servizio Ambiente, Servizio Pianificazione Territoriale, Servizio Protezione Civile) della Regione Emilia-Romagna (con rappresentanti del Servizio Tecnico Bacini Taro e Parma, del Servizio Pianificazione di Bacino e della Costa e del Servizio Geologico, Sismico e dei Suoli) e dell’Autorità di Bacino del Fiume Po allo scopo di elaborare una “proposta di contenuti tecnico-normativi” conformi ai criteri e alle disposizioni del PAI sulla quale si dovrà appunto definire l’Intesa. Il documento finale sarà la redazione di una Relazione tecnica conclusiva, sulla base della procedura stabilita dall’art. 5 della DGR 225/2004. I temi oggetto dell’attività del gruppo di lavoro riguardano quindi l’analisi degli aspetti connessi ai fenomeni di dissesto, alle fasce fluviali e alle norme d’uso del suolo stabilite dal PTCP in relazione ai contenuti del PAI. Il gruppo individua i necessari approfondimenti di natura idraulica e geomorfologica, per definire un sistema di tutela non inferiore a quello del PAI, al fine di redigere un adeguato impianto normativo che tenga anche presente le disposizioni del Piano Territoriale Regionale vigente. Il “Gruppo di lavoro Provincia di Parma”, coordinato dalla Provincia, che ha iniziato il suo operato il 28 ottobre 2004, ha elaborato uno “Schema di proposta tecnico-

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normativa” (Allegato 1), presentato in calce al Documento Preliminare della variante al PTCP –(Approvazione con D.G.P. n. 68 del 28.1.2005). L’attività del Gruppo di lavoro, successiva alla approvazione del Documento preliminare della Variante parziale al PTC sopra richiamato, è stata svolta in base ad un calendario dei lavori in raccordo con il proseguimento della elaborazione della Variante al PTCP. Nello specifico, le attività del gruppo di lavoro hanno riguardato: - la valutazione delle proposte di modifica delle norme di attuazione del PTCP

vigente, relative alla tutela idraulica -paesaggistica delle regioni fluviali (articoli 12 e 13), alla regolamentazione delle zone a pericolosità idrogeologica, (articoli 21, 22,), nonché alle linee di intervento per l’assetto idraulico e idrogeologico (articolo 37);

- la valutazione della impostazione metodologica e delle conseguenti modifiche apportate alla cartografia del dissesto della presente variante parziale al PTCP;

- la valutazione della impostazione metodologica degli elaborati costituenti il Quadro conoscitivo della presente Variante, per quanto attiene la delimitazione delle fasce di tutela idraulica;

- l’impostazione e progressiva verifica/valutazione dello stato di avanzamento dei contenuti dell’elaborato, costituente allegato n. 10 alle Norme di attuazione, Linee generali di assetto idraulico e idrogeologico;

- l’Impostazione e progressiva verifica/valutazione della “Relazione tecnico-normativa di adeguamento al PAI”.

L’attività del Gruppo di lavoro è confluita negli elaborati della Variante Parziale, adottata con Del. C.P. n. 38 del 28.04.06.

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4.2 I fenomeni di instabilità geomorfologica: la Carta del Dissesto

Provinciale” La nuova “Carta del Dissesto Provinciale” rappresenta il risultato ultimo e condiviso di un complesso lavoro di analisi e aggiornamento operata dal “Tavolo di lavoro Provinciale” costituito dai funzionari della Provincia, dai rappresentanti del Servizio Geologico Sismico e dei Suoli della Regione Emilia Romagna e dai tecnici del Servizio Tecnico dei Bacini Taro e Parma ed istituito con Determinazione n. 2052/2003 del Direttore Generale Ambiente e Difesa del Suolo e della Costa della Regione Emilia-Romagna. La Provincia di Parma si è avvalsa durante le diverse fasi del lavoro, così come gli altri Enti coinvolti, del supporto scientifico di un gruppo di lavoro del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Parma, coordinato dal Prof. Claudio Tellini. Il “Tavolo di lavoro Provinciale” è stato appositamente istituito, sulla base di quanto disposto dalla Deliberazione della Giunta Regionale n. 126/2002, allo scopo di mantenere in continuo aggiornamento la situazione del dissesto attraverso la condivisione delle analisi e degli approfondimenti forniti dai Servizi Tecnici di Bacino e dalle Comunità Montane, riconosciuti essere gli Enti effettivamente presenti e operanti nelle diverse situazioni di dissesto che interessano il territorio provinciale. La nuova Carta del Dissesto Provinciale ed i suoi successivi aggiornamenti operati nell’ambito della presente variante, sostituirà l’ ”Atlante dei Rischi Idraulici e Idrogeologici” del P.A.I. e, attraverso i meccanismi dell’Intesa ai sensi degli artt. 21 e 27 della L.R. n.20/2000; inoltre essa ha rappresentato pertanto il riferimento per le integrazioni e specificazioni introdotte nelle norme tecniche del Piano provinciale. La nuova Carta del Dissesto Provinciale elaborata alla scala 1:10.000 nella presente variante, rappresenta, in ragione dei contenuti e della metodologia di analisi alle problematiche inerenti ai fenomeni di dissesto idrogeologico, un’importante strumento di pianificazione territoriale finalizzato sia al corretto uso del territorio sia al monitoraggio e mitigazione delle situazioni di dissesto in continua evoluzione. Il nuovo elaborato, inizialmente realizzato attraverso una revisione dell’Inventario del Dissesto della Regione Emilia-Romagna, trae le proprie informazioni principalmente dalle riprese aeree realizzate durante il volo aereofotogrammetrico della Regione Emilia-Romagna, effettuato dall’Aprile al Giugno 2001 per documentare i fenomeni di dissesto idrogeologico che hanno colpito principalmente le Province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza a seguito di eventi meteorici particolarmente intensi verificatesi nell’Ottobre e nel Novembre 2000. Lo strato informativo del dissesto, derivato principalmente da fotointerpretazione geomorfologica, è stato integrato e/o modificato attraverso rilievi e controlli di campagna operati sia dai tecnici del Servizio Programmazione e Pianificazione Territoriale sia da attività di ricerca propria del Dipartimento di Scienze della Terra. Queste operazioni sono state progressivamente condivise dai rappresentanti della Regione Emilia-Romagna. La cartografia del Dissesto così ottenuta è stata quindi inserita in un data base, al fine di poter costituire una comoda base per l’aggiornamento futuro della distribuzione areale dei fenomeni e un approfondimento delle conoscenze dei rapporti causa-effetto. Infatti l’evoluzione nel tempo dei fenomeni franosi (e, in generale, di dissesto) può, in funzione di vari fattori (climatici, antropici, ecc.), alternativamente dirigersi verso situazioni di aggravamento o miglioramento dello

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stato di suscettibilità del territorio al dissesto. Pertanto il supporto automatico consente di registrare tale tendenza ed individuare le aree maggiormente soggette a variazioni periodiche, indirizzando le scelte ed i tipi di interventi di mitigazione del pericolo, soprattutto da frana e da dissesto idraulico. Nel periodo di svolgimento della Conferenza di Pianificazione sul documento preliminare e sul quadro conoscitivo della presente variante, sono pervenuti contributi e proposte da parte dei Comuni per l’aggiornamento della Carta del Dissesto Provinciale, con particolare riferimento alle ricadute sulle previsioni urbanistiche vigenti e alla necessità della rispondenza tra la Carta stessa e la situazione reale del territorio, nonché alla possibilità di un adeguamento della stessa carta mediante una normativa più agile di quella attuale. Contemporaneamente ad osservazioni puntuali, lo strato informativo del dissesto, oggetto della presente variante, si è avvalso anche della collaborazione dei Comuni che, nell’ambito della redazione dei propri strumenti urbanistici e/o delle varianti di adeguamento al PAI, hanno fornito analisi e studi di dettaglio, come peraltro previsto dalle norme dello stesso piano dell’Autorità di Bacino. Tale cooperazione ha permesso la progressiva realizzazione di una carta condivisa che tenesse in forte considerazione sia le esigenze di pianificazione urbanistica dei Comuni, già penalizzati da situazioni di dissesto idrogeologico ormai consolidate, sia fondamentali criteri di salvaguardia nei confronti delle infrastrutture presenti. Tutte le osservazioni comunali sono state prese in considerazione attraverso un’attenta analisi tecnica del materiale presentato e validando le eventuali modifiche attraverso sopralluoghi svolti direttamente in campagna per meglio valutare la reale situazione geomorfologica. Lo strumento di pianificazione è stato implementato attraverso l’acquisizione delle coperture quaternarie, non ancora condivise, contenute nella Carta geologica regionale. Attraverso questo ulteriore atto di condivisione la carta ha effettivamente raggiunto un’ottima completezza di informazioni geomorfologiche, sia in riferimento ai fenomeni gravitativi, attivi e quiescenti, sia in relazione alla perimetrazione di aree occupate da coltri detritiche che, proprio in ragione della loro genesi e messa in posto non identificata, necessitano di particolare attenzione. La nuova Carta del Dissesto Provinciale si presenta quindi non come una semplice carta geomorfologica ma come una carta geomorfologica applicata alla pianificazione territoriale. Le esigenze della Pianificazione Territoriale e nello stesso tempo di Protezione Civile concordano sempre più spesso nell’indirizzare le proprie attività verso un’analisi del territorio finalizzata ad identificare le aree soggette a rischio, in relazione alle diverse tipologie di fenomeni di instabilità riconosciuti e/o previsti. L’antropizzazione di interi versanti riconosciuti come potenzialmente instabili, l’utilizzo di pratiche agricole non sempre ragionate, hanno generato un progressivo incremento del grado di “suscettibilità al danno” di estese porzioni di territorio. I fenomeni geomorfologici, che un tempo erano considerati semplici processi di modellamento e di denudazione dei versanti, assumono sempre più spesso il significato di vere e proprie calamità. La grande maggioranza dei danni causati da movimenti franosi avviene per riattivazione di corpi di frana già esistenti, su cui incautamente sono stati edificati centri abitati e infrastrutture per un’errata valutazione della pericolosità dei siti, il più delle volte poco acclivi, spesso coltivati e complessivamente "invitanti" per una espansione edificatoria, oppure per la mancanza di una memoria storica dei movimenti franosi (riattivazioni in tempi pluridecennali o secolari). Il fatto che la maggior parte dei fenomeni siano riattivazioni

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di frane preesistenti ha conseguenze molto importanti perchè permette di costruire una cartografia dei dissesti duratura nel tempo e quindi di effettiva utilità pianificatoria. La dinamica dei fenomeni di instabilità geomorfologica, rappresentati nella Carta del Dissesto Provinciale alla scala 1:10.000, esplicitata nella legenda, prevede una classificazione secondo il concetto di “pericolosità geomorfologica” dei fenomeni di dissesto espressa attraverso la descrizione dello stato di attività dei movimenti gravitativi cartografati. Il concetto di “pericolosità geomorfologica” esprime la probabilità che un determinato fenomeno di instabilità del versante si verifichi in un determinato intervallo di tempo in una determinata porzione di territorio. Lo stato di attività descrive le informazioni sul tempo in cui si è verificato il movimento permettendo di prevedere il tipo di evoluzione, in senso temporale, del fenomeno. Tali raccomandazioni permettono una completa e dettagliata comprensione delle dinamiche e dell’evoluzione dei fenomeni di dissesto. L’impostazione della legenda della nuova Carta del Dissesto Provinciale si differenzia sostanzialmente da quella della precedente carta alla scala 1:25.000: tale difformità consiste in una macro distinzione dei fenomeni di dissesto sulla base di differenti gradi di pericolosità geomorfologia. In sintesi, nelle diverse classi vengono classificate le frane, distinte sulla base della tipologia e del loro stato di attività, le aree in dissesto superficiale, modellate da fenomeni di denudazione (processi di decorticazione e calanchi), le scarpate su versante in forte degradazione, le coperture detritiche quaternarie sia di natura alluvionale che di genesi e messa in posto incerta (detriti di versante, detriti eluvio-colluviali) e le aree, localizzate lungo i corsi d’acqua, interessate da processi deposizionali ed erosivi intensi. Quest’ultimi classificabili rispettivamente come fenomeni di esondazione e dissesti morfologici di carattere torrentizio. Nell’analisi e comprensione della dinamica ed evoluzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico appare, infatti, evidente come non si possa sottovalutare la stretta correlazione tra le dinamiche dei corsi d’acqua e l’innesco ed evoluzione dei fenomeni gravitativi su versante. In molti casi censiti nella Carta del Dissesto Provinciale alla scala 1:10.000 è possibile riconoscere come causa predisponente ed innescante della riattivazione o neoattivazione di fenomeni franosi l’intensa azione erosiva operata da corsi d’acqua in disequilibrio geomorfologico. Per la definizione completa e dettagliata della metodologia di classificazione si rimanda alla consultazione dell’Allegato 1 “Note Illustrative della Carta del Dissesto provinciale” della Relazione Tecnico-Normativa di adeguamento al P.A.I., elaborato B1 della variante. Spesso si confondono i concetti di rischio e pericolosità e solo recentemente si è data ai due termini una collocazione ben precisa: con “pericolosità” si identifica una situazione di minaccia che si propone come fonte di rischio, per esempio il verificarsi un evento naturale quale una frana; con “rischio” si indica la probabilità che una situazione di pericolo produca una emergenza specifica. Il rischio è dato dal prodotto tra la vulnerabilità, definita come il grado di perdita prodotto dall'evento, Ia pericolosità (hazard), definita come la probabilità che un evento calamitoso si verifichi in una determinata area ed il valore degli elementi ricadenti nella zona in esame. Il concetto di rischio è quindi legato, negli ambiti antropizzati, al valore in vite umane o in beni ed è stato esteso recentemente anche alla perdita delle risorse naturali utilizzate o meno (acquiferi, ….). Quello che incide di più nella determinazione del rischio è la vulnerabilità, cioè quanto le strutture fisiche e quelle

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socio-economiche siano predisposte ad affrontare l’evento calamitoso. Più cresce l’impreparazione, o l’inadeguatezza della risposta territoriale, più cresce la vulnerabilità del sistema. La pericolosità è invece indipendente dalla presenza di elementi vulnerabili; la perimetrazione del territorio in termini di hazard è fondamentale per una corretta pianificazione territoriale dell’area stessa: solo in questo modo è possibile evitare di esporre a rischio aree ad elevato indice di pericolosità. Alla luce di quanto sopra, le procedure per l’aggiornamento della Carta del dissesto saranno quindi direttamente correlate e correlabili al progetto provinciale di “Difesa Attiva dell’Appennino”, che prevede la realizzazione di un sistema informativo condiviso per il monitoraggio in continuo dei fenomeni di dissesto, al fine di pervenire alla realizzazione, attraverso l’analisi integrata di diversi fattori, di una carta del rischio idrogeologico. Il protocollo d’intesa per il progetto sperimentale di Difesa Attiva dell’Appennino, sottoscritto il 26 giugno 2001 dalla Provincia con la Regione, l’Autorità di Bacino del Po, le Comunità montane, i Comuni dell’Appennino e i Consorzi di Bonifica, si pone come obiettivo quello di promuovere un’azione coordinata ed integrata tra tutti gli Enti preposti alla Difesa del Suolo. La realizzazione di un quadro di conoscenze condiviso, aggiornato e di rapida accessibilità, che consenta di impostare e pianificare, in modo sinergico, gli interventi di rispettiva competenza, rappresenta uno degli obiettivi strategici previsti dal Protocollo; per questo, risulta indispensabile approntare un Sistema Informativo Provinciale per la Difesa del Suolo che fornisca in tempo reale, a tutti i soggetti istituzionalmente coinvolti, le informazioni necessarie per la caratterizzazione dello stato del dissesto e per l’individuazione del livello di rischio, e che permetta, di conseguenza, di programmare i rispettivi interventi in un contesto pianificatorio organico e comune. Lo scopo del Sistema Informativo per la Difesa del Suolo non si riduce però alla semplice fornitura di strati cartografici rappresentativi della realtà territoriale fotografata (sia in senso letterale che figurato) al momento del rilevamento. Esso deve essere anche in grado di mantenere costantemente aggiornate le proprie basi informative in funzione delle continue modificazioni che intervengono nella matrice fisica e infrastrutturale del territorio, in modo da garantire strumenti di pianificazione ed intervento affidabili e, soprattutto, non anacronistici. Nell’ambito del Progetto di Difesa Attiva dell’Appennino, per perseguire gli obiettivi di condivisione di conoscenze e di coordinamento che informano il Protocollo d’Intesa, è stata proposta la realizzazione di una procedura per l’aggiornamento in continuo della carta del dissesto che si pone come base per la successiva realizzazione di un Sistema Informativo Provinciale per la Difesa del Suolo. Il Progetto Aggiornamento continuo della Carta del Dissesto si divide in due parti. La prima parte si è sviluppata nella fase della presente variante e realizza un prodotto finito rappresentato dalla Carta digitale del dissesto scala 1:10.000, sulla scorta di quella approvata dalla Regione con atto di G.R. n. 803/2004 e aggiornata al 2006. La seconda parte si struttura invece su un intervallo temporale aperto e mira alla definizione e allo sviluppo di procedure e strumenti comuni per l’attività di aggiornamento continuo e di condivisione della base informativa realizzata nella prima fase (uno dei contenuti fondamentali della Proposta normativa, per il raggiungimento dell’Intesa).

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La nuova carta del dissesto, desunta prevalentemente da foto aeree, deve infatti essere mantenuta aggiornata, affinata attraverso sopralluoghi mirati ed arricchita di elementi descrittivi che definiscono le caratteristiche morfodinamiche ed evolutive dei singoli corpi franosi, il loro grado di interferenza con le infrastrutture antropiche e, quindi, il loro grado di pericolosità e di rischio. L’aggiornamento in continuo della carta può e deve essere integrato con la costituzione e l’aggiornamento in continuo di un database alfanumerico contenente tutte le informazioni descrittive associabili alle perimetrazioni delle aree in dissesto, derivanti anche dagli approfondimenti svolti a livello comunale in sede di adeguamento al PTCP degli strumenti urbanistici comunali. La creazione di un database dei fenomeni di dissesto idrogeologico costituisce uno strumento indispensabile per verificare l’esistenza di modelli di variabilità spaziale e di ricorrenza temporale a loro legati e, inoltre, rappresenta uno strumento di partenza per lo studio e il monitoraggio dell’evoluzione dei movimenti franosi, particolarmente significativa in conseguenza di eventi meteorici intensi e un indispensabile strumento per una corretta pianificazione territoriale. Tale continuità può essere garantita solo dai Servizi che ordinariamente ricevono le segnalazioni di dissesto (in particolare le Comunità Montane) e che dispongono delle strutture e del personale tecnico necessari per effettuare i relativi sopralluoghi e rilievi. L’obiettivo da perseguire è quello di trasformare il lavoro di aggiornamento da evento estemporaneo e straordinario a prassi e compito consuetudinario, attraverso la fornitura di adeguati strumenti di rilevamento (schede) e di gestione/modificazione delle banche dati (applicativi software) ai tecnici preposti all’istruttoria delle segnalazioni e all’effettuazione dei sopralluoghi. La fornitura di questi strumenti operativi dovrà essere accompagnata da una contestuale e indispensabile attività formativa che ne renda l’utilizzo facile ed immediato.

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4.3 Nuova classificazione sismica del territorio nazionale. (Adeguamento PTCP alla normativa sismica – in corso)

Il terremoto, per l’intensità e la globalità del suo impatto, è senza dubbio l’evento naturale più disastroso che caratterizzi il nostro territorio nazionale. L’Italia è, infatti, un paese ad elevata sismicità, per la frequenza degli eventi che hanno interessato il suo territorio e per l’intensità che alcuni di essi hanno storicamente raggiunto, determinando un rilevante impatto sociale ed economico. Alcuni dati numerici permettono di evidenziare la reale importanza dimensioni delle problematiche connesse al rischio sismico in Italia: 2.500 terremoti con intensità Mercalli maggiore del V grado hanno colpito il nostro territorio nell’ultimo millennio, 200 dei quali distruttivi, 120.000 vittime nell’ultimo secolo (85.000 delle quali dovute al terremoto di Reggio Calabria e di Messina del 1908), 20 terremoti con intensità superiore od uguale al IX grado MCS dal 1900 ad oggi, un terremoto disastroso in media ogni 4 anni, ed un danno economico, valutato per gli ultimi venticinque anni in circa 75 miliardi di euro (145.000 miliardi delle vecchie lire), impiegati per il ripristino e la ricostruzione post-evento. A quanto sopra riportato si devono aggiungere le conseguenze sul patrimonio storico, artistico, monumentale fortemente esposto agli effetti del terremoto. Considerando alcuni dei più recenti e maggiori terremoti avvenuti nel mondo, eventi di energia (magnitudo) equivalente fra di loro hanno determinato vittime e danni molto diversi in funzione delle caratteristiche del patrimonio abitativo (età, tipologia edilizia, uso), distribuzione dei centri abitati e densità di popolazione, vie di comunicazione, presenza e dislocazione dei centri operativi di pronto intervento, attività produttive, industrie a rischio, etc.. In Italia il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l’energia rilasciata nel corso degli eventi è molto più alto rispetto a quello che si verifica normalmente in altri paesi ad elevata sismicità, quali la California o il Giappone. Ad esempio, il terremoto verificatosi in Umbria e nelle Marche nel 1997, ha prodotto un quadro di danneggiamento (senza tetto: 32.000, danno economico: 5 miliardi di Euro attualizzabili al 2002) confrontabile con quello della California del 1989 (14.5 miliardi di dollari americani), malgrado fosse caratterizzato da un’energia circa 30 volte inferiore. Ciò e dovuto principalmente al fatto che il nostro patrimonio edilizio è caratterizzato da una notevole fragilità, a causa soprattutto della sua vetustà e cioè delle sue caratteristiche tipologiche e costruttive ed dello scadente stato di manutenzione. Nell’ambito della sicurezza del territorio, la valutazione del rischio sismico, parallelamente alla previsione e prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico, deve assumere un concreto significato di strumento operativo a supporto di una corretta pianificazione urbanistico-territoriale.

L’Italia è un Paese ad elevato rischio sismico: tale Rischio è espresso quantitativamente, in funzione dei danni attesi a seguito di un terremoto, in termini di perdite di vite umane e di costo economico dovuto ai danni alle costruzioni ed al blocco delle attività produttive. Esso è determinato dalla convoluzione probabilistica R=f(P,V,E) dei seguenti tre fattori: Pericolosità, Vulnerabilità ed Esposizione. La pericolosità sismica di un’area è la probabilità che, in un certo intervallo di tempo, essa sia interessata da forti terremoti che possono produrre danni. La pericolosità

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sismica di una zona, in senso lato, è determinata dalla frequenza con cui avvengono i terremoti e dall’intensità che raggiungono. La pericolosità sismica, in senso probabilistico, è la probabilità che un valore prefissato di pericolosità, espresso da un parametro di moto del suolo (quale ad es. l’accelerazione massima PGA o il grado di intensità macrosismica), venga superato in un dato sito entro un fissato periodo di tempo. La vulnerabilità di una struttura è la sua tendenza a subire un danno in seguito a un terremoto. La vulnerabilità sismica rappresenta la propensione di una struttura a subire un determinato livello di danno a fronte di un evento sismico di data intensità. Il concetto di vulnerabilità è stato inserito nelle scale macrosismiche, in particolare con la scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg, 1917) vengono definiti i gradi di intensità da I a XII in base agli effetti sulle costruzioni descritti qualitativamente. Successivamente l’evoluzione delle scale macrosismiche ha introdotto schemi di classificazione degli edifici con differenti tipologie costruttive e con diversa resistenza nei confronti della severità della scossa rilevata nella zona d’indagine. Un esempio è la scala MSK (Medvedev-Sponheuer-Karnik, 1981) che definisce: 3 classi tipologico-costruttive a vulnerabilità sismica decrescente, 6 livelli di danno (0-5) per ciascuna classe e tre quantificazioni del numero di edifici di ciascuna classe con certo livello di danno. L’Italia ha una vulnerabilità delle costruzioni presenti sul territorio molto elevata poiché la maggior parte di queste è stata costruita senza criteri antisismici. L’esposizione prima dell’evento esprime la quantità e la qualità dei beni esposti. Dopo l’evento: l’esposizione esprime il valore delle perdite causate dal terremoto: economiche, artistiche, culturali, morti, feriti e senzatetto. L’esposizione, si riferisce alla quantità e qualità dei beni esposti. Esso è quindi in qualche modo connesso al valore di quanto può essere distrutto dal terremoto. Tale fattore, pertanto, nel nostro Paese si attesta su valori altissimi, in considerazione dell’alta densità abitativa, della presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale unico al mondo, etc. In questo senso è particolarmente significativo l’evento del 1997 in Umbria e Marche, che ha fortemente danneggiato circa 600 chiese ed, emblematicamente, la basilica di S. Francesco d’Assisi, mettendo in evidenza proprio il problema della particolare esposizione del patrimonio culturale del nostro paese. Nella definizione di rischio intervengono dunque, oltre la alla pericolosità sismica (frequenza e intensità dei terremoti), anche le caratteristiche del territorio. A parità di pericolosità, un’area densamente popolata e caratterizzata da costruzioni poco resistenti al terremoto avrà un rischio elevato, mentre un’area dove non ci sono edifici, né popolazione, né altri beni avrà rischio nullo. Dunque elevata pericolosità sismica non significa necessariamente elevato rischio sismico. L’entrata in vigore dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n.3274 del 20/03/2003, “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”, attua una sostanziale riclassificazione sismica dell’intero territorio nazionale. La recente riclassificazione sismica del territorio nazionale prevede che tutto il territorio nazionale sia classificato sismico, con diversi gradi di pericolosità.

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Figura. A) Classificazione sismica del territorio italiano (1984). D.M. LLPP del 14/07/1984 e decreti successivi, B) Zone sismiche del territorio italiano (2003). Ordinanza PCM 3274 del 20/03/2003. Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, http://zonesismiche.mi.ingv.it).

La precedente classificazione sismica del territorio italiano (1984), nello specifico espressa per la Regione Emilia-Romagna dal D.M. LLPP del 23/07/83 e dal D.M. LL PP del 29/02/84, ripresa dalla normativa sulle costruzioni in zona sismica, contenuta nel D.M. LLPP 16 gennaio 1996, individuava nel territorio nazionale, sotto l’aspetto sismico, “zone classificate” e “zone non classificate”, suggerendo implicitamente la possibile esistenza di “zone sismiche” e “zone non sismiche”. La classificazione del sopracitato D.M. del 1996 si applicava nel territorio nazionale in modo non continuo, essendo formata da zone sismiche delimitate da confini comunali, caratteristica derivante principalmente da ragioni puramente amministrative e di praticità. Nel dettaglio le zone classificate “sismiche” erano suddivise in tre categorie (I,II,III) a cui era assegnato un determinato grado di sismicità “S” (12,9,6). In tal modo ai territori comunali venivano associati differenti valori di sismicità: sismicità bassa per S=6, sismicità media per S=9 e sismicità alta per S=12. Il grado di sismicità determinava il valore del coefficiente di intensità sismica “C” (S-2/100), attraverso cui, nell’analisi statica delle forze, venivano valutati, in modo convenzionale, gli effetti sulle strutture in occasione di un evento sismico. Nella sua applicazione pratica questa metodologia di classificazione non tiene in considerazione le caratteristiche fisiche del fenomeno sismico. Infatti, quando si verifica un terremoto e quindi la liberazione di energia sismica nel sottosuolo, la sua influenza non è limitata a una zona della superficie terrestre ben definita ne tanto meno ad un determinato limite comunale. Il sisma infatti è un fenomeno di propagazione ondosa, che ha una distribuzione sul territorio molto vasta e diffusa rispetto alla zona epicentrale.

La nuova classificazione sismica, operata nell’O.P.C.M. n.3274 del 20/03/2003, prevede la suddivisione del territorio nazionale in 4 “zone sismiche” a sismicità decrescente (1,2,3,4), ciascuna individuata da una determinata classe di accelerazione sismica massima del suolo (amax) con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni, introducendo in tal modo nella classificazione il concetto di

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pericolosità sismica. Le classi di accelerazione massima al suolo sono definite nel modo seguente:

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Nella nuova metodologia di classificazione la pericolosità sismica viene definita come il probabile livello di scuotimento al suolo, espresso in termini di accelerazione massima, connesso al verificarsi di un determinato terremoto. Il suolo di riferimento viene considerato caratterizzato da un profilo stratigrafico di categoria “A” (come esplicitato nell’Allegato 2, 3.1 dell’O.P.C.M. 3274 in riferimento al D.M. n.159 del 14 settembre 2005 “Norme Tecniche per le Costruzioni”), cioè formato da “formazioni litoidi o suoli omogenei molto rigidi, caratterizzati da valori di Vs30 (velocità media di propagazione delle onde di taglio “s” entro 30 metri dal piano campagna) superiori a 800 m\s, comprendenti eventuali strati d alterazioni superficiale di spessore massimo pari a 5 metri”. ��������������������������������

A) mappa di pericolosità sismica in versione originale, B) mappa di pericolosità sismica in versione b\n come pubblicata su G.U. n.108 del 11/05/2006 (estratto da O.P.C.M. n.3519 del 28 aprile 2006 Allegato 1b, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, http://zonesismiche.mi.ingv.it).

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Nel rispetto dei contenuti� del D.M. LLPP 16 gennaio 1996 Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche è stata appositamente definita una tabella di corrispondenza fra i gradi di sismicità “S” e le nuove zone sismiche dell’O.P.C.M. n.3274:

D.M. LLPP 16 gennaio 1996 “Norme tecniche per le costruzioni in zone

sismiche”

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3Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio

nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”

Grado Sismicità alta S=12 Zona 1 Grado Sismicità media S=9 Zona 2 Grado Sismicità bassa S=6 Zona 3

Non classificato Zona 4

In riferimento alla nuova classificazione sismica dei Comuni dell’Emilia-Romagna, ai sensi dell’O.P.C.M. 3274 (Allegato 1, 3 Prima applicazione), il territorio regionale vede la classificazione di 105 Comuni in “zona 2” (ex categoria II, praticamente tutta la Romagna, il settore orientale della Provincia di Bologna, il comprensorio delle ceramiche modenese-reggiano, alcuni comuni del crinale tosco-emiliano delle Province di Modena, Reggio Emilia e Parma) di cui 89 già classificati e 16 ex non classificati; 214 Comuni in “zona 3” (ex categoria III) tutti ex non classificati e 22 Comuni in “zona 4” di nuova classificazione (tutti ex non classificati). In Emilia-Romagna non esistono comuni classificati in zona 1 (alta sismicità).

Riclassificazione sismica dell´Emilia-Romagna (O.P.C.M. n.3274/2003).

I terremoti storici che hanno colpito i comuni più “sismici” dell’Emilia-Romagna (zona 2) hanno prodotto danni dell’VIII-IX grado della scala MCS, con Magnitudo stimata compresa tra 5,5 e 6 della scala Richter; tali terremoti sono paragonabili alle scosse più forti della crisi sismica dell’Umbria-Marche iniziata il 27 settembre 1997.

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La classificazione nazionale esprime la sismicità di un’area sulla base dei terremoti avvenuti in epoca storica e della distanza dalle potenziali sorgenti sismogenetiche, senza però considerare le caratteristiche locali del territorio che possono modificare il moto sismico atteso. Infatti, alcuni terreni e alcune forme del paesaggio, possono aumentarne gli effetti dei terremoti amplificando il moto sismico o favorendo fenomeni di instabilità (cedimenti o frane). La pericolosità sismica di un area dipende dalle caratteristiche sismiche (sorgenti sismogenetiche, energia, tipo e frequenza dei terremoti) e da aspetti locali (geomorfologia e stratigrafia). Le caratteristiche sismiche sono comunemente indicate componenti della “pericolosità sismica di base” e sono quelle considerate per definire la zona di appartenenza della classificazione sismica nazionale. Da queste caratteristiche deriva il moto di input atteso, per il calcolo del quale non sono valutate le caratteristiche locali ma si considera il territorio uniforme cioè pianeggiante e costituito da suolo rigido in cui la velocità di propagazione delle onde S è maggiore di 800 m/s (Suolo A dell’Eurocodice 8, parte 1, dell’OPCM 3274/2003 e delle NTC). Il moto sismico in superficie può però essere modificato dalle condizioni geologiche e morfologiche locali. Alcuni depositi e forme del paesaggio possono amplificare il moto sismico in superficie e favorire fenomeni di instabilità dei terreni quali cedimenti, frane o fenomeni di liquefazione (effetti locali). Appare evidente che per una valutazione realistica della “pericolosità sismica” siano adeguatamente considerate le condizioni geologiche e morfologiche attraverso dettagliati studi di microzonazione sismica. La microzonazione sismica è la suddivisione dettagliata del territorio in sottozone a diversa pericolosità sismica locale, tenendo conto sia della sismicità di base (distanza dalle sorgenti sismogenetiche, energia, frequenza e tipo dei terremoti attesi) ma anche delle caratteristiche geologiche e morfologiche locali.

Le considerazioni tecniche sopra descritte hanno un diretto risvolto normativo nell’ambito della pianificazione territoriale e urbanistica in merito alle azioni di riduzione del rischio sismico. Ai sensi dell’art.A-2 comma 4 della L.R. 20/2000 “Nei territori regionali individuati come zone sismiche, ai sensi dell'art. 145 della L.R. n. 3 del 1999, gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica concorrono alla riduzione ed alla prevenzione del rischio sismico, sulla base delle analisi di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione”. Inoltre, l’art.37 della L.R. 31/2002 “Disciplina generale dell’edilizia” e s. m. i. indica che nelle zone sismiche il parere di compatibilità degli strumenti di pianificazione riguarda le “condizioni di pericolosità locale degli aspetti fisici del territorio”; il punto 9.3 della circolare n.6515 del 21/3/2003, sull’applicazione di alcune disposizione della L.R. 31/2002 chiarisce che le “condizioni di pericolosità locale degli aspetti fisici del territorio” sono tutti gli aspetti fisici del territorio che influiscono sulla pericolosità locale, quali le caratteristiche geologiche, geomorfologiche, geotecniche e idrogeologiche che possono determinare instabilità dei versanti, effetti di amplificazione del moto sismico, addensamento e liquefazione. A seguito dell’entrata in vigore del D.M. 14/9/2005 (pubblicato sul suppl. ord. N.159 alla G.U. n.222 del 23 settembre 2005) “Norme Tecniche per le Costruzioni” che recepisce la nuova classificazione sismica nazionale (OPCM 3274/2003) tutti i comuni sono classificati sismici, con diverso grado di pericolosità sismica, e sono

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richiesti specifici studi per la valutazione della risposta sismica locale ai fini della definizione dell’azione sismica di progetto (punto 3.2.1); in assenza di tali studi si utilizzeranno i criteri e i parametri proposti nelle Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC). Le NTC definiscono anche i criteri geologici e geotecnici per l’elaborazione di piani urbanistici e progettazione in ampie superfici (punto 7.3.10). Il D.M. 14/9/2005 è stato recepito dalla Regione Emilia-Romagna con la deliberazione di Giunta Regionale n. 1677 del 24/10/2005 che, al punto 6, fornisce indicazioni sui contenuti e le modalità di approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, in particolare sulle analisi di pericolosità a supporto dei piani (punto 6.1) e sui pareri preventivi sui piani (punto 6.2). In questi punti la D.G.R. 1677 rimarca che gli strumenti urbanistici devono risultare compatibili con la pericolosità sismica locale, come previsto già dalla Circolare 1288 dell’11/2/1983 “Indicazioni metodologiche sulle indagini geologiche da produrre a corredo dei piani urbanistici comunali”. La microzonazione sismica, individuando le aree a diversa pericolosità sismica, permette di indirizzare le scelte di pianificazione verso gli ambiti a minore rischio sismico ed è particolarmente efficace se applicata fino dalle prime fasi della pianificazione urbanistica territoriale (PTCP e PSC). Secondo le normative vigenti, nello specifico ai sensi dell’art.16 della LR 20/2000, la Regione Emilia-Romagna è tenuta a formulare indirizzi tecnico-attuativi per la riduzione del rischio sismico, da applicare in sede di formazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica. Per i motivi sopra riportati è stato elaborato, grazie all’attività tecnica di un gruppo di lavoro interdisciplinare appositamente istituito con determinazione 2750/2004 dal D.G. Ambiente e Difesa del Suolo e della Costa (e s.i.), uno specifico “atto di indirizzo e coordinamento tecnico per la compilazione di studi di microzonazione sismica in Emilia-Romagna a supporto della pianificazione territoriale e urbanistica”. Tale elaborato è stato approvato tramite Delibera dell'Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna - progr. n°112 - oggetto n°3121 del 2 maggio 2007. La deliberazione dell’Assemblea Legislativa sopra citata è divenuta efficace il giorno 17 maggio 2007 in occasione della pubblicazione sul BUR dell’atto di indirizzo. A decorrere da tale data, i nuovi strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica generali devono essere integrati ai fini della loro approvazione con le analisi e metodologie previste nell’atto di indirizzo. Nella tabella seguente viene rappresentata la classificazione sismica, come indicato nell’allegato A dell’O.P.C.M. n.3274, dei Comuni della Provincia di Parma. Nel dettaglio 7 Comuni vengono classificati in “zona 2” (ex categoria II), di cui 4 ex non classificati e 3 già classificati; 40 Comuni classificati in “zona 3” (ex categoria III) tutti ex non classificati. Il territorio collinare-montano e di pianura della Provincia di Parma risulta interamente classificato in zona 3, ad esclusione dei Comuni di Albareto, Bedonia, Borgo Val di Taro, Compiano, Monchio delle Corti, Palanzano e Tornolo, che invece risultano classificati in zona 2.

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4.4 Modifiche alla tavola C.1 Tutela ambientale, paesistica e storico-culturale Zone di tutela di laghi, corsi d’acqua e corpi idrici sotterranei. Estensione della delimitazione delle fasce fluviali con metodo idraulico Nell’ambito della presente Variante parziale, si è provveduto alla ulteriore estensione, rispetto a quanto già realizzato nel PTCP/2003, della delimitazione delle fasce fluviali, secondo il metodo idraulico definito dall’Autorità di bacino del fiume Po - allegato 3, Titolo II Norme di attuazione del PAI – DPCM 24 maggio 2001- ai corsi d’acqua dei torrenti Parola, Rovacchiotto, Pessola, Recchio, Sporzana, Rovacchia (da Bagni di Tabiano a confluenza Stirone) nei tratti specificati nella successiva tabella. A tale fine, nell’ambito della Conferenza di Pianificazione, convocata ai sensi dell’art 27 della legge 20/2000, in particolare nella seduta del 19 Aprile 2005, sono stati presentati la metodologia e gli studi idraulici realizzati, nonché alcuni esempi di delimitazione delle fasce. Copia degli elaborati sono stati consegnati a tutti i Comuni al fine di raccogliere contributi e proposte. Nel corso della medesima seduta è stato presentato lo “Studio della Propagazione delle piene eccezionali nell’asta principale del torrente Cinghio ed individuazione dei limiti di piena”, realizzato dal Servizio Ambiente e Tutela del Territorio della Provincia di Parma, quale approfondimento conoscitivo per il corso d’acqua peraltro già oggetto di tutela, ai sensi dell’articolo 12 del PTCP vigente, in quanto segnalato meritevole di tutela nell’allegato 5 delle norme di attuazione.

Corsi d’acqua oggetto di delimitazione delle fasce fluviali secondo metodo idraulico dell’Adb nel PTCP vigente e nella Variante parziale

PTCP/2003 PTCP variante parziale

Corso d’acqua

Inizio tratto Fine tratto Inizio tratto Fine tratto

Po Tutto il tratto provinciale

Ongina Confine provinciale

Confluenza in Po

Taro S. Maria del Taro

Confluenza in Po

Stirone Ponte Trabucchi

Confluenza T. Taro

Ghiara Ponte Grosso Confluenza T. Stirone

Rovacchia Coduro Bagni di Tabiano

Bagni di Tabiano

Confluenza T. Stirone

Parola S. Margherita Confluenza T. Rovacchia

Rovacchiotto Ponticello a S. Margherita

Confluenza T. Rovacchia

Ceno Bardi Confluenza T. Taro

Pessola Ponte sul Pessola

(Solignano)

Confluenza T. Ceno

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PTCP/2003 PTCP variante parziale

Corso d’acqua

Inizio tratto Fine tratto Inizio tratto Fine tratto

Gotra Confluenza T. Gotino

Confluenza T. Taro

Pelpinara Confluenza Rio Merlino

Confluenza T. Taro

Recchio Casa Nuova

(Varano Marchesi)

Confluenza T. Taro

Sporzana Sivizzano Confluenza T. Taro

Parma Corniglio Confluenza in Po

Baganza Berceto Confluenza in Parma

Enza Sorgente Confluenza in Po

Termina Confluenza T.

Termina di Torre-Castione

Confluenza T. Enza

Bacino Ongina Bacino Taro Bacino Parma Bacino Enza

La delimitazione delle fasce fluviali secondo metodo idraulico ha comportato, per i corsi d’acqua sopra richiamati, la modificazione delle forme di tutela previste nel PTCP/2003 che hanno attuato, come noto, le disposizioni del PTPR. Nello specifico il quadro delle tutele previste dal PTCP/2003, che sono modificate dalla variante parziale, è riportato nella tabella successiva.

Corso d’acqua

Inizio tratto Fine tratto Tutela PTCP vigente Del. C.P. n° 71 del 25.07.03

Rovacchia Bagni di Tabiano Confluenza T. Stirone • Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua (art 12)

• Invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua (art 13)

Parola S. Margherita Confluenza T. Rovacchia • Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua (art 12)

• Invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua (art 13)

Rovacchiotto Ponticello a S. Margherita Confluenza T. Rovacchia • Corsi d’acqua meritevoli di tutela (art12, commi 12/13)

Pessola Ponte sul Pessola (Solignano)

Confluenza T. Ceno • Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua (art 12)

• Invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua (art 13)

Recchio Casa Nuova (Varano Marchesi)

Confluenza T. Taro • Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua (art 12)

• Invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua (art 13)

Sporzana Sivizzano Confluenza T. Taro • Corsi d’acqua meritevoli di tutela (art12, commi 12/13)

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Modifica della delimitazione delle zone di tutela di laghi, corsi d’acqua e corpi idrici sotterranei per i corsi d’acqua interessati da studio idraulico Zone di tutela ambientale ed idraulica dei corsi d’acqua (art 12) Sulla base degli esiti degli studi idraulici condotti, si è proceduto alla riconsiderazione della delimitazione dell’ambito di tutela individuato ai sensi dell’articolo 17 del PTPR recepito all’articolo 12 del PTCP/2003 , “Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua”. Le modifiche riguardano la nuova denominazione dell’ambito di tutela , che diventa, includendo gli aspetti idraulici, “Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua integrate con zone di tutela idraulica” e la ridefinizione cartografica del limite esterno della zona che, in tutti i casi in cui con lo stato dei luoghi e gli studi effettuati lo hanno reso possibile, corrisponde sia all’ambito esterno di tutela idraulica sia a quello di tutela paesaggistica. Nella tabella seguente è riportata la definizione della Zona introdotta dalla Variante.

Tutela PTCP/2003 Tutela PTCP Variante parziale

Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua

Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua integrate con zone di tutela idraulica

Costituiscono la definizione cartografica e l’articolazione integrata delle zone di tutela dei caratteri ambientali, individuate ai sensi dell’art 17 del PTPR, in attuazione delle disposizioni di cui all’art.24 della L.R. 20/2000, nonché della Fascia B di esondazione, così come definita dall’art 28 del Piano per l’Assetto Idrogeologico – di seguito denominato PAI, ai sensi degli articoli A-1, comma 3 e A-2, comma 1, della Legge regionale 24 marzo 2000, n. 20.

Zone di deflusso di piena (art 13) Anche per questo ambito si è proceduto secondo il metodo e i criteri sopra riportati. In questa caso si è trattato di integrare la zona del PTPR (art. 18), recepito nel PTCP/2003 all’articolo 13, relativo a “Invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua”. Il criterio adottato è stato quello di puntare alla integrazione della delimitazione della tutela paesaggistica e ambientale con quella idraulica relativa alla fascia A, preservando la distinzione cartografica (ed anche normativa) dei due limiti e salvaguardando comunque l’estensione maggiormente cautelativa. Le modifiche risultanti da tali assunzioni di metodo riguardano la nuova denominazione dell’ambito di tutela, che assorbe anche il concetto di tutela idraulica e diviene “Zone di deflusso di piena” , nonché la sua distinzione in due ambiti, A1e A2. La tabella seguente riporta le modifiche apportate e la definizione delle zone individuate dalla presente Variante.

Tutela PTCP/2003 Tutela PTCP Variante parziale

Zona di deflusso di piena

Costituisce la definizione cartografica e l’articolazione integrata delle zone di cui agli articoli 17 e 18 del PTPR e della fascia A di deflusso della piena, così come definita dall’articolo 28 del PAI.;

Ambito A1 Nella zona di deflusso di piena, l’ambito A1 è costituito dall’alveo, così come individuato all’art 18 del PTPR

Invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua

Ambito A2 l’ambito A2 interessa la restante area sede del deflusso della corrente, sino al limite esterno della zona stessa .

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L’integrazione delle zone di tutela paesistica con quelle di carattere idraulico ha portato ad una più chiara articolazione degli ambiti di tutela dei corsi d’acqua provinciali, come è evidenziato nella figura successiva.

PTCP vigente

PTCP variante

Invasi ed alvei dei corsi d’acqua (art.13)

Zona di tutela dei caratteri ambientalidei corsi d’acqua (art.12)

Limite esterno fascia B (art.12)

Zona di deflusso di piena (art. 13)Zona di tutela ambientale ed idraulica

dei corsi d’acqua Zone di tutela deicaratteri ambientali di laghi, bacini e corsi

d’acqua integrate con zone di tutelaidraulica (art. 12)

Limite esterno della fascia A

Ambito A1 (art 13)

Ambito A2 (art 13)

Limiti di progetto (art 12) Gli studi idraulici condotti, con la delimitazione delle fasce A e B, hanno individuato uno specifico progetto per l'assetto di un corso d'acqua, comprendente anche l'individuazione delle caratteristiche e della localizzazione delle nuove opere idrauliche per il contenimento dei livelli idrici di piena e per la regimazione dell'alveo. I limiti della fascia A e della fascia B vengono evidenziati nella tavola C1 della presente Variante con la dicitura "Limiti di progetto" nei casi in cui essi si identifichino con la indicazione di nuove opere idrauliche (ad esempio arginature). Area di inondazione per piena catastrofica (fascia C) Al fine di garantire coerenza ed omogeneità nella rappresentazione dei tematismi trattate nelle singole tavole della variante, nonché la migliore corrispondenza tra scala degli studi di base e scala delle tavole di piano, la delimitazione della fascia C “Area di inondazione per piena catastrofica” è stata riportata nella Tavola C1, diversamente dal PTCP/2003 che la riporta nella Tavola C4. Zone di tutela dei corsi d’acqua non interessati dagli studi idraulici Il programma di realizzazione degli studi idraulici ha riguardato un numero consistente di corsi d’acqua, selezionati, come noto, secondo i più elevati livelli di

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criticità. Tali studi, comunque, non hanno potuto essere estesi a tutto il reticolo idrografico naturale provinciale. Permane pertanto, per un numero peraltro abbastanza esiguo di corsi d’acqua, la forma di tutela del PTCP/2003 relativa “ Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua” (art 12bis) “Invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua” (art. 13bis) e “Corsi d’acqua meritevoli di tutela”. Modifiche cartografiche apportate alla tavola C.1 a seguito dell’accoglimento di proposte inoltrate in sede di Conferenza di Pianificazione

Proponente Modifiche apportate alla carta C1

n. 14 – Comune di Lesignano Proposta accolta. La modifica concerne l’inserimento in fascia B dell’impianto comunale di depurazione dei reflui, essendo state interamente eseguite le opere di messa in sicurezza dello stesso.

n. 20 – Comune di Salsomaggiore Proposta parzialmente accolta Ponte Ghiara: adeguamento della fascia B di progetto del PTCP alla delimitazione di maggiore dettaglio e approvata del P.S.C. Ampliamento Salsocar: adeguamento del limite della fascia A in relazione allo stato dei luoghi antecedente al PTCP Fasce a Tabiano: integrazione delle fasce di pertinenza fluviale del torrente Rovacchia a monte del tratto tombinato di Bagni di Tabiano

n. 23 – Parco fluviale regionale dello Stirone Proposta accolta. La modifica concerne l’estensione a monte della delimitazione delle fasce fluviali, sulla base dello studio realizzato nell’ambito della revisione del Piano del parco fluviale regionale dello Stirone.

n. 31 - Comune di Calestano Proposta parziamente accolta. La modifica concerne la trasformazione di un tratto di fascia A in fascia B di progetto, lungo il T. Baganza, in frazione Marzolara, al fine della difesa idraulica delle aree produttive esistenti e di una modesta area di ampliamento delle stesse

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4.5 Modifiche normative a seguito dell’adeguamento del PTCP al PAI Prioritario obiettivo della Presente Variante è di operare una efficace integrazione normativa delle disposizioni del PTCP vigente e del PAI, sulla base delle seguenti opzioni: - specificazione delle norme del PAI in relazione alle disposizioni regionali di interesse; - specificazione/migliore definizione delle norme del PAI in relazione alle specificità territoriali della provincia di Parma, nonché di attuazione degli obiettivi della difesa del suolo assunti dai due sistemi di pianificazione; - semplificazione e migliore comprensione, a livello comunale/locale, del sistema delle tutele vigenti sul corsi d’acqua del territorio provinciale; - conferma della severità del sistema di tutela, rispetto agli obiettivi di tutela paesaggistica idraulica, e della sua graduazione rispetto all’articolazione delle fasce; - valutazione delle osservazioni espresse e delle richieste formulate in sede di

Conferenza di pianificazione. Questo ha comportato la integrazione della parte normativa riguardante le fasce fluviali (secondo i contenuti condivisi dal Gruppo di Lavoro costituito con determinazioni n. 9975/2004 e 10285/2005, ai sensi dell’art. 2 dell’Accordo preliminare per il raggiungimento dell’Intesa P.A.I./PTCP), nonché una diversa articolazione di quella relativa al dissesto (secondo i contenuti della nuova Carta Inventario del Dissesto Regionale alla scala 1:10.000, condivisa dal Tavolo di lavoro Provinciale istituito ai sensi delle D.G.R. n. 126/2002 e n. 803/2004). Modifiche al testo normativo sono inoltre state apportate a seguito dell’accoglimento delle riserve formulate dalla Regione con Del GR 1240 -2006 Di seguito sono sintetizzati i principali elementi di modifica: • Art 12. Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua

Diventa: Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua integrate con zone di tutela idraulica in quanto Costituisce la definizione cartografica e l’articolazione integrata delle zone di tutela dei corsi d’acqua, individuate ai sensi dell’art 17 del PTPR, e della Fascia B di esondazione, così come definita dall’art 28 del PAI. Le modifiche apportate all’articolo in riferimento alle riserve regionali sono state prioritariamente apportate al fine di perfezionare sia la coerenza con il PTPR e con il PAI si al’integrazione normativa dei medesimi strumenti.

• Art 12bis. Zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi, bacini e corsi d’acqua” • Art 13. Invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua

Diventa: Zona di deflusso di piena, in quanto costituisce la definizione cartografica e l’articolazione integrata delle zone di cui agli articoli 17 e 18 del PTPR e della fascia A di deflusso della piena, così come definita dall’articolo 28 del PAI. Inoltre, all’interno della zona sono identificati due ambiti: Ambito A1, costituito dall’alveo, così come individuato all’art 18 del PTPR, e Ambito A2, che interessa la restante area sede del deflusso della corrente, sino al limite esterno della zona stessa

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• Art. 13bis “Invasi ed alvei di laghi, bacini e corsi d’acqua”

Il programma di realizzazione degli studi idraulici ha riguardato un numero consistente di corsi d’acqua, selezionati, come noto, secondo i più elevati livelli di criticità. Tali studi, comunque, non hanno potuto essere estesi a tutto il reticolo idrografico naturale provinciale. Permane pertanto, per un numero peraltro abbastanza esiguo di corsi d’acqua, la forma di tutela del PTCP/2003“ agli articoli 12bis e 13bis

• Art. 13 ter “Area di inondazione per piena catastrofica”. L’articolo è stato introdotto a seguito di accoglimento della riserva regionale relativamente alla necessità di introdurre indirizzi normativi per l’area di inondazione per piena catastrofica.

• Art 21 Zone ed elementi caratterizzati da movimenti gravitativi in atto e da aree calanchive e sub calanchive Diventa: Aree a pericolosità geomorfologica molto elevata, in ragione del nuovo concetto di pericolosità assunto nell’ambito della presente Variante per classificare i fenomeni di dissesto di versante

• Art 22 Zone caratterizzate da movimenti gravitativi quiescenti Diventa: Aree a pericolosità geomorfologica elevata, in ragione del nuovo concetto di pericolosità assunto nell’ambito della presente Variante per classificare i fenomeni di dissesto di versante

• Art 22bis Aree a pericolosità geomorfologica moderata

Introdotto in ragione del nuovo concetto di pericolosità assunto nell’ambito della presente Variante per classificare i fenomeni di dissesto di versante

• Gli Artt. 21, 22 e 22 bis, oltre a recepire le classi di pericolosità riconosciute nella nuova Carta del dissesto, sono stati ridefiniti in conformità con il P.A.I. ed in linea con le disposizioni della L.R. n. 20/2000, soprattutto in riferimento all’individuazione delle Aree a pericolosità molto elevata ed elevata (le aree Ee e Eb del P.A.I.) ed alle modalità di elaborazione delle verifiche di compatibilità idrogeologica.

• Art 22ter Procedure per l’aggiornamento dell’elaborato C.2 - Carta del disseto Introdotto in accoglimento di proposte pervenute in merito alla esigenza di rivedere, nella direzione della semplificazione, le procedure di aggiornamento della cartografia del dissesto

• Art 37. Rischi ambientali e principali interventi di difesa • Art 37bis Definizione e attuazione degli interventi di sistemazione e difesa del

suolo

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Aggiornato (art 37) ed introdotto (art 37bis) in relazione ai nuovi elaborati della Variante, in particolare inerenti le Linee generali di assetto idraulico e idrogeologico

• Art. 54, integrato per cio’ che riguarda la necessità che il piano provinciale per le attività estrattive e minerarie contenga e specifichi i criteri di compatibilità idraulica e idrogeologica per le previsioni ricadenti in aree di pertinenza fluviale (fasce A e B del P.A.I., ovvero a ridosso degli argini maestri).

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5. LE ZONE A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE Il controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose è regolamentato dal D.Lgs. n. 334 del 17 agosto 1999, emanato in attuazione della direttiva europea 96/82/CE, nota come “Direttiva Seveso II”. Tale direttiva è finalizzata ad assicurate più elevati livelli di sicurezza per la salute umana e per l’ambiente attraverso sistemi di prevenzione degli incidenti rilevanti quali ad esempio esplosioni o rilasci di sostanze tossiche. Il decreto legislativo definisce i principi generali e detta gli obblighi specifici per prevenire incidenti rilevanti – connessi alla presenza di sostanze pericolose nel ciclo produttivo – e per limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente. Gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante sono classificati sulla base delle quantità di sostanze pericolose presenti, in differenti categorie connesse a specifici obblighi per i gestori degli stabilimenti. Una delle novità del D.Lgs. n. 334/1999 e s.m.i. , art. 14, è quella che introduce il principio del controllo dell’urbanizzazione in relazione alla presenza di industrie a rischio di incidente; in particolare viene affidato al Ministero dei Lavori Pubblici il compito di stabilire i requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica con riferimento alla destinazione e utilizzazione dei suoli. Il Ministero dei Lavori Pubblici ha conseguentemente emanato il D.M. 9 maggio 2001: “Requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante” . In base a tale decreto le Province attraverso i propri strumenti di pianificazione territoriale individuano le aree interessate dagli effetti prodotti dagli stabilimenti a rischio (aree di danno). Inoltre con il PTCP vengono disciplinate le relazioni tra gli stabilimenti e gli elementi territoriali e ambientali vulnerabili, le reti e i nodi infrastrutturali, di trasporto, tecnologici ed energetici, esistenti e previsti, tenendo conto delle aree di criticità relativamente alle diverse ipotesi di rischio naturale individuate nel piano di protezione civile. Le competenze della pianificazione urbanistica comunale riguardano tre tipologie di situazioni: - stabilimenti nuovi; - modifiche di stabilimenti esistenti, - nuovi insediamenti, infrastrutture, luoghi frequentati dal pubblico, zone residenziali,

localizzati attorno agli stabilimenti a rischio esistenti. I Comuni interessati da stabilimenti a rischio di incidente rilevante, sulla base dei contenuti del PTCP, elaborano, all’interno dei propri strumenti urbanistici, il documento tecnico “Rischio di incidente rilevante - R.I.R.” secondo i criteri definiti dal D.M. 9.5.2001. La compatibilità urbanistica tra stabilimenti a rischio e territorio si sviluppa attraverso tre fasi:

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a identificazione degli elementi territoriali ed ambientali vulnerabili; b determinazione degli scenari incidentali ipotizzabili e delle relative aree di danno; c valutazione della compatibilità territoriale ed ambientale degli stabilimenti. L’individuazione degli elementi territoriali vulnerabili si effettua tramite una categorizzazione delle aree circostanti gli stabilimenti a rischio in base alle funzioni insediate o previste, secondo la tabella 1 – Categorie territoriali dell’allegato al D.M. 9 maggio 2001. In cui sono comprese a titolo esemplificativo. - aree con destinazione prevalentemente residenziale (differenziate in base alla

densità edilizia) - luoghi di concentrazione di persone con limitata capacità di mobilità (ospedali,

asili, scuole, ecc); - luoghi soggetti ad affollamento rilevante all’aperto (mercati, aree commerciali, ecc) - luoghi soggetti ad affollamento rilevante al chiuso (centri commerciali, centri

direzionali, scuole superiori, università, ecc); - luoghi soggetti ad affollamento rilevante con limitati periodi di esposizione al

rischio (luoghi per lo spettacolo, per attività ricreative, sportive, religiose, ecc) - luoghi soggetti ad affollamento rilevante con frequentazione al massimo mensile

(fiere, mercatini, ecc) - stazioni ferroviarie ed altri nodi di trasporto - insediamenti industriali, artigianali, agricoli, zootecnici La presenza di una categoria territoriale è diversamente compatibile in relazione alle categorie di effetti e alla classe di probabilità dell’evento incidentale. Le categorie territoriali sono individuate in relazione alla difficoltà di evacuazione di soggetti deboli, soggetti in edifici con più di 5 piani, luoghi pubblici o alla minore vulnerabilità delle attività caratterizzate da bassa permanenza temporale o delle attività all’aperto ecc. L’individuazione degli elementi ambientali vulnerabili si effettua considerando gli elementi ambientali secondo la seguente suddivisione tematica delle diverse matrici ambientali vulnerabili potenzialmente interessate dal rilascio incidentale di sostanze pericolose per l’ambiente: - beni paesaggistici e ambientali (D. Lgs. 42/2004); - aree naturali protette; - risorse idriche superficiali; - risorse idriche profonde; - uso del suolo (aree coltivate di pregio, aree boscate). La vulnerabilità di ognuno degli elementi considerati va valutata in relazione alla fenomenologia incidentale cui ci si riferisce, tenendo conto del danno specifico che può essere arrecato all’elemento ambientale, della rilevanza ambientale e sociale della risorsa considerata, della possibilità di mettere in atto interventi di ripristino. Nel caso di insediamenti esistenti incompatibili con l’attività a rischio di incidente rilevante gli enti territoriali competenti possono promuovere un programma integrato di intervento, o altro strumento equivalente, per definire un insieme coordinato di interventi concordati tra il gestore e i soggetti pubblici e privati coinvolti, finalizzato al conseguimento di migliori livelli di sicurezza.

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La normativa regionale La Regione con la L.R. 17 dicembre 2003, n. 26 “Disposizioni in materia di pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose” (entrata in vigore il 2.1.04) ha specificato, per quanto attiene gli aspetti di pianificazione territoriale ed urbanistica, gli adempimenti e gli obblighi relativi al controllo delle trasformazioni del territorio per le aree interessate da rischi di incidente rilevante che integrano quanto stabilito dal DM 9.5.2001 In particolare per quanto riguarda le competenze provinciali viene ribadita la necessità di individuare nel PTCP le aree di danno derivanti dagli stabilimenti e di disciplinare le relazioni tra stabilimenti a rischio ed elementi territoriali ed ambientali vulnerabili. Inoltre la legge regionale stabilisce che il PTCP determina l’insieme dei Comuni tenuti all’adeguamento degli strumenti urbanistici. Con l’art. 18 della L.R. 26/2003 è stato introdotto nell’allegato della L.R. 20/2000 “Contenuti della Pianificazione” l’art. A-3-bis “Contenuti della pianificazione per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante”; in tale normativa vengono disciplinati i contenuti del PTCP e gli aggiornamenti ed approfondimenti che i Comuni sono tenuti a sviluppare nei propri strumenti urbanistici, nonchè l’obbligo di regolamentazione da parte degli stessi Comuni relativamente agli usi ed alle trasformazioni ammissibili nelle aree di danno I Comuni, nell’ambito dei propri strumenti urbanistici, aggiornano l’individuazione delle aree di danno effettuata dal PTCP e regolamentano, attraverso l’elaborato RIR “Rischio incidente rilevante”, gli usi e le trasformazioni ammissibili all’interno di tali aree in conformità ai criteri definiti dal DM 9.5.2001. I Comuni che devono provvedere a tale adeguamento degli strumenti urbanistici sono quelli sul cui territorio è presente, o in fase di realizzazione, uno stabilimento a rischio di incidente rilevante e quelli il cui territorio risulta interessato dall'area di danno di uno stabilimento a rischio di incidente rilevante ubicato in altro Comune, sulla base della determinazione contenuta nel PTCP, ai sensi del comma 4, o sulla base della comunicazione fornita dal Comune di ubicazione dello stabilimento, ai sensi dell'articolo 4, comma 3, del decreto ministeriale 9 maggio 2001, o sulla base di altre informazioni elaborate a norma degli articoli 6, 7, 8 e 21 del decreto legislativo n. 334 del 1999. Con la L.R. 4/2007 sono state introdotte modifiche alla legge regionale 26/2003, in particolare sono state ridefinite le funzioni delle Province e ad esse è stata attribuita anche la predisposizione dei Piani di emergenza esterni (previsti dall’art. 20 del Dlgs 334/99 e s.m.i.) che sono parte integrante dei Piani di protezione civile provinciali. Gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante nella pianificazione provinciale Nel vigente PTCP sono individuati (Tavola C4a) gli stabilimenti qualificati a rischio di incidente rilevante ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334/99 e s.m.i. “Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”, soggetti alla disciplina di cui al D.M. 9 maggio 2001 “Requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante”, sulla base delle valutazioni e informazioni di cui all’art. 5 del D.M. 9 maggio 2001. Nella medesima tavola, ai sensi dell’articolo 3 del DM 9

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maggio 2001, sono individuati i perimetri delle aree sulle quali ricadono i possibili effetti incidentali degli stabilimenti a rischio (“aree di danno”). L’articolo 37 delle Norme del PTCP vigente prescrive, per i Comuni interessati, l’obbligo di adeguamento del piano urbanistico comunale, a norma dell’articolo 14, comma 3, del D.Lgs. 334/99 e s.m.i., e delle disposizioni attuative di cui al DM 9 maggio 2001. Fino al compiuto adeguamento degli strumenti urbanistici il territorio compreso all’interno delle aree di danno è soggetto alle disposizioni dell’art. 37 del PTCP e delle normative di settore ivi citate. Il rischio di incidente rilevante nel territorio della provincia di Parma Attualmente nel territorio provinciale risultano presenti gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante di cui alla seguente tabella Comune Ragione sociale Dlgs 334/99 Tipologia attività

Fidenza SOCOGAS spa art. 6 Deposito gas liquefatti

Parma ENIA spa art. 6 Deposito gas liquefatti

Fontevivo SYNTHESIS spa art. 6 Deposito di gas

liquefatti e sostanze altamente infiammabili

Fontevivo LAMPOGAS EMILIANA srl art. 8 Deposito gas liquefatti

Nelle schede allegate al Quadro Conoscitivo sono riportate le schede sintetiche relative a tali stabilimenti con l’esplicitazione degli scenari incidentali e delle tipologie ed estensione delle aree di danno, inoltre sono evidenziate, su base cartografica, il perimetro dello stabilimento, e gli inviluppi, dove i dati sono disponibili, delle aree interessate dalle differenti tipologie di danno (elevata letalità, lesioni reversibili, ecc). Per quanto attiene ai Comuni interessati dall'area di danno di uno stabilimento a rischio di incidente rilevante ubicato in altro Comune si evidenzia che questi sono: - il Comune di Fontanellato in relazione alle aree di danno dello stabilimento

Synthesis; - il Comune di Parma in relazione alle aree di danno dello stabilimento Lampogas Sono state inoltre accertate le aree di danno che interessano il territorio della provincia di Parma derivanti da stabilimenti situati in province limitrofe; l’unica azienda che è posta in prossimità dei confini amministrativi e le cui aree di danno interessano il nostro territorio provinciale è la ditta Azotal spa (stabilimento chimico e petrolchimico) sita in Comune di Casalmaggiore (Provincia di Cremona) in prossimità del fiume Po, le cui aree di danno (raggio 600 m) e aree di attenzione (raggio 1000 m) interessano le aree golenali del Po in Comune di Colorno.

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Le finalità da perseguire nel PTCP nella disciplina delle relazioni tra stabilimenti a rischio e gli elementi territoriali ed ambientali vulnerabili si basano principalmente nell’assicurare le opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali, insediamenti commerciali, attrezzature di servizio ed elementi ambientali vulnerabili. In particolare l’indirizzo per i nuovi stabilimenti a rischio di incidente rilevante è la loro localizzazione preferenziale all’interno di aree ecologicamente attrezzate, così come indicato dal D.M 9.5.2001. I Comuni tenuti ad adeguare i propri strumenti urbanistici alla normativa nazionale e regionale in materia di rischi di incidenti rilevanti sono: Parma, Fidenza, Fontevivo, Fontanellato e Colorno. Prima valutazione di compatibilità delle aree di danno con gli elementi territoriali ed ambientali vulnerabili Nella tavola C.4a – “Aree di danno e valutazione degli elementi territoriali ed ambientali vulnerabili” sono rappresenti i contesti territoriali in cui sono presenti gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante e gli elementi del PTCP di carattere territoriale ed ambientale che risultano essere interessati dalle aree di danno degli stessi stabilimenti e che sono di seguito evidenziati: - stabilimento Synthesis: si rileva che la relativa area di danno è interamente compresa nelle fasce A e B del PAI relative al fiume Taro ed interessa l’alveo del torrente Recchio, inoltre la quasi totalità dell’area di danno interessa la zona di tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei; - stabilimento Socogas: si rileva che la quasi totalità della relativa area di danno interessa la zona di tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei; inoltre la parte nord della stessa area di danno interessa un tratto della strada statale n. 9 Emilia; - stabilimento Enìa: si rileva che la parte ovest della relativa area di danno interessa la fascia B del PAI riferita al torrente Parma, è interamente compresa nella zona di tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei, inoltre è attraversata dalla tangenziale sud, recentemente realizzata, del capoluogo provinciale ed è altresì attraversata nella parte nord da un elettrodotto ad alta tensione; - stabilimento Lampogas: si rileva che la parte sud della relativa area di danno interessa il sito della Rete Natura 2000 IT 4020021 Medio Taro; l’area di danno interessa le fasce A e B del PAI riferita al fiume Taro, è interamente compresa nella zona di tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei, inoltre è attraversata nella parte ovest dall’autostrada A15, e nella parte sud dalla variante della strada statale n. 9 Emilia (recentemente realizzata) e dalla linea ferroviaria Milano- Bologna ed è altresì attraversata da due elettrodotti ad alta tensione; infine l’area di danno interessa centri abitati, territori urbanizzati e località produttive del Comune di Fontevivo. Le industrie a rischio di incidente rilevante presenti nel territorio provinciale sono situate in contesti extraurbani, e le criticità maggiormente rilevabili riguardano soprattutto il suolo, il sottosuolo soprattutto per la presenza in ambiti di tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei, nonchè corsi d’acqua di particolare rilevanza quali il fiume Taro, il torrente Parma ed il torrente Recchio. La parte del fiume Taro interessata dalle are di danno della ditta Lampogas è di particolare rilevanza naturalistica essendo al tempo stesso un Sito di Importanza Comunitaria (SIC) ed una Zona di Protezione Speciale (ZPS).

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6. IL RECUPERO DEI COMPLESSI INSEDIATIVI EXTRAURBANI Coerentemente con i principi che emergono dalla pianificazione regionale e provinciale e con la legislazione vigente in materia (L.R 20/2000, L.R. 16/02 e L. 378/03), si è voluto attribuire un particolare rilievo ed una specifica evidenza alla normativa sul recupero dei valori storico-testimoniali e paesaggistici. In questa direzione l’art. 38 delle NTA contiene alcune esplicite indicazioni ed un rimando ad uno specifico allegato di linee guida per il recupero degli edifici nelle zone agricole “Indirizzi metodologici per il recupero dell’edilizia rurale storica” che rappresenta il risultato di un importante lavoro svolto dall’Università degli Studi di Parma – Facoltà di Ingegneria, e rappresenta il riferimento per i Comuni per un corretto approccio al problema del contenimento dell’impatto delle trasformazioni sui valori storici e paesistici del territorio rurale. Il tema dell’architettura rurale ha sempre affascinato gli architetti moderni: già negli anni ‘30 Giuseppe Pagano dalle pagine di Casabella, la più importante rivista italiana di architettura, divulgava la conoscenza di questi edifici per sensibilizzare un panorama invero molto disorientato, sul valore delle architetture spontanee rurali nel dibattito per un’architettura moderna in Italia. Questa tensione verso lo studio delle tipologie rurali non ha però avuto un seguito significativo negli anni successivi, complici anche il clima il clima politico, gli eventi bellici e la ricostruzione. A partire dagli anni ’60, per il ripreso vigore delle facoltà di architettura e per una crescente coscienza collettiva sul valore del territorio, è iniziata una stagione sempre più prolifica in tema di studi e ricerche sulle varie tipologie prevalenti. Tali contributi hanno senza dubbio contribuito ad una diffusione della cultura sulla tradizione costruttiva nelle aree agricole, ma hanno mostrato talvolta evidenziato incertezze sulle modalità operative per il corretto recupero dei manufatti. Tale argomento è ancora oggi tema di dibattiti e continua a dividere molti studiosi. Anche la legislazione urbanistica, ed in particolare quella dell’Emilia Romagna, ha sempre colto l’importanza di tali temi prescrivendo, nell’ambito dei piani comunali, il censimento degli edifici nelle zone agricole al fine di valutare e normare quelli con valenze storico ambientali, senza mai incidere però in modo significativo sulla qualità dei recuperi che, in termini generali, non è certamente elevata. Inoltre, la mancanza di indirizzi ben definiti per il recupero di contenitori dismessi ha generato diverse interpretazioni sia sulle categorie d’intervento che sugli usi compatibili, creando talvolta situazioni particolari nelle quali un confine comunale determinava, su edifici simili, modalità d’intervento spesso diverse se non contrastanti. La Legge Regionale 6/95 all’art. 17, ha cercato di riordinare la disciplina riconoscendo comunque un importante legame tra manufatto agricolo, uso compatibile e contesto ambientale. La stessa legge, con il passaggio delle competenze in materia urbanistica alle Province, ha di fatto demandato anche la tematica del recupero degli edifici rurali e la contestuale necessità di ricercare una matrice normativa comune calata, però, nelle specifiche realtà territoriali. In tale contesto, peraltro caratterizzato da una crescente domanda e da un’imprenditoria non propriamente vocata alla valorizzazione scientifica dell’aspetto tipologico, è apparsa subito necessaria l’esigenza di implementare i dati conoscitivi,

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per tentare un approccio diverso soprattutto nella zona d’ombra che si colloca tra il censimento puntuale e l’intervento edilizio. In tal senso la Provincia di Parma ha avviato nel 1996 una collaborazione molto significativa con la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Parma che ha portato alla stesura di una prima interessante pubblicazione nel 1998 “Edifici rurali storici” e una seconda “EDILIZIA RURALE E TERRITORIO – Analisi, Metodi e progetti”, a cura di Alberto Mambriani e Paolo Zappavigna, che rappresenta il documento conoscitivo delle linee guida per il recupero dell’edilizia rurale, inserito nella Variante al PTCP in oggetto. La ricerca, che è in fase di pubblicazione, è bene illustrata da uno dei suoi autori, il prof. Alberto Mambriani,che la definisce come “…il frutto di una lunga riflessione arricchita nel corso degli anni da diversificate esperienze didattiche connesse ai rilievi, alle ricerche storiche, ai progetti sugli edifici rurali, alla indagine tipo-morfologica e paesaggistica. Una paziente radiografia del reale, dei manti di copertura, di finestre, di piccole storie, che, unite, determinano il quadro operativo che a nostro avviso deve fare da cornice al fare architettonico.” Il lavoro si è sviluppato lungo molteplici linee di approfondimento: è stato analizzato il contesto legislativo, con riferimenti alla pianificazione provinciale (soprattutto per quanto attiene alle Unità di paesaggio), il tema del paesaggio rurale nella rappresentazione cartografica e pittorica e nella trattatistica dal secolo XVII al XIX, la tradizione costruttiva in pianura ed in montagna, con specifico riferimento all’evoluzione delle tipologie nelle varie forme di aggregazione, nonché uno specifico studio sui materiali. La fase ricognitiva ha avuto inizio con un’indagine storica con la consultazione delle Mappe dell’Archivio di Stato di Parma “ Ispezione Patrimonio dello Stato”, seguendo la matrice spaziale delle Unità di Paesaggio del P.T.C.P. Tale esplorazione, grazie alla documentazione grafica (generalmente costituite da Planimetrie a colori e piante dei fabbricati), e alle interessanti testimonianze scritte dei contratti d’affitto ottocenteschi, ha consentito una lettura accurata dei manufatti edilizi calata nel contesto territoriale che li aveva originati, evidenziando un saldo legame tra la tipologia e l’uso a cui erano destinati. Tali ricerche preliminari hanno utilizzato numerosi altri contributi trai quali si segnalano quelli di I.B.C. e I.C.C.D. ( Istituto Centrale per il catalogo e la documentazione del Ministero per i beni culturali ed ambientali) e, non ultimo quello di Lucio Gambi, massimo studioso del paesaggio in Italia, che di fronte ad un panorama di recuperi assai discutibili, provocatoriamente, propone due alternative senza compromessi: o un restauro vero o lasciare che l’edificio muoia lentamente nell’ambiente che un tempo lo ha generato. Per quanto attiene la schedatura puntuale dell’edilizia rurale storica , è stato seguito un criterio per fasce territoriali di natura geomorfologica : − fascia appenninica; − fascia pedecollinare o di pianura asciutta; − fascia di pianura bassa. La rilevazione è stata definita con una doppia schedatura per ogni edificio-tipo; la prima scheda, suddivisa in tre sezioni, riguarda tre livelli di conoscenza del bene: l’individuazione geografica, l’assetto edilizio (epoca di impianto, destinazione d’uso (attuale e originaria, tipologia edilizio – insediativa, alterazioni riconoscibili, sistema strutturale verticale, orizzontali e di copertura, elementi architettonici di rilievo).

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La seconda scheda, definibile pre-progettuale, mira all’approfondimento della conoscenza del bene attraverso l’analisi dell’assetto fondiario, dell’assetto edilizio e dell’assetto ambientale che, a sua volta, si articola in tre punti che trattano dell’individuazione e lettura dei seguenti aspetti: 1) elementi dell’organizzazione territoriale (analisi storico-evolutiva e delle relazioni edificio-contesto); 2) elementi dell’organizzazione dell’unità insediativa (accessi e viabilità; recinzioni e fossati; area di pertinenza; pavimentazioni; vegetazione); 3) elementi della qualità paesaggistico-ambientale (analisi dei cromatismi; della vegetazione; dei punti di vista panoramici, espressi attraverso l’individuazione di coni visuali significativi). A completamento della fase di analitica viene eseguito il rilievo scientifico dell’edificio, la cui precisione ha importanti ricadute sulla qualità del risultato finale. Le risultanze di tali analisi sono infine state assoggettate ad un processo di sintesi, riferito a tutte le tipologie di pianura e di montagna, che ha portato alla formazioni di abachi tipologici inerenti i tipi caratteristici. In tali elaborati sono elencati i vati tipi intesi come unità edilizia primaria, le varianti tipologiche, gli accrescimenti e le aggregazioni che tali volumi hanno avuto nel tempo per esigenze lavorative varie. Un secondo abaco interessa invece, sempre partendo dai tipi edilizi ricorrenti, l’assetto edilizio con la descrizione separata delle strutture orizzontali, verticali, di collegamento e di copertura e le aperture. Le risultanze di tale lavoro hanno una ricaduta significativa negli “indirizzi metodologici per il recupero dell’edilizia rurale storica” (riportate in uno specifico allegato alle NTA del PTCP e correlate all’attuale art. 38 delle Norme del PTCP) che contiene una serie di indicazioni e riferimenti utili che i PSC potranno assumere per disciplinare gli interventi di recupero conservativo dell’edilizia storica rurale.

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7. L’AGGIORNAMENTO DELLA CARTA FORESTALE Nella prima fase di gestione del piano provinciale sono emerse alcune esigenze di perfezionamento della Carta Forestale, e pertanto si è ritenuto opportuno aggiornarla anche in relazione alla disponibilità delle ortofoto digitali del Volo Italia IT2000 e delle immagini satellitari pancromatiche Quick Bird. Di seguito vengono evidenziate le attività tecnico-organizzative in merito alle diverse fasi di costruzione della carta forestale e viene illustrato lo stato di fatto delle principali coperture boschive del territorio riscontrate nel corso dell’analisi fotointerpretativa. In particolare sono ripresi i principali aspetti delle “Norme metodologiche per la realizzazione della carta forestale della Regione Emilia Romagna alla scala 1:10000 e dalla carta forestale attività estrattive (AE) alla scala 1:10000” predisposte dalla Regione Emilia-Romagna. Lo strumento cartografico realizzato presenta i seguenti requisiti: ��“compatibilità metodologica” con la precedente Carta Forestale presente nel

PTCP; ��essere uno strumento “operativo” per la gestione dei boschi; ��essere uno strumento probante per le aree definite a bosco; ��essere gestito in maniera informatica e facilmente aggiornabile;

Finalità

La realizzazione di tale carta, nella fase attuale, ha come risultato ultimo la sola individuazione della superficie boscata sull’intero territorio provinciale, mentre non sono indicate le tipologie forestali presenti. Tale approfondimento verrà sviluppato successivamente in collaborazione con le istituzioni e gli enti competenti individuando una porzione di territorio su cui predisporre un progetto pilota in ottemperanza alle “Norme metodologiche per la realizzazione della carta forestale della Regione Emilia Romagna alla scala 1:10000 e dalla carta forestale attività estrattive (AE) alla scala 1:10000” predisposte dalla Regione Emilia-Romagna.

Normativa e tipologie forestali

Le “aree forestali ” sono tutte le superfici caratterizzate dalla presenza di vegetazione arborea ed arbustiva spontanea o di origine artificiale (antropica) in grado di produrre legno o altri prodotti classificati usualmente come forestali e di esercitare un’influenza sul clima, sul regime idrico, sulla flora e sulla fauna. Si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea. Non si considerano bosco i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d’arboricoltura da legno.

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Il grado di dettaglio dell’elaborato mette in condizione di conoscere con precisione le reali estensioni dei boschi e la loro precisa ubicazione. La normativa prevede la seguente distinzione, utilizzata per realizzare la carta suddetta. Sono da considerare “aree forestali”: ��soprassuoli boschivi o boschi; ��boschetti; ��arbusteti; ��aree temporaneamente prive di vegetazione per cause naturali o antropiche; ��i castagneti da frutto abbandonati; ��i rimboschimenti.

Non sono da considerare “area forestale”:

��i prati e i pascoli alberati il cui grado di copertura arborea non superi il 20% della loro superficie e sui quali non sia in atto una rinnovazione forestale;

��l’arboricoltura specializzata da legno; ��i filari di piante; ��i giardini ed i parchi urbani; ��i castagneti da frutto coltivati. Non sono da considerarsi aree forestali: - quelle con estensione inferiore a 2.000 mq che interrompono la continuità del bosco;1 - quelle con estensione inferiore a 5.000 mq e con vegetazione arborea diffusa le cui chiome non coprono almeno il 20% della superficie di riferimento2

1 tale definizione del contenuto tematico deriva dal DLGS 18 maggio 2001, n. 227 - Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57. 2 tale definizione del contenuto tematico deriva da “Norme metodologiche per la realizzazione della carta forestale della Regione Emilia Romagna alla scala 1:10000 e dalla carta forestale attività estrattive (AE) alla scala 1:10000”

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Metodologia di realizzazione Rispetto all’elaborato precedente, realizzato sulla base della Carta dell’Uso Reale del Suolo della Regione Emilia Romagna, il cui ultimo aggiornamento risaliva all’anno 1980, la metodologia realizzativa della nuova carta si basa sull’utilizzo di strumenti digitali più aggiornati tali da poter collocare alla fine del 2004 il suo grado di approfondimento. I supporti informatici di base utilizzati per la realizzazione di tale elaborato cartografico sono stati principalmente due: - Ortofoto del Volo Italia IT2000 alla scala 1:10000; - Immagini satellitari pancromatiche Quick Bird alla scala 1:5000

L’aggiornamento della nuova Carta Forestale è stato eseguito in due fasi successive:

Fase Tecnica − identificazione delle foto aeree con copertura boschiva naturale (per un numero

totale di 87); − conversione delle foto aeree dal formato ECW al formato BIL, attribuendo a ogni

pixel un valore di risoluzione tra 2 e 4; − conversione delle foto aeree dal formato BIL al formato GRID utile per

elaborazione e interpretazione delle immagini; − identificazione delle caratteristiche peculiari dei diversi sistemi presenti (aree

boscate, non boscate, calanchi, laghi, territorio urbanizzato, ecc.) mediante selezione di pixel campione assegnati in funzione dei diversi colori identificativi delle diverse aree;

− uso di tecniche di “enfatizzazione” (streching e filtri) utili per la classificazione delle aree interessate.

Fase di correzione e implementazione dei dati

− digitalizzazione della copertura relativa alle “aree interessate” (tema lineare) utilizzando come supporto di base le ortofoto digitali del Volo Italia “It 2000”e la CTR5000 della Regione Emilia Romagna;

− conversione del tematismo lineare in tematismo poligonale; − creazione banca dati (vedi tabella riportata successivamente); − individuazione e attribuzione delle appropriate caratteristiche ad ogni poligono; − estrazione, tramite interrogazione del Db, dei poligoni con superficie inferiore ai

2000mq e ai 5000 mq (come da normativa); − compilazione finale del database associato ad ogni singolo poligono; − aggiornamento e correzione delle aree digitalizzate usando le immagini satellitari

QB ad alta risoluzione (anno 2004); − verifica della perfetta unione tra sezioni CTR adiacenti.

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Ultimato il lavoro di informatizzazione dei dati, si è proceduto ad un confronto tra la precedente e la nuova versione sulla base dell’estensione superficiale: la differenza di superficie delle aree boscate è di 6650,01 Ha (attuale: 143405,55 Ha, precedente: 136755,54 ). Tale differenza risulta distribuita in macro e micro zone dei territori pedecollinare e montano.

Problemi riscontrati

L’aggiornamento è stato realizzato solo parzialmente con l’ausilio delle immagini satellitari Quick Bird (85% dell’intero territorio provinciale) in quanto, a causa di fenomeni meteorologici presenti al momento della ripresa satellitare che impedivano la corretta rilevazione dei dati, non è stato possibile coprire l’intera estensione del territorio. La restante parte di territorio è stata elaborata con l’ausilio delle ortofoto prodotte da CGR nel 1998 (Volo Italia It2000).

Strumenti di riferimento per la realizzazione della Carta Forestale

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Struttura del database Di seguito viene riportato lo schema strutturato del DATABASE associato al tematismo poligonale della nuova versione della Carta Forestale.

Tabella Tipo Entità

Nome del campo

Descrizione

Tema Descrizione della

singola unità

poligonale

Testo Bosco

ID Codice

identificativo

numerico 3 (bosco: vedi normativa)

Codice Codice

amministrativo

numerico 3 (bosco: vedi normativa)

Subcod Identificativo della

specie

da compilare a cura del

tecnico incaricato

Area Superficie del

singolo poligono

numerico Ettari (di default)

Modifiche e varianti Successivamente a prima stesura della nuova carta forestale, inserita nel Quadro Conoscitivo del Documento Preliminare della presente variante, sono state apportate alcune modifiche e perfezionamenti, non sostanziali, derivanti osservazioni presentate dal Comune di Tizzano Val Parma (una di queste è ancora in fase di approfondimento e verifiche). Si evidenzia inoltre che nel Comune di San Secondo Parmense è stata disboscata un’area lungo la sponda del Fiume Taro e che in merito a tale situazione, segnalata dall’Ufficio Parchi della Provincia di Parma, è attualmente in corso un’istruttoria non ancora conclusa; tuttavia la nuova carta forestale riporta la situazione originaria come da fotointerpretazione.

Conclusioni

L’elaborato è stato digitalizzato in ambiente GIS alla scala 1:10000 e georeferenziato con coordinate geografiche UTM-ED’50*.

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L’elaborato finale rappresenta tutti i poligoni appartenenti alla classe “aree boscate” contraddistinti da apposite sigle di riconoscimento nella banca dati corrispondente. E’ stata garantita la chiusura dei poligoni, la congruenza geometrica tra le diverse entità e la precisione indicata in precedenza. La digitalizzazione è stata eseguita in continuo, cioè senza tener conto dei tagli tra sezioni CTR adiacenti.

Normativa di riferimento

− DECRETO LEGISLATIVO 18 maggio 2001, n. 227 - Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57.

− REGIONE EMILIA ROMAGNA - Norme metodologiche per la realizzazione della carta forestale della Regione Emilia Romagna alla scala 1:10000 e dalla carta forestale attività estrattive (AE) alla scala 1:10000.

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8. LE MODIFICHE NORMATIVE La presente variante ha costituito l’occasione per una rilettura del testo delle norme di attuazione del piano vigente e per un suo aggiornamento, alla luce dell’esperienza di gestione del PTCP e soprattutto della sua applicazione attraverso la fase di adeguamento della strumentazione urbanistica comunale attualmente in corso. Come già detto le modifiche normative più significative attengono ai principali contenuti della variante, in particolare adeguamento al PAI ed aree produttive di rilievo sovracomunale: per la loro descrizione si rimanda ai capitoli precedenti, così come per le varianti normative riferite al sistema della viabilità e delle industrie a rischio di incidente rilevante che hanno tuttavia una minore importanza rispetto ai due temi prima ricordati. Le restanti modifiche proposte al testo delle norme si configurano come perfezionamenti, specificazioni di un apparato normativo che, tutto sommato, ha dimostrato una buona tenuta ed una sua coerenza complessiva nella fase, generalmente critica, della sua prima applicazione. Di seguito si elencano gli articoli che sono stati oggetto di questo aggiornamento, con una sintetica descrizione delle modifiche che si sono introdotte:

• Art. 3 Elaborati costitutivi Si è provveduto ad aggiornare gli elaborati costitutivi del piano alla luce dei nuovi contenuti della variante (relazione tecnico-normativa di adeguamento al PAI, linee generali di assetto idraulico e idrogeologico, schede sulle aree produttive sovracomunali, allegato sugli indirizzi metodologici per il recupero dell’edilizia rurale storica);

• Art. 10 Sistema forestale e boschivo - terzo comma

Si sono meglio precisate le modalità di verifica ed integrazione della carta forestale da parte degli strumenti di pianificazione comunale;

• Art. 10 Sistema forestale e boschivo - quinto comma

Fatte salve le giuste esigenze di tutela delle aree boschive in ragione della qualità delle aree medesime, si è introdotto, la possibilità di riattivare impianti idroelettrici esistenti di rilevanza meramente locale;

• Art.15 Dossi e calanchi meritevoli di tutela - secondo comma

Si è introdotto, anche per i dossi di pianura individuati nella tavola C.1 del PTCP, la possibilità di una loro puntuale delimitazione da parte degli strumenti urbanistici comunali;

• Art. 25 Parchi, riserve naturali ed aree di riequilibrio ecologico - quarto comma

Si sono aggiornate le disposizioni relative alla “rete natura 2000” con i nuovi riferimenti amministrativi (deliberazioni della Giunta regionale) e legislativi (LR 7/2004);

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• Art. 32 Poli funzionali - ottavo comma Si sono modificate le attuali soglie dimensionali previste per i centri direzionali perché ritenute troppo modeste alla luce della prassi urbanistica comunale;

• Art. 37 Rischi ambientali e principali interventi di difesa - settimo comma

Nell’ambito dell’adeguamento al PAI si è provveduto ad una rivisitazione complessiva dell’articolo, aggiornando anche i riferimenti normativi per i Comuni classificati a rischio sismico; • Art. 37ter Disposizioni in materia di stabilimenti a rischio di incidente rilevante

La rielaborazione complessiva dell’art. 37 ha comportato lo scorporo delle disposizioni inerenti le industrie a rischio di incidente rilevante, che sono state anche aggiornate in relazioni delle elaborazioni tecniche svolte nell’ambito della presente variante; • Art. 38 Individuazione degli ambiti del territorio rurale – decimo comma

Si è precisato che la schedatura degli edifici di interesse storico deve essere predisposta nell’ambito della formazione del PSC; inoltre si è provveduto ad integrare la norma con un esplicito richiamo al nuovo allegato normativo sugli indirizzi per il recupero degli edifici rurali di interesse storico-testimoniale (Allegato 10 – “Indirizzi metodologici per il recupero dell’edilizia rurale storica”);

• Art. 40 Ambiti agricoli di rilievo paesaggistico – tredicesimo comma

Si è precisato che per le attività consentite si fa riferimento, oltre alle attività agricole, a quelle indicate dal settimo comma dello stesso articolo; • Art. 42 Ambiti ad alta vocazione produttiva agricola Al fine di rendere meno rigido il divieto di intraprendere attività estrattive in tali ambiti, si è prevista la possibilità per il P.I.A.E. di individuare ambiti estrattivi, facendo inoltre salve le previsioni dei piani approvati prima dell’adozione del PTCP;

• Art. 48 Protocollo conoscitivo – primo comma

Si sono meglio precisate le finalità del protocollo per il quadro conoscitivo (favorire le forme di copianificazione fra Comuni e Provincia).

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9. LA VALUTAZIONE DI SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E TERRITORIALE

Come evidenziato al precedente capitolo 1 la presente variante al vigente PTCP non è finalizzata ad introdurre nuove scelte di assetto territoriale o infrastrutturale bensì a implementare il Piano provinciale in relazione ai contenuti del Piano di Assetto Idrogeologico dell’Autorità di Bacino del fiume Po attraverso l’intesa prevista dall’art. 57 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in base alle quale il PTCP assume valore di piano nel settore della tutela dell’ambiente, delle acque e della difesa del suolo. Per quanto attiene alle modifiche relative all’asse Cispadano, oltre ad alcuni perfezionamenti dei tracciati già contenuti nel PTCP sulla base di specifici approfondimenti progettuali, l’obiettivo della presente variante è di attribuire sulla base di adeguati studi di traffico, come richiesto dalla Regione, valenza regionale (grande rete PRIT) al prolungamento della strada Cispadana dall’intersezione con la bretella A15 – A22 al confine piacentino, che attualmente è classificato come strada di interesse interprovinciale. Anche per quanto riguarda le aree produttive di rilievo sovracomunale occorre specificare che le stese a livello programmatorio sono già contenute dal PTCP essendo specificato, l’ambito sovracomunale di insediamento, le caratteristiche dimensionali, i requisiti urbanistico territoriali, la loro numerosità e la procedura per la loro previsione urbanistica; nella fase attuale si prende atto delle concertazioni tra Comuni e Provincia avvenute nel corso degli ultimi due anni. Peraltro essendo le aree produttive di rilievo sovracomunale uno strumento di razionalizzazione del settore produttivo, anche in termini di compatibilità ambientale in quanto devono essere attuate come aree ecologicamente attrezzate, nella attuale VALSAT del PTCP sono state assunte come indicatore per il monitoraggio di un assetto territoriale sostenibile. Gli ulteriori temi trattati dalla presente variante si collocano nell’ambito di un miglioramento e perfezionamento dei contenuti del piano provinciale in quanto sono finalizzati a: − aggiornare la situazione delle aree a rischio di incidente rilevante che interessano

il territorio provinciale; − recepire nel PTCP i risultati della ricerca condotta dall’Università di Parma sugli

edifici di valore storico-testimoniale in ambito rurale dettando indirizzi ai Comuni per il loro recupero;

− perfezionamenti normativi conseguenti i principali temi della variante (adeguamento al PAI, aree produttive sovracomunali) e/o derivanti da esigenze emerse nella prima fase di attuazione del PTCP.

In considerazione dell’inserimento di due nuove aree produttive di rilievo sovracomunale in comune di Medesano e Solignano si integra la VALSAT del PTCP con quella relativa a tali aree.