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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVO – I CICLO DI TFA ORDINARIO Classe A049 Matematica e Fisica RELAZIONE FINALE RELAZIONE DI BELLOMONTE Giorgia Matricola 0612168 RELATORE Prof. FAZIO Claudio ANNO ACCADEMICO 2011 – 2012 CORRELATORE Prof. ssa LUPO Lucia

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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVO – I CICLO DI TFA ORDINARIOClasse A049 Matematica e Fisica

RELAZIONE FINALE

RELAZIONE DI BELLOMONTE Giorgia Matricola 0612168

RELATORE

Prof. FAZIO Claudio

ANNO ACCADEMICO 2011 – 2012

CORRELATORE

Prof. ssa LUPO Lucia

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ABSTRACT

Prima di questo corso, per via dei miei studi e della mancanza d’esperienza diretta, non

avevo molta familiarità con i laboratori sia di Matematica che di Fisica. Questo corso, sia

nella sua parte trasversale, sia durante i tirocini diretto e indiretto, sia nella parte

disciplinare, ha avuto, tra gli altri, il grosso merito di introdurmi alla didattica laboratoriale

e alle sue potenzialità nel far acquisire, non solo conoscenze, ma soprattutto competenze

spendibili nel mondo del lavoro e a livello sia territoriale che europeo. In particolare, ho

imparato che esistono diversi modi di fare didattica laboratoriale a scuola. Oltre al modo

tradizionale, esiste un approccio alle scienze ed in particolare, per quel che mi riguarda la

Matematica e la Fisica, basato sull’indagine scientifica (IBSE) che può articolarsi in

diversi gradi di autonomia dello studente. La relazione è organizzata come segue: nella

prima parte ho riportato la mia esperienza d’insegnamento e d’osservazione da me fatte

durante il tirocinio diretto, nella seconda ho fatto un resoconto di tutti gli argomenti che

sono stati oggetto di riflessione insieme con la nostra tutor coordinatrice ed infine nella

terza parte ho fatto un esempio di come si può spendere l’esperienza da me fatta durante il

corso tenuto da Prof. C. Fazio circa l’introduzione del metodo IBSE a scuola.

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INDICE

Introduzione pag.1

Parte prima: il tirocinio diretto pag.3

Parte seconda: il tirocinio indiretto pag.13

Parte terza: studio sperimentale del moto di un carrello su un piano inclinato pag.27

schema della relazione finale dell’esperienza in laboratorio pag.39

griglia di valutazione della relazione finale di laboratorio pag.40

questionario di verifica pag.41

Conclusioni pag.44

Bibliografia e sitografia pag.45

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INTRODUZIONE

Il Tirocinio Formativo Attivo (TFA) è volto a fornire agli aspiranti docenti, gli

strumenti sia teorici che esperienziali per la costruzione delle competenze proprie della

professione. Il tirocinio si inserisce nel quadro del ripensamento della figura del docente,

all’interno di un sistema di formazione non più fondato sulla trasmissione del sapere in

modo autoritario e unidirezionale, ma inteso come fonte di stimoli che permettano di

valorizzare le potenzialità di ciascun alunno, facendogli, in particolare, acquisire la

competenza di imparare ad imparare. L’obiettivo del TFA è quello di formare

professionalità flessibili, aperte al cambiamento e disponibili ad una continua ridefinizione

del proprio ruolo, in un’ottica di continua integrazione tra bagaglio teorico ed

esperienziale. Quello del TFA è un corso che propone intrecci e rimandi continui tra teoria

e prassi educativo – didattica. Se per alcune professioni il tirocinio è visto come una sorta

di addestramento, in cui il tirocinante impara dalla ripetizione di un’azione, per altre, come

per quella dell’insegnante, tale addestramento è più complesso e permette di tradurre in

pratica le conoscenze teoriche acquisite durante il corso di studi e di sviluppare

consapevolezza delle proprie abilità, sia tecniche che relazionali, all’interno di una

situazione concreta. Mediante le discipline pedagogiche, docimologiche, metodologiche e

di aggiornamento tecnologico per la didattica, il futuro insegnante costruisce un proprio

bagaglio di nozioni teoriche e impara a riflettere sul suo futuro ruolo d’insegnante, su come

affrontare determinate situazioni come la valutazione dei propri allievi, la strutturazione di

una lezione, l’avvalersi di mezzi tecnologici per la progettazione di unità didattiche oppure

le problematiche adolescenziali. Mediante il tirocinio diretto, il tirocinante esperisce

direttamente non solo la realtà della classe, ma di tutto il sistema scuola; lo scopo del

tirocinio diretto è far apprendere dall’esperienza pratica e in situazioni operative simili a

quelle in cui la professione di docente verrà esercitata, attraverso l’affiancamento di

professionalità esperte. Il tirocinio indiretto, invece, offre l’opportunità di parlare della

Scuola all’Università, di poter fare una riflessione critica sulla scuola di oggi, su come e

sul perché essa è cambiata e costituisce un’occasione per informare i futuri docenti sulla

legislazione riguardante la scuola, sui diritti e i doveri di un’insegnante, su come sono

organizzati e quali sono i compiti degli organi collegiali, su come un istituto valuta e si

autovaluta, su come un’istituzione scolastica rende nota la propria policy scolastica, su

come potrebbero essere affrontate determinate tematiche. Infine, una parte “disciplinare”

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consente di aggiornare i futuri docenti sulle possibili metodologie e strategie

d’insegnamento più strettamente connesse alla disciplina che sarà oggetto della loro attività

di docenza, di farli riflettere su problemi strettamente connessi all’insegnamento della

disciplina (es. ostacoli epistemologici), ed infine di presentare diversi approcci (storico,

costruttivista, ecc.) che possono costituire un arricchimento e un aggancio dell’attenzione

dello studente rispetto alla didattica tradizionale basato sulla mera trasmissione dei

contenuti disciplinari.

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PARTE PRIMA: IL TIROCINIO DIRETTO

Il tirocinio diretto da me svolto presso il Liceo Scientifico Statale “Galileo Galilei” di

Palermo è cominciato il 6 Maggio ed è terminato l’11 Giugno di quest’anno. L'utenza

dell’Istituto comprende la zona Nord-Ovest della città di Palermo e di alcuni comuni

limitrofi e per la sua ubicazione è agevolmente raggiungibile con diversi mezzi pubblici

urbani ed extraurbani. L’Istituto si colloca in una delle aree residenziali della città e in

prossimità di una grande arteria commerciale. Il territorio della circoscrizione su cui insiste

l’Istituto è arricchito dalla presenza di numerose strutture sportive, associazioni culturali e

ricreative. Il Liceo Galilei accoglie circa 1445 studenti e comprende 64 classi e consta di

una sede centrale e di due plessi uno in viale Strasburgo, con 5 classi, e uno in via

Tranchina, con 13 classi. La sede centrale dell’Istituto dispone di diversi laboratori

(informatico, di fisica, linguistico, di biologia e multimediale) dotati di materiale

scientifico, bibliografico e strumentazioni tecniche aggiornati. La carta d’identità culturale

dell’Istituto, che esplicita le finalità, gli obiettivi, i metodi e le strategie che questo intende

mettere in atto per far conseguire il successo formativo dei propri iscritti, è il Piano

dell’Offerta Formativa (POF) e rappresenta un efficace veicolo di interconnessione

dell’Istituto con le famiglie, uno strumento teso a rendere trasparenti i principi, le azioni, i

risultati delle scelte educative dell’Istituzione scolastica. Il POF del Galilei è reperibile

sulla pagina web dell’Istituto ed è stato oggetto di commenti insieme con il mio tutor.

Dopo una breve presentazione della storia della scuola, del territorio e del bacino d’utenza,

nel POF del Galilei, sono enunciati i principi fondamentali dell’Istituzione scolastica. Il

Galilei si propone, in sintesi, di offrire pari opportunità a tutti gli iscritti e di creare le

migliori condizioni per il loro successo formativo, di promuovere tutte le forme di

valorizzazione delle diversità, a partire da quelle di genere e migliorare la comunicazione

docenti-studenti-genitori al fine di favorire i rapporti di collaborazione fra scuola e

famiglia. Nel POF vengono riportate con finalità promozionali, le risorse strutturali e le

dotazioni di cui è in possesso la scuola. Particolare attenzione è posta ai criteri di

valutazione sia per gli scrutini finali sia per la condotta; il tema è trattato in modo molto

approfondito e dettagliato sia in termini di indicatori che di descrittori con la presentazione

di griglie d’Istituto. È inoltre presente una sezione dedicata alla spiegazione all’utenza dei

criteri di attribuzione dei crediti scolastici e una in cui si prevedono delle attività di

recupero in ottemperanza all’ O.M. 92/2007, art.2 commi 1 e 2. Il POF dell’Istituto

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prevede anche degli interventi di orientamento in uscita (a conclusione, quindi, del ciclo di

scuola secondaria di secondo grado) e in esso si fa riferimento agli interventi di

inserimento e integrazione degli alunni diversamente abili.

Il mio tutor accogliente è stata la Professoressa Maria Assunta Raimondi, docente di

Matematica e Fisica. Le classi in cui lei ha insegnato, nell’anno scolastico che si è appena

concluso, sono state due prime una seconda e una terza. In una delle due prime e nella

seconda della stessa sezione, la Prof.ssa Raimondi ha insegnato solo Fisica e nelle restanti

due classi sia Matematica che Fisica.

Il rapporto che ho potuto osservare tra la docente e i suoi studenti è di tipo fiduciario e

aperto, improntato al dialogo, al rispetto reciproco ed alla disponibilità. Ogni lezione

cominciava con una ricognizione degli umori o di eventuali problemi incontrati nello

studio a casa. Devo anche dire che, purtroppo, con una delle classi, un tale rapporto si è

potuto consolidare meno: si tratta di una classe che ha una storia precedente ricca di

bocciature e di comportamenti non corretti, che è stata decimata in passato, ha cambiato

corpus di insegnanti da un anno all’altro e in cui permangono degli elementi poco

volenterosi. Il rapporto che il mio tutor riesce a creare coi propri alunni è come ho già detto

in genere molto bello; una cosa che mi ha stupito e che mi ha fatto capire quanto lei fosse

dedita a quello che evidentemente non è solo un lavoro, è stata l’utilizzo di facebook per

mantenere un contatto con i gruppi classe in orari extrascolastici per comunicare la

soluzione di esercizi difficili, per comunicare in tempo reale (ad esempio, in un’occasione,

la classe ha chiesto la posticipazione della prova scritta prevista per il giorno dopo) e per il

caricamento di video di esperimenti fatti a casa, per la condivisione di esperienze. Questo

strumento, spesso oggetto di critiche per via del cattivo uso che gli adolescenti ne possono

fare, può essere, in effetti, molto utile se ben usato da un’insegnante: non certo per

“controllare” o quasi “spiare” la vita dei propri discenti, piuttosto per conoscerli e capirli

meglio, per interpretare le espressioni sui loro volti in classe. La relazione educativa che il

mio tutor instaura con il gruppo classe non si limita ai contenuti disciplinari; ad esempio, la

Prof.ssa Raimondi tiene a che gli alunni indossino un abbigliamento adeguato al luogo in

cui si trovano, dovendo essi abituarsi a vestirsi in modo consono ai luoghi di lavoro ed è

altresì importante che gli alunni non si allontanino dalla classe durante il cambio dell'ora e

che si facciano trovare in silenzio e in classe all'arrivo del docente. Ho potuto notare come

il mio tutor ha sempre prestato particolare attenzione al processo di apprendimento della

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classe nella sua totalità, mirando a che gli allievi “costruissero” da soli le proprie

conoscenze. A questo scopo, le lezioni sono state sempre improntate ad un attivo

coinvolgimento degli alunni tramite discussioni, durante e al termine di ogni lezione, che

avevano lo scopo, da un lato, di mantenere sempre viva l’attenzione e, dall’altro, di

sondare via via i concetti e le idee che si andavano formando. La Prof.ssa Raimondi mi ha

riferito come un paio di alunni, che per carattere erano schivi e non si mettevano in

relazione con i docenti e con i compagni, siano stati stimolati a creare un rapporto con gli

altri a partire dal quello con il compagno di banco.

Durante la mia osservazione ho potuto apprezzare il fatto che, sia durante la

spiegazione di argomenti nuovi, sia durante le esercitazioni (anche in laboratorio), la

maggior parte dei ragazzi partecipava attivamente intervenendo per porre domande e per

chiedere ulteriori spiegazioni ed approfondimenti, mostrando curiosità ed interesse e

contribuendo così alla crescita intellettuale di tutta la classe. Mettendo costantemente in

evidenza come non esista un unico modo di risolvere i problemi, il mio tutor incoraggiava

continuamente i ragazzi a prendere decisioni in maniera autonoma con approccio personale

e flessibile, senza necessariamente attendere conferme dal docente: non è possibile, infatti,

ridurre il valore formativo della matematica e della fisica alla semplice applicazione di

formule risolutive e di procedure ripetitive che conducano alla soluzione di un problema.

Le quattro classi in cui il mio tutor ha insegnato durante l’anno scolastico appena concluso,

erano profondamente diverse anche se ho avuto modo di conoscerle in modo asimmetrico

in quanto, come ho già detto, in due di queste il mio tutor insegnava solo Fisica. Nel

brevissimo lasso di tempo in cui ho svolto il mio tirocinio diretto, ho stabilito un bellissimo

rapporto con i ragazzi delle due classi in cui la Prof.ssa Raimondi ha insegnato entrambe le

discipline e in cui io ho potuto tenere alcune lezioni. Con le altre due classi purtroppo non

si è instaurato lo stesso rapporto e questo credo che sia stato dovuto al fatto che lì non ho

tenuto alcuna lezione, per il ridotto numero di ore che, da orario, ho potuto trascorrere

insieme con loro.

Il mio tutor mi ha riferito che all’inizio dell’anno scolastico, successivamente alla

redazione di programmazioni formulate dai singoli docenti, è stata redatta una

programmazione di classe, inserendo in essa gli obiettivi che tutti gli alunni dovrebbero

raggiungere al termine dell’anno scolastico. Nella classe in cui la docente ha rivestito

anche il ruolo di coordinatore, ella ha costantemente monitorato l’andamento didattico

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degli alunni nelle varie discipline, analizzandone anche l’aspetto motivazionale. Nella

redazione della programmazione si è tenuto in considerazione il nuovo modo di fare

scuola; nella programmazione sono state infatti specificate le competenze che devono

essere raggiunte nel primo e secondo biennio e nell’ultimo anno di corso, inoltre si è deciso

di privilegiare l’aspetto logico-intuitivo, piuttosto che mnemonico, di ciascuna disciplina.

Il mio rapporto con la Prof.ssa Raimondi è stato subito d’intesa, di unità di vedute e ho

potuto rendermi conto, anche per contrasto, di una certa somiglianza di stile

d’insegnamento e di rapporto con la classe: durante il mio tirocinio diretto ho avuto infatti

l’opportunità di osservare l’attività didattica in classi di altri docenti dell’Istituto.

Durante il mio tirocinio diretto ho potuto partecipare a diverse attività ed esserne in

alcuni casi protagonista. Un’esperienza che mi ha molto arricchito umanamente è stata

quella del rapporto con le classi in qualità di docente. La mia esperienza d’insegnamento,

prima di questo tirocinio diretto, se si eccettuano un paio di progetti PON di cui sono stata

Esperto, si limitava alla sola docenza universitaria. Il mio rapporto con gli studenti

universitari, per via dell’esiguo numero degli iscritti (insegno presso il Corso di Laurea in

Scienze Fisiche), è sempre stato improntato al confronto, tuttavia il rapporto con i ragazzi,

a scuola, è sicuramente molto più personale e personalizzato e, direi, anche affettivo. In un

paio di classi la Prof.ssa Raimondi mi ha affidato il compito di presentare due unità

didattiche, ho così potuto introdurre e spiegare, in più lezioni, le identità, le equazioni di

primo grado numeriche e parametriche in una delle due prime, e, nella terza, in una serie

di lezioni, ho spiegato l’iperbole. Ho potuto notare anche che il livello di maturità, di

autonomia di studio e di spirito critico degli studenti delle due classi, come del resto è

ovvio, era molto diverso. Nella prima gli studenti tendevano ad ascoltare senza nessuno

spirito critico la lezione frontale, che io volevo fosse partecipata, e a non intervenire

durante la spiegazione, anche se stimolati come uso fare durante le mie lezioni e dovevo

dedurre tutti i loro dubbi dalle loro facce interrogative. In terza, invece, mi sono state

rivolte numerose domande di chiarimento e d’approfondimento. Anche in termini della

competenza metacognitiva della richiesta d’aiuto al docente, le due classi si sono mostrate

in modo differente: se i più piccoli erano moto timidi ed insicuri, con poche eccezioni, in

terza sono stata spesso avvicinata dai ragazzi per dei chiarimenti o per controllare la

correttezza di qualche esercizio. A conclusione del ciclo di lezioni sull’iperbole in terza, il

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mio tutor mi ha invitato a stilare i due testi della prova scritta di verifica degli

apprendimenti. Questo compito, all’apparenza abbastanza semplice per me che sono

abituata a selezionare degli esercizi per le prove scritte all’università, mi ha impegnato

inaspettatamente parecchio perché volevo proporre loro degli esercizi che potessero dare

loro l’occasione di dimostrare il buon livello di preparazione raggiunta; in effetti il livello

di competenza matematica di questi due gruppi classe, proporzionato all’età, è molto

elevato. Durante le prove scritte di verifica in classe, il mio tutor ha chiesto che gli alunni

lavorassero in piena autonomia, senza chiedere aiuto all'insegnante. Durante queste prove,

inoltre, il tutor consente l'utilizzo della calcolatrice scientifica personale di cui gli alunni

devono saper fare uso; ritengo che, quando ormai il saper far di conto è una competenza

acquisita, il saper far un uso rapido della calcolatrice scientifica, sfruttando a pieno le sue

potenzialità, diventa un’ulteriore competenza da acquisire, come quella di saper usare un

computer. Ho anche potuto partecipare ad uno dei momenti fondamentali dell’attività

didattica, quello della valutazione di una prova scritta sulla base di una griglia di

valutazione che il mio tutor aveva stilato al momento della stesura del testo della prova e

che era presente nel testo consegnato agli alunni, in cui si esplicitava il punteggio massimo

attribuibile per ciascun esercizio in modo che i voti potessero variare da 1 a 10.

Un’altra esperienza significativa che ho fatto durante il tirocinio diretto è stata quella

nel laboratorio di Fisica. Secondo me il laboratorio è essenziale soprattutto

nell’insegnamento della Fisica, è un luogo (anche solo mentale) dove le competenze si

costruiscono e non si acquisiscono. Il Liceo Galilei è dotato di un attrezzatissimo

laboratorio di Fisica che consente di far svolgere agli studenti numerosissime esperienze

che spaziano lungo tutto il programma di Fisica dell’intero ciclo di studi. Ho potuto

osservare due classi durante lo svolgimento di due differenti esperienze di laboratorio: una

sulla spinta di Archimede e l’altra sulla dilatazione termica dei corpi. Nella prima, sulla

spinta di Archimede, sono stati fatti osservare i comportamenti di alcuni corpi nell'acqua,

che né il docente né il tecnico di laboratorio hanno intenzionalmente spiegato. Tali

osservazioni e la spiegazione di quanto osservato, sono state oggetto di una relazione

individuale che è stata valutata. Nella seconda (condotta secondo la metodologia Inquiry-

Based Science Education, nell’approccio “scoperta guidata”, cfr. III parte di questa

reazione), è stato ottenuto il coefficiente di dilatazione di due barrette metalliche ed è stato

richiesto agli alunni di stilare una relazione sull’esperienza. È indubbio che l’esperienza

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laboratoriale coinvolge molto i ragazzi anche se, forse, l’attività che li ha coinvolti di più è

stata quella di girare dei video in cui essi spiegavano dei piccoli esperimenti, condotti a

casa, con materiale povero. Ritengo che quest’esperienza abbia fatto sviluppare loro anche

delle competenze che vanno al di là delle mere competenze disciplinari. Alcune di queste

esperienze filmate dai ragazzi, sono state proiettate in aula multimediale, a margine di una

lezione della docente effettuata mediante l’uso di materiali didattici digitali per docenti

messi a disposizione dalla casa editrice del testo adottato.

Prima di questo tirocinio e di quello indiretto, non ero a conoscenza dell’esistenza delle

prove INVALSI. Essi sono state introdotte con la legge n. 176 del 25 ottobre 2007 e sono

suddivise in tre parti: Prova di Matematica, Prova di Italiano e Questionario per lo

studente. Dal prossimo anno è prevista anche la prova di lingua Inglese. Lo scopo delle

prove è il monitoraggio e la valutazione dei livelli di apprendimento, e la conseguente

competenza, degli studenti italiani alla fine di ogni ciclo d’istruzione. Sono coinvolti nelle

prove INVALSI gli studenti delle quinte classi della scuola primaria, gli studenti delle

terze classi della scuola secondaria di primo grado e quelli delle seconde classi della scuola

secondaria di secondo grado. L’Italia, purtroppo, non è in testa alla classifiche europee e il

test INVALSI può essere un’occasione per i docenti per riflettere su come vengono

proposti in classe alcuni argomenti. Queste prove sono, ogni anno, oggetto di numerose

critiche. Forse la più grossa riguarda la reale efficacia del test nel comparare i risultati

conseguiti dagli studenti nelle diverse realtà sociali e territoriali a livello nazionale, a

seguito delle numerose irregolarità che si commettono nella somministrazione del test. La

mia opinione è che esse sono importanti, sono un'occasione per riflettere su come

introdurre i vari argomenti agli studenti, proponendo diverse rappresentazioni dello stesso

concetto, costringono gli allievi a ragionare e non a ricordare, non a “sapere” ad esempio

cosa vuol dire un vocabolo, ma a dedurlo dal contesto. Gli esercizi sono focalizzati sulla

comprensione analitica di testi e sull'abilità di inferire in modo corretto informazioni e

conclusioni a partire dai dati offerti: un'abilità insostituibile per qualunque forma di studio

futuro, tanto più preziosa e meritevole di essere sviluppata quanto più il dilagare della

comunicazione multimediale mette a rischio la capacità di concentrarsi sulle pieghe di un

testo scritto, percepirne significati e sfumature.

Durante il mio tirocinio ho affiancato il docente somministratore della sola prova

INVALSI d’Italiano, non potendo assistere a quella di Matematica, in quanto durante le

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prove di Matematica e d’Italiano non possono essere presenti insegnanti delle rispettive

discipline. In questa occasione, ciò che ho potuto rilevare, circa le opinioni degli alunni

sulla prova, è che essi percepiscono il test come un inutile spreco di denaro pubblico e di

carta. Per quanto riguarda lo svolgimento della prova, essa è cominciata in orario, tuttavia i

docenti responsabili non hanno potuto etichettare preventivamente i due test mettendo in

corrispondenza ciascun alunno dell’elenco, accluso ai plichi, con un numero preassegnato

dal sistema e questo perché non hanno potuto accedere all’Istituto nell’ora precedente

l’inizio della prova, per via di un allarme bomba. La procedura di etichettatura, dunque, è

dovuta avvenire sotto gli occhi attenti e curiosi degli alunni che hanno in questo modo

rilevato la non anonimità del test, cosa di cui non si sono detti contenti. Una conseguenza

di questo fatto è stata la preoccupazione di fare il test molto bene, eventualmente copiando

o chiedendo aiuto al docente somministratore, perché temevano che il loro risultato potesse

essere considerato al momento della valutazione personale finale. Per quanto riguarda i

docenti, alcuni sono preoccupati che il test non vada bene perché, in base al rendimento

complessivo dell’Istituto, esso riceverà o no finanziamenti europei per futuri progetti

scolastici e, comunicando questa preoccupazione gli alunni, li caricano di una

responsabilità ulteriore.

In uno degli ultimi giorni del mio tirocinio, il mio tutor mi ha chiesto di partecipare

attivamente, facendo delle domande, ai colloqui orali finali. Questo mi ha portato a

riflettere ulteriormente sul ruolo del docente e su come bisognerebbe condurre tali

colloqui. È chiaro che, negli ultimi giorni dell’anno scolastico, scegliere degli argomenti su

quale far vertere la prova orale finale è un compito che richiede la massima responsabilità,

equità d’animo, empatia ma anche distacco ed oggettività.

La mia osservazione ha riguardato non solo l’attività didattica, ma anche dei momenti

come quelli della conferma o della scelta dei nuovi libri di testo per l’anno scolastico

successivo, un colloquio con un genitore, un consiglio di classe e un collegio dei docenti.

Per quanto riguarda la scelta dei libri di testo, voglio fare una premessa. L’Italia sta

vivendo un momento storico particolare. La crisi economica che ha coinvolto tutto il

mondo occidentale e non solo, ha indirizzato le scelte dei governi nella direzione dei tagli

alla scuola pubblica. Nell’ottica della spending rewiew, l’impegno orario dei docenti è

stato innalzato da diciassette a diciotto ore settimanali. Questo ha comportato la perdita, in

alcuni istituti, di alcune cattedre e l’instabilità dell’assegnazione delle cattedre ai docenti

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da un anno all’altro. La conseguenza, più evidente è la mancanza di continuità didattica e

spesso gli studenti sono costretti a costruire una relazione con un nuovo docente ogni anno;

un’altra conseguenza riguarda la scelta dei libri di testo. Secondo le circolari ministeriali

10 febbraio 2009, n. 16 e 4 marzo 2010, n. 23, esistono dei vincoli da rispettare per

l’adozione dei libri di testo: innanzitutto un libro di testo può essere cambiato solo ogni sei

anni “salva la ricorrenza di specifiche e motivate esigenze” le quali possono riguardare

esclusivamente la “modifica di ordinamenti scolastici ovvero la scelta di testi in formato

misto o scaricabili da internet” (come previsto dall’articolo 1-ter della legge 24 novembre

2009, n. 167, di conversione del decreto legge 25 settembre 2009, n. 134), questo perché le

adozioni hanno una ricaduta non indifferente sulle famiglie e chi effettua la scelta di un

testo non coincide con chi poi ne deve sopportare il costo. Pertanto alcuni docenti ricevono

in eredità una scelta operata dal collega che lo ha preceduto e non sempre hanno la

possibilità di cambiarlo, oppure, anche potendolo fare, non ritengono opportuno operare

una scelta diversa in considerazione della discontinuità didattica di cui ho già riferito. La

scelta inoltre deve ricadere su dei testi il cui costo rispetti il tetto di spesa individuato per la

scuola secondaria di secondo grado, facendo attenzione anche al peso e non può ricadere

su testi per i quali l’editore non si sia impegnato a mantenere invariato il contenuto per un

lustro e, a partire dall’anno scolastico 2011-2012, non possono essere adottati testi che non

abbiano almeno una versione mista (cartacea e digitale). Effettivamente durante la riunione

per la scelta o la conferma dei libri di testo, solo alcuni dei docenti hanno deciso di adottare

un nuovo libro di testo.

Il colloquio con il genitore a cui ho assistito è stato breve, ma comunque mi è servito a

capire che, a volte, noi genitori non sappiamo collaborare a pieno con gli insegnanti perché

purtroppo conosciamo solo una parte della vita nostri figli e perché non riusciamo ad avere

il giusto distacco e l’obiettività che il docente può avere.

Ho poi preso parte come osservatore a tre consigli di classe e ad un collegio dei

docenti. Uno dei consigli di classe a cui ho partecipato, in cui si dovevano confermare o

adottare i nuovi libri di testo, non ha raggiunto il numero legale, per via del fatto che molti

professori, alla fine dell'anno avevano già superato le 40 ore previste come tetto massimo

dalla legge, tuttavia si è comunque discusso sia sull’andamento didattico degli alunni, sia

sui libri di testo da adottare o sostituire. Per quanto riguarda gli altri due consigli, ho

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assistito ad una collaborazione fattiva del rappresentante dei genitori degli alunni della

classe, con i docenti presenti, per quanto riguarda le peculiari dinamiche di classe. In

merito alle considerazioni fatte col mio tutor sui consigli di classe, è emerso che,

contrariamente al bell’esempio a cui avevo assistito, più spesso accade che i genitori degli

alunni, non siano partecipi della vita della classe e non si candidino a diventare

rappresentanti dei genitori nei consigli di classe, trascurando di creare un dialogo

costruttivo con il corpo docente, nella prospettiva di un progetto educativo comune.

Il collegio dei docenti a cui ho partecipato, ha raggiunto il numero legale per il

comportamento responsabile dei colleghi che hanno deciso di prendervi parte, nonostante

avessero superato il tetto del monte ore previste, per via del fatto che in esso era necessario

prendere delle decisioni importanti ai fini dell'anno scolastico seguente.

Durante quest’anno scolastico il mio tutor non ha prestato il suo insegnamento in una

classe quinta, ma ho comunque avuto occasione di analizzare e di discutere insieme con lei

sulle griglie di valutazione disciplinare, sulla formulazione di terze prove in funzione delle

tipologie possibili, sui criteri di conduzione degli scrutini e sui criteri per l’assegnazione

del credito; inoltre, abbiamo analizzato un documento del 15 maggio, evidenziandone gli

elementi fondamentali e gli eventuali allegati da inserire.

Un problema che ha riguardato il regolare svolgimento dell’attività didattica

dell’Istituto è stato il ripetersi, in pochi giorni, di diversi allarmi bomba. Pochi sono gli

strumenti che il Dirigente Scolastico può usare per arginare questo fenomeno. Io mi sono

chiesta cosa avrei fatto se fossi stata uno dei docenti dell’Istituto. La polizia di Stato, il cui

servizio regolare è stato più volte interrotto per questa ragione, ha suggerito di mettere in

pratica gli stessi provvedimenti adottati in altri Istituti: l’interrogazione a tappeto e ad

oltranza. Naturalmente questo provvedimento non si accorda con la politica educativa

dell’Istituto e pertanto è stato scartato subito; il dirigente scolastico dunque, d’accordo col

corpo insegnante, ha deciso di non consentire l’uscita agli studenti dal perimetro

dell’Istituto, durante la ricreazione e di recuperare eventuali ore di attività didattica o per le

prove scritte, in coda al regolare orario delle lezioni.

Sia io che il mio tutor siamo stati arricchiti da quest’esperienza: la nostra

collaborazione quotidiana ci ha spinte a porci degli interrogativi ai quali abbiamo saputo

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trovare di volta in volta una risposta insieme. Il mio impegno è stato costantemente volto,

tra l’altro, anche all’apprendimento di tecniche di relazione inevitabilmente diversi da

quelle utilizzate all’università. Ciò che ho potuto notare, inoltre, durante i giorni trascorsi a

scuola insieme al mio tutor è che sono stata in grado di farmi un’idea di ciascuna classe

molto aderente alla loro reale situazione complessiva.

Lo svolgimento del tirocinio diretto è stato fondamentale per me che aspiro a diventare

docente; esso mi ha consentito di acquisire conoscenze specifiche della professione

docente (es. compilazione di registri, criteri per la conduzione degli scrutini e per

l’assegnazione del credito, ecc.) ma soprattutto mi ha fatto rendere conto di quali debbano

essere le competenze professionali, e in particolare relazionali e didattiche di un docente.

Per essere un insegnante efficace oggi bisogna cercare d’instaurare un rapporto empatico

con i discenti, essere sempre aggiornati e saper far proprie le novità tecnologiche e

metodologiche della didattica, essere comunicativi e chiari durante le proprie spiegazioni.

Al di là delle proprie doti umane e comunicative “innate”, inoltre, un buon insegnante deve

essere un modello etico di equità, imparzialità, saggezza che deve rappresentare

quotidianamente con la propria condotta e col proprio esempio. Inoltre, professionalmente,

è certamente importante non trascurare la comunicazione (tra colleghi e con gli altri adulti)

che dà vita ad una cultura della comunità, padroneggiando i meccanismi dalla

comunicazione formale a diversi livelli, realizzando così una buona relazionalità sia

esterna che interna.

Ritengo che buoni docenti non si nasca, né ci si improvvisi e il corso che ho seguito ha

contribuito alla mia maturazione in questo senso, facendomi riflettere sulle dinamiche di

gruppo, sulla psicologia dello sviluppo, sull’apporto dato dalle tecnologie alla didattica.

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PARTE SECONDA: IL TIROCINIO INDIRETTO

Durante il tirocinio, la nostra tutor, la Professoressa Lucia Anna Lupo, ci ha fatto

riflettere su come è cambiata la scuola rispetto ai tempi in cui la frequentavamo noi, su

come è stata resa più autonoma, su come l’offerta formativa è ritagliata sulle esigenze degli

studenti e del territorio, su come formare i nostri futuri alunni come cittadini dotati di senso

critico, in modo che siano in grado di inserirsi nel tessuto sociale italiano ed europeo, nel

mondo del lavoro, in modo che siano in grado di resistere ai fenomeni di omologazione e

di livellamento culturale indotti dalla società moderna.

La Costituzione Italiana prima, e alcune leggi dello Stato poi, sanciscono norme che

regolamentano la scuola, la professione docente, i diritti degli studenti. In una delle prime

lezioni del nostro tirocinio diretto, abbiamo letto, analizzato e riflettuto sugli artt. 33, 34,

36, 39 e 40 della Costituzione Italiana. Il primo afferma che “L'arte e la scienza sono

libere e libero ne è l'insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione

ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi […]”, sancisce il diritto alla libertà

alle scuole non statali paritarie e l’equipollenza dei titoli da esse rilasciati, il secondo

garantisce la scuola per tutti e ne stabilisce l’obbligatorietà e la gratuità per otto anni,

inoltre […] i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i

gradi più alti degli studi. […] e lo Stato si fa carico di rendere effettivo questo diritto per

mezzo di borse di studio o altri tipi di sovvenzioni. Vorrei sottolineare che oggi, dopo un

percorso legislativo doloroso per le famiglie, durato decenni e iniziato con la legge 517/77,

non solo i “capaci e meritevoli” hanno riconosciuto il diritto di raggiungere i gradi più alti

degli studi:è infatti previsto che anche i disabili possano proseguire gli studi fino all’ordine

e grado che decidano; su questa tematica l’Italia è molto avanti rispetto al resto del mondo.

Gli articoli 36, 39 e 40 stabiliscono, nell’ordine, il diritto del lavoratore, e per quel che ci

riguarda dell’insegnante, “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del

suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e

dignitosa”, il diritto ad una durata massima della giornata lavorativa, che è stabilita dalla

legge, il diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e il diritto delle

organizzazioni sindacali ad essere libere e alla loro possibilità di “[…] stipulare contratti

collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle

quali il contratto si riferisce”; inoltre viene ribadito che “il diritto di sciopero si esercita

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nell'ambito delle leggi che lo regolano”. Vorrei soffermarmi brevemente su questi articoli.

Se è vero che la giornata lavorativa massima di ogni lavoratore è stabilita dalla legge,

questo non vale spesso per la categoria degli insegnanti. In effetti, questi, da lungo tempo,

e mi consta tuttora, sono sempre stati oggetto di invidie e critiche da parte delle altre

categorie, per l’opinione diffusa che la loro professione gli consentisse di andare in ferie

per tutto il periodo estivo e per il fatto che, apparentemente, essi lavorino soltanto metà

giornata. Sia durante il nostro tirocinio diretto, sia durante quello indiretto abbiamo potuto

apprendere, invece, che queste convinzioni sono errate ed ingiuste. In effetti, oltre alle

attività didattiche diurne (svolte in 18 ore settimanali e distribuite in non meno di cinque

giornate), i docenti seguono corsi di aggiornamento e approfondimento della preparazione

sia culturale che professionale, partecipano ad iniziative educative della scuola, come ad

esempio progetti PON, Palermo apre le porte, competizioni sportive, per un impegno

(teorico) di massimo 80 ore annue, (esclusi gli scrutini e gli esami di Stato) curano i

rapporti con i genitori dei loro alunni, sia durante le due annuali riunioni per i colloqui, sia

durante il corso dell’anno scolastico, con colloqui individuali a richiesta o del genitore o

del docente, partecipano agli scrutini e ai lavori delle commissioni di esami di Stato di cui

siano stati nominati componenti ed infine partecipano alle riunioni degli organi collegiali,

per non tacere poi di tutte le attività di programmazione, di progettazione, di preparazione

delle lezioni, delle esercitazioni, delle prove scritte e delle griglie di valutazione relative, di

valutazione (quasi sempre svolta a casa) e di documentazione che sono richieste ogni anno

agli insegnanti.

La libertà d’insegnamento è sancita già a partire dal 1948 dall’art. 33 della

Costituzione Italiana ed in seguito è stata ribadita nei D.P.R. 416 e 417 e confermata nel

Testo Unico del 1994. Se da un lato la libertà d’insegnamento, garantita agli insegnanti,

lascia un ampio margine di discrezionalità nell’insegnamento di un disciplina, sia sotto il

profilo contenutistico che metodologico, ed è intesa a promuovere la formazione della

personalità dell’alunno anche mediante un confronto aperto di posizioni culturali, attuato

però sempre nel rispetto della coscienza civile e morale degli alunni, dall’altro lato tale

libertà ha anche un suo limite: in questo “rispetto” rientrano naturalmente il non

propagandare tesi e teorie che non hanno alcuna garanzia costituzionale, il rispetto del

buon costume, dell’ordine pubblico, l’incolumità pubblica e l’osservanza delle leggi dello

Stato, il rispetto del diritto degli alunni ad apprendere secondo i propri ritmi e le proprie

capacità, il rispetto della loro individualità. La libertà che un insegnante ha, non dalla

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didattica ma nella didattica, si estrinseca nella sua capacità di saper scegliere la didattica

che ritiene più idonea al gruppo classe con cui si trova ad operare, a provare sempre nuove

soluzioni per il miglioramento della programmazione e della pratica quotidiana; bisogna

però osservare che lo spirito della legge sembra essere denaturato dal fatto che l’insegnante

deve comunque rendere conto del proprio metodo al Collegio dei docenti. La funzione

docente, come recita l’art. 26 del CCNL, è dunque fondata sulla libertà culturale e

d’insegnamento e si esplica in tutte le attività individuali, collegiali e di aggiornamento.

Gli organi collegiali a cui prima ho accennato sono stati istituiti dai decreti delegati (D.P.R.

416-420 del 31 maggio 1974) e poi convertiti in Legge dello Stato (la loro istituzione è

stata anche confermata dal Testo Unico del 1994), per rendere partecipi della gestione della

scuola anche gli insegnanti, i quali ne sono l’anima. Essi si distinguono in organi nazionali,

territoriali ed interni alle singole istituzioni scolastiche; alcuni sono stati aboliti o

modificati da leggi successive. I decreti delegati dettano le norme per lo svolgimento delle

elezioni degli organi collegiali, istituiscono le assemblee dei genitori e degli studenti, sia

di classe che d’Istituto e sanciscono il principio dell’autonomia amministrativa delle

scuole. Tra gli organi collegiali che sono previsti dall’ordinamento odierno voglio citare: il

Consiglio di classe, il Collegio dei docenti, il Consiglio d’Istituto. Mediante questi organi

gli Istituti d’istruzione secondaria di secondo grado organizzano la gestione della scuola

nel suo duplice aspetto: quello didattico-formativo e quello economico-gestionale.

Il Consiglio di classe è composto da tutti i docenti della classe, ivi compresi quelli di

sostegno, due rappresentanti dei genitori e due degli alunni ed è presieduto dal Dirigente

scolastico che attribuisce ad uno dei docenti del consiglio funzioni di segretario

verbalizzante; di fatto, però, è prassi consolidata che il DS nomini un docente segretario ed

uno coordinatore che presieda il consiglio di classe in sua vece. Il Consiglio di classe

formula proposte, da sottoporre al Collegio dei docenti, riguardanti l’azione educativa e

didattica ed iniziative di sperimentazione, inoltre favorisce i rapporti tra docenti, studenti e

genitori. Il Consiglio di classe, con la sola presenza della componente docente, ha compiti

di coordinamento didattico e interdisciplinare e di valutazione periodica e finale e,

limitatamente ai consigli delle quinte classi, stila il documento del 15 Maggio e definisce

una griglia di valutazione della II prova dell’esame di Stato. In base al D.P.R. 323/98, il

documento del 15 Maggio “[…] esplicita i contenuti, i metodi, i mezzi, gli spazi ed i tempi

del percorso formativo, nonché i criteri, gli strumenti di valutazione adottati e gli obiettivi

raggiunti”. Questo documento costituisce per la commissione dell'esame di Stato un

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orientamento e un vincolo per la stesura della III prova scritta e per la conduzione del

colloquio orale. La griglia di valutazione della II prova, stilata dal Consiglio di classe, può

essere adottata dalla Commissione in sede d’esami di Stato, tuttavia molti commissari

ritengono molto valida la griglia pubblicata da Matmedia subito dopo la II prova, in quanto

essa è ritenuta molto equilibrata e ben ragionata.

Il Collegio dei docenti è l’organo collegiale a livello scolastico più importante: esso,

infatti, è l’unico organo che può decidere in merito agli aspetti pedagogico formativi e

all’organizzazione, alla progettazione e programmazione didattica; è costituito solo dal

dirigente scolastico e dagli insegnanti di ruolo e non di ruolo, ivi compresi i supplenti in

servizio e dai docenti di sostegno. Esso ha poteri deliberanti riguardo all’elaborazione del

POF, all’adozione di iniziative per il sostegno degli alunni stranieri o disabili, alla

suddivisione dell’anno scolastico in trimestri o quadrimestri, alle attività aggiuntive di

insegnamento e, su proposta dei Consigli di classe, decide in merito all’adozione dei libri

di testo; inoltre il Collegio dei docenti redige il piano annuale di aggiornamento e

formazione, fa una valutazione periodica dell’andamento dell’azione didattica e può

formulare pareri circa i criteri di formazione delle classi, l’assegnazione dei docenti e

sull’orario delle lezioni. Il Collegio dei docenti si riunisce almeno una volta ogni tre o

quattro mesi, oppure ogni qualvolta il dirigente scolastico o un terzo dei componenti lo

ritenga necessario, ed elegge una sua rappresentanza per il Consiglio d’Istituto. Il tempo

annuo massimo che può essere dedicato da ciascun insegnante alle riunioni del Collegio

dei docenti è di 40 ore, comprensive anche delle ore da dedicare ai colloqui con i genitori.

Il Consiglio d’Istituto, invece, comprende, oltre al dirigente scolastico ed ad una

rappresentanza dei docenti eletta dal collegio dei docenti, una rappresentanza degli alunni,

una dei genitori degli alunni e una del personale A.T.A. e possono parteciparvi anche degli

psico-pedagogisti o dei counselor. Esso rimane in carica per tre anni, tranne per la

componente studentesca, eletta annualmente o per chi non ha più diritto a farne parte,

rimpiazzato dal primo dei non eletti, ed è presieduto da un suo membro, eletto tra i

rappresentanti dei genitori degli studenti. Questo organo ha essenzialmente competenze

economico-gestionali e fissa i programmi dell’offerta formativa, i criteri per la

programmazione delle visite guidate e dei viaggi d’istruzione e dei corsi di recupero, detta

i criteri per la formazione delle classi e per l’assegnazione ad esse dei docenti (sentito il

parere del collegio dei docenti), decide l’acquisto di materiali didattici e adotta il Piano

dell’offerta formativa (POF).

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Sulla spinta europea, nell’ambito della costruzione della società della conoscenza,

l’Italia ha riformato il proprio sistema di istruzione. Nel 2010, diversi Decreti del

Presidente della Repubblica hanno riordinato i cicli scolastici ed è stato stabilito che il

primo biennio fosse volto a garantire il raggiungimento di una soglia di competenze,

conoscenze e abilità al termine dell’obbligo scolastico o formativo richieste dall’Europa e

la loro certificazione deve far riferimento al sistema EQF (European Qualifications

Framework) in modo da poter esser riconosciute e spese non solo a livello nazionale, ma

anche europeo. Con il riordino, gli Istituti Tecnici passano da 10 settori e 39 indirizzi a 2

settori e 11 indirizzi (cfr. D.P.R. n. 87 del 15/03/2010). Le ore scolastiche settimanali

vengono diminuite, così come quelle di laboratorio, nell’arco dei 5 anni. Viene potenziato

l'insegnamento della lingua inglese e delle scienze. Il percorso è articolato in due bienni ed

un quinto anno: durante il primo biennio le discipline non sono differenziate per indirizzo,

mentre lo sono durante il secondo. Al quinto anno agli studenti viene offerta la possibilità

di fare tirocini in modo da mettere in contatto il mondo della scuola e quello del lavoro.

Anche gli Istituti professionali sono stati oggetto di riordino: da 5 settori con 27 indirizzi,

sono stati suddivisi in 2 macrosettori con 6 indirizzi (cfr. D.P.R. n. 87 del 15/03/2010).

Anche il loro monte ore settimanale viene ridotto, così come le ore di laboratorio, ma,

contrariamente agli istituti tecnici, essi hanno più autonomia, arrivando fino al 40% al

quinto anno. Come per gli Istituti tecnici, i corsi di studio sono stati divisi in due bienni e

un quinto anno, anno in cui sarà possibile effettuare dei tirocini esterni. Per quanto riguarda

il Liceo (cfr. D.P.R. n. 89 del 15/03/2010), le 400 diverse opzioni sperimentali dei Licei

sono state semplificate, riordinate e riportate in 6 licei: il Liceo classico, il Liceo scientifico

(con opzione scienze applicate), il Liceo delle scienze umane (con opzione economico

sociale), il Liceo artistico (con 6 indirizzi), il Liceo Linguistico, il Liceo musicale e

coreutico (con 2 indirizzi). Il nuovo percorso è pensato per rafforzare il legame tra scuola,

Università e mondo del lavoro ed è articolato in due bienni ed un quinto anno (più

precisamente, il secondo biennio è articolato in due annualità che consentano una più

semplice mobilità tra i diversi sistemi d’istruzione e formazione).

Le novità della riforma relativamente ai licei, riguardano l’incremento delle ore

dedicate alla matematica, alla fisica e alle scienze (questi insegnamenti possono essere

attivati anche a partire dal I biennio del liceo classico), l’insegnamento delle lingue

straniere per l’intero quinquennio, la valorizzazione della lingua latina, la presenza delle

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discipline giuridiche ed economiche sia nel liceo scientifico, sia nel liceo delle scienze

sociali, sia negli altri licei attraverso la quota di autonomia, la valorizzazione degli

apprendimenti attraverso l’uso costante del laboratorio per le discipline scientifiche, l’uso

di strumenti multimediali e tecnologici, la pratica dei diversi metodi d’indagine propri di

ciascuna disciplina (es. ricerca-azione e metodo scientifico), lo studio delle discipline da un

punto di vista storico, la lettura l’analisi e la traduzione di testi, l’interpretazione delle

opere d’arte, la cura dell’espressione scritta e orale in modo che sia corretta, pertinente ed

efficace, l’inserimento di una disciplina tra quelle obbligatorie in lingua straniera,

compatibilmente con l’organico. In particolare, è previsto l’insegnamento della fisica sin

dal primo anno al liceo scientifico, l’insegnamento della lingua straniera per tutto il

quinquennio al liceo classico, lo studio dell’antropologia, della sociologia, della psicologia,

della pedagogia al liceo delle scienze umane. Per poter attuare tale riforma, il Decreto

Interministeriale 211 del 7 ottobre 2010 detta le nuove indicazioni nazionali per i licei; esse

sono state applicate a decorrere dall'anno scolastico 2010/2011 a partire dalle classi prime

e, gradatamente, di anno in anno sono state applicate e saranno applicate alle classi

successive fino al completamento del ciclo (art. 3), sono aggiornate periodicamente in

relazione agli sviluppi culturali emergenti, nonché alle esigenze espresse dalle università,

dalle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica e dal mondo del lavoro e

delle professioni (art.4) e il raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento

previsti dalle Indicazioni nazionali sono oggetto di valutazione da parte dell’INVALSI, di

cui parleremo più avanti. Secondo queste linee guida sarà valorizzata la qualità degli

apprendimenti piuttosto che la quantità delle materie, i quadri orari saranno adeguati a

quelli dei Paesi che hanno raggiunto i migliori risultati nelle classifiche OCSE PISA come

la Finlandia (856 ore all’anno), inoltre tale quadro orario sarà annuale e non più

settimanale, in modo da dare alle istituzioni scolastiche ulteriore flessibilità. Per tutti i licei

sono previste 27 ore settimanali nel primo biennio e 30 nel secondo biennio e nel quinto

anno, ad eccezione del classico (31 ore negli ultimi tre anni), per preservare le

caratteristiche specifiche di questo liceo rafforzando la lingua straniera, dell’artistico

(massimo 35) e del musicale e coreutico (32), perché questi ultimi prevedono materie

pratiche ed esercitazioni.

L’autonomia scolastica ha consentito, anche nel quadro del nuovo riordino, di

moltiplicare l’offerta formativa da parte degli Istituti, sia per quanto riguarda i contenuti

disciplinari, sia per quanto riguarda la didattica extra-curriculare. Ogni Istituto cerca di

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distinguersi per la sua offerta formativa e ha l’intento di far acquisire non solo i contenuti

disciplinari ma anche le competenze chiave di cittadinanza previste a conclusione

dell’obbligo di istruzione, che ne consentano l’inserimento nel tessuto sociale europeo e

anche nel mondo del lavoro. In effetti, grazie all’autonomia, le istituzioni scolastiche

possono modificare il monte ore annuale di una disciplina per una quota che arriva al 20%

nel primo biennio e al quinto anno e al 30% nel secondo biennio, rendendo così disponibile

tale quota per l’inserimento di una nuova disciplina, oppure assegnandola ad un’altra.

Gli Istituti che sentono forte l’esigenza di migliorare il proprio servizio ed inquadrare

la propria offerta formativa sulla base degli effettivi bisogni dell’utenza e del territorio, si

sottopongono ad un processo di autovalutazione. Il D.P.R. 275 dell’08/03/1999 sancisce

che “nell'esercizio dell'autonomia didattica le istituzioni scolastiche [… ] individuano […]

i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche

rispetto agli obiettivi prefissati”. La valutazione d’Istituto riveste un ruolo molto

importante che consiste nel misurare i risultati realmente ottenuti e gli scostamenti rispetto

a quelli attesi, per confermare le scelte fatte o per chiarire cosa è suscettibile di

miglioramento e per valutare il servizio offerto all’utenza. Per la valutazione d’Istituto

viene individuato, in ogni scuola, un docente referente che, interfacciandosi con tutto il

personale, docente e non docente, misuri il senso di benessere che questo prova sul luogo

di lavoro, per mezzo della somministrazione di un questionario anonimo. Durante il mio

tirocinio diretto ho appreso, dalla lettura del POF, che il Liceo Galilei è “impegnato nella

realizzazione di un processo di autovalutazione e miglioramento, finalizzato ad

individuare punti di forza e aree di criticità, in vista di un innalzamento dei livelli di

qualità dell’offerta didattico-educativa” ed è inoltre coinvolto nel progetto FARO che

prevede un percorso di autoanalisi effettuato da scuole collegate in rete. La valutazione del

sistema scolastico è effettuata sia a livello nazionale (dall’INVALSI- Istituto nazionale per

la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) che internazionale

(dall’OCSE- Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, mediante il

programma PISA- Programme for International Student Assessment). La prova INVALSI

è stata introdotta con la legge n. 176 del 25 ottobre 2007 ed è suddivisa in tre parti: Prova

di Matematica, Prova di Italiano e Questionario per lo studente. Dal prossimo anno è

prevista anche la prova di lingua Inglese. Lo scopo delle prove è il monitoraggio e la

valutazione dei livelli di apprendimento e la conseguente competenza degli studenti italiani

alla fine di ogni ciclo di istruzione. Sono coinvolti nelle prove INVALSI gli studenti delle

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classi quinte della scuola primaria, gli studenti delle classi terze della scuola secondaria di

primo grado e quelli delle classi seconde della scuola secondaria di secondo grado.

L’Italia, purtroppo, non è in testa alla classifiche europee e il test INVALSI può essere

un’occasione per i docenti di riflettere su come vengono proposti in classe alcuni

argomenti. Naturalmente durante le prove di Matematica e d’Italiano non posso essere

presenti insegnanti delle rispettive discipline.

Le prove INVALSI sono oggetto di numerose critiche. Forse la più grossa riguarda la

reale efficacia del test nel comparare i risultati conseguiti dagli studenti nelle diverse realtà

sociali e territoriali a livello nazionale, a seguito delle numerose irregolarità che si

commettono nella somministrazione del test: sembra che “nell'effettuazione delle prove,

l'intromissione di docenti "compiacenti" nei confronti degli allievi raggiungerebbe

percentuali più alte nelle scuole dell'Italia centro-meridionale (20%, con una punta di quasi

il 30% in Calabria, Sicilia e Campania), rispetto alle aree settentrionali del paese (tra il 2 e

il 5%)” [Luca Ricolfi, Copiare come e perché, la Stampa, 12 agosto 2009].

Quest'adulterazione dello spirito stesso del test, vanifica ogni tentativo di comparazione a

livello nazionale. Il PISA è un programma di valutazione internazionale e ad oggi è il più

completo in termini di copertura geografica ed economica. Esso prevede la valutazione

globale triennale del rendimento degli studenti quindicenni relativamente ad alcune

competenze e discipline fondamentali quali la lettura, la matematica e le scienze. Per la

sua attenzione agli andamenti che riguardano il comportamento nell’apprendimento, i dati

sulle famiglie, sulle scuole e sugli insegnanti, il PISA è uno strumento di analisi delle

caratteristiche dei sistemi educativi di ogni Paese ed è utile per indirizzare le politiche di

miglioramento del servizio. I risultati negativi su tutte e tre le principali competenze dei

quindicenni scolarizzati, la bassa percentuale di eccellenza e la preoccupante frattura tra

Nord e Sud, descrivono una scuola Italiana che fatica ad assolvere ai suoi compiti di

alfabetizzazione della popolazione giovanile, inoltre si assiste ad un progressivo

peggioramento dei risultati. Il progetto PISA, intendendo valutare la capacità dei giovani

di riflettere sulle proprie conoscenze e sulle proprie esperienze e di utilizzarle per

affrontare situazioni e problemi tipici del mondo reale, ha predisposto anche una scala di

valutazione, articolata in 6 livelli ordinati in ordine crescente di competenza. In Italia solo

meno del 5% degli studenti si colloca nei due livelli più elevati della scala complessiva di

scienze mentre nella scala complessiva di matematica solo il 6,3% degli studenti si colloca

nei due livelli più elevati. Come i test INVALSI, anche i test del PISA sono oggetto di

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critiche; innanzitutto sembra che gli studi del PISA presentino delle incongruenze con i

risultati di valutazione ottenuti in ambito internazionale mediante altre indagini; forse la

critica principale riguarda l’oggettiva difficoltà di comparazione di sistemi educativi e

sociali differenti, inoltre alcuni osservatori lamentano l’influenza eccessiva del risultato di

queste indagini sulle politiche educative dei Paesi membri dell’organizzazione. Mia

opinione è che le prove dell’INVALSI e del PISA costituiscono un valido strumento per

indirizzare la propria pratica didattica in modo da far apprendere gli alunni in modo

permanente, piuttosto che ricordare, i contenuti disciplinari in vista dello studio o di un

lavoro futuro; un'educazione allo spirito critico, insomma, piuttosto che all'apprendimento

puramente ripetitivo, per essere i cittadini europei consapevoli e capaci di autodeterminarsi

che i firmatari del trattato di Lisbona si sono proposti di far crescere ed educare.

Con la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio 18 dicembre 2006

relativa alle competenze chiave per l'apprendimento permanente, l’Unione Europea ha

invitato gli Stati membri a sviluppare, nell'ambito delle loro politiche educative, strategie

per assicurare che:

x la scuola offra, a tutti gli studenti, gli strumenti per sviluppare le competenze chiave,

in modo da essere preparati ad una consapevole vita adulta e da poter avere una base

per ulteriori occasioni di apprendimento, come pure per la vita lavorativa,

x si tenga conto di quei giovani che, a causa di svantaggi educativi determinati da

circostanze personali, sociali, culturali o economiche, hanno bisogno di un sostegno

particolare per realizzare le loro potenzialità.

Le competenze chiave indicate dalla Raccomandazione sono le seguenti:

comunicazione nella madre lingua, comunicazione nelle lingue straniere, competenza

matematica, competenze di base in scienza e tecnologia, competenza digitale, imparare ad

imparare, competenze sociali e civiche, spirito di iniziativa e imprenditorialità,

consapevolezza ed espressione culturale. I saperi e le competenze chiave di cittadinanza

previste a conclusione dell’obbligo di istruzione sono riferiti ai quattro assi culturali (dei

linguaggi, matematico, scientifico–tecnologico, storico-sociale) e sono: comunicazione

nella madre lingua, comunicazione nelle lingue straniere, competenze matematiche e

competenze di base in scienze e tecnologie, competenza digitale, imparare ad imparare,

competenze sociali e civiche, spirito di iniziativa e di imprenditorialità, consapevolezza ed

espressione culturale. Gli assi culturali costituiscono i pilastri per la costruzione dei

percorsi di apprendimento orientati all’acquisizione delle competenze chiave che preparino

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i giovani alla vita adulta e che costituiscano la base per consolidare e accrescere saperi e

competenze in un processo di apprendimento permanente, anche ai fini della futura vita

lavorativa. Le scuole devono rilasciare una certificazione, a compimento dell’obbligo

scolastico e comunque di quello formativo, in ottemperanza del decreto MPI n. 139/2007,

in cui si certifica l’acquisizione di saperi e competenze, articolati in conoscenze e abilità e

con l’indicazione degli assi culturali di riferimento, secondo l’EQF.

Durante il nostro tirocinio indiretto ci siamo interrogati sul ruolo dell’insegnante e sulle

sue competenze e abbiamo riflettuto sul processo di apprendimento-insegnamento: in esso

sono coinvolti l’insegnante, l’allievo e i contenuti. Yves Chevallard suggerì di

schematizzare l’attività didattica mediante un triangolo ai cui vertici ci sono l’insegnante,

l’alunno e l’oggetto dell’insegnamento, il sapere, che però dev’essere un sapere sapiente,

elevato, che nasce dalla ricerca. Chevallard colloca quest’ultimo al di fuori del rapporto tra

alunno e insegnante (il vertice dei contenuti non appartiene al lato del triangolo che ha per

estremi l’insegnante e l’alunno), è un sapere esterno al processo di apprendimento-

insegnamento e dunque è inutilizzabile ai fini didattici. Ci sono allora due possibili azioni

che un insegnante può intraprendere: operare sulle caratteristiche del proprio insegnamento

per farlo “passare” per il sapere, ma questo richiede analoghe modifiche alle modalità

d’apprendimento degli allievi, cosa non facile da ottenere; l’alternativa è operare sul

proprio sapere adattandolo al processo d’ insegnamento e d’apprendimento. Naturalmente

questa ci sembra l’unica strada che si possa intraprendere, infatti non è pensabile che ad

esempio un allievo possa “digerire” contenuti matematici espressi in forma accademica,

senza che essi siano stati resi accessibili per lui. Secondo Chevallard bisogna operare la

cosiddetta trasposizione didattica, termine che indica l’operazione, che l’insegnante fa

durante prima di proporre un argomento, di modulazione dei contenuti adattandoli alle

caratteristiche degli allievi. Solo così un insegnante può pensare di rendere possibile

l’apprendimento. Nel 1987 lo psicologo dell’educazione, Lee Shulman nel suo famoso

articolo “Knowledge and Teaching: Foundations of the New Reform” espose la sua teoria

sulla conoscenza pedagogica del contenuto (o Pedagogical Content Knowledge, PKC).

Essa è la combinazione di pedagogia e contenuto che un insegnante deve avere dentro di sé

per comprendere come organizzare particolari argomenti e tematiche, adattarli e ai diversi

interessi e abilità degli studenti e presentarli a questi. Shulman è interessato a studiare il

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passaggio dallo stato di apprendente a quello di docente, ovvero il momento in cui avviene

il passaggio dalla comprensione personale di un contenuto, da parte del docente, alla sua

riorganizzazione in modo da renderlo comprensibile dai suoi alunni. Il modelo di Shulman

“del ragionamento e dell'azione pedagogica” coinvolge ragionamento e azione e prevede

sei fasi: comprensione, trasformazione, istruzione, valutazione, riflessione e nuova

comprensione. Nella fase della comprensione l’insegnante deve comprendere gli argomenti

che vuole proporre alla classe e ne deve comprendere le finalità educative, in quella della

trasformazione, mediante un processo che coinvolge la riflessione pedagogica, il docente si

prepara a far comprendere agli alunni i contenuti da lui appresi attraversando quattro

sottofasi, quella della preparazione, in cui si definiscono obiettivi e finalità, si stabilisce

ciò che dev’essere insegnato, adattato o inegrato, quella della rappresentazione in cui il

docente sceglie i metodi alternativi con cui presentare gli argomenti scelti, quella della

selezione degli strumenti didattici in cui si sceglie l’approccio didattico, quella

dell’adattamento dei contenuti alle caratteristiche e alle abilità dei propri studenti; la fase

dell’istruzione comprende la gestione della classe, la lezione partecipata con la

presentazione della spiegazione e l’interazione con gli studenti, l’assegnazione ed il

controllo del lavoro; in quella della valutazione il docente valuta l’efficacia dei propri atti

pedagogici in relazione agli obiettivi che si è prefissi; nella fase della riflessione il docente

si autovaluta, riflette su quello che è accaduto in classe e lo compara con il fine che si era

prefisso; infine nella fase della nuova comprensione, dalla riflessione segue una nuova

comprensione degli argomenti da insegnare, delle finalità, dei propri alunni e degli stessi

processi pedagogici. Dal modello si evince l’imprescindibilità del contenuto dalla

conoscenza pedagogica, del ragionamento dall'azione, della teoria dalla prassi.

Oltre a fare i conti con le disposizioni richieste dall’Europa e dal MIUR in materia di

competenze e di conseguente adeguamento della metodologia, gli insegnanti di oggi

devono confrontarsi con una generazione di “nativi digitali” (la cosiddetta generazione Z);

essi hanno a portata di mano un serbatoio potenzialmente infinito di conoscenze (la rete),

una pluralità vastissima di mezzi di espressione, ma anche un rapporto quasi viscerale con

le apparecchiature tecniche. Ciò si traduce, per l’insegnante, nell’obbligo di tenersi

costantemente aggiornato sulle nuove tecnologie e sui mezzi utilizzati dai propri alunni per

comunicare, per creare con essi un ponte che favorisca l’azione didattica e formativa. La

scuola si è resa conto del grande gap che rischiava di frapporre tra sé e i discenti e ha

deciso di far proprie le nuove tecnologie e di sfruttarle in modo da colmare il vuoto, direi,

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tra le due generazioni degli alunni e degli insegnanti. Oggi, tra i dispositivi tecnologici più

diffusi nelle scuole, c’è la Lavagna Interattiva Multimediale (LIM). La LIM integra in un

unico strumento, le potenzialità del computer e le caratteristiche della lavagna tradizionale,

infatti permette di visualizzare le azioni svolte su un PC ad essa collegato, consente anche

di inviare comandi al computer senza utilizzare né il mouse né la tastiera, permette di

interagire in modo molto intuitivo con i contenuti visualizzati sullo schermo, di scrivere,

evidenziare, cancellare, disegnare, sia a mano libera, sia mediante l’uso di una particolare

penna, consente di salvare documenti, stampare o inviare per e-mail gli appunti scritti o

disegnati sulla lavagna ed è in grado di memorizzare la lezione svolta, pertanto potrebbe

diventare un validissimo strumento se fosse disponibile in ogni classe. Mi sono resa conto,

assistendo durante il mio tirocinio diretto ad una lezione in laboratorio in cui veniva

utilizzata la LIM, che i vantaggi del suo uso in didattica, consistono nella possibilità di

documentare l’attività didattica, di far divenire gli studenti, da semplici fruitori di

contenuti, generatori di nuovi contenuti a partire da quelli prodotti da altri e infine, la LIM

utilizzata nel web, può essere un mezzo per aprire la classe ad un confronto con altre

culture. Naturalmente, non credo in una didattica tutta fondata sull’uso della LIM, ma

ritengo che questo strumento possa arricchire molto alcune lezioni, proprio grazie alle sue

enormi potenzialità. Altro strumento tecnologico con cui presto gli insegnanti dovranno

familiarizzare è il registro elettronico. In pochi decenni il mondo si è trasformato, tutto è

diventato più veloce. Grazie alla rivoluzione digitale, si è passati dall’era dell’informazione

(cioè l'epoca in cui l'informazione era una risorsa scarsa e il suo possesso e distribuzione

generava un vantaggio competitivo), all’era della conoscenza; ciò comporta cambiamenti

nella tecnologia e nella società e di conseguenza anche nella scuola. Anch’essa deve fare i

conti con la necessità di comunicazioni più veloci, ad esempio con i genitori o con altre

istituzioni, e con la necessità di documentazione e di trasparenza; in quest’ottica viene

inserito a scuola il registro elettronico. A partire dal prossimo anno scolastico, tutti gli

istituti dovranno dotarsi del registro elettronico e gestire in modalità digitale assenze,

votazioni, pagelle, comunicazioni e tanto altro. Questo cambiamento epocale è stato voluto

dal governo Monti con il DL n. 95/2012 poi convertito nella legge (la n. 135/2012) che ha

dettato le direttive per la spending rewiew. Sempre nel quadro del passaggio dal cartaceo

al digitale si inseriscono tutte le nuove proposte delle case editrici per i libri di testo. Tale

conversione non è giustificata solo da ragioni di tipo ecologico, ma è dettata dall’esigenza

di risparmio delle famiglie in tempi di crisi economica. In effetti, un libro digitale riesce a

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costare anche più del 30% in meno di un libro in versione cartacea. Inoltre, un libro

digitale consente di inserire i link a diversi approfondimenti che per ragioni di spazio un

libro tradizionale non poteva contenere.

Il riordino dei cicli ha avuto il grosso merito di restituire tutta la sua importanza alla

didattica laboratoriale. I laboratori sono per antonomasia gli ambienti di apprendimento più

efficaci perché sono il luogo (anche solo mentale) in cui l’apprendimento scolastico si

avvicina di più alla produzione culturale che avviene nel campo della ricerca. In

laboratorio tutti gli alunni guadagnano in iniziativa culturale, in capacità di analizzare e

comprendere un fenomeno osservato. Secondo me istruzione e formazione sono due

processi inseparabili e integrati: non si può conoscere senza produrre, operare e costruire, e

viceversa. La didattica laboratoriale è una metodologia che affonda le sue radici nella

pedagogia deweyana ed è essa stessa summa di diverse metodologie: riesce a coniugare il

sapere con il fare (learning by doing) e non li contrappone, fa germogliare e maturare lo

spirito d’iniziativa, le conoscenze tecnologiche e di cooperazione (mediante il cooperative

learning), che sono richieste dall’Europa per i suoi giovani cittadini. Se la finalità del

docente è la personalizzazione del percorso scolastico e l’uscita dalla logica

dell’omologazione e del livellamento culturale e il suo intento è quello di fornire a ciascun

alunno le opportunità che gli servono, allora non si può fare a meno di confrontarsi con la

didattica laboratoriale. Per fare didattica laboratoriale, l’insegnante propone una situazione

problematica e da questa scaturisce un processo costruttivo in cui l’alunno viene sostenuto

dall’insegnante che lo indirizza, lo sollecita alla scoperta dei percorsi possibili, lo sostiene

nelle difficoltà. In Matematica il laboratorio, in termini di luogo fisico, è quello

d’informatica. Software didattici come Cabrì o GeoGebra o, in modo diverso, Excel,

possono essere di grande aiuto, se si vuole improntare la propria didattica al costruttivismo.

Si potrebbe pensare di realizzare, mediante l’uso di GeoGebra, alcuni percorsi didattici che

coniughino con la Matematica discipline diverse come ad esempio la Fisica o la Geografia

Astronomica (ho in mente, per esempio, una proposta didattica sull’epicicloide, una curva

collegata al sistema geocentrico tolemaico) oppure si potrebbe utilizzare Excel per

costruire delle tabelle o dei grafici (ad esempio, si potrebbe far apprendere il concetto di

soluzione di un’equazione mediante Excel, facendo sostituire agli alunni, al posto

dell’incognita in un’equazione, valori diversi). Per quanto concerne la Fisica il laboratorio

è essenziale per la didattica, anzi esso stesso, è un nucleo fondante metodologico della

disciplina in quanto ha valore strutturante e generativo di conoscenze. La fisica è una

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disciplina sperimentale e il laboratorio è il momento di effettivo avvicinamento ai

fenomeni reali e alla loro complessità. A seconda dell’attività, quello in laboratorio può

essere un momento in cui si indaga un fenomeno e si cerca di inferire le leggi che lo

regolano, oppure un momento di cui si verificano leggi e si validano modelli. Il lavoro in

laboratorio coniuga diversi interessi: quello dello studente, che vuole osservare il

fenomeno per capire come funziona, avendo anche la possibilità di intervenire per

modificare e “far funzionare le cose” e che vuole anche acquisire tecniche, e quello

dell’insegnante, che non vuole soltanto far conseguire gli obiettivi didattici all’alunno, ma

anche alcuni obiettivi formativi. Durante il TFA, grazie ad una riflessione sull’argomento

portata avanti con il tutor coordinatore, con i colleghi e con i docenti delle discipline

laboratoriali, ho realizzato che oltre agli obiettivi addestrativi del laboratorio

(addestramento all’uso degli strumenti di misura e alle procedure di misura e di analisi dei

dati), uno degli obiettivi formativi più importanti della didattica laboratoriale è quello di

insegnare a distinguere e a cercare i fatti interessanti da quelli che non lo sono. Pertanto

occorre, nell’ambito di una didattica basata sull’Inquiry Based Science Education, che vi

siano dei momenti significativi in cui lo studente abbia la possibilità di agire in autonomia,

fare delle scelte, procedere per tentativi ed errori, sviluppare strategie; non tutto deve

essere “confezionato” e predisposto.

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PARTE TERZA: STUDIO SPERIMENTALE DEL MOTO DI UN CARRELLO SU UN PIANO INCLINATO

In virtù del riordino del secondo ciclo di istruzione ed in conformità con le

raccomandazioni europee sulle competenze da far acquisire agli alunni a conclusione

dell’obbligo di istruzione, la didattica laboratoriale in Italia ha subito un grosso rilancio per

via del suo ruolo di collegamento tra teoria e prassi, tra contenuti e realtà quotidiana, tra

ragionamento e azione. Una competenza chiave che il laboratorio concorre a sviluppare è

quella di saper lavorare in gruppo, non solo perché spesso i laboratori non sono dotati di

apparecchiature sufficienti per uno studio individuale, ma anche per l’opportunità di

scambiare idee, discutere, confrontarsi (cooperative learning) e per capire e abituarsi alle

dinamiche di gruppo (o dell’equipe di lavoro). Il laboratorio, inoltre, per sua natura,

stimola la capacità critica, mediante l’analisi, e di comprensione dei fenomeni, ed in esso

l’apprendimento scolastico si avvicina molto alla produzione culturale tipica della ricerca

scientifica. Uno dei metodi didattici che valorizzano la didattica laboratoriale e che ho

appreso durante il corso di studi del TFA è l’Inquiry-Based Science Education (IBSE) [cfr.

WP3 Report Guide for developing ESTABLISH Teaching and Learning units] che è basato

sull’introduzione in classe di percorsi didattici che stimolino ad acquisire un metodo di

indagine scientifica, strutturando il processo di insegnamento-apprendimento, proponendo

procedure e strategie proprie della ricerca scientifica. Nello studio di tutte le scienze

sperimentali e, per quel che mi riguarda, in quello della Fisica in particolare, si dovrebbe

reputare prioritaria la comprensione delle metodiche tipiche dell’indagine scientifica,

piuttosto che la mera acquisizione di una serie di conoscenze da ricordare e che comunque

risultano riduttive rispetto al variegato e complesso bagaglio ritenuto importante per ogni

disciplina. Le ricerche, inoltre, mostrano che quando gli studenti sono impegnati a

rispondere a domande che destano il loro interesse e che sono rilevanti per loro, essi

apprendono meglio e sono più motivati nello studio (cfr. Donovan, Bransford) inoltre, nella

loro indagine, ritengono prioritarie le prove sperimentali per spiegarsi come funzionano i

fenomeni naturali, o per rispondere a domande orientate scientificamente, e così facendo

costruiscono una nuova conoscenza. Nel condividere poi le proprie spiegazioni,

sottopongono ad un’ulteriore revisione critica sia le prove sperimentali sia le loro

deduzioni. Chi fa delle esperienze didattiche basate sull’IBSE non ha tanto l’intento di

trasferire dei contenuti scientifici, dei concetti, ma piuttosto di accrescere le capacità di

ragionamento dei propri studenti, la loro capacità di indipendenza nella comprensione dei

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fenomeni, la loro capacità di porsi delle domande e saper trovare le risposte, mediante una

graduale acquisizione ed un incremento di un certo numero di abilità e conoscenze

scientifiche. Le fasi di una qualunque attività basata sul metodo Inquiry sono sei e possono

essere pensate come fasi di un ciclo: esposizione del problema su cui indagare, discussione

in gruppo di idee che possano costituire possibili soluzioni, selezione di un’ipotesi da

sottoporre a verifica, progetto ed esecuzione di un piano, raccolta di prove scientifiche o

dati e deduzione di conclusioni logiche a partire da questi, condivisione e comunicazione

dei risultati dell’indagine; a partire dalla comunicazione dei propri risultati o della propria

spiegazione di un fenomeno, lo studente può giungere ad una nuova conoscenza

modificando ed accomodando le proprie conoscenza precedenti e i propri modelli

concettuali. A questo punto il ciclo dell’Inquiry può ricominciare a partire da una nuova

domanda che può partire, per esempio, da eventuali discrepanze rilevate. In questo modo

gli studenti possono sviluppare molte abilità proprie della ricerca e altre competenze utili

nel corso della loro vita. Esistono diversi tipi di attività Inquiry che si differenziano per

quanto gli studenti partecipano e sono indipendenti dal docente. In ordine crescente di

indipendenza e partecipazione degli studenti si distinguono 5 tipi: la dimostrazione

interattiva (in cui il docente conduce l’indagine, manipola l’apparato facendo domande su

cosa è successo o cosa è accaduto, aiutando gli studenti a trarre delle conclusioni

scientificamente corrette), la scoperta guidata (l’esperienza è proposta dal docente come

nella precedente, ma ed è condotta dagli studenti; è il tipo di esperienza che

tradizionalmente si fa in laboratorio), l’Inquiry guidato (gli studenti lavorano in gruppo e il

docente individua un problema e delinea un chiaro obiettivo del tipo “trova…”,

“determina…”; non ci sono risposte predeterminate e le risposte sono basate solo sul

lavoro degli studenti. Il docente dà delle direttive e/o istruzioni complete e gli studenti

sono guidati da una serie di domande fatte dal docente), l’Inquiry limitato (come il

precedente, ma gli studenti devono autonomamente progettare e condurre l’esperimento,

ma il problema da risolvere è ancora una volta posto dal docente, naturalmente questo tipo

richiede un certo grado di esperienza da parte degli studenti), Inquiry aperto (entro un

certo contesto -es. fisico- ci si aspetta che lo studente sappia proporre e portare avanti le

proprie domande di ricerca e il proprio progetto dell’esperimento, sviluppandolo

autonomamente; questo tipo di Inquiry è previsto solo per studenti molto esperienti).

L’insegnante deve decidere a che livello di Inquiry vuol far lavorare gli studenti. Il

consiglio è quello di cominciare, all’inizio del primo anno, chiamando gli studenti ad

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investigare su problemi circoscritti e semplici, che implichino solo alcune delle fasi

descritte sopra, offrendo una guida ed un supporto forti, anche con opportune

semplificazioni. L’obiettivo, però, deve essere quello di far arrivare gli allievi, nel corso

degli anni, ad investigare su problemi via via più complessi con un considerevole livello di

autonomia.

Con il Professore C. Fazio dell’Università di Palermo, nell’ambito del corso di

“Didattica ed innovazioni della Fisica”, abbiamo avuto l’occasione di aggiornarci su alcuni

programmi e dispositivi che consentono di proporre a scuola una didattica basata

sull’IBSE. Durante il corso ho potuto costituire una proposta didattica basata sull’IBSE che

ritengo possa essere riproposta in una classe terza di una scuola secondaria di secondo

grado per verificare le conoscenze acquisite in cinematica e dinamica. Un altro scopo

dell’esperienza è rendere ogni alunno parte attiva nel proprio processo di conoscenza,

facendogli contemporaneamente acquisire delle competenze legate all’analisi del moto di

oggetti e delle relative cause. Ho progettato un’esperienza di laboratorio da fare nell'ultima

fase dell'anno scolastico, il cui target sono alunni di una scuola secondaria di secondo

grado al terzo anno di Fisica che conoscono l’ambiente di laboratorio e che sono alla loro

prima esperienza Inquiry. In particolare, ho progettato un percorso da fare in laboratorio

da condursi come Inquiry guidato e l’attività su cui mi sono soffermata è incentrata sullo

studio dei grafici s-t, v-t relativi al moto di un carrello lungo un piano inclinato in funzione

dell'inclinazione.

Le situazioni di lavoro seguenti sono pensate in laboratorio e da eseguirsi in piccoli

gruppi. I prerequisiti necessari sono:

x Elementi di cinematica (moto rettilineo uniforme e uniformemente accelerato)

x Elementi di dinamica (principi della dinamica)

x Elementi di base di trigonometria

x Calcolo vettoriale

x Competenze informatiche di base (e.g. uso del foglio elettronico)

x Competenze base sul funzionamento dei dispositivi di acquisizione dati e sul

software di gestione dati acquisiti

x Elementi di Teoria degli errori

ed il materiale e gli strumenti necessari sono, per ciascun gruppo,

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x un Personal Computer

x un sistema di acquisizione dati

x un programma di acquisizione dati

x un sensore di posizione ad ultrasuoni

x un software di analisi dati

x un carrello con le ruote a basso attrito dotato di respingente magnetico

x un piano sul quale fare scorrere il carrello, dotato di staffa di bloccaggio ad un

estremo, lungo 2-3 metri

x un'asta metrica

x dei libri per variare l'angolo d'inclinazione del piano

Nell’ambito di una programmazione per competenze, ne ho introdotte alcune che,

ritengo, debbano far parte del bagaglio cognitivo di un alunno che faccia esperienza di

laboratorio in modo responsabile e nella logica dell’IBSE. Esse sono:

1. comprendere i procedimenti e le metodiche caratteristiche dell'indagine fisica;

2. saper produrre e saper usufruire di informazioni;

3. saper schematizzare situazioni reali e saper sistematizzare le conoscenze acquisite

sulla base dei dati raccolti;

4. saper lavorare in gruppo ;

5. saper individuare le variabili e relazioni significative sulla base di analisi di

sistema;

6. saper elaborare informazioni significative sulla base di tabelle, grafici e di altra

documentazione.

Mi aspetto che tali competenze possano essere acquisite tramite il raggiungimento dei

seguenti obiettivi formativi:

1. saper acquisire dati

2. eseguire operazioni fondamentali con le grandezze vettoriali

3. esprimere correttamente il risultato di una misura

4. individuare la rappresentazione grafica più opportuna per analizzare un fenomeno

5. individuare le grandezze fisiche che caratterizzano il fenomeno

6. indurre una relazione fisica dai dati disponibili

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7. riconoscere il tipo di relazione tra le grandezze fisiche rappresentate in un grafico

8. riconoscere il tipo di relazione tra le grandezze fisiche rappresentate in una formula

9. riconoscere in una legge fisica causa ed effetto

10. riconoscere le differenze tra grandezze scalari e vettoriali

11. riconoscere le grandezze definite come variazione di un’altra grandezza rispetto al

tempo

12. stabilire relazioni tra le grandezze fisiche rappresentate in un grafico.

L’indagine si articolerà in diverse situazioni di lavoro:

I. Esposizione del problema e brainstorming in laboratorio sull'osservazione del moto

di discesa e salita di un carrello lungo una guida di alluminio inclinata (1/2 h)

II. Attività in laboratorio: moto di un carrello lungo un piano inclinato e

considerazioni sul verso della velocità e dell’accelerazione (2 h)

III. Attività in laboratorio: considerazioni sul perché le accelerazioni del carrello in

salita e in discesa hanno moduli diversi tenendo fisso l’angolo d’inclinazione (1 h)

IV. Attività in laboratorio: moto di un carrello lungo un piano inclinato al variare

dell'angolo di inclinazione; calcolo di g (2 h)

V. Commento sulle relazioni consegnate dai gruppi alla fine delle attività (2 h)

VI. Test di verifica sui contenuti veicolati dalle attività (1 h)

Si chiederà agli alunni di compilare alla fine di ciascuna situazione di lavoro, un

diario di bordo; la sua lettura, alla fine di tutte le attività, consentirà di fare un confronto

diacronico sul percorso svolto dagli studenti. Esso sarà uno strumento di riflessione per

ogni allievo, ma anche uno strumento di valutazione delle competenze acquisite durante il

percorso.

Valutazione e strumenti per la valutazione

Voglio premettere che la valutazione di un’esperienza basata sull’IBSE è diversa da

quella che si farebbe se la metodologia impiegata per l’esperienza fosse quella tradizionale

sia per quanto riguarda il momento, sia per gli strumenti, sia per l’oggetto della

valutazione. In questo tipo di esperienze, il momento della verifica infatti non è solo quello

in cui l’alunno deve rispondere, oralmente o per iscritto, a domande poste dal docente; la

valutazione delle conoscenze di uno studente e della sua capacità di esprimersi in un

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linguaggio scientificamente corretto può essere fatta anche mentre questi sta discutendo

con gli altri compagni, ad esempio nella fase del brainstorming o quando confronta le

ipotesi fatte con i dati sperimentali o infine quando pone domande. La valutazione

dev’esser fatta mediante l’osservazione sistematica degli alunni, condotta avvalendosi di

check list all’uopo predisposte, mediante la lettura dei diari di bordo compilati dagli alunni

durante tutte le attività oltre che mediante la somministrazione di una prova scritta finale.

Tra gli strumenti di valutazione non sottovaluterei neanche quelli forniti dalla valutazione

tra pari e dall’autovalutazione che contemporaneamente contribuiscono anche allo

sviluppo delle capacità di analisi e di critica.

Non solo gli strumenti di valutazione, ma anche l’oggetto della valutazione sarà diverso

da quello tradizionale. Dovranno essere vagliate le conoscenze e le competenze acquisite,

tuttavia a mio giudizio, il peso maggiore dovrà essere attribuito alle seconde: verrà valutata

la capacità di analisi di una situazione, il ragionamento rigoroso o ancora la capacità di

organizzare i dati in tabelle sul diario di bordo.

Come strumenti di valutazione per le competenze prevedo di utilizzare:

x check list per osservazione sistematica in laboratorio (possibili item: Partecipazione

dell’alunno, capacità di lavorare in gruppo, uso degli strumenti, pulizia e ordine,

atteggiamento, disciplina)

x diario di bordo

x relazione finale di laboratorio secondo lo schema allegato

Come strumento di valutazione per le conoscenze prevedo di utilizzare:

x prova di verifica strutturata.

Vediamo adesso nel dettaglio come articolare ogni attività.

Situazione I (Esposizione del problema e brainstorming)

In laboratorio si dispone, su un tavolo, una guida di alluminio inclinata e si fa assistere

la classe al moto di discesa e salita di un carrellino con le ruote, lungo la guida. In questo

modo si presenta il problema che i ragazzi dovranno analizzare sperimentalmente. A questo

punto si consegna a ciascuno studente un questionario da compilare rispondendo alle

seguenti domande:

Che tipo di moto pensate che sia quello del carrello?

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Quale può essere la rappresentazione grafica in un piano s-t e v-t di questo moto?

Pensate che l’accelerazione in salita e in discesa siano uguali? Perché?

Al variare dell’inclinazione del piano, cambia qualcosa?

Quali forze pensate che agiscano sul carrello in salita e in discesa?

Questo questionario servirà per confrontare le idee espresse inizialmente con i risultati

ottenuti sperimentalmente.

Situazione II (Moto di un carrello lungo un piano inclinato)

Poiché vogliamo applicare il metodo Inquiry in una forma guidata, predisporremo

l’attrezzatura per ciascun piccolo gruppo in cui divideremo la classe (è chiaro che il

numero ottimale di elementi per gruppo è 2-3, tuttavia questo numero potrebbe variare a

seconda della disponibilità di attrezzature del laboratorio scolastico) oppure forniremo

l’attrezzatura agli alunni e diremo loro come disporla, mediante una scheda per la

configurazione del sistema che potrebbe essere la seguente:

x disporre la guida di alluminio su un tavolo,

x sotto una delle estremità porre dei libri in modo da creare un dislivello,

x porre sulla guida un carrello,

x all'estremità posta più in alto del piano inclinato porre il sensore di movimento ad

ultrasuoni e collegarlo ad un'interfaccia che raccolga i dati e li trasmetta ad un

computer su cui sia installato un programma di acquisizione dati,

x avviare il programma.

A questo punto si potrebbe consegnare agli alunni la seguente scheda di lavoro in cui

chiediamo di:

a) settare il tempo di misurazione su 40 s e la frequenza di campionamento su 30

campion./secondo,

b) avviare la misurazione,

c) far partire il carrello da una posizione intermedia tra il sensore e la staffa di

bloccaggio posizionata sulla guida, in modo che il moto non abbia inizio entro la

zona d'ombra del sensore (che include lo spazio fino a circa 30 cm dal sensore),

d) far salire e scendere più volte il carrello lungo la guida sospingendolo in alto dopo

che questo ha percorso un breve tratto in discesa, cercando di dare dei colpi non

troppo bruschi per farlo risalire,

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e) analizzare i dati acquisiti,

f) fare un confronto con le previsioni espresse nel questionario.

Chiediamo agli alunni di dedurre quali sono le variabili significative coinvolte, le

relazioni fra esse e di annotare le riflessioni elaborate in gruppo sul diario di bordo. A

questo punto, facciamo fare agli alunni un’ analisi dei grafici delle due funzioni s(t) e v(t).

La schermata che essi visualizzeranno sarà simile a quella in Figura 1.

Figura 1 Domandiamo poi:

nel grafico della posizione in funzione del tempo, quali tratti rappresentano un moto di

salita e quali uno di discesa? Perché?

Perché parte del grafico della velocità in funzione del tempo si trova nel semipiano delle v

negative?

In seguito potremmo far fare l’analisi di un tratto di grafico:

Figura 2 Legge oraria di tipo parabolico

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Figura 3 Relazione tra velocità e tempo di tipo lineare

A questo punto si possono confrontare i grafici ottenuti con le leggi studiate in

cinematica

s=s0+v0(t-t0)+1/2 a(t-t0)2

v=v0+a(t-t0)

e un confronto dei grafici ottenuti con le previsioni fatte rispondendo al questionario. I

grafici sperimentali sembreranno essere in accordo con le previsioni fatte: ci aspettiamo

infatti che gli studenti prevedano accelerazioni uguali in salita e discesa.

Situazione III (Confronto tra le accelerazioni in salita e in discesa e analisi)

Sempre nella logica dell’Inquiry guidato indirizziamo l’indagine degli alunni chiedendo

di eseguire due fit curvilinei distinti su due tratti apparentemente simmetrici del grafico s-t,

come in Figura 4, analizzando una salita e una discesa.

Figura 4

Dal fit curvilineo separato sui due rami di parabola si evince che non si tratta di

un’unica parabola. Chiediamo poi di eseguire due fit distinti su due tratti del grafico v(t) in

corrispondenza dello stesso intervallo di tempo (cfr. Figura 5).

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Figura 5

Dal fit lineare separato sui due tratti di retta si evince che non si tratta di un’unica retta.

Si chiede di fare un calcolo delle accelerazioni in salita e in discesa. Esse sono diverse.

Ad esempio, nel caso riportato in figura 5, ho ottenuto in discesa un valore: ad=

0.519±0.003 m/s² e in salita: as=0.578±0.005 m/s².

Ripetendo la misurazione 10 volte, si ottengono un valore medio dell’accelerazione in

salita e uno di quella in discesa che risulteranno essere diverse.

Domandiamo ora: cosa vuol dire, secondo la dinamica, che le accelerazioni sono

diverse? A questo punto, se i nostri studenti hanno compreso bene la dinamica,

risponderanno facilmente che le accelerazioni sono diverse perché le forze che agiscono in

salita e in discesa sono diverse.

Domandiamo agli studenti:

x quali forze entrano in gioco in salita e quali in discesa?

x Perché l’accelerazione in salita del carrello è maggiore che in discesa?

x Sul carrello agiscono altre forze oltre alla forza peso?

x Che verso ha la forza che agisce sul carrello in salita? E in discesa?

x Cosa vi aspettate che succeda se si varia l’angolo di inclinazione del piano?

Si lascia che essi prendano nota delle domande e delle risposte date sul diario di bordo.

Il docente costruisce lo schema delle forze che agiscono sul corpo in discesa e in salita

(cfr. fig. seguenti).

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Nell’esperimento condotto la lunghezza del piano era l=(228.4±0,1)cm e l’altezza del

punto più alto del piano rispetto al piano orizzontale era h=(11.8±0,1)cm; ho ricavato, in

corrispondenza di T (con senT =[(11.8)/(228.4)] ± 6108 �� m):

in salita: g sen T + Fa = 0.578±0.005 m/s²

in discesa: g sen T - Fa = 0.519±0.003 m/s² .

Da queste relazioni si evince che le due fasi, di salita e di discesa, sono effettivamente

diverse, nel senso che le forze agenti sul carrello non sono sempre dirette nello stesso

verso. In particolare, è possibile eliminare i termini relativi alla forza di attrito,

semplicemente calcolando la semisomma delle accelerazioni medie sperimentalmente

misurate in salita e in discesa:

(adm + asm)/2 = g sen T.

Risulta che tale valore della semisomma delle accelerazioni è proporzionale al seno

dell’angolo di inclinazione del piano.

Situazione IV (Misure con angoli diversi: determinazione di g)

Invitiamo gli studenti a

1. ripetere la misure facendo variare l’angolo 4 volte, in modo da avere 5 set di dati

corrispondenti ad angoli diversi.

2. calcolare, per ogni angolo, il valore della semisomma delle accelerazioni medie in

salita e in discesa.

3. realizzare un grafico dei punti (sen T , (adm + asm)/2) ottenuti (ovviamente la relazione

tra i valori è di proporzionalità diretta, con coefficiente angolare g)

4. eseguire un fitting lineare

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Chiediamo: cosa rappresenta la pendenza della retta? Confrontate il valore trovato con il

valore noto della accelerazione di gravità.

Situazione V (Confronto tra risultati ottenuti dai gruppi e confronto con le previsioni)

Invitiamo i ragazzi a riferire agli altri compagni le considerazioni fatte e ciò che è

emerso durante le varie attività, ciò che è andato bene e ciò che poteva essere fatto meglio.

Chiediamo a ciascuno, inoltre, di fare un confronto tra le previsioni espresse nel

questionario con i risultati ottenuti sperimentalmente.

Situazione VI (Prova di verifica sui contenuti)

Vedi questionario allegato.

Conclusioni

Ritengo che quest’esperienza sia spendibile in tutte le scuole secondarie di secondo

grado che possiedono un laboratorio dotato della strumentazione necessaria e che possa

costituire un buon avviamento alla metodologia su cui è fondata. Il metodo IBSE poi, non

richiede in linea di principio, nessuna strumentazione particolare, ne segue che si

potrebbero progettare (altre) esperienze basate sull’utilizzo di materiale povero e

reperibile in ogni casa. Voglio fare poi un’ultima osservazione: il metodo IBSE richiede un

impegno più grande in termini di ore, sia in per la progettazione da parte del docente, sia in

termini di ore di lezione da impiegare per portare a termine tutte le attività; tuttavia io sono

convinta che “less is more” (riprendendo in contesto diverso Mies van der Rohe): meglio

apprendere bene pochi concetti ed averne padronanza che ricordare per un breve periodo

della propria vita molte nozioni apprese in modo esclusivamente teorico.

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Schema della relazione finale dell’esperienza in laboratorio

TITOLO DELL'ESPERIMENTO

SCOPO DELL'ESPERIMENTO

MATERIALI E STRUMENTI UTILIZZATI

COSA SI È FATTO

DATI RACCOLTI E LORO ELABORAZIONE

RISULTATI DEGLI ESPERIMENTI

EVENTUALI ERRORI COMMESSI DURANTE LE ATTIVITÀ

CONCLUSIONI

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Griglia di valutazione della relazione finale di laboratorio

DESCRITTORI

V O T I

Conoscenza dei

contenuti

principi, concetti, leggi, e procedure per

l’elaborazione dati

Relazione

scritta linguaggio

specifico e simbolico ordinato, sintetico e

preciso

Capacità di analisi e di collegamento

fra fatti

Conoscenza delle fasi del metodo

scientifico

1

Nessuna

Non consegnata

Non rilevabili

Non rilevabile

2

Sporadiche

Non valutabile

Sporadiche e incoerenti

Non rilevabile

3

Scarsa e non corretta

Confusa e imprecisa

Scarse e per lo più non

corrette

Non rilevabile

4

Incomplete e per lo più non

corrette

Imprecisa in molti casi

Imprecise anche quelle

riguardanti le conoscenze fondamentali di base

Inadeguata alle richieste

5

Corrette ma solo se l’allievo

viene guidato

Imprecisa in molti casi

Incerte anche nei casi più

elementari.

Adeguata solo se l’allievo

viene guidato

6

Corrette e complete

solo le conoscenze minime fondamentali

Precisa

solo in alcuni punti

Corrette nei casi elementari

Fondamentali

Adeguata nei casi poco

complessi

7

Corrette e complete

Precisa

Corrette nei casi elementari

Adeguata nei casi poco

complessi

8

Corrette, complete e in alcuni casi approfondite

Precisa

Corrette anche nei casi di

nuova applicazione.

Adeguata ed autonoma in alcuni casi complessi

9

Corrette, complete e

approfondite in molti casi

Precisa ed efficace

Corrette anche nei casi di

nuova applicazione.

Adeguata ed autonoma in molti casi complessi

10

Corrette, complete e

autonomamente approfondite in ogni caso

Precisa ed efficace

Corrette anche nei casi di

nuova applicazione.

Adeguata ed autonoma

in ogni caso

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Questionario di verifica

(Per ciascuna risposta corretta verrà attribuito il punteggio di 1; in caso di risposta errata o mancante verrà attribuito 0)

1) Nel Sistema Internazionale la forza si misura in:

� newton.

� dine.

� chilogrammi-forza.

� watt.

2) Se vediamo un oggetto muoversi a velocità costante vuol dire che:

� non ci sono forze applicate all’oggetto.

� la somma dei moduli delle forze applicate all’oggetto è nulla.

� la somma vettoriale delle forze applicate all’oggetto è nulla.

� l’accelerazione varia linearmente in funzione del tempo.

3) Le forze d'attrito tra due superfici sono causate:

� dal fatto che le due superfici sono di materiale diverso.

� dall'interazione elettromagnetica tra gli atomi delle due superfici a contatto.

� dall’interazione gravitazionale fra le due superfici.

� dal fatto che non c’è un mezzo lubrificante fra i due corpi.

4) L'accelerazione di un corpo che scende lungo un piano inclinato è opposta alla sua

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velocità

� nel tratto di salita.

� nel tratto di discesa.

� nel tratto di salita e di discesa

� né nel tratto di salita né in quello di discesa.

5) Se vogliamo trascinare a velocità costante un oggetto inizialmente fermo, dovremo

applicare una forza:

� maggiore all'inizio, per metterlo in moto; poi possiamo applicare una forza minore per continuare a spostarlo.

� soltanto all'inizio, per metterlo in movimento; poi possiamo continuare a spostarlo senza applicare alcuna forza.

� minore all'inizio, per metterlo in moto, rispetto a quella che va applicata poi per continuare a spostarlo.

� costante nel tempo, purché sia superiore alla forza di attrito statico.

6) L'accelerazione di un corpo che scende, in assenza d’attrito, lungo un piano inclinato si

ottiene dividendo quale forza per la massa dell'oggetto?

� La componente della forza-peso dell'oggetto parallela al piano inclinato.

� La componente della forza-peso dell'oggetto diretta verso il basso.

� La forza-peso dell'oggetto.

� La componente della forza-peso dell'oggetto perpendicolare al piano inclinato.

7) Perché diciamo che le forze sono grandezze vettoriali?

� Perché in questo modo abbiamo una regola per trovare la somma di più forze.

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� Perché per descrivere una forza è necessario specificarne direzione e verso, oltre all'intensità.

� Perché tutti gli esperimenti indicano che esse si sommano come vettori.

� Perché così è possibile rappresentarle con una freccia.

8) Se non esistessero forze d'attrito:

� potremmo camminare senza muovere le gambe.

� non riusciremmo a camminare.

� potremmo camminare molto più in fretta.

� per camminare faremmo molta meno fatica.

9) Se si vuole far risalire un corpo a velocità costante lungo un piano inclinato, in assenza

di attriti, la forza che occorre applicargli durante la risalita:

� è tanto minore quanto più ripido è il piano inclinato.

� è indipendente dalla pendenza del piano inclinato.

� è tanto maggiore quanto più ripido è il piano inclinato.

� è indipendente dalla massa del corpo.

10) L'accelerazione con cui (in assenza di attriti) un corpo qualunque scende lungo un

piano inclinato di altezza p e lunghezza q è:

� a = gsenș

� a = g/senș

� a = g/cosș.

� a = gcosș.

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CONCLUSIONI

Nella prima parte del mio Tirocinio Formativo Attivo ho avuto occasione di conoscere

delle discipline che non avevo mai studiato come la pedagogia, la docimologia e la

metodologia didattica e le tecnologie per l’istruzione e che sono parte fondamentale del

bagaglio di conoscenze di chi, come me, vuole diventare un insegnante. Il tirocinio diretto

mi ha consentito di mettere in pratica le conoscenze acquisite durante i corsi che lo hanno

preceduto e mi ha offerto la possibilità di confrontarmi più da vicino con la realtà della

scuola conosciuta, fino ad allora solo da studente e, come aspirante docente, in via del tutto

teorica. Una cosa che mi è molto piaciuta di quest’esperienza è stata la naturalezza con cui,

in poche settimane, ho costruito un bel rapporto con il mio tutor e con le classi nelle quali

ho avuto la possibilità di portare avanti la mia osservazione. La serie di lezioni seguite

durante il tirocinio indiretto mi ha informato sui principali compiti di un insegnante, sui

suoi diritti, sui suoi doveri, mi ha fatto riflettere su come si può fare didattica a scuola,

sull’importanza del laboratorio, sulle scelte che deve compiere un docente. Purtroppo, per

questioni di tempo, abbiamo dovuto svolgerlo contemporaneamente a quello diretto,

tuttavia sarebbe stato più interessante e più utile, al fine di fare un’esperienza ancora più

consapevole a scuola, parlare di certe problematiche o di certi temi prima di cominciare il

tirocinio diretto. Infine, le materie disciplinari mi hanno consentito di conoscere e

approfondire determinati aspetti della didattica della matematica e della fisica, come ad

esempio la possibilità di introdurre alcuni argomenti mediante un approccio storico oppure

costruttivista, mi hanno consentito di riflettere su alcune difficoltà che la didattica (anche

quella laboratoriale) comporta e ancora mi hanno permesso di venire a conoscenza di

metodologie didattiche, come quella dell’Inquiry Based Science Education (IBSE), che

consentono di far acquisire agli studenti delle competenze simili a quelle di chi fa ricerca

scientifica, dunque competenze spendibili nel mondo del lavoro.

La stesura di questa relazione poi, mi ha permesso di riflettere ancora meglio su quello

che ho imparato, con la pratica o dalla teoria, mediante questo corso di abilitazione

all’insegnamento.

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

S.Bertuglia, M.Scarcella Tirocinio Formativo Attivo - Imparare ad insegnare...insegnare ad imparare Edizione Simone 2012

Donovan, Bransform How Students Learn: History, Mathematics, and Science in the Classroom. The National Academies Press (2005)

Work Package 3 Report: Guide for developing ESTABLISH Teaching and Learning Units (Project No. 244749)

http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/costituzione.htm

http://archivio.pubblica.istruzione.it/riforma_superiori/nuovesuperiori/index.html

http://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/allegati/all2_dm139new.pdf

http://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2009/allegati/cm16_09.pdf

http://www.liceoggalileipalermo.it/attachments/079_POF-2012-13.pdf

http://lascuolaconvoi.it/nuova-didattica/index.php?i_tree_id=217 (PCK)

http://banner.orizzontescuola.it/decreto-interministeriale-211-del-7-ottobre-2010-indicazioni-nazionali-per-i-licei.pdf

http://www.aif.it/CETERA/nuclei.pdf

L’ultima consultazione di tutte le pagine web elencate sopra risale al 06/07/2013.