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XVII Congresso Nazionale della CGIL - VIII Congresso della Camera del Lavoro di Como Serve un'altra Europa Il nostro 17° congresso si svolge nel corso della più lunga e devastante crisi che ha attraversato il paese da oltre un secolo. Abbiamo svolto il congresso precedente, 4 anni fa, immaginando una ripresa che non è mai arrivata, gli effetti della crisi hanno segnato il nostro modo di essere, il nostro agire quotidiano, hanno modificato abitudini, prospettive e compromesso la speranza per il futuro ad un'intera generazione di giovani. Le analisi e le ricette messe in campo fino ad oggi, si sono dimostrate sbagliate e ininfluenti rispetto alle prospettive di un'uscita dalla crisi, probabilmente è innanzitutto necessario prendere atto che è improprio definire ciò che è accaduto come una crisi. Ci troviamo infatti di fronte ad un cambiamento epocale che ha modificato le teorie e gli stessi paradigmi dell'economia. E io credo che il paradigma che va messo in discussione, senza sconti, con il coraggio necessario, sia quello neoliberista. Registriamo il fallimento dell'idea delll'autoregolamentazione dei mercati, della loro perfetta razionalità ed efficienza. Se non si parte dalla presa d'atto di ciò, rischiamo un ulteriore avvitamento, bisogna ripensarci, immaginare un'idea diversa di sviluppo, di produzione e di consumo. Iniziando magari dalla messa in discussione in maniera radicale di due santuari ideologici che hanno cristallizzato la discussione politica negli ultimi vent'anni. Il primo, l'idea malata, sbagliata e alla luce dei risultati, priva di alcun fondamento, che bastasse mettere mano alle regole del mercato del lavoro per crearlo il lavoro. Il Paese è stato lacerato a più riprese con strappi e controriforme che hanno prodotto 3 milioni di disoccupati e 3 milioni di scoraggiati, persone, in grande parte giovani e donne che il lavoro non lo cercano nemmeno più. Il secondo, l'idea altrettanto catastrofica, che precarizzando il mercato del lavoro questo avrebbe prodotto più opportunità per tutti. I dati OCSE ci di dicono che dal 1990 ad oggi, a fronte di un indice di protezione del lavoro che è passato da 3,57 a 1,89, quindi praticamente dimezzandosi, cosa avvenuta solo in Italia, nello stesso tempo la produttività del lavoro che nel 1994 era pari a 4 punti è oggi crollato a un -1, un vero e proprio 1

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XVII Congresso Nazionale della CGIL - VIII Congresso della Camera del Lavoro di Como

Serve un'altra Europa

Il nostro 17° congresso si svolge nel corso della più lunga e devastante crisi che ha attraversato il paese da oltre un secolo.Abbiamo svolto il congresso precedente, 4 anni fa, immaginando una ripresa che non è mai arrivata, gli effetti della crisi hanno segnato il nostro modo di essere, il nostro agire quotidiano, hanno modificato abitudini, prospettive e compromesso la speranza per il futuro ad un'intera generazione di giovani.Le analisi e le ricette messe in campo fino ad oggi, si sono dimostrate sbagliate e ininfluenti rispetto alle prospettive di un'uscita dalla crisi, probabilmente è innanzitutto necessario prendere atto che è improprio definire ciò che è accaduto come una crisi.Ci troviamo infatti di fronte ad un cambiamento epocale che ha modificato le teorie e gli stessi paradigmi dell'economia.E io credo che il paradigma che va messo in discussione, senza sconti, con il coraggio necessario, sia quello neoliberista.Registriamo il fallimento dell'idea delll'autoregolamentazione dei mercati, della loro perfetta razionalità ed efficienza.Se non si parte dalla presa d'atto di ciò, rischiamo un ulteriore avvitamento, bisogna ripensarci, immaginare un'idea diversa di sviluppo, di produzione e di consumo.Iniziando magari dalla messa in discussione in maniera radicale di due santuari ideologici che hanno cristallizzato la discussione politica negli ultimi vent'anni.Il primo, l'idea malata, sbagliata e alla luce dei risultati, priva di alcun fondamento, che bastasse mettere mano alle regole del mercato del lavoro per crearlo il lavoro.Il Paese è stato lacerato a più riprese con strappi e controriforme che hanno prodotto 3 milioni di disoccupati e 3 milioni di scoraggiati, persone, in grande parte giovani e donne che il lavoro non lo cercano nemmeno più.Il secondo, l'idea altrettanto catastrofica, che precarizzando il mercato del lavoro questo avrebbe prodotto più opportunità per tutti.I dati OCSE ci di dicono che dal 1990 ad oggi, a fronte di un indice di protezione del lavoro che è passato da 3,57 a 1,89, quindi praticamente dimezzandosi, cosa avvenuta solo in Italia, nello stesso tempo la produttività del lavoro che nel 1994 era pari a 4 punti è oggi crollato a un -1, un vero e proprio tracollo, che ha trascinato con se anche effetti di natura sociale sulle prospettive del futuro dei giovani oltre ad un collasso dei consumi interni, vera attuale ragione della spirale recessiva in cui ci troviamo.Senza una riflessione di questa portata, senza un'orizzonte di natura strategica ogni soluzione rischia di farci fare un passo in più nella direzione sbagliata.Noi, la CGIL, con il Piano del Lavoro, abbiamo provato, unici tra tutti, a cimentarci con tale prospettiva, abbiamo sviluppato un'analisi, un punto di vista, con progetti, soluzioni, reperimento di risorse, tale lavoro poco conosciuto tra i più, costituisce per noi la base di partenza su cui tentare la svolta di cui il paese ha bisogno.Tale riflessione non può che partire dall'Europa, dal suo ruolo e dalla scelta, che noi consideriamo irreversibile di adesione alla comunità europea.Ma dobbiamo sapere ed essere consapevoli che per la prima volta dalla sua costituzione, ad essere messa in dubbio in termini di prospettive è l'esistenza stessa di tale progetto, non ci troviamo di fronte ad una delle tante crisi politiche con cui l'unione si è cimentata in questi decenni, la crisi ed il peggioramento delle condizioni materiali di vita di milioni di cittadini europei rischia di far deflagrare l'essenza stessa dell'unione europea.Un'idea cieca ed esclusivamente monetaria e rigorista rischia nelle prossime elezioni di segnare un punto di non ritorno, vanificando gli sforzi di quasi mezzo secolo.

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Ma per uscire da questa situazione non sono più sufficienti retorici richiami al ruolo dell'Europa, troppo spesso l'Europa è considerata, con qualche ragione, matrigna, un'entità che si occupa solo di rigore, spesso cieco, e di far quadrare i conti.Noi siamo consapevoli che fuori dall'Europa non ci sono prospettive di miglioramento, ma è necessario che l'Europa ritrovi la sua anima, un'anima che non può più essere solo monetaria, ma che ponga al centro un'idea di progresso, di sviluppo, che recuperi le sue straordinarie vocazioni di solidarietà, di welfare universale seppure riformato, bisogna invertire la rotta, farlo presto, prima che sia troppo tardi.E' necessario recuperare lo spirito dei padri fondatori, recuperando un'audace visione del futuro, le tragiche vicende in Ucraina dei giorni scorsi hanno per l'ennesima volta posto all'attenzione di tutti noi il vero problema.Il problema di un'unione europea senza politica, senza visione, inascoltata e ininfluente, dove le nazioni si illudono di poter fare da sole mettendo in luce limiti ormai imbarazzanti.

Situazione a Como

La provincia di Como, come la maggior parte delle aree ad elevata vocazione manifatturiera italiana, negli ultimi anni ha risentito in misura pesante dell'andamento economico negativo sia a livello interno che internazionale; la crisi, iniziata nel 2008, si è inserita in un contesto già in difficoltà per la crescente competizione internazionale, coinvolgendo soprattutto i settori storicamente presenti nel territorio (tessile, legno-arredo, metalmeccanico)Inoltre, le caratteristiche del tessuto imprenditoriale non hanno aiutato a contrastare la crisi, l'elevata frammentazione con l'87% di imprese sotto i 5 addetti, che in altri momenti ha costituito un punto di forza del sistema, ha invece questa volta mostrati i propri limiti.Soprattutto in una situazione di mercato interno in caduta libera, non sempre le stesse imprese si sono dimostrate adeguate ad affrontare processi di internazionalizzazione.Nonostante ciò, la nostra provincia, in particolare negli ultimi periodi fa registrare evidenti capacità di adattamento e di reinterpretazione della propria vocazione.I dati del censimento 2011, ci consegnano una realtà in forte evoluzione, che nonostante un pesante ridimensionamento, mantiene la provincia di Como uno dei principali comprensori a vocazione manifatturiera.Como dal 2001 al 2011, ha perso nel settore manifatturiero circa 20.000 addetti, a cui se ne sommano altri 3.000 circa fino al 2013, mentre la perdita complessiva in termini di occupati è stata di circa 11.500 addetti, che a Como sono circa 166.000.Questi dati hanno portato il peso del settore manifatturiero in termini di addetti a passare dal 53,3% del 2001 al 45,5% del 2011, contro una media nazionale del 23,7%.Le stesse fonti ci dicono che mentre rimane sostanzialmente invariato il peso del commercio e del turismo, con un più 0,7%, si registrano crescite importanti nei servizi alle imprese +6,6% e i servizi alla persona con un + 2%.Il capitolo più doloroso è quello relativo all'occupazione, dal 2008 il tasso di disoccupazione è sostanzialmente raddoppiato, viaggia oggi intorno all'8%, ma a ciò si aggiungono circa 10.000 persone, pari al 5,5% degli occupati, posti in cassa integrazione, per la maggior parte dei casi con poche possibilità di rientro.L'utilizzo degli ammortizzatori sociali ha continuato, anche nel 2013 a far registrare numeri record, nonostante si sia registrata una diminuzione complessiva intorno al 6% sul 2012, le ore di cassa autorizzate sono state pari a 19.500.000 ore.

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Per dare il senso di ciò che sta succedendo basti dire che nel 2007, ultimo anno pre-crisi, l'utilizzo di ammortizzatori in provincia fu di circa 3.000.000 di ore.E' quindi abbastanza realistico parlare di una percentuale di disoccupati intorno all' 11%.Un dato pesantissimo e senza precedenti per il nostro territorio.

Cosa fare

È anzitutto necessario intervenire per garantire la coesione sociale della comunità comasca, cercando di attivare tutte le risorse territoriali per prendersi cura dei problemi e delle preoccupazioni di chi si trova in condizione di disagio o di svantaggio.Per contrastare tale situazione e supportare la ripresa economica è necessario intervenire valorizzando tutte le opportunità disponibili.In questi anni abbiamo, tutti, lavorato con un grande equivoco sullo sfondo.E' passata l'idea, priva di ogni fondamento logico, di considerare la tenuta sociale del Paese come un dato acquisito, come qualcosa di consolidato a prescindere.Gli ultimi segnali che stanno emergendo con grande evidenza, sottolineano come siamo ormai vicini ad un punto di rottura, ci troviamo in presenza di equilibri ormai fragilissimi, con migliaia di persone che soffrono e non ce la fanno più anche nel nostro territorio.Bisogna avere la consapevolezza che se la situazione dovesse degenerare, come avvenuto in situazioni analoghe in altri paesi d'Europa, ciò pregiudicherebbe qualsiasi possibilità di affrontare i nodi veri del Paese.Se la situazione dovesse degenerare in problemi di ordine pubblico, e qualche segnale inizia ad affacciarsi, ciò toglierebbe spazi, energie e risorse per occuparci delle azioni necessarie ad uscire dal guado.Questa è una priorità ineludibile e non può essere considerata materia solo nostra e delle tante associazioni di volontariato che cercano con sempre maggiori difficoltà di lenire il disagio crescente.

A Como opera dal 2008 il Tavolo per la Competitività e lo Sviluppo della Provincia di Como (che riunisce gli operatori sociali economici e politici dal dicembre 2008) che svolge un ruolo centrale per un progetto condiviso di sviluppo.Tale esperienza, che è nei fatti diventata un luogo di “pensiero lungo”, sulle prospettive economiche locali, ha anche svolto a più riprese una funzione di supplenza di altri ambiti a partire da quello politico, in molti casi disattento a tali problemi, ciò ha spesso prodotto frizioni e incomprensioni ma crediamo che tale esperienza vada consolidata, rafforzata e difesa, in più, e la avanzo come proposta approfittando del congresso, anche per le ragioni che ho provato a spiegare in precedenza sarebbe utile, anche come segnale di attenzione, prendere in considerazione l'idea di mutare la definizione di questo luogo di confronto, facendolo diventare” il tavolo per la competizione, lo sviluppo e la coesione sociale”Anche in tale prospettiva,nel novembre 2012, il Tavolo ha elaborato un proprio documento sulla coesione sociale nel quale ha sottolineato quanto fosse importante lo “sforzo congiunto di tutti gli attori del territorio” e ha proposto una lista di azioni volte al sostegno dei soggetti più deboli e delle aziende, in accordo con il sistema bancario e con i Confidi del territorio.Tali azioni prevedevano una mappatura delle reali situazioni di disagio economico e sociale presenti sul territorio, che sapesse evidenziare anche eventuali disparità presenti e

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consentisse di guidare ed indirizzare in sinergia le risorse materiali, umane e monetarie disponibili, coordinando la ricca rete di operatori istituzionali e del terzo settore.L'ampliamento dei soggetti bancari disponibili all'anticipo degli ammortizzatori sociali non anticipati dai datori di lavoro (cassa integrazione straordinaria e in deroga).La costituzione di uno specifico Fondo a sostegno delle aziende neo costituite di lavoratori espulsi dai processi produttivi e di soggetti imprenditoriali che hanno chiuso la propria attività a seguito della crisi.La promozione di convenzioni con istituti di credito per l'erogazione di micro-crediti a lavoratori espulsi dal lavoro e/o soggetti imprenditoriali in crisi.Nella stessa occasione il Tavolo ha condiviso l'attivazione di un Fondo di Solidarietà, frutto di contributi volontari, per affrontare le situazioni di disagio e predisporre nuovi percorsi di ricollocamento dei soggetti che hanno perso lavoro.Su quest'ultimo progetto in particolare, dobbiamo registrare difficoltà impreviste, dove a fronte di risorse disponibili, per intoppi di natura burocratica, il progetto sta segnando il passo, confermando il bisogno di intervenire sui meccanismi burocratici di un Paese che rende difficile la vita anche a chi vuol far del bene in modo disinteressato.

Preservare le eccellenze e i distretti

Como è l'esempio di come sia del tutto improprio, quando si parla di attività economiche, parlare di settori maturi.Un settore diventa maturo quando si smette di investire, di fare ricerca, di credere in un progetto e nel futuro.Da questo punto di vista l'esperienza del distretto tessile comasco è davvero emblematica.Un settore, quello tessile, dato per morto almeno 3 volte negli ultimi 20 anni, sta invece dimostrando capacità di reazione e di ripresa straordinarie.Ciò grazie alla capacità del sistema di riformarsi, di investire e di orientarsi verso una fascia alta del mercato, dove la creatività, l'esperienza e il saper fare, si stanno dimostrando carte vincenti ed esclusive.A questo si aggiunge l'intuizione di preservare la filiera produttiva nella sua interezza, garanzia questa di mantenere sul territorio le competenze necessarie ad operare e a saper rispondere a un mercato in rapida trasformazione.Ragionamento analogo potrebbe essere fatto per il distretto dell'arredo.Un distretto che ha saputo seppure a prezzo di pesanti ridimensionamenti, mantenere un'importante integrazione, tra le attività di produzione di altissima fascia, con capacità artigianali uniche unite agli aspetti creativi e del design che da sempre sono la carta vincente del distretto.Naturalmente, anche in questi casi, non si può dare nulla per scontato, la crisi ha effettuato una selezione drastica e in qualche caso spietata nei settori.Molte realtà, anche importanti, sono uscite di scena, ciò in qualche caso ha prodotto la perdita e la dispersione di un patrimonio di conoscenze e competenze difficili da recuperare.E' necessario che gli attori economici ed istituzionali si confrontino rapidamente, per evitare che tali processi possano mettere in discussione questo valore aggiunto che ha fatto la storia dell'economia comasca.

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Semplificare la burocrazia

Da tempo, come noto, assistiamo in provincia di Como ad un'esodo di attività industriali, anche significative, presso altri paesi.In alcuni casi ciò avviene su produzioni a scarso valore aggiunto, cercando riduzioni di costi, ma spesso ultimamente, abbiamo assistito a trasferimenti di imprese o a nascite di nuove imprese italiane nel vicino canton Ticino.Ciò avviene quasi sempre, non per costi del lavoro più basso, condizione questa non presente oltre il confine, ma a causa dei livelli di tassazione e soprattutto per le difficoltà di natura burocratica che si incontrano da noi.Questo, va detto con forza, è un lusso che soprattutto in questa situazione, non ci possiamo più permettere.E per chi tra noi ha avuto a che fare, magari anche solo per una pratica di piccoli interventi edilizi sa quanto queste critiche siano fondate, è necessario immaginare processi di semplificazione e di sburocratizzazione, non solo a vantaggio delle imprese ma anche dei cittadini tutti, è necessario non solo per le ragioni che ho detto, ma anche perché in un sistema burocratico troppo complesso e a tratti vessatorio, alla fine è più facile e probabile cercare le scorciatoie che creano i problemi di legalità, che è uno dei drammi di questo paese.

La vocazione turistica e il paesaggio.

La Provincia di Como gode di una dotazione paesaggistica, artistica, storica e culturale di alto livello. Un patrimonio da salvaguardare e potenziare anche per le sue potenzialità economiche derivanti dal turismo culturale e commerciale. Il turismo commerciale in aggiunta a quello culturale e del tempo libero, è un settore con ulteriore margine di acquisizione; il PGT di Como,deve contribuire con un sistema alberghiero e della accoglienza di maggiore qualità. La via d’acqua costituita dal “lago di Como” è largamente sottoutilizzata per il trasporto merci e persone che si riversano sulle vie stradali con pesanti fenomeni di ingorghi. La navigazione attualmente è limitata al traffico turistico con evidenti perdite di potenzialità. Collegare la navigazione alle stazioni ferroviarie di Como Lago e Como San Giovanni significherebbe sviluppare una potenzialità armonica del territorio lariano verso Milano e la Svizzera

Occorre inoltre creare percorsi culturali storici, ma anche artistici come quello per esempio sul razionalismo o di collegamento tra le varie chiese che sono presenti nel territorio e alle ville lariane ,assieme ad un trasporto pubblico efficiente e a una messa in rete di tutti gli organismi e le associazioni che sono presenti nel territorio che propongono e organizzano, spesso in modo scoordinato, attività culturali, ego-gastronomiche , ricreative e sportive.Ciò più che richiedere grossi investimenti economici, richiede una capacità organizzativa e di regia degli enti pubblici oggi poco coordinati e con idee spesso confuse e incapaci di fare sistema.

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Occorre incentivare il turismo giovanile ed alternativo al tradizionale ,attraverso una valorizzazione di una ricettività non solo alberghiera, con la costruzione di nuovi ostelli e di aree attrezzate per la sosta dei camper e di attracchi per le barcheValorizzare anche turisticamente le montagne, l'alta via Lariana per permettere oltre che uno sviluppo economico legato al turismo di rivalutare l'ambiente montano , la sua fauna e le tradizioniSegnali positivi si sono avuti negli ultimi anni, la provincia di Como ha registrato un notevole aumento di agriturismi, di riapertura di vecchie vie e di alpeggiIl potenziamento della mobilità dolce e del verde pubblico con la specificità dei parchi presenti in provincia , la messa in rete di esperienze e avvenimenti che vi si svolgono, un marketing specifico potrebbe permettere di accogliere sempre di più chi si rivolge ad un turismo più attento all'ambiente

La bellezza del contesto ambientale si accompagna ad una forte a vocazione imprenditoriale ed una tensione alla qualità ed all’estetica, che permea anche l’attività di impresa. Insieme questi due elementi potrebbero insieme consentire di costituire una sorte di distretto del bello, e sostenere un’azione di marketing territoriale finalizzata all’insediamento di nuove imprese.

Il capitale umano

In una fase come quella che stiamo vivendo, le fortune di un territorio vengono inevitabilmente segnate, in positivo come in negativo, dalla capacità di attrarre investimenti.Tale capacità di attrazione è ovviamente determinata dal contesto di riferimento, ed il fattore che è da considerarsi vincente nel futuro sarà quello della qualità del capitale umano.Quando si parla di capitale umano, si fa riferimento ad un insieme di fattori, tra essi complementari che ne determinano il valore: qualità della vita, benessere culturale, livello formativo, dotazione di infrastrutture, buone relazioni sindacali, efficienza della pubblica amministrazione, qualità dell'ambiente e del paesaggio, solo per fare alcuni esempi.Il nostro territorio presenta luci ed ombre, da una parte Como e la sua provincia presentano un dato preoccupante legato all'invecchiamento della popolazione.Dato non preoccupante in se, ma che lo diventa in assenza di un grado elevato di progettualità per un invecchiamento attivo, che può costituire, come avviene in molti casi, un valore aggiunto.A questo si aggiunge una difficoltà elevata per i giovani a rendersi autonomi, a reperire un'abitazione a prezzi compatibili e di conseguenza a costruirsi un futuro e a fare una famiglia.Esiste poi il tema immigrazione, lo inserisco, lo faccio volutamente, nella parte relativa al capitale umano, in quanto credo sia questo il giusto approccio alla questione.Continuare ad affrontare la questione immigrazione, come continua ad avvenire nel nostro paese, come un aspetto di ordine pubblico e di consenso politico, ha impedito di affrontare il tema in termini di prospettiva cercando di governarlo, e ciò è avvenuto in queste forme solo in Italia.Ci troviamo ormai in presenza di un dato consolidato, fisiologico e, piaccia o no, assolutamente irreversibile , e i dati sull'invecchiamento della popolazione ci dicono anche

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che noi abbiamo bisogno di questi nuovi cittadini, ciò che manca sono politiche serie di integrazione e di accoglienza che spesso producono esisti opposti a quelli che i rigoristi si propongono, disincentivando a venire in Italia profili e figure professionali di cui avremmo grande bisogno e che rinunciano per un clima spesso ostile.E quando si parla di capitale umano, ovviamente, il tema della scuola della formazione e dell'Università hanno un ruolo determinante.A Como ci sono le condizioni potenziali perché si costruisca un sistema formativo che possa rispondere alle esigenze del territorio, esistono già scuole, enti, istituti, che si caratterizzano per la qualità dell'offerta formativa. Esistono esperienze di collaborazione tra scuole secondarie di secondo grado e associazioni imprenditoriali finalizzate alla creazione di percorsi formativi che da un lato consentono la creazione di modelli didattici di alternanza scuola-lavoro e dall'altro consentono all'azienda l'assunzione di personale già formato. Pensiamo all'esperienza del Setificio Paolo Carcano (qui, adiacente al Politecnico) e alla Fondazione Setificio fondata dall'associazione ex-allievi. Una collaborazione che si pone come obiettivo la formazione continua in ambito tessile e nei settori ad esso collegati, nonché come ponte tra scuola e mondo imprenditoriale.Un'esperienza simile è quella nata tra l'Istituto Ripamonti e la Fondazione Grafici.La giusta ambizione di queste iniziative consiste nel fatto che si pongono come tramite tra il mondo della Scuola ed il mondo della produzione.Tuttavia, queste esperienze rischiano di apparire come frutto di nobili volontà individuali.Manca nella nostra provincia la costruzione di un'offerta formativa generale che tenga ovviamente in considerazione quanto di buono viene già fatto ma che si ponga obiettivi strategici più a largo raggio e che coinvolga tutte le istituzioni scolastiche e gli enti formativi del territorio.Ovviamente, questa situazione è la conseguenza della scarsa importanza che in Italia è stata data alla scuola e alla formazione. Raccogliamo positivamente le dichiarazioni del Presidente del Consiglio che segnano oggettivamente una discontinuità con il passato. Ci attendiamo che alle parole seguano le azioni. Va nella giusta direzione, anche in ottica di rilancio occupazione nel sistema edilizio e non solo, un piano di intervento straordinario per mettere in sicurezza le strutture scolastiche.Oltre alle opere di ristrutturazione degli edifici, è arrivato il momento, non più rinviabile, di costruire realmente l'offerta formativa territoriale. Purtroppo abbiamo ancora un sistema di competenze balcanizzato: La Provincia raccoglie le istanze da Comuni, Enti e Istituzioni Scolastiche e costruisce la proposta, la Regione fa la delibera, l'Ufficio Scolastico fa gli organici con l'obbligo di stare dentro i limiti imposti dall'austerity ministeriale. Questo sistema va superato. Occorre creare una Governance territoriale del sistema scolastico e formativo. Dove Enti Locali, parti sociali, rappresentanti del modo produttivo, rappresentanti delle scuole lavorino insieme alla realizzazione delle “filiere formative”. Si deve immaginare un'offerta formativa coniugata alla vocazione del nostro territorio. Dentro questo perimetro vanno fatte le scelte di indirizzi scolastici, di alternanza formazione-lavoro, di istruzione e formazione professionale e di alta formazione tecnica e universitaria. Un governo unitario dell'intero sistema dell'istruzione e della formazione professionale è la condizione essenziale per costruire relazione tra saperi, conoscenza, sviluppo e lavoro. Sappiamo bene che il tessuto produttivo del nostro paese, il nostro modello di sviluppo, per competere con il mercato globale deve puntare sull'innovazione e la ricerca. Innovazione e ricerca si perseguono investendo nella formazione.Dobbiamo puntare alla realizzazione di veri e propri distretti della conoscenza dove gli elementi del territorio possano coniugarsi con la capacità di innovazione delle istituzioni universitarie in rete con gli enti di ricerca pubblici e privati oltre che con le filiere

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dell'apprendimento scolastico e extrascolastico. Ciò richiede grandi politiche di sistema e un ruolo determinante degli enti locali.In questo quadro determinante è il ruolo della formazione universitaria, che a Como ha fatto significativi passi avanti consolidando la sua identità.In tale prospettiva la realizzazione del Campus assume un ruolo fondamentale, come tutte le associazioni economiche hanno a più riprese ribadito.Ed in questo contesto la posizione assunta dal Commissario Carioni, ha lasciato noi tutti, in continuità con il passato, davvero sconcertati per la scarsa visione del futuro che anche questa volta ha dimostrato.Bisogna superare gli ostacoli, crederci e realizzare un'opera che anche dal punto di vista simbolico ha assunto un profilo strategico per il territorio comasco. Dentro le scuole del nostro paese passano i cittadini del futuro, alle lavoratrici e ai lavoratori della scuola affidiamo i nostri figli. Dentro le scuole si modella il “capitale umano” che disegnerà il nuovo modello di sviluppo. A questi lavoratori va ridata credibilità e dignità anche con lo strumento del contratto nazionale che per i lavoratori della conoscenza, unitamente a quelli della PA, è bloccato dal 2009.

Sviluppo sostenibile, lavoro e territorio

Delle straordinarie potenzialità ambientali del nostro territorio ho già detto, nonostante ciò il nostro territorio soffre di nodi e problemi strutturali.Una qualità dell'aria tra le peggiori nel nord-italia, un traffico veicolare che oltre ad aggravare, come gli studi epidemiologici ci ricordano, la qualità della nostra salute, rappresenta un limite pesantissimo alle potenzialità di investimento, muoversi, soprattutto su alcune direttrici viarie negli orari di punta è ormai diventata un'impresa impossibile.A ciò si aggiungono alcune riflessioni sulla qualità delle costruzioni, private ma soprattutto pubbliche e sull'impatto che ciò produce dal punto di vista energivoro e di conseguenza sull'inquinamento atmosferico.In questo quadro si colloca la vera sfida per il futuro nel nostro territorio.Deve essere chiaro a tutti che quella che oggi chiamiamo green economy, un giorno non lontano sarà semplicemente l'economia, senza aggettivi.Qualche dato sulla situazione nel comasco: i dati del piano energetico 2007/2012 ci dicono che la provincia di Como, ha prodotto 57 watt di energia rinnovabile per cittadino,Cremona circa 600 watt, a Como ci sono 6 centimetri di piste ciclabili per abitante, contro 7 metri a Bolzano che certo non è città di pianura, il trasporto pubblico, in 10 anni ha perso 1.400.000 utenti e 20 km di linea, ciò nonostante la presenza di 8 stazioni ferroviarie urbane, unico caso in Italia in una piccola città.L'insieme di questi fattori ha prodotto, secondo uno studio di Fondazione Cariplo del 2013, che a Como vengono immessi in atmosfera 1000 tonnellate di Co2 al giorno.Una situazione, come emerge, davvero problematica, ma su cui si potrebbe agire nell'immediato.Occorrerebbe innanzitutto dare corso all'attuazione del piano energetico provinciale, già realizzato da Punto Energia e mai realizzato.Consiste nella ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio pubblico, utilizzando lo strumento dell' ESCO per ovviare ai vincoli del patto di Stabilità.

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Tale progetto prevede a regime riduzioni dei costi energetici di almeno il 23% in bolletta, con significativi investimenti e la realizzazione di centinaia di posti di lavoro, un lavoro di qualità e utile alle comunità.

Altro capitolo, per altro di grande attualità nel comune capoluogo, riguarda il tema dell'illuminazione pubblica, si tratterebbe di dare attuazione ad un progetto dell'Enea, studiato per i comuni italiani per l'introduzione di nuove tecnologie , che abbatterebbe del 30% il consumo di energia e farebbe risparmiare circa 400 milioni di euro all'anno ai comuni italiani, facendo anche in questo caso da volano alla creazione di lavoro vero.

C'é poi la gestione dei rifiuti, dove il problema è stato affrontato con una visione di prospettiva, come nei comuni di Capannori, Ponte delle Alpi o Berlingo, e per stare in provincia a Maslianico, Rovello Porro e Cermenate, ciò ha prodotto riduzione di tariffe per i cittadini, riduzione dei rifiuti prodotti e realizzato opportunità di nuova occupazione.

E' cosa nota che uno dei settori maggiormente colpiti dalla crisi è quello dell'edilizia, che in provincia di Como ha perso circa il 40% degli addetti in pochi anni.Ciò per una programmazione sbagliata e per la tendenza dei comuni a sopperire alla carenza di risorse con gli oneri di urbanizzazione.Se si vuole dare una prospettiva a tale settore è necessario trasformare l'edilizia da un'edilizia tradizionale e costruttiva a un'idea, almeno per una parte importante, di un'edilizia riparatrice.Oltre la metà del patrimonio edilizio del nostro territorio è ormai obsoleto e non più rispondente ai requisiti minimi da un punto di vista energetico, estetico e per quella pubblica anche della sicurezza.A ciò si aggiunge un problema di schizofrenia tra domanda ed offerta di costruito, se da una parte esistono migliaia di immobili residenziali invenduti e sfitti, dall'altro esiste una richiesta in aumento di alloggi popolari e a basso prezzo per le fasce più deboli, spesso con il dramma dello sfratto in corso e di giovani coppie che non hanno risorse sufficienti per imbarcarsi nell'acquisto di una casa.Cosa si aspetta a realizzare progetti di housing sociale, su larga scala, che oltre a rispondere al problema della casa che sta diventando una vera e propria piaga sociale, potrebbe, se gestito con intelligenza anche riassegnare le migliaia di immobili invenduti e sfitti spesso da anni, che in molti casi hanno portato i costruttori al fallimento.Inoltre esiste, in particolare in convalle, un problema ormai esplosivo legato ai posteggi per i residenti, come anche le ultime vicende cittadine hanno fatto emergere.Bisognerebbe provare ad immaginare un progetto su larga scala per la realizzazione di nuove rimesse e nuovi posti auto, magari immaginando piccoli autosilo di quartiere, poco invasivi ed integrati nel contesto urbano.Si potrebbe, per fare ciò, coinvolgere alcuni istituti di credito con mutui a lungo termine e prevedere, da parte del comune, incentivi urbanistici e snellimento delle pratiche burocratiche.Ciò produrrebbe tre benefici immediati, la valorizzazione degli immobili, l'eliminazione dei troppi posteggi a raso che oltre a deturpare il paesaggio urbano rendono difficilissimo il transito dei mezzi pubblici e un aiuto utile al settore dell'edilizia in grave affanno.

Questi sono solo alcuni degli spunti contenuti nel Piano del Lavoro di Como, che prima dell'estate la Camera del Lavoro proporrà agli attori istituzionali ed economici del territorio in un'iniziativa con proposte e suggerimenti specifici.

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FRONTALIERI

La nostra principale fabbrica occupa 20.000 persone, che ogni giorno varcano il confine per vivere e per portare in Svizzera professionalità e benessere.Sono i frontalieri, a quelli tra loro presenti in sala, voglio riservare un saluto affettuoso, la CGIL non vi lascerà mai da soli.Negli ultimi cinque anni, in concomitanza e a seguito della crisi internazionale, abbiamo assistito ad un notevole cambiamento nel mercato del lavoro frontaliero; dal 2008, dopo molti anni, la disoccupazione delle provincie lombarde di confine (Como, Varese, Sondrio) ha registrato un tasso superiore a quello del Ticino; ciò ha contribuito alla crescita dell'offerta di manodopera nel vicino cantone, ove normalmente, per lo meno sulla carta, le retribuzioni sono nettamente superiori a quelle italiane, a fronte di una minore tutela normativa.Dai quasi 40mila del 2007 i permessi di lavoro attivi per i frontalieri sono ora arrivati alla soglia dei 60mila (23-24mila solo per la nostra provincia).Nello stesso periodo il lavoro frontaliero è cambiato qualitativamente, iniziando ad indirizzarsi anche verso ruoli manageriali e direzionali, di alta o medio-alta professionalità, e “terziarizzandosi”, cioè rivolgendosi al terziario ove percentualmente l'occupazione frontaliera è cresciuta più che nei settori normalmente occupati dagli italiani in Ticino, le industrie metalmeccaniche e tessili, il settore edile.Alla terziarizzazione (e all'aumento corrispondente della manodopera femminile) è seguita una minor tutela dei contratti nazionali (pressoché assenti o poco significativi nel commercio e nei servizi) e un incremento notevole dei contratti individuali, utilizzati da imprenditori, italiani e ticinesi, per contenere il costo del lavoro e creare dumping salariale.Ai permessi di lungo periodo si sono affiancate le notifiche, per i lavori inferiori ai tre mesi annui; nel 2013 tali notifiche, che hanno precarizzato notevolmente il mercato del lavoro in Ticino e accentuato ulteriormente il fenomeno di dumping, hanno superato quota 24mila, contro le 14mila del 2008 e le 8mila del 2005.In tali condizioni si è inserita la campagna antifrontalieri delle destra xenofoba ticinese (UDC svizzera e Lega dei Ticinesi), che ha fatto ricadere sui frontalieri tutte le responsabilità di una situazione di dumping che in realtà costoro non creano ma subiscono.Le responsabilità di un voto che rigetta l'accordo con l'Unione Europea sulla libera circolazione del 2002 sono comunque da redistribuire tra il populismo della destra ticinese e i governi italiani; la soppressione della disoccupazione speciale per i frontalieri nel 2012, largamente coperta dai contributi pagati dai nostri connazionali, ha prodotto una maggiore disponibilità a rientrare sul mercato del lavoro svizzero a salari ridotti, accentuando ulteriormente il fenomeno del dumping salariale. Inoltre l'Italia ha mancato agli impegni presi con la Svizzera per la creazione delle infrastrutture necessarie a ottimizzare la viabilità e lo scambio di merci e manodopera tra i due stati, gli esempi della Stabio-Arcisate e dell'ALP-Transit, rimaste incompiute per la parte italiana, i tagli ai collegamenti ferroviari utilizzati dai lavoratori in alternativa al trasporto su gomma, hanno dato facili argomenti a chi in Ticino ha pensato che un blocco delle assunzioni di frontalieri fosse la soluzione ideale.Ma la vicenda ultima del referendum, unitamente alle troppo numerose e indegne campagne antifrontalieri, danno la cifra di una situazione che va definitivamente risolta, da

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anni i frontalieri vengono “utilizzati” come arma di pressione sulla vera partita che si sta giocando,quella sul rientro dei capitali.Ciò non è più accettabile, si trovi subito una soluzione, che partendo dallo statuto del lavoratore frontaliero, come abbiamo da tempo richiesto, normi la materia definitivamente, ridando a questi lavoratori la serenità che meritano.

Politica a Como

Quattro anni fa, attirandomi le ire dell'associazione degli amministratori di condominio, ebbi modo di dire che amministrare un comune era cosa diversa dall'amministrare un condominio, tesi per altro molto in voga a quei tempi.Ovviamente nessuna intenzione da parte mia di sottovalutare un lavoro spesso così ingrato, semplicemente intendevo dire che l'amministrare la cosa pubblica, in particolare nei comuni più grandi e complessi, presuppone un'idea di futuro, una visione, significa anche coinvolgimento e, lo ribadisco, la capacità di trasmettere pathos.A Como da ormai due anni siamo senza Amministrazione Provinciale, si potrebbe liquidare la pratica semplicemente chiedendosi cosa sia cambiato rispetto a quando c'era, ma a parte il giudizio sulla esperienza Carioni, che continua, anche da commissario a fare danno, come le ultime prese di posizione sul campus universitario dimostrano, l'assenza del livello di coordinamento e di funzioni in capo alle provincie, senza un riassegnazione precisa delle funzioni, sta diventando un problema molto serio, in particolare, per ciò che ci riguarda, sui temi del mercato del lavoro, l'assenza di un luogo deputato impedisce a volte di fare ciò che serve.Ci aspettiamo quindi rapidamente una rapida definizione dell'iter legislativo, che normi definitivamente la materia, definisca il destino e gli assetti delle province e riassegni le deleghe mettendoci nelle condizioni di poter operare.Altro discorso merita la parte relativa al rapporto con i comuni ed i Sindaci.I comuni ed i Sindaci hanno in questi anni svolto un ruolo fondamentale per la tenuta del tessuto sociale nel territorio, lo hanno fatto spesso con generosità e facendosi carico dei limiti e della inadeguatezza degli altri livelli amministrativi, guadagnando consenso e considerazione tra i cittadini.Da almeno un paio d'anni la sensazione è che il vento stia mutando, i comuni sono strangolati dal patto di stabilità da un lato e dalla riduzione dei trasferimenti dall'altro, faticano sempre di più a far quadrare i bilanci e a garantire i servizi essenziali, se non a costo di aumenti delle addizionali o delle tariffe dei servizi a domanda individuale.Ci troviamo per la prima volta dalla riforma, in presenza del rischio di un pesante corto circuito anche di questo livello di governo.La popolarità dei Sindaci sta subendo colpi significativi e questo rischia di aggravare ulteriormente le difficoltà di governo dei processi di crisi, ciò è per chi fa il nostro lavoro un elemento di forte ed ulteriore preoccupazione, in questi anni quasi sempre nelle gestione delle situazioni più complicate di crisi abbiamo potuto contare sulla vicinanza e la disponibilità dei sindaci, che spesso hanno svolto un ruolo di mediazione importante, lo hanno potuto fare perché considerati credibili e vicini dai loro rappresentati, la prospettiva che tale condizioni possano mutare dovrebbe essere elemento di riflessione per tutti.

L'esperienza del comune capoluogo merita una riflessione a parte.La CGIL aveva salutato quasi due anni fa con favore il ricambio a Palazzo Cernezzi.

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Non abbiamo cambiato opinione e continuiamo a considerare Sindaco e Giunta come un gruppo di persone per bene.A distanza di due anni però i nodi sono venuti al pettine, la pesantissima eredità lasciata dalla Giunta Bruni sta presentando un conto perfino più pesante del previsto, a questo si aggiunge una carenza di risorse che rischia di portare al collasso un intero sistema di poteri,coinvolgendo oltre al Comune di Como, tutto il sistema degli enti locali.Ma le vicende delle ultime settimane accadute a Como sono qualcosa in più, un segnale di cui tenere conto.La vicenda ZTL, su cui la Camera del Lavoro ha espresso un giudizio favorevole, sta provocando reazioni e proteste anche al di là di quanto ci si potesse aspettare che fa emergere in tutta la sua problematicità una vocazione diffusa alla conservazione dell'esistente, ad un'idea che rischia di portare all'immobilismo, al tirare a campare, si è più popolari, alla fine, se si lascia tutto così com'è, se non si mettono in discussione i vecchi equilibri consolidati e le rendite di posizione.E se ci si pensa, alla fine è il vero male di cui soffre il nostro Paese, bisogna farla, dicono ormai tutti, la rivoluzione, serve, anzi è addirittura indispensabile, purché coinvolga chi mi sta a fianco, purché non intacchi me e le mie abitudini, purché non mi si chieda di cambiare, perché il cambiamento è faticoso, presuppone impegno e predisposizione a mutare le consuetudini.Certamente il progetto meritava forse una più attenta ricerca del consenso ed il suo inserimento dentro un progetto più complessivo e partecipato sul riassetto della città, ma ciò non muta il nostro giudizio di fondo, gli assetti, anche di natura commerciale di prossimità di una città dalle caratteristiche di Como, si difendono valorizzandone il contesto e la sua vivibilità, evitando come si è fatto per oltre 20 anni, e si prosegue, di circondare le città di grandi centri commerciali, il tema del “posteggio comodo” rischia semplicemente di esorcizzare uno degli aspetti della crisi, quello della caduta dei consumi, che certo non si risolve con una battaglia che rischia di essere di retroguardia.Ma quanto sta avvenendo mette in luce anche una debolezza della politica e dei partiti a tratti addirittura imbarazzanti.Politica e partiti che dovrebbero essere il motore di questo percorso, che dovrebbero essere lo strumento di elaborazione e di trasmissione verso i cittadini e verso le amministrazioni delle idee e delle aspettative degli elettori hanno, invece, in realtà rinunciato a questa funzione, sono troppo spesso fragili, inadeguati, sterili nelle proposte e timorosi nell'affrontare a viso aperto le critiche, tendono a delegare ai ruoli amministrativi funzioni che non sono loro, un tema questo che meriterebbe anche a Como un approfondimento, prima che sia troppo tardi.

Per un'economia della legalità

I dati e le notizie di cronaca che ogni giorno leggiamo ci confermano come nel Paese continui una vera e propria emergenza legalità. Ad oltre 20 anni da tangentopoli, la corruzione ed il malaffare producono secondo le statistiche un “giro d'affari” vicino ai 60 miliardi,quasi la stessa cifra che paghiamo di interessi sul debito pubblico, se a ciò aggiungessimo il peso dell'evasione fiscale stimato in 300 miliardi e quello della criminalità organizzata stimato in 130 miliardi, ci troviamo di fronte a numeri sconcertanti.

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Numeri che fanno dire che se anche su questo tema non si inizierà a fare sul serio ogni sforzo o sacrificio verrebbe inevitabilmente reso vano.E' necessario attuare drastiche politiche di contrasto, introdurre il reato dell'autoriciclaggio, e provvedere a una riforma della pubblica amministrazione che prevenga tali fenomeni, semplificando le procedure e facendo ritornare un'idea del diritto che nel sistema dato, tende spesso a trasformarsi in favore.Il nostro territorio non è purtroppo stato immune dal manifestarsi di alcuni fenomeni criminali.Le vicende Perego, i troppi mezzi di trasporto che si incendiano e le troppe intimidazioni ai danni dei pubblici esercizi danno il segno che anche da noi alcuni fenomeni sono ben presenti e attivi.La CGIL di Como, insieme ad altre associazioni, ha dato vita l'anno scorso alla costituzione anche in provincia del Coordinamento di Libera.Ci crediamo molto, riteniamo l'associazione di Don Ciotti uno straordinario strumento di conoscenza e di creazione di una coscienza civica.Ma per fare questo è necessario riflettere sul tema della legalità, che deve essere necessariamente considerato a 360 gradi, un'idea di legalità deve considerare inaccettabile oltre ai fenomeni più gravi di criminalità organizzata anche questioni oggi considerate minori o addirittura in qualche caso giustificate se non guardate con simpatia.Dalla cerchia della legalità si chiama fuori anche chi evade il fisco, chi fa lavorare persone in nero, chi non compie il proprio dovere nello svolgimento di funzioni pubbliche.Un'idea quindi più ampia e completa, che va approfondita, nelle prossime settimane con il Coordinamento di Libera lanceremo la proposta ai Sindaci del territorio di adesione ad Avviso Pubblico, magari iniziando dal comune capoluogo, sarebbe un bel segnale di adesione a questa idea di legalità che noi vi proponiamo.Inoltre il 21 di marzo in occasione della giornata della memoria delle vittime di mafia, anche a Como, per la Prima volta, si terrà una manifestazione a cui invitiamo tutte le autorità ad aderire. C'e' bisogno di un segnale chiaro che vada nella direzione giusta.

Quale modello di relazioni sindacali dopo la crisi

Ci siamo spesso detti in questi anni che dalla crisi si sarebbe usciti diversi da come vi eravamo entrati.Affermazione questa, che dopo 6 anni trova difficile declinazione nel capitolo che riguarda le relazioni industriali.Infatti, su tale questione, rischiamo di uscire esattamente come eravamo entrati, senza modificare nulla, senza aver neppure tentato di risolvere le questioni che hanno anch'esse contribuito a portarci dove siamo. Insomma l'ennesima occasione perduta.Da anni ci raccontiamo ad esempio di come la Germania abbia meglio di noi retto all'impatto di quanto avvenuto, abbia reagito prima ed in maniera più efficace.All’inizio di questo millennio, la Germania era “il malato d’Europa”: un paese in crisi che non sembrava in grado di riprendersi dallo shock della riunificazione. Basso tasso di crescita, alto tasso di disoccupazione e un debito pubblico fuori controllo a fronte di un preoccupante calo degli investimenti privati. Oggi a poco più di un decennio di distanza la Germania è una nazione ammirata e invidiata - forse anche temuta - in tutta Europa.

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Bene, le Germania è il paese che ha fatto della partecipazione, quella vera, il suo modello di riferimento.Il cosiddetto modello Renano ha dimostrato di essere vincente, di produrre benessere, di creare unità d'intenti e di saper governare senza traumi anche i processi di ristrutturazione più complicati.Da noi invece è accaduto e continua ad accadere un fatto singolare, da noi il coinvolgimento ai destini delle imprese ci viene richiesto, gioco-forza, nei momenti di crisi, di difficoltà.Allora ci si spiega di essere sulla stessa barca, cosa in qualche caso perfino vera, che bisogna “farsi carico” ed essere responsabili.Siamo arrivati al paradosso, se ci si pensa bene, che qui da noi un'azienda ha chiesto, ottenendolo, una riduzione del salario per permettere di fare gli investimenti necessari, senza che ciò producesse alcuna modifica sugli assetti decisionali dell'impresa.Poi accade che quando le cose, per fortuna capita ancora, riprendono ad andare per il verso giusto, tutto torna come prima, dalla barca si scende, o ci si sale solo per stare ai remi.Ma può ancora funzionare così? Ma non è venuto il tempo di un ripensamento anche da noi? E' così ardito immaginare la possibilità, almeno dove ci sono le condizioni, di un qualche modello di coinvolgimento vero, di partecipazione, di condivisione vera di un destino.Possiamo davvero pensare che tutto possa tornare ancora come prima, conviene a tutti, è immaginabile che quando si citi, spesso a sproposito, il bisogno di riforme radicali, anche questo tema non debba finalmente rientrare nella discussione?

Rappresentanza, un percorso difficile

Il 10 gennaio è stato, da parte di CGIL CISL UIL, con Confindustria concluso definitivamente il percorso sull'accordo sulla rappresentanza.Tale atto è stato l'ultimo tassello di un percorso difficile e per nulla scontato.L'intesa conclusiva ha prodotto al nostro interno torsioni, scontri e una discussione che per toni e modalità lascia i più esterefatti.L'intesa, come noto, per la prima volta nella storia delle relazioni sindacali del nostro paese tenta di mettere ordine dentro una materia che negli ultimi anni ha portato ad un vero e proprio imbarbarimento delle relazioni sindacali.Accordi separati, contratti pirata sottoscritti da sindacati sulla carta, tutto ciò ha per lungo tempo avvelenato i rapporti unitari tra le OOSS confederali italiane nel momento di crisi peggiore.L'intesa, frutto di una mediazione, coglie però per la prima volta alcune richieste che la CGIL rivendica da anni.La certificazione degli iscritti e della reale rappresentanza, le modalità di decisione in caso di dissenso tra OOSS sugli accordi, il principio che di fronte a tali dissidi l'ultima parola spetti ai lavoratori.Il punto più controverso riguarda le eventuali sanzioni, verso le OOSS e le imprese, e mai verso i singoli lavoratori, in caso di mancato rispetto degli accordi sottoscritti e/o validati dai lavoratori.Su tale questione si è innescata una discussione, in particolare con la FIOM, sulla legittimità di tale accordo, ventilandone addirittura limiti di costituzionalità.

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Spesso tale discussione ha assunto toni e asprezze di cui francamente non si sentiva il bisogno che hanno messo la CGIL in forte imbarazzo.Io penso che il problema sia un altro, che andrebbe affrontato per quello che è, senza infingimenti e con l'onestà intellettuale che dovrebbe contraddistiguerci.Per le cose che si sono dette, e per i contenuti dell'intesa, mi pare che la questione vera ad essere in discussione sia la legittimità della confederazione a stipulare accordi vincolanti per tutta l'organizzazione o se questo sia considerato da qualcuno inaccettabile.Il tema vero è se ancora ci sia il riconoscimento di una “supremazia”, di una gerarchia nell'assunzione di responsabilità, l'accettazione di un luogo a cui, dopo il confronto, anche aspro,venga data l'autorità di fare sintesi e di decidere.Questa, provando ad uscire dalla vacua propaganda, è la vera portata della discussione.Discussione assolutamente legittima purché ci sia la consapevolezza, da parte di tutti noi, che si maneggia una materia delicatissima.Una materia che mette in discussione l'essenza stessa di una dimensione confederale del sindacato e della sua rappresentanza e in ultima istanza della CGIL stessa.Nei prossimi giorni, come deciso dal Direttivo Nazionale, andremo alla consultazione degli iscritti con le modalità decise.E in questo quadro, è bene ribadirlo con la forza necessaria, che la Confederazione Generale Italiana del Lavoro è costituita da 11 categorie, che hanno tutte pari dignità politica e di opinione, non esiste qualcuno più uguale di altri.

Tra liberta', uguaglianza e fratellanza

“Non c'è nulla che sia più ingiusto che far parti uguali fra disuguali”, così Don Lorenzo Milani, nella sua Lettera a una professoressa.Non solo si è contravvenuto a tale aspirazione di uguaglianza e buon senso, ma se possibile si è riusciti a fare anche peggio,infatti non solo non si è provveduto a mettere gli ultimi nelle condizioni di poter recuperare, ma al contrario abbiamo assistito a una vera e propria gigantesca solidarietà alla rovescia, dove i poveri hanno finanziato i ricchi.I dati che abbiamo letto nelle ultime settimane lasciano davvero interdetti, gli 85 uomini più ricchi del pianeta hanno patrimoni pari al reddito dei 3 miliardi di cittadini più poveri, in Italia il 10% dei più ricchi possiede oltre il 50% della ricchezza nazionale e il dato del 2013 ci consegna il quadro di un paese che nella ripartizione della ricchezza ci fa ritornare alla fine dell'800.Infatti per ogni euro in circolazione destinato a reddito per salari e pensioni, ce ne sono 8 in patrimoni e rendite, esattamente la stessa proporzione che esisteva in Italia nel 1898.Ed in questo quadro, lasciatelo dire, fa davvero sorridere dover sentire qualcuno affermare che in Italia esiste un'emergenza legata alla libertà.La storia del 900, e i freddi dati che ho citato dimostrano quale sia davvero l'emergenza di questo Paese.Un Paese dove non solo la forbice delle diseguaglianze si è pericolosamente divaricata, ma con in più l'aggravante che queste grandi ricchezze vengono impiegate in rendite e patrimoni, senza investimenti sul futuro, ingessando il paese e pregiudicandone le possibilità di ripresa.Altro che emergenza libertà, la vera emergenza di questo Paese è il tema delle disuguaglianze e la libertà senza uguaglianza è destinata, inevitabilmente, a diventare insopportabile privilegio, esattamente ciò che è avvenuto in Italia.

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Un paese, il nostro, dove il cosiddetto ascensore sociale si è fermato, dove ai figli degli operai, a differenza di quanto avveniva nel passato, viene inibita la possibilità di migliorare la condizione e dove ai figli dei ricchi viene quasi sempre riservato un futuro di agi e privilegi, e spesso ciò avviene a prescindere dai reali meriti e talenti, e in questo quadro, a proposito di inadeguatezza di classe dirigente, ci tocca pure sentire il proprietario della Fiat, spiegarci che i giovani non trovano lavoro perché stanno bene a casa e non si accontentano.Anche da qui dobbiamo ripartire, dal tema dell'uguaglianza, senza un piano sulla redistribuzione della ricchezza il Paese è inevitabilmente destinato ad avvitarsi su se stesso, questa deve diventare la nostra priorità per i prossimi anni, non si possono più accettare politiche tese a riposizionare le risorse solo tra chi sta peggio senza mai intaccare chi avrebbe la possibilità di contribuire alla ripartenza dei consumi.E dobbiamo ribadirlo con la forza necessaria: lo strumento per fare ciò non può che essere un'imposta sui grandi patrimoni, sulle rendite e sulle ricchezze.Non ci sono scorciatoie, se si vuole uscire dall'angolo, e ogni giorno in più che passa senza il coraggio di assumere tale decisione rischia di presentare, quando sarà, un conto più pesante, Inoltre quanto successo in questi anni pone con forza anche a noi un approfondimento sul terzo principio ispiratore della rivoluzione francese, quello della fratellanza.Abbiamo per troppo tempo, sbagliando, considerato questa una materia di pertinenza di altri mondi ed altre culture.Abbiamo l'obbligo di chiederci cosa sarebbe stata questa crisi senza le straordinarie manifestazioni di solidarietà diffusa a cui abbiamo assistito, senza il lavoro ed il contributo delle associazioni di volontariato e del terzo settore, realtà anche a noi vicine come Auser, che hanno contribuito in maniera determinante alla tenuta, fino ad oggi, di un quadro sociale a rischio di disgregazione.E in questo quadro il tema della fratellanza unito a quello dell'uguaglianza, assume un rilievo fondamentale.E' necessario riscoprire un'idea di destino comune, di condivisione, l'idea antica e modernissima, che sta anche alle radici della sinistra, che non si può immaginare un futuro di benessere per tutti se qualcuno rimane indietro e non ce la fa.Da questo punto di vista, anche la Chiesa cattolica, con l'avvento di Papa Francesco, ha posto con rinnovata forza questo tema, spetta anche a noi, con il nostro lavoro e le nostre lotte, tradurlo in azioni concrete.

La libertà delle donne

Domani, 8 marzo, verrà celebrata la giornata internazionale della donna.In Italia ci troviamo in una vera e propria emergenza su più fronti.La crisi colpisce le donne più degli uomini, le emargina ulteriormente e tende ad accentuare le discriminazioni di reddito, di carriera e di opportunità nei luoghi di lavoro.A questo si aggiunge un ventennio in cui si è teso a dare delle donne l'idea che tutti conosciamo.Inoltre nel corso del 2013 quasi ogni giorno una donna è stata uccisa da un uomo, spesso l'uomo che le stava accanto nella vita.Il femminicidio è una vera e propria emergenza nazionale, e anche l'ultimo episodio di Mozzate di pochi giorni fa, ci da il segno di quanto il fenomeno sia fuori controllo.E' necessario agire su più fronti, culturale, legislativo, giudiziario ed economico.

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Il permanere della situazione attuale rischia di mettere il nostro Paese, giustamente, ai margini dell'idea stessa di civiltà.

Dai servizi, alle tutele, alle protezioni

La crisi che stiamo vivendo, una crisi dai caratteri inediti, ha prodotto e sta producendo anche bisogni di tipo nuovo.La nostra organizzazione questi bisogni inediti li ha conosciuti, li ha incontrati soprattutto attraverso le strutture a tutela individuale.Tutti noi abbiamo il dovere di riconoscere questo lavoro.Ci trasciniamo da troppo tempo in un'inutile e stantia discussione su cosa debba essere un sindacato contrattuale e cosa un sindacato delle tutele individuali, perpetuando una discussione che nulla ha a che fare con le cose che incrociamo ogni giorno nelle nostre sedi.Le modalità con cui la politica e i governi hanno affrontato la crisi hanno caricato la CGIL e le sue strutture a tutela individuale, che le hanno subite, di nuove funzioni, il perimetro del pubblico si è ridotto non solo in termini di welfare ma soprattutto, basti pensare alla “riforma” dell'INPS, della capacità di dare risposte dirette alle persone che manifestano dei bisogni.Noi fino ad oggi abbiamo retto grazie ad investimenti che la confederazione, pur tra mille difficoltà ha fatto, ma soprattutto grazie all'impegno e alla passione di chi in quelle strutture è impegnato, che in occasione del congresso voglio ringraziare .Siamo però a un punto di rottura, i tagli del governo, in particolare ai patronati e ai Caaf, strutture che a differenza di quanto si vuol far credere già da anni registrano pesanti perdite, rischiano di far precipitare la situazione dal punto finanziario e di rendere meno incisive tali attività.Ma allo stesso tempo noi non possiamo ritrarci, non possiamo non dare risposte a chi ci chiede aiuto, soprattutto se in un momento di fragilità sociale.Ma se questo è il quadro, è sempre più evidente l'ineludibilità di una discussione serrata tra noi su ciò che vogliamo fare, sul piano dell'integrazione, delle collaborazioni, delle sinergie, delle risorse.Conviene a tutti farlo presto, anche per ragioni organizzative e di rappresentatività.Ed è evidente in questo scenario che non ha più senso continuare a ragionare come se ci fosse chi da un lato fa contrattazione e dall'altro chi si occupa “delle pratiche” individuali.Nella nostra esperienza quotidiana, per quello che succede davvero nelle camere del lavoro, questa separazione non c'è.Non si incontrano più le persone solo per la domanda di pensione o per la dichiarazione dei redditi o per un credito da recuperare, ormai li incontri periodicamente, per le ragioni più svariate, in momenti diversi della loro vita, lavorativa e poi da pensionati.Per questo l'idea della “presa in carico”, della protezione, deve diventare nostro gergo e nostro modo di agire.

Prendere in carico significa curare, un gergo nuovo per un'organizzazione sindacale, ma una modalità che incrocia e da risposte a molte persone, ai loro bisogni, soprattutto in una stagione come quella che stiamo vivendo.

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Ciò vuol dire anche che le nostre strutture a tutela individuale sono il luogo in cui possiamo scoprire i vuoti e i limiti che si sono determinati nella nostra capacità di contrattazione collettiva.Non la sostituzione della contrattazione collettiva, ovviamente, ma i vuoti che si sono determinati al suo interno, vuoti che si sono determinati per tante ragioni, alcune ovvie altre che andrebbero analizzate, e ovviamente non si tratta qui di dare voti a nessuno.Nostra responsabilità è però domandarsi come in questa fase noi riusciamo a colmare questi vuoti e questi bisogni, con l'obiettivo, ma non serve dirlo, di recuperare il terreno perduto in questi anni.Questo significa un'idea di complementarietà, di collaborazione, di reciproco riconoscimento dei ruoli e delle funzioni che, inevitabilmente, prima o poi, dovrà comportare anche una discussione sui poteri dentro la Confederazione.E a suffragio di ciò che ho cercato di trasmettere ci sono i dati, l'Inca di Como ha elaborato nel corso del 2013, 32.961 pratiche, nel 2012 erano state 22.313, incrementando le attività in un solo anno del 30 %, il CAAF di Como ha elaborato nel 2013 ben 66.118 pratiche fiscali, inoltre, sempre nel 2013, circa 1.000 lavoratrici e lavoratori si sono rivolte al nostro ufficio vertenze legali per contenziosi o recuperi del credito che hanno permesso di recuperare somme di poco sotto i 5 milioni di euro per i nostri assistiti.Sono dati che impressionano, che ci dicono che realisticamente ben oltre 100.000 comaschi nel corso del 2013 hanno dalle nostre strutture, ricevuto un aiuto, una risposta concreta ai loro bisogni.Di queste persone oltre 4000, a seguito della soluzione ai loro problemi, hanno deciso di iscriversi alla CGIL, molti sono stati nuovi iscritti, altri hanno scelto di proseguire il rapporto di associati in altre condizioni, da pensionati o da disoccupati, questo dato ci pone anche di fronte alle responsabilità di immaginare un'estensione delle tutele che vadano anche oltre il normale rapporto di lavoro.Inoltre è spesso avvenuto che nell'affrontare questi bisogni, per le informazioni acquisite, si sono generate le condizioni perché i bisogni individuali si trasformassero in contrattazione di natura collettiva, è avvenuto spesso, per i pensionati, per i frontalieri e per categorie specifiche di lavoratori attivi.Ci troviamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione, come anche Susanna Camusso ha avuto modo di dire nella conferenza sulle tutele individuali svoltasi a Roma settimana scorsa, una condizione che merita una approfondita e attenta riflessione, che ci ribadisce ancora una volta che, anche per ciò che è avvenuto nel sistema produttivo tradizionale, è ormai impensabile immaginare una difesa vera delle persone che noi rappresentiamo senza una reale capacità di coniugare la dimensione individuale delle protezioni con quelle collettive della contrattazione.Anche per questa ragione, propongo al congresso, di svolgere entro la fine del 2014, anche a Como, con una platea analoga a quella congressuale, una conferenza dei servizi a tutela individuale, per capire e per immaginare una prospettiva di maggior efficienza ed integrazione con il resto delle nostre strutture.

“Per chi suona la campana”

Abbiamo in questa difficile campagna congressuale svolto circa 700 assemblee, coinvolto 11122 lavoratori e pensionati, che hanno assegnato al documento il lavoro decide il futuro, il 99,52% del consenso, il documento alternativo si è fermato allo 0,48%. E' stato un lavoro

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complicato, faticoso, lavoro che ci ha permesso di verificare su larga scala lo stato di sofferenza del Paese.Mai come oggi la distanza tra i cittadini e le istituzioni è stata così elevata.Abbiamo misurato nelle assemblee un sentimento di rabbia, di rassegnazione e di disistima nei confronti di tutto ciò che in qualche modo ha a che fare con la politica, questo non può che preoccuparci profondamente.E questo avviene nel momento in cui di politica ci sarebbe un immenso bisogno, solo la politica può avere le leve per poter intervenire, ci sarebbe bisogno di una politica esempio, guida, di una politica autorevole e lungimirante, che avesse il coraggio di occuparsi della prossima generazione e non della prossima tornata elettorale.Per chi suona la campana, così recitava Il titolo di un bel romanzo di Ernest Hemingway , non c'è dubbio che la campana oggi sia suonata nei confronti di ciò che la politica ha rappresentato negli ultimi 20 anni, ma saremmo sordi se non ci rendessimo conto che la campana suona anche per noi.Anche noi, anche il sindacato ha grandi problemi di tenuta.Anche noi veniamo troppo spesso percepiti e considerati come qualcosa di superato, di omologato, di sovrapponibile a una politica che ha spesso dato di sé un'immagine catastrofica.Bruno Trentin, straordinario e rimpianto dirigente della nostra organizzazione, circa 20 anni fa, in un'intervista confronto con Cesare Romiti, allora amministratore delegato di Fiat, paragonò il sindacalismo confederale italiano al gorilla di montagna.Una creatura forte, imponente, maestosa, che nonostante questo rischiava l'estinzione, non per una malattia specifica, ma perché, diceva Trentin, viene meno il suo habitat tradizionale e fatica ad adeguarsi al cambiamento.Penso di poter dire che tale pericolo è stato solo in parte scongiurato, in questi anni difficili il sindacalismo confederale italiano ha dimostrato significative capacità di adattamento.Il limite grande però, è che ciò che è avvenuto è stato sistematicamente subito, siamo arrivati dopo, non abbiamo quasi mai prevenuto gli eventi, per miopia, per conservatorismo dei gruppi dirigenti e qualche volta per pigrizia intellettuale.Questa è la vera sfida che ci attende, ritrovare la capacità di essere noi il motore del cambiamento.Ritrovare la passione della sfida, elaborare un nostro punto di vista forte, credibile, autorevole, ambizioso.In questi anni difficili abbiamo condotto battaglie importanti, spesso generose, quasi sempre da soli.Battaglie troppo spesso orientate alla difesa dell'esistente, senza, a volte, avere la capacità di capire che l'esistente non funziona più, non basta più.Ovviamente non si tratta di rinnegare ciò che abbiamo fatto, ne' di omologarci ad un'idea di rappresentanza subalterna che lasciamo volentieri ad altri.Ma, troppo spesso siamo stati in trincea, e la trincea non può essere la nostra prospettiva, stare troppo a lungo in trincea fa perdere di senso, impigrisce, allontana dalla realtà.Una realtà che cambia, lo fa velocemente e spesso a prescindere da noi.Troppe volte, anche nella nostra discussione congressuale, sono emersi tentativi di ritorno al passato, emergono tentazioni di riproporre ricette che nel secolo scorso hanno fatto la fortuna nostra e di chi rappresentiamo, dobbiamo prendere atto che ciò non può più funzionare, abbiamo il dovere di ripensarci, di aggiornare i nostri strumenti per dare le risposte che quei milioni di persone senza rappresentanza e senza diritti si attendono da noi, la trincea non può più essere la nostra prospettiva, la nostra prospettiva deve

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diventare la frontiera dell'innovazione e del cambiamento, ce lo impone la nostra funzione, il nostro ruolo e anche la nostra storia di cui giustamente andiamo orgogliosi.

Riformare la CGIL

In questa prospettiva anche noi abbiamo bisogno di una decisiva capacità di autoriforma, le stesso modalità con cui abbiamo svolto il congresso ci mette di fronte alle nostre responsabilità.E' stato un congresso, ancora una volta, svolto con modalità macchinose, di difficile fruibilità per i tanti che magari svolgono un'attività in aziende in cui fare le assemblee è solo sulla carta, e che dove sono state fatte, se vogliamo essere tra di noi onesti, ci ha mostrato tutti i limiti di un percorso congressuale che spesso assomiglia a un rito stanco e considerato ininfluente rispetto alle cose da fare nel futuro.Al tempo stesso ci ha reso palese la sensazione di come troppo spesso veniamo percepiti, anche noi, come un pezzo di ciò che in questo Paese non funziona, come una sorta di “casta minore”, dico subito, anzi lo voglio urlare, che in ciò c'è davvero poca generosità e scarsa conoscenza di ciò che facciamo e di quali siano le reali condizioni anche da un punto di vista economico di chi sceglie di fare il nostro lavoro, e le nostre buste paga stanno a dimostrare che con la nostra gente condividiamo anche un destino sul terreno delle condizioni economiche e materiali.Ma ciò evidentemente non basta, conta anche ciò che si percepisce, e su questo c'è molto da lavorare.La nostra, se ci pensiamo bene, è ancora un'architettura organizzativa ferma agli anni 70, di un mondo in larga misura cambiato profondamente, c'è bisogno di trovare il coraggio e la lucidità di progettare il cambiamento di noi stessi.A questo proposito dico che la scelta della segreteria nazionale della CGIL di accantonare la discussione sulla riforma organizzativa della confederazione e delle sue strutture sia stato un grave errore.Quelle proposte, ovviamente da approfondire, contenevano alcune suggestioni, che anche in termini di buon senso e utilizzo delle risorse sono di grande attualità, serve riprendere le fila di quella discussione, serve farlo subito prima che sia troppo tardi.Serve soprattutto in un Paese che spesso è attraversato dalla tentazione di poter fare a meno dei corpi intermedi, di un Paese la cui storia degli ultimi 20 anni ha avuto l'abbaglio dell'uomo della provvidenza, se ciò è potuto avvenire è probabilmente stato anche determinato dalla caduta di credibilità ed efficacia del ruolo nostro e di chi svolge una funzione di rappresentanza collettiva.Altre associazioni di rappresentanza si stanno muovendo in questa direzione, la costituzione di Rete Imprese per l'Italia, dell'Alleanza delle Cooperative e il processo che a Como ha portato alla nascita di Unindustria Como, sono segnali che vanno nella direzione di una semplificazione delle forme di rappresentanza, che devono essere portate avanti tenendo conto degli altri assetti associativi, ma soprattutto istituzionali, da cui sarebbe sbagliato prescindere.Questo ovviamente trascina anche un discorso complicato sul rapporto con CISL e UIL sul tema dell'unità sindacale.Fortunatamente qualche passo è stato fatto rispetto al disastro con cui aprimmo il congresso di 4 anni fa, ma siamo in una situazione di totale stallo, non ci sono terreni veri,

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anche a livello locale, di un'elaborazione comune, di una condivisione vera sulle strategie, siamo semplicemente alla non-belligeranza, ma questo non può essere sufficiente.Anche su questo fronte, di cui si è persa la passione di un approfondimento vero, se provassimo per un attimo a ripercorrere la nostra storia, ci accorgeremmo che l'attuale articolazione del sindacalismo confederale italiano è, e rimane, quello che traeva le sue ragioni fondanti dalla guerra fredda, da una divisione ideologica e politica che oggi, appunto, appartiene alla storia, nemmeno troppo recente, ovviamente non sono così ingenuo da non comprendere quali sono le difficoltà e le stratificazioni, anche sul piano teorico e di modello che nel frattempo sono intervenute, però, a costo di sembrare poco realista o nostalgico, continuo a non rassegnarmi all'idea che tale aspirazione non torni, soprattutto in una fase così drammatica,ad appassionarci e ad essere terreno di confronto tra di noi.Continuo a pensare che le vicende, anche quelle contrattuali, di questi anni ci abbiano relegato spesso a una condizione di marginalità perché abbiamo dato la possibilità ai nostri interlocutori di poter scegliere di volta in volta la posizione che gli faceva comodo.Forse servirebbe un cambio di passo, partendo da ciò che succede a Como, per provare un terreno comune di confronto e mobilitazioni.Inoltre, siamo ormai in un sistema dal punto di vista delle modalità di comunicazione che ha radicalmente modificato i tempi e la percezione del nostro operare, il nostro lavoro, e ciò costituisce una radicale innovazione, viene giudicato e valutato in tempo reale ed in continuazione, ciò pone ormai in evidente crisi le nostre procedure e i modi con cui assumiamo le nostre decisioni, che hanno tempi e procedure in larga misura incompatibili con il quadro mutato e che necessiterebbero, di conseguenza, di una coraggiosa revisione.Ciò produrrà, inevitabilmente, anche ricadute sulle nostre modalità di selezione dei gruppi dirigenti, servono interventi per rendere tali procedure più inclusive, più libere, più aperte ai giovani, alle donne ed all'apporto di idee ed opinioni originali e non omologate.Inoltre in un quadro fortemente mutato credo si ponga anche il problema delle procedure con cui oggi procediamo all'elezione negli incarichi di responsabilità.Lo dico innanzitutto partendo da chi vi parla, che eventualmente sarà eletto, se lo riterrà, da un direttivo di 70 persone, ma per andare oltre, si pone il problema se sia ancora attuale l'idea che il Segretario di un sindacato di 6.000.000 di iscritti venga eletto da un direttivo di 150 persone.Non si tratta ovviamente di scimmiottare esperienze, pure di successo e di partecipazione, sperimentati in altri ambiti, ma credo che il tema debba essere affrontato con la necessaria lucidità.Farebbe bene all'insieme dell'organizzazione, farebbe bene a chi, ripeto partendo da me stesso, assume incarichi di rappresentanza, che ne uscirebbe rafforzato e legittimato, e potrebbe dare un formidabile impulso alla partecipazione, al peso e alla possibilità di dire la sua di chi è alla CGIL iscritto.

La CGIL a Como

Gli iscritti alla CGIL di Como alla chiusura del tesseramento 2013, sono stati 52.845, circa 100 iscritti in più del 2012, nel corso del 2013 i nuovi iscritti sono stati 7450, a una difficoltà nei settori industriali si registra un incremento significativo nei settori del terziario

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e della scuola, una tenuta nella pubblica amministrazione e un positivo incremento tra i pensionati.La Camera del Lavoro è presente in modo capillare su tutto il territorio, le Camere del lavoro sono 19.In questi 4 anni abbiamo aperto nuove sedi a Fino Mornasco e Rovellasca, e ci apprestiamo a inaugurare una nuova sede ad Appiano Gentile e ad Olgiate Comasco, abbiamo ristrutturato le sedi di Dongo, di Cabiate e la sede centrale di Como.Grazie al preziosissimo ed infaticabile lavoro di centinaia di volontari ed attivisti del Sindacato Pensionati, che ringrazio a nome della CGIL per il lavoro che svolgono ogni giorno, oltre che nelle Camere del Lavoro, svolgiamo recapiti in 81 comuni della provincia.Siamo una presenza capillare, organizzata che ha fatto della prossimità una scelta consapevole, irreversibile e vincente.Permettetemi, in un appuntamento per noi di una qualche solennità, di ringraziare, le compagne ed i compagni delle categorie per il difficilissimo lavoro di questi anni difficili, delle strutture a tutela individuale messe ogni giorno a dura prova da carichi di lavoro crescenti, del Clas, un approdo riconosciuto per i migranti del nostro territorio, di Sunia e Federconsumatori, le volontarie ed i volontari di Auser Como che hanno da poco festeggiati i 20 anni di attività e che inaugureranno in aprile la nuova sede provinciale, alle persone che in Camera del Lavoro ogni giorno svolgono attività tecniche preziose e fondamentali, alle nostre e ai nostri giovani che danno ogni giorno prova di tenuta e competenza, e grazie alle centinaia di delegate e di delegati, per il prezioso e difficile lavoro che svolgono ogni giorno, spesso in condizioni difficilissime e ancora alle compagne ed ai compagni dello SPI . Grazie a tutte e tutti voi, che permettete ogni giorno il funzionamento di una macchina tanto complessa quanto indispensabile per le persone che rappresentiamo.

Conclusioni

Da pochi giorni abbiamo un nuovo Governo nel Paese.Come sempre lo giudicheremo nei fatti e dalle cose che farà concretamente, una cosa deve però essere chiara a tutti noi, a prescindere dai giudizi, che come sempre al nostro interno sono molto articolati.Per come il Paese è messo, per le cose che si vedono e si sentono il tempo è finito, serve agire subito, in tempi diversi da quelli a cui siamo abituati e a cui larga parte della politica sembra continuare ad essere affezionata, in caso contrario ad essere in gioco non sarà solo il destino di un leader o di un governo, ma rischia di essere in gioco quello di tutti noi.E a questo proposito lasciatemi dire che anche noi, anche la CGIL, ha una smisurata ambizione, l'ambizione, finalmente, dopo 20 anni, di vedere il tema del lavoro tornare al centro delle priorità del governo e della politica, questa è la vera scommessa, su cui non faremo sconti a nessuno.

Care compagne, cari compagni,

Inizia quest'oggi il nostro congresso, 70 anni fa, nelle stesse giornate si svolgevano a Como come nel resto del Paese gli scioperi del 44, un momento che segnò la vita democratica nel Paese, la coscienza civile di quelle lavoratrici e di quei lavoratori.

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A seguito di quelle lotte, 7 operai e 2 operaie della Ticosa e della Castagna, furono deportati nei campi di sterminio di Auschwitz e Mauthausen, sei di loro non tornarono più, uno morì dopo pochi mesi per le violenze subite.Noi ricorderemo quelle donne e quegli uomini coraggiosi e straordinari, lo faremo con un'iniziativa in questa stessa sala il 9 aprile e poi ai primi di maggio andando nel campo di sterminio di Mauthausen a portare una corona di fiori in memoria di quei martiri.Rileggendo la storia di quei periodi diventa più facile dare un senso a quello che ogni giorno cerchiamo di fare, a darci e a dare una speranza alle tante persone che rappresentiamo.Ricade su tutti noi un'eredità importante, che è quella della nostra memoria e della nostra storia, ricordiamocelo, ricordiamocelo sempre mentre pensiamo e progettiamo il futuro.

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