REIMPIEGO E IMPORTAZIONI DI MARMI … · ti architettonici d'importazione dall'area...
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Patrizio Pensabene, Claudia Barsanti
REIMPIEGO E IMPORTAZIONI DI MARMI
NELL'ADRIATIC O PALEO CRISTIANO E BIZANTINO
Con questo intervento vorremmo proporre alcuni spunti di riflessione su tre aspetti specifici che crediamo caratterizzare in modo particolare anche l'area adriatica tra IV e VI secolo: i fenomeni del reimpiego e in parallelo la diffusione di marmi e manufatti architettonici d'importazione dall'area greco-costantinopolitana, entrambi, fenomeni da vedere alla luce del problema degli scultori itineranti e delle officine locali. Ma tali aspetti rimarrebbero fini a se stessi, in un certo senso astratti se non si mettono in relazioni con le piante e gli elevati che sopravvivono delle architetture di questo periodo e ancora con la committenza.
È questo, come è noto, il periodo delle grandi figure di vescovi, le cui attività edificatorie troppo spesso sono state messe in relazione solo con ambiti particolari dell'impianto ecclesiastico, come i mosaici, per la circostanza fortuita della presenza di iscrizioni nel tappeto musivo. Si è invece trascurato l'impatto dell'analisi stilistica dei manufatti architettonici e soprattutto il calcolo quantitativo dei marmi, sia di rivestimento, sia degli altri arredi architettonici e liturgici per inquadrare e definire il ruolo delle committenze, le loro capacità economiche e organizzative e dunque la rete di relazioni anche politiche, che solo permetteva l'accesso alle grandi cave imperiali.
In questa sede affronteremo meno la problematica necessariamente amplissima del reimpiego di strutture edilizie precedenti al momento della costruzione delle nuove basiliche cristiane: anche questo, però, è un fattore importante per valutare l'atteggiamento verso la nuova edilizia cristiana delle autorità civili e del potere centrale, da cui solo poteva provenire il permesso per demolizioni e riuso di strutture pubbliche. Anche in questo caso dà indispensabili informazioni sulle modalità che presiedettero alla trasformazione della città antica la lettura della posizione delle nuove basiliche: si vedano ad esempio la Basilica di San Lorenzo ad Ancona (poi San Ciriaco) sorta intorno alla metà del V secolo sul podio del tempio abbattuto di Venere Euplea che si ergeva sul colle dominante il porto della cit-
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Fig. I. Ancona, il complesso monumentale del San Ciriaco.
tà 1 (fig. 1), ancora la cattedrale di Pesaro di V secolo costruita sul decumano presso l'area dell'antico foro al centro della città 2; altri casi interessanti dell'area adriatica le basiliche gemine di Nesazio costruite sul Foro del municipio 3 e le cattedrali di Aquileia e Pola che, pur occupando posizioni periferiche, si sovrappongono però a strutture pubbliche importanti, quali magazzini statali o altri impianti presso i porti: a Pola, in particolare il complesso sorge in area decentrata, in prossimità delle mura e forse riutilizza un edificio tardo antico, di cui resta un robusto muro inglobato nella parete di fondo della grande basilica di V secolo, a tre navate divise da due file di 11 colonne, con abside interna, a cui era affiancata un'altra basilica rettangolare, più antica, con abside interna sopraelevata per l'altare (tribuna[) 4
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Abbastanza paradigmatica è la situazione della cattedrale di Trieste, che pare essersi impiantata fin dal V secolo (nella seconda metà) sulla collina, presso la sede dell'antico castelliere, dove sorgeva il foro con la Basilica civile (I-II sec.d.C), occupando il sito del presunto Capitolium di cui avrebbe inglobato il monumentale
' Per la vicenda storico-archeologica della primitiva fondazione ecclesiale sulpodio del tempio, si veda da ultima PANI ERM1N1 2003, pp. 95-113.
2 Cfr. Russo 1989, pp. 80-99.
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3 Cusc1rn 2000, p. 458, fig. 14. ' Cusc1rn 2000, p. 456, fig. 12.
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Fig. 2. Trieste, pianta della città romana (da Cusc1To 2000).
propileo 5 (fig. 2): quindi, in contrasto con quanto avviene ad Aquileia 6, a Concordia, a Zuglio, a Parenzo e a Pola, città in cui evidentemente l'antico centro direzionale romano era ancora vitale, il gruppo episcopale tergestino non sarebbe sorto alla periferia della città, ma al centro.
La basilica di Trieste (m 20,40x38,70) era a tre navate divise da due filari di 1 O colonne e con abside di cui si è discusso se, insieme al recinto presbiteriale, fosse un'aggiunta del vescovo Frugifero intorno alla metà del VI secolo. Di quest'epoca è un capitello corinzio a 4 foglie con kyma ionico alla base, da attribuire ad officina locale 7 e che è impiegato sotto un pulvino con monogra1mna di Frugifero 8 (fig. 3). Ma l'esempio tergestino è importante anche perché si è realizzata la trasformazione dell'avancorpo del propileo romano supersite del Capito/han entro il campanile in tomba privilegiata al centro della città, secondo l'uso largamente documentato delle sepolture in urbe note, per l'ambiente adriatico, anche a Salona, Ravem1a, Grado, ecc. Da sottolineare che la chiesa s'impianta sul tempio principale della città però attentamente demolito, fatto che non può che derivare dal consenso e favore delle autorità civili.
Anche utile è l'osservazione sull'orientamento dei complessi cristiani, che, se sono orientati secondo l'antico impianto urbanistico della città, danno informazioni sulla continuità d'uso del retico-
5 Cusc1rn 2000, p. 443, fig. 3. '' Cusc1rn 2004, pp. 511-559.7 Cusc1rn 2000, p. 448, fig. 7. 8 Cfr. TAVANO 1978, Il. 18, p. 76.
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9 Cusc1rn 2000, p. 451.
Fig. 3. Trieste, San Giusto: capitello ( da Cusc,rn 2000).
lo stradale romano come si verifica a Parenzo: qui, inoltre, il complesso è costruito sul luogo di un'antica domus (forse in seguito divenuta una domus ecclesiae) di cui riutilizzerebbe i muri del triclinio e su cm m una pnma fase degli ultimi decenni del IV secolo si sviluppano tre aule; ad esse poi, agli inizi del V secolo, si sovrappone la prima grande basilica tripartita (m 18,50x35), priva di abside, ma con la novità del banco presbiteriale semircolare, alla quale viene affiancata un altra basilica più grande con due file di 11 colonne ( capitelli nell'episcopio?) 9 (figg. 4-5).
Fig. 4. Parenzo, schema ricostruttivo delle prime aule cristiane sul sito della domus
romana (da Cusc,rn 2000).
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Fig. 5. Parenzo, schema ricostruttivo del complesso preufrasiano (da Cusc1To 2000).
Difficile è comunque valutare pienamente il fenomeno delle chiese che reimpiegano edifici romani preesistenti 10,
nonostante i tentativi di catalogazione, che già il Deichmann aveva intrapreso su scala mediterranea, in quanto qualunque episodio di questo tipo deve essere inquadrato nello specifico contesto storico geografico in cui si verifica,
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per capirne la portata che non è mai la stessa. Ad esempio vanno distinti i casi in cui avvengono riutilizzazioni come luoghi di culto di strutture di ville tardoantiche, che s'inseriscono nella problematica più ampia della continuità d'uso e trasformazione proprio di questi complessi nel periodo tra la fine dell'impero d'occidente e l'alto medioevo: non sempre, come invece è avvenuto per le aule absidate delle domus di Aquileia, è corretto farsi trascinare dalla forma architettonica per supporre una funzione cristiana, ma è innegabile che in alcuni casi sia avvenuta questa trasformazione d'uso o che le strutture esistenti, ancora in funzione o no, di una villa signorile o rustica abbiano favorito l'impianto cristiano, tanto più se queste continuavano a essere importanti centri produttivi e residenziali del territorio. Così a Orsera, sempre sulla costa occidentale dell'Istria, l'aula absidata, che rivestì funzioni di culto, è inserita in un complesso di ambienti che devono essere considerati insieme alle strutture della villa rustica ivi rinvenuta 11• Lo stesso la basilica cri-
10 In generale, vedi da ultima, CANTINO WATAGHIN 1999, pp. 673-750. 11 Cusc1rn 2000, p. 460, fig. 15.
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stiana di Santa Maria nell'isola di Brioni, a tre navate e simile alla basilica di Pola, ma sorta su una villa rustica di età romana 12
• Né ci si può sottran-e nel considerare una struttura triabsidata più antica riutilizzata la basilica di Sant' Andrea di Betica presso Pola, ugualmente da collegare con la presenza di una villa rustica 13•
Altro aspetto, che suscita proprio il complesso cristiano di Parenzo, ma anche di Aquileia, ecc., è il rapporto tra le varie ricostruzioni delle basiliche cristiane, che, proprio tra il IV e il VI secolo, si succedono a breve scadenza di tempo: cioè quanto le piante e gli elevati delle fasi antiche condizionano quelle successive. Nell'architettura religiosa pagana normalmente si reimpiegano sempre nelle strutture di un tempio che viene ricostruito e di cui si mantiene la dedica alla stessa divinità, i materiali edilizi della fase precedente: ad esempio, se si ricostruisce in marmo il prospetto colonnato di un tempio, che in precedenza presentava fusti in pietre locali, queste vengono frantumate e reimpiegate nella muratura successiva, non solo per motivi utilitari, ma perchè tutto il materiale della fase più antica deve essere preservato in quanto dotato di valore sacrale: insomma il tempio più recente è anche una sorta di deposito votivo, di favissa di quello precedente e questo spiega tanti arcaismi nelle strutture murarie come nel caso dei templi augustei di Roma 14. Oranell'architettura cristiana, già dei primi secoli, si assiste ad un continuo reimpiego di strutture edilizie e anche di elementi architettonici delle fasi precedenti e ci si chiede se tale pratica risponda non solo ad un facile reperimento di materiali edilizi, quanto piuttosto all'esigenza anzi all'intenzione di perpetuare le memorie del primitivo luogo di culto, che necessariamente deve essere inglobato in quello successivo. Forse ci si può spingere oltre, considerando che la ricostruzione di un edificio di culto sempre sullo stesso luogo non sia dovuto solo ad esigenze topografiche, o di conservazione della memoria, ma dalla concezione unitaria dello spazio cristiano derivante dall'atto della consacrazione, anche se si evolve e si aggiorna nel tempo.
Gli aspetti ora citati - reimpiego e importazioni di elementi architettonici, entità del riuso di strutture edilizie nelle nuove costruzioni ecclesiastiche, riutilizzo delle precedenti strutture ecclesiastiche in quelle successive - andrebbero ovviamente valutati per
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12 Cusc1To 2000, p. 463, fig. 19. 11 Cusc1rn 2000, p. 460, fig. 18.14 PENSABENE, PANELLA 1993-94, p. 116.
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ogni singolo centro e solo dopo tale lavoro analitico, si potranno fornire contributi di carattere generale utili alla ricostruzione della storia delle città nel momento di passaggio tra tardo-antico e alto medioevo, secondo linee già in parte tracciate da studiosi come P.A. Février, B. Ward Perkins, Cl. Lepelley e altri, per singole regioni.
Le osservazioni che qui si presentano sulle città dell'Adriatico non possono quindi che avere un valore provvisorio essendo ancora incompleta l'edizione di molti monumenti e soprattutto, per ciò che ci riguarda, mancando in molti casi lo studio degli elementi architettonici, non solo per i capitelli, ma anche per le colonne, di cui spessissimo s'ignora la provenienza del litoti po e quindi le informazioni che tale dato potrebbe dare per la ricostruzione delle possibilità e delle relazioni della committenza. Tutto ciò, nonostante l'esistenza di studi e cataloghi di elementi architettonici dedicati a singole città o monumenti proprio dell'area adriatica che avrebbero facilitato tale attenzione: basti citare i lavori di Deichmann su Ravenna e, in epoca molto più antica, del Weigand e del Dyggve sulla Dalmazia, regione per la quale solo ora i recenti lavori diretti da Noel Duval stanno iniziando a colmare le lacune 15
•
In questo quadro sempre più, pertanto, acquista importanza la valutazione degli aspetti quantitativi delle esportazioni bizantine destinate agli edifici ecclesiastici, tanto più se si può mettere a confronto con i dati quantitativi dei materiali marmorei di reimpiego destinati ad essere posti in vista, come appunto le colonne delle navate, e soprattutto con le scelte di piante e di elevati architettonici. Tutte queste sono informazioni, ripetiamo, che ci aiutano a capire non solo aspetti della storia dell'architettura e delle produzioni di manufatti destinati ad essa, quanto la natura della committenza, le sue possibilità finanziarie e il suo rapporto con il potere politico centrale.
La scelta che si è operata in questa sede è di limitare la raccolta dei dati soltanto alle chiese di città portuali che si affacciano sull'Adriatico, nel tentativo di affrontare una situazione di partenza il meno possibile disomogenea, considerando che le difficoltà e le spese di trasporto di materiali pesanti, come le colonne, non permetteva di mettere sullo stesso piano di partenza città marittime e città poste all'interne, anche se queste, in molti casi potevano essere più importanti di quelle dotate di porti. Ma soprattutto, la scelta di considerare basiliche di città portuali era legata alla possibilità di indivi-
" In particolare i volumi, pubblicati a partire dal 1994, dedicati alle ricerche congiunte franco croate dirette appunto da Noel Duval ed Emilio Marin.
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Fig. 6. Ravenna, Sant' Apollinare in Classe.
duare rotte marittime di volt?, in volta percorse per motivi commerciali, o per motivi politici. E probabilmente questo il caso che sta spesso dietro le motivazioni degli invii di arredi architettonici per chiese di territori da poco riconquistati al dominio bizantino, che sono da inquadrare nella politica giustinianea di ristabilimento del potere centrale: in questo senso si spiega la massiccia esportazione di basi, capitelli, colonne, transenne, financo po1iali per la costruzione ex novo nel 549, di Sant' Apollinare in Classe con 24 colonne (alte m 4,62/4,76) 16 con basi e capitelli compositi ad acanto finemente dentellato 'a farfalla' (fig. 6), ancora per il rinnovamento della Basilica di Parenzo (fig. 7) da parte del Vescovo Eufrasio (arrivano 18 colonne alte m 3,39/3,58, 18 basi, 18 capitelli di tipi diversi -compositi, bizonali e a pannelli-, l'incorniciatura di quattro p01iali, ecc., mentre il reimpiego di capitelli pare confinato al palazzo vescovile) 17
: siamo anche per Parenzo negli anni mediani del VI secolo, quando tra l'altro la polemica del vescovo contro il papato romano
I(, Cfr. DEICHMANN 1976, pp. 242-243; NOVARA 2002, p. I O. 17 Russo 1991, pp. 17-22, figg. 1-5 (portali); pp. 24-29, fig. 9 (basi e colonne),
passim.
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Fig. 7. Parenzo, la basilica eufrasiana.
per la difesa dell'autorità della chiesa istriana dovette incontrarsi con la politica giustinianea di riaffermazione del potere imperiale anche in campo religioso (l'Istria era tornata dal 538 a far parte dell'impero bizantino). Va tuttavia rilevato che tutti questi elementi architettonici d'importazione vengono impiegati all'interno d'impianti di tradizione non puramente costantinopolitana, ma con l'introduzione di linguaggi locali.
Architetti, mosaicisti, pittori, scultori di diversa e più lontana provenienza, con le loro esperienze ed innestandosi nelle tradizioni architettoniche dei luoghi in cui agivano o dove arrivavano i loro prodotti, diedero luogo, proprio tra V e V I secolo, ad una temperie culturale che possiamo definire splendida, e forse mai eguagliata nei secoli successivi: essa era caratterizzata da una dinamica circolazione di arte e cultura, alimentata dalla fitta trama di relazioni internazionali con l'impero d'Oriente e con i regni d'Occidente.
L'arredo architettonico di molti edifici adriatici comprende serie omogenee di elementi - basi, colonne, capitelli e pulvini - di marmo proconnesio 'prefabbricati', appositamente confezionati dagli opifici attivi presso le cave dell'isola di Proconneso nel mar di Marmara.
Era questa una grande organizzazione che fin dal!' epoca imperiale operava su scala industriale, commerciando i propri manufatti in tutti i principali centri del Mediterraneo e del Mar Nero, la cui produzione e, soprattutto, le esportazioni assunsero poi, all'indomani della fondazione della Nuova Roma sul Bosforo, connotazioni quasi monopolistiche, costituendo sotto tale prospettiva uno dei principali tramiti alla diffusione della cultura artistica della capitale.
Non va peraltro dimenticato che Ravenna fin dall'epoca epoca imperiale era stata coinvolta nel fenomeno delle importazioni e del commercio dei marmi. Già a partire dal II secolo veniva rifornita regolarmente dalle cave microasiatiche di materiali e manufatti marmorei, per lo più sarcofagi finiti o semilavorati, e aveva visto nascere e sviluppare varie officine, divenendo un centro di raccolta
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e di smistamento per le regioni alto adriatiche 18• Queste attività, che
avevano subito una stasi, di riflesso alla generale crisi economica, ripresero quando Ravenna divenne nei primi anni del V secolo residenza imperiale. Ricominciarono allora le importazioni dei marmi dal Proconneso, con un flusso crescente, per rifornire dapprima le fabbriche della dinastia teodosiana, quindi le fondazioni di Teoderico e, ancora, dopo la riconquista bizantina, per soddisfare la richiesta delle grandi fondazioni ecclesiali consacrate dall'arcivescovo Massimiano 19
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È d'altronde assai probabile che a Ravenna, principale scalo sulle rotte dell'alto Adriatico, nel corso del V secolo, fosse nuovamente creato un centro di raccolta, di smistamento e di lavorazione dei marmi d'importazione, alla cui organizzazione collaborarono forse anche quegli artefici che avevamo scortato i carichi di materiali giunti da Costantinopoli, i quali poterono tra l'altro dare impulso alle botteghe locali, aggiornandole nelle tecniche più sofisticate della contemporanea scultura decorativa costantinopolitana, dando vita ad una produzione in cui le raffinate mode della capitale si coniugarono alle tradizioni locali, con esiti mai banali, bensì sovente eclettici ed originali. L'esistenza di una statio marmorum, vale a dire un organizzato centro di raccolta dei manni importati dalle cave per lo più di proprietà imperiale, e di un funzionario (un redemptor o un dispensator), che amministrava e gestiva la distribuzione dei materiali, in parte destinati alla ratio urbica e in parte commercializzati, messi a disposizione delle officine che lavoravano per la committenza privata, verrebbe in qualche modo segnalata da una notizia riportata dalle Variae (3, 19) di Cassiodoro. Teoderico concesse infatti a un certo Daniele, i cui prodotti marmorei gli erano piaciuti, il privilegio di controllare la vendita dei sarcofagi a Ravenna, esortandolo tuttavia a non chiedere prezzi ingiusti e dunque a non abusare della sua autorità 20
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Le sculture della chiesa palatina, che mTivarono a Ravenna complete nella lavorazione, come del resto quelle in precedenza messe in opera nella chiesa di San Giovanni Evangelista e nella basilica Apostolorum, s'inquadrano dunque nell'ambito del più vasto fenomeno delle esp01iazioni dei manufatti prefabbricati prodotti dagli opifici
" Cfr. GABELMANN 1973; REBECCHI 1977; REsEcc1-11 1978; KoLLWITZ, HERDER
.10RGEN [979; fARIOLI 1983. 19 Soo1N1, 8ARSANT1, Gu1GL1A Gu1DOBALD1 1998, pp. 318, 320, 323; FAR1ou CAM
PANATI 2005, pp. 22-23.
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20 DRESKEN-W EILAND 1994.
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attivi nell'orbita costantinopolitana, un fenomeno che, con il procedere delle indagini, rivela dimensioni sempre più ampie, implicazioni ancor più complesse, di carattere politico, sociale, economico, nonché culturale, proponendo nel contempo nuove problematiche.
Si dovrà soprattutto valutare la mobilità delle maestranze del Proconneso, la loro attività nei luoghi di destinazione dei materiali e la collaborazione con gli artefici locali 21
• Unendo nel contempo tali informazioni a quelle della committenza che poteva essere pubblica, ma anche legata a finanziamenti elargiti dalle comunità cristiane al loro vescovo.
Un'idea di come viaggiassero questi manufatti 'prefabbricati' ci viene dunque offerta, non solo dal celebre relitto della nave naufragata a Marzamemi nei primi anni del VI secolo sulle coste orientali della Sicilia, ma proprio dall'analisi dei contesti in cui si rinvengono gli elementi d'importazione ci chiarisce di volta in volta la natura della committenza e le possibili modalità delle richieste spesso chiarite anche dalla presenza di sigle che permettono d'individuare officine specializzate in queste attività produttive 22
•
Ma anche frequente è la presenza di manufatti bizantini d'importazione in chiese non del periodo giustinianeo per le quali ugualmente vi sono ragioni politiche e di prestigio dietro la scelta dell'uso di pezzi importati: si pensi proprio a Ravenna dove le chiese neoniane del periodo tardo teodosiano con capitelli corinzi importati del tipo 'a lira' e a 'V' (San Francesco/Basilica Apostolorum - figg. 8-9) 23
, e le chiese teodoriciane, come Sant' Apollinare Nuovo 24
(figg. 10-11) e la Ecclesia gothorum, con capitelli corinzi 'a lira' ecompositi con acanto finemente dentellato 'a farfalla' riutilizzati,quest'ultimi, nel portico del Palazzetto veneziano di Piazza delPopolo 25 (figg. 12-13).
" In generale, sul problema relativo ai centri di raccolta, lavorazione e smistamento dei manufatti marmorei d'importazione, nonché sulla creazione di botteghe locali, cfr. BETsc1-1 1979; BARSANT1 1989; DE1c1-1MANN 1989; S001N1 1989; S001N1 1991; BARSANTI 1995; Russo I 996; S001N1 2000; BuoR1Es1 2005. Per l'area alto adriatica, si vedano inoltre le pertinenti riflessioni della TERRY 1987 sulle sculture di Grado.
22 BARSANTI 1989, pp. 215-220; PENSABENE 2002, pp. 328-334; PARIBENI 2004, pp. 651-734. Per Tartous confronta anche DENNERT, WEsTPHALEN 2004.
23 DE1c1-1MANN 1976, pp. 311-314, figg. 18-183, l 88-189; Gu1GL1A Gu100BALD1 1999, pp. 288-290. Sono 2 l le colonne di marmo proconnesio riutilizzate nell'edificio, alte m 3,50/3,62, cfr. NovARA 2002, p. 11.
" 24 colonne alte m 3,40/3,57: DE1CHMANN 1974, pp. 132-133; NovARA 2002, p. I O. " DE1c1-1MANN l 976, pp. 326-328, figg. 56-58; per un catalogo degli otto capitelli
si veda inoltre NovARA 1988, pp. 61-80.
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Fig. 8. Ravenna, San Francesco; l'interno verso la controfacciata ( da DE1-
CHMANN J 976).
Fig. 9. Ravenna, San Francesco: capitello corinzio a 'V' (da DE1CHMANN 1976).
In passato, l'erudita storiografia locale aveva riconosciuto nel portico del Palazzetto veneziano, un avanzo della basilica Herculea, che era stata restaurata dal re goto, alla quale i veneziani si sarebbero limitati ad apportare semplici modifiche. Tale identificazione, variamente dibattuta, venne tuttavia confutata nel 1905 da Corrado Ricci il quale, se pure in precedenza l'aveva accolta e con-
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Fig. I O. Ravenna, Sant' Apollinare Nuovo: il colonnato e la navata destra.
Fig. 11. Ravenna, Sant' Apollinare Nuovo: capitello corinzio 'a lira'.
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Fig. 12. Ravenna, Piazza del Popolo: colonna della Loggia Veneziana.
Fig. 13. Ravenna, Piazza del Popolo, Loggia Veneziana: capitello composito con il monogramma di Teoderico.
divisa, ora rivendicava con pieno convincimento la provenienza di quei materiali dalla Ecclesia gothorum atterrata dai veneziani.
Degli otto capitelli che adornano il portico su colonne di granito 26
, tutti di marmo proconnesio e tutti di tipo composito, settepresentano una struttura decorativa con foglie di acanto finemente dentellato, mosse dal vento, ma con singolare andamento contrapposto, del cosiddetto tipo 'ad ali di farfalla'. Le otto foglie delle due corone si rivolgono infatti in direzioni opposte e, unendosi due a due per il dorso, assumono l'aspetto di una farfalla in volo con le ali dispiegate 27•
L'ottavo capitello appartiene invece alla 'più normale' e più ampiamente diffusa categoria dei compositi con due corone di foglie di acanto finemente dentellato 28, la cui peculiare struttura decorativa, caratterizzata dall'echino decorato dal kyma ionico, trova precisi riscontri nella stessa Ravenna, ed esattamente, in un esemplare riutilizzato alla base del campanile della basilica di San
2(, DEICI-IMANN 1976, p. 328. 27 La tipologia dell'acanto viene definita Schmetlerlingsakan/us dal KAuTzsc1-1
1936, pp. 148-] 50, e en papillon da GRABINER, PREssouvRE 1993, pp. 376-380. 28 NovARA 1988, p. 82. Sulla larga diffusione di questo tipo di capitello prodotto ed
esportato dagli opifici attivi nell'orbita costantinopolitana tra la seconda metà del V e la prima metà del VI sec. si veda da ultimo Soo1N1 2003, pp. 867-887.
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Giovanni Evangelista e in un altro conservato nel Museo N azionale 29, nonché nei capitelli di Grado 30 e di Parenzo 31
•
Quattro all'origine, ma ormai solo tre dei capitelli con le foglie 'ad ali di farfalla' recano, tra le volute, al centro del kyma ionico, il monogramma di Teoderico inserito entro un serto di foglie di alloro 32 che riproduce in forma monumentale il medesimo monogramma utilizzato nei coni del sovrano goto, come testimoniano in particolare le emissioni della zecca di Roma e di Ravenna per gli anni 518-520 33
•
Al gruppo omogeneo dei sette capitelli del Palazzetto venezianosi aggiungono a pieno titolo altri cinque esemplari 'erratici', di varia provenienza, in tutto e per tutto identici, anche dal punto di vista dimensionale: tre capitelli ( di cui due con il monogramma teodericiano) nel Museo Nazionale di Ravenna (in antico trasformati in vasche) 34
, un capitello reimpiegato come fonte battesimale nellaPieve di San Giovanni Battista a Cesato di Faenza 35 ed infine il perduto capitello, anch'esso siglato dal monogramma di Teoderico, a suo tempo segnalato dal Gerola, nella Villa Massari a Fabriago di Lugo 36
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I capitelli nei quali possiamo riconoscere, con un'identificazione che comunque non può esser altro che ipotetica, ma verosimile, le spoglie teodericiane dell'Ecclesia gothorum sarebbero allo stato attuale dodici e apparterrebbero dunque ad un 'set' appositamente realizzato dagli opifici del Proconneso, per soddisfare la richiesta della committenza regale con una 'creazione' decisamente originale e rara.
La struttura decorativa dei nostri capitelli, che a distanza di circa trent'anni venne replicata con minime varianti per i ventiquattro capitelli destinati ad un altro prestigioso complesso ravennate, la basilica di Sant' Apollinare in Classe 37
, trova in effetti pochi paralleli, anche nella stessa Costantinopoli, dove possiamo appunto ricondurre la creazione dell'acanto 'ad ali di farfalla', una variante in
" Ouv1ER1 FAR1ou 1969, nn. 32 e 33, p. 28. 3° Cfr. TAvANo 1986, pp. 338-340, 408, figg. a pp. 339 e 407.31 Russo 1991, n. 12, pp. 38-39, figg. 14-15. 32 Si veda inoltre LusuARDI S1ENA 1984, p. 535, figg. 439-442; FARIOLI CAMPANA
TI 1991, p. 253, figg. 11-12; Soo1N1, 8ARSANTI, Gu1GL1A Gu1DOBALD1 1998, p. 323; FARIOLI CAMPANATI 2005, pp. 22-23, fig. 16.
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33 Cfr. ARSLAN 1984, pp.413-444, figg. 291-292. 34 DEICI-IMANN 1976, pp. 327-328; NOVARA 1988, pp. 76-78.35 PORTA 1988, pp. 63-110; NovARA 1988, p. 79; BuoR1Es1 1999, p. 43, fig. 29. 36 GEROLA 1914, p. 534.37 DEICI-IM/\NN l 976, p. 241; FARIOLI CAMPANATI l 982, p. 177.
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verità decisamente estrosa del più diffuso acanto mosso dal vento di tradizione classica 38
•
Assai esiguo è infatti il numero dei capitelli con foglie di acanto 'ad ali di farfalla' nella capitale bizantina, dove, allo stato attuale si conoscono solo pochi esemplari, di cui, ben quattro, sono di tipo doppio. La coppia nel Museo Archeologico, proveniente forse dall'area di Beyaz1t, abbina infatti una metà corinzia di tipo VII (secondo la tradizionale classificazione a suo tempo proposta dal Kautzsch nel 1936) ad una metà caratterizzata da una struttura pseudocomposita con acanto 'ad ali di farfalla' 39
• Anche i due esemplari superstiti dei cinque riutilizzati nella ormai distrutta Cisterna n. 1 O, presentano ugualmente una metà corinzia abbinata ad una metà pseudocomposita con acanto 'ad ali di farfalla' 40
• Ancor più singolare è poi una coppia di capitelli provenienti dall'area del Grande Palazzo imperiale oggi nel Museo Archeologico, decorata con figure di serafini e da coppie di foglie di acanto 'ad ali di farfalla' che s'irradiano su ogni lato da un medaglione circolare 41
• La medesima composizione decora anche un capitello, di tipo doppio, individuato dal Betsch nella cisterna 16 42
•
Altrettanto pochi sono gli esemplari di ambito greco dove si possono segnalare: un imposta dall'Acropoli di Atene, oggi nel Museo Bizantino, decorato da due foglie aperte 'ad ali di farfalla tra le quali trova posto un volatile 43
; un isolato capitello corinzio trovato di recente nell'isola di Samo 44
, il perduto esemplare di tipo bizonale di Preveza 45
, con una corona di foglie di acanto 'ad ali di farfalla' sovrastata da aquile dalle ali dispiegate e i quattro originalissimi capitelli con struttura ugualmente bizonale in opera nella chiesa di Santa Teodora ad Arta 46
• Le foglie mediane della corona superiore, disposte a'ad ali di farfalla', che tuttavia, in due dei capitelli, sulla
38 GRABINER, PRESSOUYRE 1993, pp. 376-380. 39 Inv. nn. 5209-5210: ZoLLT 1994, nn. 634-635, p. 221, tav. 45, con datazione alla
prima metà del VI secolo. Lo Zollt segnala anche nel deposito dello stesso museo il frammento di un esemplare analogo (ZoLLT 1994, n. 636, pp. 221-222).
40 KAuTzsc11 1936, n. 471, p. 149, tav. 29; BETsCH 1979, p. 104. 41 Inv. n. 925-926: F1RATu 1990, nn. 230-231, pp. 122-123, tav. 74, con datazione
alla fine V -inizio VI secolo. 42 BETSCH 1979, p. 84. 43 SKLAvou-MAuRoE101 1999, n. 97, p. 72, con datazione al 500. 44 PouLou-PAPADIMITR1ou 1987-88, pp. 151-158.45 K1Tz1NGER 1946, n. 80, p. 69 e fig. 11 O; DE1C\-IMANN 1964-65, p. 76; Soo1N1 1984,
p. 236.46 0RLANDOS 1936, pp. 96-99, figg. 7-9; Soo1N1 1984, pp. 222-223, fig. 6.
469
PATRIZIO PENSABENE, CLAUDJA BARSANT!
fronte, lasciano il posto, ad una sorta di cartiglio sul quale è scolpito una figura in veste di retore, l'una identificabile con un evangelista, l'altra forse il Cristo. Singolare è infine il capitello bizonale di calcare conservato nel Museo Copto del Cairo, che interpreta con gusto del �tto naif un più nobile modello marmoreo 47
•
E un panorama quanto mai rarefatto e disomogeneo, dal quale risalta in modo ancor più evidente l'eccezionalità delle sculture di Ravenna che furono senz'altro espressamente confezionate dagli opifici del Proconneso per una committenza privilegiata quale poteva esserlo appunto quella del sovrano goto. Ed è questo forse uno dei pochi casi in cui si potrebbe dare una lettura in chiave politica e non genericamente propagandistica dell'uso di un particolare tipo di capitello che avrebbe avuti lo scopo di palesare il particolare legame privilegiato di Ravem1a con la corte bizantina.
Che fosse un caso unico in ambito adriatico risalta ancor più quando si confronta con le serie di carattere più standard testimoniate in Italia tra V e VI secolo. Ad esempio, ad Ancona si trovano invece capitelli corinzi del più corrente tipo cosiddetto Lederblatt
(fig. 14) insieme a colonne siglate d'importazione che sono reimpiegati nella fase romanica di San Ciriaco, ma che sicuramente provengono dalla preesistente basilica di San Lorenzo. Questa è stata messa in collegamento con Galla Placidia, come pure altri materiali riusati in San Ciriaco, quali i capitelli ionico-imposta (fig. 15), i capitelli compositi finemente dentellati e i pulvini 48
( fig. 16). Anchea Rimini gli edifici cristiani dotati di arredi architettonici e liturgici d'importazioni devono essere visti in quest'ottica: qui è stata infatti rinvenuta ( e presto distrutta) un piccola chiesa, forse un oratorio annesso alla chiesa di Sant' Andrea ( ora scomparsa, ma in origine situata presso la porta omonima della città), da cui proviene un pluteo con clipeo lemniscato d'importazione bizantina 49 (fig. 17).
L'aspetto del prestigio e della propaganda di una committenza elitaria emerge chiaramente anche a Pola, dove si ricordano i marmi dell'arredo architettonico e liturgico della cattedrale e della chiesa di Santa Maria del Canneto 50 e a Durazzo, città natale dell'impera-
" DE1c1-1MANN 1964-65, p. 71, tav. 25, 1-2; PENSABENE 1993, n. 675, pp. 466-467, tav. 76.
"' BARSANTI 1985, pp. 387-404; KRAMER 1997, p. 157; PANI faMINI 2003, pp. I 03-104, figg. 15-18.
49 Cfr. ANGELINI 2006, pp. 155-188. '
0 Tra i materiali, ora conservati nel Museo Archeologico d'lstria (cfr. JuRK1é 1979), si ricorda in particolare il raffinato capitello bizonale a canestro di primo VI sec.,
470
REIMPIEGO E IMPORTAZIONI DI MARMI NELL'ADRIATICO
Fig. 14. Ancona, San Ciriaco, navata: capitello corinzio del tipo 'Lederblatt'.
tore Anastasio dove si registra la presenza di monumenti nella pura tradizione costantinopolitana, come il foro circolare (figg. 18-19), e dove numerosissimisono fusti, basi e capitelli d'importazione dal Proconnesio,alcuni dei quali dovevano farparte degli anedi di chiese 51
•
L'altro aspetto che ci si propone con questo lavoro è di individuare l'entità della presenza di maestranze itineranti che scortavano i carichi di marmo, e rifinivano in situ gli elementi architettonici marmorei e ne curavano la messa in opera: è noto come tale presenza porti con sé il problema delle officine locali che sicura-
Fig. 15. Ancona, San Ciriaco, cappella del Crocifisso: capitello ionico a imposta.
Fig. 16. Ancona, San Ciriaco, cappella della Madonna: capitello composito con foglie di acanto finemente dentellato.
riconducibile a manifattura costantinopolitana, proveniente dal battistero della cattedrale: SEPARov1é 2002, cat. II.17, p. 286.
;i HoT1 1997; PENSABENE 2002.
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PATRIZIO PENSABENE, CLAUDIA BARSANTI
Fig. 17. Rimini, Museo Archeologico: pluteo dal distrutto sacello di Sant' Andrea (da ANGELINJ 2006).
Fig. 18. Durazzo: l'area archeologica della piazza circolare.
Fig. 19. Durazzo: capitello corinzio del colonnato della piazza circolare.
mente lavoravano insieme agli scultori itineranti e che, come si è detto, hanno contribuito per un periodo più o meno lungo alla formazione di uno stile bizantino locale, di cui è importante indagare la continuità. Tale problema si è posto ad esempio in Puglia, dove sempre più numerosi sono i ritrovamenti di colonne, basi e capitelli d'importazione bizantina e dove si registra parallelamente una continuità praticamente ininterrotta di stilemi bizantini fino al periodo romanico. Tra l'altro è dalla Puglia settentrionale che proviene una dello poche testimonianze attestate dalle fonti per il ver-
472
REIMPIEGO E IMPORTAZIONI DI MARMI NELL'ADRIATICO
sante adriatico dell'Italia meridionale di maestranze itineranti provenienti da Costantinopoli: si tratta dell'invio a Si ponto nel 491 ca., da parte dell'imperatore Zenone, di doctissimos artifices per la costruzione di due chiese, come risulterebbe dal testo della vita del vescovo sipontino Lorenzo conservataci da una redazione di IX secolo 52
• Ma il problema ha riguardato anche la Venezia Giulia e l'Istria, dove nel sacello medievale della cattedrale di San Giusto è stato rimesso in opera un pulvino con il monogramma di Frugifero e un capitello corinzio ad acanto finemente dentellato, con kyma ionico alla base, di fattura locale, anche se d'influsso bizantino 53
(fig. 3). Ma per troppo tempo lo studio dell'architettura paleocristiana
e bizantina nel Mediterraneo è stato condotto separatamente da quello della decorazione architettonica, senza che ci sia posti, se non in casi limitati, l'interrogativo quanto negli arredi architettonici sia dovuto a reimpiego o a manifatture ex novo. E sufficiente dire che soltanto per Ravenna si ha un quadro abbastanza completo dei reimpieghi da poter mettere a confronto con i materiali importati o comunque lavorati ex novo: sono state infatti riconosciute come spoglie le due serie di capitelli corinzi romani reimpiegati nella chiesa placidiana di San Giovanni Evangelista (430-45), che tuttavia vengono abbinati con pulvini nuovi 54 (fig. 20). Un altro riutilizzo, dell'epoca placidiana, avviene nella porta del Mausoleo di Galla Placidia, che Corrado
Fig. 20. Ravenna, San Giovanni Evangelista: capitello corinzio e pulvino ( da ZANOTTO 2007).
" BARSANTI 1999, pp. 224-229; BERTELLI 2002, 1111. 327-335, 377-380, pp. 287-290, 315-319, tavv. CVI-CVIll. CXXI-CXXIII; BARSANTI 2003, pp. 745-760.
53 Cusc1rn 2000, p. 448, fig. 7. 54 NovARA, SARAS1N1 2001, pp. 81-105, figg. 2b, 4d, 5a-b; ZANono 2007, pp. 90-
111, tav. 3-8.
473
PATRIZIO PENSA BENE, CLAUDIA BARSANTI
Ricci ripristino con cornici che lo inquadravano 55• Sotto Teodorico
si ha un riutilizzo raffinato e probabilmente intenzionale nella Basilica di Sant' Apollinare Nuovo, dove sono presenti anche due cornici angolari di II sec. riusate come imposta dell'arcone trionfale e in controfacciata, quindi in posizione preminente 56
•
L'afflusso di materiali importati, comincia a partire dalla metà del V secolo nella Ravenna preteodoriciana, come già abbiamo visto per la BasilicaApostolorum (ora S. Francesco), e aumenta fortemente nella piena età teodoricina, con le serie intere sopra citate di Sant' Apollinare nuovo (500) 57 e dell' Ecclesia Gothorum. Poi, senza soluzioni di continuità le importazioni continuano con la riconquista bizantina dopo il 540, in particolare con le grandi imprese edificatorie che culminano con la consacrazione da parte dell'arcivescovo Massimiano di San Vitale nel 547-548, e di Sant' Apollinare in Classe del 549 inaugurata sempre da Massimiano 58
• C'è tuttavia un momento molto singolare, che si potrebbe collocare nella prima età teodoriciana, quando sorge la cattedrale ariana (Anastasis Gothorum) l'attuale Santo Spirito, con pianta ispirata a
modelli architettonici costantinopolitani, data la forma quasi quadrangolare, e giustamente avvicinata alla basilica di San Giovanni di Studio, ma, e qui va sottolineato, con l'impiego di officine locali e di calcare di Aurisina, sia per i capitelli (fig. 21) che per l'ambone 59 (fig. 22): però po-
Fig. 21. Ravenna, Santo Spirito: capitello corinzio e pulvino (da DE1c1-1MANN 1958).
55 NovARA, SARAS1N1 200 l, p. 95, fig. l 3a; ZANOTTO 2007, pp. 112-116, tav. 9a."' NovARA, SARAS1N1 2001, p. 95, fig. 14a; ZANOTTO 2007, pp. 117-123, tav. 9b-c. 57 Si veda pure PENNJ IAcco 2004, pp. 33-35, figg. 6-7, 8; VERNJA 2005, pp. 363-
389; BuoR1Es1 2005, pp. 946-947, 957; BARSANTI 2008. " FARIOLI CAMPANATI 2005, p. 23, fig. 17; PASI 2005, p. 68, fig. 22. 59 DE1CHMANN 1958, figg. 247-248; FARIOLJ CAMPANATI 2005, pp. 21-22; BuoR1Es1
2005,p. 955,figg. 23-24.
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REIMPIEGO E IMPORTAZIONI DI MARMI NELL'ADRIATICO
Fig. 22. Ravenna, Santo Spirito: ambone ( da DE1cHMANN 1958).
trebbe essere sintomatico questo ricorrere a manifatture locali del particolare momento di disaccordo di Teoderico con Costantinopoli. Solo dopo il riconoscimento da parte di Anastasio dell'autorità di Teoderico sull'Italia, ritorna la possibilità di rifornirsi presso le cave imperiali del Proconnesio ed è forse proprio in questo 'momento' che si poté verificare l'ordinazione dei sopraddetti capitelli compositi con il monogramma del sovrano goto.
Citiamo per inciso anche un caso singolare di reimpiego a Ravenna, relativo però al periodo barocco, quando nella Cappella delle Reliquie di S.Apollinare Nuovo vengono riutilizzati fusti in verde antico e alabastro e capitelli in serpentino, che ricordano quelli di San Saba a Roma 60 e del cortile Ottagono del Vaticano 61 (fig.
23) insieme ad un'eterogenea collezione di marmi in origine appar-
,o Cfr. BoRGH1N1 1989, fig. 121d. (,I Cfr. LAZZARINI 2006, pp. 223-244, fig. 14.
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PATRIZIO PENSABENE, CLAUDIA BARSANTI
Fig. 23. a. Ravenna, Sant' Apollinare Nuovo, cappella delle Reliquie: capitello di serpentino (da NovARA, SARAs1N1 2001); b. Roma, San Saba: capitello di serpentino riutilizzato nel ciborio (da BoRGH1N1 1989).
tenente agli arredi liturgici della chiesa di VI secolo 62•
Lo studio dell'architettura cristiana nell'Adriatico, ma non solo, si è in effetti concentrato solo sulle piante, o, per quello che riguarda gli arredi, solo sui mosaici, per i quali ci si continua ad interrogare sulle officine, la diffusione dei motivi, ecc., ma manca un approfondimento simi
le per quello che riguarda gli arredi architettonici. Ma va anche rilevato che, se studi specifici sui capitelli, sulle transenne e altro possono essere frequenti, anche in questo caso raramente sono stati messi in relazione con l'elevato dell'edificio, e potremmo citare approfondite indagini sullo stile degli arredi marmorei di una chiesa senza che se ne sia pubblicata la pianta e/o il rilievo degli elementi architettonici, come le colonne, di cui dunque si è ignorato il contributo per la ricostruzione dell'edificio.
Quando manchi un approccio ai singoli monumenti nella loro interezza e quando le edizioni delle basiliche approfondiscono soprattutto le piante, i mosaici, le tecniche costruttive, trascurando l'analisi dell'arredo marmoreo, risultano sicuramente insufficienti le ricostruzione degli aspetti storici e storico-aiiistici che hanno presieduto alla realizzazione dell'impresa edilizia.
Gli edifici che hanno influenzato l'architettura ecclesiale monumentale sono certamente quelli costantiniani e teodosiani di Roma (San Paolo f.m. che è l'unico a conservare quasi intatto l' originario arredo architettonico) 63
, nel senso che i modelli di impianti
62 NovARA 1999, p. 41; NovARA, SARASINJ 200 I, p. 93, fig. l l c.63 8RANDENBURG 2002, pp. ] 525-] 578; BRANDENBURCi 2006, pp. 237-275.
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REIMPIEGO E IMPORTAZIONI DI MARMI NELL'ADRIATICO
basilicali con una grande navata centrale colonnata, affiancata da navate minori si diffondono dalla capitale con una grande rapidità e, pur subendo influssi e modificazioni nelle regioni in cui sono adottati, in base alle tradizioni e alle esigenze locali, determinano il consolidarsi di alcuni schemi di riferimento, quali l'uso di aule absidate, dotate nei casi più importanti di transetto, e di navate suddivise da file colonnate e precedute da atri ugualmente colonnati.
Non possiamo, né dobbiamo, in questa sede ripercorrere le fasi di sviluppo della basilica cristiana, ma vogliamo sottolineare che il fenomeno di questa espansione così rapida dei modelli romani si accompagna dappertutto, dove è possibile, all'uso del manno, sia esso di reimpiego, sia di nuova importazione. Tali presenze non caratterizzano, come è noto, solo le regioni prossime a Roma, come la Campania, di cui da tempo sono state messe in rilievo le vicinanze anche cronologiche con le grandi basiliche costantiniane di Roma (v. il complesso episcopale di Santa Liberata a Napoli e quello martiriale di Cimitile presso Nola), ma anche regioni più distanti, quali la provincia Apuliae et Calabriae, creata con la rifonna dioclezianea, e le province dell'Italia settentrionale. Se per città come Aquileia (il complesso episcopale), Milano (San Lorenzo, Santa Tecla) e altre è sicura una importante attività costruttiva cristiana già a partire dal IV secolo e soprattutto dal periodo teodosiano, per la Puglia e altre regioni essa può solo ipotizzarsi - per un'epoca così antica- sulla base di elementi marmorei dell'elevato databili ancora entro il IV secolo: più sicura, invece, è una importante fase edificatoria nel V e nel VI secolo quando si può parlare di un exploit di costruzioni religiose cristiane su tutto il Mediterraneo che si accompagna di volta in volta a spoglie architettoniche e a importazioni di materiali marmorei ex novo. Ancora, se si affennano spesso linguaggi regionali - basti pensare alle basiliche rettangolari con abside interna del nord Adriatico, o le basiliche con transetto sporgente e abside talvolta poligonale dell'Epiro (Basiliche di Nicopolis, di Butrinto, di Phoinike 64 e di Byllis in Albania), va però capito il ruolo delle importazioni e del reimpiego nelle storie di architettura regionale.
Negli anni passati abbiamo condotto insieme ad Alessandra Guiglia una ricerca, finanziata dal MURST, sulle importazioni bizantine nell'Italia antica, dalla quale di nuovo è risultato come anche sull'Adriatico pochi siano i casi in cui esse si trovino impiegate ancora nel contesto originario (Siponto, la primitiva basilica
64 META, Poo1N1, S1LAN1 2007, pp. 32-58.
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PATRIZIO PENSABENE, CLAUDIA BARSANTI
Fig. 24. Spalato, Museo Archeologico: capitello bizonale dal battistero di Salona.
episcopale; Ravenna; Grado, S.Maria, S. Eufemia 65
; Parenzo,Basilica Eufrasiana; Pola, S.Maria Formosa). La stessa situazione si ritrova sull'altro versan
te dell'Adriatico dove, se negli impianti ecclesiali si verifica ben presto una notevole varietà di soluzioni rispetto al modello basilicale di Roma, tuttavia per ciò che riguarda specificatamente l' Adriatico, come appartenenti al V e VI secolo e ancora conservate in maggiore o minore misura si possono citare quasi soltanto: il complesso delle chiese di Salona, che, pur essendo state distrutte, hanno restituito in sede di scavo i materiali architettonici e liturgici delle fasi originarie 66
[ v. i famosi capitelli bizonali (fig. 24) del Battistero di Salona] 67; la Basilica di Gata nella Dalmazia meridionale 68; il battistero di Butrinto 69 e la basilica di Anchiasmos in Albania 70
, le basiliche di Nicopoli, da cui provengono alcuni capitelli a lira (la Basilica D) e transenne (la Basilica B) e di cui recentemente è stato pubblicato un sarcofago proconnesio d'importazione costantinopolitana di VI secolo 71
•
L'architettura ecclesiale adriatica di IV-VI, tuttavia, è ampiamente documentata dalla presenza di spoglie marmoree impiegate nelle chiese romaniche sorte sui loro resti, dove si deve distinguere tra spoglie che già erano di riutilizzo nelle chiese della fase originaria, e spoglie che invece erano di primo impiego: è questo appunto il caso delle importazioni greco-costantinopolitane avvenute a partire dalla fine del IV secolo.
In Puglia sono state scoperte negli ultimi decenni basiliche di V-VI secolo sotto gran parte delle cattedrali romaniche, compreso
65 PENSABENE 2006, pp. 379-383. 66 Cfr. Salona I 1994.67 KAuTzsc1-1 1936, n. 517, p. 162, tav. 32; Soo1N1, BARSANT1, Gu1GL1A Gu100BALD1
1998, p. 325.
478
68 JEL1C1é 1994. 69 BowDEN 2003; DE MARIA 2007; M1TCHELL 2008.70 LAKO 1991." Da ultima C1-1ALK1A 2004; C1-1ALK1A 2006.
REIMPIEGO E IMPORTAZIONI DI MARMI NELL 'ADRJATICO
quelle che si affacciano sul mare (Bari, Otranto, Trani, Barletta, a cui aggiungiamo. all'interno, Ruvo, Bitonto e Venosa), che hanno anzi permesso di affermare come l'ubicazione delle basiliche episcopali non abbia mai subito spostamenti all'interno dell'abitato urbano 72 e come l'impianto anche in origine fosse a tre navate divise da file colonnate. Nelle successive e più grandi cattedrali medievali si riscontra nelle navate quasi sempre l'uso di capitelli scolpiti ex novo, ad opera di officine che hanno rielaborato influssi romanoimperiali e bizantini, in quanto nei fasci di pilastri o nei grandi fusti delle navate potevano adattarsi solo capitelli di dimensioni molto grandi; nei matronei, nelle cripte e in alte zone particolari era invece possibile reimpiegare capitelli più piccoli, quali potevano essere quelli delle chiese primitive e questo spiega perché il maggior numero di spoglie si trovi in questi settori e non nelle navate ( eccetto che per le cattedrali meno ampie come quella di Canosa dove si trovano capitelli di reimpiego anche nella navata) 73
•
Anche a Bari, se la basilica episcopale di V secolo (fig. 25) raggiungeva dimensioni abbastanza grandi - m 40x 18 - tuttavia i suoi capitelli non erano abbastanza grandi per le colonne della navata della successiva cattedrale: crediamo di poterli riconoscere invece in almeno sette dei capitelli dei matronei, del tipo corinzio a lira (fig. 26) e a 'V', e del tipo composito ad acanto finemente dentellato (fig.27), databili nella seconda metà del V secolo - inizi VI 74
, che ci permetterebbe diattribuire a quest'epoca la primabasilica da frammenti di plutei edai piedistalli fig.28) reimpiegatinel protiro dell' in-
Fig. 25. Bari, cattedrale: l'interno.
72 BERTELLI 1994, p. l l. 73
PENSABENE [990, pp. 87-95, figg. [23-127; PENSABENE 1996-97, p. 20, fig. 4. " BERTELu 2002, nn. 19, 21, pp. 100 e 102, tav. IX.
479
PATRIZIO PENSABENE, CLAUDIA BARSANTI
Fig. 26. Bari, cattedrale: capitello Fig. 27. Bari, cattedrale: capitello corinzio 'a lira'. composito con foglie di acanto fine
mente dentellato.
gresso meridionale 75, decorati
con schemi geometrici diffusi soprattutto nei decori dei plutei 76
•
In essa sarebbero state reimpiegate anche spoglie romano-imperiali, periodo a cui si possono attribuire alcuni capitelli corinzi del tipo asiatico, sempre dei matronei, in cui sono reimpiegati anche capitelli del periodo finale della dominazione bizantina e longo- Fig. 28. Bari, cattedrale: base del pro
barda (X-XI secolo), forse riferi- tiro meridionale.
bile a ampliamento della basilica di questo periodo 77.
I capitelli corinzi 'a lira' sono abbastanza ricorrenti in Puglia, ad esempio nei matronei, in facciata e in altri parti di San Nicola 78
(ritenuta sorta sui resti del complesso catapanale bizantino, di cui avrebbe potuto reimpiegare i capitelli, ma non solo data l'ampiezza del reimpiego). Nel complesso di San Nicola troviamo anche altri tipi di capitello, tra cui anche un capitello bizonale forse pertinente ad un ciborio della prima metà del VI secolo 79•
75 BERTELLI 2002, nn. 7-8, pp. 93-94, tav. IV; Gu1GLJA Gu100B"-LD1, BARSANT1 2004,p. 457.
76 In particolare BARSANT1 1998, pp. 23-48; Gu1GL1A Gu100BAL01, BARS"-NTJ 2004, pp. 441-474.
480
77 CALIA, G1ANNOTTA, QUART,\, PELLEGRINO 2005, pp. 187-208.78 BERTELLI 2002, 1111. 35-60, 64-79.79 BrnTELLI 1999, pp. 352-353, fig. 3; BERTELLI 2002, 11. 123, pp. 148-150, tav. XL.
REIMPIEGO E IMPORTAZIONI DI MARMI NELl 'ADRIATICO
Fig. 29. Otranto, cripta della cattedrale: capitello bizonale ( da V ERGA RA 1981 ).
Fig. 30. Siponto, Santa Maria: capitello corinzio 'a lira'.
Anche sotto la cattedrale di Otranto sono emersi i resti un edificio paleocristiano con pavimento a mosaico, identificabile con la primitiva basilica episcopale 80
, alle quale potremmo attribuire le spoglie romane, bizantine e forse quelle altomedievali reimpiegate nella cripta: citiamo in particolare i capitelli a calice, provenienti dall'anfiteatro di Lecce, per il periodo imperiale, quelli bizonali con canestro e colombe per il periodo bizantino (fig. 29), quelli corinzi ad acanto bizantineggiante per il periodo altomedievale 81
• Inoltre nella città sono sparse numerose colonne in marmi colorati.
Solo per la cattedrale di V secolo di Siponto, come si è visto, abbiamo l'evidenza archeologica più circostanziata dell'originario impiego in essa di plutei, basi semirifinite e capitelli bizantini d'importazione del tipo corinzio 'a lira' (fig. 30), insieme a materiali di reimpiego 82
• Un'evidenza dell'importazione di manufatti semilavorati, tipici delle cave del Proconnesio, ci viene anche dalla primitiva fase della Basilica di Canne (fig. 31 ), in cui furono impiegati basi
so G1ANFREDA 2002, pp. 251-274. " VERGARA 1980, pp. 60-67; VERGARA 1981; PENSABENE 1990, p. 49, fig. 74;
GIANFREDA 2002, figg. 36-54; MARULLI 2004. " Al riguardo si veda pure BLuNoo, 01 CosMo 1999, pp. 463-489.
481
PATRIZIO PENSABENE, CLAUDIA BARSANTJ
Fig. 31. Canne, basilica paleocristiana: l'area presbiteriale.
Fig. 32. Canne, basilica paleocristiana: base di tipo attico.
482
Fig. 33. Canne, basilica paleocristiana: capitello ionico ad imposta.
REIMPIEGO E IMPORTAZIONI DI MARMI NELL'ADRIATICO
semilavorate (fig. 32), capitelli del tipo ionico-imposta (fig. 33) che tra l'altro introducono il tema di modelli anche dalla Grecia bizantina adottati in Puglia 83
• In effetti è da sottolineare la scarsa diffusione del capitello ionico imposta in Italia, mentre in Puglia vi sono esempi a Canne e a Bisceglie 84
, che inoltre presuppongono l'esistenza di gallerie. Sembrerebbero maggiormente usati in Italia gli esemplari di dimensioni ridotte, che dovevano essere impiegati nelle bifore e tale presenza è appunto da spiegare per la vicinanza con la Grecia e anche con l'entroterra balcanico (Stobi, Bitola/Eraclea Lincesti).
Un'ultima osservazione sul fatto che tale fiorire di basiliche cristiane anche in Puglia s'inquadra nella particolare ricchezza raggiunta dall'episcopato pugliese proprio tra il V e VI secolo, i cui vescovi ricorrono nei concili e alcuni dei quali, come Sabino di Canosa 85
, Lorenzo di Siponto godettero di grande fama. Si è visto in altra sede come i vescovi entrano in concorrenza con i membri delle classi dirigenti di allora, come i grandi proprietari di latifondi, proprio per l'uso dell'arredo architettonico in marmo e la loro attività di costruttori è anche confermata dalla produzione di laterizi in figline e di proprietà episcopale.
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