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IL PALAZZO DEI MARCHESI MAZZARA Il Palazzo Mazzara è una delle testimonianze architettoniche più belle e rappresentative del Settecento sulmonese. Fu edificato dal barone Vincenzo Maria Mazzara, I Marchese di Torre dei Passeri, e dalla moglie e cugina Smeralda Mazzara sul sito dell’antica residenza della nobile famiglia, andata distrutta a causa del terremoto del 1706.

In seguito al disastroso terremoto del 1706, che provocò migliaia di vittime tra la popolazione, furono numerose le dimore nobiliari e le chiese costruite ex novo o ristrutturate. Man mano esse restituirono alla città l’aspetto monumentale che aveva precedentemente, ma più moderno, sicuramente influenzato dall’architettura barocca e neoclassica presente in altre città del Regno, a cominciare da Napoli. Il Palazzo Mazzara si annovera tra queste nuove costruzioni e tra esse si distingue.

Dopo aver ospitato per oltre due secoli i discendenti e gli eredi del Marchese, nella seconda metà del 1900 il Palazzo fu utilizzato per molti anni come sede scolastica e, nel 1974, acquistato per la gran parte dal Comune di Sulmona. Oggi accoglie gli Uffici della Presidenza del Consiglio Comunale e, dal 2001, è anche sede del Centro Regionale dei Beni Culturali. Breve storia del Palazzo Le notizie relative alla nuova dimora del Marchese Vincenzo Maria Mazzara (1711-1758) sono ancora poche, desunte per lo più da qualche sporadico documento coevo e da qualche rara testimonianza bibliografica. Sottoposto inizialmente ad un grosso progetto di ricostruzione post sisma, presumibilmente l’edificio fu anche ampliato non solo al fine di dotarlo di maggiori comodità, ma anche per conferirgli quell’impronta di nobiltà richiesta dal nuovo rango del barone Vincenzo Maria che nel 1744 aveva ricevuto da Carlo di Borbone il titolo di Marchese di Torre dei Passeri, oltre agli incarichi di Presidente della Regia Camera e di Soprintendente della Zecca. Nell’ambito dei lavori sopra menzionati si pensa fosse attivato il collegamento all’acquedotto cittadino, opera che avrebbe permesso l’approvvigionamento idrico autonomo, rendendo quindi possibile la realizzazione di un giardino pensile, secondo i desideri di donna Smeralda (1764 ca.). A questo torno di tempo si data probabilmente la bella fontana di gusto rococò che ancora oggi impreziosisce il terrazzo, ciò che resta del giardino originario (v. planim. nn. 6 e 7). Circa un anno dopo la morte del Marchese, Donna Smeralda decise di sostituire le vecchie porte interne della casa e ne affidò l’esecuzione a Ferdinando Mosca (Pescocostanzo 1685-1773), rinomato ebanista e scultore del legno, già famoso per aver realizzato il soffitto a cassettoni lignei della Basilica di San Bernardino e gli stalli del Coro della Cattedrale di San Massimo e Giorgio a L’Aquila. Le notizie successive sono della seconda metà dell’Ottocento, infatti al 1885 risalgono alcuni lavori di ristrutturazione: l’apertura di tre porte

il Loggiato

Porta interna, particolare (1759)

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sulla facciata, tre lustriere su Via Peligna, otto balconi veri ed altri finti sui prospetti del giardino pensile, dove furono aggiunte anche quattro porte corrispondenti ai piccoli vani di servizio. Nell’ambito di questi interventi furono eseguiti anche due caminetti in marmo, dei quali è rimasto soltanto uno, nell’ambiente individuato come Biblioteca. In seguito all’acquisizione da parte del Comune di Sulmona, il Palazzo ha subito una nuova ristrutturazione finalizzata alle esigenze della municipalità ed alla fruizione del pubblico, ma che ne ha inevitabilmente modificato il nucleo centrale: sono state infatti realizzate un’ampia scala d’accesso al piano nobile, in struttura d’acciaio e vetro ed una Sala Conferenze, nota come Saletta Mazzara. Camminando per le antiche stanze …

La bella e severa facciata di gusto tardo barocco è caratterizzata da un portale dalle linee rinascimentali, ma anche dai graziosi balconcini alla spagnola, in ferro battuto e forgiato, che ne alleggeriscono l’aspetto complessivo. Alla monumentalità delle strutture esterne e del cortile, scandito e riquadrato al piano terra dalla pietra delle arcate e dai robusti pilastri, al livello superiore dalle colonne binate dell’ampio loggiato, corrisponde all’interno un elegante apparato decorativo evidenziato nelle volte superstiti, riccamente ornate con affreschi e con stucchi dorati (in epoca recente tutti gli stucchi sono stati purtroppo ridipinti con una vernice simile all’oro). Il centro del Cortile è il punto ideale per cogliere il senso e l’importanza di questo tipo di residenza, non solo elegante dimora patrizia, ma anche fulcro delle attività economiche della famiglia, legate soprattutto alla proprietà di terre e di armenti. Al piano terreno ed a quello interrato, si trovano i locali una volta adibiti alla lavorazione ed alla conservazione dei prodotti agricoli e vitivinicoli, magazzini e cantine; si ha notizia anche di un forno, ubicato in realtà fuori dal Palazzo. Di fronte all’ingresso principale, in corrispondenza del Portale, è un grande portone che si apre all’esterno, sull’attuale Via Carrese, che permetteva l’uscita dei carri, delle carrozze e dei cavalli e l’accesso diretto alle prospicienti scuderie, la famosa Cavallerizza. Al di sopra del Piano Nobile e del Loggiato è il piano ammezzato, destinato agli alloggi della servitù, che probabilmente già esisteva nel XIX secolo, allorché furono aggiunti il terzo piano, parte del quale è ora proprietà privata, e gli ambienti sottotetto. Detto ciò, ci aspetteremmo di trovare uno scalone per il piano nobile adeguato ad una costruzione di siffatta importanza, invece la scala, accessibile dal porticato di sinistra, è di dimensioni ridotte, e forse conduceva al solo appartamento privato. Una seconda scala, diametralmente opposta ed individuata dall’alta porta gemella, forse più recente, permetteva di salire direttamente nelle sale di rappresentanza, indubbiamente le più belle. Probabilmente si preferì dare spazio ad altri locali di servizio, certamente più utili, piuttosto che ad un’unica grande scala per il Piano Nobile. La balconata a balaustri di pietra bianca della Maiella, intervallati da brevi ringhiere di ferro, corre su tre lati del Piano Nobile. In tal modo definisce lo spazio del Loggiato che permette di accedere direttamente ad alcune delle stanze più importanti della Casa, tuttavia comunicanti anche dall’interno, sia a quelle di rappresentanza sia a quelle destinate all’abitazione privata ed alla quotidianità della vita dei marchesi. Dal Loggiato un’imponente porta-finestra si apre sul terrazzo che ospita la Fontana tardo barocca, appoggiata alla parete alla stregua di un elegante mobile rococò.

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I cambiamenti apportati alle strutture interne del Palazzo nel corso dei secoli non sempre hanno agevolato la comprensione dell’antico utilizzo degli ambienti in seno all’impianto planimetrico attuale, tuttavia si possono ancora individuare alcune sale di rappresentanza ed alcune adibite ad abitazione privata della famiglia.

Le due sale più ampie sono dedicate all’Amore ed alla Bellezza (v. planim. nn. 2 e 3): quella più piccola, attuale Ufficio del Presidente del Consiglio Comunale, era forse la Sala destinata ai ricevimenti ed ai banchetti. Nel medaglione al centro del soffitto, ricco di decorazioni in stucco, è probabilmente interpretato il Mito di Amore e Psiche, secondo la versione di Apuleio. Nell’ambiente retrostante, forse adibito a salotto, troneggia un ornatissimo camino settecentesco. Due pregiate porte lignee mettono in comunicazione la sala da pranzo con quella adiacente, di dimensioni

maggiori: questo salone veniva aperto probabilmente nelle occasioni speciali, come matrimoni e feste da ballo.

Anche in questo caso la volta è ornata di stucchi dorati e rievoca il mito greco del Giudizio di Paride, l’episodio in cui il dio Mercurio porge il pomo della discordia al principe troiano, mentre Giunone, Venere e Minerva confabulano tra loro. Sempre in questa ala del Palazzo sono alcune stanze, una volta decorate con

affreschi: di essi resta un solo lacerto con delicato soggetto ispirato alla vita dei campi (v. planim. n. 1). Indubbiamente scenografico è il Terrazzo, sopra ricordato, nato come giardino pensile e trasformato nel corso del tempo (v. planim. n.6.). È dominato dalla bella fontana di gusto rococò addossata alla parete settentrionale, ridondante di motivi vegetali e quasi animata dai versi latini dei due medaglioni figurati che affiancano la vasca centrale:

Sala di Psiche, decorazione della volta, particolare

Sala del Giudizio di Paride, decorazione della volta, particolare

Lacerto di affresco raffigurante Scena campestre

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GGGìììppptttiiiuuusss hhhìììccc lllaaatttàààsss ////// fffooonnntttìììsss mmmeee dddúúúxxxiiittt aaaddd úúúnnndddaaasss

hhhìììccc ffflllooorrrùùùmmm gggrrraaatttùùùsss ////// mmmèèè ccciiitttooo tttrrràààxxxiiittt ooodddòòòrrr

Qui alle ampie onde della fontana mi conduce il Gizio

Qui mi attirò subito il gradito profumo dei fiori

(Traduzione di Giuseppe Papponetti, 3 Marzo 2005)

L’ampio Terrazzo funge da cesura tra la zona di rappresentanza, quindi pubblica, e quella privata, riservata alla famiglia. Nell’ala privata della dimora, costituita attualmente da sette ambienti comunicanti, sono stati individuati una Biblioteca con Studiolo adiacente (v. planim. n. 5), pure caratterizzato da un soffitto dall’esuberante decorazione in stucco dorato, cui segue naturalmente la camera da letto dei marchesi Vincenzo e Smeralda (v. planim. n. 4): un ampio e luminoso salone con volta a padiglione. È decorata come le altre con ridondanza di stucchi che disegnano, con delicati motivi vegetali, un rosone centrale e raffigurano all’interno di medaglioni ovali, una coppia di innamorati legati da una catena ed altre figure alludenti alla condizione matrimoniale.

I quattro angoli della volta mostrano invece altrettante panoplie, forse riferite ai trascorsi guerreschi degli antenati del Marchese. La camera padronale si apriva su alcune stanze retrostanti, permettendo così alla famiglia di accedere alla Sala da ballo ed a quella dei banchetti senza uscire sul loggiato. Si racconta che ogni stanza fosse contraddistinta dal colore delle pareti, si parla infatti di una stanza rossa, una azzurra … e così via. Dall’appartamento privato riscendiamo quindi nel Cortile per l’angusta scala di cui abbiamo parlato, un poco buia ma decorata sulle piccole volte con delicate tempere in monocromo. Torniamo quindi all’esterno, su Via Mazara … e nel XXI secolo.

Enrichetta Santilli (Soprintendenza BSAE dell’Abruzzo)

Volta della camera da letto dei Marchesi, Rosone centrale

Volta della camera da letto dei Marchesi, particolare raff. coppia di sposi stretti da una catena

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LEGENDA:

1 Stanze a giorno 2 Sala del Giudizio di Paride 3 Sala di Psiche 4 Sala delle Allegorie 5 Studiolo e Biblioteca 6 Terrazza 7 Fontana 8 Saletta Mazzara 9 Loggiato

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Ragionando intorno alla favola di Psiche La sala 3, probabile stanza da ballo o da gioco, è contigua alla sala 2 ed è comunicante con essa per mezzo di due porte. Il soffitto presenta una volta in stucco dorato ritoccata nell’ambito dei rifacimenti documentati che il Palazzo subì alla fine del XIX secolo. Nell’ovale centrale è rappresentato un episodio mitologico di non facile interpretazione ma probabilmente collegato all’altro, contemporaneo, presente nella sala 2, raffigurante il Giudizio di Paride. Nella scena centrale è rappresentata una giovane donna giacente su una nube, sostenuta in basso da un’altra donna e cinta in vita da un putto. Dietro a questo gruppo, si staglia una terza figura femminile che con il braccio destro sostiene il capo reclino della giovane giacente mentre il sinistro è teso verso una quarta figura, posta sulla destra, che sta per offrirle qualcosa di solido da una specie di vassoio. Dalla figura posta sul retro si librano quattro nastri, due dei quali tenuti da un putto posto in alto a sinistra. Gli altri due nastri terminano con due uccelli. Se l’argomento centrale del giudizio di Paride è la bellezza, pensiamo di ravvisare lo stesso tema anche nella rappresentazione della scena appena descritta. La giovane donna giacente potrebbe rappresentare Psiche alla fine dell’ultima delle quattro prove a cui la sottopose Venere.

“La favola racconta di una meravigliosa fanciulla, Psiche, talmente bella da suscitare

la gelosia di Venere, che la condanna a sposare una creatura spregevole. Intanto il dio

Amore, preso dal fascino della giovane, decide invece di amarla, e ordina a Zefiro di

trasportarla nel suo castello incantato, accudita da ancelle dalla natura incorporea.

Quando Amore arriva dalla fanciulla le chiede di amarlo, ma ad una sola condizione:

di non guardare il suo volto. Ma saranno le invidiose sorelle maggiori a spingere Psiche

a compiere il peccato della curiosità, cioè a guardare il volto dello sposo per ucciderlo

nel caso si fosse rivelato come un mostro crudele e sanguinario. Nel tentativo di

illuminare il suo volto, una goccia d’olio cade dalla lampada usata da Psiche e sveglia

Amore che, resosi conto del tradimento, fugge via lasciando la fanciulla sola e in balia

degli eventi. Da questo momento inizia la seconda parte della favola, in cui Psiche,

viene sottoposta da Venere al superamento di varie prove, l’ultima delle quali consiste

nella discesa all’Ade, dove la dea Proserpina le consegna una scatola da consegnare a

Sala di Psiche, decorazione della volta, particolare

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Venere, in cui è racchiusa parte della sua bellezza. Vinta dalla curiosità, Psiche

commette una seconda infrazione: apre la scatola e cade in un sonno mortale. La salva

l’intervento di Amore, che la conduce da Giove, implorando pietà per l’amata. Giove

approva le nozze e trasforma Psiche in una dea immortale. Da Amore e Psiche nasce

una figlia chiamata Voluttà”

Nella mitologia greca, Psiche, (ψυχή, in greco, “anima”, “farfalla”) è la personificazione del respiro dell’anima. Gli antichi immaginavano le anime dei morti sotto forma di una farfalla o di un uccello in volo (v. nel particolare della decorazione, i due uccelli in alto). Le anime dei morti, nel regno dell’Ade, sono rappresentate mentre volano. Nella scena Psiche è morente, si trova al bivio, c’è da una parte il corpo bisognoso di cure e di cibo (la donna che la sostiene e quella che offre cibo) e dall’altra l’anima, che è accanto a lei, e che vorrebbe fuggire via, tirata su da nastri legati ad uccelli in volo. La figura femminile che sostiene il capo di Psiche potrebbe anche stare ad indicare l’anima (Psiche) che tende ad elevarsi, a crescere interiormente e guadagnare la salvezza. Psiche è già a buon punto dal momento che una parte della sua anima è collegata ai due nastri che scaturiscono da due putti, l’altra parte della sua anima invece è in continuo divenire. L’anima capace di vivere lo squilibrio e il caos con l’accettazione, armonia e soprattutto amore, il piccolo putto che sostiene Psiche potrebbe rappresentare appunto il Dio Amore, l’amore incondizionato (tipico dei bambini), il solo capace di provocare la resurrezione e la trasfigurazione (Psiche viene accolta tra gli dei), ovvero l’unità dello spirito e della materia con Amore e per amore, quella che potremmo definire “la vera, grande Bellezza”.

Maria Pia Ottoni (Soprintendenza BAP dell’Abruzzo)

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Stemma del Marchese Vincenzo e del Barone Cristoforo Mazzara

Blasonatura: Inquartato, nel I d'azzurro al braccio sinistro al naturale, vestito di [...] appalmato e movente da un montante [d'oro], Rodriguez; nel II d'azzurro alla divisa d'argento accompagnata da quattro branche di leone d'oro, due nel capo e due nella punta: quarto d'alleanza con i Brancaccio di Napoli; nel III d'argento alle quattro bande di rosso: quarto d'alleanza con i Caracciolo; nel IV di [...] alla banda di nero interlistata da una cotissa di rosso: quarto d'alleanza con i de Capua; sul tutto: partito, nel I d'azzurro alla fascia d'oro diminuita e accompagnata in capo da un monte di verde di cinque colli all'italiana sostenente un ramo di rosaio fiorito di rosso gambuto e fogliato di verde e accompagnata in punta dalla mazzeranga di nero movente dalla fascia, Mazzara; nel II troncato d'azzurro e d'argento, Sardi Ornamenti: Corona dorata formata da un cerchio ingemmato con cinque fioroni visibili Datazione: Metà XVIII secolo Forma: Scudo sagomato accartocciato, alla punta arrotondata Materiali: Dipinto su tela Localizzazione: Chiesa di S. Giovanni Evangelista ed Apostolo, primo altare laterale dedicato all'Immacolata Concezione Annotazioni: Stemma "genealogico" utilizzato dai fratelli Vincenzo e Cristoforo Mazzara, fratelli del vescovo Panfilantonio; tutti e tre erano figli di Domenico Fabrizio e Agnese Sardi, come chiarisce anche il piccolo scudo nel cuore dello stemma. Molti degli smalti sono palesemente alterati e non rispondenti alle blasonature note delle famiglie interessate.

Fabio Maiorano (Deputazione abruzzese di Storia Patria)

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MAZZARA O MAZARA?

Quella della doppia o singola zeta nella denominazione del nobile casato sulmonese è una vexata quaestio che ha appassionato per anni studiosi, ricercatori e storiografi. Lo storico siciliano Filadelfo Mugnos nella sua colossale opera “Teatro genologico delle famiglie nobili, titolate, feudatarie et antiche del fedelissimo regno di Sicilia viventi et estinte” (Palermo, Coppola, 1647) parla dei Mazara, con una zeta, nobili originari della Sicilia; Vincenzo Palizzolo Gravina, altro storico siciliano, nell’opera “Il blasone in Sicilia ossia Raccolta araldica” (Palermo, Visconti & Huber, 1875), ritiene la famiglia Mazara, anche qui con una sola zeta, «esser oltremodo antica ed illustre per tre parentadi colla casa reale di Sicilia e con altri signori del regno». Nello studio, ormai introvabile, di Domenico Ligresti “Feudatari e patrizi nella Sicilia moderna (secoli XVI-XVII)” (Catania, C.U.E.C.M., 1992), è riportato che esponenti della famiglia Mazzara, qui con due zeta, furono, dal 1501 al 1700, detentori delle cariche di Giurato, Senatore e Capitano della città di Siracusa. Lo storico locale Francesco Sardi de Letto, nella sua ponderosa opera “La città di Sulmona. Impressioni storiche e divagazioni” (Sulmona, edizioni del Circolo Letteraio, 1974), lascia intuire la provenienza della famiglia dalla cittadina siciliana di Mazara del Vallo, nella provincia di Trapani, e, dunque, per lo storico sulmonese non vi è dubbio: la dizione del casato, traendo origine e predicato dalla città siciliana, deve essere scritta con una sola zeta. Nell’elenco delle famiglie nobili del 1574 la famiglia Maz(z)ara figura già con doppia zeta, così come nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano del 1889, ma nel sito ufficiale del Senato della Repubblica, www.senato.it, la scheda del senatore Cristoforo Maz(z)ara indica il cognome del senatore sulmonese con una sola zeta; in alcuni documenti del XVI e XVII secolo, la famiglia viene indicata indifferentemente con due zeta e con una. Così pure gli storici, alcuni come Emilio de Mattheis e Ignazio Di Pietro usano la doppia zeta, altri come Nunzio Federigo Faraglia o Francesco Sardi de Letto, invece, una sola. Poco controverse e prive di dubbi, invece, sembrano essere la datazione e le vicende che portarono la nobile famiglia in Sulmona. Nel XIV secolo i Maz(z)ara furono a Napoli con Francesco, cavaliere al seguito di Carlo II d’Angiò, all’indomani della pace di Caltabellotta del 1302; Gentile, figlio di Francesco, nel 1332, é nominato dal re di Napoli Roberto d’Angiò, Giustiziere degli Abruzzi. Essendo la città di Sulmona sede del Giustizierato è corretto far risalire a quell’anno la venuta nel centro peligno dei Maz(z)ara. Se i documenti storici non sono riusciti a dirimere definitivamente la controversa questione, c’è da dire che la stessa famiglia Maz(z)ara ha aggiunto del suo in questo gioco delle zeta. La diversità dei cognomi si consuma visibilmente intorno alla metà dell’Ottocento quando due rami della stessa famiglia decidono anagraficamente di tenersi l’uno la doppia zeta e l’altro di perderne una.

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Paradossalmente con questa bizzarra quanto inaspettata decisione si giunge, finalmente, ad una definitiva chiarezza su una faccenda che rischiava di protrarsi, irrisolta, all’infinito. Nella narrazione dei fatti ci viene in soccorso lo studio di Francesco Sardi de Letto che, nella sua opera sopracitata, ricostruisce minuziosamente l’intera vicenda, legata, a quanto sembra, ad una controversia relativa ad una successione testamentaria. Il tutto ha inizio (vedi la genealogia che segue) con Vincenzo Maria Mazzara, nobile di Sulmona, I marchese di Torre dei Passeri che ebbe dalla moglie e cugina Smeralda Mazzara un solo figlio, Domenico, II marchese. Questi, sposando Marianna Zuzi, nobile aquilana, ebbe quattro figli: Vincenzo II Beda, III marchese; Francesco; Smeralda II sposa di Panfilantonio Mazzara, parente di 6° grado e Rachele, badessa del monastero della Concezione in Napoli. Entrambi i figli maschi, Vincenzo II Beda, III marchese, e Francesco morirono celibi e senza figli. Quando il 25 marzo 1865, giorno della morte di Vincenzo II Beda, fu aperto il suo testamento, si scoprì che il marchese aveva designato suo erede universale Panfilantonio II, figlio di Cristoforo, a sua volta figlio di Smeralda II, sorella del marchese defunto. Il titolo marchionale passò quindi a Panfilantonio II anziché a suo padre Cristoforo, legittimo erede, in aperta violazione della legge che regolava le successioni dei titoli nelle province napoletane, secondo la quale il titolo nobiliare si trasportava per linea maschile e primogenita e mancando questa, al maschio primogenito dell’immediato collaterale. Quindi nella fattispecie, la successione non avrebbe dovuto seguire la volontà del testatore. Con un salto generazionale divenne IV marchese di Torre dei Passeri il giovane Panfilantonio II il cui primogenito Vincenzo III, V marchese, non avendo avuto figli maschi dalla moglie Michelina Sardi de Letto, trasmise il titolo al nipote Panfilo, VI marchese, figlio di suo fratello Domenico. Lo sgarbo perpetrato da Vincenzo II Beda ai danni del nipote Cristoforo segnò il distacco tra i due rami della famiglia, tanto che da allora gli eredi di Panfilantonio II vollero togliere una zeta dal cognome per distinguersi dall’altro ramo dei Mazzara che continuò, invece, a tenere la doppia zeta. Una nota dell’araldista Fabio Maiorano nella sua “Sulmona dei Nobili e degli Onorati la storia, le famiglie, gli stemmi”, (Sulmona, Accademia degli Agghiacciati, 2007) informa che l’adozione del cognome con una sola zeta, che si riscontra negli atti di nascita di Vincenzo III e Domenico, figli di Panfilantonio II Mazzara, come quello di Panfilo, figlio di Domenico, è un atto di nessun fondamento giuridico poiché nei registri di Stato Civile del comune di Sulmona non è annotato alcun provvedimento che ne giustifichi la mutazione. Alla luce di questa ricostruzione, si può finalmente affermare con assoluta certezza storica che con la denominazione Mazara o Mazzara si debba intendere la stessa famiglia, di antica nobiltà, che, insieme ad altre come Sardi, Corvi e Tabassi, tanta importanza ebbe nei secoli nelle vicende della città di Sulmona.

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GENEALOGIA PARZIALE DELLA FAMIGLIA MAZ(Z)ARA DAL 1711 AL 1969

Vincenzo Maria (I marchese di Torre dei Passeri) sposa Smeralda Mazzara (1711 – 1758)

↓ Domenico, (II marchese) sposa Marianna Zuzi (? - 1786)

↓ Vincenzo II Beda, (III marchese) Francesco Smeralda II Rachele (1755 – 1865) senza figli senza figli sposa Panfilantonio I

Mazzara

↓ Cristoforo sposa Maria Tabassi (1809 -1979)

↓ Panfilantonio II IV marchese (1840 - ?) sposa Maria Cattaneo

↓ ↓ Vincenzo III, (V marchese) Domenico (1868 – 1948) (1874 -1927)

sposa Checchina Mazzara

↓ Panfilo, (VI marchese)

(1899 -1969)

In grassetto l’asse ereditario del titolo di marchese di Torre dei Passeri. Da Vincenzo III, V marchese di Torre dei Passeri, questo ramo della famiglia adotta il nome di Mazara, con una sola zeta, mentre l’altro ramo quello dei baroni di Schinaforte, mantiene la doppia zeta.

Carlo Maria d’Este

(Centro Regionale Beni Culturali)

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Bibliografia: Ezio Mattiocco, Ferdinando Mosca e altri Magistri lombardi e pescolani nella Chiesa di Sant’Anna di Rivisondoli, Bullettino della Deputazione di Storia Patria, LXXXI (1991), Presso la Deputazione, L’Aquila 1993, pag. 46. Raffaele Giannantonio, Sulmona, storia urbana. Documenti e disegni, San Salvo, Di Rico, 1994. Francesco Sardi de Letto, La città di Sulmona. Impressioni storiche e divagazioni, Sulmona, Circolo Letterario, 1974. vol.II pag.147-153. Fabio Maiorano, Sulmona dei Nobili e degli Onorati. La storia, le famiglie, gli stemmi, Sulmona, Accademia degli Agghiacciati, 2007, pagg. 141-154. Goffredo Crollalanza, Appunti genealogici sulla nobile famiglia Mazara di Sulmona, in “Giornale araldico genealogico diplomatico”, Pisa, maggio 1875, n.11. Filadelfo Mugnos, Teatro genologico delle famiglie nobili, titolate, feudatarie ed antiche del fedelissimo regno di Sicilia viventi et estinte”, Palermo, Coppola, 1647. Vincenzo Palizzolo Gravina, Il blasone in Sicilia ossia Raccolta araldica”, Palermo, Visconti & Huber, 1875. Domenico Ligresti, “Feudatari e patrizi nella Sicilia moderna (secoli XVI-XVII)”, Catania, C.U.E.C.M., 1992. Link di approfondimento:

http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?modello=araldicaaq&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuAral2 http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?modello=fontanaAQ&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuFont2324&tom=324 http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/e56bbbe8d7e9c734c125703d002f2a0c/897375f5e0083d064125646f005d515d?OpenDocument