Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere … · 2016. 1. 22. · deflazione,...

8
Nota (26 maggio 2014) A che punto è la crisi? Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere la priorità Nelle ultime settimane sono stati comunicati diversi aggiornamenti statistici sull’andamento della disoccupazione, della crescita e dell’inflazione, in Italia e in Europa. Lo scenario che emerge dai diversi indicatori è preoccupante, perché tutto porta a prefigurare il rischio di una diffusa e prolungata deflazione che, non solo allontana la possibile ripresa, ma imprime un’altra accelerazione alla spirale recessiva e depressiva in cui si trova la maggior parte delle economie europee e, con esse, l’economia italiana. La ripresa del ritmo di crescita potenziale e, soprattutto, dell’occupazione perduta nella crisi rischia di non essere solo lontana, bensì impossibile. Per invertire la tendenza e risolvere strutturalmente la crisi, occorre ripartire proprio dal lavoro. Creando occupazione si risponderebbe alla crisi di domanda che non fa crescere l’Italia e l’Europa, si sospingerebbero i prezzi attraverso i consumi e gli investimenti, si sosterrebbero i redditi, soprattutto da lavoro, si rilancerebbero aspettative di medio e lungo periodo, si ritroverebbe la via dello sviluppo e della sostenibilità, anche delle finanze pubbliche. Deflazione. I dati sull’inflazione diffusi dall’Eurostat il 15 maggio scorso 1 confermano il marcato rallentamento del ritmo di variazione dei prezzi nei 18 paesi dell’Area Euro come dell’intera Unione Europea: a livello congiunturale, cioè rispetto al mese precedente, la variazione dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato (IPCA) dell’Eurozona è dello 0,2% e dell’UE a 28 paesi è dello 0,1%; mentre a livello tendenziale, cioè rispetto ad aprile 2013, l’inflazione dell’Euro Area è pari allo 0,7% e dell’UE-28 dello 0,8%. Sempre rispetto a un anno prima, la più bassa variazione dei prezzi dell’Unione europea, addirittura negativa, la registra la Grecia con un -1,6%, ufficialmente in deflazione, assieme a Bulgaria (-1,3%), Cipro (-0,4%), Ungheria e Slovacchia (-0,2%), Croazia e Portogallo (-0,1%). La maggiore inflazione ad aprile 2014 nell’Area della moneta unica è in Germania (+1,3%) . La statistica appare paradossale per almeno due motivi: (i) l’obiettivo europeo di contenimento dell’inflazione è pari al 2% (secondo il Trattato di Maastricht) e le variazioni dei prezzi di tutti i paesi oscillano tra il -1,6% e l’1,6%; (ii) proprio la Germania, che ha imposto l’obiettivo di contenimento dei prezzi, detiene l’inflazione più alta tra i paesi dell’Euro. L’Italia conta un’inflazione dello 0,5%, sia in termini congiunturali che tendenziali. Come sottolinea la Banca 1 http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/2-15052014-BP/EN/2-15052014-BP-EN.PDF

Transcript of Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere … · 2016. 1. 22. · deflazione,...

Page 1: Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere … · 2016. 1. 22. · deflazione, anche se i fattori di debolezza principale continuano a essere legati alla crisi

Nota(26 maggio 2014)

A che punto è la crisi?Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere la priorità

Nelle ultime settimane sono stati comunicati diversi aggiornamenti statistici sull’andamento delladisoccupazione, della crescita e dell’inflazione, in Italia e in Europa. Lo scenario che emerge dai diversiindicatori è preoccupante, perché tutto porta a prefigurare il rischio di una diffusa e prolungata deflazione che,non solo allontana la possibile ripresa, ma imprime un’altra accelerazione alla spirale recessiva e depressivain cui si trova la maggior parte delle economie europee e, con esse, l’economia italiana. La ripresa del ritmo dicrescita potenziale e, soprattutto, dell’occupazione perduta nella crisi rischia di non essere solo lontana, bensìimpossibile. Per invertire la tendenza e risolvere strutturalmente la crisi, occorre ripartire proprio dal lavoro.Creando occupazione si risponderebbe alla crisi di domanda che non fa crescere l’Italia e l’Europa, sisospingerebbero i prezzi attraverso i consumi e gli investimenti, si sosterrebbero i redditi, soprattutto dalavoro, si rilancerebbero aspettative di medio e lungo periodo, si ritroverebbe la via dello sviluppo e dellasostenibilità, anche delle finanze pubbliche.

Deflazione. I dati sull’inflazione diffusi dall’Eurostat il 15 maggio scorso 1 confermano il marcato rallentamentodel ritmo di variazione dei prezzi nei 18 paesi dell’Area Euro come dell’intera Unione Europea: a livellocongiunturale, cioè rispetto al mese precedente, la variazione dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato(IPCA) dell’Eurozona è dello 0,2% e dell’UE a 28 paesi è dello 0,1%; mentre a livello tendenziale, cioè rispettoad aprile 2013, l’inflazione dell’Euro Area è pari allo 0,7% e dell’UE-28 dello 0,8%. Sempre rispetto a un annoprima, la più bassa variazione dei prezzi dell’Unione europea, addirittura negativa, la registra la Grecia con un-1,6%, ufficialmente in deflazione, assieme a Bulgaria (-1,3%), Cipro (-0,4%), Ungheria e Slovacchia (-0,2%),Croazia e Portogallo (-0,1%). La maggiore inflazione ad aprile 2014 nell’Area della moneta unica è inGermania (+1,3%). La statistica appare paradossale per almeno due motivi: (i) l’obiettivo europeo dicontenimento dell’inflazione è pari al 2% (secondo il Trattato di Maastricht) e le variazioni dei prezzi di tutti ipaesi oscillano tra il -1,6% e l’1,6%; (ii) proprio la Germania, che ha imposto l’obiettivo di contenimento deiprezzi, detiene l’inflazione più alta tra i paesi dell’Euro.

L’Italia conta un’inflazione dello 0,5%, sia in termini congiunturali che tendenziali. Come sottolinea la Banca

1

http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/2-15052014-BP/EN/2-15052014-BP-EN.PDF

Page 2: Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere … · 2016. 1. 22. · deflazione, anche se i fattori di debolezza principale continuano a essere legati alla crisi

d’Italia nell’ultimo Bollettino economico (n. 2, aprile 2014)2, l’inflazione al consumo ha continuato a scendere inmisura significativa e superiore alle attese. Alla frenata dei prezzi ha contribuito la discesa delle componentipiù volatili (soprattutto prodotti energetici e alimentari che, invece, assieme alla dispersione logistica ecommerciale, hanno determinato storicamente un’inflazione più alta nel nostro Paese), a fronte dellapersistente debolezza di quelle di fondo. Nel prossimo biennio, secondo le principali previsioni istituzionali, inItalia, l’inflazione continuerebbe a rimanere contenuta, attestandosi poco sopra l’1% almeno fino alla fine del2015. E questo ricordando che l'inflazione italiana è sempre stata più alta di quella europea (per motivi diinefficienza di sistema che non sono stati superati) e che, da ultimo, l'aliquota massima dell'IVA è stat elevataal 22%.

L’“indice di vulnerabilità alla deflazione” elaborato dal Centro Europa Ricerche (CER) 3 nel primo trimestre 2014esprime un rischio più alto rispetto agli altri trimestri del 2013: la bassa crescita dell’indice dei prezzi alconsumo rappresenta, per la prima volta dal terzo trimestre del 2009, una delle determinanti del rischio dideflazione, anche se i fattori di debolezza principale continuano a essere legati alla crisi di domanda,rappresentati dalla stretta creditizia, dalla bassa crescita del Pil, soprattutto del PIL potenziale ovvero dellaforza lavoro potenzialmente occupabile e moltiplicatrice di reddito e crescita.

Va considerato, inoltre, che dal 2009 stiamo assistendo a fenomeni di deflazione salariale che in alcuni paesiperiferici dell’Unione europea hanno già raggiunto dimensioni importanti : in cinque anni i salari reali medi lordisono diminuiti del 2,2% in Italia, del 3,8% in Portogallo, del 3,9% in Irlanda, del 5,4% in Spagna e sono crollatidel 22% in Grecia. Certo, grazie alla forza dei Contratti nazionali l’Italia ha registrato la minore perditad’acquisto, offrendo un minimo sostegno della domanda interna. La quota dei salari sul PIL, infatti, è diminuitadi appena 0,3 punti percentuali nel nostro Paese, nonostante il blocco dei contratti pubblici, mentre è caduta di4,2 punti in Spagna, di 4,4 punti in Portogallo, di 5,7 punti in Irlanda ed è precipitata di 7,7 punti in Grecia 4.

Anche la BCE ha paventato il rischio di un’ondata deflazionistica, anche se considerata non immanente (comericonosciuto, invece, da parte del FMI e delle altre principali istituzioni internazionali). Sia nell’ultimo Rapportoannuale della BCE (aprile 2014) che nelle recenti dichiarazioni del Presidente Mario Draghi l’attenzione sulrischio di una deflazione cumulativa nell’Area dell’euro riguarda più il maggior onere in termini reali dei debitisovrani che essa comporta, piuttosto che la crisi di domanda effettiva. Ciò significa che la BCE resta convintadi dover necessariamente predisporre piani credibili di rientro del deficit e del debito pubblico (come previsto diTrattati) per mettere in sicuro i tassi d’interesse sui debiti sovrani, anche a copertura del maggior rischio didefault a cui andrebbe incontro chi possiede titoli di paesi a elevato debito pubblico. Eppure, è chiaro ormaiche l’effetto restrittivo delle misure fiscali di riduzione del debito non potrebbe che essere devastante per ladomanda complessiva e l’occupazione europea (basti pensare agli avanzi primari non inferiori al 4,5% del PILnominale che l’Italia dovrebbe generare per almeno i prossimi venti anni con inevitabili e ormaiscientificamente dimostrati effetti negativi sul tasso di crescita del reddito nazionale), senza necessariamenteridurre il tasso dell’interesse, né di conseguenza portare un aumento della spesa privata.

L’allarme deflazione sarà, allora, una delle circostanze che spingeranno il Consiglio della BCE, alla riunioneprevista per il 5 giugno prossimo, a intraprendere nuove decisioni di politica monetaria (es. taglio dei tassi diinteresse), magari non convenzionali (es. il cosiddetto quantitative easing, cioè l’acquisto di titoli o l’emissionedi nuova moneta, oppure l'adozione di prestiti all'economia reale).

Sono evidenti ormai gli insuccessi delle politiche di austerità, delle cosiddette “riforme strutturali” che puntanosulla svalutazione competitiva e delle misure di deflazione salariale (che generano, appunto, deflazione

2 http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/bollec/2014/bolleco2

3 http://www.centroeuroparicerche.it/cernews.asp?idn=451

4 Cfr. l’analisi di Emiliano Brancaccio e Nadia Garbellini in Economia e Politica, “Uscire o no dall’euro: gli effetti sui salari”, 19 maggio2014.

Page 3: Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere … · 2016. 1. 22. · deflazione, anche se i fattori di debolezza principale continuano a essere legati alla crisi

dell’intera economia e un peggioramento della crisi di domanda). L’attenzione della BCE – anche solo perstatuto – dovrebbe essere riposta sulle ricadute della bassa inflazione sui conti pubblici degli stati membri;sugli squilibri macroeconomici di cui soffre l’Area Euro (a partire dal surplus della bilancia commercialetedesca, nemmeno citato nel Rapporto annuale BCE), aggravati dalla deflazione, sull’inefficienza del sistemadi credito bancario e finanziario, “protetto” dal controllo dell’inflazione, ma incapace di riattivare le economieeuropee e di arginare la speculazione e sull’apprezzamento dell’Euro la conseguente perdita di opportunità ecompetitività dei sistemi economici europei.

Recessione e stagnazione. L’Europa è l’area economica che – secondo tutti gli ultimi dati e tutte le piùrecenti previsioni – cresce di meno al mondo. I dati Eurostat sulla variazione congiunturale del PIL nel primotrimestre 2014 (diffusi il 15 maggio scorso)5 descrivono una ripresa che non c’è: la crescita dell’Europa è pariallo 0,2% e dell’Area Euro dello 0,1%; la crescita più alta – comunque irrisoria – viene rilevata dalla Polonia edall’Ungheria (entrambe a +1,1%), la flessione maggiore dall’Olanda (-1,4%), a dimostrazione della debolezzadelle economie trainate dalle esportazioni (per giunta, in avanzo nella bilancia commerciale) di fronte a unacrisi di domanda globale, una crisi di modello di sviluppo.

Per l’Italia il dato sulla crescita del PIL nel primo trimestre 2014 rispetto al quarto trimestre 2013 registra unavariazione negativa (-0,1%). La stima Istat è preliminare ma già conferma l’andamento precedente in cui allaprofonda recessione (9 trimestri negativi consecutivi) ha seguito la stagnazione (zero crescita nel terzotrimestre 2013 e +0,1% nel successivo). Insomma, nessuna ripresa. Nessuna risposta alla disoccupazione.

Nelle previsioni del FMI per l’anno in corso (aprile 2014) 6 si stimano segnali di ripresa per l’economia globaleper quest’anno (+3,6%), ma a ritmi fortemente disomogenei tra aree del pianeta, che ne rivelano l’incertezza:le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo hanno rallentato la loro crescita (+4,9%), comunquesuperiore a quella delle economie avanzate (+2,2%), nelle quali però si distinguono quelli che hannoimpegnato spesa pubblica e utilizzato gli strumenti monetari (es. USA, Giappone, Cina, Brasile); a fronte deipaesi dell’Euro che – nella migliore delle ipotesi – conteranno su una crescita complessiva piuttosto modesta(+1,2%), tutta dovuta alla spinta della Germania (comunque limitata al +1,7%), evidentemente prodotta ascapito degli altri paesi dell’Area. Le previsioni del PIL 2014 per l’Italia oscillano tra l’ipotesi dello 0,4%(Consensus forecasts di marzo 2014) e dello 0,8% (Governo italiano nel Documento di Economia e Finanza2014). Un ventaglio di previsioni che descrive una crescita molto bassa, tutta basata sul fatto che l’ipoteticaripresa nazionale possa essere affidata ancora una volta ai mercati e, soprattutto, alla domanda estera.Attualmente, l’unica vera spinta alla domanda interna arriverà dalla restituzione fiscale prevista dal Governocol Decreto 66/2014 (i famosi 80 euro per i redditi da lavoro dipendente da 8mila a 24mila euro). Ma non puòbastare. Sempre nella migliore delle ipotesi, secondo le previsioni FMI, nel biennio 2014-2015 la crescita delPIL reale del nostro Paese (1,7% in due anni) sarà inferiore a quella di tutte le principali economie del pianeta.

Nella crisi, in Italia, il PIL ha perduto 9 punti percentuali dal 2008 al 2013. La domanda interna (consumi einvestimenti) è caduta del 12%. La produzione industriale e gli investimenti fissi lordi si sono ridotti di quasi1/4. Il nostro Paese, però, vive “una crisi nella crisi”. In Italia, alla crisi di domanda si somma una crisidell’offerta, che viene da più lontano e che si traduce nell’insufficiente accumulazione di capitale e nella suascarsa capacità di incorporare progresso tecnico: una crisi della struttura produttiva che genera bassaproduttività del capitale (tasso medio annuo 1992-2012: -0,7%) e “di sistema” (misurata con la “produttivitàtotale dei fattori”, tasso medio annuo 1992-2012: +0,4%), prima ancora che del lavoro (tasso medio annuo1992-2012: +0,8%). Qui risiede la tanto discussa, quanto irrisolta, “questione salariale”. E sempre da quinasce l’incapacità di utilizzare tutta la forza lavoro esistente, oltre che i saperi e le competenze disponibili,soprattutto nelle nuove generazioni. L’assenza di politiche industriali e, in generale, di una vera politica

5 http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/2-15052014-AP/EN/2-15052014-AP-EN.PDF

6 http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2014/01/weodata/index.aspx

Page 4: Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere … · 2016. 1. 22. · deflazione, anche se i fattori di debolezza principale continuano a essere legati alla crisi

economica negli ultimi vent’anni ha fatto perdere occasioni importanti per agganciare una via alta dellacompetitività e dello sviluppo. Oggi, l’Italia paga più di altri la specializzazione produttiva mediamente a bassovalore aggiunto, la costellazione di piccole e piccolissime imprese, l’insufficiente innovazione di processo e diprodotto, gli scarsi investimenti (pubblici e privati) in R&S, la scarsa dotazione infrastrutturale materiale eimmateriale, ecc. A parità di investimenti il sistema economico e produttivo italiano genera il 20% in meno divalore aggiunto rispetto agli altri paesi dell’Area Euro. Inutile competere sul costo del lavoro. Per questeragioni bisogna espandere i volumi dell’economia, creare nuovi mercati, nuove produzioni e nuovi servizi,nuova occupazione. E ciò può avvenire solo attraverso un nuovo intervento pubblico in economia.

Disoccupazione e depressione. Il 19 maggio Eurostat ha diffuso anche il dettaglio dei dati sull’occupazione esul mercato della forza lavoro dei paesi europei nel 2013 7. La situazione è drammatica. La disoccupazionenell’UE è aumentata di circa un milione in più rispetto al 2012 e investe 26,2 milioni di persone (su circa 200milioni in tutto il mondo). In sintesi, secondo i dati Eurostat, la disoccupazione coinvolge 1/8 della forza lavorodell’intera Unione europea e 1/4 solo di quella giovanile . Anche per questo in Europa circa 1/4 dellapopolazione si trova in condizioni di povertà.

Nel dettaglio, il tasso di disoccupazione nell’UE ha raggiunto il 10,8% nel 2013 e varia dal 4,9% in Austria e5,3% in Germania al 26,4% in Spagna e 27,3% in Grecia. Le donne rappresentano circa il 45,8% deidisoccupati, ma il numero è in continuo aumento. La quota di disoccupazione di lunga durata è costantementeaumentata nel corso degli ultimi due anni: il 47,5% dei disoccupati nell'Unione europea è stato senza lavoroper 12 mesi o più nel 2013 (la percentuale era del 33,2% nel 2009); i disoccupati a lungo terminerappresentano oltre la metà della disoccupazione totale in sette Stati membri (nell’ordine Slovacchia, Grecia,Croazia, Irlanda, Bulgaria, l’Italia e Portogallo). Il tasso di disoccupazione giovanile per la fascia di età 15-24nell'UE è stata del 23,3% nel 2013. Anche qui, gli Stati membri hanno tassi di disoccupazione giovanile moltodiversi, sopra il 50% in Grecia e in Spagna, mentre l'Austria e Germania al di sotto del 10%.

Nelle statistiche europee spicca, poi, il dato italiano sull’occupazione, mai visto nell’ultimo decennio : il tasso dioccupazione è sceso sotto il 60% nel 2013, riportando il Paese al 2002. Peggio del nostro Paese stanno solola Spagna (58,2%), la Croazia (53,9%) e la Grecia (53,2%). Nel 2013, i tassi più elevati di occupazione percoloro di età compresa tra i 20 ei 64 sono stati osservati in Svezia (79,8%), Germania (77,1%), Paesi Bassi(76,5%), Danimarca (75,6%), Austria (75,5%), il Regno Unito (74,9%), Estonia e Finlandia (entrambi 73,3 ).Solo la Germania e Malta, però, hanno già raggiunto i loro obiettivi previsti dall’Agenda Europa 2020. Il nostropaese è lontano dall’obiettivo programmatico del 2020 di oltre 7 punti.

Dall’inizio della crisi, in Italia, si contano oltre 1 milione di posti di lavoro in meno, che hanno contribuito aportare la platea dei disoccupati, secondo le ultime rilevazioni Istat di marzo 2014, a quota 3 milioni e 248 mila(di cui circa la metà sotto i 35 anni), di poco sotto al 13% della forza lavoro. A questi si aggiungono nuoviinattivi, inoccupati, scoraggiati e sottoccupati, per un totale di oltre 7 milioni di persone. Il tasso didisoccupazione giovanile (15-24 anni) ha raggiunto livelli inaccettabili, è più che raddoppiato dal minimostorico del 19% raggiunto nel febbraio del 2007 e risulta in tendenziale aumento (42,7% a marzo 2014, conpunte del 60% in alcune regioni del Mezzogiorno). Non a caso, gli ultimi dati Istat sulla condizione economicae sociale delle famiglie italiane nel 2013 consegnano un sistema-paese in cui 1 milione 130 mila nucleifamiliari devono fare sempre di più i conti con la disoccupazione ed è senza reddito da lavoro: ben il 18,3% inpiù rispetto al 2012 e addirittura il 56,5% rispetto al 2011.

La creazione di occupazione deve diventare l’obiettivo prioritario. Ormai, cinque anni di rilevazioni (e diprevisioni sbagliate da parte di governi nazionali e istituzioni sovranazionali) confermano che la deregolazionee la ricerca di fiducia nei mercati non bastano a ritrovare la ripresa. Ormai è evidente che le politiche restrittive,il controllo esagerato dell’inflazione e il rigore dei conti pubblici deprimono gli investimenti e l’occupazione più

7 http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/3-19052014-BP/EN/3-19052014-BP-EN.PDF

Page 5: Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere … · 2016. 1. 22. · deflazione, anche se i fattori di debolezza principale continuano a essere legati alla crisi

di quanto riescano a incoraggiarli. I vincoli monetari, finanziari ed economici che derivano dall’attualearchitettura europea e dall’odierna governance economica impediscono l’uscita dalla crisi e impongono deilimiti inaccettabili agli attori istituzionali (a partire dai governi nazionali) e alle parti sociali (basti pensare alladisoccupazione e alla deflazione salariale).

L’anno che verrà. Nel DEF 2014 del Governo Renzi viene prevista una ripresa dell’attività economica cheriporti progressivamente i ritmi di crescita del PIL italiano ai livelli pre-crisi al 2020. Se anche nei prossimi annila crescita dovesse attestarsi ai tassi di variazione previsti dal Governo, il livello dell’occupazione pre-crisi(2007) non si recupererebbe comunque prima del 2025 (a 18 anni dall’inizio della crisi). Basti ricordare che iltasso di disoccupazione previsto nel DEF (come obiettivo) per il 2018 è l’11%, mentre nel 2007 era il 6,1%. Lastessa Banca d’Italia, in un box nell’ultimo Bollettino economico, illustra i risultati di una loro elaborazioneeconometrica che contribuisce a spiegare come la contrazione dell’occupazione nella crisi sia correlata allacitata flessione del PIL in volume del 9% in 6 anni: «con riferimento alla fase recessiva iniziata nel 2008,queste stime implicano che alla fine del 2013 nel settore privato non agricolo e non energetico il numero diunità di lavoro si era già pressoché integralmente adeguato al più basso livello della produzione […] Tuttaviala ripresa del numero di occupati sarebbe comunque più lenta e meno sostenuta poiché le aziende tendonoad agire in primo luogo sul margine intensivo, attraverso l’aumento delle ore pro capite».

Non solo, dunque, appare palese la rinuncia all’obiettivo di piena occupazione, ma addirittura il livello didisoccupazione (strutturale) rappresenta una precisa scelta macroeconomica. In altre parole, all’insegna delrigore dei conti, del controllo dei prezzi, della libertà dei mercati e della finanza, si sceglie di sacrificare illavoro, le condizioni materiali delle persone, la tutela sociale dei cittadini europei, soprattutto di alcuni paesieuropei. La conferma di tale approccio per l’Italia si può verificare anche in un capitolo del DEF 2014 (SezioneI, Programma di Stabilità dell’Italia, pag. 71 e ss.), in cui il Governo, nel tracciare la sostenibilità delle finanzepubbliche nel lungo periodo, ipotizza la proiezione di alcune variabili economiche, tra cui il tasso didisoccupazione al 6,8% nel 2060: dopo 53 anni dall’inizio della crisi non viene ipotizzato il recuperodell’occupazione perduta8.

Tutto ciò conferma che lo studio svolto dalla CGIL dal titolo “La ripresa dell’anno dopo” (giugno 2013)9 sulleprevisioni di crescita e sui tempi di uscita dalla crisi resta valido. Nell’analisi si dimostrava la scorrettezza delleprevisioni istituzionali, l’incertezza della ripresa e, anche nella migliore delle ipotesi, tempi lunghi e moltasofferenza sociale prima di uscire dalla crisi: in uno scenario ottimistico, si recupererebbero i livelli pre-crisi diPIL e occupazione nel 2020; in uno scenario pessimistico il PIL si recupererebbe nel 2024, mentre i livellioccupazionali pre-crisi si recupererebbero 63 anni dopo lo scoppio della crisi. Oggi, dunque, anche quelloscenario pessimistico potrebbe addirittura rivelarsi ottimistico se non si assumono il recupero dei livellioccupazionali e del PIL potenziale pre-crisi come obiettivi della politica economica, nazionale come europea. Ilrischio maggiore delle politiche votate alla cosiddetta “austerità espansiva”, alla svalutazione competitiva sullavoro, al disindebitamento e alla disinflazione è rappresentato dalla resa incondizionata a livelli fisiologici didisoccupazione attorno al 10% in tutte le economie avanzate, per sempre.

La crisi ha reso evidente l’insostenibilità di un modello di sviluppo fondato su una competitività diseguale, tra8 A onor del vero, nelle proiezioni di sostenibilità del debito pubblico nel lungo periodo svolte dal Governo vengono anche simulati sia una

maggiore, seppur graduale, diminuzione della disoccupazione, sia un aumento della partecipazione al mercato del lavoro, soprattuttofemminile, con esiti positivi sulla tenuta dei conti pubblici e sulla stessa riduzione del rapporto debito/PIL.

9 Nello studio CGIL si affermava: «Nonostante ogni anno, dall’inizio della crisi, venga previsto da tutti i principali istituti internazionali un segnopositivo nella variazione del PIL dell’anno successivo, i dati definitivi poi smentiscono sempre tali previsioni e la ripresa non arriva mai. […]Inrealtà, poi, la ripresa resta incerta anche a livello globale, perché il rischio di nuovi “crolli” del PIL e dell’occupazione esiste ancora, è diffuso,ed è determinato dal fatto che i valori nominali delle borse sono generalmente tornati al livello 2007 mentre nessun paese ha ancorarecuperato il livello di crescita e il numero di occupati pre-crisi. […] Qualsiasi ipotesi di ripresa, perciò, anche la più ottimistica, che insistasull’aumento della competitività e della crescita per recuperare così anche l’occupazione perduta, richiederebbe comunque tempi molto lunghie ancora diversi anni di sofferenza sociale. […]Per uscire dalla crisi e recuperare la crescita potenziale occorre un cambio di paradigma. Inaltre parole, per non attendere che sia un’altra generazione ad assistere all’eventuale uscita da questa crisi e ritrovare nel breve periodo la viadella ripresa e della crescita occupazionale occorre proprio partire dalla creazione di lavoro.» http://www.cgil.it/news/Default.aspx?ID=21077

Page 6: Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere … · 2016. 1. 22. · deflazione, anche se i fattori di debolezza principale continuano a essere legati alla crisi

aree del pianeta, tra stati europei e all’interno degli stessi stati. Non è tutto. L’aspetto peggiore riguardal’inefficacia di tali politiche, nel breve come nel lungo periodo, sulla stessa tenuta dei conti pubblici, cioèsull’obiettivo economico che dovrebbe sorreggere tutto l’impianto macroeconomico. Senza l’obiettivo di pienae buona occupazione non si può crescere di più e meglio, non aumenta la produttività – del lavoro, del capitalee di “sistema” – e non si genera sviluppo, non si riduce il debito pubblico e non si garantisce stabilità alleistituzioni e alla stessa democrazia europea.

Dopo i due convegni del Forum CGIL dell’economia dal titolo “A che punto è la crisi globale?”10 sentimmol’esigenza di mandare «un avviso ai naviganti» e, già nel marzo del 2012, nella “Lettera aperta sulla crisidell’Europa”, promossa dagli oltre settanta economisti del Forum sollecitavamo le maggiori istituzioni nazionalied europee al cambiamento delle politiche economiche. Già allora la crisi globale ci portava a pensare che«una drammatica prospettiva di recessione incombesse sull’Europa mettendone a rischio non solo l’euro maanche il modello sociale e l’ideale della “piena e buona occupazione”, pur sancito in tutte le strategieeuropee». Avevamo intuito come si fosse «deliberatamente optato per la non-correzione delle distorsionistrutturali di un modello di sviluppo economico basato sui consumi individuali, sull’ipertrofia della finanza, sulsovrautilizzo delle risorse naturali e sull’indebitamento, in contraddizione con il modello sociale europeo […]con l’aggravante delle politiche deflattive imposte indiscriminatamente a tutti i paesi dell’unione monetaria». Econcludevamo riconoscendo che «il nodo che oggi si pone in Europa sta nel decidere se il riequilibrioinevitabile avverrà attraverso la “depressione” (con una ricaduta regressiva e democraticamente pericolosa)oppure con lungimiranti scelte di cooperazione, rilanciando l’originaria “spinta” europeista, evitando che i paesiin disavanzo non intervengano sui propri squilibri e, allo stesso tempo, che i paesi che hanno approfittatodell’euro (come la Germania) accumulino surplus invece di svolgere la funzione di locomotiva a cui sono tenutiin un contesto di moneta unica».

Ancora oggi, si può e si deve cambiare corso all’Europa. L’Unione europea potrebbe condurre l’interaeconomia globale fuori dalla crisi, rappresentando la maggiore area commerciale e industriale del pianeta. Perogni punto percentuale di crescita in più nelle economie avanzate europee la disoccupazione globale siridurrebbe di mezzo punto percentuale, ovvero farebbe tornare al lavoro 4 milioni di persone. Ma per farequesto bisogna cambiare la politica economica dell’Area Euro, riconoscere definitivamente il fallimentodell’austerità e creare le condizioni per risolvere davvero gli squilibri e le differenze tra i paesi membri. Solo ungoverno economico dell’Eurozona più equo e democratico, orientato a una vera “repressione” dellaspeculazione finanziaria e ad un rilancio delle economie reali nazionali fondato sul lavoro, può garantire unaripresa solida, basata su una crescita diffusa e sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale, tanto quantoeconomico e finanziario.

Per questo, in Italia occorre aprire una vera e propria “vertenza” con l'Europa per cambiare le politiche diausterità e sollecitare una vera riforma del sistema finanziario e bancario (Tassa sulle transazioni finanziarie;separazione tra banche di risparmio e banche d'affari; ecc.). Bisogna pretendere la modifica dei Trattati, apartire dal Fiscal Compact.

Questa indispensabile svolta è resa ancor più urgente dal risultato delle Elezioni europee, ed inparticolare italiano, da cui emerge fortissima la domanda di un cambiamento delle politiche europee,per il quale non è sufficiente l'annunciato allargamento della base monetaria da parte della BCE.

Non è possibile recuperare l’occupazione perduta, aumentare i salari ed estendere il welfare – le unichecondizioni per ritrovare la crescita – senza un rinnovato intervento pubblico in economia. Arginare la crisi etrovare la via di un nuovo sviluppo rappresentano due aspetti della stessa sfida. Su questa base, la CGIL ealtri 84 sindacati hanno condiviso la proposta messa a punto dalla CES di un piano straordinario diinvestimenti per la crescita, la ripresa economica, la creazione di nuova e stabile occupazione in tutto il

10 Gli atti dei due convegni promossi dal Forum Politiche Economiche della CGIL, a cura di Riccardo Sanna: “Riforme contro stagnazione - Ache punto è la crisi globale? I”, 2012, Ediesse, Roma; “Crisi europea: cambiare strada per sconfiggere la recessione - A che punto è la crisiglobale? II”, 2013, Ediesse, Roma.

Page 7: Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere … · 2016. 1. 22. · deflazione, anche se i fattori di debolezza principale continuano a essere legati alla crisi

continente (“Un nuovo corso per l'Europa”)11.

Creare lavoro! Il ruolo e, forse, la responsabilità, che l’Italia può avere nei confronti dell’Europa apparefondamentale. Per sostenere la domanda e trovare una ripresa che porti con sé nuova occupazione occorreproprio creare occupazione. Serve un piano straordinario di creazione diretta di occupazione giovanile efemminile. Bisogna aumentare e guidare gli investimenti pubblici in funzione dei beni comuni edell’innovazione. Occorre aumentare la domanda pubblica e regolare la domanda privata. Questi sono i nuovilineamenti di politica economica di cui è portatore il Piano del Lavoro della CGIL12.

11 Dieci anni di rilancio degli investimenti, in cui si chiede agli Stati membri di destinare il 2% del PIL al finanziamento del piano: duecentocinquantamiliardi di euro l'anno, per un grande processo di reindustrializzazione dell'Europa (anche utilizzando i fondi e i progetti europei come l’ IndustrialCompact, citato nel DEF), di specializzazione del suo apparato produttivo, di riconversione in senso sostenibile dell'industria pesante, di interventisulle reti infrastrutturali, di rilancio dell'informatica e delle tecnologie per le comunicazioni, di trasformazione del modello energetico e delle fonti diproduzione, di riqualificazione professionale dei lavoratori europei. Un piano sostenuto anche da interventi mirati sulla tassazione (dalla Tassa sulletransazioni finanziarie a livello internazionale all’introduzione di una nuova imposizione patrimoniale a livello nazionale), per reperire le risorsenecessarie a sostenere il peso degli interessi di obbligazioni e titoli emessi nell'ambito della gestione finanziaria del piano.http://www.etuc.org/new-path-europe

12 http://www.cgil.it/News/PrimoPiano.aspx?ID=21931

Page 8: Recessione, depressione e deflazione Creare lavoro deve essere … · 2016. 1. 22. · deflazione, anche se i fattori di debolezza principale continuano a essere legati alla crisi

Fonte: Eurostat, http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/eurostat/home.

8