recensione a N. RUSSO, Filosofia ed ecologia [G. Giannni]

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RECENSIONI&REPORTS recensione 220 Nicola Russo Filosofia ed ecologia. Idee sulla scienza e sulla prassi ecologiche Guida Editore, Napoli 2000, pp. 339, € 20,66 Messa alla tortura la natura tace. (J.W. Goethe) In un’epoca come l’attuale, dominata dall’insicurezza e, finanche, da un estroflesso e più che mai crescente sentimento di timore peresistentivo in conseguenza di un modello politicoeconomicoesistenziale decisamente in crisi qual è quello occidentale di impronta capitalistica (postfordista, globalizzato e qualsiasi altra etichettatura si voglia), non poteva non tornare prepotentemente d’attualità il tema dell’ecologismo. Spinto e sospinto da una certa retorica istituzionalmediatica sguazzante negli orrori dei gorghi di un nichilismo in cui il massimo di potere si unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di sapere intorno agli scopi in ragione e in nome di una scienza che avrebbe abolito qualsiasi frontiera valoriale, il ritornante ecologismo fa leva proprio sull’instabilità esistenziale di cui prima e, giocoforza, su quella che, un trentennio fa, Hans Jonas aveva stabilito essere un plausibile criterio orientativo per un’etica (perexistentiva e dunque assoluta) a venire del genere umano: l’euristica della paura. Coscienza che l’uomo ha del limite ma, prima ancora, coscienza che il nonlimite, l’illimitato prometeico, porta in sé il pericolo per l’uomo dell’autoestinzione, stanno progressivamente facendo crescere attese protomessianiche e, elemento forse ancor più deprimente, sacche e risacche di “eticuccie” d’occasione che con la serietà del cimento scientifico, la fatica del da pensare hanno ben poco a che fare. Nell’epoca dell’insicurezza tutto (o quasi) può andar bene purché serva a tenere distante l’oppressione e l’asfissia dell’angoscia esistenziale. E questo, tutto o quasi, sovente si traduce in un mortificante trionfo del dilettantismo, quando non addirittura di un qualunquismo imbellettato da presunta (e quindi presuntuosa) seriosità sapienziale.

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RECENSIONI&REPORTS recensione 

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Nicola Russo  Filosofia ed ecologia. Idee sulla scienza e sulla prassi ecologiche 

Guida Editore, Napoli 2000, pp. 339, € 20,66   

Messa alla tortura la natura tace.  (J.W. Goethe) 

 In  un’epoca  come  l’attuale,  dominata  dall’insicurezza  e, 

finanche,  da  un  estroflesso  e  più  che  mai  crescente 

sentimento di timore per‐esistentivo  in conseguenza di un 

modello  politico‐economico‐esistenziale  decisamente  in 

crisi  qual  è  quello  occidentale  di  impronta  capitalistica 

(post‐fordista, globalizzato e qualsiasi altra etichettatura si 

voglia),  non  poteva  non  tornare  prepotentemente 

d’attualità il tema dell’ecologismo. Spinto e sospinto da una 

certa retorica  istituzional‐mediatica sguazzante negli orrori 

dei  gorghi  di  un  nichilismo  in  cui  il massimo  di  potere  si 

unisce  al  massimo  di  vuoto,  il  massimo  di  capacità  al 

minimo di sapere intorno agli scopi in ragione e in nome di 

una scienza che avrebbe abolito qualsiasi frontiera valoriale, il ritornante ecologismo fa 

leva  proprio  sull’instabilità  esistenziale  di  cui  prima  e,  giocoforza,  su  quella  che,  un 

trentennio  fa,  Hans  Jonas  aveva  stabilito  essere  un  plausibile  criterio  orientativo  per 

un’etica (per‐existentiva e dunque assoluta) a venire del genere umano:  l’euristica della 

paura. Coscienza che l’uomo ha del limite ma, prima ancora, coscienza che il non‐limite, 

l’illimitato  prometeico,  porta  in  sé  il  pericolo  per  l’uomo  dell’auto‐estinzione,  stanno 

progressivamente  facendo  crescere  attese  proto‐messianiche  e,  elemento  forse  ancor 

più  deprimente,  sacche  e  risacche  di  “eticuccie”  d’occasione  che  con  la  serietà  del 

cimento scientifico, la fatica del da pensare hanno ben poco a che fare. 

Nell’epoca dell’insicurezza tutto (o quasi) può andar bene purché serva a tenere distante 

l’oppressione  e  l’asfissia  dell’angoscia  esistenziale.  E  questo,  tutto  o  quasi,  sovente  si 

traduce  in  un  mortificante  trionfo  del  dilettantismo,  quando  non  addirittura  di  un 

qualunquismo imbellettato da presunta (e quindi presuntuosa) seriosità sapienziale. 

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È forse d’uopo considerare, invece, nella riattualizzazione di questioni così cruciali e che 

hanno  a  che  fare  indefettibilmente  con  il  qui  e  ora  e  domani  dell’uomo,  volgere  lo 

sguardo  a  fonti e  strumenti di  conoscenza  che, oltre  a  sottrarsi  alla  ciarla  gazzettiera, 

siano anche in grado di squadernare la complessità della materia in oggetto. 

È il motivo per il quale può esser utile, quale passo preliminare per entrare poi nel vivo di 

discussioni  tanto  stimolanti  almeno  provvisti  di  una  necessaria  «cassetta‐attrezzi» 

conoscitiva, rispolverare  la  lettura di un volume edito qualche anno fa da Nicola Russo, 

Filosofia ed ecologia. Idee sulla scienza e sulla prassi ecologiche. 

Articolato  in due sezioni, Genealogia della scienza ecologica ed ecologismo scientista e 

Filosofia dell’ambiente e genealogia della scienza ecologica, il libro di Russo – così come 

ha  costatato  nella  Prefazione  il  fisico‐chimico  Enzo  Tiezzi  –  è  «importante,  profondo, 

dettagliato,  ricchissimo  di  bibliografia  e  di  analisi  filosofiche  interessanti»  (p.  9)  e 

presenta,  in  un  scenario  filosofico  desolante  per  più  di  un  aspetto,  una  panoramica 

ampia delle molteplici e moltiplicantesi forme di pensiero cui, anche oggi, si riferiscono le 

sfiancate diciture «ecologia», «crisi ecologica», «eco‐sostenibilità», «eco‐compatibilità», 

etc. Nel suo complesso iter Russo fa riferimento e si occupa dell’ecologia non in un senso 

«ristretto  e  specialistico»  (p.  22)  quale  branca  della  biologia,  della  botanica  e  della 

zoologia, ma  l’assume come  lo «strumento  teorico più  idoneo a  interpretare nella  loro 

globalità  i segni della crisi ecologica»  (ibid.).  In definitiva è  in detto salto di qualità che 

l’ecologia  diviene  degna  di  considerazione  filosofica:  «passando,  infatti,  da  scienza 

particolare della natura a  scienza della  “crisi della natura” e del  rapporto  tra natura e 

società  umana,  l’ecologia  assume  dei  significati metascientifici  che  la  sottraggono  alla 

specializzazione delle accademie naturalistiche e la fanno quanto meno apparire, se non 

essere, “la più umana delle scienze naturali”» (ibid.). 

Nell’offrire la panoramica di cui si diceva – metodologicamente improntata a una vera e 

propria  «genealogia»,  procedimento  che  permette  di  attraversare  con  chiarezza 

esemplare nodi e  tappe della «storia della  scienza»  [sia consentito, a questo  riguardo, 

segnalare  le  pp.  33‐48  dedicate  a Matematica,  linguaggio  e  tecnica:  la  posizione  di 

Werner Heisenberg, e il cap. III della prima sezione, La cibernetica, ovvero dalla macchina 

a  vapore  alla  filosofia  della  caldaia  (pp.  95‐139)]  –  e  nel  far  luce  sull’armamentario 

concettuale e procedurale della scienza ecologica,  l’autore conduce acute analisi tese a 

presentare una ecologia che si muove, sostanzialmente,  in sintonia con  lo sviluppo e  il 

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progredire delle moderne scienze della natura, «una scienza ecologica, dunque, che lungi 

dal  rappresentare  l’irruzione di un nuovo paradigma,  si pone  come  inveramento delle 

tendenze  dominanti  il  pensiero  occidentale  almeno  da  Cartesio  in  poi.  [...]  Una 

radicalizzazione dei principi regolativi e metodici della “scienza newtoniana”» (p. 141), in 

altri  termini.  Ed  è  in  questo  solco  che  trovano  collocazione,  in  larga  parte,  le  critiche 

rinvenibili  alle  varie  terapie  ecologiche  che  hanno  disatteso  il  loro  compito  primario, 

«quello  di  chiarire  cos’è  la  crisi  ecologica  in  quanto  crisi  culturale,  come  e  perché  si 

manifesta  la crisi culturale ecologica e come una tale crisi della cultura mette  in crisi  la 

natura» (p. 204). 

Non  essendo  animato  da  alcuna  intenzione  giusnaturalistica,  ancor meno  soggetto  a 

facili ricadute  in ottusi schemi pragmatistici,  il progetto speculativo di Russo, sciolto da 

qualsiasi  intenzione  apologetica,  da  un  lato,  da  fastidiosi  richiami moralisticheggianti, 

dall’altro, si presenta, nel suo esser proteso verso un’interpretazione «prospettivistica» 

dei valori  che non nutre, quindi, «fiducia nella possibilità di una  fondazione definitiva, 

che  sia metafisica  od  etica,  degli  scopi  e  dunque  dei  valori  e  rimane  ferma  al  loro 

carattere  non  universalizzabile,  storico  e  vitale,  alla  loro  costitutiva  finitezza  e 

determinazione»  (p.  223),  come  progetto morale  in  senso  forte. Quanto mai  decisive, 

giacché  sorreggono  la  pars  construens  del  discorso,  le  pagine  dedicate  al  Pensiero 

heideggeriano  in  ecologia  (pp.  253‐305),  pagine  in  cui  è messa  sapientemente  «alla 

prova [...] la facoltà del pensiero ecologico in generale a porre domande significative alla 

filosofia di Heidegger e  la  facoltà di questa a  chiarire  certe  intenzioni  fondamentali di 

quello  stesso  pensiero»  (p.  265).  È  in  definitiva  dipinto  un  quadro  interpretativo  del 

percorso di pensiero heideggeriano, a partire dalla questione della tecnica, molto preciso 

e  dal  quale  Russo  stesso,  maturamente  scremando  non  poco,  attinge  in  maniera 

proficua, in special guisa laddove è esplicitato, rimodulato e infine assunto quale filo del 

suo  progetto  speculativo  l’heideggeriano  «rapportarsi  libero  alla  tecnica  come 

accettazione‐approfondimento» (p. 271 e sgg.), problematica  indicazione di prospettiva 

in direzione di un neo‐umanesimo ancora tutto da pensare ed edificare. 

Ed è proprio come portato delle lucide considerazioni condotte a partire da Heidegger, o 

persino  da  Jonas  –  con  il  quale  non  c’è  accordo  «rispetto  a  buona  parte  della  sua 

fondazione ontologica dell’etica» (p. 323), ma al quale è comunque riconosciuto di aver 

«impostato  in maniera sostanziale  il [...] discorso, categorizzando una serie di  intuizioni 

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irrinunciabili» (ibid.) – che Russo (e in questo la conferma circa la struttura morale forte 

della sua proposta) ha potuto acutamente rilevare che l’etica «come antidoto al pericolo 

ecologico nelle sue dimensioni esclusivamente naturali e vitali non è intesa [...] altrimenti 

che  in  un  senso  ancora  radicalmente  utilitaristico  e  tecnico,  come mero  “strumento 

spirituale”  funzionale  a  una  strategia  di  salvezza,  come  macchina  dell’agire 

ecologicamente corretto,  lavoro al cui scopo  l’intero mondo delle virtù, dei valori e dei 

doveri diviene un fondo utilizzabile» (p. 317). 

Nel non abbandonarsi all’enfasi o alla verbosità degli attardati tromboni assolutamente 

ignari  di  quelli  che  Thomas  S.  Kuhn  avrebbe  definito  i  «reali  e  attuali  paradigmi 

scientifici»,  nel  non  consegnarsi  al  senso  buono  e  buonista  che  domina  il  comune  e 

anche  il  filosofico  considerare  su questi  argomenti  e,  soprattutto, nel non  cedere  alla 

vertigine  di  sofisticati  giochi  intellettualistici,  nel  sostanziale  equilibrio,  nella  coerenza 

interna, risiedono gran parte dei meriti di questo libro. 

In  tale  luce  vanno  lette  e prese  in  considerazione  le  rimodulazioni  in  atto  in passaggi 

come quello  in cui  l’invito alla «sobrietà», alla «cultura della misura» vuole risolversi  in 

«un’ascesi per», «per l’uomo e la sua civiltà e natura» (p. 373), «un’ascesi il cui limite è la 

misura e il cui scopo primario è la sovranità, un’ascesi che vive nel limite e nello scopo in 

quanto “disciplina della volontà” e il cui frutto è la “responsabilità” e che solo in funzione 

di tutte queste affermazioni può anche negare, può anche rinunciare» (p. 374). 

«Bisogna dunque saper volere, ovvero sapere  i  limiti della propria potenza nel volere e 

dunque  i  limiti  della  nostra  possibile  libertà,  il  che  è  posto  in  Nietzsche  –  fonte 

inesauribile, perché intimamente strutturante, del percorso di Russo – sempre in stretta 

correlazione con la responsabilità» (p. 384): in questo l’affannosa ricerca di un peculiare 

canale atto a stimolare un surplus etico su cui far leva e che, proprio perché prevede uno 

sforzo – lo stare nella misura – senza premio, se non quello problematico di poter ancora 

provare a soggiornare, si configura come un’etica della precarietà. Ma proprio in questo, 

in un’epoca che senza alcun senso storico prova a elemosinare sicurezze tra le macerie di 

cattedrali metafisiche  crollate da  secoli,  la  sua  forza e persuasività, nonché  tragica  in‐

attualità. 

GIANLUCA GIANNINI