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lucio fontana nelle collezioni bresciane

classicidel contemporaneo 1

edizioni aab

Comune di BresciaProvincia di BresciaAssociazione Artisti Bresciani

mostra a cura di Mauro Panzera

galleria aabvicolo delle stelle, 4 - Brescia18 settembre - 13 ottobre 1999feriali e festivi 15,30 - 19,30lunedì chiuso

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Per aver contribuito alla organizzazione della mostra siringraziano: Beppe Bonetti, Ermete Botticini, Sergio Casoli,Piero Cavellini, Luciano Colantonio, Giorgio Fogazzi, PaoloMajorana, Massimo Minini, Armando Nizzi, Valentino Zini,i Musei Civici di Brescia, l’Associazione Arte e Spiritualità diBrescia, la Fondazione Ugo Mulas di Milano e tutti icollezionisti, senza il cui prezioso contributo la mostra nonavrebbe potuto avere luogo.

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Ringraziamenti

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Il presente progetto espositivo trae certamente da un’occor-renza esteriore l’occasione della sua realizzazione. Il centena-rio fontaniano del resto è all’origine di pressoché tutte le ma-nifestazioni italiane dell’anno 1999, dall’articolatissima mo-stra milanese all’ultima, in ordine di tempo, voluta dalla Fon-dazione Ambrosetti all'Abbazia Olivetana di Rodengo Saiano.Anche la presente soggiace al medesimo impulso commemo-rativo.Ma vi è una ragione interna che sostiene questa esposizionedi opere di Lucio Fontana e che, pur poggiando sulla memo-ria storica, intende contribuire ad un accrescimento della co-scienza della città per l’arte contemporanea.Criterio ordinatore della mostra e, per conseguenza, della se-lezione delle opere è stato infatti la storia del collezionismobresciano dell’opera di Fontana. Ci siamo proposti insommadi raccontare, per testi ed immagini, la capacità della culturabresciana di accogliere una proposta artistica ed una avventu-ra teorica che ha segnato indelebilmente la categoria di artecontemporanea nel secondo Novecento. Perché non c’è piùdubbio alcuno che in Italia - ma non solo - arte contempora-nea significa Alberto Burri e Lucio Fontana. A queste due per-sonalità è toccato il compito ingrato di perimetrare il nuovoterritorio dell’arte sulle macerie del vecchio mondo. Ma al so-lo Fontana è toccato di traghettarsi dalla scuola di AdolfoWildt al Concetto spaziale.

La storia del collezionismo bresciano di Fontana coincide conla storia del collezionismo bresciano tout court: vale a direcon l’avvocato Feroldi e con Guglielmo Achille Cavellini.Ci esimiamo in questa occasione dal ripercorrere la storia dicollezioni la cui perdita per il pubblico cittadino ancora è unaferita aperta: vorremmo al contrario, con questa esposizione,indicare implicitamente la via da seguire per non doversi piùrammaricare a posteriori.Allorquando la milanese galleria Il Milione espone - siamonel dicembre del 1933 - La collezione dell’avvocato Pietro Feroldiin Brescia scopriamo la presenza dell’opera di Fontana Testadi ragazza, terracotta colorata, oro, del 1931 (nel catalogo ge-

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Lucio Fontana nelle collezioni bresciane

Mauro Panzera

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nerale Crispolti 1986 è rubricata come 31 sc 12). Quest’operaha la capacità di riportare alla memoria la stagione più feliceper la cultura artistica bresciana: la presenza di Carlo Belli incittà, la sua relazione con Feroldi e la battaglia per l’arteastratta in Italia. Fontana è con Melotti esponente di punta ditale fronte di lotta e la galleria Il Milione ne è il terreno dibattaglia. Ma la presenza dell’opera in collezione dice del va-lore e del coraggio intellettuale di Feroldi, che tuttavia maiacconsentì al progetto del Belli di sostegno dell’arte astratta.L’opera indica un terreno di sperimentazione del Fontana,non certo la piena adesione all’arte astratta, che mai venneneppure nel secondo dopoguerra. E a rileggere i primi nume-ri del Bruttanome, rivista a suo modo coraggiosa nella Bresciadei primi anni Sessanta, ci si può imbattere in un testo delBelli, tra il rivendicativo ed il polemico, per nulla tenero conl’arte di Fontana e di Burri. “Il gusto dei sacchi, dei buchi, dellecarabattole arrugginite - scriveva il Belli sul n. 2/1962 - puòavere la sua stagione, come la moda; ma l’arte, astratta o figurativache sia, è un’altra cosa “. Queste osservazioni erano introdotte da un monito all’indi-rizzo del collezionista Cavellini, affinché non cadesse nel gu-sto del mercato internazionale d’arte. A quella data la colle-zione Cavellini era già internazionalmente nota, visitata dallacritica più attenta ed era già stata esposta nel 1957 alla Galle-ria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e l’anno successivo alMusée des Beaux-Arts di La Chaux-de-Fonds. In entrambe leoccasioni espositive risultavano in collezione un Sacco diBurri del 1955 e un Concetto spaziale di Fontana del 1957. Co-me a dire: due acquisizioni recenti rispetto al nucleo dellacollezione, risalente agli anni di passaggio tra anni Quarantae Cinquanta. Infatti caratteristica del collezionare cavellinia-no era stata la contemporaneità assoluta: Cavellini aveva so-stenuto la generazione degli astratto-concreti - sigla ufficia-lizzata alla Biennale veneziana del 1952 - e amico e mentoredella prima ora fu Renato Birolli. Quindi collezione di unagenerazione che si era aperta al confronto internazionale, so-prattutto francese, proponendo in orizzontale una pittura cheper buona parte proveniva dalla Scuola di Parigi. E’ notal’osservazione di Cavellini, di aver collezionato all’inizioquelle opere che lui stesso avrebbe voluto aver dipinto: indi-cando così il collezionare come seguito o evoluzione del di-pingere in proprio.Ma gli anni Cinquanta avevano aperto l’angolo visivo del col-lezionista: nuove esperienze artistiche premevano, ben lonta-ne dalla generazione a lui cara; ma soprattutto una nuova

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geografia artistica travolgeva il piccolo campo italiano. Testi-monianza di tutto ciò è il testo che Cavellini dà alle stampenel 1959, Arte astratta. Lo pubblica nelle edizioni della Con-chiglia, vale a dire da Giampiero Giani, l’autorevole sostenito-re dello Spazialismo e di Lucio Fontana in particolare.A Brescia la collezione Cavellini verrà mostrata alla Pinacote-ca Tosio Martinengo nel 1964. Presentata dal Valsecchi propo-ne di Fontana un’opera del 1959, Attese. Per finire, nel 1967 laGalleria d’Arte Moderna di Brescia - un nome indicativo diun progetto più che un’istituzione reale - presenta la Graficadella Collezione Cavellini: e Fontana è presente con una Com-posizione del 1951.Fin qui i fatti. Una sola osservazione: la modernità e, nel casodi Cavellini, la contemporaneità delle collezioni brescianehanno avuto il merito di proporre all’attenzione del pubblicopiù attento l’opera di Lucio Fontana. Ciò non significa peròaver anticipato con l’intuizione quanto la storia dell’arte vaacclarando sempre più: la centralità dell’esperienza artisticadi Fontana. Altri erano i fuochi d’interesse di Feroldi e di Ca-vellini, centrati sui concetti di pittura e di scultura, su catego-rie contro cui avevano lottato i migliori artisti italiani, da Me-dardo Rosso a Lucio Fontana, appunto.

Se profetiche non furono le lezioni provenienti dal collezioni-smo illuminato, totalmente estraneo restò il mercato artisticocittadino rispetto a quelle lezioni. Chi capì comprò, ma nessu-no si impegnò sistematicamente a sostegno di quest’arte. Leopere di Fontana fecero capolino in varie collettive lungo tuttigli anni Sessanta ed anche l’Associazione Artisti Bresciani eb-be l’avventura di esporre alcuni suoi quadri: ma fu un inciden-te. Nei pressi del ‘65 infatti, sotto la direzione Majorana, ac-cadde un vuoto di programmazione, saltò una mostra insom-ma, e si corse ai ripari chiedendo aiuto all’amico ArmandoNizzi, che prontamente rispose con opere di Fontana, Bonalu-mi, Castellani ed altri. L’evento passò del tutto sotto silenzio.Maggiore eco ebbe il progetto umanitario di Josephine Baker.Le cronache raccontano del suo passaggio bresciano nel feb-braio ‘65 e della relativa visita alle sale dell’AAB, dove eranoin mostra le opere donate dagli artisti bresciani; dono finaliz-zato alla realizzazione del suo progetto di una Università mon-diale della fraternità. Risulta presente, inopinatamente, ancheun’opera di Lucio Fontana, un Concetto spaziale, Attese. Si nar-ra anche che la buona Baker non seppe che farsene di una telapiù volte tagliata e che la rifiutò, ma non abbiamo prove dellafavola.

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Sul terreno della ricerca storica vi sarebbe in verità ancora uncapitoletto da scrivere: si tratta del lavoro svolto nella secon-da metà degli anni Sessanta dalla galleria Zen, divenuta poiAcme. Si trattava di due associazioni culturali in contatto di-retto con il farsi dell’arte contemporanea, post Fontana ma incui egli veniva riconosciuto un maestro. Purtroppo il raccon-to, per frammenti, esce solo da contributi orali di alcuni pro-tagonisti di quella stagione. Una ricostruzione documentatadell’intera vicenda sarebbe quanto mai urgente.Fu invece la scomparsa del maestro a stimolare un nuovo ap-proccio alla sua opera. E Cattaneo inaugurò nel 1970 una grossamostra, allo Studio C, di opere di Lucio Fontana. Sarebbe inte-ressante seguire il destino di quelle opere: Fontana costava an-cora poco e un acquisto impegnava più ragioni di cultura che didenaro. Per varie ragioni mi sono convinto che questa mostragettò le basi di una presenza bresciana di Fontana.Lungo gli anni Settanta non successe più nulla: il sistema del-le gallerie cittadino non era in grado di proseguire il lavoro diCattaneo oppure aveva compiuto scelte più contemporanee.Così fece Nizzi con la galleria Sincron; così fecero Alberto Va-lerio, Piero Cavellini e Massimo Minini. Lavorare nel contem-poraneo per questi galleristi poteva significare solo lavorarecon gli artisti e Fontana era sì un maestro riconosciuto, ma eramorto e la palla doveva passare al mercato d’arte.E negli anni Ottanta fu la galleria La Nuova Città di AlbertoValerio a riproporre Fontana e va a sua gloria aver saputo faracquistare un Fontana - una ceramica che è in mostra - all’al-lora direttore dei Civici Musei bresciani.Ancora silenzio fino alla seconda metà degli anni Novanta, al-lorquando Paolo Majorana ripropone, nel dicembre del 1995,un’ampia mostra di opere di Fontana di varia provenienza, unamostra concepita in omaggio al lavoro svolto da suo padre.Ed eccoci nella sala dell’AAB.

Questo omaggio al pensiero e all’opera di Lucio Fontana è co-stituito unicamente da opere provenienti da collezioni, pub-bliche e private, bresciane. Non si cerchi allora una letturacomplessiva, una presentazione completa della morfologiadell’opera del maestro. La contingenza storica e geografica hadettato le regole della selezione; e devo dire, anche una sfidu-cia da parte del collezionismo privato, una sfiducia indirizza-ta alla politica culturale delle istituzioni cittadine, ha ulterior-mente limitato il campo d’indagine.Ritengo doveroso segnalare la risposta positiva che ho potutoregistrare, nei confronti dell’iniziativa, da parte delle istitu-

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zioni pubbliche: da parte della Associazione Arte e Spiritua-lità e dai Civici Musei di Brescia.Ma nella casualità necessitata delle scelte mi pare opportunosottolineare come l’opera di Fontana sia leggibile in ampiez-za, tanto temporale che stilistica. In primo luogo per la pre-senza di un gruppo di disegni, dal 1941, quando Fontana la-vora a Buenos Aires, agli anni Sessanta. E il territorio del dise-gno si sta ponendo al centro degli studi fontaniani per qualitàindubbia del segno, ma soprattutto per il suo essere bassocontinuo tra pensiero ed azione artistica.In secondo luogo per la nutrita presenza di opere in ceramica.Da un bustino degli anni Trenta ad una crocifissione, che beneinterpreta la produzione sacra del maestro e che le recenti mo-stre milanesi del centenario hanno presentato splendidamente.Io sono scultore, non un ceramista, dichiarava Fontana a ragione,ma con altrettanta ragione va studiata la sua produzione sculto-rea in ceramica. Per la sperimentalità del lavoro e perché in que-sto campo operativo Fontana si avvicinava ad una concezionenon retorica e neppure aulica dell’opera d’arte. Attento allarealtà sociale della cultura Fontana coltivava il sogno di portarel’arte nelle case e dava impulso ad una tendenza, che ha caratte-rizzato la cultura artistica milanese tra le due guerre, volta adavvicinare operatori artistici solitamente chiusi in campi specifi-ci. In mostra si presenta anche un vetro, risultato della collabora-zione del maestro con una produzione di mobili famosa, la Ar-redamenti Borsani; e per ragioni di spazio solo in catalogo vienedocumentata la produzione di una maniglia-scultura per unmobile della medesima produzione, che se ne sta in una felicecasa bresciana, a compiere il proprio destino. Ma la scultura noncede in nulla alla decorazione di tanto design popolare attuale.In terzo luogo abbiamo il Fontana canonico, delle tele con i ta-gli, i buchi, il Fontana scandaloso di troppi anni fa.Ritengo quindi che una esemplarità questa mostra sappia mo-strare: si configura infatti come un omaggio alla complessitàdi un’opera che se è popolare lo è nei suoi aspetti più esteriorie scandalistici. Ma l’universo del contemporaneo in Italia pas-sa necessariamente per la lezione di Lucio Fontana.In calce a questa nota, che intende unicamente motivare lamostra, desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno fornitoi materiali che compongono la parte documentaristica di que-sta pubblicazione e il dott. Giorgio Fogazzi, collezionista eamatore d’arte, che ha gentilmente accolto il mio invito affin-ché formulasse sinteticamente le ragioni, intellettuali ed este-tiche, che lo hanno strettamente legato all’universo poetico diLucio Fontana.

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Lucio Fontana con Guglielmo Achille Cavellini

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Antologia bresciana

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Testa di ragazza, 1931terracotta colorata, oro, cm 38x32x15,5Milano, Collezione T.F.R. (523/86)Opera già in collezione Feroldi di Brescia,esposta alla galleria Il Milione nel dicembre 1934,nella mostra ‘La collezione dell’avvocato Pietro Feroldi in Brescia’

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Brescia ha un lungo e grosso conto aperto con l’arte moderna, edeve questo privilegio a due persone, due collezionisti d’animoaperto e pronto: Pietro Feroldi e Achille Cavellini. E ancora unavolta ne deriva la conferma che nei fatti di cultura l’uomo sin-golo conta come elemento insostituibile e può, da solo, difende-re un’idea, capire la verità di una generazione, salvare la testi-monianza di un tempo storico e di un’avventura creativa delpensiero.Ricordo le mie visite allo studio dell’avvocato Feroldi, ormaiuna trentina di anni fa. Confesso di aver salito quelle scale colbatticuore, come si andasse a visitare qualcosa che ancora eraconsiderato eretico. Feroldi, sempre premuroso, apriva le stan-ze, accompagnava il visitatore nel giro delle opere, finiva pereccitarsi dinanzi ai quadri e alle statue, parlandone con un fer-vore che gli accendeva le guance. I Morandi, i Carrà, le “Museinquietanti“ di De Chirico, la teluccia di Picasso col quadratoceleste che sfolgorava come un pezzo di cielo puro. Ricordo an-che il gesto rapido e improvviso con cui Feroldi, al termine delgiro, ritraeva il panno rosso steso sopra un cavalletto; e appari-va il «Nudo», trionfale e casto nella sua bellezza, di Modigliani.Nella memoria la scoperta e le visite alla collezione Feroldi sicompongono con le letture di Ungaretti e di Montale fatte incrocchio tra gli amici, anch’essi bresciani, nelle pensioni per stu-denti e militari, nei giorni brumosi dei lunghi autunni pavesi.Era il capitolo, a quel tempo ancora largamente avversato, dellaprima generazione che aveva rinnovato l’arte italiana del nostrosecolo. Vi si trovavano anche opere di artisti operanti a Parigi:Sisley, Picasso, Matisse, come punti di riferimento e di parago-ne, entro uno spazio creativo che si equiparava pur nelle diver-sità stilistiche.Ricordo anche come si formò, durante la guerra, la collezione diCavellini, per incontri di amici che venivano da Milano e da Ve-nezia. Fu un’apertura sui giovani, un nuovo capitolo aggiuntocon sottile pazienza a quell’altro già sistemato in prospettivastorica dal Feroldi. Un capitolo nuovo che il Cavellini provoca-va sul filo di una cronaca avventurosa non tanto per quei tempicalamitosi, quanto piuttosto per la distinzione operata con acu-tezza entro il pullulare della generazione che allora si affacciava

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Testo di Marco Valsecchi,nel catalogo Pittori della Collezione Cavellininella Galleria d’arte moderna, Brescia 1964

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alla sua prima maturità. Ricordo anzi una specie di mostra cheil Cavellini esibì in casa sua, verso il 1946, con i quadri di Birolli,di Santomaso, di Vedova messi un po’ dovunque, fin sulle se-die: e l’occhio socchiuso di Feroldi, presente anche lui a quellabreve radunata di amici, scrutare quelle tele accese di colori, digesti provocatori.Il merito di Cavellini fu di aver intuito questo tempo nuovo diuna seconda generazione e di averlo accompagnato con vigile egenerosa partecipazione.Di solito si pensa all’opera di un collezionista come a un prete-sto di decoro o di capitalizzazione. Ma nel caso di pochi uomini– e i due bresciani vi spiccano in modo particolare – far collezio-ne equivale a esercitare un atto critico sul vivo delle vicende ar-tistiche, a distinguere tra i primi quella rispondenza interiore,quel segreto rapporto di verità, che lega le vere opere di poesiaal tempo e lo distinguono con un sigillo che non può più esserediverso.Il riconoscimento dato dal Cavellini alla nuova generazione èda vedersi quindi soprattutto dentro questa misura ideale: unapartecipazione, ripeto, alla formazione di una cultura, alle tra-sformazioni dell’arte, che avvengono, sempre, come effetto diun travaglio intellettuale, come indice di mutate condizioni spi-rituali. E proprio in coincidenza, e anzi in comunità di intenti edi rapporti, il Cavellini intese la necessità di un’estensione cul-turale che abbracciasse un orizzonte di pensiero spaziante al disopra dei limiti nazionali. La realtà della cultura scavalca sem-pre le barriere geografiche, crea un suo continente, ove la misu-ra di paragone è l’uomo nella sua entità umana e non geografi-ca o politica. Perciò l’interesse del Cavellini per l’arte europea eamericana è da considerarsi in questo rapporto, di una veritàsuperiore che accomuna anche spiriti lontani, intelligenze diver-genti. La testimonianza resa dalla collezione Cavellini riguardail comportamento creativo di una generazione che ha già realiz-zato, nelle sue opere, una comunità di uomini al di là delle se-parazioni politiche. Non è stato un motivo di snobbismo: è unaprova di affinità; per cui Birolli e Bazaine, Burri e Dubuffet,Fontana e Sam Francis, Moreni e Jurn, Magnelli e Poliakoff, perfare solo pochi nomi, diventano gli interpreti di una vicenda dicultura creativa più che essere i personaggi di una cronaca di re-gioni.La collezione Cavellini non è, in tal modo, un’antologia di na-zionalismi, ma la constatazione di una affinità degli spiriti purdentro la varietà delle forme.Resta inoltre una lunga prova di fedeltà a questa unità dell’arte,per una generazione che non ha rifiutato affatto il mondo natu-

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rale né la testimonianza della vita quotidiana, ma piuttosto li haarricchiti, o almeno indagati secondo un intento di affermazioniinteriori, di libertà intellettuali e immaginative, che al di sopradelle sconvolte abitudini cerca di raggiungere una nuova entitàconoscitiva, di rendere più libero e largo il mondo, più disponi-bile e consapevole l’uomo, anche se questa consapevolezza èbasata sul rischio e sull’azzardo. Comunque possa essere il giu-dizio finale, c’è questa testimonianza sul presente del dibattitoartistico, che appare non solo un atto di generosità, ma un prin-cipio di valutazione, e quindi un motivo quanto mai profondoche sollecita, oltre la partecipazione, l’evoluzione culturale.Si fosse potuta mantenere a Brescia anche la raccolta Feroldi, lacittà avrebbe offerto un colpo d’occhio sull’arte e la spiritualitàdel nostro secolo in modi che nessun’altra città italiana potevavantare.Ma anche così, con la decisione da mecenate illuminato con cuiCavellini deposita una parte della sua collezione presso il Mu-seo Civico di Brescia, perché diventi un bene pubblico, superan-do il privilegio e l’ambizione personale, la raccolta offre un pa-norama che per vitalità, ricchezze di proposte, larghezza di vi-suali sulla vita artistica attuale non trova facili riscontri, e in Ita-lia non ha l’eguale. Sappia Brescia, e non solo Brescia, apprezza-re questa decisione, che mette in movimento, entro i termini diuna civiltà tecnologica e spaziale, le carte primarie di una crea-zione artistica, che integra e umanizza quei termini. Questo èl’atto più fecondo e generoso della proposta di Cavellini con lasua collezione in pubblico; invitare l’uomo a conoscere la suaanima anche per la via dell’arte, perché non diventi, comunquesiano i tempi futuri, un essere confuso con la macchina.

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Concetto spaziale, Teatrino, 1966idropittura su tela, nero, e legno laccato, nero, cm 100x100(Catalogo generale Crispolti 1986: 66 TE 50)

Opere di Lucio Fontana,già in Collezione Cavellini, Brescia

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Concetto spaziale, 1960olio e matita su tela, bianco, cm 85x65(Catalogo generale Crispolti 1986: 60 B 31)

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Concetto spaziale, Attese, 1959idropittura e olio su tela, forma oro su fondo giallo, cm 165x120(Catalogo generale Crispolti 1986: 59 T 64)

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Concetto spaziale, 1965olio, squarcio e graffiti su tela, bianco, cm 65x54(Catalogo generale Crispolti 1986: 65 O 7)

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Concetto spaziale, La fine di Dio, 1963olio, squarci, buchi e graffiti su tela, verde, cm 178x123(Catalogo generale Crispolti 1986: 63 FD 10)

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Concetto spaziale, 1950tela naturale, cm 85x70(Catalogo generale Crispolti 1986: 50 B 8)

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Dunque qui si parla di quell’artista interessante che è LucioFontana, fondatore, nel ’47 a Milano, dello Spazialismo.«Dal 1934, ogni volta che proponevo qualcosa di nuovo e di di-verso, nessuno mi ha mai preso sul serio», mi disse una volta. In-fatti il grosso pubblico conosce Fontana soltanto per i “buchi“che espose alla Biennale del 1954.«La gente rideva per i miei “buchi“; e ciò mi faceva piacere,perché il riso fa buon sangue». Fontana è incostante; i pensierigli si accavallano nella mente; ogni anno propone un nuovoproblema, che annuncia e non risolve: è un distributore di idee.Forse per ciò la critica non si interessa seriamente del suo lavo-ro. Dice Fontana: «Presentando i miei concetti spaziali è chiaroche io non voglia fare della pittura e scultura moderna; fortuna-tamente mi sono liberato da queste forme di isterismo artisticocontemporaneo, logica conseguenza di un’arte che non trova lasua evoluzione [...] e questi innocenti buchi, forando la tela, gra-fiscono il primo segno spaziale, di un’arte per l’Era Spaziale».L’alternarsi di riconoscimenti e di disistime per i suoi risultatiiniziò già nel 1930. Alla Triennale di quell’anno espose due gi-ganteschi cavalli, alti 5 metri, tiranti un auriga. I musi allungatidegli animali, la nervosità dei loro movimenti e l’abilità dell’e-secuzione suscitarono lo scalpore della stampa: «Finalmente ap-pare all’orizzonte un grande scultore». Molti artisti avrebberosfruttato quel lusinghiero riconoscimento; invece Fontana, con-temporaneamente, esponeva alcune tavolette grafite con segniastratti alla galleria del “Milione“ (allora nella vecchia sede da-vanti a “Brera“), provocando un grande smarrimento negliamanti dell’arte, i quali lo consideravano un inutile originale.Fontana, avvezzo a queste situazioni, da tempo possiede la filo-sofia del vivere.Tipo all’apparenza brusco e scontroso – sembra un vecchio lupodi mare – è invece riguardoso e sensibile. Quando acquistai unsuo quadro – nel maggio del 1957, a Roma alla Galleria “Selecta”– si commosse come un bambino tanto che dai suoi occhi spriz-zavano lampi di gioia. Egli veste elegantemente, a volte addirit-tura vistosamente. Nacque a Rosario di Santa Fè, in Argentina,nel 1899, da genitori italiani. Si trasferì in Italia, a Milano, all’etàdi sei anni. Frequentò l’asilo a Castiglione Olona e per diverti-

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Estratto da: G.A. Cavellini, Arte astratta,edizioni La Conchiglia, Milano 1959

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mento modellava lo stucco, forse come aveva visto fare da suopadre, il quale era uno scultore. Rimaneva per molto tempoestasiato ad osservare il dottore del paese, quando costui dipin-geva; con lo zio andò più volte a rimirare gli affreschi di Masoli-no, a Castiglione Olona; aveva dodici anni, quando visitò unamostra di futuristi, che mai dimenticò: insomma, già da ragazzopresentiva il mondo dell’arte. Pur essendosi dedicato agli studi,si recò in America, per intraprendere un’attività industriale;quando poi i familiari supponevano che egli si fosse ormai av-viato per quella strada, Fontana, nel 1928, ritornò in Italia, periscriversi all’Accademia di Brera. L’arte l’aveva sedotto. Fu allie-vo dei corsi di scultura di Adolf Wildt. Si buttò alla scultura d’a-vanguardia, e nel 1930 – come già dissi – tenne la sua primamostra personale di scultura astratta alla Galleria del Milione,suscitando scandalo e scetticismo. Nel 1934 aderì al gruppo“Abstraction-Création“ di Parigi, poi si dedicò alla ceramica edeseguì per la fabbrica di Sèvres alcune sculture a gran fuoco. Inquegli anni tenne molte esposizioni, dalle quali appariva evi-dente la sua intensa attività d’artista. Ancor oggi ricorda diver-tito i cazzottamenti che più volte dovette allora sostenere a cau-sa del suo vivace atteggiamento polemico. Ritornato in Ameri-ca, nel 1946 pubblicò il “Manifiesto blanco“ a Buenos Aires,preludio di quello sull’arte spaziale da lui ideato e poi edito aMilano nel 1947, in seguito a riunioni che egli promosse tra arti-sti, letterati e architetti che prendevano come punto di partenzala lezione d’avanguardia di Boccioni e del Futurismo. Nel mar-zo del 1948 pubblicò il secondo manifesto degli “Spaziali“ fir-mato anche da Joppolo, da Kaisserlian, da Milena Milani e daTullier ed altri. Il 5 febbraio 1949 allestì per la prima volta un“Ambiente spaziale con forme spaziali ed illuminazione e lucenera“, alla Galleria del Naviglio. Successivamente il manifestodello spazialismo, redatto da lui e dagli altri artisti che vi aderi-rono, fissava nel 1950 il regolamento e i fini del movimento spa-ziale che “si propone di raggiungere una forma d’arte con mez-zi nuovi che la tecnica mette a disposizione degli artisti“.Dalla scultura Fontana passò, con l’affermazione della libertàdel mezzo espressivo, ad una serie di “quadri“, come egli lichiama, che ripropongono emozioni decorative e suggestioni dispazio. Il quadro da me acquistato (Concetto spaziale n. 128 -terre e lustrini su masonite) appartiene a questa serie.Sono anche apprezzate le sue ceramiche. Nel 1946 eseguì unaserie di piccole battaglie e ciuffi d’erba deliziosi; nel 1948, i car-dinali e i vescovi, poi una serie di Cristi, una serie di piatti conaltorilievi e di cornici con testine modellate in stile savonese-ba-rocco; una serie di testine da applicare, colori e impasti di mate-

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rie mosse, i buchi, buchi con pietre e cristalli; e poi una serie dipiatti in ceramica con buchi, ceramiche spaziali con buchi:“momenti spaziali“. Fontana, proponendosi il problema dellaforma unica, intende riassumere idealmente le tre dimensioni,poiché, afferma, le tre dimensioni non esistono più, lo spazio èconquistato. Le sue emozioni non sono nelle cose, ma segni emacchie nello spazio. Fontana sostiene: «Un giorno saliremosull’astronave, con quadretti sotto braccio, ma poi, su quale pa-rete li appenderemo? Su un altro pianeta dovranno affrontare ilproblema della luce e non quello della casa, come qui da noi».Perciò arte spaziale... forse interplanetaria.Quando (e non raramente) riceve ordinazioni di ceramiche,nei suoi stili precedenti, risponde che gli riesce troppo facile eche deve invece badare alle sue nuove ricerche. Infatti egli ese-guirebbe un ritratto in mezz’ora, mentre a terminare un qua-dro con i buchi vi impiega una settimana. Una signora di Mila-no insistette per ottenere un suo ritratto, ma Fontana si mostròirremovibile, fino a quando – per trarsela d’attorno e pensan-do che non avrebbe accettato – le chiese un milione. Quella in-vece accettò. Fontana terminò il ritratto in mezz’ora, con sod-disfazione della committente, la quale poi lo fece eseguire inbronzo. Ma quel diversivo – seppure redditizio – lo sviò tal-mente dalle sue ricerche, che non riuscì a rimanere soddisfattodella realizzazione di tre quadri destinati a completare unasua mostra personale.Attualmente le sue ricerche sono ancora orientate verso i pro-blemi spaziali, che, ogni volta, risolve in modo diverso. Innova-mento: questo è il destino di Lucio Fontana, irrequieto, interes-sante e originale.

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Cataloghi di esposizioni d’arte brescianerelative all’opera di Lucio Fontana

1 - Pittori della Collezione Cavellini nella Galleria d’arte moderna,Comune di Brescia - Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia 1964

2 - Grafica dalla Collezione Cavellini. Brescia, Galleria d’arte moderna,maggio/settembre 1967

3 - Lucio Fontana, Studio C, ottobre 19674 - Lucio Fontana, La nuova città - galleria d’arte contemporanea,

ottobre 19835 - Lucio Fontana, Galleria San Michele - Brescia, dicembre 1955

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Inaugurazione della mostra di Lucio Fontanapresso lo Studio C, 1970:documentazione fotografica

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Ci sono momenti in cui l’immagine origina riflessioni e coloriche invadono la mente per proporre paesaggi nuovi e lettureinedite del mondo. Questo elettrizzante regalo è diventato unarealtà quando i concetti spaziali di Lucio Fontana mi hanno offer-to relazioni con le cose, prima sconosciute.Non è stata esattamente un’illuminazione, ma l’epilogo di pen-sieri che hanno trovato, nella fisicità delle aperture praticate daFontana nella tela, lo stimolo per cogliere la contraddizione trail fare (che, idealmente, inizia e finisce nella quantità del qua-dro) e l’inconsistenza del vuoto (come idea dell’immobilità delnulla) che, invece, ne costituisce, anche come entità, leggibilenelle opere, il risultato terminale.Quando Nanni Valentini, caro amico e ceramista per vocazionedivina, volle farmi un regalo personalizzato, mi donò il catalogoragionato delle opere di Fontana ed una dedica: “affinché tu ac-quisti il piacere di guardare lontano“.Quanto lontano? Mi chiesi.Infinitamente lontano, fu la risposta.La sostanza indecifrabile che costituisce il campo d’azione del-l’artista evolve nell’oggetto indefinibile dei buchi e dei tagli, cheevocano l’inconsistenza d’ogni preteso progresso materiale.L’indefinito, di cui la natura si veste prima della mediazione, re-siste così ad ogni pretesa separatrice dell’opera, del pensiero,della parola, dell’omissione.La lettura dei concetti spaziali ha avuto un effetto vibrante neimiei rapporti col pensiero.Col maturare delle immagini aventi per fondamento la naturainfinita d’ogni cosa, eccezione fatta per ciò che costituisce ilfrutto dell’artificio, che è soggettiva approssimazione, il pensie-ro ha, infatti, percepito il nichilismo delle velleità costruttrici, ela dimensione d’eterno, questa sì realistica, di pensieri, parole,gesti, opere che trovino origine nelle immediate pulsioni dellospirito.Il nulla, quale frutto dell’azione arbitraria dell’ego, diventa ilpittore dei fuochi fatui ed inconsistenti della tecnica (l’artificio)da cui non può sorgere alcunché, all’interno della sostanza infi-nita del tutto.Ben diversamente, il virile esercizio dell’originaria energia vita-

Una nota di Giorgio Fogazzi

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le, che appartiene alle dimensioni dell’universo, sale al livellodell’imperitura creatività infinita.Gli spunti che ho colto nel rapporto con le opere di Lucio Fonta-na hanno trovato conforto, oltre che nella verificabile impossibi-lità di conferire al punto (cioè alle idee di inizio e di fine) unadimensione che non sia concettuale (cioè concepita perché inesi-stente), nella visione dell’arte suggerita dai ready made di Du-champ e dal valore che Malevich attribuisce all’azione avente loscopo di modificare la natura, mediante la presentazione delquadrato nero su quadrato nero.Fontana produce fisicamente il vuoto come conclusione del faree, dunque, come rappresentazione del limite (che è fine ed ini-zio); Duchamp suggerisce concettualmente la stessa immagine,proponendo come arte (cioè come prodotto del fare), non l’og-getto compiuto, il quale non muta il proprio valore lungo il per-corso che conduce dal luogo della non arte (il cavatappi in cuci-na) a quello dell’arte (lo stesso oggetto, in mostra), ma lo spo-stamento (il vuoto), che si pone come figlio dell’azione arbitra-riamente definitoria dell’ego.Malevich individua lo stesso percorso e ribadisce le immaginidi Fontana e Duchamp, attribuendo all’opera finita (il quadratonero) il medesimo valore della sostanza di partenza (il quadratonero).La “trasformazione” non ha prodotto che il nulla.L’illusione di produrre valori non genera che mutamenti di lin-guaggio, che è il tentativo infantile di catturare l’incoercibile in-finito e prigione eterna di sé stesso, quale policromo vessillo delnulla.Non a caso Fontana guarda al Barocco, le cui evoluzioni (curve),quale simbolo della vocazione linguistica a dettare il limite (cheè contraddizione dell’infinito), trovano, nei “vuoti “ dei concet-ti spaziali, la loro rappresentazione essenziale.

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Apparati

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Nonostante ripetute permanenze in Argentina, è a Milano chenel 1928 Fontana si iscrive all’Accademia di Brera per seguire ilcorso di scultura tenuto da Adolfo Wildt. Nel 1930 inizia la pro-pria attività con una esposizione alla galleria Il Milione, che nel-la prima metà degli anni Trenta diventa il centro delle ricercheastratte milanesi e comasche. Si colloca invece nella secondametà degli anni Trenta l’interesse di Fontana per la ceramica,che lavora dapprima ad Albisola e poi a Parigi, presso le mani-fatture di Sèvres.Nel 1939 rientra in Argentina ed insegna a Buenos Aires fino al1946, quando redige il Manifesto bianco, che costituisce l’iniziodelle sue esperienze spaziali. Nell’aprile del ‘47 è di nuovo a Mi-lano, ove fonda, con un gruppo di amici, il Movimento spaziale.Nel febbraio 1949 prepara alla galleria del Naviglio di Milanoun ambiente spaziale con forme spaziali ed illuminazione a luce nera,primo esempio di una partecipazione concreta dello spazio e diun uso di materiali nuovi, quali il neon e la luce nera. Esperien-za che ripete alla Triennale del 1951, mentre l’anno seguente, al-la galleria del Naviglio, presenta i suoi concetti spaziali, propo-nendo una concezione vitale dello spazio. Durante gli anni Cin-quanta prosegue l’attività di ceramista, che risulta sempre piùimportante campo di ricerca, e al termine del decennio speri-menta il taglio, in forme regolari e ripetute, che diverrà la sintesidi tutto il suo lavoro di vari anni successivi. Sono degli ultimianni alcune opere note come teatrini, superfici sdoppiate e mon-tate separatamente.Invitato con una sala personale alle Biennali di Venezia del 1954e del 1958, nel 1966 vi ottiene il Gran Premio Internazionale perla pittura.

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Lucio Fontana(Rosario di Santa Fé 1899-Comabbio 1968)

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Per l’opera di Lucio Fontana, l’istituzione di riferimentoè la Fondazione Lucio Fontana, corso Monforte 23, Milano.L’istituzione ha prodotto il Catalogo generale dell’opera di Fontana,a cura di E. Crispolti, 2 volumi (II° edizione 1986 - Electa Milano).Quest’opera fa da riferimento per le liste delle mostre personalie collettive del maestro, per l’elenco dei suoi scrittie per la bibliografia.Aggiornamenti si trovano nel seguente catalogo:- Lucio Fontana, a cura di E. Crispolti e R. Siligato, Palazzo delle

Esposizioni, Roma, 3 aprile-22 giugno 1998, Electa, Milano 1998.

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11 - Disegno (schizzo per fregi ornamentali), 1941inchiostro su carta, cm 27x21sul verso: testo di lettera a Serrano (prima stesura)Collezione SINCRON-centro culturale d’arte contemporanea - Brescia.

12 - Disegno (progetto per asilo infantile), 1941inchiostro su carta, cm 21x27Collezione SINCRON-centro culturale d’arte contemporanea - Brescia.

13 - Disegno (progetto per la tomba del padre), 1941inchiostro su carta, cm 27x21Collezione SINCRON-centro culturale d’arte contemporanea - Brescia.

14 - Progetti, 1951tecnica mista su carta, cm 27x22(Opera registrata all’archivio Fontana)Collezione privata - Brescia.

15 - Concetto spaziale, 1952inchiostro su carta, a cornice, cm 40x33Provenienza: Galleria La Roggia, Palazzolo.Collezione privata - Capriolo.

16 - recto: Barocco/Cavallo e cavaliere, 1954inchiostro su carta, cm 26,5x21,5verso: Disegno(Opera registrata all’archivio Fontana)Collezione privata - Brescia.

17 - Quattro studi, 1954inchiostro su carta, cm 21x27(archivio n. 1794/34)Collezione A. Tomasi - Roé Volciano.

18 - Concetto spaziale, 1956gouache su carta, cm 64x85(archivio n. 2416/2)Collezione privata - Brescia.

19 - Concetto spaziale, 1960buchi e tempera su carta, cm 65x45Collezione privata - Brescia.

10 - Ritratto femminile, 1938/39mosaico policromo, cm 26,5x21x13,5(archivio n. 2847/1)Collezione privata - Brescia.

11 - Credenza anni Quaranta, produzione Borsani-Milanodue fusioni in bronzo di L. Fontana che fanno da maniglie(Opera non in mostra)Collezione privata - Brescia.

12 - Piano di tavolino, 1952/53tecnica mista su vetro, bianco e nero, cm 75x47(Catalogo generale Crispolti 1986: 52-53 V 11)Collezione Daniella e Massimo Minini- Brescia.

13 - Concetto spaziale, 1952ceramica colorata, diametro cm 40(archivio n. 681/1)Collezione A. Tomasi - Roé Volciano.

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Schede

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14 - Ceramica spaziale, 1953ceramica colorata, cm 50x50 circa(archivio n. 2568/2)(È da rettificare il Catalogo generale Crispolti 1986 relativo all’opera come: 49 SC 7)Collezione privata - Brescia.

15 - Crocifissione, 1955/60ceramica colorata e riflessata, cm 42x33x7Associazione Arte e Spiritualità - Brescia.

16 - Senza titolo, circa 1958ceramica, diametro cm 19(archivio n. 1367/58)Collezione Daniella e Massimo Minini- Brescia.

17 - Concetto spaziale, 1959terracotta colorata, nera, cm 6x42,5 di diametro(inventario 322 C)Collezione Civica Galleria d’arte moderna - Brescia.

18 - Multiplo Rosenthal, 1968Esemplare n. 16/75 biancoCollezione privata - Brescia.

19 - Multiplo Rosenthal, 1968Esemplare n. 10/75 neroCollezione privata - Brescia.

20 - Concetto spaziale, Attese, 1959anilina su tela, cm 18x24(archivio n. 2416/3)Sul retro: dedica di L. Fontana al figlio di Roberto CrippaCollezione privata - Brescia.

21 - Concetto spaziale, Attese, 1960idropittura su tela, verde, cm 17x26(Catalogo generale Crispolti 1986: 60 T 126)Collezione privata - Gardone Riviera.

22 - Concetto spaziale, 1961olio, buchi, graffiti e vetri su tela, oro, cm 38x46(Catalogo generale Crispolti 1986: 61 O 115)Collezione privata - Brescia.

23 - Concetto spaziale, 1962olio, squarci e graffiti su tela, bianco, cm 100x81(Catalogo generale Crispolti 1986: 62 O 73)Collezione A. Valerio - Brescia.

24 - Concetto spaziale, Attesa, 1964idropittura su tela, bianco, cm 65x55(Catalogo generale Crispolti 1986: 64 T 146)Collezione G. Bortolotti - Brescia.

25 - Stendardo, 1966olio e squarci su tela, rosso, oro e argento, cm 115x75(Catalogo generale Crispolti 1986: 66 V 1)Collezione privata - Brescia.

26 - Concetto spaziale, Attesa, 1966idropittura su tela, giallo, cm 55x46(Catalogo generale Crispolti 1986: 66 T 118)Collezione privata - Brescia.

27 - Concetto spaziale, Attese, 1967idropittura su tela, bianco, cm 46x38(Catalogo generale Crispolti 1986: 67 T 65)Collezione G. Bortolotti - Brescia.

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Nota generale al catalogo

Nella compilazione delle schede per le singole opere si è procedutosecondo i seguenti criteri:

– laddove l’opera sia registrata nel catalogo generale dell’opera di LucioFontana, si rinvia al medesimo, riportando la sigla e le caratteristichetecniche dell’opera come segue: Catalogo generale Crispolti 1986 (peresteso: Catalogo generale dell’opera di Lucio Fontana, edizione 1986 in2 volumi editi dalla Electa di Milano; la cura è di Enrico Crispolti,sotto gli auspici della Fondazione L. Fontana di Milano);

– laddove l’opera non compaia nel catalogo generale, ma abbia il numerodi archivio della Fondazione L. Fontana, verrà descritta nellecaratteristiche tecniche e ne verrà trascritto il numero d’archivio;

– laddove infine l’opera non abbia neppure il numero d’archivio, verràdescritta nelle caratteristiche tecniche e sarà nostra cura, dovepossibile, ricostruirne la provenienza ed i vari passaggi di proprietà;

– nella descrizione dell’opera l’altezza precede la base.

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Opere in mostra

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Disegno (schizzo per fregi ornamentali), 1941inchiostro su carta, cm 27x21sul verso: testo di lettera a Serrano (prima stesura)

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Disegno (progetto per asilo infantile), 1941inchiostro su carta, cm 21x27

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Disegno (progetto per la tomba del padre), 1941inchiostro su carta, cm 27x21

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Concetto spaziale, 1952inchiostro su carta, a cornice, cm 40x33

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Progetti, 1951tecnica mista su carta, cm 27x22

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recto: Barocco/Cavallo e cavaliere, 1954inchiostro su carta, cm 26,5x21,5verso: Disegno

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Quattro studi, 1954inchiostro su carta, cm 21x27

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Concetto spaziale, 1956gouache su carta, cm 64x85

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Concetto spaziale, 1960buchi e tempera su carta, cm 65x45

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Ritratto femminile, 1938/39mosaico policromo, cm 26,5x21x13,5

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Credenza anni Quaranta, produzione Borsani-Milanodue fusioni in bronzo di L. Fontana che fanno da maniglie

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Crocifissione, 1955/60ceramica colorata e riflessata, cm 42x33x7

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Ceramica spaziale, 1953ceramica colorata, cm 50x50 circa

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Piano di tavolino, 1952/53tecnica mista su vetro, bianco e nero, cm 75x47

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Senza titolo, circa 1958ceramica, diametro cm 19

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Concetto spaziale, 1952ceramica colorata, diametro cm 40

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Concetto spaziale, 1959terracotta colorata, nera, cm 6x42,5 di diametro

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Multiplo Rosenthal, 1968Esemplare n. 16/75 bianco

Multiplo Rosenthal, 1968Esemplare n. 10/75 nero

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Concetto spaziale, 1962olio, squarci e graffiti su tela, bianco, cm 100x81

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Concetto spaziale, Attese, 1960idropittura su tela, verde, cm 17x26

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Concetto spaziale, Attese, 1959anilina su tela, cm 18x24Sul retro: dedica di L. Fontana al figlio di Roberto Crippa

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Concetto spaziale, Attesa, 1964idropittura su tela, bianco, cm 65x55

Concetto spaziale, Attese, 1967idropittura su tela, bianco, cm 46x38

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Concetto spaziale, Attesa, 1966idropittura su tela, giallo, cm 55x46

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Stendardo, 1966olio e squarci su tela, rosso, oro e argento, cm 115x75

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Concetto spaziale, 1961olio, buchi, graffiti e vetri su tela, oro, cm 38x46

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Indice

pag. 5 Lucio Fontana nelle collezioni brescianeMauro Panzera

pag. 13 Pittori della Collezione Cavellininella Galleria d’arte modernaMarco Valsecchi, 1964

pag. 16 Opere di Lucio Fontana, già in Collezione Cavellini, Brescia

pag. 22 Arte astrattaGuglielmo Achille Cavellini, 1959

pag. 30 Una notaGiorgio Fogazzi

pag. 33 Apparati

pag. 39 Opere in mostra

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Classici del contemporaneo - 1Lucio Fontana nelle collezioni bresciane18 settembre - 13 ottobre 1999Mostra organizzata dall’AAB

Cura della mostra e del catalogo:Mauro Panzera

Comitato organizzatore:Ermete Botticini, Vasco Frati, Martino Gerevini

Coordinamento editoriale:Vasco Frati e Giuseppina Ragusini

Progetto grafico:Martino Gerevini

Ufficio stampa:Giuseppina Ragusini, con la collaborazione di Monica Ferrata e Silvia Iacobelli

Progetto dell’allestimento:Ermete Botticini

Commissione per l’allestimento delle mostre:Pierangelo Arbosti, Ermete Botticini, Roberto Formigoni,Giuseppe Gallizioli, Giusi Lazzari, Alessandra Pelizzari, Carlo Zani

Referenze fotografiche:Studio Mora - BresciaFotostudio Rapuzzi - BresciaStudio fotografico M. Tiboni - Vobarno

Assicurazione:RAS - Riunione Adriatica di Sicurtà, Gardone Val Trompia

Direzione:Giuseppina Ragusini

Segreteria:Monica Ferrata e Silvia Iacobelli

L’AAB ringrazia per la loro preziosa e generosa collaborazione i prestatori; i Civici Museid’arte e storia, in particolare la direttrice Renata Stradiotti e Gerardo Brentegoni,assistente agli scavi, Luisa Cervati, assistente al servizio storico-artistico, Piera Tabaglio,dell’archivio fotografico; l’Associazione Arte e spiritualità, in particolare il presidenteFrancesco Lechi e la direttrice Cecilia De Carli; la Fondazione Ambrosetti, Artecontemporanea di Palazzolo sull’Oglio, in particolare il presidente Franco Ambrosetti.Un particolare ringraziamento va rivolto a Giancarlo Bendinelli della Neon Brescia.

Fotocomposizione e stampa:Arti Grafiche Apollonio, BresciaFinito di stampare nel mese di settembre 1999Di questo catalogo sono state tirate 500 copie.

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