Realia in Corso1213

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Lessico e traduzione riv.IV.13 “Traducibile” e “intraducibile”. Traduzione “fra culture”. Realia Si può tradurre non solo in una lingua diversa, ma anche nella stessa lingua (traduzione infralinguistica), e in questo caso il punto d’arrivo è rappresentato da uno strato cronologico o stilistico diverso, come tradurre un testo di un’altra epoca in lingua attuale, ecc. 1 Anche la trasformazione stilistica o di registro è una traduzione infralinguistica: ad es. «…io non credo che avrei mai posto in essere la tipologia di comportamenti dell’on. Papa» 2 vale come “non mi sarei mai comportato come lui” / “non avrei mai fatto le cose che ha fatto lui”; però chi parla è un avvocato, e per di più un parlamentare, quindi ama ammantare il proprio discorso di espressioni più “tecniche” e più “solenni”, che però equivalgono in tutto e per tutto alla “traduzione” più colloquiale qui riportata. Volendo affrontare il problema della traducibilità in una lingua diversa da quella di partenza è essenziale tener conto del materiale tratto dalla vita reale, poiché il modo di vivere di un popolo e la sua vita sociale dettano la nascita spontanea di forme espressive che poi, trasposte nella letteratura, diventano “portatrici di valori”, o “di mentalità”, a volte molto difficili da tradurre. Queste forme espressive, spontanee, entrano nel vocabolario e finiscono per caratterizzare il patrimonio linguistico. […] è idea ormai accettata che una traduzione non riguarda solo un passaggio tra due lingue, ma tra due culture, o due enciclopedie. Un traduttore non deve solo tenere conto di regole strettamente linguistiche, ma anche di elementi culturali, nel senso piú ampio del termine. 3 Ogni cultura ha, ovviamente, un proprio e originale bagaglio e porta con sé idee, usi, concetti, oggetti, che sono denotati da parole “speciali”, “tipiche”. Si tratta in sostanza, da un punto di vista più specificamente lessicale (lessicografico), della cosiddetta безэквивалентная лексика. 4 Di questa fanno parte, anzi costituiscono parte notevole, i cosiddetti realia. Due studiosi bulgari, Sergej Vlahov e Sider Florin, autori di un volume dedicato a ciò che normalmente viene considerato o definito “intraducibile”, 5 in un altro saggio affermano: In ogni lingua ci sono parole che, senza distinguersi in alcun modo nell’originale dal contesto verbale, ciò nondimeno non si prestano a trasmissione in un’altra lingua con i mezzi soliti e richiedono al traduttore un atteggiamento particolare; alcune di queste passano nel testo della traduzione in forma invariata (si trascrivono), altre possono solo in parte conservare in traduzione la propria struttura morfologica o fonetica, altre ancora occorre sostituirle a volte con unità lessicali d’aspetto del tutto diverso o addirittura “composte”, nel senso di create apposta. Tra queste parole s’incontrano denominazioni di elementi della vita quotidiana, della storia, della cultura ecc. di un 1 Cfr. U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, RCS Libri, 2003, pp. 162 sgg. 2 On. Maurizio Paniz, intervista a RaiNews, 29.6.11, 13.28. 3 U. Eco, op. cit., p.162. 4 L. Barhudarov, Jazyk i perevod, Moskva, IMO, 1975, pp. 94 sgg. 5 Vlahov S., Florin S., Neperevodimoe v perevode, Moskva, Vysšaja škola, 1986.

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Lessico e traduzione riv.IV.13 “Traducibile”  e  “intraducibile”.     Traduzione “fra culture”. Realia

Si può tradurre non solo in una lingua diversa, ma anche nella stessa lingua (traduzione infralinguistica), e in questo caso il punto d’arrivo è rappresentato da uno strato cronologico o stilistico diverso, come tradurre un testo di un’altra epoca in lingua attuale, ecc.1 Anche la trasformazione stilistica o di registro è una traduzione infralinguistica: ad es. «…io non credo che avrei mai posto in essere la tipologia di comportamenti dell’on. Papa» 2 vale come “non mi sarei mai comportato come lui” / “non avrei mai fatto le cose che ha fatto lui”; però chi parla è un avvocato, e per di più un parlamentare, quindi ama ammantare il proprio discorso di espressioni più “tecniche” e più “solenni”, che però equivalgono in tutto e per tutto alla “traduzione” più colloquiale qui riportata. Volendo affrontare il problema della traducibilità in una lingua diversa da quella di partenza è essenziale tener conto del materiale tratto dalla vita reale, poiché il modo di vivere di un popolo e la sua vita sociale dettano la nascita spontanea di forme espressive che poi, trasposte nella letteratura, diventano “portatrici di valori”, o “di mentalità”, a volte molto difficili da tradurre. Queste forme espressive, spontanee, entrano nel vocabolario e finiscono per caratterizzare il patrimonio linguistico. […] è idea ormai accettata che una traduzione non riguarda solo un passaggio tra due lingue, ma tra due culture, o due enciclopedie. Un traduttore non deve solo tenere conto di regole strettamente linguistiche, ma anche di elementi culturali, nel senso piú ampio del termine.3 Ogni cultura ha, ovviamente, un proprio e originale bagaglio e porta con sé idee, usi, concetti, oggetti, che sono denotati da parole “speciali”, “tipiche”. Si tratta in sostanza, da un punto di vista più specificamente lessicale (lessicografico), della cosiddetta безэквивалентная лексика.4 Di questa fanno parte, anzi costituiscono parte notevole, i cosiddetti realia. Due studiosi bulgari, Sergej Vlahov e Sider Florin, autori di un volume dedicato a ciò che normalmente viene considerato o definito “intraducibile”,5 in un altro saggio affermano:

In ogni lingua ci sono parole che, senza distinguersi in alcun modo nell’originale dal contesto verbale, ciò nondimeno non si prestano a trasmissione in un’altra lingua con i mezzi soliti e richiedono al traduttore un atteggiamento particolare; alcune di queste passano nel testo della traduzione in forma invariata (si trascrivono), altre possono solo in parte conservare in traduzione la propria struttura morfologica o fonetica, altre ancora occorre sostituirle a volte con unità lessicali d’aspetto del tutto diverso o addirittura “composte”, nel senso di create apposta. Tra queste parole s’incontrano denominazioni di elementi della vita quotidiana, della storia, della cultura ecc. di un

1 Cfr. U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, RCS Libri, 2003, pp. 162 sgg.

2 On. Maurizio Paniz, intervista a RaiNews, 29.6.11, 13.28. 3 U. Eco, op. cit., p.162. 4 L. Barhudarov, Jazyk i perevod, Moskva, IMO, 1975, pp. 94 sgg. 5 Vlahov S., Florin S., Neperevodimoe v perevode, Moskva, Vysšaja škola, 1986.

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certo popolo, paese, luogo, che non esistono presso altri popoli, in altri paesi e luoghi. Queste parole nella teoria della traduzione hanno ricevuto il nome di “realia”.6

I realia (in latino, neutro plurale, “le cose reali”) si vorrebbero contrapporre alle parole,

considerate non materiali, non tangibili. In quest’accezione, la parola indica gli oggetti della cultura materiale.

Realia però oggi, come termine linguistico, non indica solo oggetti, ma appunto segni, parole, e precisamente quelle parole che denotano oggetti e concetti specifici, caratteristici di ogni particolare civiltà, tipici o esclusivi della cultura materiale o spirituale di un popolo, della sua eredità storica.

Consideriamo le difficoltà e gli aspetti particolari che si manifestano nel momento in cui, in una traduzione, si affronta la questione di elementi, linguistici o concettuali, tipici di una lingua o del suo sfondo culturale.

È soprattutto in tali casi che la traduzione, come è ovvio, non si può accontentare dei dati forniti dal dizionario, ma deve tener conto del contesto culturale, situazionale, ecc., anche ammesso che il dizionario sia in grado di fornire risultati adeguati: dal punto di vista lessicografico, infatti, la ricerca di equivalenti per questi elementi della lingua è difficoltosa o (almeno in linea teorica) impossibile, perché un corrispondente di pari valore semantico può mancare. Il processo traduttivo, invece, provoca la messa in atto di strategie che consentono comunque, a livello comunicativo, di risolvere la maggior parte dei problemi, manipolando il “concetto” nella forma che più conviene, servendosi dei mezzi della lingua d’arrivo.

Per superare questi ostacoli, si ricorre ad espedienti non rigidamente definiti, che il traduttore sceglie in base ad una sua scelta o propensione personale non seguendo regole fisse; oppure si rinuncia in partenza ad intervenire sull’originale, trasportandolo tale e quale nella lingua d’arrivo. Poiché infatti è impossibile piegare ogni singolo caso a regole, ci si può soltanto avvalere di alcune strategie per rendere elementi o strutture tipiche di una lingua in un’altra lingua.

Quindi, parole o fenomeni linguistici specifici e particolari possono non avere un’equivalenza precisa. Testi intraducibili, invece, in pratica non esistono, o perlomeno è opportuno partire dalla convinzione che la traduzione sia comunque possibile: la traducibilità dipende certo dalla buona padronanza della lingua di partenza, ma in particolar modo della lingua madre (un’autentica traduzione, del resto, è di regola possibile solo nella propria lingua madre), dalla conoscenza delle due culture, dall’immaginazione e dalla capacità di intuizione linguistico-letteraria di chi traduce. C’è chi sostiene l’impossibilità della traduzione in linea di principio, perché l’equivalenza semantica assoluta nelle diverse lingue non esiste: casa e дом presentano nelle due lingue una serie di tratti distintivi che mettono in ombra il significato fondamentale comune (‘costruzione per abitazione’). Naturalmente, si tratta di una petizione di principio, perché non solo il lessico “tecnico” o “specialistico” corrisponde quasi sempre in modo pressoché totale, ma la terminologia in genere, anche quella della vita quotidiana, può presentare una serie di corrispondenze: martedì e вторник sono completamente sovrapponibili, cosí come mignolo e мизинец.

Il fatto che una parola “non esista” non è del resto un impedimento. L’equivalenza può presentarsi sotto altre forme: se si dovesse cercare un corrispondente “diretto” di pollice in russo, si scoprirebbe che non c’è, ma viene sostituito egregiamente dalla combinazione большой палец, che “funziona” allo stesso modo, significando non ‘un grosso dito’, ma ‘il dito grosso’, e quindi di fatto è la traduzione esatta. 7

6 Vlahov S., Florin S., Neperovodimoe v perevode. Realii, in Masterstvo perevoda 1969, a cura di K. Čukovskij, Moskva, Sovetskij pisatel’, 1970, p. 432.

7 L’italiano poi complica le cose, distinguendo addirittura fra dito grosso della mano (pollice) e del piede (alluce).

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I realia s’incontrano forse soprattutto nella letteratura artistica in quanto rappresentano elementi del patrimonio locale e storico. I due studiosi danno una precisa definizione di realia:

[...] parole (e locuzioni) della lingua nazionale che rappresentano denominazioni di oggetti, concetti, fenomeni tipici di un ambiente geografico, di una cultura, della vita materiale o di peculiarità storico-sociali di un popolo, di una nazione, di un paese, di una tribù, e che quindi sono portatrici di un colorito nazionale, locale o storico; queste parole non hanno corrispondenze precise in altre lingue.8

Funzione della traduzione. Strategie di traducibilità Gli autori di Neperevodimoe v perevode affermano:

La connotazione, e quindi anche il colorito, fa parte del significato, e di conseguenza è tradotta alla pari con il valore semantico della parola. Se non si è riusciti a farlo, se il traduttore è riuscito a trasmettere solo la “nuda” semantica dell’unità lessicale, per il lettore della traduzione la perdita di colorito si esprime in una percezione incompleta dell’immagine, ossia, in sostanza, nel suo travisamento.9

Indubbiamente sono molti i parametri da tenere in considerazione quando ci si pone davanti ad un elemento da tradurre; conoscere a fondo la tipologia di testo sulla quale si sta operando, il tipo di realia e il suo ruolo nella cultura emittente e in quella ricevente (non esiste una quota uniforme di parole straniere nei vari dizionari nazionali; ci sono culture più inclini ad assorbire parole delle culture “estranee” e altre meno) e infine la volontà del traduttore di “costringere” il lettore a superare una pigrizia mentale a vantaggio di una più ampia conoscenza del mondo sono pressoché fondamentali. Infine non va trascurato il lettore modello, ossia il lettore target a cui è rivolto il testo10.

Sta al traduttore optare per una maggiore o minore visibilità della cultura originaria del testo. Il traduttore-interprete, spesso, è l’anello della catena di comunicazione da cui dipende la conservazione o l’eliminazione dei dati della realtà della cultura emittente, quindi il suo lavoro è fondamentale anche se molto spesso la sua presenza è “scomoda”: in traduzione il suo intervento deve essere sentito in maniera minima per evitare il rischio di modificare l’intento dell’originale. Il lavoro di questo “mediatore culturale” è atipico; si tratta di un lavoro centrale e periferico allo stesso tempo: centrale perché il suo lavoro è essenziale per mettere in comunicazione le varie parti del mondo; periferico per la necessità di una sua invisibilità nel testo.

Per quanto riguarda i procedimenti di trasmissione dei realia in un’altra lingua, bisogna distinguere fra traduzione e trascrizione.

Nel caso della traduzione è implicito il tentativo di “appropriarsi” dell’elemento estraneo facente parte di una cultura altra. Nel caso della trascrizione, invece, c’è il tentativo di mantenere l’elemento estraneo attraverso i mezzi propri (nel caso della trascrizione dal russo all’italiano avverrà la traslitterazione del lemma dal cirillico russo all’alfabeto latino).

8 Op. cit., p. 438. 9 Vlahov e Florin, Neperevodimoe..., 1970, p. 121. 10 Cfr. B. Osimo, Corso di traduzione, Modena, Guaraldi – Logos, 2000, p. 35.

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Ci sono poi dei casi di “appropriazione” mediante l’adattamento di realia stranieri. Si crea una parola nella lingua ricevente che però, sostanzialmente, si modella sopra la struttura anche fonetica della parola originaria.

E’ il caso dei пирожки, tipici tortini ripieni russi, che in estone si chiamano pirukas, o del tedesco Walkűre, che è presente in italiano come Valchiria e in russo come Валькирия. Si tratta sostanzialmente di prestiti adattati.

Passando alla traduzione dei realia, esistono varie possibilità, varie modalità di “appropriazione”. Il primo metodo consiste nel creare un neologismo che spesso corrisponde ad un calco di formazione, vale a dire che con materiale della lingua ricevente si forma una parola semplice o composta traducendo alla lettera gli elementi che formano l’espressione nella cultura ricevente.

Ad esempio: l’inglese skyscraper diventa in russo небосĸрëб e in italiano grattacielo11, il latino nominativum diventa in russo именительный (падеж).

Esistono poi i mezzi calchi: si tratta dei casi in cui solo una parte dell’espressione viene trasferita nella lingua ricevente, l’altra rimane in quella di partenza, eventualmente adattata foneticamente e graficamente.

Ad esempio: il tedesco Dritte Reich è riprodotto in italiano con Terzo Reich, in russo con Третий Рейх.

Il neologismo semantico, invece, si differenzia dal calco per l’assenza di un legame etimologico con la parola originale. E’ una parola, o un insieme di parole, “creato” dal traduttore che permette di rendere il contenuto di senso dei realia. Questa tipologia viene chiamata anche calco semantico. Una sorta di “calco concettuale” si ha nel caso del russo ударник, che viene reso in italiano con lavoratore d’assalto.

Così alla fine dell’Ottocento compaiono in russo le espressioni гвоздь сезона (gvozd’ sezona), гвоздь выставки (gvozd’ vystavki), dove гвоздь, sul modello del francese clou, accanto al significato fondamentale di “chiodo” acquista anche quello traslato di “momento di maggiore richiamo” (“della stagione” e “dell’esposizione” negli esempi citati). L’uso di yтĸа (utka), “anatra”, nel significato di “voci infondate” deriva dal francese canard, che ha sia il significato concreto di “anatra”, sia quello traslato di “voce, diceria”12.

Recentemente anche il russo, sull’esempio dell’inglese mouse, ha esteso alla parola che significa “topo” il significato di “cursore”, creando quindi il “neologismo” мышь (che in tal modo risulta un omonimo di мышь ‘topo’). Un’altra possibilità molto sfuttata, quando si deve affrontare la traduzione di realia, è la sostituzione con realia della cultura ricevente. Potrebbe essere il caso di bustarella o mazzetta per tradurre il russo взятка.

Vlahov e Florin sostengono che quest’atteggiamento «porta ad un’inaccettabile sostituzione del colorito del prototesto con un colorito proprio», ma evidentemente in molti casi può essere ammesso. Capitano [...] situazioni paradossali in cui gli analoghi più prossimi di realia estranei alla cultura ricevente sono realia, spesso pure estranei, spesso internazionali ma vicini, comprensibili al lettore e in una misura o nell’altra privi del colorito, perciò sono preferiti.13 E’ necessario però sottolineare che non esiste una strategia traduttiva in assoluto migliore o peggiore di un’altra. Sta al traduttore, in base alla sua esperienza e conoscenza di entrambe le lingue e culture, operare la scelta migliore. E’ evidente che “far proprio il reale” tende ad appiattire le

11 Kasatkin L., Krysin L., Živov V., Il russo, Firenze, a cura di N. Marcialis e A. Parenti, la Nuova Italia Editrice, 1995, p. 162. 12 Kasatkin L., Krysin L., Živov V., op. cit. 13 Vlahov S., Florin S., Neperevodimoe…, 1986, p. 101.

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diversità culturali, a falsare la realtà, per rendere comprensibile un testo senza nessuno sforzo di accettazione delle diversità. Esiste poi una traduzione approssimativa dei realia; questa permette di tradurre il contenuto dell’espressione in modo vago ma il colorito locale viene perso perché è introdotta un’espressione priva di connotazione, di stile neutro. Secondo questo principio, per esempio, il piatto russo щи può diventare una minestra di cavoli : ma non si capirà innanzi tutto che si tratta di cavoli cappucci (e non di cavolfiori), e poi come sia preparata e con che aspetto si presenti; la nostra pizza, in passato, poteva essere resa in russo semplicemente con пирог, che si poteva intendere come una specie di focaccia 14: e quindi ancora una volta per rendere “familiare” il termine si sacrificava ciò che rendeva tipico e unico il Un’espressione in una lingua si può quindi spiegare con il materiale della lingua in cui ci si accinge a tradurre a scapito però, a volte, della fluidità e dell’immediatezza che si ha nella lingua di partenza. Un aspetto importante che riguarda i realia, valido per ogni traduzione, è: se s’incontra un elemento di realia o un nome proprio, la prima domanda da porsi è in che cultura, in che lingua abbia origine: può non appartenere né alla lingua di partenza né a quella di arrivo, bensì a una terza, e allora il problema è quale di queste forme scegliere. Ad es., in molta narrativa sovietica si trova la parola aul, per indicare il villaggio di alcune popolazioni del Caucaso o centroasiatiche. Visto che l’autore russo ha adottato il prestito, che farà il traduttore italiano? Userà lo stesso prestito aul, dando un connotato esotico al testo, ma introducento una difficoltà di comprensione, oppure, dato uno sguardo al dizionario russo, semplificherà il compito del lettore, traducendo villaggio? Ogni soluzione ha ragione di essere, ma il traduttore si dovrà interrogare sui propri “principi traduttivi”. Sembra comunque abbastanza logico che, se l’autore ha voluto inserire nel proprio testo un elemento “estraneo”, per sottolineare un’ambientazione esotica, questa intenzione vada conservata, piuttosto che cancellata (e qui si renderà necessaria la famigerata noticina a piè di pagina). Nomi propri e di persona. Un altro aspetto (altro settore di безэквивалентная лексика15) che conferisce ad un testo una connotazione culturale, è quello dei nomi propri, sia riferiti a persone, sia riferiti a cose, luoghi, ecc. Si potrebbe proporre, perciò, di assimilare i nomi propri ai realia, in quanto anch’essi, nella loro maggioranza, costituiscono un prodotto tipico della cultura. In apparenza la traduzione dei nomi propri di persona non è un problema poiché oggi usualmente non vengono tradotti. Si direbbe un fenomeno che appartiene al passato, quando, per esempio, quasi sempre i nomi di scrittori, artisti o personaggi storici venivano adattati alla lingua e alla cultura ricevente: Carlo Dickens, Leone Tolstoi, Gustavo Flaubert, Volfango Amedeo Mozart, Goffredo di Buglione, ecc. In realtà tale pratica è ancora parzialmente ma largamente in uso. Innanzi tutto, né il lettore, né il traduttore moderno sono minimamente disturbati da nomi come Achille o Agamennone in una traduzione dell’Iliade, e non sentono la necessità di ripristinare la forma originale greca; cosí pure non si trova nulla a ridire su Don Chisciotte o Amleto, anzi una traduzione italiana in cui s’incontrassero le forme Hamlet o Don Quijote forse apparirebbe strana. Ma ciò avviene anche in altri casi. Per esempio, lo scrittore Tolstoj è noto, nella cultura angloamericana, col nome proprio

14 Naturalmente, quando pizza denotava un fenomeno esotico, tipico; oggi la pizza è “globalizzata”, e si porta dietro il suo nome in tutto il mondo: in russo пицца.

15 L. Barhudarov, op. cit., p. 95.

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Leo (Leo Tolstoy), che non è la “traduzione” di Lev, che significa “leone” (in inglese lion), ma ne è la versione onomastica, ossia è il nome proprio inglese (derivante dal latino leo)16. Fenomeno analogo si riscontra nella resa di alcuni nomi di altre lingue. Il nome russo Vladimir viene adattato alla fonetica, per esempio in italiano diventa Vladimiro, Leningrad cambia in Leningrado cosí come Hamlet in Amleto. Analogamente, il nome Vasilij è facilmente pronunciato, sia in italiano, sia in inglese e in francese, con un raddoppiamento della s che dovrebbe rendere la s sorda, e tale raddoppiamento si riflette anche nella grafica adottata specialmente dalle edizioni non scientifiche: Vassili. Da questo punto di vista, l’atteggiamento è favorevole all’adattamento, alla comodità, a scapito di versioni più filologiche. Un esempio opposto: è notissimo il romanzo Anna Karenina, ma forse non è altrettanto noto che il cognome della protagonista, in qualsiasi lingua occidentale, sarebbe Karenin, ossia uguale a quello del marito. In francese, tedesco, italiano, spagnolo, inglese, dove i cognomi non si declinano per genere, il titolo del romanzo ispirato agli stessi criteri di accettabilità, e non di adeguatezza, potrebbe legittimamente essere Anna Karenin.17 La dicitura Karenina sembra obbedire alla tendenza attuale alla conservazione dei nomi nella forma originale, tendenza però non perfettamente coerente: qualche anno fa si scriveva Raissa Gorbaciova,18 ma oggi la signora Putin, e non Putina. In ogni caso, il problema della resa dei nomi è senz’altro attuale, se si leggono le considerazioni di Umberto Eco sulle diverse traduzioni del suo Il nome della rosa.19 Il nome proprio, il diminutivo, il patronimico Il nome di persona russo è formato da tre componenti: nome (имя, imja), patronimico (о́тчество, otčestvo), cognome (фамилия, familija). La maggior parte di questi nomi trae origine dalla tradizione cristiana, greca o latina, mentre altri sono di origine slava o scandinava. Ognuno di questi imja, ovvero ogni nome proprio, ha almeno un diminutivo, che è il modo in cui è chiamata normalmente la persona in ambiente famigliare, oppure fra amici o ancora in ogni caso in cui ci sia confidenza, oppure un rapporto di subordinazione 20. Quindi parlare dei nomi russi non sarebbe completo senza prendere in considerazione i diminutivi che sono una parte molto rilevante della lingua russa. I russi adorano utilizzare con profusione i diminutivi che spesso diventano vezzeggiativi, in particolare in famiglia o con gli amici. Molte persone registrate all’anagrafe con un certo nome vengono in effetti chiamate non con il nome ufficiale, ma con un diminutivo. I diminutivi possono derivare da una “abbreviazione” del nome. Spesso si prende il “nucleo” del nome, ossia la sillaba tonica, oppure l’inizio, e si aggiunge una desinenza -a/ -ja. Дми́трий, Дими́трий diventa Ми́тя О́льга О́ля Ива́н Ва́ня

16 In italiano invece, come per il russo, si verifica la corrispondenza tra “leone” nome comune di animale e il nome proprio Leone.

17 Cfr. anche il francese Anna Karenine, che non è la forma femminile, ma Karenin scritto alla francese. 18 Adattamento fonetico, di fronte alla traslitterazione Raisa Gorbačëva.

19 Cfr. U. Eco, op. cit., pp. 175-177. 20 Ossia nei confronti del subordinato; questi sono diventati nella prassi veri e propri nomi abbastanza neutri: per esempio, se la padrona si rivolge alla sua cameriera con un diminutivo del nome, sarà, piuttosto che per un motivo affettivo, per una questione d’uso.

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Наде́жда На́дя Никола́й Ко́ля Алекса́ндр, Алекса́ндра Са́ша Бори́с Бо́ря Юрий Юра Сергей Серёжа Naturalmente, ogni nome può avere più diminutivi, sia nella forma “sintetica” (Са́ша), sia con l’aggiunta di ulteriori suffissi diminutivi (Са́ш/ень/к/а). Certi diminutivi, per di più, posso arrivare a prendere delle connotazioni più affettuose come Машенка per Мария, altri più “intimi” come Машу́нечка. Questo fenomeno così diffuso nella lingua russa è dato dalla ricchezza di suffissi che questa lingua offre e permette la continua creazione di parole21. E’ importante notare: quand’è che nella traduzione in un’altra lingua le eventuali connotazioni, che assumono le forme già discusse in precedenza, vanno perse? Sovente, infatti, un lettore straniero non riesce a captare dalla traduzione le varie sfumature di affetto, intimità, disprezzo che sono insite nel diminutivo usato. L’uso dei peggiorativi, pressoché assente in italiano, in russo è spesso presente in letteratura come nella vita quotidiana. Per di più accade che il lettore (che non conosca il russo) abbia un senso di smarrimento e confusione nel trovarsi di fronte ad un numero cospicuo di nomi che in realtà sono tutti riferiti ad un unico personaggio. Per restare nell’ambito dei diminutivi, ad esempio, nel racconto Due ussari di L. N. Tolstoj, Elizaveta viene chiamata dagli altri personaggi e dal narratore stesso con altri nomi derivati dal suo nome di battesimo: “Lizoč’ka, ti potremmo cercare un fidanzato, uno di questi bravi ussari!” disse lo zio. […] “Lizanjka, per stasera potresti mettere il vestitino di mussolina di lana.” […] Polozov aveva voglia di stare da solo per pensare a Liza, che gli era sembrata una creatura straordinariamente pura.22 In Anna Karenina, la figlia maggiore del principe Oblonskij, che è una bambina, è chiamata Таня (diminutivo di Татьяна), ma il padre si rivolge a lei con il vezzeggiativo Танчурочка, che di per sé non è tanto facilmente riconoscibile, e comunque al lettore italiano direbbe ben poco. E cosí via. Di qui le difficoltà di decidere se e come trovare delle soluzioni accettabili nella traduzione, sempre tenendo conto che il traduttore in simili casi può fare assegnamento solo sulle sue capacità di intuito e inventiva. Nel caso di Танчурочка, per esempio, si offre spontanea la possibilità di evitare l’appesantimento prodotto dalla riproduzione del nome traslitterato, col semplice ricorso a un “incrocio linguistico ” come Taniuccia, dove verrebbe “tradotto” solo il suffisso. Ma si tratta ancora una volta di scelte personali. Altra peculiarità dei nomi russi sono i patronimici; aggiunti di seguito al nome di battesimo, indicano il nome del padre, modificato con un suffisso, che dà il significato di “figlio di”: solitamente -ович/ -евич/ -ич per i figli maschi e -овна/ -евна per le figlie femmine. A titolo d’esempio Мария Петровна risulterebbe significare “Maria, figlia di Pietro”. Il nome seguito dal patronimico individua la persona in maniera meno equivoca. Ma innanzitutto, oggi nella vita quotidiana la coppia nome-patronimico è usata come forma di cortesia. L’importanza dell’uso del patronimico può essere intuita dal fatto che fino all’Ottocento i cognomi non venivano utilizzati nell’uso corrente: si preferiva servirsi dei patronimici.

21 Cfr. oltre, p. …(controllare pag. !). 22 Tolstoj L., I due ussari, in I cosacchi e altri racconti, trad. di L. de Nardis, Milano, Mondatori, 1996. La traslitterazione scientifica sarebbe Liza, Lizočka, Lizan′ka.

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Nella lingua colloquiale più “disinvolta”, o per dare un senso di informalità o cordialità, anche il patronimico subisce una sorta di “contrazione” (Никлаич al posto di Николаевич, Марья Иванна anziché Мария Ивановна). In tali casi la traduzione diviene molto difficoltosa: un livello di “registro” equivalente potrebbe essere una combinazione di cordialità, rispetto e “sinteticità” come Sora Rosa e simili. Tuttavia pochi contesti si prestano ad una simile operazione, poichè è da valutare se è legittimo l’uso di forme dialettali nella specifica traduzione. L’uso di caratteristiche dialettali per rendere il colorito locale è da considerare con molta attenzione e prudenza; ma Leone Pacini Savoj, a proposito della sua traduzione dei racconti di Gogol′, dichiara senza troppе remore: […] ho cercato, nei limiti del possibile, di rispettare la tecnica dello stile gogoliano […]. Se mi si accuserà di aver condito la prosa di spezie fiorentine, mi si perdoni, pensando agli ucrainismi del Gogol′ (eppoi l’Ucraina è sul parallelo della Toscana). Naturalmente, si tratta sempre di considerazioni assolutamente personali. I nomi propri: traduzione, adattamento e altri problemi. Per quanto concerne poi i nomi propri di cosa, Bruno Osimo nel suo Corso di traduzione23 propone ad esempio di distinguere i nomi di enti, istituzioni, ecc. Ad eccezione degli enti internazionali che hanno una variante ufficiale in più lingue (per esempio Unione Europea, Union Européenne, European Union, Europäische Union ecc.; in russo, Европейский Союз), la traduzione del nome proprio di un ente può creare confusione. Per esempio, può essere azzardato tradurre i nomi delle università che al loro interno contengono un toponimo (University of California, Washington University, Università degli Studi di Milano, Московский Государственный Университет) perché se anche nella maggior parte dei casi il toponimo si riferisce al luogo in cui sorge l’università, non sempre è cosí. Per esempio University of California, tradotto alla lettera, può dare l’idea (falsa) che in California esista quella sola università. Tradurre Washington University come «Università di Washington» può ingenerare confusione: quest’università non è a Washington ma nel Missouri.24 Poiché non è la sede universitaria ad essere indicata, potrebbe quindi essere intitolata a George Washington: in tal caso, volendo, potrebbe essere resa con “Università Washington”; in russo, la differenza diverrebbe sosanziale: Университет имени Вашингтона anziché Вашингтонский университет. Infine, un aspetto importante, già ricordato, che riguarda i realia in generale e anche i nomi propri, valido per ogni traduzione, è: se s’incontra un elemento di realia o un nome proprio, la prima domanda da porsi è in che cultura, in che lingua abbia origine: può non appartenere né alla lingua di partenza né a quella di arrivo, bensì a una terza, e allora il problema è quale di queste forme scegliere (cfr. sopra,…). Successivamente la scelta verte tra: - traslitterare oppure trascrivere la grafia originaria;

23 Osimo B., op. cit. 24 Osimo B., op. cit., p. 56.

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- tradurre oppure adattare la grafia originaria; è però poco consigliabile trascrivere o traslitterare il nome seguendo le regole della lingua mediatrice, ovvero di quella in cui è scritto il testo. Per esempio, il nome della capitale dell’Estonia Tallinn in epoca sovietica era scritto alla russa Таллин e veniva trascritto in italiano con la grafia Tallin, cosa fondamentalmente errata, visto che in estone (scritto con alfabeto latino) qui è usata la doppia n: questo era quindi il modello da seguire.25 Altrettanto, anzi peggio, diremo per il Парк имени Горького26 a Mosca, centro dell'azione in un romanzo di Martin Cruz Smith, dal titolo Gorky Park, e in un film omonimo tratto dal romanzo: di entrambi è stata fornita una versione italiana, il cui titolo non è dato tradotto in italiano (come sarebbe normale) Parco Gor′kij, né nella trascrizione (traslitterazione) dal russo Park imeni Gor′kogo, ma riportando pari pari il nome inglese Gorky Park, come se il nome originale fosse quello.27 E’ importante notare: quand’è che nella traduzione in un’altra lingua le eventuali connotazioni, che assumono le forme già discusse in precedenza, vanno perse? Sovente, infatti, un lettore straniero non riesce a captare dalla traduzione le varie sfumature di affetto, intimità, disprezzo che sono insite nel diminutivo usato. L’uso dei peggiorativi, pressoché assente in italiano, in russo è spesso presente in letteratura come nella vita quotidiana. Per di piùaccade che il lettore (che non conosca il russo) abbia un senso di smarrimento e confusione nel trovarsi di fronte ad un numero cospicuo di nomi che in realtà sono tutti riferiti ad un unico personaggio. Per restare nell’ambito dei diminutivi, ad esempio, nel racconto Due ussari di L. N. Tolstoj, Elizaveta viene chiamata dagli altri personaggi e dal narratore stesso con altri nomi derivati dal suo nome di battesimo: “[...] Lizoč’ka, ti potremmo cercare un fidanzato, uno di questi bravi ussari!” disse lo zio. [...] “Lizanjka, per stasera potresti mettere il vestitino di mussolina di lana.” [...] Polozov aveva voglia di stare da solo per pensare a Liza, che gli era sembrata una creatura straordinariamente pura.28 In Anna Karenina, la figlia maggiore del principe Oblonskij, che è una bambina, è chiamata Таня (diminutivo di Татьяна), ma il padre si rivolge a lei con il vezzeggiativo Танчу́рочка, che di per sé non è tanto facilmente riconoscibile, e comunque al lettore italiano direbbe ben poco. E cosí via. Di qui le difficoltà di decidere se e come trovare delle soluzioni accettabili nella traduzione, sempre tenendo conto che il traduttore in simili casi può fare assegnamento solo sulle sue capacità di intuito e inventiva. Nel caso di Танчурочка, per esempio, si offre spontanea la possibilità di evitare l’appesantimento prodotto dalla riproduzione del nome traslitterato, col semplice ricorso a un

25 Diverso è il caso di quando una forma tradizionale esiste nella lingua d’arrivo, ed è naturale usare quest’ultima: è il caso della Moldavia, che nell’originale è Moldova e in russo è Молдавия: useremo la forma Moldavia non perché desunta dal russo, ma perché questo è il nome che esisteva in italiano.

26 Центральный парк Культуры и Отдыха имени М. Горького . 27 In Le origini della Russia di G. Vernadsky, Firenze, Sansoni, 1965 (tradotto in italiano dall’inglese), p. 113, leggendo di una campagna militare contro Costantinopoli nel 626, si scopre che l’esercito àvaro-slavo portò fino al Golden Horn delle navi, che furono distrutte dalla flotta bizantina: ebbene, è chiaro che il “Golden Horn” non è altro che quello ben noto in italiano come Corno d’Oro, quella foce di fiume o braccio di mare che si addentra nella parte europea di Costantinopoli: mantenendo la denominazione inglese, il traduttore dà l’impressione che il toponimo originale (bizantino, cioè greco) sia Golden Horn!

28 Tolstoj L., I due ussari, in I cosacchi e altri racconti, trad. di L. de Nardis, Milano, Mondatori, 1996. La traslitterazione scientifica sarebbe Liza, Lizočka, Lizan′ka.

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“incrocio linguistico ” come Taniuccia, dove verrebbe “tradotto” solo il suffisso. Ma si tratta ancora una volta di scelte personali. батюшка In altri casi, il personaggio è nominato con tutte le possibili varianti: nome, diminutivo, patronimico, cognome, ecc.. Sempre in Anna Karenina, il principe Oblonskij viene presentato nella prima pagina come “князь Степан Аркадьич Облонский – Стива, как его звали в свете”: notiamo per inciso che già il diminutivo Stiva per il comune lettore italiano non è immediatamente riconducibile, per il suo aspetto grafico-fonetico, a Stepan; ma nelle pagine successive il personaggio diviene semplicemente Степан Аркадьич, per ritornare Стива nelle conversazioni fra amici. All’inizio del cap. V, in rapida successione troviamo: Степан Аркадьич, Стива Облонский, ancora Степан Аркадьич, Облонский, Стива. È chiaro che tutti questi nomi (fra l’altro, mescolati a quelli degli altri personaggi) debbano produrre un po’ di sconcerto. Per la scelta traduttiva sarebbe utile tenere in considerazione la frequenza con cui queste varianti e diminutivi vengono utilizzati ed il valore della frequenza stessa. Infatti di fronte ad una cospicua varietà di nomi riconducibili ad un unico personaggio (frequenza), si può scegliere di selezionare solo i più frequenti nel testo, al fine di agevolare la lettura. Alcuni traduttori hanno estremizzato questa possibilità chiamando il personaggio sempre ed in ogni contesto con un unico nome o cognome. Un altro espediente dei traduttori è quello di fornire un elenco di personaggi con nomi e varianti molto spesso all’inizio del volume. Questo potrebbe essere un aiuto ad un lettore “smarrito” all’interno di un romanzo pieno di nomi, cognomi, diminutivi, nomignoli e patronimici, ma anche costituire un impaccio nella lettura che sarebbe continuamente interrotta per tornare all’elenco. Va tenuto in seria considerazione che tutte queste tecniche e strategie modificano, volontariamente o no, l’opera originale. La scelta di “migliorare” o meno l’originale spetta al traduttore stesso. In realtà, il comportamento da adottare nei confronti dei nomi propri, diminutivi, vezzeggiativi o familiari, è un tema ancora da risolvere. Il fatto che queste questioni traduttive non vengano oggigiorno affrontate denota forse che non sono ritenute dei problemi concreti. La scelta compete quindi sempre al traduttore che deve tener conto del proprio scopo, ovvero avvicinarsi al lettore medio moderno. Lui stesso deve conoscere bene, o almeno cercare di raffigurarsi, la tipologia del ricevente della sua traduzione. Se si rivolge ad un ideale lettore che già conosce la letteratura russa si può permettere di trascurare alcune particolarità, ma se ha a che fare con un lettore comune ogni delucidazione è utile per la comprensione. Il traduttore deve in ogni caso essere in grado di inserirsi tra le due mentalità, quella di partenza e quella d’arrivo, e di vivere un confronto continuo tra le due lingue e tra i due modi di esprimere una stessa cosa ma spesso in modo diverso, tenendo conto delle divergenze, e tenendo conto che queste sono, nella maggior parte delle volte, più frequenti delle affinità.

anticipati l’anno scorso (3°) argomenti del I LM traducibilità: dizionari e testi ampliamento e integrazione degli inventari lessicali fra diverse lingue: uso intensificato di prestiti e calchi…. scandire scansire scannerizzare realia

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rendere al meglio delle strutture tipiche di una lingua in un’altra. diminutivi “intraducibili” realia * prestito (ev. trasl.) – prestito adattato Valküre > Valchiria Bastille > Bastiglia neologismo (calco di formazione) skyscraper > grattacielo, небоскрёб, body-guard > телохранитель mezzo calco der dritte Reich > il Terzo Reich , Третий Рейх neologismo semantico (calco sem.) ударник > lavoratore d’assalto clou, canard, mouse analogia NB! pizza > пирог пирог torta, pasticcio ampliamento (sviluppo) капуста cavolo cappuccio però NB капуста <--> цветная капуста cavolo <--> cavolo cappuccio descrittiva щи > minestra di cavoli NB Percorso “inverso” da spiegazione a prestito: quando il fenomeno è sconosciuto, si tenta di spiegarlo; se diviene più noto, riprende il suo nome prestito trad. usuali trad. descrittiva, parafrasi, ampliamento, trasformazione… (con traslitteraz.) (con adattamento) поп : pop, pope; prete prete ortodosso russo, sacerdote ortodosso царь : car′ zar sovrano (re, imperatore) russo тройка : trojka troika, troica; *slitta tiro a tre водка : vodka vodka, vodca; *wodka29 acquavite (russa) валенки : valenki -- -- stivali di feltro рубль : -- rublo (unità monetaria russa) копейка : kopejka copeca, copeco, kopek30 centesimo (di rublo) верста : versta versta (pl.-e) (chilometro) Non si può neanche dire che, una volta stabilita la forma da usare (o che si vuole usare), qusta debba essere mantenuta in tutte le occasioni: come in ogni traduzione, può essere più opportuna una variante o l’altra a seconda del contesto o della situazione. Si pensi anche al fatto che ogni parola può avere più traducenti: человек può essere uomo o persona, люди si può rendere con uomini, persone, gente Vlahov e Florin! catalogazione Altri realia? : обращение : голубчик, голубушка mio caro/cara, tesoro mio (D), carino/a cfr. chou, лапочка, рыбка (v. anche diminutivi) батюшка caro mio, caro Lei (! D) 29 “Wodka” è da considerare errato: la grafia riproduce il polacco wódka, oppure è influenzata dal tedesco (dove notoriamente v è pronunciato /f/, mentre per riprodurre il suono /v/ si usa la w : cfr. Dostojewski, Majakowski, ecc. 30 Forma che si incontra nelle traduzioni antiche.

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барин сударь брат Маша (v. diminutivi) -с (частица) contrazione da сударь, государь; tono di affettato servilismo, oggi più spesso di scherzosa ironia: да-с, слушаю-с, чего изволите-с?, никак нет-с!, пожалуйте-с - Можно посмотреть документ? – Извольте-с. - Ну-с, рассказывайте, что у вас тут произошло. Анатолий Иванович (v. Patronimico e derivati da nomi: più realisti del re...) Ильич НБ! 2 — ... Александр Егорович. — Здравствуйте, Тимофеев! – Спасибо, Мария. – Филатовна. (Г. Чухрай, Сорок первый) Alice vs Anja E’ interessante registrare i diversi approcci dei traduttori (di cultura diversa, ma non è questo l’essenziale) verso un determinato testo d’origine. Seguendo l’esposizione che ne fa Jampol’skaja31, prendiamo in esame la traduzione dell’opera di Lewis Carroll Alice’s Adventures in Wonderland32 ad opera di Masolino D’Amico33, per la versione italiana, e la versione russa di Vladimir Nabokov.34 Già i nomi dei personaggi della favola inglese chiariscono le diverse scelte traduttive operate. D’Amico predilige lasciare invariati i nomi propri traducendo nel corrispettivo italiano soltanto i nomi-soprannomi incomprensibili per un lettore con una scarsa conoscenza della lingua inglese; così abbiamo Alice, Mary Ann, Mabel, Ghiro, la Finta Tartaruga, Pat, Bill Lucertolina, Coniglio Bianco, il Cappellaio, il Gatto del Cheshire, la Lepre Marzolina e via dicendo. Il traduttore russo, invece, sceglie di “trasportare” la sua opera nella cultura russa. Traduce così tutti i nomi e soprannomi con corrispettivi russi o, nel caso non esistano, opta per nomi tipici e ancorati culturalmente con un forte valore folkloristico. Alice diventa Anja, Mary Ann cambia in Maša, mentre i servitori del Coniglio Bianco, Pat e Bill the Lizard, si trasformano in Pet’ka e Jaška-Jaščeritsa che corrispondono ai nomi Pëtr e Jakov nella forma diminutiva e spregiativa usata un tempo in Russia dai signori per chiamare la servitù (ma non si può non notare che la scelta di questi diminutivi sembra dovuta all’assonanza di Pet’ka con Pat e all’assonanza interna di Jaška con Jaščeritsa). Anche per quanto concerne l’ampia gamma di realia presenti nella favola gli approcci dei traduttori sono differenti. Per Masolino D’Amico, Alice rimane una ragazzina inglese che mangia marmellata di arance, studia Guglielmo il Conquistatore e nomina Shakespeare come il più famoso letterato.

31 Cfr. Lasorsa C., Jampol’skaja A., La traduzione all’università, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 19-21. 32 Carrol L., Alice’s Adventures in Wonderland, Oxford, Oxford University Press, 1982. 33 Carroll L., Alice nel paese delle meraviglie, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1985. 34 Nabokov V., Anja v strane čudes, Moskva, Sovetskij kompozitor, 1991.

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Per Nabokov, al contrario, Anja è russa a tutti gli effetti: mangia confettura di fragole (ĸлубничное варенье /klubničnoe varen’e), il pasticcino e il gelato di panna (пирожок и сливочное мороженое /pirožok i slivočnoe moroženoe), studia a scuola la storia di Napoleone, che non è rappresentativo della storia russa, ma comunque immediatamente comprensibile anche a ogni piccolo lettore russo. Alice nella traduzione italiana, rimanendo anglosassone, parla in inglese mentre Anja, russa tout court, parla nella sua lingua.35 Le due scelte sono entrambe opinabili o accettabili, ciò che varia è la percezione del testo dal parte del lettore. Nel primo caso egli può immaginare l’origine britannica dell’opera originale e contestualizza la vicenda in un ambiente a lui non proprio, accettandone i connotati di “esoticità”; nella traduzione russa il lettore si riconosce e percepisce il testo piú direttamente grazie a quegli elementi culturali che sono propri della sua terra. Naturalmente la prima versione è più prossima al testo di Carroll rispetto alla seconda, ossia Alice rimane la stessa ragazzina immaginata dall’autore con tutte le sue caratteristiche e abitudini. Si può concludere dicendo che la traduzione italiana opta per un maggior rispetto dell’originale a scapito del ricevente, mentre Nabokov sceglie di agevolare il lettore perdendo l’alone inglese della storia. Si noti che si tratta di un testo scritto originariamente per bambini, e quindi Nabokov lo ambienta in un contesto piú accessibile al lettore infantile.

35 Lasorsa C., Jampol’skaja A., op. cit., p. 21.