Rassegna stampa 7 novembre 2016 · può essere a Roma al Giubileo dei Carcerati, ho pensato di...

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RASSEGNA STAMPA di lunedì 7 novembre 2016 SOMMARIO “La prigione – scrive don Marco Pozza sulla Nuova di domenica nel resoconto della visita del cardinale Parolin al carcere Due Palazzi di Padova - è una specie di creatura orrenda, totale, indivisibile: «È come se la lama di una ghigliottina ci mettesse sei settimane a cadere» (V. Hugo). È stata inventata da chi in carcere non ci era mai stato: forse è per questo che la galera non ha mai salvato nessuno. La salvezza giunge da tutt’altre direzioni e quando arriva appicca il fuoco a molti. Poche le annate nelle quali, in una città, la galera assurga ad officina di speranza: pochi son disposti a credere che tra la parola e la cosa significata ci sia un abisso. «Siccome qualcuno non può essere a Roma al Giubileo dei Carcerati, ho pensato di venirvi a trovare. Per stare un po’ in vostra compagnia: è sempre bello pregare in compagnia dei poveri». È il segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, a parlare ai detenuti della galera di Padova. Una visita volutamente privata come segno di vicinanza e di amicizia alla piccola parrocchia del carcere. Quel mostro di cemento che fa sentire l’uomo colpevole di tutto quello che lo sguardo abbraccia: restare in vita, dietro le sbarre, arreca meraviglia quanto alla crescita di se stessi. Chi resiste, alla fine re-esiste: rinasce, sotto il pettegolezzo di chi alla Grazia non crede più. Gli occhi del cardinale sono come anfore entrate vuote: le vuol riempire dei loro sguardi, le sue mani carezzano e benedicono le carni luride degli aguzzini, i suoi sono i passi lenti di chi mai accetterà di trasformare in una chiacchiera da salotto nessuna storia: «I vostri sono volti che mi parlano di fragilità. Qui dentro tutto è fragile: le storie, la libertà, gli affetti. La speranza: immagino sia molto facile, certe sere, smarrire anche quella». I rei lo guardano: parla di loro, è voce loro, le parole vanno a piantarsi dentro storie che, ieri, hanno fatto del male la loro droga quotidiana. Oggi non più, non per tutti: taluni han scoperto, a colpi d’insonnia, d’aver fatto paura a persone sbagliate. D’aver sbagliato a calcolare le probabilità. In galera importa il qui, l’adesso: la soddisfazione dev’essere una cosa immediata. Anche scegliere tra salvezza e dannazione lo è: «Mai- dire-mai. Lo dico a voi: mai dire mai della vostra storia, domani potreste diventare quello che, forse, non siete riusciti ad essere nel passato». Nessuna svendita, però, in quanto a misericordia: «Uomini-diversi lo si diventa chiedendo scusa per il male fatto. Questa, per me, è la prima forma di rieducazione - confessa il cardinale -: mettere pace nella nostra memoria, allenarci nel perdonare a noi stessi le gesta compiute, rimettere mano alla storia. Assieme si può sempre ripartire». È cosa risaputa che l’imbecille vada allo sbaraglio: ciò di cui non si è ancora convinti – dopo secoli di catechesi più o meno ortodosse - è la sovrabbondanza del male nella terra dove il male ha abbondato. Chi vuol credere, creda: questo è tutto. Da dove ripartire? Da ciò che carcere-non-è: «Approfittate di coloro che il buon Dio vi ha messo accanto: aiutateli ad aiutarvi». Non è facile stare chini sui poveri, questo il cardinale Pietro lo sa. Cita, non a caso, don Primo Mazzolari: «C’è qualcuno che, per guadagnarsi il titolo di benefattore, per farsi pagare il servizio di recupero, lo butta a terra il povero e lo fa a pezzi, l’uomo». Chi vuol capire capisca, sembra dire il cardinale: la misericordia è un tocco d’affetto per chi pensava di non meritarlo ormai più. «A noi – ribatte – preme dire che l’uomo, anche l’uomo che ha sbagliato, ci sta tremendamente a cuore». Qui c’è gente che, non mollando, ha vinto molte battaglie. Molte ne hanno perdute, per non aver saputo mollare. Mai-dire-mai, comunque. D’ambedue le parti. Una visita intima, una catechesi pubblica: «Gli uomini sono tutti condannati a morte con rinvii indefiniti» (V. Hugo). Forse per questo ci è stato dato un anno straordinario di pietà: per imparare l’arte dell’equilibrista, in ballo tra passato e futuro, capace di rubarsi il cielo come il buon-ladrone. Mai-dire-mai: «Solo così - conclude la sua toccante omelia il cardinale -, un giorno potremmo morire in pace. Magari non saremo riusciti a cambiare il mondo, ma nel cuore terremo la bellezza di averci provato, fino all’ultimo istante possibile». Parole che sono state sprazzi d’agosto sopra vite autunnali” (a.p.)

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  • RASSEGNA STAMPA di lunedì 7 novembre 2016

    SOMMARIO

    “La prigione – scrive don Marco Pozza sulla Nuova di domenica nel resoconto della visita del cardinale Parolin al carcere Due Palazzi di Padova - è una specie di creatura

    orrenda, totale, indivisibile: «È come se la lama di una ghigliottina ci mettesse sei settimane a cadere» (V. Hugo). È stata inventata da chi in carcere non ci era mai

    stato: forse è per questo che la galera non ha mai salvato nessuno. La salvezza giunge da tutt’altre direzioni e quando arriva appicca il fuoco a molti. Poche le annate nelle

    quali, in una città, la galera assurga ad officina di speranza: pochi son disposti a credere che tra la parola e la cosa significata ci sia un abisso. «Siccome qualcuno non può essere a Roma al Giubileo dei Carcerati, ho pensato di venirvi a trovare. Per stare

    un po’ in vostra compagnia: è sempre bello pregare in compagnia dei poveri». È il segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, a parlare ai detenuti della

    galera di Padova. Una visita volutamente privata come segno di vicinanza e di amicizia alla piccola parrocchia del carcere. Quel mostro di cemento che fa sentire l’uomo colpevole di tutto quello che lo sguardo abbraccia: restare in vita, dietro le sbarre, arreca meraviglia quanto alla crescita di se stessi. Chi resiste, alla fine re-esiste:

    rinasce, sotto il pettegolezzo di chi alla Grazia non crede più. Gli occhi del cardinale sono come anfore entrate vuote: le vuol riempire dei loro sguardi, le sue mani

    carezzano e benedicono le carni luride degli aguzzini, i suoi sono i passi lenti di chi mai accetterà di trasformare in una chiacchiera da salotto nessuna storia: «I vostri

    sono volti che mi parlano di fragilità. Qui dentro tutto è fragile: le storie, la libertà, gli affetti. La speranza: immagino sia molto facile, certe sere, smarrire anche quella». I rei lo guardano: parla di loro, è voce loro, le parole vanno a piantarsi dentro storie che, ieri, hanno fatto del male la loro droga quotidiana. Oggi non più, non per tutti:

    taluni han scoperto, a colpi d’insonnia, d’aver fatto paura a persone sbagliate. D’aver sbagliato a calcolare le probabilità. In galera importa il qui, l’adesso: la soddisfazione dev’essere una cosa immediata. Anche scegliere tra salvezza e dannazione lo è: «Mai-

    dire-mai. Lo dico a voi: mai dire mai della vostra storia, domani potreste diventare quello che, forse, non siete riusciti ad essere nel passato». Nessuna svendita, però, in quanto a misericordia: «Uomini-diversi lo si diventa chiedendo scusa per il male fatto.

    Questa, per me, è la prima forma di rieducazione - confessa il cardinale -: mettere pace nella nostra memoria, allenarci nel perdonare a noi stessi le gesta compiute, rimettere mano alla storia. Assieme si può sempre ripartire». È cosa risaputa che l’imbecille vada allo sbaraglio: ciò di cui non si è ancora convinti – dopo secoli di

    catechesi più o meno ortodosse - è la sovrabbondanza del male nella terra dove il male ha abbondato. Chi vuol credere, creda: questo è tutto. Da dove ripartire? Da ciò

    che carcere-non-è: «Approfittate di coloro che il buon Dio vi ha messo accanto: aiutateli ad aiutarvi». Non è facile stare chini sui poveri, questo il cardinale Pietro lo sa. Cita, non a caso, don Primo Mazzolari: «C’è qualcuno che, per guadagnarsi il titolo di benefattore, per farsi pagare il servizio di recupero, lo butta a terra il povero e lo

    fa a pezzi, l’uomo». Chi vuol capire capisca, sembra dire il cardinale: la misericordia è un tocco d’affetto per chi pensava di non meritarlo ormai più. «A noi – ribatte – preme dire che l’uomo, anche l’uomo che ha sbagliato, ci sta tremendamente a cuore». Qui c’è gente che, non mollando, ha vinto molte battaglie. Molte ne hanno perdute, per non aver saputo mollare. Mai-dire-mai, comunque. D’ambedue le parti. Una visita

    intima, una catechesi pubblica: «Gli uomini sono tutti condannati a morte con rinvii indefiniti» (V. Hugo). Forse per questo ci è stato dato un anno straordinario di pietà: per imparare l’arte dell’equilibrista, in ballo tra passato e futuro, capace di rubarsi il cielo come il buon-ladrone. Mai-dire-mai: «Solo così - conclude la sua toccante omelia

    il cardinale -, un giorno potremmo morire in pace. Magari non saremo riusciti a cambiare il mondo, ma nel cuore terremo la bellezza di averci provato, fino all’ultimo istante possibile». Parole che sono state sprazzi d’agosto sopra vite autunnali” (a.p.)

  • 1 – IL PATRIARCA IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag IV Il Patriarca Moraglia celebra messa per i detenuti: “Scommettiamo su di voi” di d.gh. LA NUOVA Pag 11 Messa in carcere per 80 detenuti di Nadia De Lazzari e gi.co. Il Patriarca a Santa Maria Maggiore: “Bisogna perdonare anche se è difficile”. Messa e pranzo alla Festa delle famiglie: “Attenti a chi promuove rapporti distorti” IL GAZZETTINO DI VENEZIA di sabato 5 novembre 2016 Pag V La sferzata di Moraglia: “Politici basta con la superbia, decidete” di Daniela Ghio Dura omelia del Patriarca in Basilica: “Una nuova alleanza” LA NUOVA di sabato 5 novembre 2016 Pag 4 “Politici, pensate al bene comune” di Nadia De Lazzari e Flavio Lapiccirella Il patriarca Francesco Moraglia alla Messa in basilica: “Mettiamo insieme le intelligenze per il futuro della città”. Il sindaco Brugnaro con il Patriarca e i cittadini a Burano: “Grande forza e senso di comunità” 2 – DIOCESI E PARROCCHIE IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 6 novembre 2016 Pag IV Dal Patriarcato stage formativi per gli studenti delle superiori di Alvise Sperandio Pag XXVIII La preziosa icona ritorna alla Salute di Daniela Ghio Don Caputo: “Intervento urgente, c’erano tanti sollevamenti” LA NUOVA di domenica 6 novembre 2016 Pag 16 Torna a splendere l’icona della Madonna della Salute di Nadia De Lazzari Il restauro a due settimane dalla festa. Il 18 novembre sarà inaugurato il ponte votivo Pag 16 Incontro sul referendum, in parrocchia non va nessuno di n.d.l. CORRIERE DEL VENETO di domenica 6 novembre 2016 Pag 15 Alla Salute torna a brillare l’icona della Madonna di e.lor. Il restauro AVVENIRE di sabato 5 novembre 2016 Pag 19 Venezia. L’icona della Salute torna in Basilica LA NUOVA di sabato 5 novembre 2016 Pag 21 Una folla per l’addio a don Barecchia di Nadia De Lazzari Il funerale del prete-alpino 3 – VITA DELLA CHIESA CORRIERE DELLA SERA Pag 21 L’appello del Papa: “Clemenza per i detenuti” di Alessandro Trocino e Gian Guido Vecchi A Roma la marcia per l’amnistia dei radicali che per la prima volta vengono accolti a piazza San Pietro. Francesco celebra la messa davanti a mille reclusi e chiede ai governi un gesto per chi può beneficiarne IL GAZZETTINO

  • Pag 10 L’appello di Francesco: clemenza per i detenuti di Franca Giansoldati Giubileo dei carcerati in San Pietro: in mille con il Papa “graziati” per un giorno LA NUOVA Pag 4 Il Papa invoca clemenza per i detenuti del mondo di Mariaelena Finessi Celle sovraffollate, in testa Lombardia, Campania e Lazio L’OSSERVATORE ROMANO di domenica 6 novembre 2016 Pag 7 Per promuovere il valore della persona umana Approvato da Papa Francesco per un quinquennio il nuovo statuto della Pontifica accademia per la vita AVVENIRE di domenica 6 novembre 2016 Pag 15 Radio Maria. Sisma “castigo di Dio”? L’emittente chiede scusa e sospende Cavalcoli di Umberto Folena CORRIERE DELLA SERA di domenica 6 novembre 2016 Pag 9 “Il mondo salva le banche, non la bancarotta dell’umanità” di Gian Guido Vecchi Il richiamo del Papa sui rifugiati LA REPUBBLICA di domenica 6 novembre 2016 Pag 19 Mille volontari, 31 dipendenti e offerte per 18 milioni l’anno. Ecco il business di Radio Maria di Paolo Rodari LA NUOVA di domenica 6 novembre 2016 Pag 8 Parolin ai carcerati: “Mai dire mai” di don Marco Pozza “Non dovete perdere la speranza” L’OSSERVATORE ROMANO di sabato 5 novembre 2016 Pag 5 Alla ricerca del furfante che è in noi di Sabina Fadel Giubileo dei carcerati / 1 Pag 5 Il rumore della chiave di Dario Edoardo Viganò Giubileo dei carcerati / 2 AVVENIRE di sabato 5 novembre 2016 Pag 3 Un ponte di santità con l’Albania di Mimmo Muolo Madre Teresa, 38 martiri beati, un cardinale CORRIERE DELLA SERA di sabato 5 novembre 2016 Pag 21 L’ira del Vaticano: “Da Radio Maria frasi scandalose” di Gian Guido Vecchi Padre Livio, il direttore figlio di operaio e le profezie sui funerali della Cirinnà LA REPUBBLICA di sabato 5 novembre 2016 Pag 16 Il terremoto di Radio Maria: “Castigo per le unioni gay”. L’ira del Vaticano: offensivo di Paolo Rodari IL FOGLIO di sabato 5 novembre 2016 Pag 2 Da Vandana a Scalfari, tempi grami per gli oracoli papali (non richiesti) di Matteo Matzuzzi Pag III A caccia di Dio di Matteo Matzuzzi L’uomo contemporaneo può riconoscere il Mistero dai segni visibili. Il bisogno di nuovi profeti CORRIERE DEL VENETO di sabato 5 novembre 2016 Pag 2 Parolin: “La paura dei migranti va capita, ma bisogna lottare per superarla” di Angela Pederiva

  • IL GAZZETTINO di sabato 5 novembre 2016 Pag 11 “Il terremoto castigo divino”, Vaticano contro Radio Maria di Franca Giansoldati Scoppia la bufera per la dichiarazioni di un conduttore 5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO CORRIERE DELLA SERA Pagg 22 – 23 In centomila chiusi nelle loro stanze. Ragazzi che si ritirano dalla società di Dario Di Vico Sono i più fragili tra chi non studia né lavora: più esposti i maschi, educati alla regola del successo CORRIERE DELLA SERA di sabato 5 novembre 2016 Pag 29 Innovare vale più della carriera. I giovani non hanno paura di Giovanni Lo Storto AVVENIRE di sabato 5 novembre 2016 Pag 21 Stranieri, maschi e “soli”. I Neet vanno alla Caritas di Caterina Maconi Analisi sui giovani che chiedono aiuto 6 – SERVIZI SOCIALI / SANITÀ LA NUOVA di sabato 5 novembre 2016 Pag 21 San Camillo, la Regione pronta all’acquisto di Francesco Furlan L’Asl 12 nomina un legale per la trattativa. C’è chi teme il trasferimento del polo riabilitativo a Noale 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA REPUBBLICA Pag 18 Ritorno a Venezia, la sfida dei giovani: “Così salveremo la città che muore” di Giampaolo Visetti Gli under 30: “Il nostro futuro è qui”. Come gondolieri, pescivendoli o vetrai IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pagg II – III Grandi incompiute: i progetti annunciati e poi abbandonati di Michele Fullin e Roberta Brunetti Tante scelte riviste o drasticamente modificate con spreco di risorse Pag VI Da Mestre al giubileo degli Ultimi di Papa Francesco di a.spe. Una quarantina di “senza fissa dimora” LA NUOVA Pag 13 Terrorismo, la difficile misericordia di m.a. Domani al Laurentianum confronto con i familiari di Taliercio, Gori e Albanese IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 6 novembre 2016 Pag II Applausi bipartisan a Moraglia. Piace l'appello a decidere insieme di Alvise Sperandio Pag X La Bottega solidale si sposta al Don Vecchi di a.spe. Carpenedo. Novità, entro fine mese, per il locale che distribuisce cibo ai poveri Pag XXXI Grandi Navi, bisogna trovare in fretta una soluzione di Ennio Fortuna CORRIERE DELLA SERA di sabato 5 novembre 2016 Pag 26 Le proposte per salvare Venezia di Raffaella Polato

  • Uno sviluppo sostenibile per impedire che diventi soltanto una città-museo. Gli esperti internazionali riuniti alla Fondazione Cini CORRIERE DEL VENETO di sabato 5 novembre 2016 Pag 5 Venezia ricorda l’Aqua Granda e chiede un patto: “Ritroviamo l’unità d’allora e salviamo la città” di Francesco Bottazzo e Elisa Lorenzini Il patriarca Moraglia sferza la politica: “E’ l’ora delle decisioni”. Bazoli: “Il rischio è una città che perda la sua anima”. Ed è pace Unesco – Brugnaro. Il sindaco: “Collaboriamo” IL GAZZETTINO di sabato 5 novembre 2016 Pag 15 Una strategia per salvare Venezia di Giovanni Bazoli Il presidente della Fondazione Cini: “La città è a rischio, è necessaria un’azione a livello locale, regionale e nazionale per disegnare un modello di sviluppo sostenibile” IL GAZZETTINO DI VENEZIA di sabato 5 novembre 2016 Pag IV “Burano, esempio da cui ripartire” di Vettor Maria Corsetti Sindaco e patriarca hanno incontrato i residenti in isola. Polemica sui social: «Venezia ignorata dai media nazionali» Pag XIV “Una piazza intitolata a don Franco De Pieri” di Raffaele Rosa Al rione Pertini l’omaggio al sacerdote scomparso a dicembre Pag XIV Anni di piombo a Mestre. La “difficile misericordia” dei familiari delle vittime di r.ros. Martedì al Laurentianum 8 – VENETO / NORDEST LA NUOVA di domenica 6 novembre 2016 Pag 10 “Ceto dirigente a corto di leader e di donne” di Francesco Jori Un’analisi del politologo Gianni Riccamboni sulla classe di governo eletta dal 1970 ad oggi Pag 36 Un milione in viaggio verso la “Merica” di Francesco Jori 1866, il Veneto del plebiscito. Le campagne si svuotano, il miraggio chiama. Ma oltreoceano ci sono solo fatica e dolore CORRIERE DEL VENETO di sabato 5 novembre 2016 Pag 1 I preti, il bene e il fare di Massimiliano Melilli … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 Gli eccessi sul clima che cambia di Paolo Mieli I dati e i dubbi Pag 1 La stagione dei veleni di Sergio Romano Pag 5 Quelle epurazioni da II Repubblica di Pierluigi Battista LA REPUBBLICA Pag 1 Lo spartiacque di dicembre di Stefano Folli Pag 1 Il capolinea della sinistra di Massimo Giannini Pag 1 Come voterebbero gli italiani di Ilvo Diamanti Presidenziali Usa Pag 15 Quegli anatemi di Radio Maria pagati con i soldi pubblici di Sebastiano

  • Messina IL GAZZETTINO Pag 1 Elezioni Usa, contano i volti non i programmi di Sebastiano Maffettone LA NUOVA Pag 1 L’Italia dell’impegno con passione di Francesco Jori Pag 2 Cosa cambia quel sì di Cuperlo di Maurizio Mistri CORRIERE DELLA SERA di domenica 6 novembre 2016 Pag 1 Il modello inceppato di Antonio Polito Pag 1 Gli ultrà di Donald di Beppe Severgnini LA REPUBBLICA di domenica 6 novembre 2016 Pag 1 Renzi scongiuri il rischio di un Trump italiano di Eugenio Scalfari AVVENIRE di domenica 6 novembre 2016 Pag 1 Oltre le sbarre di Danilo Paolini Il carcere, le sue “ombre”, l’(im)possibile Pag 3 Su FB basta anonimi e irresponsabili di Ferdinando Camon I video intimi, i negazionisti e la giustizia Pag 6 Sogni e promesse (mancate). Il mondo che lascia Obama di Elena Molinari I successi e le ombre del primo presidente nero CORRIERE DEL VENETO di domenica 6 novembre 2016 Pag 1 Il referendum e i temi ignorati. Tutti i motivi per cambiare di Stefano Allievi IL GAZZETTINO di domenica 6 novembre 2016 Pag 1 Hillary o Trump, l’Europa deve cambiare passo di Romano Prodi LA NUOVA di domenica 6 novembre 2016 Pag 1 Clinton-Trump, la vittoria si decide in quattro Stati di Stefano Del Re CORRIERE DELLA SERA di sabato 5 novembre 2016 Pag 1 Referendum, la doppia battaglia di Ernesto Galli della Loggia Costituzione e altro Pag 3 Quella responsabilità che i giganti della Rete non possono evitare di Beppe Severgnini Vivono dei nostri contenuti, devono valutarne la natura AVVENIRE di sabato 5 novembre 2016 Pag 1 Cose turche e d’Europa di Vittorio E. Parsi L’implacabile “sultano”, l’alt da dare Pag 2 Fatim che dà volto a tutti quei figli perduti di Marina Corradi La storia di una giovane migrante (e atleta di talento) ora dispersa Pag 3 Investire nella società civile per non far esplodere l’Africa di Giulio Albanese La sfida della pacificazione, un impegno dell’Europa Pag 7 La tristezza profonda di una campagna condotta soltanto sulla dimensione privata di Giorgio Ferrari

  • IL GAZZETTINO di sabato 5 novembre 2016 Pag 1 Referendum, i veri obiettivi del sì e del no di Bruno Vespa LA NUOVA di sabato 5 novembre 2016 Pag 1 La giustizia che regola la politica di Bruno Manfellotto

    Torna al sommario 1 – IL PATRIARCA IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag IV Il Patriarca Moraglia celebra messa per i detenuti: “Scommettiamo su di voi” di d.gh. In sintonia con il Giubileo dei carcerati a Roma con Papa Francesco (dove erano presenti due carcerati veneziani), ieri il patriarca Francesco Moraglia, si è recato nel carcere maschile di Santa Maria Maggiore per celebrare una messa insieme a una nutrita di delegazione di parroci e sacerdoti della diocesi. È stato un momento di preghiera e di caldo incontro, come ha sottolineato la direttrice del penitenziario Immacolata Mannarella. «In questo nostro percorso ha spiegato Mannarella - abbiamo tutti bisogno di momenti come questo. Cerchiamo questi riferimenti di presenza fisica, ma soprattutto spirituale e vorrei invitare i parroci a riprendere o iniziare un dialogo con i propri parrocchiani». «Vi vogliamo bene, scommettiamo tutti su di voi ha affermato il patriarca -. Incontro frequentemente un gondoliere, mi viene spesso a salutare a casa, o scambiamo due parole per strada. L'ho conosciuto qui. Tante volte rimaniamo condizionati da scelte sbagliate; la storia della nostra vita non la possiamo cancellare, il male sì. La preghiera è un modo di ricostruire la propria vita. Vi faremo dono presto del libro del vostro cappellano, don Antonio Biancotto, Le sbarre, esperienza di libertà: sono lettere dal carcere». Moraglia ha regalato a tutti i carcerati un libricino con dedica, mentre i ristretti hanno donato un'offerta per Haiti. LA NUOVA Pag 11 Messa in carcere per 80 detenuti di Nadia De Lazzari e gi.co. Il Patriarca a Santa Maria Maggiore: “Bisogna perdonare anche se è difficile”. Messa e pranzo alla Festa delle famiglie: “Attenti a chi promuove rapporti distorti” Ieri era il giorno del Giubileo dei carcerati. Mentre il Papa ha celebrato la messa in San Pietro davanti a mille detenuti - due erano del carcere maschile di Santa Maria Maggiore accompagnati da un educatore e da un assistente sociale - la Chiesa lagunare ha portato dentro le sbarre un messaggio di vicinanza e speranza. Il Patriarca Moraglia ha presenziato la messa concelebrata con una quindicina di parroci e sacerdoti della diocesi, tra questi il cappellano don Antonio Biancotto. Superati i portoni blindati e la Porta Santa il presule è entrato in chiesa dove ad attenderlo c'era una singolare "parrocchia": un'ottantina di uomini, e di anime, provenienti dai quattro angoli del pianeta. Nell'omelia il Patriarca ha posto una riflessione sulla solitudine e sul perdono. «Il Giubileo funziona se perdoniamo gli altri e perdonare è la cosa più difficile. La presenza della Chiesa significa che scommettiamo su di voi. Vi vogliamo bene». E il presule ha ricordato lo scambio di chiacchiere con un gondoliere. «Lo incontro spesso vicino a casa mia. L'ho conosciuto qui. Abbiate coraggio e fiducia», ha concluso il Patriarca che ad ogni detenuto ha consegnato una penna e piccolo quaderno con una sua dedica e benedizione. L'Anno Santo della Misericordia sta per finire. Domenica 13, alle 15.30, in Basilica di San Marco avrà luogo la messa di ringraziamento: alle direttrici delle due carceri, femminile e maschile, verrà consegnato il corrispettivo delle offerte raccolte durante i pellegrinaggi marciani dell'anno giubilare e destinate a sostenere alcune iniziative per incrementare le attività di socializzazione e lavoro per i detenuti. Ai presenti verrà consegnato il libro "Le sbarre, esperienza di libertà" pensato dal cappellano don Biancotto con la prefazione del Patriarca.

  • La messa in palestra, il pranzo a sacco tutti assieme e, soprattutto, le testimonianze di chi ha saputo dimostrare un'unione profonda e duratura, a dispetto delle difficoltà: ieri, dal mattino alla sera, negli spazi dell’istituto salesiano San Marco, alla Gazzera, si è celebrata la “Festa delle famiglie”, che ha chiamato a raccolta i giovani sposi di tutta la terraferma veneziana, arrivati anche per ascoltare la funzione domenicale, per l'occasione officiata dal patriarca Francesco Moraglia. Dopo la preghiera inaugurale e l’inizio dei lavori con Pina e Franco, i coniugi “modello” che hanno illustrato la loro esperienza al Sinodo della famiglia, è stata appunto la volta della messa, durante la quale Moraglia ha prima di tutto ricordato l’importanza, per chi si sposa in chiesa, di tenere sempre a mente l’amore di Cristo per l'umanità. «Ogni cristiano sa amare perché, in origine, sa di essere amato da Dio» ha spiegato il Patriarca «dobbiamo stare attenti: le scuole pedagogiche, i media, spesso cercano di diffondere un rapporto distorto tra uomo e donna, e si corre il rischio che anche le leggi premino solo quello che va contro la consuetudine. Come diocesi vorremo invece sostenere e aiutare al meglio le future mamme, investendo in strutture di accoglienza e in personale capace di accompagnarle fino al parto e anche oltre». IL GAZZETTINO DI VENEZIA di sabato 5 novembre 2016 Pag V La sferzata di Moraglia: “Politici basta con la superbia, decidete” di Daniela Ghio Dura omelia del Patriarca in Basilica: “Una nuova alleanza” Un'omelia dura, a tratti sferzante, quella del patriarca Francesco Moraglia ieri pomeriggio a San Marco, per i 50 anni dell'Aqua Granda. Lui che veneziano non è, ma che durante l'inondazione delle Cinque Terre, da vescovo di La Spezia, indossò gli stivali e andò insieme ai seminaristi a scavare nel fango. Un discorso che è partito da quegli «steccati politici e culturali e da appartenenza che hanno dato origine a veti incrociati e si sono perpetuati, nel corso degli anni, prendendo forma anche in sterili confronti sulla salvaguardia e sulla crescita di Venezia». Moraglia ha chiesto ai politici di liberarsi «dai pregiudizi e dalla sindrome del primo della classe, ossia di colui o di coloro che sanno già tutto e, con malcelata superiorità, partecipano alle discussioni sopportando a mala pena l'interlocutore poiché pensano di non avere nulla da imparare ma solo da insegnare». «Per la salvaguardia e la crescita della città - ha aggiunto - è necessario stipulare una nuova alleanza per Venezia, condividendo un progetto per il bene della città che riguardi i prossimi anni. Solo così si creerà consenso e si faranno i piccoli e i grandi interventi necessari per Venezia, in modo da dare un futuro veneziano ai vostri figli e nipoti». «Altrimenti - ha spiegato - passano i decenni e la città inesorabilmente corre verso il suo declino». In basilica ad ascoltare la predica c'erano il sindaco Luigi Brugnaro, l'assessore Paola Mar, il presidente di Autorità portuale Paolo Costa e il primo procuratore di San Marco Carlo Alberto Tesserin. Il patriarca ha ricordato i giorni dell'alluvione, ignorata dai mass media. «Le auspicate scelte condivise, che riguardano la città che è bene comune - ha ammonito Moraglia sono frutto della vera disponibilità al dialogo e frutto del coraggio di chi è chiamato a governare. Qui chi è senza peccato scagli per primo la pietra». In occasione dell'anniversario dell'Aqua Grande il patriarca di Venezia ha chiesto fortemente a coloro che - a vari livelli (locale, nazionale, europeo e mondiale) - sono coinvolti nella difesa, nella tutela, nello sviluppo della città: che dopo le parole diano seguito ai fatti, «almeno muovendosi un po' più coordinati fra loro - ha detto - evitando reciproche delegittimazioni, verificando con serenità e realismo i passi compiuti - significativi, contraddittori o parziali che siano - e pianificando quelli da intraprendere per compiere ulteriori passi in avanti». Questo per sollecitare il rilancio di Venezia, con politiche che favoriscano la famiglia, in un equilibrio nuovo tra i differenti elementi che la compongono: la particolarità dell'ambiente e la necessità di rispettarlo, il rapporto vitale tra turismo, cultura, grandi eventi, economia, attività industriali/imprenditoriali e residenzialità quotidiana. «Bisogna mettere insieme - ha concluso il Patriarca - intelligenze, competenze, risorse e disponibilità, impegno e passione, studi e strumenti tecnologici avanzati per costruire il bene comune di questa città, sapendo anche osare al momento opportuno e rompendo qualche incrostazione di troppo. Immediata, a fine messa, la risposta del sindaco Brugnaro che, nel ringraziare il patriarca per aver ricreato

  • lo spirito di comunità di cui la città ha tanto bisogno, ha sottolineato l'impegno della Giunta per la rinascita di Venezia. «Ci siamo messi con umiltà a disposizione ha affermato il sindaco per rilanciare la città. In questo momento più che mai dobbiamo tutti essere uniti». LA NUOVA di sabato 5 novembre 2016 Pag 4 “Politici, pensate al bene comune” di Nadia De Lazzari e Flavio Lapiccirella Il patriarca Francesco Moraglia alla Messa in basilica: “Mettiamo insieme le intelligenze per il futuro della città”. Il sindaco Brugnaro con il Patriarca e i cittadini a Burano: “Grande forza e senso di comunità” Venezia. «Oltre al doveroso confronto e dialogo, bisogna anche saper decidere. Questo risponde al bene comune, altrimenti passano i decenni e la città inesorabilmente corre verso il suo declino. Bisogna che tutti ci liberiamo dai pregiudizi e dalla sindrome del “primo della classe”». In Basilica, nel giorno dell’aqua granda, il patriarca Francesco Moraglia non lesina parole forti ai “cari politici”. «Non pensiamo solo al grande Mose», rimarca il presule che chiede, sollecita, invita a «compiere ulteriori passi in avanti e fare il bene di Venezia e del territorio circostante». Poi elenca i differenti elementi che compongono e influenzano Venezia, città del mondo e “casa comune”: «La particolarità dell’ambiente e la necessità di rispettarlo, il rapporto vitale tra turismo, cultura, grandi eventi, economia, attività industriali-imprenditoriali e residenzialità quotidiana». Ai “cari politici” il Patriarca indica una via: «Bisogna mettere insieme intelligenze, competenze, risorse e disponibilità, impegno e passione, studi e strumenti tecnologici avanzati per costruire il bene comune di questa città, sapendo anche osare nel modo giusto e al momento opportuno e rompendo qualche incrostazione di troppo». Alla messa solenne sono presenti autorità civili e militari. Tra queste il sindaco Luigi Brugnaro, l’assessore al Turismo Paola Mar, il presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa. Il dramma della città è noto: 50 anni fa Venezia fu sommersa e ferita dalla forza della natura; per 22 ore fu in balìa dell’acqua e del vento di scirocco. Tanta paura, i Murazzi sbrecciati e inondati, e altrettanto coraggio dei veneziani. Nell’omelia il Patriarca Moraglia ricorda quei momenti drammatici e di vera angoscia in cui l’acqua “cresseva e non calava”: la città, le isole, i territori circostanti e il Veneto. «È difficile», sottolinea il Patriarca, «per chi non è veneziano o non conosce bene la realtà di Venezia avere la percezione della gravità degli eventi - lo confermano anche gli odierni telegiornali - che, nel 1966, mandarono a lungo sott’acqua la nostra città e ferirono parti significative del territorio di questa regione, causando danni ingenti e, purtroppo, anche molte vittime». Il presule rimarca tre parole - riconoscenza, ammirazione, ringraziamento - indirizzandole ai “nostri vecchi”, padri, madri, nonni, che furono «chiamati a portare sulle spalle il peso che altri neppure sono in grado di immaginare». Il Patriarca evidenzia la loro determinazione, forza di volontà ma anche l’attaccamento alla terra veneta. «Il Veneto e il Nordest», dice il presule, «pagarono un alto tributo anche in vite umane; alla fine furono parecchie decine le persone che persero l avita e non fu la prima volta in cui la nostra terra si trovò a pagare un prezzo notevole». La successiva riflessione con la citazione è un attacco verso chi dimenticò la città. Il Patriarca lo sottolinea ben due volte: «La sofferenza della nostra terra passò quasi inosservata ad altri territori e città che provate anch’esse drammaticamente da quegli stessi eventi, ebbero ben altra considerazione e visibilità: «... In tutta Italia», sono le parole di uno che c’era, «si parlava solo di Firenze e dei danni alla cultura! Il Veneto, come sempre, non interessava a nessuno (Gigio Zanon, www.venicewiki.org)». Il presule dopo aver evidenziato i limiti dell’uomo che “rimarrà sempre fragile, esposto, indifeso” nonostante il progresso della scienza e i nuovi mezzi offerti dalla tecnica ricorda altri attuali drammi: i ripetuti «eventi sismici, non prevedibili, che colpiscono al di là dello stato di allerta». Burano. «Spesso è nei periodi di avversità che abbiamo occasione di riconoscere con evidenza i caratteri fondamentali dell’essere umano. La solidarietà reciproca, la tenacia e, su tutto, la percezione della nostra fragilità. E questa presa di coscienza non è elemento negativo, anzi: in una società che grazie ai ritrovati della tecnica rischia a volte di sentirsi invulnerabile è un messaggio educativo importante per i nostri giovani»: così il patriarca Moraglia nel suo discorso di ieri al Cinema Pio X di Burano, in occasione di

  • uno degli eventi commemorativi della calamità che si abbatté sulla laguna 50 anni fa, quando l’acqua raggiunse la quota drammatica di 194 cm. Ad aprire le danze la proiezione davanti ai ragazzi delle scuole di un documentario intenso, con immagini sbiadite ma emozionanti dei flutti che si infrangono su fondamente, pontili e imbarcazioni ormeggiate sospinti dall’instancabile scirocco durante quel fatidico 4 novembre 1966; poi, a seguire, il racconto dei testimoni, la narrazione degli eventi fatta di prima persona. Tutto questo nell’ambito del calendario “Aqua granda”, il complesso di manifestazioni organizzate dal Comune di Venezia, con la collaborazione del comitato scientifico istituito per il progetto. Un incontro, quello di ieri, che ha coinvolto giovani scolari, residenti di tutte le età, anziani depositari dell’esperienza diretta degli avvenimenti e rappresentanti delle istituzioni ecclesiastiche e civiche. Tutti uniti perché da un episodio nefasto è sempre possibile ricavare una lezione utile. «C’era più di un metro d’acqua in casa e oltre che alla propria isola le preghiere venivano rivolte anche alla sfortunata Firenze, colpita dall’inondazione di cui si parlava alla radio. Questa è la conferma della bontà d’animo dei veneziani», ha commentato il sindaco Brugnaro ricollegandosi alle vibranti parole della signora Rita, intervenuta poco prima di fronte al folto pubblico. «Sono gesti di questo tipo, più che tante belle parole, a servire da esempio ai nostri bambini. E la forza dimostrata da Burano in quella circostanza è un emblema del nostro progetto di valorizzazione delle aree periferiche, spesso lontane dalle grandi cerimonie ma capaci di enormi dimostrazioni di alto senso della comunità». Torna al sommario 2 – DIOCESI E PARROCCHIE IL GAZZETTINO DI VENEZIA di domenica 6 novembre 2016 Pag IV Dal Patriarcato stage formativi per gli studenti delle superiori di Alvise Sperandio Il Patriarcato firma un patto con il ministero dell'Istruzione per l'alternanza scuola-lavoro. Parrocchie, associazioni, centri culturali ed enti ecclesiali apriranno le porte ai ragazzi del triennio delle superiori per far fare loro un'esperienza di introduzione al mondo del lavoro. Sono previste 200 ore per i liceali e 400 per chi frequenta gli istituti tecnici. A coordinare l'iniziativa è il direttore dell'ufficio scuola e per l'insegnamento della religione cattolica don Francesco Marchesi che a Gente Veneta spiega il senso dell'iniziativa: «Le esperienze dovranno essere interessanti ed educative. Non basta che i ragazzi e le ragazze siano ospitati e abbiano qualcosa da fare. È necessario che possano incontrare adulti che siano per loro un punto di riferimento». Dopodomani l'intesa sarà firmata dal vicario generale don Angelo Pagan e dalla direttrice dell'ufficio scolastico regionale Daniela Beltrame. Subito dopo partirà la fase operativa, con l'individuazione delle singole realtà che saranno convenzionate: animazione dei bambini al doposcuola, attività nelle comunicazioni con particolare riferimento agli strumenti social fino alla catalogazione e all'informatizzazione degli archivi. Pag XXVIII La preziosa icona ritorna alla Salute di Daniela Ghio Don Caputo: “Intervento urgente, c’erano tanti sollevamenti” Venezia - Dopo un primo parziale restauro durato un anno è stata ricollocata ieri nella basilica della Madonna della Salute l'icona mariana Mesopanditissa (mediatrice di pace). Alla cerimonia, fatta anche di un momento di preghiera e di omaggio musicale a cura di Paola Talamini (organo) e Gisela Czech Whitson (violino), hanno partecipato il patriarca Francesco Moraglia, il delegato patriarcale per i Beni culturali ecclesiastici don Gianmatteo Caputo, Lucia Bassotto della Soprintendenza, l'assessore comunale ai lavori pubblici Francesca Zaccariotto, i restauratori Valentina Piovan e Paolo Belluzzo e il rettore della Basilica della Salute, don Fabrizio Favaro. «Siamo qui per restituire il senso della fede che quest'opera ha per la nostra Chiesa veneziana ha spiegato don Caputo In questi mesi si è eseguito un primo intervento d'urgenza sulla tavola che presentava numerosi sollevamenti della pellicola pittorica e sono state condotte le indagini conoscitive in vista del restauro complessivo della preziosa effige, mentre è stato

  • eseguito il restauro completo della Riza d'argento, composta da 29 lamine sottili, che copre quasi integralmente l'immagine. A breve si procederà al restauro della pellicola pittorica, partendo dalle parti coperte dalla Riza, sino ad arrivare a quelle visibili». È questo il primo intervento di restauro dopo quello seguito nel 1960. Le indagini sulla tavola dell'icona e la sua movimentazione sono state finanziate da Save Venice Inc mentre il restauro della Riza d'argento è stato reso possibile grazie all'intervento del Comitato Italiano per Venezia attraverso il contributo della Maison Piaget. «La Madonna della Salute è la casa di noi veneziani quando siamo in difficoltà, ha affermato il patriarca -. Siamo qui per compiere un atto che vuole essere antifona alla prossima festa. Una persona, una società che perde il senso del simbolo, diventa esclusivamente funzionale, guardando solo al guadagno e alla efficienza, con mancanza di umanità. Un quadro, un simbolo muove l'anima. La fede riesce ad avere impatto sociale quando continua a rimanere fede e genera il bello». LA NUOVA di domenica 6 novembre 2016 Pag 16 Torna a splendere l’icona della Madonna della Salute di Nadia De Lazzari Il restauro a due settimane dalla festa. Il 18 novembre sarà inaugurato il ponte votivo «È veramente la Madonna dei veneziani». Dopo lo svelamento dell’icona denominata “Mesopanditissa”, mediatrice di pace, il Patriarca Francesco Moraglia si è rivolto ai fedeli riuniti nella rotonda minore della Basilica della Salute. Tra loro l’assessore comunale Francesca Zaccariotto. Ieri l’immagine della Madonna della Salute è stata restituita alla città più bella e splendente che mai. Il presule – in mattinata si trovava al Gran Teatro Geox di Padova per partecipare alla presentazione del programma di “Medici con l’Africa-Cuamm” con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, l’ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi – è intervenuto parlando della Basilica. «Questa è la casa dei veneziani quando sono in difficoltà», ha detto il Patriarca che ha ricordato l’imminente festa. «È festa», ha aggiunto il presule, «anche nella cura degli oggetti che vanno oltre la materialità. Una persona, una società che perde senso per il simbolo diventa una persona, una società esclusivamente funzionale, ciò vuol dire guadagno efficiente ma mancanza di umanità. Guardiamo la nostra icona perché la fede e il bello vanno sempre insieme. Da sempre la fede genera il bello». Quello dell’icona di origini antiche, già venerata nella cattedrale di Candia, è stato un restauro accurato e urgente per le «piccole cadute di colore» sulla parte lignea. L’intervento, durato circa un anno (l’ultimo era stato effettuato da mani esperte nel 1960) e non completato, si è incentrato sulle indagini diagnostiche alla tavola pittorica risalente all’epoca medioevale (XII-XIII secolo) finanziate da Save Venice Inc; è seguito il restauro alla “riza” argentea (in russo significa veste) formata da 29 piccole lamine più l’aureola che è stato reso possibile grazie al Comitato Italiano per Venezia attraverso il contributo della Maison Piaget. Il rettore del Seminario patriarcale don Fabrizio Favaro ha ricordato che la “Mesopanditissa” ricollocata sull’altare maggiore mette gioia nel cuore ai residenti, ai pellegrini e ai turisti che potranno nuovamente ammirarla, contemplarla, invocarla. Il direttore dei lavori, don Gianmatteo Caputo, architetto e delegato patriarcale per i beni culturali ecclesiatici, nel presentare il capolavoro restituito alla città e alla Chiesa si è soffermato sulle chiese distrutte dal terremoto, in particolare quella di San Benedetto a Norcia: «C’è un senso di smarrimento per la perdita di un così grande patrimonio». Poi i ringraziamenti verso chi ha prestato «le cure» all’opera: Valentina Piovan, Paolo Belluzzo, Uni.s.Ve s.r.l. e la Soprintendenza. A conclusione un momento di preghiera e un omaggio musicale. La Madonna della Salute: la peste, il voto e la festa tra fede e devozione. Ogni anno il 21 novembre i residenti, e non solo, si recano in pellegrinaggio alla Basilica della Salute per rinnovare il voto emesso il 28 ottobre 1630 dalla Repubblica Serenissima che decretò la costruzione di una chiesa dedicata a Santa Maria Vergine della Salute. Il voto fu pronunciato dal 78enne doge Nicolò Contarini in San Marco davanti ai notabili e al popolo. Il luogo fu quello vicino alla Punta della Dogana dove si trovavano la chiesa e l’ospizio della Trinità e il progetto, a pianta circolare, fu affidato dopo un concorso per idee al giovane architetto Baldassare Longhena. Nel 1669 il Capitan General Morosini

  • trasportò da Candia la “Mesopanditissa” che divenne l’oggetto del culto e della venerazione dei veneziani. I lavori della Basilica benedetta dal Patriarca Alvise Sagredo terminarono nel 1687. Ogni anno la festa ha inizio con l’inaugurazione del ponte votivo alla presenza delle massime autorità religiose, civili, militari che quest’anno si svolge venerdì 18 novembre. Pag 16 Incontro sul referendum, in parrocchia non va nessuno di n.d.l. In parrocchia la politica non entra; trovano spazio solo gli incontri di preghiera. E' stato un flop l'iniziativa diffusa con locandine dall'amministratore parrocchiale della parrocchia dei Santi Apostoli don Luigi Battaggia in vista del referendum costituzionale. L'incontro doveva svolgersi ieri alle 10,30 in un locale a piano terra della parrocchia. Nella sala - presenti i relatori - tutto era stato sistemato: le sedie disposte a semicerchio e il tavolo con il manifesto del "sì" ma ad ascoltare gli oratori si sono presentate un paio di persone. All'incontro avrebbe dovuto intervenire il consigliere comunale Maurizio Crovato, l'avvocato Franco Zannini e Guido Sattin del Comitato Bastaunsì Cannaregio che sottolinea: «Stiamo cercando occasioni per incontrare la gente. Avevo conversato con il sacerdote che aveva accolto positivamente l'idea segnalandola alla sua comunità e mettendo a disposizione i suoi locali». L'argomento in programma era il referendum costituzionale che si terrà in Italia il prossimo 4 dicembre per confermare o respingere la cosiddetta riforma Renzi-Boschi. Dopo circa mezz'ora la decisione, unanime, di andarsene parlando dell'Aqua Granda. CORRIERE DEL VENETO di domenica 6 novembre 2016 Pag 15 Alla Salute torna a brillare l’icona della Madonna di e.lor. Il restauro Venezia. Torna a brillare sull’altare maggiore della chiesa della Salute l’icona della Madonna Mesopanditissa, giusto in tempo per la ricorrenza del 21 novembre e il pellegrinaggio. L’intervento ha riguardato la messa in sicurezza della parte pittorica che, come si sono accorti i seminaristi, si stava distaccando in alcune parti, e la pulitura completa della riza d’argento. E’ stata ripulita dagli ossidi metallici e dallo sporco del fumo delle candele che lo rendevano scuro e opaco. L’icona è stata rimossa quasi un anno fa, da UnisVe: era la prima volta dopo l’ultimo intervento del 1960. A occuparsi della riza è stato il restauratore Paolo Belluzzo: «Abbiamo operato con impacchi per pulire la superficie facendo un lavaggio per eliminare le sostanze saline, infine abbiamo passato un protettivo una vernice nitrocellulosica capace di ostacolare l’innesco di nuovi fenomeni ossidativi». Il tutto è stato finanziato per un totale di 20 mila euro da Piaget attraverso il Comitato Italiano per Venezia, e da Save Venice che ha pagato le indagini sull’icona e la movimentazione. Le indagini l’hanno datata al XII-XIII secolo e hanno svelato un’immagine più antica sottostante ancora in corso di studio. «Restituiamo un oggetto nella sua bellezza ai credenti, per dare uno strumento vitale per vivere la fede», ha detto il patriarca Francesco Moraglia. AVVENIRE di sabato 5 novembre 2016 Pag 19 Venezia. L’icona della Salute torna in Basilica L’icona mariana denominata «Mesopanditissa» (mediatrice di pace), custodita nella Basilica veneziana di Santa Maria della Salute, viene ricollocata oggi al suo posto dopo il restauro della sua «riza» d’argento, il rivestimento metallico che ne preserva la bellezza e l’integrità nel tempo. La cerimonia si tiene oggi alle 15.30, alla presenza anche del patriarca Francesco Moraglia, con un momento di preghiera e un omaggio musicale. Nell’occasione vengono presentati i risultati delle analisi della tavola pittorica e dei lavori compiuti sulla «riza». L’icona è di una «Madonna odigitria» – espressione che deriva dal greco, e significa «colei che conduce» – una Vergine che regge il bambino Gesù col braccio sinistro mentre fa il gesto di intercessione nella sua direzione con la mano destra. Gesù risponde alla sua preghiera sollevando a sua volta la mano in segno di benedizione. Le indagini hanno confermato la sua antichità: è una tavola di 144 per 92,5 centimetri, risalente probabilmente al XII XIII secolo, venerata nell’isola di Candia fino al

  • XVII secolo: nel 1669 fu condotta aVenezia e collocata sull’altare della Basilica della Salute appositamente ricostruito. Divenne oggetto del culto e della venerazione dei veneziani che ogni anno, il 21 novembre, visitano la Basilica per rinnovare il voto emesso dalla Serenissima nel 1630. LA NUOVA di sabato 5 novembre 2016 Pag 21 Una folla per l’addio a don Barecchia di Nadia De Lazzari Il funerale del prete-alpino Venezia. Sopra la bara il vangelo, il cappello liso dell'alpino, i fiori colorati, simbolo della sua passione per la montagna. In processione dalla chiesa di San Sebastiano a quella dell'Angelo Raffaele per porgere l'ultimo saluto a don Gastone Barecchia mancato all'età di 102 anni lo scorso mercoledì c'era una folla incontenibile di sacerdoti, suore, parenti, amici e tantissimi alpini, tutti con gli occhi lucidi. Nel cuore le sue indimenticabili e ironiche battute. Qualcuno le rievoca: «La vita è una limonata», «Le montagne non si guardano, si scalano», «L'erba matta non muore mai», «Forse Dio si è dimenticato di me». Don Gastone fu cappellano del carcere maschile per oltre cinquant'anni, dal 1947 al 1998. Così lo ricorda la direttrice Gabriella Straffi: «Amava i carcerati, con loro si sentiva libero. Tante novità, ora consolidate, sono opera di don Gastone». E l'ex comandante Vito Petrelli sottolinea: «Era instancabile. Per tutti noi è stato un faro». Don Gastone ha vissuto la ritirata di Russia come cappellano militare dal 1941 al 1943, ha conosciuto nove Papi, dieci Patriarchi. Il Patriarca Moraglia ne ha fatto memoria nell'omelia. Per descrivere don Gastone il presule è ricorso all'immagine del chicco di grano buono. «Fu uomo e prete con la sua umanità virtuosa, nitida, cordiale. Era prete contento di essere prete. Lo diceva con i fatti, con il sorriso, con il linguaggio pacato. La sua fede era forte e generosa», ha detto il Patriarca. «Per la Chiesa di Venezia fu un grande dono». Il vescovo di Vicenza, monsignor Beniamino Pizziol, ha inviato un messaggio esprimendo il suo dolore. A conclusione del rito è stata recitata la preghiera degli alpini. Oggi alle 9.30 don Gastone Barecchia sarà sepolto nel cimitero di San Michele. Torna al sommario 3 – VITA DELLA CHIESA CORRIERE DELLA SERA Pag 21 L’appello del Papa: “Clemenza per i detenuti” di Alessandro Trocino e Gian Guido Vecchi A Roma la marcia per l’amnistia dei radicali che per la prima volta vengono accolti a piazza San Pietro. Francesco celebra la messa davanti a mille reclusi e chiede ai governi un gesto per chi può beneficiarne Città del Vaticano. All’Angelus Francesco chiede alle «autorità civili di ogni Paese» un «atto di clemenza» per i detenuti «che si riterranno idonei» mentre la manifestazione del partito radicale raggiunge i fedeli in piazza San Pietro, con tanto di cartello «Forza Francesco, grazie Marco» e una vignetta di Vincino nella quale Pannella tiene sulle spalle il pontefice e la scritta «amnistia!». Quello di ieri è stato un Giubileo delle carceri speciale, una giornata condivisa da cattolici e laici. Bisognava vederlo, Francesco, mentre nella messa celebrata in Basilica si rivolgeva a oltre mille detenuti arrivati da dodici Paesi: «Ogni volta che entro in un carcere, penso: perché loro e non io? Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare, tutti in un’altra maniera abbiamo sbagliato...». Per Francesco l’«essenziale» sta nel capitolo 25 di Matteo, le parole di Gesù sull’atteggiamento che nel Giudizio distinguerà i giusti dai dannati, «ero prigioniero e siete venuti a trovarmi...». Per questo ha voluto questa messa mentre si avvicina la conclusione, il 20 novembre, dell’Anno Santo della Misericordia. Tra le navate di San Pietro si vedono i detenuti con le famiglie, i bambini, i volontari, gli operatori, gli agenti della polizia penitenziaria. Francesco parla di speranza, della «liberazione» insita in ogni Giubileo. E dell’«ipocrisia» che ci spinge a vedere il carcere come «unica via» per chi sbaglia, «c’è poca fiducia nella riabilitazione». Si dimentica che «tutti siamo peccatori» e

  • «spesso prigionieri senza rendercene conto», sillaba: «Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove in schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza». All’Angelus chiede anche «un miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri in tutto il mondo» e «di riflettere sulla necessità di una giustizia penale che non sia esclusivamente punitiva» ma aperta al reinserimento nella società. È la prima volta che una delegazione della marcia radicale è stata accolta in piazza San Pietro. Rita Bernardini, assieme ad altri compagni, è in sciopero della fame da 28 giorni. Iniziativa nella quale i radicali sono riusciti a coinvolgere 17 mila detenuti. Tra i quasi mille presenti alla marcia, Emma Bonino, il pd Walter Verini, Adriano Sofri, Totò Cuffaro (in prima fila), l’Unione delle Camere penali, Benedetto Della Vedova e gli esponenti dei Radicali italiani Riccardo Magi (segretario) e Antonella Soldo (presidente). Molti i gonfaloni, ma assente proprio il Comune di Roma: «Abbiamo provato a sentire la sindaca Raggi - spiega la Bernardini - ma si è negata più volte. Un’assenza maleducata e grave». Fabrizio Cicchitto, favorevole a un’amnistia per reati fino a quattro anni, chiosa: «È normale l’assenza, i 5 Stelle sono il nuovo partito giustizialista italiano». A chi accusa i radicali, risponde Sergio D’Elia: «L’amnistia è il provvedimento più strutturale di tutti, perché interrompe la flagranza di reato da parte dello Stato». Tra le altre misure chieste dai radicali, l’abolizione dell’ergastolo «ostativo» che non consente di accedere a benefici, misure alternative e la calendarizzazione della riforma dell’ordinamento penitenziario. IL GAZZETTINO Pag 10 L’appello di Francesco: clemenza per i detenuti di Franca Giansoldati Giubileo dei carcerati in San Pietro: in mille con il Papa “graziati” per un giorno Contrariamente a quello che accadeva in passato, quando c'erano altri Papi, stavolta il maxi striscione della marcia dei Radicali con su scritto Amnistia ha avuto l'autorizzazione di entrare in piazza San Pietro. A mezzogiorno Francesco si è affacciato puntuale per l'Angelus dal palazzo apostolico dopo avere celebrato in basilica (causa maltempo) il Giubileo dei carcerati. Per la prima volta erano presenti mille detenuti di varie nazionalità, alcuni dei quali hanno fatto anche da chierichetti portando i doni all'altare durante l'offertorio. Avrebbero dovuto essere presenti anche due ergastolani sottoposti al regime del 41 bis, ma all'ultimo momento qualcosa non ha funzionato e non sono stati fatti uscire. Forse troppo rischioso. «Cari detenuti, è il giorno del vostro Giubileo! Che oggi, dinanzi al Signore, la vostra speranza sia accesa. Il Giubileo, per sua stessa natura, porta con sé l'annuncio della liberazione. Non dipende da me poterla concedere, ma suscitare in ognuno di voi il desiderio della vera libertà è un compito a cui la Chiesa non può rinunciare». Poi si è fatto portavoce di un appello per un atto di clemenza che poi tradotto significa o amnistia o indulto. Una richiesta umanitaria alla quale sia il Parlamento che il governo italiano sembrano piuttosto sordi, benché il premier Renzi, alcuni giorni fa, andando a visitare il carcere di Padova, si è detto favorevole a cambiare l'attuale modello di detenzione che è ormai al di fuori dei diritti umani. Carceri sovraffollate, celle senza i minimi standard di civiltà, violenze interne, suicidi e per finire l'impossibilità del recupero sociale di chi delinque. I rapporti annuali sullo stato carcerario nel nostro Paese sono agghiaccianti. Francesco conosce bene questa dimensione avendo visitato Rebibbia e Casal del Marmo ma soprattutto avendone parlato a lungo con Marco Pannella, il quale prima di morire gli indirizzò una lunga lettera, quasi un testimone per una battaglia durata una vita. Durante la messa in basilica Bergoglio ha denunciato «una certa ipocrisia generale che spinge a vedere nei carcerati solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l'unica via è quella del carcere». Poi a braccio ha aggiunto anche una frase carica di simbolismo: «Ogni volta che entro in un carcere penso sempre: perché loro sono qui e non io? Tutti hanno la possibilità di sbagliare». Un po' di tempo fa, durante un viaggio, ricordò a bruciapelo la vicenda del Buon Ladrone: il primo santo canonizzato da Cristo anche se era stato condannato a morte. L'intera mattinata si è sviluppata all'insegna della speranza. «La storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità. Imparando dagli sbagli del passato, si può

  • aprire un nuovo capitolo della vita. Non cadiamo nella tentazione di pensare di non poter essere perdonati». Fuori sulla piazza i manifestanti della marcia stavano a ricordare che il 35% dei detenuti è in attesa di giudizio, che i benefici alternativi al carcere potrebbero consentire un recupero nella società mentre il carcere, così come è ora, peggiora solo le situazioni. Durante l'omelia il pontefice è sembrato proseguire in sintonia la battaglia: «Non si pensa alla possibilità di cambiare vita c'è poca fiducia nella riabilitazione. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori». Don Luigi Ciotti e le Acli si sono rammaricati «della sordità delle istituzioni italiane alle richieste del Papa sui gesti di clemenza. Bisogna avere coraggio». LA NUOVA Pag 4 Il Papa invoca clemenza per i detenuti del mondo di Mariaelena Finessi Celle sovraffollate, in testa Lombardia, Campania e Lazio Città del Vaticano. «Desidero ribadire l’importanza di riflettere sulla necessità di una giustizia penale che non sia esclusivamente punitiva, ma aperta alla speranza e alla prospettiva di reinserire il reo nella società». Le parole di Papa Francesco, pronunciate nel corso dell’Angelus, risuonano forte nel giorno in cui la Chiesa celebra il Giubileo dei detenuti. In mille, provenienti perlopiù dagli istituti penitenziari italiani, hanno potuto lasciare la propria cella e partecipare ieri all’evento che Bergoglio ha pensato per loro. Ad accompagnarli c’erano altre quattromila persone tra familiari, cappellani, agenti di polizia e operatori sociali che lavorano dentro e fuori le mura delle carceri. Certo, Francesco non scende nei tecnicismi, non suggerisce l’indulto o l’amnistia. La strada che indica è un’altra: quella della comprensione. «Sottopongo alla considerazione delle competenti autorità civili di ogni Paese la possibilità di compiere, in questo Anno Santo della Misericordia, un atto di clemenza verso quei carcerati che si riterranno idonei a beneficiare di tale provvedimento». E agli uomini di governo rivolge un appello «in favore del miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri in tutto il mondo», dice, «affinché sia rispettata pienamente la dignità umana dei detenuti». Nell’omelia mattutina Francesco aveva spiegato che «il Giubileo, per la sua stessa natura, porta con sé l’annuncio della liberazione. Non dipende da me poterla concedere, ma suscitare in ognuno di voi il desiderio della vera libertà è un compito a cui la Chiesa non può rinunciare». Bergoglio condanna quindi «l’ipocrisia» di chi vede nei condannati a una pena detentiva «solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere». In fondo, «tutti abbiamo la possibilità di sbagliare. Tutti - insiste Francesco - in una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato». Ma è l’ipocrisia a farcelo dimenticare. Anzi, «spesso siamo anche prigionieri» dei pregiudizi, di schemi ideologici e leggi di mercato che schiacciano le persone, e siamo pure «schiavi degli idoli di un falso benessere» che ci tengono «tra le strette pareti della cella dell’individualismo», e «puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni». Questo non vuol dire che Francesco voglia cancellare le responsabilità personali. Quel che intende il Pontefice ha invece a che vedere con la possibilità di rimediare agli errori per tornare ad essere liberi. «La speranza non può venire meno. Una cosa, infatti, è ciò che meritiamo per il male compiuto; altra cosa, invece, è il “respiro” della speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno». Il credo cristiano, conclude Francesco, sia da insegnamento: «Quante volte la forza della fede ha permesso di pronunciare la parola perdono in condizioni umanamente impossibili!». Ecco, «dove alla violenza si risponde con il perdono, là anche il cuore di chi ha sbagliato può essere vinto dall’amore». Sono 54.912 i detenuti presenti nei 192 istituti di pena italiani, a fronte di una capienza complessiva di 50.062 posti. È quanto evidenziano i dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 31 ottobre. Numeri lontani dai 65mila del 2013, quando l’Italia fu condannata dalla Corte Europea per la condizione delle sue carceri. Ma, rileva Antigone, dopo le misure per diminuire il sovraffollamento, la popolazione carceraria sta tornando a crescere, seppur di poco. Gli stranieri detenuti sono 18.578, mentre le donne sono 2.300. Quelli in attesa di giudizio sono 9.826. Gli istituti più sovraffollati sono in Lombardia, nelle cui 18 carceri sono presenti 7.856 ospiti a fronte di una capienza di

  • 6.120; seguono Campania (6.919 detenuti per 6.112 posti) e Lazio (6.064 per 5.238 posti). L’OSSERVATORE ROMANO di domenica 6 novembre 2016 Pag 7 Per promuovere il valore della persona umana Approvato da Papa Francesco per un quinquennio il nuovo statuto della Pontifica accademia per la vita Pubblichiamo di seguito il nuovo statuto della Pontificia accademia per la vita, firmato da

    Papa Francesco lo scorso 18 ottobre.

    TITOLO I Natura e finalità Art. 1 – Introduzione § 1 - La Pontificia Accademia per la Vita, con sede nello Stato della Città del Vaticano, è stata istituita dal Sommo Pontefice San Giovanni Paolo II con il Motu Proprio Vitae mysterium, dell’11 febbraio 1994. La Pontificia Accademia per la Vita ha come fine la difesa e la promozione del valore della vita umana e della dignità della persona. § 2 - Compito specifico dell’Accademia è di: a) studiare, in un’ottica interdisciplinare, i problemi riguardanti la promozione e la difesa della vita umana; b) formare ad una cultura della vita - per la parte che le è propria - attraverso opportune iniziative e sempre nel pieno rispetto del Magistero della Chiesa; c) informare in maniera chiara e tempestiva i responsabili della Chiesa, le varie istituzioni di scienze biomediche e delle organizzazioni socio-sanitarie, i mezzi di comunicazione e la comunità civile in genere, sui risultati più rilevanti delle proprie attività di studio e di ricerca (cfr. Vitae mysterium, 4). § 3 - L’Accademia ha un compito di natura prevalentemente scientifica, per la promozione e difesa della vita umana (cfr. Vitae mysterium, 4). In particolare studia i vari aspetti che riguardano la cura della dignità della persona umana nelle diverse età dell’esistenza, il rispetto reciproco fra generi e generazioni, la difesa della dignità di ogni singolo essere umano, la promozione di una qualità della vita umana che integri il valore materiale e spirituale, nella prospettiva di un’autentica “ecologia umana”, che aiuti a ritrovare l’equilibrio originario della Creazione tra la persona umana e l’intero universo (cfr. Chirografo, 15 agosto 2016). § 4 - Nell’adempimento dell’attività prevista dal presente Statuto, la Pontificia Accademia per la Vita coopera con i Dicasteri della Curia romana, primi fra tutti la Segreteria di Stato e il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, nel rispetto delle rispettive competenze e in spirito di collaborazione. § 5 - Al fine poi di promuovere e diffondere la cultura della vita, l’Accademia mantiene stretti contatti con le Istituzioni universitarie, le Società scientifiche e i Centri di ricerca che seguono i vari temi connessi con la vita. TITOLO II Ordinamento Art. 2 - Struttura dell’Accademia La Pontificia Accademia per la Vita si compone di una Presidenza, di un Ufficio Centrale e di Membri, detti anche Accademici. Art. 3 - La Presidenza La Presidenza è formata dal Presidente, dal Cancelliere e dal Consiglio Direttivo. La direzione ed il governo delle attività ordinarie e straordinarie dell’Accademia spettano al Presidente, insieme al Cancelliere, coadiuvati dal Consiglio Direttivo. Fa parte della Presidenza anche il Consigliere Ecclesiastico. § 1 - Il Presidente a) Il Presidente è nominato dal Sommo Pontefice, rimane in carica per il periodo indicato nel biglietto di nomina e può essere riconfermato nell’incarico. b) Il Presidente rappresenta ufficialmente la Pontificia Accademia, la dirige in tutte le sue attività e ne risponde di fronte al Santo Padre; convoca e presiede il Consiglio Direttivo, stabilisce l’ordine del giorno e dà esecuzione alle deliberazioni del Consiglio stesso. Egli convoca e presiede pure le tornate dell’Accademia. Il Presidente può avvalersi della collaborazione straordinaria dei singoli Membri.

  • § 2 - Il Cancelliere a) Il Cancelliere, nominato dal Sommo Pontefice per il periodo indicato nel biglietto di nomina, può essere riconfermato nell’incarico. b) Il Cancelliere può rappresentare la Pontificia Accademia per la Vita a nome del Presidente, collabora con lui alla direzione e al governo delle attività dell’Accademia. § 3 - Il Consiglio Direttivo a) Il Consiglio Direttivo della Pontificia Accademia per la Vita è composto dal Presidente, da un eventuale Vice-Presidente, dal Cancelliere e da sei Consiglieri nominati dal Sommo Pontefice, dei quali quattro sono scelti tra i Membri Ordinari dell’Accademia, il quinto è proposto dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ed il sesto è il Preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. Ciascun Consigliere rimane in carica cinque anni e può essere riconfermato nell’incarico. Al Consiglio Direttivo partecipa anche il Consigliere Ecclesiastico, qualora nominato (cfr. § 4 del presente Articolo). b) Il Consiglio Direttivo si riunisce in seduta ordinaria almeno due volte l’anno per deliberare gli indirizzi generali delle attività ordinarie ed affrontare eventuali questioni particolari legate alla vita dell’Accademia. c) Il Consiglio Direttivo può riunirsi in seduta straordinaria per esaminare questioni di grave ed indifferibile urgenza. In tali sedute hanno diritto di voto tutti i componenti del Consiglio Direttivo presenti. d) Il Consiglio Direttivo sceglie e nomina, anche valutando proposte esterne, i Membri corrispondenti della Pontificia Accademia per la Vita, di cui all’Art. 5, §3 del presente Statuto; approva i programmi di studio delle Assemblee Generali e delle attività formative, contribuendo all’indirizzo generale dei programmi annuali. e) Il Presidente sceglie e nomina il Coordinatore di Segreteria, di cui all’Art. 4, §2 del presente Statuto. § 4 - Il Consigliere Ecclesiastico a) Il Consigliere Ecclesiastico è nominato dal Sommo Pontefice per un quinquennio e può essere riconfermato. Tale carica rimane vacante nel caso in cui l’ufficio di Presidente o di Cancelliere sia ricoperto da un Ecclesiastico. b) Il Consigliere Ecclesiastico ha il compito di garantire la conformità dei pronunciamenti della Pontificia Accademia per la Vita con la dottrina cattolica, secondo gli insegnamenti del Magistero della Chiesa. Egli, inoltre, si incarica di mantenere le relazioni con i Superiori Ecclesiastici. Art. 4 – L’Ufficio Centrale a) L’Ufficio Centrale della Pontificia Accademia per la Vita ha sede in Vaticano. Esso costituisce l’organo esecutivo della Presidenza, per l’impostazione, l’attuazione e il coordinamento delle attività accademiche. Tale Ufficio svolge le sue funzioni secondo le direttive del Presidente e del Cancelliere. b) Per meglio ordinare le proprie attività, l’Ufficio Centrale è strutturato in due sezioni: la sezione scientifica e la sezione tecnico-amministrativa o Segreteria. § 1 - La sezione scientifica La sezione scientifica si occupa delle attività accademiche di studio e ricerca, in base alle finalità statutarie ed ai compiti specifici della Pontificia Accademia per la Vita (cfr. Art. 1). A tal fine, essa si articola in tre aree settoriali: studio, formazione e informazione. § 2 - La sezione tecnico-amministrativa o Segreteria La sezione tecnico-amministrativa si occupa delle attività di segreteria ed amministrazione dell’Accademia. Art. 5 – I Membri o Accademici Fanno parte della Pontificia Accademia per la Vita i Membri ordinari, i Membri corrispondenti, i Membri onorari e i Membri giovani ricercatori. La nomina a Membro dell’Accademia richiede l’accertata disponibilità a collaborare con l’Accademia in spirito di servizio, unicamente per l’adempimento dei suoi compiti specifici. § 1 - I Membri ordinari I Membri ordinari possono raggiungere un numero massimo di settanta. Essi sono nominati per un quinquennio dal Santo Padre, sentito il parere del Consiglio Direttivo, in base ai loro titoli accademici, a provata serietà e competenza professionale, al fedele servizio a difesa e promozione del diritto alla vita di ogni persona umana.

  • I Membri ordinari al termine del quinquennio possono essere riconfermati per successivi mandati fino al compimento dell’ottantesimo anno di età. § 2 - I Membri onorari Sono nominati dal Santo Padre Membri onorari alcuni Accademici, legati in maniera particolare alla vita e all’attività dell’Accademia. § 3 - I Membri corrispondenti I Membri corrispondenti sono scelti e nominati per un quinquennio dal Consiglio Direttivo, in base alla loro serietà e competenza professionale e al loro riconosciuto impegno in favore della promozione e tutela della vita umana. I Membri corrispondenti al termine del quinquennio possono essere riconfermati per un massimo di altri due mandati. § 4 - I Membri giovani ricercatori I Membri giovani ricercatori provengono da discipline che interessano le aree proprie di ricerca dell’Accademia, con l’età massima di 35 anni, scelti e nominati dal Consiglio Direttivo per la durata di un quinquennio, rinnovabile per un altro mandato. § 5 - Indicazioni e norme per i Membri a) Gli Accademici sono scelti, senza alcuna discriminazione religiosa, fra le personalità ecclesiastiche, religiose e laiche appartenenti a diverse nazionalità, esperti nelle discipline attinenti alla vita umana (medicina, scienze biologiche, teologia, filosofia, antropologia, diritto, sociologia, ecc.). b) I nuovi Accademici si impegnano a promuovere e difendere i principi circa il valore della vita e della dignità della persona umana, interpretati in modo conforme al Magistero della Chiesa. c) Gli Accademici sono tenuti a partecipare alle Assemblee Generali, dove presentano comunicazioni, note e memorie scientifiche; discutono, votano ed hanno diritto di proporre al Consiglio Direttivo nomine e temi di studio e di ricerca. d) Nel caso di impossibilità a prendere parte ai lavori dell’Assemblea Generale, gli Accademici dovranno giustificare adeguatamente la loro assenza. L’assenza ingiustificata per più di due volte nell’arco di un quinquennio comporta ipso facto la decadenza da Membro dell’Accademia. e) La qualifica di Accademico può essere revocata, secondo la procedura prevista dal Regolamento proprio dell’Accademia, nel caso di una pubblica e deliberata azione o dichiarazione palesemente contraria a detti principi, oppure gravemente offensiva della dignità e credibilità della Chiesa Cattolica e della stessa Accademia. f) Incarichi politici istituzionali, nel proprio Paese o all’estero, non sono compatibili con la nomina e l’esercizio dell’ufficio di Membro della Pontificia Accademia per la Vita. Pertanto, qualora un Membro dell’Accademia assuma un tale incarico, è sospeso dalle sue funzioni accademiche, né può avvalersi pubblicamente del titolo di Membro della medesima Accademia, fino al termine di tale incarico politico istituzionale. TITOLO III Attività scientifica e strumenti operativi Art. 6 - Descrizione delle attività ordinarie L’attività scientifica ed interdisciplinare della Pontificia Accademia per la Vita dovrà mantenere uno stretto collegamento con gli organismi e le istituzioni mediante le quali la Chiesa è presente nel mondo delle scienze biomediche, della salute e delle organizzazioni sanitarie, offrendo la propria collaborazione ai medici ed ai ricercatori anche non cattolici e non cristiani, che riconoscono, come fondamento morale essenziale della scienza e dell’arte medica, la dignità dell’uomo e l’inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, così come sono proposte dal Magistero della Chiesa. Per il raggiungimento dei suoi fini statutari (cfr. Art. 1), la Pontificia Accademia per la Vita: a) organizza ogni anno un’Assemblea Generale, a cui partecipano tutti i Membri; b) convoca e coordina le attività di gruppi di lavoro, a carattere nazionale ed internazionale; c) studia le legislazioni vigenti nei diversi Paesi e gli orientamenti di politica sanitaria internazionale, nonché le principali correnti di pensiero, che hanno incidenza sulla cultura contemporanea della vita; d) pubblica i risultati dei suoi studi e delle sue ricerche e diffonde le sue proposte culturali ed operative attraverso pubblicazioni ed altri mezzi di comunicazione di massa;

  • e) organizza Convegni nazionali ed internazionali su tematiche bioetiche di grande interesse; f) organizza iniziative di formazione in bioetica, vi partecipa ed offre il proprio contributo; g) partecipa con rappresentanti alle più importanti iniziative scientifiche, biomediche, giuridiche, politiche, filosofiche, antropologiche, caritativo-assistenziali, morali, pastorali, ecc., attinenti alle finalità dell’Accademia stessa. TITOLO IV Mezzi finanziari Art. 7 – Risorse finanziarie In quanto Istituzione sostenuta dalla Santa Sede, la Pontificia Accademia per la Vita presenta ogni anno il bilancio delle proprie attività ordinarie e straordinarie all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, secondo le norme vigenti. § 1 - La Fondazione Vitae mysterium Le risorse eventualmente provenienti dalla Fondazione Vitae mysterium sono prevalentemente destinate al sostegno delle attività ordinarie o straordinarie dell’Accademia. In caso di sufficiente disponibilità di mezzi finanziari, una parte delle risorse può essere destinata anche al finanziamento di borse di studio e di altre iniziative per la formazione in bioetica, in particolare di persone dei Paesi in via di sviluppo, oppure di zone in cui la cultura della vita ha maggiore necessità di sostegno. TITOLO V Disposizioni finali Art. 8 - Regolamento proprio Per un’efficace attuazione del presente Statuto, il Presidente ed il Cancelliere, sentito il parere del Consiglio Direttivo, sottopongono all’approvazione del Cardinale Segretario di Stato il Regolamento proprio della Pontificia Accademia per la Vita. Tale Regolamento contiene, oltre alla Tabella organica ed al Mansionario del personale dell’Ufficio Centrale, le disposizioni integrative concernenti l’ordinamento ed il funzionamento dell’Accademia. Il presente Statuto è approvato per cinque anni. Ordino che sia promulgato tramite pubblicazione sul quotidiano “L’Osservatore Romano” e quindi pubblicato sugli Acta Apostolicae Sedis, entrando in vigore il 1° gennaio 2017.

    Dal Vaticano, 18 ottobre 2016

    AVVENIRE di domenica 6 novembre 2016 Pag 15 Radio Maria. Sisma “castigo di Dio”? L’emittente chiede scusa e sospende Cavalcoli di Umberto Folena Radio Maria ha sospeso ieri padre Giovanni Cavalcoli, che non parlerà più dalle sue frequenze. L’emittente diretta da padre Livio Fanzaga giudica «inaccettabile la posizione di padre Cavalcoli riguardante il terremoto e lo sospende con effetto immediato dalla sua trasmissione mensile». Intanto, dopo la dura critica del sostituto alla Segretario di Stato, l’arcivescovo Angelo Becciu, venerdì scorso, ieri anche l’Osservatore Romano ha parlato di «affermazioni offensive». Radio Maria prosegue: le parole di padre Cavalcoli «non sono in linea con l’annuncio della misericordia, che è l’essenza del cristianesimo e dell’azione pastorale di papa Francesco». Infine, l’emittente «assicura, come già il passato, i collegamenti di preghiera con le zone terremotate per far sentire loro la vicinanza di tutta la Chiesa». E padre Cavalcoli? Il religioso ieri prima ha dichiarato alle agenzie «di essere stato frainteso, e proprio per questo non ho da chiedere scusa a nessuno». Poi si è negato: « Mi è stato proibito tassativamente di rilasciare interviste. Sono un religioso e come tale sono legato al rispetto» delle indicazioni dei superiori. Sulla vicenda, ieri è intervenuto anche il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Il terremoto e altri disastri naturale sarebbero un castigo divino? «Mi pare – ha dichiarato all’agenzia Sir – che la stessa emittente abbia per fortuna preso le distanze da questo giudizio che abbiamo potuto leggere. È un giudizio di un paganesimo senza limiti». Quanto a Francesco e a chi all’interno della Chiesa stessa lo critica, Galantino ha aggiunto: «Non capisco quale Chiesa si voglia servire e costruire fuori dal riferimento al Papa. Almeno la Chiesa cattolica così è. Se poi ognuno vuol farsi il Papa a sua immagine e somiglianza, è un altro discorso». Lo Spirito Santo, ha concluso il segretario della Cei, «ci ha mandato Francesco, ieri quell’uomo straordinario che è Benedetto XVI, e via

  • dicendo. Come si può negare la guida bella che lo Spirito di Dio sta domanda alla Chiesa?». CORRIERE DELLA SERA di domenica 6 novembre 2016 Pag 9 “Il mondo salva le banche, non la bancarotta dell’umanità” di Gian Guido Vecchi Il richiamo del Papa sui rifugiati «Cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto?». È un discorso ampio e durissimo quello che Francesco ha pronunciato ieri, in Aula Paolo VI, nel suo terzo incontro con i «movimenti popolari» del Social Forum, «vi chiedo di continuare a lottare». Il Papa va oltre il sostegno «al grido: terra, casa e lavoro per tutti», già assicurato loro in Bolivia. Punta il dito contro l’iniquità «terrorista» del sistema economico mondiale, denuncia la «situazione obbrobriosa» e la «vergogna» dei rifugiati respinti. E annuncia che se ne occuperà in prima persona, avocando a sé la «delega» affidata al nuovo «ministero» per lo «Sviluppo umano integrale»: «Nel dicastero c’è una sezione che si occupa di queste situazioni. Ho deciso che, almeno per un certo tempo, quella sezione dipenda direttamente dal Pontefice, perché questa è una situazione obbrobriosa, che posso solo descri-vere con una parola che mi venne fuori spontaneamente a Lampedusa: vergogna». Francesco ricorda i suoi incontri con i rifugiati in fuga da guerre create «da molti di coloro che si rifiutano di riceverli». E sillaba: «C’è un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla Terra e minaccia l’intera umanità. Se ne alimentano i terrorismi derivati come il narcoterrorismo, il terrorismo di Stato e quello che alcuni, erroneamente, chiamano terrorismo etnico o religioso. Nessun popolo, nessuna religione è terrorista. È vero, da ogni parte ci sono piccoli gruppi fondamentalisti. Ma il terrorismo inizia quando hai cacciato la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro». C’è un problema di rapporto tra popolo e democrazia, perché «il divario tra i popoli e le nostre attuali forme di democrazia si allarga sempre più come conseguenza dell’enorme potere dei gruppi economici e mediatici che sembrano dominarle». Così «ogni tirannia è terroristica» e il denaro «governa con la frusta della paura» che viene «alimentata e manipolata» perché «è un buon affare per i mercanti di armi e di morte» e annienta «le nostre difese psicologiche e spirituali», fino ad anestetizzare le coscienze: «Quando vediamo che si preferisce la guerra, si diffonde la xenofobia e guadagnano terreno proposte intolleranti, dietro questa crudeltà che sembra massificarsi c’è il freddo soffio della paura». Il mondo va guarito dalla sua «atrofia morale», conclude il Papa. E il solo antidoto è la misericordia, «molto più efficace di muri, allarmi e armi. Ed è gratis: è un dono di Dio». LA REPUBBLICA di domenica 6 novembre 2016 Pag 19 Mille volontari, 31 dipendenti e offerte per 18 milioni l’anno. Ecco il business di Radio Maria di Paolo Rodari È la radio privata italiana con più "mi piace" su Facebook, 1 milione e 300mila, e la più diffusa, seconda solo alla Rai. Priva di pubblicità, accompagna la giornata di circa 1 milione e 500mila ascoltatori in Italia e di altre decine di milioni nel mondo tramite le emittenti collegate. Un successo indiscusso, quello di Radio Maria, dovuto non soltanto alla popolarità del direttore padre Livio Fanzaga, ma anche, per molti soprattutto, alle capacità imprenditoriali di un uomo che ama restare nell'ombra benché da anni, precisamente dall'87, amministri i destini dell'emittente. Si chiama Emanuele Ferrario ed è un ex imprenditore caseario varesino. È stato lui a trasformare un'emittente parrocchiale che allora trasmetteva soltanto per pochi intimi da Arcellasco d'Erba, in Brianza, in un network nazionale. Come? Attraverso le offerte ascoltatori più attivi portano nelle parrocchie e nei centri culturali vicini a casa gli opuscoli della radio. Di opuscolo in opuscolo, riescono a costruire un formicaio poderoso, fatto di nuovi ascoltatori fedeli e soprattutto pronti a donare. Radio Maria trasmette giorno e notte, 24 ore su 24. In Italia ha 850 ripetitori, ed è presente, grazie ad altre emittenti

  • direttamente o indirettamente a essa legate, in 70 Paesi che trasmettono nella loro lingua. Raggiunge 1 milione e 580mila ascoltatori nel giorno medio, e 3 milioni e 656mila nell'arco della settimana. Tramite ottanta studi mobili sparsi in tutta Italia, la mattina dalle 7,30 alle 8,40 e il pomeriggio dalle 16,40 alle 17,40 va in onda "L'ora della spiritualità", in cui ogni volta da un luogo diverso, da una parrocchia come da un ospedale, sono gli stessi ascoltatori ad animare il rosario, la Messa, la liturgia delle lodi, i vespri. È questa la trasmissione più seguita, insieme alla rassegna stampa del mattino guidata da padre Fanzaga. L'obiettivo di Radio Maria è uno: aiutare la Chiesa nell'opera di rievangelizzazione. E, insieme, svolgere un'intensa azione di promozione sociale con consulenze ad hoc sui temi della famiglia, dell'educazione, della scuola, della previdenza, della medicina e della psicologia. L'ascoltatore è sempre coccolato, seguito, valorizzato: non c'è trasmissione nella quale chiunque non possa chiamare, dire la sua, porre domande. L'uscita scomposta di padre Cavalcoli dice una cosa: anche Radio Maria, come altre realtà ecclesiali italiane, fatica ad adeguarsi in tutto e per tutto al magistero di Francesco. La vecchia guardia che negli anni di Ratzinger e Wojtyla portava avanti le battaglie pro life figlie della Chiesa ruiniana è in parte ancora viva e presente. Padre Fanzaga nel 2013 chiuse le collaborazioni di due giornalisti, Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, protagonisti di un duro articolo pubblicato dal Foglio e intitolato "Questo Papa non ci piace". E anche altri sono stati mandati via, ad esempio lo storico Roberto de Mattei, anch'egli critico sul pontificato in corso. Ma la rubrica di Cavalcoli dice come certe posizioni «datate al periodo precristiano» - così le ha definite il sostituto della segreteria di Stato vaticana Angelo Becciu - siano ancora presenti. Alcuni conduttori sono vicini alle realtà ecclesiali che hanno promosso il recente Family Day. Un evento che la Chiesa non ha censurato, seppure certe battaglie di piazza non sembrino essere più gradite dalla direzione della Chiesa italiana. Radio Maria è comunque di casa Oltretevere. Un anno fa i membri in tutto il mondo vennero ricevuti da Francesco che disse loro di veicolare la speranza che viene dal Signore e offrire buona compagnia alle persone che ne hanno bisogno. È forse anche per questa familiarità e amicizia che il Papa ha concesso alla radio, oltre che per il contenuto dell'uscita di Giovanni Cavalcoli, che la segreteria di Stato si è sentita in dovere d' intervenire. E Radio Maria, ieri, di sospendere la rubrica del teologo domenicano. L'ultimo "licenziamento" del nuovo corso. LA NUOVA di domenica 6 novembre 2016 Pag 8 Parolin ai carcerati: “Mai dire mai” di don Marco Pozza “Non dovete perdere la speranza” La prigione è una specie di creatura orrenda, totale, indivisibile: «È come se la lama di una ghigliottina ci mettesse sei settimane a cadere» (V. Hugo). È stata inventata da chi in carcere non ci era mai stato: forse è per questo che la galera non ha mai salvato nessuno. La salvezza giunge da tutt’altre direzioni e quando arriva appicca il fuoco a molti. Poche le annate nelle quali, in una città, la galera assurga ad officina di speranza: pochi son disposti a credere che tra la parola e la cosa significata ci sia un abisso. «Siccome qualcuno non può essere a Roma al Giubileo dei Carcerati, ho pensato di venirvi a trovare. Per stare un po’ in vostra compagnia: è sempre bello pregare in compagnia dei poveri». È il segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, a parlare ai detenuti della galera di Padova. Una visita volutamente privata come segno di vicinanza e di amicizia alla piccola parrocchia del carcere. Quel mostro di cemento che fa sentire l’uomo colpevole di tutto quello che lo sguardo abbraccia: restare in vita, dietro le sbarre, arreca meraviglia quanto alla crescita di se stessi. Chi resiste, alla fine re-esiste: rinasce, sotto il pettegolezzo di chi alla Grazia non crede più. Gli occhi del cardinale sono come anfore entrate vuote: le vuol riempire dei loro sguardi, le sue mani carezzano e benedicono le carni luride degli aguzzini, i suoi sono i passi lenti di chi mai accetterà di trasformare in una chiacchiera da salotto nessuna storia: «I vostri sono volti che mi parlano di fragilità. Qui dentro tutto è fragile: le storie, la libertà, gli affetti. La speranza: immagino sia molto facile, certe sere, smarrire anche quella». I rei lo guardano: parla di loro, è voce loro, le parole vanno a piantarsi dentro storie che, ieri, hanno fatto del male la loro droga quotidiana. Oggi non più, non per tutti: taluni han scoperto, a colpi d’insonnia, d’aver fatto paura a persone sbagliate. D’aver sbagliato a calcolare le probabilità. In galera importa il qui, l’adesso: la soddisfazione dev’essere

  • una cosa immediata. Anche scegliere tra salvezza e dannazione lo è: «Mai-dire-mai. Lo dico a voi: mai dire mai della vostra storia, domani potreste diventare quello che, forse, non siete riusciti ad essere nel passato». Nessuna svendita, però, in quanto a misericordia: «Uomini-diversi lo si diventa chiedendo scusa per il male fatto. Questa, per me, è la prima forma di rieducazione - confessa il cardinale -: mettere pace nella nostra memoria, allenarci nel perdonare a noi stessi le gesta compiute, rimettere mano alla storia. Assieme si può sempre ripartire». È cosa risaputa che l’imbecille vada allo sbaraglio: ciò di cui non si è ancora convinti – dopo secoli di catechesi più o meno ortodosse - è la sovrabbondanza del male nella terra dove il male ha abbondato. Chi vuol credere, creda: questo è tutto. Da dove ripartire? Da ciò che carcere-non-è: «Approfittate di coloro che il buon Dio vi ha messo accanto: aiutateli ad aiutarvi». Non è facile stare chini sui poveri, questo il cardinale Pietro lo sa. Cita, non a caso, don Primo Mazzolari: «C’è qualcuno che, per guadagnarsi il titolo di benefattore, per farsi pagare il servizio di recupero, lo butta a terra il povero e lo fa a pezzi, l’uomo». Chi vuol capire capisca, sembra dire il cardinale: la misericordia è un tocco d’affetto per chi pensava di non meritarlo ormai più. «A noi – ribatte – preme dire che l’uomo, anche l’uomo che ha sbagliato, ci sta tremendamente a cuore». Qui c’è gente che, non mollando, ha vinto molte battaglie. Molte ne hanno perdute, per non aver saputo mollare. Mai-dire-mai, comunque. D’ambedue le parti. Una visita intima, una catechesi pubblica: «Gli uomini sono tutti condannati a morte con rinvii indefiniti» (V. Hugo). Forse per questo ci è stato dato un anno straordinario di pietà: per imparare l’arte dell’equilibrista, in ballo tra passato e futuro, capace di rubarsi il cielo come il buon-ladrone. Mai-dire-mai: «Solo così - conclude la sua toccante omelia il cardinale -, un giorno potremmo morire in pace. Magari non saremo riusciti a cambiare il mondo, ma nel cuore terremo la bellezza di averci provato, fino all’ultimo istante possibile». Parole che sono state sprazzi d’agosto sopra vite autunnali. L’OSSERVATORE ROMANO di sabato 5 novembre 2016 Pag 5 Alla ricerca del furfante che è in noi di Sabina Fadel Giubileo dei carcerati / 1 L’appuntamento è alle 14.50 nel grande atrio. Uno dopo l’altro arrivano tutti: giornalisti, fotografi, ospiti invitati a partecipare alla presentazione di un libro. Niente di strano. Ma allora perché questa leggera tensione? Perché il luogo non è di certo abituale per un evento di questo tipo. Siamo a Regina Coeli, il carcere di Roma dove vengono accolti temporaneamente i detenuti che non sono ancora in attesa di condanna definitiva. E siamo in attesa di prendere parte alla presentazione del libro di fra Fabio Scarsato, direttore editoriale del «Messaggero di sant’Antonio», Wanted. Esercizi spirituali francescani per ladri e briganti (Padova, Edizioni Messaggero, 2016, pagine 224, euro 16). A Regina Coeli si accede superando i tre famosi gradini che, «vulgata» vuole, solo chi li ha calpestati può dirsi veramente romano. Ce ne vuole di coraggio per affrontare questa dura esperienza. Anche oggi. E non solo per chi non è avvezzo a questi luoghi. Ce ne vuole innanzitutto per reggere alle limitazioni della propria libertà personale. Ce ne vuole per resistere a un rumore di fondo continuo, fatto di mille altri rumori: voci, grida, chiavistelli che girano, porte che sbattono. Ce ne vuole per non impazzire, stipati in una cella di pochi metri quadrati, gomito a gomito con un’umanità dolente, talvolta ripiegata su se stessa e sul proprio senso di colpa, ma più spesso preoccupata di nascondere il proprio dolore sotto modi duri e spavaldi. Giorni difficili quelli che si trascorrono qui dentro. Che in molti però, anche dall’esterno, cercano di rendere più lievi, consapevoli del fatto che una pena più umana «conviene». A tutti. A chi è ristretto, certo, ma anche a ciascuno di noi: perché un detenuto «rieducato» (così come prevede la Costituzione italiana) da un’esperienza carceraria a dimensione umana, è meno esposto a ricadere negli errori del passato (un dato per tutti: nel 2015, il tasso di recidiva nelle carceri italiane è stato del 69 per cento). Tra quanti, da fuori, cercano di darsi da fare ci sono innanzitutto i molti volontari che hanno fatto del carcere il luogo del proprio impegno solidale. Poi le suore, i preti e i frati, che qui vivono il proprio ministero. E, anche se per un giorno appena, anche noi del «Messaggero di sant’Antonio», la rivista dei francescani della basilica di Sant’Antonio, a Padova che abbiamo scelto di presentare qui un libro che, oltre al titolo un po’ provocatorio, può vantare la prefazione della

  • redazione di «Ristretti orizzonti» (la rivista dei detenuti del carcere di Padova). Un volume che, come spiega lo stesso fra Scarsato - protagonista a Regina Coeli di una tavola rotonda con la giornalista Ritanna Armeni, il cappellano del carcere fra Vittorio Trani, il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, e monsignor Augusto Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma settore sud - ha visto la luce in occasione del giubileo della misericordia. Dopo la casa di reclusione femminile della Giudecca, dove il volume è stato presentato lo scorso aprile, ora è la volta della casa circondariale di Regina Coeli. Prossimamente spetterà al carcere di Alessandria. Ma c’è la speranza di poter proseguire ben oltre quest’anno giubilare. Anche se chiamarle presentazioni fa un po’ specie. Un libro lo si presenta per promuoverlo, ma tra queste mura da promuovere non c’è proprio nulla se non - è fra Fabio a spiegarlo - una comunione con le persone ristrette, una comunione che a ben vedere non è poi così improbabile. Il senso profondo del libro sta infatti proprio nell’invitare il lettore a compiere una discesa disincantata nel proprio animo, alla ricerca del volto del furfante che vi è nascosto. Una discesa che in tanti hanno già compiuto. E che ha saputo restituire dignità e sguardo nuovo sul futuro a molti «briganti», di ieri o di oggi. Il caso più emblematico? Quello di Adamo ed Eva, che hanno dato avvio alla storia dell’umanità con il furto di una mela, furto al quale Gesù ha saputo dare poi, nell’ora suprema della croce, un volto nuovo, aprendo la strada del paradiso, per primo, proprio a un «ladrone». Mentre, dal punto di vista francescano, non si può non ricordare l’episodio dei briganti di Montecasale, nella zona di Borgo Sansepolcro (l’episodio è narrato nelle Fonti francescane n. 1858). Francesco offrì loro cibo ma anche relazione;