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COMITATO DIFESA DUEMILA L’Occidente sotto attacco Venezia, 18-19 novembre 2005

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COMITATO DIFESADUEMILA Venezia, 18-19 novembre 2005 Dott. Giovanni Gasparini (segretario). Prof. Michele Nones (coordinatore) On. Ferdinando Adornato Gen. Mario Arpino Gen. Vincenzo Camporini Dott. Massimo De Angelis Gen. Carlo Finizio Dott. Renzo Foa Gen. Carlo Jean Dr. Andrea Nativi On. Luigi Ramponi Prof. Stefano Silvestri Amm. Guido Venturoni pagina 7 Indice 4.I rischi per l'Italia e le azioni da intraprendere »» 10 »» 12 »» 14 Rapporto Comitato Difesa 2000 7 Rapporto Comitato Difesa 2000 8

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COMITATO DIFESA DUEMILA

L’Occidente sotto attacco

Venezia, 18-19 novembre 2005

Comitato Difesa Duemila

Prof. Michele Nones (coordinatore)On. Ferdinando Adornato

Gen. Mario ArpinoGen. Vincenzo CamporiniDott. Massimo De Angelis

Gen. Carlo FinizioDott. Renzo FoaGen. Carlo Jean

Dr. Andrea NativiOn. Luigi Ramponi

Prof. Stefano SilvestriAmm. Guido Venturoni

Dott. Giovanni Gasparini (segretario).

Indice

1. Il nuovo terrorismo internazionale

2. Convivere col terrorismo

3. Il quadro europeo

4. I rischi per l'Italia e le azioni da intraprendere

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1. IL NUOVO TERRORISMO INTERNAZIONALE

Per oltre cinquant’anni i nostri Paesi hanno vissuto inun contesto internazionale in cui la minaccia (pur altis-sima, poiché arrivava a ipotizzare una guerra nuclea-re generale) era funzionale al mantenimento del siste-ma e comportava costi complessivi bassi. Di più, inmolti Paesi, tra cui l’Italia, l’equilibrio tra i due bloc-chi contrapposti ha contribuitoì al consolidamento delquadro politico interno (dal compattamento dei dueschieramenti della maggioranza e dell’opposizionesino a decisioni strategiche essenziali per il manteni-mento degli equilibri istituzionali, come ad esempiola rinuncia alla lotta armata, il varo della Costituzionein una logica bi-partisan, l’unità di intenti contro il ter-rorismo negli anni Settanta). Nel frattempo, almenoall’interno del mondo Occidentale, la strategia multi-laterale di dissuasione e difesa, assicurata a livello di“blocco”, ha consentito di garantire un alto livello disicurezza a costi ridicolmente relativamente bassi (inparticolare se rapportati al livello “apocalittico” dellaminaccia e alla sua apparente assolutezza ideologica),che quasi mai hanno superato il 5% del PIL ed in gene-re si sono attestati, specie per i Paesi europei, a livel-li molto più bassi e per di più in progressiva dimi-nuzione (dato che hanno consumato la “sicurezza”prodotta dagli Stati Uniti).Oggi la situazione è molto diversa. Il sistema inter-nazionale è fortemente integrato sul piano globale ele nuove minacce che si stanno delineando non sem-brano essere funzionali al suo mantenimento, al con-trario, ne minacciano la stabilità e il funzionamento.In effetti, la minaccia terroristica, così come quellelegate alla proliferazione di armi di distruzione dimassa, ai “failed states”, alla criminalità transnazio-naleinternazionale, pur esercitate contro l’insieme dellacomunitài soggetti internazionalie, insistono in modomolto diverso sui singoli soggetti e alimentano per-cezioni molto differenziate in merito alla loro urgen-za e pericolosità, alle strategie di contrasto e alle prio-rità di azione. Per gli americani la lotta al terrorismo è warfighting(che giustifica leggi eccezionali come il Patriot Act),per gli europei è invece crimefighting e solo dopo gli

attentati del 7 e 21 luglio a Londra sono passati adadottare misure più severe.Di più, il discorso sulle nuove minacce contenuto neipiù importantimaggiori documenti strategici europeied americani mette assieme fenomeni molto diversitra loro. Benché sia possibile in alcuni casi scorgereun collegamento tra queste minacce o tra alcune diesse, si tratta comunque di fenomeni strutturalmentediversi, che richiedono approcci molto differenziati eche comunque hanno un impatto diverso sui vari sog-getti internazionali (in funzione della loro colloca-zione geografica, delle loro vulnerabilità economiche,del loro ruolo geo-politico e degli effetti dell’avere ono subito un attentato). Per queste ragioni è molto difficile per l’Occidenteconcepire una strategia in grado di operare contem-poraneamente e con efficacia su tutti questi fronti, enon è stata neanche concordata o proposta una gerar-chia di importanza o temporale o altra per affrontarlenel loro insieme o una dopo l’altra. Infine, la natura non convenzionaletradizionale di que-ste minacce - e il fatto che esse spesso coinvolganosoggetti non statuali -, fa sì che sia molto difficile ela-borare ed esercitare una strategia credibile di dissua-sione nei loro confronti. Ciò quindi spinge i nostriPaesi a studiare e mettere in opera soprattutto concretee attuali misure di contrasto, per loro natura più diffi-cili, costose e meno consensuali di quelle dissuasive.Tutto ciò spiega, almeno in parte, le gravi oscillazio-ni e le incertezze vissute dal quadro internazionalenegli ultimi anni, in particolare dopo gli attacchi ter-roristici dell’11 settembre 2001. Né la comunità internazionale, né gli Stati Uniti hannoelaborato un “grande strategia” coerente e di lungotermine, corredata della relativa strategia operativa,nonché dei mezzi e delle risorse adeguate al raggiun-gimento degli obiettivi. In altri termini la comunitàinternazionale è andata avanti pragmaticamente, rea-gendo anziché agendo in modo proattivo, e a tentoni,cercando di sfruttare e di adattare al meglio gli stru-menti a sua disposizione per condurre a termine gliinterventi man mano intrapresi. E’ avvenuto così checi si sia impegnati, nel quadro generico della “guerraal terrorismo”, in operazioni quali l’intervento in

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Afghanistan e quello in Iraq, stabilendo solo successi-vamente gli obiettivi da raggiungere, mutando tali obiet-tivi in corso d’opera, senza un’analisi accurata deimezzi necessari e senza un’accurata pianificazione stra-tegico-operativa. In altre parole, si è verificata unagrave soluzione di continuità tra gli obiettivi politicigenerali e l’operatività strategica, giustificabile ini-zialmente per la necessità di fornire una risposta imme-diata agli attacchi, ma successivamente aggravatasi-nonché, in taluni casi, e gravi . Poiché questo si accom-pagna con le incertezze e i dubbi sulla riforma dei siste-mi di governo, le competenze e gli strumenti delle mag-giori organizzazioni internazionali e in genere del qua-dro multilaterale, la più grandemaggiore debolezza delsistema sembra risiedere proprio nella sua incertezzae nella mancanza di coerenza interna.E’ necessario reagire a questa situazione, ricostruen-do ora, a posteriori, gli elementi di una coerenteGrande Strategia coerente da cui far discendere, perquanto possibile, la relativa pianificazione degli obiet-tivi, dei modi e dei tempi, compresa l’individuazionedegli strumenti e dei mezzi necessari ed praticabili.Ciò richiederà un forte lavoro di concertazione traalleati e all’interno delle organizzazioni ed alleanzeinternazionali: lavoro che sino ad oggi è stato sacrifi-cato al perseguimento di limitati obiettivi settoriali.Nessuno è così ingenuo da ritenere che sia possibileattendere i tempi necessari per una tale rielaborazio-ne strategica senza fare null’altro o abbandonando ametà gli impegni già presi. Vi è un’esigenza di conti-nuità da garantire comunque, in quanto costituisce labase minima necessaria per la difesa della sicurezzacollettiva dei nostri Paesi e il mantenimento di un livel-lo minimo accettabile di solidarietà internazionale edi consenso reciproco. Il sistema internazionale è statoin questi anni sottoposto ad una serie di brusche acce-lerazioni e mutamenti di rotta, motivatie più da ragio-ni e percezioni interne ai nostri Paesi che da oggetti-ve considerazioni sistemiche o da una spassionatavalutazione delle minacce da affrontare. Non è quin-di compiendo altre brusche correzioni di rotta che sipuò sperare di accrescere il consenso internazionale,la solidarietà tra alleati e la coerenza dell’azione.Si tratta, quindi, in questa fase di favorire, nella sta-

bilità e nella continuità degli impegni presi, una pro-gressiva razionalizzazione dell’azione strategica, indi-viduando in primo luogo gli obiettivi prioritari daaffrontare e correggendo progressivamente la situa-zione sino ad ottenere una piena coerenza strategicatra obiettivi, mezzi e azione.Quale priorità? Malgrado la molteplicità e la com-plessità delle molte minacce potenziali o in atto, siritiene che l’attenzione debba oggi concentrarsi sulproblema del terrorismo internazionale, non tanto per-ché esso costituisca la minaccia maggiore da un puntodi vista meramente quantitativo le sue effettive dimen-sioni, quantoma piuttosto:per il forte fattore di disgregazione e di instabilità cheesso alimenta nel sistema internazionale (e partico-larmente in aree di grande importanza strategica, qualiquelle del Medio Oriente, del Golfo, del Caucaso, delSud Est asiatico, dell’Africa sahariana e sub-saharia-na);per gli alti costi che esso fa pesare sulla libertà e flui-dità delle comunicazioni e degli scambi, anche per imaggiori oneri assicurativi e per gli ostacoli associa-ti al rafforzamento dei controlli;per l’alto impatto mediatico e politico che gli attenta-ti terroristici hanno sulle nostre società, in particola-re quando puntano al massacro indiscriminato.Se si concentra, in particolare, l’attenzione sul terro-rismo internazionale di matrice radicale islamica,occorre prendere atto che uno degli obiettivi primarinel mirino dei terroristi, forse secondo solo alla con-quista del potere attraverso la destabilizzazione dellapresenza occidentale nel mondo islamico, è quellodella sicurezza e delle libertà tipiche dei sistemi demo-cratici liberali, da cui il titolo sintetico dato a questodocumento. Si tratta di un fenomeno mutevole, dilungo periodo, globale, che si esprime però in millevolti locali; caratteristica questa che rende difficilel’individuazione precisa dei suoi obiettivi strategici eapre di fatto un dibattito circa la strategia di contra-sto. Risulta perciò problematico per i responsabili poli-tici stabilire quali siano i criteri per valutare l’effica-cia della risposta, anche perché il terrorismo, o megliol’azione terroristica, è uno strumento, non un nemico,né una strategia.

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La natura di questaella minaccia, fra l’altro, non è uni-voca. Essa si articola in modo molto differenziato aseconda se si prende in esame:la minaccia di origine interna e internazionale eserci-tata in aree di importanza strategica diverse dall’Europao dagli USA (in particolare nel “grande” MedioOriente);la minaccia endogena di gruppi terroristici già pre-senti sul nostro territorio e composti sia di immigratirecenti che di immigrati di seconda o terza genera-zione o di “convertiti”;le minacce altamente distruttive basate sull’impiegodi mezzi convenzionali o non convenzionali;le minacce altamente distruttive basate sull’impiegodi armi o tecniche di distruzione di massa (nucleari,biologiche, chimiche e radiologiche).In ogni caso, secondo una logica consolidata nell’af-frontare le minacce, una efficace strategia anti-terro-rista dovrebbe articolarsi, da un punto di vista opera-tivo, in una componente difensiva ed offensiva: e inuna componente difensivaGgli obiettivi di una effi-cace strategia anti-terrorista di carattere offensivodovrebbero includere quanl’individuazione e la neutralizzazione delle organiz-zazioni terroristiche;l’intercettazione e il blocco del loro sistema di comu-nicazioni, dell’apparato logistico e dei canali di finan-ziamento;la sterilizzazione dei canali di reclutamento e la distru-zione dei campi di addestramento dei militanti; l’individuazione e la distruzione di eventuali capacitàdi minaccia e impiego di armi di distruzione di massal’individuazione e la distruzione preventiva di even-tuali capacità di minaccia o impiego di armi di distru-zione di massa;una forte azione di non proliferazione e controproli-ferazione nei confronti dei soggetti statuali.Da un punto di vista difensivo, d’altro canto, sembraquanto meno necessario:accrescere la protezione degli obiettivi critici (in par-ticolare quelli legati al normale funzionamento dellenostre società e del loro sistema economico e politi-co);rendere sempre più efficaci e tempestivi gli interven-

ti tesi a circoscrivere e limitare le conseguenze di even-tuali attentati e a ristabilire una situazione di norma-lità;diminuire tendenzialmente l’impatto del terrorismointernazionale sul buon funzionamento del sistema,sia in termini di tempi e costi sia in termini di soli-darietà e di consenso;.evitare, comunque, misure preventive di contrastoche, pur apparentemente efficaci a breve termine,potrebbero essere a lungo termine controproducentiqualora prestassero il fianco a interpretazioni che levedano come una implicita vittoria del terrorismo.Risulta evidente da quanto qui elencato che una talestrategia non può essere definita in termini puramen-te militari, né può essere ridotta ad una equazione bel-lica classica, bensì richiede la messa in comune dirisorse molto diverse (civili e militari) secondo unastrategia globale in cui le operazioni militari possonogiocare un ruolo solo marginale.Questa è una cosa non facile, che pone ai nostri Paesidifficili problemi politico-costituzionali ed operativi.Diventa, ad esempio, impossibile distinguere chiara-mente tra uno stato di guerra e uno stato di pace (anzi,non è probabilmente possibile parlare di guerra, manello stesso tempo non si può neanche fingere che ilsistema internazionale sia in pace). La lotta al terrori-smo internazionale si svolge in una situazione inter-media, di “crisi”, che crea forti tensioni sia con le pro-cedure del tempo di pace che con quelle del tempo diguerra. E’ tuttavia necessario evitare che prenda ilsopravvento una delle due logiche estreme (pace oguerra), poiché in ogni caso ciò renderebbe più diffi-cile, più costosa e meno efficace qualsiasi strategiaanti-terrorista.Da un punto di vista organizzativo, peraltro, ciò sug-gerisce la necessità di integrare operativamente stru-menti diversi tra loro (militari, di polizia, civili), secon-do logiche proprie della “grande strategia” sperimen-tata nei nostri Paesi durante i periodi di “guerra tota-le”, ma con modi e mezzi che di necessità dovrannoessere molto diversi da quelli sperimentati all’epocadella coscrizione obbligatoriamobilitazione di tutta lasocietà per combattere le “grandi guerre totali”.In questo contesto è molto importante la definizione

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di obiettivi positivi da perseguire. Nessuna operazio-ne di questa importanza può infatti sperare di averesuccesso se non riuscirà a convincere e coinvolgere lamaggioranza delle popolazioni interessate, sia all’in-terno del mondo occidentale che nei Paesi delle areepiù colpite e di maggiore importanza strategica. Si trat-ta, in pratica, di togliere l’acqua al pesce terrorista.Da questo punto di vista è certamente positivoapparedeterminante l’avvio di un discorso globale sui dirit-ti umani e civili e sull’affermazione di sistemi politi-ci democratici, a condizione naturalmente che si trat-ti di un discorso credibile e che finisca per essere per-cepito come tale dalle popolazioni direttamente inte-ressate. Ma è anche necessario allargare questo discor-so ad altri temi quali l’affermazione di una maggioreequità in campo economico, la difesa della salute edell’ambiente. In altri termini, di fronte ad un mes-saggio totalizzante come quello terrorista, è necessa-rio proiettare una risposta con un alto livello di credi-bilità e di completezza.

2. CONVIVERE COL TERRORISMO

Il terrorismo internazionale di matrice radicale isla-mica è un fenomeno mutevole, di lungo periodo, glo-bale, che si esprime però in mille volti locali. Questasua caratteristica rende difficile l’individuazione pre-cisa dei suoi obiettivi strategici e apre di fatto un dibat-tito circa la strategia di contrasto.In sostanza, risulta problematico per i responsabilipolitici stabilire quali siano i criteri per valutare l’ef-ficacia della risposta perché il terrorismo è uno stru-mento, non un nemico, né una strategia.Come detto in precedenza, Certamente, uno degliobiettivi primari del terrorismo internazionale di matri-ce radicale islamica nel mirino dei terroristi, forsesecondo solo alla conquista del potere attraverso ladestabilizzazione della presenza occidentale nel mondoislamico, è quello di distruggere ella sicurezza e dellelibertà tipiche dei sistemi democratici liberali.Pertanto, se rimane difficile definire cosa sia la vitto-ria contro questo fenomeno, si può invece essere certiche l’auto-mutilazionelimitazione del sistema politi-

co liberale, pur invocata da diverse parti nel nomedella sicurezza, rappresenti una sconfitta certa.L’eventuale adozione di misure eccezionali indiscri-minate per applicazione e durata rischierebbero infat-ti di rappresentare un regalo al terrorismo, creandouno scenario da “scontro di civiltà” e quindi la mobi-litazione delle masse islamiche.Questo non vuol dire che non debbano essere presealcune misure che limitino lo sfruttamento da partedegli avversari delle tipiche “fallevulnerabilità” pre-senti in una società aperta.Si deve essere coscienti che con l’11 Settembre 2001si è aperto un contrasto destinato a durare probabil-mente molti anni, che richiede una serie di risposte dibreve e lungo periodo, ovvero l’impostazione di unavera e propria politica di contrasto. Vanno conseguentemente rigettate misure frettolosee mal congegnate legate alla cultura dell’emergenzao dettate dalla tendenza’esigenza populista di “mostra-re i muscoli”. Vi sono, invece, una serie di politiche efficaci nel con-trasto a questo fenomeno che si possono intraprende-re senza stravolgere le libertà civili ed individuali.Sicurezza e libertà non sono due termini in contrasto,anzi: in quanto ad effetti. Infatti la sicurezza garanti-sce unla vera libertà e l’affermazione dei principi dilibertà garantisce che la sicurezza non sia fine a sestessa o ad un progetto di dominio, ma strumentale algodimento dei diritti civili e alla libertà economica.Però le misure di sicurezza, aumentando controlli eregole, comprimono lo spazio di libertà.Le misure di lungo periodo riguardano un mix di poli-tica estera e di difesa e di politiche interne e di gestio-ne dei fenomeni migratori.La politica estera deve negare per quanto possibile dei“safe heavens” ai terroristi, ovvero zone in cui si pos-sano impunemente basare, addestrare, condurre poli-tiche di ideologizzazione e reclutamento su vasta scala.E’evidente che tale obiettivo è perseguibile non a livel-lo nazionale, ma solo tramite la collaborazione dei tra-dizionali alleati occidentali, nonché delle popolazio-ni e leadership non radicali dei paesi potenzialmentecoinvolti nel fenomeno.La politica mediorientale deve perseguire attivamen-

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te lo spegnimento dei focolai di crisi che pur indiret-tamente favoriscono o “giustificano” l’operato di soste-gno ideologico alla causa del terrorismo islamico.In questo quadro, il rifiuto della logica dello scontrodi civiltà può contribuire a neutralizzareridurre la fortecarta identitaria giocata della minoranze radicali. La politica interna non può essere basata solo su misu-re di polizia, controllo e repressione, che pur vannomarginalmente rafforzate, procedendo in particolaread una razionalizzazione complessiva degli apparatidi sicurezza.La politica dell’immigrazione deve puntare ad uUnragionevole controllo del flusso migratorio, teso agarantire l’effettiva integrazione dei soggetti coinvolti,anziché la loro marginalizzazione in nome del mitodel multiculturalismo, contribuirebbe al rafforzamen-to degli anticorpi necessari per evitare la propagazio-ne del radicalismo armato nelle minoranze etnico/reli-giose presenti in Europa. Va, però, tenuto presente che,solo se accompagnata dal contrasto verso la propa-ganda estremista, questa politica potrebbe impedireo, per lo meno, ridurre significativamente il recluta-mento all’interno dell’ormai ampia presenza di immi-grati islamici presenti in Occidente. In particolare, ènecessario impedire che, sotto la copertura della pro-fessione religiosa, nelle moschee e nei luoghi di aggre-gazione si svolgano azioni di propaganda e recluta-mento a favore del terrorismo islamico.Dal punto di vista tattico, il fenomeno va contrastatoessenzialmente con azioni di intelligence, rivolte piùalla prevenzione del crimine che non alla sanzionedello stesso secondo i criteri tipici dell’investigazio-ne giudiziaria. Ciò coinvolgerà essenzialmente l’in-telligence, senza trascurare la possibilità di, e checomunque possano costituire premessa di operazioni“covert” di “intervento chirurgico” qualora la situa-zione dovesse aggravarsi.In ogni caso, va perseguitoa, possibilmente a livelloeuropeo ed internazionale, nonostante la sua eviden-te difficoltà dato che i terroristi per gli uni sono com-battenti per la libertà per altri, il chiarimento della por-tata giuridica del fenomeno terroristico, teso a ridur-re l’attuale discrezionalità interpretativa della una defi-nizione giuridicamente uniforme di “terrorismo”, in

modo da evitare i dubbi espressi da parte della magi-stratura sul considerare “terroristi” i guerriglieri.Le infrastrutture critiche e i nodi sensibili delle retivannoGli obiettivi sensibili possono essere parzial-mente “induriti”, pur sapendonella consapevolezzache la sicurezza assoluta è impossibileun miraggio ela difesa deve essere studiatale misure di prevenzio-ne vanno attuate in termini di rapporto fra costi e bene-fici. In quest’ottica si dovrebbero riportare alla pienaefficienza alcune infrastrutture “protette” realizzatedurante la guerra fredda e poi trascurate per ragionidi costo.La miglior difesa è dinamica e legata alla prevenzio-ne dell’attacco, individuando i possibili perpetratori,piuttosto che perseguendo la difesaprotezione “a piog-gia” di ogni possibile obiettivo, troppo costosa e ten-denzialmente irrealizzabile senzasenza anche se siimporrenesse un qualche tipo di “stato di polizia”.Sul piano tattico non sembrano esistonoere misure dideterrenzaprevenzione e contenimento completamenteefficaci, in particolare di fronte ad fenomeni di attac-chi suicidi, ma anche, più in generale, poiché difen-dere un obiettivo rende più facile l’attacco ad un altro..Si deve poi agire per moderare i danni nel caso in cuiun attacco venga portato a segno con successo. Si trat-ta non solo di limitare le perdite umane e i danni mate-riali, ma anche e soprattutto gli effetti psicologiciimmediati e di lungo periodo.In tal senso, è cruciale l’impostazione di una strategiadi comunicazione istituzionale di emergenza che servaa contrastare il panico, rassicurare la popolazione ecreare un clima di fiducia nelle istituzioni che possaarginare iniziativereazioni emotive.Le autorità dello Stato (e, in particolare, la Presidenzadel Consiglio, datao l’inevitabile natura interministe-riale sia della fase preventiva, sia dell’eventuale fasesuccessiva ad una crisi) devono essere pronte all’e-venienza e mantenere il completo controllo della situa-zione.In quest’ottica andrebbe perseguita a tal fine la messaa punto di un codice deontologico, basato sull’ade-sione volontaria dei mezzi di comunicazione di massa,teso a garantire un’informazione quanto più comple-ta e obiettiva, ma scevra da sensazionalismi e inizia-

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tive che, amplifichinoando il fenomeno, stimolandoi-no o favorendo iniziativeanche reazioni incontrolla-bili da parte della popolazione e amplifichino il ter-rore, facendo il gioco dei terroristi.La cultura della sicurezza si crea con una strategiadella comunicazione istituzionale che deve operarecontinuativamente ed essere rivolta, con modalità dif-ferenziate, a tutti i settori della popolazione. I mezzidi comunicazione devono essere coinvolti in una cam-pagna di prevenzione e di diffusione di una culturadella sicurezza non allarmistica. Di qui l’opportunitàdi organizzare anche una serie di incontri con i diret-tori delle testate per concordare le modalità per la dif-fusione delle informazioni nell’eventualità di un attac-co terroristico e, soprattutto, per preparare la popola-zione alla realtà degli attentati. I danni e le perdite chepossono provocare sono trascurabili di fronte ai piùgravi incidenti ricorrenti come ad esempio quelli auto-mobilistici (nei soli Stati Uniti 45000 morti all’annocontro i circa 3000 dell’11 settembre). E’ in gran parte responsabilità del sistema politicogarantire che ciò avvenga, impegnandosi a sua voltaa mantenere un comportamento responsabile e, soprat-tutto, a non strumentalestrumentalizzare eventualiattentati in un’ottica elettorale. Un accordo informa-le fra maggioranza e opposizione in una logica bi-par-tisan darrebbe un preciso segnale al Paese e costitui-rebbe una solida base per far sì che la gestione di un’e-ventuale crisi potesse svolgersi con maggiore effica-cia e senza dannose ed inutili polemiche.Per ora il terrorismo è di tipo convenzionale e produ-ce danni dello stesso ordine di grandezza delle gran-di catastrofi naturali o antropiche (gli incidenti indu-striali come quello di Bhopal o Cernobyl). Se, però,riuscisse a disporre di WMD-Weapon MassDistruction, diventerebbe apocalittico.Dato l’impatto potenzialmente devastante di un attac-co sul piano economico, si devono prevedere una seriedi misure tese a supportare la fiducia del sistema finan-ziario e produttivo in seguito all’evento.L’impostazione di regole note, condivise dagli opera-tori economici, dovrebbe garantire l’assorbimento dicontraccolpi anche duri, quali potrebbero essere quel-li generati da un attacco catastrofico, potenzialmente

anche con armi non convenzionali.Inoltre, va rivista la politica delle assicurazioni, garan-tendo una maggiore e migliore copertura integrativada parte della collettività, pur nel rispetto della logi-ca di mercato. Attualmente, in Italia invece,(a diffe-renza degli altri maggiori paesi europei che hanno sta-bilito specifiche leggi in materia e degli Stati Unitidove dal 2002 è in vigore il TRIA-Terrorism RiskInsurance Act) non è stato risolto il problema dellacollaborazione pubblico-privato per far fronte al rischioterrorismo). lLa quasi totalità delle coperture assicu-rative verso le persone e verso i beni materiali noncoprono eventi di questa natura, facendo ricadere suisingoli o su interventi pubblici mirati il costo di ognieventuale risarcimento. Una politica preventiva e dilungo periodo, distribuita su tutta la comunità, comepotrebbe essere realizzata attraverso l’estensione dellecoperture assicurative, ridistribuirebbedepotenzierebbele conseguenze economiche negative degli attacchiterroristici, riducendone l’impatto complessivo.Le misure sinora esposte, pur nella loro generalità, siriferiscono specificatamente alla realtà italiana. Lladimensione internazionale del fenomeno, però, impo-ne che vi sia uno stretto collegamento non solo fra lerisorse nazionali, ma anche a livello internazionale.La sistematizzazione delle forze operanti in Italia (strut-ture di intelligence, apparati di polizia e vigilanza,magistratura, sistemi di gestione delle crisi, difesa civi-le…) è quanto mai necessaria non solo per garantirel’efficacia e l’efficienza del sistema di contrasto nazio-nale, ma anche per consentire unala corretta collabo-razione con gli omologhi apparati degli alleati.La cooperazione internazionale è un elemento irri-nunciabile per il successouna strategia di vittoria; ledivisioni politiche ed operative fra i possibili paesicoinvolti non possono che generare una distinzionefra obiettivi “duri” e “morbidisoffici”, offrendo quin-di maggiori opportunità ai terroristi.In generale, la strategia terroristica si configura comeuna tattica asimmetrica dal debole al forte che puòessere contenuta e sconfitta con misure razionali diprevenzione, gestione e limitazione del danno. Lasconfitta del terrorismo deriva dall’isolamento e dalprogressivo prosciugamento dell’area nella quale reclu-

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ta i suoi adepti, in modo che le loro perdite superinoi rimpiazzi e diminuisca il numero di fiancheggiatorie di simpatizzanti.Il miglior alleato del terrorismo sono le nostre ineffi-cienze e le nostre paure: una politica responsabile deveessere capace di agire su questi due fronti ridurre lopernegare ai nemici ogni spazio di manovra delle orga-nizzazioni terroristiche all’interno delle nostre società.

3. IL QUADRO EUROPEO

La caratterizzazione internazionale del nuovo terrori-smo impone una risposta che necessariamente trava-lichia i confini nazionali.Tenuto conto degli obiettivi di questo terrorismo, lLasolidarietà euro-atlantica deve rimanere alla base diogni iniziativa politica ed operativa di contrasto. Daquesta angolazione, quindi, è comprensibile come E’questo uno dei motivi per cui gli Stati Uniti vedaonocon preoccupazione le divisioni fra paesi europei el’attuale fase di incertezza in cui sono caduti i 25 acausa dei problemi insorti nella ratifica del TrattatoCostituzionale firmato a Roma.Si deve quindi evitare che il rallentamento dell’inte-grazione politica e istituzionale dell’Unione Europeapossa avere un impatto negativo sulla cooperazionein materia di sicurezza e difesa, quanto mai necessa-ria alla luce delle nuove sfide internazionali alla sta-bilità, tradizionali e di nuovo tipo.L’esigenza determinata dalla lotta al terrorismo inter-nazionale richiede anzi di anticipare alcune misurepreviste dal Trattato -Costituzionale, tramite decisio-ni unanimi del Consiglio Europeo o, al limite, inizia-tive ad hoc supportate da un nucleo ristretto di paesi“willing and able”, pur in una logica inclusiva e cioèaperta a unadi successiva integrazione nell’acquiscommunautaire.Si dovrebbe rendere operativa la “Clausola diSolidarietà” prevista dal Trattato, definendo una seriedi misure pratiche che trasformino il suo forte signi-ficato politico in un risultato tangibile e visibile agliocchi dei cittadini europei. Lo sviluppo logico dellaclausola di solidarietà dovrebbe portare alla costitu-

zione in ambito europeo di una struttura comune conelevata capacità antiterroristica, costituita dal pooldelle forze speciali dei diversi Partners. A somiglian-za di quanto deciso ad Helsinki per il Corpo d’ArmataEuropeo per gli interventi di tipo Petersberg, anche inquesto caso si dovrebbe procedere definendo:compiti;struttura e composizione dell’Unità da costituire;organismi di gestione a livello politico ed a livellomilitare;tempi di approntamento per l’intervento;durata dell’impegno;tempi di realizzazione;modalità d’intervento.Si dovrebbe poi procedere a definire i contributi offer-ti dai singoli Partners (offerte di capacità) ed alla pro-gressiva messa a punto dello strumento secondo itempi di realizzazione previsti.L’integrazione nel settore della difesa prosegue comun-que sia all’interno della logica comunitaria che tra-mite iniziative intergovernative fra i Paesi europei piùcoinvolti.L’Agenzia Europea Difesa è, forse, l’esempio più pro-mettente di anticipazione di una struttura prevista dalTrattato, a condizione che venga e andrebbe sfruttatointeramente il suo potenziale di motore dell’integra-zione operativa ed industriale delle realtà nazionali,attualmente frammentate.La messa a sistema delle diverse realtà nazionali è unodei nodi di una riforma del settore della sicurezza edifesa in Europa, divenuta irrinunciabile alla luce deipiù recenti avvenimenti.Si deve poi proseguire nello sviluppo di iniziative disettore più limitate, ma di grande interesse, quali lacooperazione delle forze operative e di quelle di poli-zia militare, come la Gendarmeria Europea.A livello intergovernativo va ricordato lo sforzo dicooperazione fra le Marine Militari per il monitorag-gio del Mediterraneo, misura necessaria per la sicu-rezza anche in funzione antiterroristica e di controllodell’immigrazione clandestina dalla sponda sud delMediterraneoi fenomeni migratori.Le attività di natura non strettamente militare che rica-dono sotto il cappello nell’ambito della sicurezza

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hanno visto recentemente anche un maggiore attivi-smo da parte della Commissione Europea. Si tratta diun settore nuovo per le Istituzioni europee, le quali,pur con qualche difficoltà iniziale, stanno convogliandorisorse economiche di una certa entità a favore del-l’operatività del concetto di sicurezza del cittadinoeuropeo.I programmi allo studio sono orientati al contrasto delfenomeno terroristico, in particolare nella sua dimen-sione tecnologica.Un ulteriore settore di competenza europea, oltre chenazionale, riguarda le politiche di non proliferazionedi armi nucleari, chimiche e batteriologiche. E’ sempre più necessario rilanciare il rafforzamentodella cooperazione e del consenso politico interna-zionale nella lotta al terrorismo: l’Unione Europeadeve posizionarsi come credibile attore di sicurezza,migliorando i suoi tradizionali meccanismi d’attra-zione, essenzialmente di natura economica ed istitu-zionale, e dotandosi di quegli strumenti operativi anchedi natura militare di cui ancora non dispone in misu-ra adeguataa sufficienza. Le iniziative di difesa sononecessarie, ma non sufficienti e certamente non foca-lizzate al contrasto al terrorismo.Bisogna quindi favorire le iniziative già in corso disviluppo di una politica di sicurezza comune, che agi-sca nei settori della prevenzione, controllo, coopera-zione di polizia e giudiziaria e soprattutto condivisio-ne di intelligence a tutti i livelli.Il rapporto transatlantico, fondamento della sicurez-za comune, beneficerebbe largamente di un Europaunita, forte e capace. Anzi, volendo considerare ilmezzo-pieno del bicchiere europeo piuttosto che quel-lo mezzo-vuoto lasciato dalla mancata ratifica delTrattato Costituzionale, si potrebbe addirittura giun-gere al paradosso che il rallentamento dell’integra-zione politico-istituzionale dell’Unione porterà ad unsostanziale miglioramento delle relazioni transatlan-tiche. La politica di difesa europea, pur con lentezza, staevolvendo positivamente, anche a prescindere dalleformule (Berlin-plus) e dalle ratifiche dei trattati. Ciòvale da Saint Malo, e Amsterdam e Helsinki in avan-

ti, e i progressi compiuti confermano che il processoè costante. Il tutto può essere guardato di buon occhioda Oltre Atlantico, dove certamente si vedono i van-taggi di una maggiore capacità militare europea, senzadovere per questo pagare lo scotto, anche economico,di trovarsi di fronte un’Europa graniticamente unitasotto il profilo politico, e quindi potenzialessibile con-corrente. E’ una situazione che potrebbe affrancare gliStati Uniti da parte dei propri doveri “in and aroundEurope”, consentendo loro di dedicare maggiori risor-se al restante scenario mondiale. E, forse, favorireanche una loro maggiore disponibilità nella cessioneai paesi europei di tecnologie e know-how.Gli Stati Uniti guardano con attenzione alle risorse eagli sforzi che gli europei mettono in campo nel set-tore della difesa per contenere il gap esistente fra ledue sponde dell’Atlantico, ritenendo questi elementigli indicatori chiave della serietà del vecchio conti-nente a proporsi come affidabile partner nel settoredella sicurezza. In buona sostanza, volendo conside-rare il mezzo-pieno del bicchiere europeo piuttostoche quello mezzo-vuoto lasciato dalla mancata ratifi-ca del Trattato Costituzionale, si potrebbe addiritturagiungere al paradosso che il rallentamento dell’inte-grazione politico-istituzionale dell’Unione, qualoraprosegua però il processo volto a sviluppare le capa-cità militari comuni, porterà ad un sostanziale miglio-ramento delle relazioni transatlantiche.

4. I RISCHI PER L’ITALIA

E LE AZIONI DA INTRAPRENDERE

Nel nuovo scenario di minaccia globale control’Occidente e i suoi valori anche l’Italia si trova espo-sta ad un maggiore livello di rischio. Lo è in quantoparte della comunità occidentale e in quanto presen-ta, come gli altri paesi già colpiti da azioni terroristi-che, le condizioni oggbbiettive e soggettive perchépossa avvenire.Viviamo in una società aperta che, in quanto tale, assi-cura un’ampia libertàpossibilità di movimento sul ter-ritorio e attraverso i suoi confini e di comunicazione.

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Sta diventando una società multietnica in cui la pre-senza sul territorio di immigrati legali e illegali offremaggiori occasioni di contatti e di reclutamento, oltrea creare l’indispensabile retroterra logistico per ognieventuale azione terroristica. E’ meta di forti flussituristici, il che contribuisce a rendere più difficile l’at-tività di prevenzione in quanto deve risultare compa-tibile con le conseguenti esigenze di movimento e devemisurarsi con una più facile mimetizzazione deglieventuali attentatori.Sul piano operativo l’Italia sconta soprattutto tre limi-tazioni:l’irrisoltoil mai risolto problema della molteplicità

delle forze di polizia e di una loro attività e direzioneintegrata;il mancato potenziamento ed efficientamento dei ser-vizi e la loro riqualificazione per far fronte alle nuoveminacce;un quadro giuridico che non favorisce l’incisività delleazioni preventive e che è reso più vulnerabile da uncerto bizantinismo giudiziario, più o meno ideologi-cizzatopoliticizzato, che vede troppo spesso prevale-re la forma sulla sostanza e che prevede un sistema digaranzie difficilmente compatibili con la lotta al ter-rorismo, quale, fino all’estate scorsa, la poco chiaradistinzione fra terroristi e guerriglieri.Fino all’11 settembre tutto era più semplicechiaroall’interno del binomio “Sicurezza e Difesa”. Sebbenesi intravedessero già allora le aree di sovrapposizio-ne cui abbiamo già fatto cenno, “sicurezza” aveva unsuo significato, che era diverso da quello di “difesa”.Dopo l’11 settembre è opportuno intendersi megliosul linguaggio, perché una difformità di interpreta-zione potrebbe portare a difformità di provvedimen-ti, considerato che le aree di sovrapposizione sonosicuramente aumentate non solo tra i compiti delleforze dedicate all’una o all’altra funzione, ma anchenello stesso interno di ciascuna funzione. Persino discutendo di Europa può ancora capitare disentir equivocare tra PESC e PESD, mentre qui da noiil solo pronunciare i due termini del binomio portaancora la nostra mente ad una netta suddivisione traaree di competenza, con le Forze di Polizia ,e SISDEe Protezione Civile che vanno automaticamente a col-

locasi nell’isola “Ministero degli Interni”, mentreSISMI e Forze Armate, con circa 20.000 dei 116.000Carabinieri, restano nell’isola “Ministero della Difesa”. Immaginiamo poi la Presidenza del Consiglio, che tut-tavia non dispone di un organo adatto e permanente,che elabora le direttive per temperare le sovrapposi-zioni, esaltare le sinergie, disseminare le informazio-ni utili ad entrambe le funzioni, coordinandone le atti-vità concorrenti. La “guerra totale” al terrorismo ha però complicatodi molto attività e competenze, rendendo vitale, peresempio, lo scambio di informazioni tra le due fun-zioni in tempo reale, evidenziando l’esigenza di un’or-ganizzazione informativa orizzontale, a retecompla-nare piuttosto che verticalizzata. Già da questo lanecessità di un riordino risulta evidente, come pureevidente risulta che ciò è impossibile senza un usogeneralizzato delle cosiddette InformationTechnologies e senza un preliminare censimento delleAgenzie e delle categorie di attività dove è necessa-rio intervenire con mezzi aggiornati allo stato dell’arte,per renderle colloquianti ed immediatamente “leggi-bili”. E’ un lavoro lento, paziente, costoso e difficile, cuituttavia non è possibile sottrarsi, pena il pericolo dirimanere vittime di una massa di informazioni pre-ziose, che probabilmente contengono tutti i dati diinteresse, ma che rimangono negli archivi e nellememorie dei computers per incapacità di analisi com-parata in tempo reale. Una situazione del genere deveessere accaduta negli Stati Uniti l’11 settembre se,subito dopo, conosciute dolorosamente alcune chiavidi lettura, in pochissimi giorni è stato possibile risali-re a nomi, date ed eventi. Non si tratta, tuttavia, di un discorso che riguarda,come potrebbe in prima analisi sembrare, la disponi-bilità di particolari tecnologie. E’ un discorso cheriguarda cultura, mentalità e strutture. Le tecnologieesistono, e sono già in possesso o comunque accessi-bili anche alla nostra industria. Il problema è che nonsembrano inquadrate in una strategia nazionale onm-nicomprensiva, in qualcosa di simile ai concetti che,negli Stati Uniti, hanno condotto agli studi effettuaticon largo supporto dell’industria, delle Università e

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degli Istituti specializzati, studi sfociati poi nella deci-sione di costituire un apposito dipartimento per laHomeland Security. Senza una strategia che serva daindirizzo comune almeno per l’applicazione delle tec-nologie già note si rischia di disperdere risorse edaccontentarsi di scarsi risultati, come appunto sta acca-dendo in Italia, pur disponendo, come abbiamo giàricordatoosservato, di un addetto alla Sicurezza media-mente ogni 100 abitanti. Abbiamo considerato tutti ed in più occasioni, anchenelle precedenti edizioni del documento curatoe dalComitato Difesa 2000, come la particolare natura dellaguerra globale al terrorismo renda indispensabileaffrontare le tematiche operative, siano esse di poli-zia o militari, con fantasia e spirito innovativo, nellaconsapevolezza che dobbiamo pianificare non solocome conseguire la capacità di affrontare le minaccepresenti, o quelle più probabili, ma anche quelle impre-vedibiliignote, o meno probabili, che potrebbero pre-sentarsi in un futuro che non conosciamo, ma che dob-biamo sforzarci di immaginare. Se ne siamo convin-ti e la volontà di fare c’è davvero, allora anche noi,pur nei nostri limiti, dobbiamo avere il coraggio didarci degli obiettivi e coordinare tutte le risorse, mate-riali e di pensiero, per mettere ordine e d avviare gliadattamenti indispensabili, compresi quelli culturalie strutturali. Ciò che è possibile fare in termini di razio-nalizzazione nell’area della Difesa lo si sta facendo,con risultati già osservabili, ma non è solo la difesa adover essere “razionalizzata”. In effetti, sembra menoaccessibile alla nostra conoscenza, presumibilmenteper la particolare delicatezza del settore, ciò che si stafacendo o si intenderebbe fare per eliminare le fasciedi sovrapposizione, adattare alle nuove esigenze efinalmente razionalizzare anche le aree della Sicurezzae dei Servizi. Vero è che ultimamente abbiamo vistodei risultati significativi, per quanto riguarda gli aspet-ti operativi, anche nelle azioni preventive anti-terro-rismo e, specie tra le forze dsi polizia “con le stellet-te”, si notano sforzi e progressi assai interessanti nel-l’ambito del Comitato di Coordinamento. E’ però dif-ficile cancellare l’impressione che si tratti più dellabuona volontà e dello spirito di collaborazione dei sin-goli operatori, piuttosto che di nuovi assetti struttura-

li derivanti da una effettiva presa di coscienza nazio-nale.A questi elementi di debolezza si è aggiunta più recen-temente un’accentuazione della polemica interna sullapresenza delle nostre Forze Armate in Iraq. Mentre èevidente che la scelta di contribuire alla ricostruzio-ne di un quadro di stabilità in Iraq aumenta la nostravisibilità, non è sostenibile che questa sia questa l’u-nica causa di rischio. O, meglio, potrebbe tendenzial-mente diventarlo proprio nel momento in cui si doves-se dare all’esterno l’impressione che, in caso di scon-fitta elettorale dell’attuale maggioranza nella prossi-ma primavera, vi sarebbe un immediato ritiro dellenostre truppe. In questo caso, secondo il modello giàsperimentato in Spagna, si offrirebbe un ulteriore spe-cifico incentivo ad un attacco di tipo terroristico con-tro obiettivi italiani. Fermo restando il diverso giudi-zio sull’opportunità di mantenere una presenza mili-tare, sarebbe auspicabile un atteggiamento di grandeprudenza nel manifestare la volontà di attuare una exitstrategy che rischierebbe di assumerebbe i connotatidi una fuga da parte del nostro paese e destabilizze-rebbe la situazione in Iraq e nella coalizione..Quest’ultimo problema ripropone, più in generale, iltema della mancanza di una cultura della sicurezzache dovrebbe basarsi innanzi tutto sulla definizionedegli interessi nazionali e sulla loro assimilazionecome patrimonio indivisibile della nostra comunità.Quello che manca sembra essere soprattutto la con-sapevolezza dell’ineluttabilità del processo di globa-lizzazione e della conseguente necessità di accettaretutte le sfide che implica. Fra queste, vi è anche l’interdipendenza del quadrostrategico la cui stabilità rappresenta anche un preci-so interesse nazionale. Di qui la necessità di esseredisponibili a offrire comunque un forte contributo alsuo mantenimento. Ciò non significa necessariamen-te che questo contributo debba avvenire necessaria-mente tramite un intervento di tipo militare, ma, nellostesso tempo, non lo può escludere. Si tratta in sostan-za di essere coerenti nella scelta dei comportamenticon quanto stabilito dal capitolo VII dello Statuto delleNazioni Unite che prevede “anche” l’intervento arma-to su decisione del Consiglio di Sicurezza nei con-

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fronti di chi, Stato, organizzazione, movimento, rap-presenti una minaccia immanente alla pace ed allasicurezza della società mondiale. E, comunque, ogniintervento ha un costo che la comunità nazionale deveaffrontare.Si è, invece, allargata nel nostro paese una concezio-ne “isolazionista” sempre più concentrata sui proble-mi interni, in un’ottica che privilegia il particolare sulgenerale. All’interesse nazionale viene così contrap-posto quello locale fino ad arrivare a quello indivi-duale nell’illusione di poter sfuggire alle conseguen-ze della globalizzazione. Ma qui non si tratta di unadiversa impostazione etica e politica. Bisogna com-prendere che la sicurezza è globale o semplicementenon esiste e che la sicurezza è il presupposto di ogniforma di sviluppo economico e sociale. E’, quindi,verso una radicata consapevolezza del rapporto frasicurezza e sviluppo che dovrebbero essere concen-trati gli sforzi per costruire una più chiara identifica-zione degli interessi nazionali.Se la sicurezza è un nostro interesse primario, biso-gna assegnarle la giusta priorità in termini di obietti-vi da perseguire e di attenzione nell’attività politica.Parlamento e governo non sembrano fino ad ora averoperato in questa direzione. La politica di sicurezza edifesa raccoglie poca attenzione ancor prima che pococonsenso. Il dibattito si accende, per lo più a livelloemozionale invece che razionale, solo in occasionedi attentati che ci ricordano l’esistenza del terrorismoo delle decisioni sul proseguimento della nostra par-tecipazione militare ad operazioni di mantenimentodella pace. Prima di affrontare operativamente i pro-blemi connessi con le nuove minacce bisognerebbe,quindi, fare crescere nel paese e nei decisori politicila consapevolezza della strategicità della sicurezza perla sopravvivenza del nostro sistema di vita e di valo-ri. Senza di essa risulta molto difficile, se non impos-sibile, ipotizzare che si possano superare le resisten-ze ai necessari cambiamenti organizzativi e giuridici-legislativi e che vi siano destinate le necessarie risor-se umane e finanziarie. La tutela della sicurezza presenta, infatti, per il nostropaese un duplice profilo di intervento: quello della suaimpostazione e gestione e quello della sua messa in

opera.Vi sono, quindi, numerosi nodi ancora da sciogliere.In prima approssimazione si possono ricordare:Una migliore organizzazione dell’attività del gover-no, puntando a rafforzare il ruolo del Presidente delConsiglio dei Ministri e a definire più chiaramente leresponsabilità in termini di sicurezza/difesa civile/pro-tezione civile.Il potenziamento dell’attività di supporto alle deci-sioni, creando presso la Presidenza del Consiglio unanuova struttura che sia la base di un sistema decisio-nale nazionale in grado di avvalersi anche delle capa-cità delledelle di tutte le singole Amministrazioni edorganismi (in pratica un Consiglio per la SicurezzaNazionale a carattere interministeriale); questo sup-porto dovrebbe avere un carattere di continuità e for-nire costantemente elementi di valutazione, nonchésimulazioni sulle conseguenze delle minacce alla sicu-rezza e delle scelte governative sia sul piano strategi-co, sia su quello tattico, nonché definire le strategie,anche di comunicazione istituzionale, da adottare.L’impostazione di una politica dell’informazione perfronteggiare crisi ed emergenze che contemperi il dirit-to all’informazione con la necessità di evitare allar-mismi e panicoreazioni incontrollabili.La definizione di un più chiaro quadro giuridico pertutto ciò che attiene l’attività di prevenzione e repres-sione del terrorismo, sia sul territorio nazionale, sia inambito internazionale. La predisposizione di un quadro di tutela economicacontro le conseguenze delle azioni terroristiche chene limiti la portata attraverso una distribuzione col-lettiva e temporale dei costi e la creazione preventivadi fondi utilizzabili in caso di necessità.L’attribuzione di adeguate risorse al comparto dellasicurezza e difesa in un quadro di programmazionecerta, evitando un triplice rischio: quello degli inter-venti contingenti volti solo a sanare le carenze più evi-denti, quello di trasferire risorse dagli equipaggiamential personale dimenticando che l’efficienza è data daun loro rapporto equilibrato e, infine, quello di tra-sferire risorse dalla difesa (strumento militare) allasicurezza (forze di polizia) dimenticando che la minac-cia non è né esterna, né interna, ma globale.

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La riorganizzazione dei Servizi in modo da assicura-re una maggiore efficienza anche attraverso il coor-dinamento delle attività sul territorio nazionale e all’e-stero, nel campo della sicurezza e in quello della dife-sa; in quest’ottica risulterà indispensabile una diver-sa politica di reclutamento e di crescita professionalein modo da valorizzare adeguatamente le capacità indi-viduali.La riorganizzazione delle forze di polizia (Carabinieri,Polizia di Stato, Guardia di Finanza, GuardiaCostiera) sviluppando una logica interforze analogaa quella delle Forze Armate, anche se inevitabilmentelimitata dalla divisione in più Amministrazioni. Nonva, infatti, dimenticato che, sulla carta, le dimensio-ni delle nostre forze di polizia ci collocano ai primiposti delle classifiche internazionali con circa unuomo ogni cento abitanti. Ma questo non si traducein una presenza più capillare perché vi ostano nume-rosi fattori: eccessivi compiti burocratici, eccessivarigidità nell’impiego del personale, eccessivo utiliz-zo delle scorte, duplicazioni e sovrapposizioni nel-l’impiego di uomini e negli equipaggiamenti fra lediverse forze con una preoccupante tendenza alla

concorrenza soprattutto nei sistemi di maggiore com-plessità, squilibrio nella distribuzione territoriale. Inquest’ottica sembrerebbe, inoltre, utile predisporreun “Libro Bianco” sulla sicurezza che fornisca alParlamento e all’opinione pubblica un quadro piùpreciso delle attuali forze, della loro organizzazio-ne, dei mezzi a disposizione e della loro attività. Suquesta base sarebbe più facile avviare un confrontosulle azioni da intraprendere per aumentare l’effi-cienza di questo settore.Si deve prendere atto che, nonostante siano passatiquattro anni dall’11 settembre, stenta ancora a pren-dere corpo la consapevolezza dei rischi che stiamo cor-rendo e della necessità di adottare tutte le misure neces-sarie per prevenirli o attenuarne la portata o gestirli nelmomento in cui dovessero concretizzarsi. Una notapositiva è venuta dall’approvazione del pacchetto dimisure presentate dal Ministro degli Interni, ma l’e-lenco delle azioni da intraprendere è ancora lungo e,purtroppo, supera quello dei problemi risolti.Non è un compito della maggioranza, qualunque essasia, ma dell’intero paese. Ma, soprattutto, è un com-pito che non può essere ulteriormente rinviato.