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Rapporto di ricerca Percezione del livello d’integrazione dei Cittadini immigrati residenti sul territorio dell’Ambito Sociale XX (Comuni di Porto Sant’Elpidio, Sant’Elpidio a Mare e Monturano) Anno 2004

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Rapporto di ricerca

Percezione del livello d’integrazione dei Cittadini immigrati residenti

sul territorio dell’Ambito Sociale XX (Comuni di Porto Sant’Elpidio, Sant’Elpidio a Mare e Monturano)

Anno 2004

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INDICE 1. Premessa: le motivazioni della presente ricerca pag. 3 2. Scelta della metodologia di ricerca e del campione pag. 4 3. Elaborazione dei dati quantitativi 3.1. Un quadro generale pag. 6 3.2. I motivi della presenza (tipologia del permesso di soggiorno) pag. 12 3.3. Gli immigrati e il lavoro pag. 13 3.4. Gli immigrati e l’istruzione pag. 19 3.5. Le principali richieste pervenute agli sportelli immigrati pag. 21

3.6. Cosa manca pag. 23 4. Elaborazione dei dati qualitativi 4.1. I motivi della migrazione pag. 24 4.2. Le aspettative pag. 25 4.3. Il tempo libero pag. 26 4.4. I figli pag. 26 4.5. La religione pag. 26 4.6. La comunità di appartenenza pag. 27 5. Conclusioni. Dalle criticità a possibili percorsi. pag. 28 5.1. Supporto alla creazione di un’associazione multietnica pag. 33 5.2. Sostegno all’implementazione del Piano Regionale pag. 35 5.3. Organizzazione di momenti di formazione o approfondimento culturale pag. 37 5.4. Revisione dell’intervento di sostegno scolastico pag. 38 5.5. Avvio di progetti di cooperazione decentrata allo sviluppo pag. 39 5.6. Considerazioni finali pag. 43 6. Appendici

1) Il modello d’intervista semistrutturata pag. 45

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2) Alcune tabelle e dati disaggregati pag. 49 3) Il progetto accoglienza e sostegno linguistico pag. 54 4) Numeri utili per l’immigrazione pag. 75

1. Premessa: le motivazioni della presente ricerca La cooperativa Nuova Ricerca.Agenzia RES adempiendo al mandato d’implementazione delle schede progettuali di massima facenti parti della precedente programmazione del Piano di Zona dell’Ambito XX, ha deciso di dare il proprio contributo, nell’universo delle politiche proponibili in tema d’immigrazione, cercando di approntare una risposta in un certo senso “olistica”, onnicomprensiva. Oggigiorno, in un territorio, come quello dell’Ambito XX, appunto, portatore di un’esperienza d’immigrazione ormai consolidata, ci sembra anacronistico continuare a progettare servizi ad hoc, di stampo prettamente assistenziale, completamente scollegati nella gestione (perché facenti capo a soggetti diversi del pubblico o del terzo settore che parlano linguaggi differenti) e disancorati da qualsiasi tipo di pianificazione “strategica” dell’ente pubblico, quindi per niente connessi con l’attività programmatica di altri settori (produttivo, urbanistico ecc.). Considerando inoltre che, a parte le differenze linguistiche e culturali, gli stranieri sono portatori degli stessi bisogni degli autoctoni (casa, lavoro, cura dei figli ecc..), non ha più senso fare dei distinguo netti all’interno dell’erogazione dei servizi sociali fra quelli per immigrati e non. Prendendo lo spunto dalle indicazioni di obiettivi e risultati esplicitati all’interno di due schede progettuali dell’ultimo Piano di zona, quelle più collegate al tema Immigrazione (e cioè Vicinato Culturale e Mediazione e Garanzia Casa), si è cercato di creare le premesse per una reale integrazione della società civile (non solo straniera, ma anche quella autoctona comprensiva delle nuove fasce deboli); integrazione che passa attraverso forme di partecipazione attiva alla vita del territorio, coerentemente con lo spirito che informa la L.328/2000. Il fenomeno immigrazione è trasversale a tutti gli altri temi abitualmente gestiti dall’amministrazione pubblica che dovrebbe essere ormai pronta ad intraprendere approcci di programmazione strategica nella gestione del proprio territorio. Per definizione la strategia è concettualmente opposta ad interventi assistenzialistici volti esclusivamente ad arginare le urgenze, dedicando per contro meno attenzione al supporto di quei processi relazionali in grado di creare un sano tessuto sociale che possa esso stesso essere il punto di riferimento per la presa in carico di possibili situazioni di disagio. Nella realtà si è riscontrato che alla fine il bisogno sociale emerge, a volte anche in modo irruente, proprio perché la situazione non è stata affrontata a monte con la dovuta lungimiranza. I nostri enti pubblici, i soggetti privati, le scuole, il volontariato, le famiglie, tutti ormai si sono abituati a considerare la questione della presenza degli stranieri come un aspetto strutturale e stabile e non più transitorio, quindi il livello di maturità (oltre implicare una maggiore conoscenza di culture “altre”) è tale da legittimare un’istituzione (in quanto

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rappresentante essa stessa delle istanze della società di cui tutela gli interessi) ad osare azioni innovative, accompagnando importanti processi di cambiamento sociale finalizzati alla costruzione di una società “civile” che meriti di essere definita tale. Nel portare a termine il mandato assegnatoci si è cercato di porre le basi per futuri discorsi istituzionali che andassero nel senso sopra spiegato. Pensiamo che la vera svolta si abbia introducendo, per la gestione del tema, l’istituto del “coordinamento” il cui valore aggiunto consiste nel mettere in rete le risorse già presenti sul territorio, evitando inutili e dispendiose duplicazioni d’interventi, valorizzando le specifiche competenze di ciascun soggetto, a diverso titolo coinvolto nel mondo dell’immigrazione e per questo portatore di una precisa expertise. E’ chiaro che si avrà bisogno anche di azioni concrete per intervenire sul territorio, ma queste dovrebbero essere il risultato di un fine lavoro di assemblaggio, che aggiunge poco a quello che è già disponibile in forma sparsa. Il lavoro principale da portare avanti dovrebbe essere proprio finalizzato alla costituzione e alla manutenzione di una rete permanente. 2. Scelta della metodologia di ricerca e del campione Per poter proporre con cognizione di causa, interventi innovativi nel campo delle politiche sull’immigrazione, preliminarmente abbiamo elaborato il seguente impianto di ricerca che si compone da una parte di indagini desk (condotta cioè su ricerche, dati, mappature e statistiche già prodotte da altri soggetti) e da un’altra di indagini field (interviste a referenti chiave, focus group e soprattutto intervista semistrutturata). La metodologia adottata per la ricerca svolta è stata quella della ricerca-azione attraverso la quale si vuole associare all’obiettivo generale conoscitivo di reperire informazioni su un determinato argomento, quello più specifico, concreto ed operativo di cambiare in itinere l’entità del problema stesso oggetto della ricerca, attraverso un accompagnato processo di “attivazione” delle risorse in campo, coinvolte nel percorso d’indagine. Nel nostro caso, ad esempio, si è voluto indagare rispetto al concetto d’integrazione percepito dagli stranieri residenti sui tre comuni dell’ambito territoriale xx e, lungo il cammino di ricerca, si è cercato di implementare micro-azioni concrete che andassero ad influenzare una particolare accezione di integrazione che soggettivamente viene data (qualcuno si può sentire integrato per il solo semplice fatto di parlare la nostra lingua, altri si sentono integrati dal punto di vista dell’inserimento nel mercato del lavoro ecc…). La metodologia della ricerca-azione è implicitamente portatrice di un potenziale emancipatorio (in termini di cittadinanza attiva e sviluppo di comunità) che mal si concilia con le classiche impostazioni di ricerca date dagli ambienti accademici, in cui l’adeguatezza statistica, l’impostazione formale e ufficiale precludono qualsiasi forma di flessibilità operativa per garantire quel rigore scientifico richiesto in determinati ambienti.

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La nostra scelta ha voluto invece valorizzare il percorso messo in atto piuttosto che i numeri che ne vengono fuori. Di solito dietro ai numeri ci sono le persone ed è proprio su questo punto che viene posta l’enfasi adottando un approccio di ricerca-azione, metodologia particolarmente cara agli ambienti della cooperazione sociale e dell’associazionismo volontario, proprio per il suo valorizzare il substrato relazionale. Non c’è emancipazione se non c’è attivazione, protagonismo in prima persona, il mettersi in gioco. Ed è proprio per questo che abbiamo deciso di intraprendere la ricerca nel modo che andiamo a descrivere qui di seguito: Innanzitutto si sono ripresi i contatti attivati nel corso del precedente mandato all’interno dello staff dell’Ambito XX che è stato caratterizzato principalmente da una mappatura di quanto esiste e si fa sul territorio in tema d’immigrazione. Partendo dai servizi, dai progetti e dalle persone che vi stanno dietro e che ne permettono la vita, abbiamo cominciato ad entrare più nel dettaglio. Innanzitutto abbiamo condiviso l’impostazione della ricerca, costituita, a grandi linee, da una parte di raccolta di dati quantitativi attraverso i soggetti preposti (amministrazioni pubbliche, forze dell’ordine, associazioni ecc..) e dall’altra di esposizione dei dati “qualitativi” rilevati attraverso un’intervista semistrutturata (si veda allegato 1) che abbiamo somministrato ad un campione di stranieri. Con i nostri interlocutori ci siamo innanzitutto confrontati rispetto alla reperibilità dei dati quantitativi (alcuni di loro, provenendo da servizi pubblici, ci hanno garantito l’accesso alla propria banca dati, altri ci hanno indicato la via più agevole per raccogliere dati di un certo tipo) per poi chiedere loro un supporto attivo e concreto nella fase di realizzazione delle interviste. Il motivo di questa scelta, oltre che finalizzato a raccogliere condivisione intorno all’iniziativa in modo da prevenire qualsiasi forma di boicottaggio (anche fosse semplice non collaborazione), è da ricercarsi nel fatto che ognuno di loro è inserito in una rete relazionale caratterizzata da quel minimo di fiducia che si costruisce con il passare del tempo e con l’aumento delle occasioni di contatto reciproco, e che facilita l’apertura in situazioni “particolari” come è il concedere un’intervista sulla propria esperienza migratoria ed in generale sul proprio vissuto. In questo modo è stato inoltre più facile rendere eterogeneo il campione degli intervistati che abbiamo cercato di estrapolare da diversi contesti: quello dell’associazionismo religioso, quello del mondo sindacale, quello dei quotidiani e normali rapporti di vicinato di casa, quello dei servizi socio-sanitari, quello dei corsi di formazioni ecc… Questo perché nostra intenzione era quella di dar voce a differenti tipologie di immigrati: quelli appena arrivati, come quelli in apparenza talmente integrati da vederli inseriti come protagonisti nel contesto economico locale (non solo ambulanti, ma veri e propri imprenditori, gestori di società di import-export o edilizie, ecc.) o addirittura nelle organizzazioni italiane (il caso più palese è quello dei sindacati, nei quali non è raro incontrare uno straniero che ricopre incarichi di responsabilità).

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In particolare ci hanno aiutato nella somministrazione, divenendo così parte attiva del team di ricerca, i referenti degli sportelli informativi immigrati nei tre comuni, gli insegnanti di italiano L2 per adulti, il referente del Centro Polivalente Provinciale per l’immigrazione (istituito con la L.R. 2/98), un referente della comunità islamica facente capo al Centro di Cultura Islamica di Campiglione. Questo coinvolgimento capillare, in un’ottica di sistema, significa anche possibilità di contaminazione reciproca che a lungo termine facilita l’adozione di strategie condivise e coordinate. 3. Elaborazione dei dati quantitativi 3.1. Un quadro generale1 L’Italia è stato l’ultimo paese industrializzato ad essersi confrontato con l’immigrazione estera. Infatti solo nel 1980 inizia a diventare uno sbocco per i flussi in partenza dai paesi del Sud del Mondo e l’attrazione per il nostro paese cresce man mano che negli altri paesi europei vengono varate delle legislazioni restrittive. L’immigrazione nelle Marche, per di +, è un fenomeno abbastanza recente, come si può dedurre dai dati relativi all’anzianità del soggiorno: rispetto al 59% degli immigrati che risiedono in Italia da più di 5 anni, le Marche hanno una percentuale inferiore, pari al 52,6%.A fronte di una media nazionale del 31,6% di immigrati residenti da più di 10 anni, in regione la percentuale scende sotto il 25%, mentre i nuovi ingressi nel biennio 2000-2001, che sono il 15,8% a livello nazionale, superano il 19%. In questi ultimi anni si registrano i maggiori cambiamenti nella qualità dell’immigrazione nelle Marche: si riscontra infatti una forte presenza di persone che scelgono la residenza stabile con la propria famiglia. Anche per questo l’immigrazione va considerata non più un fenomeno emergenziale, bensì una dimensione strutturale della società marchigiana, che comporta da parte della politica, degli amministratori e degli operatori sociali un’attenzione maggiore. L’evoluzione dell’immigrazione nelle Marche I primi studi sul fenomeno, attorno alla metà degli anni Ottanta, rivelavano nella Regione una immigrazione composta per lo più da greci e medio-orientali, che giungevano principalmente per motivi di studio universitario e superiore. Negli ultimi venti anni sono mutate tanto le motivazioni quanto la composizione etnica della popolazione straniera. Dopo la fase iniziale, il flusso migratorio nelle Marche è stato plasmato dalle provenienze del nord-Africa, in particolare dalla Tunisia e dal Marocco, per trovare lavoro nei pescherecci di San Benedetto del Tronto o di Ancona o nel commercio ambulante lungo le spiagge della costa adriatica da Pesaro a Senigallia. 1 Questo paragrafo è tratto, per la parte che si riferisce all’immigrazione nelle Marche in generale, all’ultimo Dossier Statistico Immigrazione 2004 di Caritas/Migrantes.

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La fase attuale, giunta dopo l’imponente regolarizzazione prevista dalla Bossi-Fini alla fine del 2002, ha disegnato una nuova geografia della popolazione immigrata e ha modificato parzialmente la tendenza alla crescita della quota dei permessi di soggiorno per motivi familiari. Lo stadio odierno migratorio è caratterizzato dall’aumento consistente delle provenienze dai Paesi dell’Europa Centro-Orientale da dove gli immigrati giungono non solo alla ricerca di un’occupazione ma anche per ricongiungersi con un familiare. Secondo la stima elaborata dal Dossier Statistico Immigrazione, all’inizio del 2004 la popolazione immigrata nelle Marche arriva ad un totale di 80.608 persone che, rapportato alla popolazione complessiva pari a 1.504.827, si esprime in una percentuale del 5.3%. L’esame delle prime dieci comunità mostra che metà appartengono all’Est Europa, tre provengono dal continente africano e due da quello asiatico. Gli albanesi si confermano la comunità più numerosa con 10.791 immigrati (16% del totale) seguita, con un certo distacco, dai marocchini con 7.336 unità. Crescono, divenendo la terza comunità, i cittadini di originari della Romania con 5.583 persone. Con la L.R. 2 marzo 1998, n.2 “Interventi a sostegno dei diritti degli immigrati”, la Regione Marche ha ritenuto “di garantire agli immigrati provenienti dai paesi non appartenenti all’Unione Europea ed alle loro famiglie condizioni di uguaglianza con i cittadini italiani nel godimento dei diritti civili” e di “rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che ne impediscono il pieno inserimento nel territorio marchigiano. Con questa legge, ritenuta fra le più democratiche di Europa anche perché direttamente voluta, promossa e redatta dalle associazione d’immigrati marchigiane, la nostra Regione ha preso coscienziosamente atto del progressivo insediamento e quindi stabilizzazione dei ceppi migratori nel nostro territorio. Da una ricerca effettuata per una tesi di laurea in Sociologia dello Sviluppo “Immigrazione e servizi alla persona. Il caso della Provincia di Ascoli Piceno” di Alessandro Pompei, si delinea una situazione provinciale in cui, pur essendo salvaguardato solo in parte l’accesso ai servizi alla persona, siamo lontani da forme eclatanti di esclusione e marginalità sociale: un accesso difficile soprattutto nel servizio di alloggio popolare (seguito dall’ufficio di collocamento e dai servizi sociali), per il quale la burocrazia è la principale causa e lo svantaggio economico il principale condizionamento. Nel territorio dell’Ambito XX, come nel resto della nostra Regione, convivono immigrazione stabile2, con problematiche ed aspettative di seconda accoglienza e flussi migratori di più recente intensificazione, con bisogni legati prevalentemente ad esigenze di “prima” accoglienza. Per quanto riguarda il contesto socio demografico del territorio non possiamo tralasciare di accennare un discorso ad hoc, per le peculiarità etnico strutturali, del quartiere Lido Tre Archi, che pur ricadendo sotto la giurisdizione dell’Ambito IXX, quello di Fermo, è geograficamente confinante con Porto Sant’Elpidio, paese

2 Ricordiamo che dalla ricerca è scaturito che il 68% è sposato o convive. Di questi alcuni non sono ricongiunti con la propria famiglia, ma esprimono il desiderio di farlo al più presto. Tale indicazione è confermata dall’ulteriore dato secondo cui il 62% degli immigrati dichiara di voler restare a Fermo per sempre.

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in cui molti stranieri lì residenti conducono la loro vita lavorativa e sociale. Oltre a questo, a Lido Tre Archi si trova una sede decentrata del Centro Polivalente Provinciale di Grottammare con cui abbiamo fortemente collaborato per portare avanti questa ricerca. Sempre a Lido Tre Archi, infine, ci sono diverse attività commerciali “etniche”, gestite da stranieri, che facilitano il reperimento di prodotti tipici (soprattutto gastronomici ma non solo) e che quindi esercitano un forte richiamo. Il quartiere-sobborgo si trova sulla costa nord della periferia fermana ed è caratterizzato da un tessuto sociale molto eterogeneo con consistenti sacche di esclusione sociale. Oltre alla presenza di fenomeni di degrado quali droga, prostituzione e delinquenza, il luogo è anche concentrazione delle maggiori comunità immigrate del territorio, provenienti dalle più disparate nazionalità che, per il solo fatto di vivere lì, vengono trattati con la più totale diffidenza e pregiudizio. Culture, religioni, tradizioni e abitudini relazionali diverse convivono al margine fra la legalità e l’illegalità. Il quartiere manifesta una sorta di connotazione ghettizzante la quale preclude spesso qualsiasi tipo d’integrazione, resa ancor più difficile dal forte spirito di appartenenza al gruppo e dal considerare due o tre referenti (opinion leader) come intermediari ufficiali fra la cultura di provenienza e quella di accoglienza. Tale prerogativa di leadership viene direttamente attribuita in virtù della presenza sul territorio da diverso tempo e quindi della maggiore conoscenza linguistica e dei processi socio-relazionali che caratterizzano la comunità d’accoglienza. Si è voluto accennare alla realtà di Lido Tre Archi perché speriamo che in un futuro prossimo le due amministrazioni dell’Ambito XX e XIX realizzino in maniera concertata interventi sperimentali sulla zona, costruiti intorno al concetto di “comunità accogliente” e della presa in carico da parte dell’intera rete di stakeholder attivati e coordinati. Per promuovere una “cultura dell’accoglienza”, occorre spiegare il senso e il significato collettivo di una politica sull’immigrazione, occorre interrogarsi su quali regole sono necessarie in una società multietnica e multiculturale come la nostra, ripensare e rivedere i limiti delle politiche sociali, in particolare di quelle socio-assistenziali. Per far questo è indispensabile tener presente che ciascun individuo è portatore di problematiche e bisogni specifici, ed il miglior progetto di accoglienza è quello che riesce ad adattarsi all’unicità di ogni singola persona. Nel 2004, secondo gli uffici anagrafi dei tre comuni, la quota di cittadini stranieri presenti residenti in ognuno di essi è stata la seguente:

Porto Sant’Elpidio: 1524 (771 femmine e 753 maschi) Sant’Elpidio a Mare: 807 (397 femmine e 410 maschi) Monturano: 490 (233 femmine e 257 maschi).

I seguenti grafici mostrano la distribuzione numerica degli stranieri iscritti all’anagrafe dei tre paesi dell’Ambito divisi per paese di provenienza: come si può notare la comunità più numerosa è quella

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albanese nei comuni di P.S.Elpidio e Sant’Elpidio a Mare mentre a Monturano è quella marocchina (con una percentuale del 41% sul totale degli stranieri residenti).

300

20%

208

14%

199

13%

173

11%

100

7%

60

4%

54

4%

503%

362%

344

23%

050

100150200250300350

Albania India

Marocc

o

CinaRom

ania

Ucraina

Polonia

Tunisi

aMac

edon

ia

Altro Paesi di origine

Distribuzione anagrafica per paese d'origine degli immigrati residenti nel Comune di Porto Sant'Elpidio - anno 2004

203

41%

109

22%

43

9%

296%

245%

163% 66

13%

0

50

100

150

200

250

Mar

occo

Alba

nia

Cina

Rom

ania

Mac

edon

ia

Sri L

anka

Altro

Paesi di origine

Distribuzione anagrafica per paese d'origine degli immigrati residenti nel Comune di Monturano - anno 2004

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157

19%

139

17%

134

17%

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5%

26

3%

21

3%

20

2%192%

182%

120

15%

020406080

100120140160

Albania India

Maroc

co

CinaRom

ania

Algeria

Pakist

anTu

nisia

Ucraina

Maced

onia

Altro

Paesi di origine

Distribuzione anagrafica per paese di origine degli immigrati residenti nel Comune di Sant'Elpidio a Mare - anno 2004

Ci sembra importante considerare anche la distribuzione della popolazione straniera per fasce d’età in quanto può rappresentare un punto di riferimento per informare futuri interventi territoriali (siano essi culturali, sociali, economici, formativi o quant’altro).

Distribuzione anagrafica per fasce d'età degli immigrati residenti nel Comune di Porto Sant'Elpidio - anno 2004

9%13%

27%

47%

3%

1%

0-67-1516-2930-6061-75oltre

9

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Distribuzione anagrafica per fasce d'età degli immigrati residenti nel Comune di Sant'Elpidio a Mare - anno 2004

8%12%

26%53%

1%0%

0-67-1516-2930-6061-75oltre

Distribuzione anagrafica per fasce d'età degli immigrati residenti nel Comune di Monturano - anno 2004

12%

13%

23%

49%

3%

0%

0-67-1516-2930-6061-75oltre

Come si può notare la maggioranza della popolazione, in tutti e tre i comuni, è compresa entro la fascia produttiva, quella compresa fra i 30 e i 60, (dimostrando, quindi la necessità di porre attenzione alle politiche a sostegno delle famiglie), anche se una grossa percentuale è rappresentata dalla categoria “under 30” a cui si rivolgono tutti gli interventi previsti da leggi sull’infanzia e l’adolescenza. Quindi oltre ad offrire stimoli per la pianificazioni di azioni di animazione e di aggregazione, è auspicabile che l’istituzione consideri il dato anche per investire nello sviluppo di queste risorse a livello educativo e formativo. 3.2. I motivi della presenza (tipologie dei permessi di soggiorno)

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A livello regionale, secondo i dati della Caritas, esaminando i motivi del soggiorno, emerge che il 57% è stato rilasciato per lavoro subordinato. Si tratta di una percentuale superiore di quasi dieci punti rispetto sia al 2002 che al 2001 quando si arrestò intorno al 48%. Ciò è da ricondurre senz’altro alla regolarizzazione dei circa 14.000 immigrati avvenuta nel 2002. Nel 2003 la percentuale di permessi di soggiorno per lavoro autonomo è stata del 3,6%. Ricordiamo che con l’introduzione della legge Bossi-Fini il permesso di soggiorno viene concesso solo allo straniero che ha già un contratto di lavoro ed ha durata massima di due anni. Se l' immigrato perde il lavoro e non riesce a farsi fare un contratto di lavoro entro sei mesi dovrà tornare in patria, o andrà a ingrossare le file degli irregolari. I permessi di soggiorno per motivi familiari sono passati dal 36% nel 2002 al 30,6% nel 2003. Il ricongiungimento famigliare è stato fortemente ristretto da parte della legge Bossi - Fini, non soltanto per quanto riguarda i soggetti non destinatari dell’esercizio di questo diritto, ma più ancora nella prassi. Come in passato, il cittadino extracomunitario, in regola con i permessi, può chiedere di essere raggiunto dal coniuge, dal figlio minore, o dai figli maggiorenni purché a carico e a condizione che non possano provvedere al proprio sostentamento. Una restrizione è invece avvenuta per il ricongiungimento con i propri genitori che può avvenire solo se questi hanno compiuto i 65 anni e se nessun altro figlio possa provvedere al loro sostentamento. Il grafico che segue mostra la distribuzione dei permessi di soggiorno rilasciati nel 2004 (tot. 2.526) dalla Questura di Fermo ai cittadini stranieri residenti nei tre comuni dell’Ambito XX. Come si può notare a livello locale viene confermata la tendenza riscontrata su scala regionale e cioè che la quota maggiore di permessi rilasciati è per motivi di lavoro subordinato (1423) seguita da quelli per ricongiungimento familiare (878). 121 permessi di soggiorno rilasciati per motivo di lavoro autonomo dimostrano la progressiva integrazione, almeno dal punto di vista dell’emancipazione economica, degli immigrati presenti sul territorio.

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Permessi di soggiorno Ambito Territoriale XX

8 2 6 35

1423

12112

878

32 7 1 10

200400600800

1000120014001600

Affidam

ento

Adozio

ne

Attesa

citta

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Attesa

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Motivi

familia

ri

Reside

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Richies

ta as

ilo po

litico

Motivi

religi

osi

Attività

sport

iva

3.3. Gli immigrati e il lavoro Secondo il rapporto annuale 2004 dell’Agenzia Regionale Marche Lavoro (ARMAL), le Marche riescono ancora ad avere una discreta crescita occupazionale (+1,81%), anche se in alcuni settori specifici si rende evidente un rallentamento della produzione ed un calo di occupazione. Ciò si riscontra particolarmente nell’agricoltura, nel settore calzaturiero, nel tessile e nel mobile. Anche nelle costruzioni, rispetto alla crescita italiana, si ha un calo di occupazione. Tengono, ed anzi presentano un leggero incremento, l’industria di trasformazione, i servizi ed il commercio. Diminuisce sensibilmente l’offerta di lavoro a tempo indeterminato rispetto alle occupazioni temporanee, aumenta in maniera considerevole l’occupazione femminile (+10% dal 2000 contro il +2,5% maschile). C’è una tendenza, sia pure ancora debole, verso lo studio superiore e universitario che fa crescere l’attesa di una occupazione più qualificata. Tuttavia il fabbisogno delle imprese resta ancora, in gran parte, incentrato sul lavoro manuale a basso contenuto professionale. Nel 2003, 25.284 immigrati si sono attivamente inseriti nel mercato del lavoro regionale, di cui 20.736 (39,6% donne) a tempo indeterminato e 4.548 a tempo determinato (46,4% donne). Si riscontra che 4 settori contengono il 40% di tutte le assunzioni avvenute nel 2003 e sono il ramo della ristorazione e degli alberghi con 2.303 assunzioni (+223), quello dell’edilizia con 2.275 (-59), quello dell’agricoltura con 1.428 (+209), dell’industria conciaria con 1.278 (-102) e infine quello dell’industria dei metalli con 1.199 avviamenti (+167). Dopo questa veloce carrellata sui dati regionali, andiamo a guardare in dettaglio la situazione lavorativa degli immigrati residenti sul territorio dell’Ambito XX.

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Paesi di origine degli iscritti al Centro per l'Impiego di Fermo degli immigrati residenti nei tre paesi dell'Ambito xx - anno 2004

Marocco 31%

Albania 16%India 9%

Romania 6%

Cina 5%

Jugoslavia 3%

Polonia 3%

Tunisia 3%

Algeria 2%

Russia 2%

Ucraina 2% Altro 19%

Nel 2004 gli iscritti stranieri al Centro per l’Impiego di Fermo sono stati 1338 (di cui 564 femmine e 774 maschi) la cui suddivisione per comunità d’appartenenza è quella riportata nel grafico precedente. Sarebbe stato inoltre interessante effettuare un confronto con la quota di iscritti degli anni passati per poter azzardare delle astrazioni. Andiamo invece a considerare le assunzioni degli immigrati all’interno del sistema produttivo locale analizzando i dati dell’Armal aggiornati all’anno 2002.

Assunzioni complessive registrate nei tre comuni dell'Ambito Territoriale XX

1.703 1.6611.937 1.889

1.554

157 135 161 244394

2.1331.948

1.860 1.7962.098

0

500

1.000

1.500

2.000

2.500

1998 1999 2000 2001 2002 Anno

ItalianaStranieraTotale

Dal grafico precedente si nota che, pur essendo gli italiani l’80% della forza lavoro totale impiegata all’interno delle imprese del territorio dell’Ambito XX, facendo un confronto temporale, dal ‘98 la variazione nelle assunzioni di italiani si aggira intorno al -9%, mentre la variazione nelle assunzioni di stranieri è intorno al +60%.

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I due grafici seguenti mostrano il primo la quantità di stranieri assunti nelle imprese dei tre comuni considerati nell’intervallo di tempo cha va dal 1998 al 2002, e il secondo la distribuzione degli stessi secondo il paese di origine nel solo anno 2002.

Assunzioni di lavoratori stranieri TOTALI registrate nei tre comuni dell'Ambito Territoriale XX

243 231

95

206 196

286

412 394

6866527972

90

143

60

907754

74

050

100150200250300350400450

1998 1999 2000 2001 2002 Anno

Monte UranoPorto Sant'ElpidioSant'Elpidio a MareTotale

Provenienza degli stranieri assunti nel 2002 e residenti nei tre comuni dell'Ambito Territoriale XX

103

8138151514

12

119

MaroccoAlbaniaIndiaRomaniaAlgeriaCinaPoloniaAltro

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Assunzioni di lavoratori stranieri residenti nei tre comuni dell'Ambito Territoriale XX divisi per fasce d'età - anno 2002

9%13%

49%

24%

4% 1%

15 - 1920 - 2425 - 3435 - 4445 - 54oltre

Il grafico precedente mostra che nell’anno 2002 la percentuale maggiore (49%) degli stranieri assunti nelle imprese dei tre comuni dell’Ambito XX, aveva un’età compresa fra i 25 e i 34 anni, seguita un 24% con età compresa fra i 35 e i 44 anni e un 13% fra i 20 e i 24, a dimostrazione della giovane età della forza lavoro immigrata attualmente occupata nei nostri settori produttivi.

Assunzioni degli stranieri residenti nei tre comuni dell'Ambito Territoriale XX divise per settori produttivi - anno 2002

1%

80%

19%

Settore primario

Settore secondario

Settore terziario

Interessante, e rappresentativo del nostro territorio, è notare che all’interno delle assunzioni nel settore secondario (della produzione industriale propriamente detta) il 77% è impiegato nella produzione della calzatura (considerando anche l’indotto). Nel terziario, invece, il 30% è occupato in attività di ristorazione.

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Avremmo voluto approfondire ancor di più questo aspetto chiedendo ai sindacati la suddivisione dei propri iscritti immigrati fra le varie categorie, ma la CISL è stata l’unica a rispondere. La CGIL di Fermo stima che fra i propri iscritti la percentuale degli stranieri dovrebbe oscillare tre l'8% e il 10% ma non hanno mai provveduto ad una raccolta dati sistematica ed organizzata da permettere poi un'analisi successiva, anche se è una cosa che è in cantiere da diverso tempo. In ogni caso, riportiamo i dati trasmessi dalla CISL anche se insufficienti per trarre delle considerazioni complessive. Immigrati iscritti alla CISL di Ascoli (dati del novem.2004) Categoria Num.FILCA - settore costruzione e legno 60 F.A.I. - agricoltura/alimentaristi 65 FISASCAT - commercio-terziario 15 FIM - metalmeccanici 6 FEMCA - tessile moda chimici 169 ANOLF3 516 Altro 7

838

Per supplire alla incompletezza dei dati, abbiamo cercato di ottenere maggiori informazioni dal responsabile del Centro Polivalente Provinciale di Ascoli Piceno, il quale ci ha descritto la seguente situazione4:

I Macedoni ed Albanesi sono impiegati soprattutto nel settore dell’edilizia molti dei quali in proprio; Dei Marocchini presenti un 80% è occupato nel settore calzaturiero e il restante 20%

principalmente in quello metalmeccanico; I Cinesi si sono inseriti soprattutto nel commercio in proprio (ambulante e non) e nella produzione

per conto terzi; I Rumeni (si tratta soprattutto di presenze femminili) sono impiegate per un 60% nel settore

dell’assistenza domiciliare e il rimanente 40% in quello industriale e turismo (ristoranti); I lavoratori Nigeriani e Ivoriani sono così suddivisi: 50% settore del trasporto, 20% calzaturiero,

30% metalmeccanico Gli Indiani, invece, trovano occupazione soprattutto nel settore dell’informatica e tessile.

3 L’Anolf è l’associazione d’immigrati di emanazione CISL che si occupa di favorire l’integrazione dei cittadini immigrati nel tessuto sociale, culturale ed economico italiano. Solitamente gestisce sportelli informativi per immigrati e corsi di formazione. 4 I dati riportati sono frutto di una stima personale del responsabile del Centro Polivalente derivante dal fatto di avere a disposizione i dati (anche se non strutturati e sistematizzati) degli utenti del Centro che, ricordiamo, si occupa soprattutto di sostenere le attività formative della provincia per la categoria degli immigrati e di facilitare l’incontro della domanda e offerta di lavoro per la stessa categoria.

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50 6 2

184152

0

50

100

150

200

Apprendistato

Contratto formazione

Lavoro a domicilio

Tempo determinato

Tempo indeterminato Contratto

Assunzioni di lavoratori stranieri residenti nei tre comuni dell'Ambito Territoriale XX divisi per tipologia contrattuale - anno 2002

Dal grafico precedente, in cui sono indicate le tipologie contrattuali attraverso cui vengono assunti gli immigrati nelle imprese del territorio dell’Ambito XX, risulta che la percentuale maggiore è costituita dal contratto a tempo determinato, seguita (con meno di 30 punti di differenza) dal contratto a tempo indeterminato. Questo riteniamo possa essere un buon indicatore del livello d’integrazione lavorativa dei cittadini stranieri nel tessuto economico locale. Ancor più rappresentativo di questo fenomeno sarebbe stato il rilevare il numero e la tipologia di attività autonome gestite direttamente da imprenditori e/o artigiani immigrati, ma purtroppo fra le associazioni di categoria l’unica che ci ha fornito i dati è stata la CNA di Fermo.

Iscritti alla CNA di Fermo

Porto Sant’Elpidio 52

Sant’Elpidio a Mare 35

Monturano 12

89

E’ interessante notare che il 90% degli iscritti è parimenti suddiviso fra i due macrosettori dell’edilizia (tinteggiatura, muratura, carpenteria, cartongesso, ecc..) e dell’indotto del calzaturiero (tomaifici, suolifici, orlatrici ecc..). Il restante 10% rappresenta l’aspetto creativo ed originale degli artigiani extracomunitari: ricordiamo una manutenzione giardini e potature a Monturano, un laboratorio di oreficeria e un’impresa di lucidatura mobili a Sant’Elpidio a Mare nonché una tolettatura per piccoli animali domestici, una confezione di abiti, una pizza d’asporto, una carrozzeria, un barbiere e infine un trasportatore di merci su strada, questi ultime attività tutte a Porto Sant’Elpidio. La Confocommercio di Porto Sant’Elpidio ci ha comunicato che fra i suoi iscritti ci sono 5 marocchini (2 proprietari di call center, 1 di un bazar e 2 venditori ambulanti, uno di abbigliamento e l’altro di alimentari) e 2 cinesi (1 titolare di un negozio di calzature e 1 di un negozio di abbigliamento); ci sono inoltre pratiche in

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corso per slavi e nigeriani ma siccome molto spesso, una volta aperta la ditta, non continuano i rapporti tenendo la contabilità presso la stessa associazione, i dati precisi rimangono indefiniti. 3.4. Gli immigrati e l’istruzione Tutti e tre i comuni dell’Ambito XX hanno riconosciuto l’importanza di favorire l’integrazione dei bambini immigrati all’interno delle scuole del territorio e per questo cofinanziano, insieme all’istituzione scolastica, interventi di sostegno linguistico rivolti ai bambini immigrati, le cui famiglie ne facciano richiesta. Il Comune di Porto Sant’Elpidio gestisce questo servizio appaltandolo alla cooperativa sociale Nuova Ricerca.Agenzia RES che mette a disposizione personale appositamente formato per insegnare italiano a bambini stranieri, mentre gli altri due comuni si limitano a trasferire dei fondi alle scuole che poi utilizzano nei modi più congeniali (di solito incaricando personale interno).

Numero di alunni stranieri che accedono al servizio di sostegno linguistico nelle scuole dell’Ambito XX (AS 2003/2004)

Elementari Paese Numero Porto Sant'Elpidio 101 Sant'Elpidio a Mare 63 Monturano 56 220

Medie Paese Numero Porto Sant'Elpidio/ Monturano*

67

Sant'Elpidio a Mare 44 111

Superiori Paese Numero Porto Sant'Elpidio 40 Sant'Elpidio a Mare 28 Monturano 68

*le due scuole medie hanno stessa direzione didattica quindi il numero indicato è riferito ai due plessi.

Le tabelle sopra esposte (costruite con i dati forniti dal CSA di Ascoli Piceno) indicano il numero di alunni immigrati che hanno usufruito del sostegno linguistico nell’AS 2003/2004 nei tre comuni divisi fra scuola elementare, media e superiore. La nazionalità prevalente di questi ragazzini è quella cinese. Delle scuole considerate quasi tutte portano parallelamente avanti un discorso di animazione interculturale in chiave laboratoriale, alcune volte gestendolo internamente, altre avvalendosi delle risorse messe a disposizione dell’Ambito XX. Il secondo Circolo di P.S.Elpidio ha inoltre organizzato diversi momenti d’aggiornamento per i propri insegnanti specificatamente sui temi dell’interculturalità e della didattica in chiave interculturale.

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L’unico neo rilevato all’interno dell’istituzione scolastica è la mancata presenza di mediatori culturali in momenti topici dell’anno scolastico come sono quelli dell’accoglienza iniziale e consegna pagelle. Oltre al sostegno linguistico garantito ai bambini immigrati nelle scuole, i Comuni dell’Ambito XX pongono particolare attenzione anche al fatto che anche gli adulti abbiano pari opportunità di accedere a percorsi formativi (principalmente di italiano come L2) che facilitino la loro integrazione nella società civile di accoglienza, pur considerando le maggiori difficoltà che il rivolgersi ad un pubblico adulto comporta (prima fra tutte la disponibilità di tempo, che quindi obbliga l’organizzazione di corsi serali). Dei tre comuni dell’ambito l’unico a non occuparsi direttamente di insegnamento della lingua italiana agli adulti è quello di Monturano: in realtà essendo gli immigrati qui residenti principalmente marocchini (quindi di religione islamica) essi fanno riferimento alle attività organizzate dal Centro di Cultura Islamica a Campiglione che, oltre che di religione, si occupa anche della formazione dei propri membri: per i bambini vengono predisposti corsi sulla lingua e cultura del proprio paese di origine e per gli adulti, insieme al Centro EDA della scuola media Leonardo da Vinci, vengono invece organizzati corsi d’italiano come L2 (in un’edizione ne è stato organizzato uno solo per donne, gestito da un’insegnante anch’essa donna, per mediare le differenze culturali). A Porto Sant’Elpidio i corsi d’italiano come L2 sono gestiti dall’Anolf e sono attivi dall’A/S 2002/2003 (verificare la veridicità della data con Rita).

Nazionalità iscritti corso L2 a Porto Sant’Elpidio AS 2003/2004 (ente gestore ANOLF)

cina 19% polonia 14% argentina 11% india 10% ucraina 4% albania 3% marocco 3% altro 37%

Nel 2004 su 72 iscritti (la cui nazionalità è indicata nella tabella qui sopra) 39 sono state donne e 33 uomini. Il 58% degli iscritti aveva età compresa fra i 20 e i 40. Delle 39 donne solo 10 erano occupate (3 domestiche, 2 lavori stagionali, 3 operaie), le rimanenti disoccupate (precisamente 19, quasi tutte le polacche e argentine) e casalinghe (7, fra cui tutte le cinesi). Dei 35 uomini solo 5 erano disoccupati (comunque con meno di 24 anni, quindi plausibilmente ancora in fase post-scolastica), su 18 operai il 61% era impiegato nel settore calzaturiero. Il titolo di studio degli iscritti in questo anno scolastico è abbastanza elevato: più della metà ha la licenza media, molti hanno la licenza superiore ma, non essendo equipollente al medesimo titolo acquisito in Italia,

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nella sostanza è privo di valore (a meno che non s’intraprenda un procedimento di conversione del titolo di studio che passa per forza per l’Ambasciata e che richiede quindi tempi lunghi). A Sant’Elpidio a Mare i corsi d’italiano L2 per adulti sono stati sperimentati per la prima volta nell’A/S 2003/2004 e sono stati gestiti dal Centro EDA della Scuola Media Leonardo da Vinci di Fermo che, comprendendo quest’attività insieme ad altre legate alla formazione degli adulti all’interno del proprio mandato, organizza i corsi gratuitamente chiedendo all’amministrazione locale la sola messa a disposizione degli spazi formativi. In questa prima sperimentazione, che ha riscosso pieno successo tra gli immigrati del Comune che ne hanno richiesto edizioni successive, su 31 iscritti ci sono state 23 donne di cui 9 occupate, 7 casalinghe e 7 disoccupate. Il 48% di queste è di nazionalità marocchina. Gli uomini iscritti erano invece tutti occupati tranne uno studente ed anche fra questi la nazionalità più rappresentata era quella marocchina (tutti tranne un pakistano). 3.5. Le principale richieste pervenute agli sportelli immigrati Tutti e tre i Comuni dell’Ambito XX hanno stipulato una convenzione con l’ANOLF per la gestione di uno Sportello Informativo Immigrati che, oltre a fornire informazioni e consulenza sugli aspetti legali derivanti dallo status di immigrato (ricongiungimenti familiari, rinnovo permessi di soggiorno, ricordi amministrativi ecc…), supportano gli altri uffici comunali dando indicazioni sui servizi da questi stessi offerti (ed aiutando nella compilazione delle pratiche, soprattutto per quello che concerne i Servizi Socio-assistenziali) e si occupano infine di tutte le problematiche legate al mondo del lavoro. Il servizio è attivo tutti i sabati mattina presso il Comune di P. S. Elpidio, mentre negli altri due paesi, in alternanza, un sabato sì ed uno no. Osserviamo la tipologia delle richieste pervenute presso gli sportelli:

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Sportello di Porto Sant'Elpidio Numero pratiche Tipologia pratica

2003 1°sem2004 Sanatoria 45 Ricongiungimento familiare 99 49 Rinnovo permessi di soggiorno 51 48 Lavoro 77 37 Diritti sociali e previdenziali 45 25 Visti 73 15 Cittadinanza 18 12 Problemi abitativi 9 11 Questioni fiscali 4 5 Carta di soggiorno 23 15 Ingresso per lavoro 75 Ricorsi prefetto 6 Studio 10 Matrimonio 6 Varie 24 3

Totale pratiche 468 317 Tolale utenti 434 275

Sportello di Monte Urano Numero pratiche Tipologia pratica

2003 1°sem2004 Sanatoria 1 Ricongiungimento familiare 19 14 Rinnovo permessi di soggiorno 14 10 Lavoro 20 7 Diritti sociali e previdenziali 1 Visti 3 Cittadinanza 3 2 Problemi abitativi 1 Questioni fiscali Carta di soggiorno 5 3 Ingresso per lavoro Ricorsi prefetto Studio Matrimonio 2 Varie

Totale pratiche 69 36 Tolale utenti 55 32

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Sportello di Sant'Elpidio a Mare Numero pratiche Tipologia pratica

2003 1°sem2004 Sanatoria 6 Ricongiungimento familiare 14 Rinnovo permessi di soggiorno 18 Lavoro 17 Diritti sociali e previdenziali 7 Visti 1 Cittadinanza Problemi abitativi 5 Questioni fiscali Carta di soggiorno 14 Ingresso per lavoro 10 Ricorsi prefetto 2 Studio 3 Matrimonio 2 Varie 7 3

Totale pratiche 75 34 Totale utenti 75 34

C’è da dire che in ogni caso l’approccio allo Sportello risulta un po’ superato attualmente, in quanto gli immigrati residenti nel territorio da diverso tempo, fungono da intermediari per i nuovi arrivati risolvendo quindi al proprio interno il trasferimento d’informazioni utili. Dovrebbe essere considerata, piuttosto, la possibilità di utilizzare le ore dello sportello per organizzare, nello stesso spazio fisico, degli incontri tematici a piccoli gruppi, che approfondiscano aspetti della nostra società (legati al mondo del lavoro, dell’istruzione, della previdenza, e quant’altro) a seconda delle richieste avanzate dagli immigrati stessi e gestiti da personale che lavora nei servizi corrispondenti sullo stesso territorio dell’Ambito XX (assistenti sociali dei comuni o della asl, operatori del centro per l’impiego, sindacalisti ecc..). Di questo aspetto parleremo ancora nel paragrafo 5.3.. 3.6. Cosa manca Ci sarebbe piaciuto approfondire anche l’aspetto medico collegato al fenomeno migratorio sia analizzando il numero di stranieri che accedono al servizio sanitario c.d. STP5 (così da poter azzardare una stima sul numero degli stranieri irregolarmente presenti sul nostro territorio in base alle leggi vigenti), sia indagando presso i medici di base, i pronto soccorso degli ospedali, e i reparti in genere, rispetto alla tipologia di patologie riscontrate nel paziente immigrato, con la finalità di ipotizzare il grado d’incidenza del sintomo “psico-somatico” (dovuto al malessere legato allo shock, non del tutto rielaborato, del sogno migratorio

5 L’acronimo STP significa straniero temporaneamente presente, quindi non in possesso del permesso di soggiorno (e di conseguenza dell’iscrizione al sistema sanitario nazionale), al quale, tuttavia, non vengono negate le cure mediche essenziali.

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infranto), così da trarre spunto per azioni sperimentali in campo socio-culturale, alternative a quelle assistenziali in senso stretto. Altro aspetto interessante rientrante nella sfera d’indagine medica, che abbiamo cercato di osservare nell’ultima parte dell’intervista somministrata al campione scelto, ma che purtroppo non ha portato ad alcun risultato significativo, era quello riguardante il ricorso alla medicina tradizionale del paese d’origine (se differente dalla nostra) e l’analisi delle differenze, delle analogie e dei possibili punti di mediazione nelle possibili situazioni conflittuali. Speriamo che questa modesta ricerca, possa essere ispirare e motivare futuri approfondimenti nelle direzioni sopra esposte. 4. Elaborazione dei dati qualitativi L’intervista semistrutturata (si veda Appendice 1 pag. 42 ) è stata condotta su un campione di 83 individui dei quali 56 maschi e 27 femmine di diversa provenienza, d’età compresa prevalentemente fra i 16 e i 45 (solo uno risultava di 15 anni e 7 over 46) e con titolo di studio medio alto (35 con diploma di scuola superiore, 15 con laurea, 21 con diploma di scuola media e 12 non rispondono). Per la metodologia utilizzata nella somministrazione si rimanda al capitolo 2 (pag.4) della presente ricerca. 4.1. I motivi della migrazione Le due cause indicate come motivo del progetto migratorio degli intervistati sono state la condizione politica ed economica dei paesi di origine (60%), che non garantisce lo stesso livello di democrazia e di opportunità economiche dell’Italia, e il ricongiungimento familiare (40%). Solo 9 intervistati sono qui da soli senza alcun parente. Quasi tutti hanno come sola tappa del personale progetto migratorio quella attuale, avendo solo il 10% vissuto in altre nazioni prima di arrivare in Italia. Rispetto all’intenzione a restare solo il 30% risponde affermativamente, un altrettanto 30% non risponde e il rimanente 40% condiziona la permanenza al miglioramento della situazione socio-economica del paese di residenza. Si lamenta infatti un progressivo peggioramento che ha caratterizzato negli ultimi anni la qualità della vita (intesa non solo come benessere economico, ma anche socio-culturale e valoriale) del cittadino italiano in genere, e quindi forse ancor più di quello straniero. Quasi tutti gli intervistati ipotizzano un rientro definitivo in patria solo se ci fossero prospettive di un miglioramento, là, della situazione politica ed economica. Qualcuno dice che vi ritornerebbe ugualmente a patto che qui riesca a raggiungere l’obiettivo prefissato (riconducibile, per lo più, all’accumulo di una rendita sufficiente per tornare in patria e condividerne i vantaggi con i parenti e la rete di amici più stretti).

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4.2. Le aspettative Alla domanda riguardante il confronto fra le aspettative avute all’inizio del percorso migratorio e l’attuale condizione vissuta dall’intervistato, solo 55% ha risposto e di questi il 59% si è mostrato deluso non tanto sul piano della democrazia (quello che pensava è quello che ha trovato: libertà di pensiero, di parola, di azione) quanto su quello socio-economico (quel benessere che tanto sembra pervadere il cittadino occidentale, secondo il messaggio universale dei media che giunge in ogni angolo del mondo, in realtà è un miraggio). Il rimanente 41% dichiara di non trovarsi disilluso rispetto alle iniziali aspettative motivanti il suo migrare, pur riconoscendo un progressivo peggioramento nella condizione socio-economica, dovuta sia per la recente recessione, che per la crisi nel sistema politico, che, infine, per i cambiamenti in senso negativo nell’ordinamento giuridico rispetto allo status di “immigrato” (ci si riferisce alle restrizioni introdotte con la legge Bossi-Fini). Delle 37 persone che hanno risposto alla domanda rispetto all’opportunità che il territorio (inteso come insieme degli attori pubblici e privati del tessuto socio-economico) possa fare qualcosa per ovviare a questa loro “disillusione”, il 27% riconduce la risposta affermativa al fatto che si offrano più opportunità formative, il 30% ad una più ampia attenzione alla sfera relazionale (qui compresa quella culturale e sociale) dell’individuo (e non solo quindi dell’immigrato in sé), un altrettanto 27% non specifica mentre il 16% risponde che non pensa si possa far qualcosa. Alla domanda “Cosa ti manca del tuo paese d’origine?” ha dato una risposta il 71% degli intervistati dei quali il 61% ha indicato la famiglia e gli amici, il 20% la dimensione socio-relazionale di là, comprensiva anche di quella valoriale mentre il 17% ha risposto “tutto” (“anche il casino!!” ha aggiunto uno!). Solo una persona ha risposto che non gli manca niente del proprio paese di origine. 4.3. Il tempo libero Gli intervistati hanno dichiarato che sono soliti trascorrere il proprio tempo con i figli, la famiglia in genere e gli amici6. Molti praticano sport (soprattutto il calcio ma anche andare in bicicletta), leggono (giornali e riviste nella propria lingua) e guardano, attraverso la parabola, i programmi televisivi del proprio paese d’origine. Quasi tutti dichiarano di dedicarsi alla cucina di piatti della propria tradizione in parte del tempo libero.

6 Nelle comunità religiosamente organizzate come quella islamica e sikh, che dispongono anche di appositi spazi fisici, il luogo di culto diventa anche il luogo di socializzazione dove celebrare feste, compleanni, anniversari e non solo i riti della propria religione.

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4.4. I figli In riferimento alla parte dell’intervista dedicata alla relazione con i figli, gli intervistati hanno quasi tutti dichiarato l’importanza di trasmettere loro le tradizioni, la cultura, la lingua del paese d’origine, sia tramandandole in famiglia (parlando, guardando programmi delle televisioni di là ecc..), sia frequentando i propri connazionali (durante i riti religiosi, ma anche assistendo ai corsi che qualche comunità organizza per i piccoli, affinché non perdano le proprie radici). Parimenti hanno sottolineato la necessità che i figli conoscano e comprendano la cultura del paese in cui risiedono. Alla domanda volta ad indagare sull’esistenza o meno di conflitti con i propri figli, a cui ha risposto solo il 23% degli intervistati, il 70% ha dichiarato di non averne, mentre il 30% risponde “qualche volta”. Delle 17 persone che hanno risposto alle domande riguardanti il rapporto con la scuola e gli insegnanti dei propri figli, paradossalmente molti hanno dichiarato di averlo buono con la prima (forse intesa a livello di istituzione e di riconoscimento delle reciproche differenze culturali attraverso la libertà di frequentare o meno l’ora di religione) ma non del tutto con gli insegnanti non specificandone, però, il motivo. 4.5. La religione Delle 57 persone che hanno risposto alla domanda “Sei credente?” il 93% ha risposto di sì ma di questo è praticante solo il 60%. Sempre fra i credenti, i musulmani sono il 56%, seguiti dai cattolici (28%) e dai sikh (11%). Il 76% degli intervistati dice di non aver ricevuto alcun supporto dal territorio in cui risiedono per quel che concerne la pratica del proprio culto; gli spazi che esistono per le pratiche religiose diverse da quella cattolica, sono frutto dell’impegno e dei sacrifici delle comunità immigrate locali. Il 60% dichiara di non percepire contrasti fra la pratica della propria religione e quella cristiana, che in fin dei conti si riferiscono entrambi agli stessi principi, il 23% dice, per contro, di sì e il restante 17% dice qualche volta. 4.6. La comunità di appartenenza Il 90% degli intervistati dice di frequentare i propri connazionali soprattutto attraverso visite reciproche (55%), partecipazione ai riti della religione d’appartenenza (25%), altrimenti per caso (20%). Pochi sanno se esista un’associazione di nazionalità formalmente costituita (se si escludono le due comunità, quella sikh e islamica, che appunto si costituiscono per uno scopo religioso, allargando successivamente il raggio

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d’azione) e quelli che la conoscono dicono comunque di non frequentarla. Questo dato conferma la tendenza non solo regionale ma anche nazionale, del fallimento dell’associazionismo immigrato, di cui parleremo più approfonditamente nel capitolo seguente. Dalle risposte ottenute alla domanda: “A cosa serve?” e “Vorresti avere maggiori notizie?” s’intuisce la grande disinformazione dilagante a riguardo aggravata dalla “competitività” esistente fra le diverse comunità (ognuna preoccupata di portare avanti gli interessi personali riconducibili alle specificità culturali) che rende quindi molto difficile la realizzazione di un’associazione multiculturale (la sola di superare i particolarismi etnici in nome di interessi generali di carattere sociale, validi per qualsiasi cittadino non solo immigrato di diverse nazionalità, ma anche dello stesso italiano). Questo scenario si aggrava ancor di più se consideriamo il contesto generale in cui è inserito e cioè di una società civile d’accoglienza (fatta quindi per lo più da cittadini italiani) diffidente verso le forme di rappresentanza perché in visti oramai come strumenti per perseguire interessi non più generali ma di singoli, di quelli che di volta in volta si alternano nelle cariche di potere. Un’amministrazione pubblica seriamente intenzionata a perseguire politiche d’inclusione sociale che passano attraverso forme di partecipazione attiva (es. istituzione di un consigliere aggiunto o della consulta comunale per l’immigrazione) non può prescindere da questa realtà di fatto e quindi, per superarla, deve impegnarsi nella promozione di specifici momenti formativi e informativi sul perché e come fare associazione (come base di partenza) e sul perché e come far parte ci una ipotetica consulta immigrati (come salto successivo). 5. Conclusioni. Dalla criticità a possibili percorsi Il quadro che si evince analizzando i dati della ricerca condotta sembrerebbe descrivere una situazione di elevata integrazione dei cittadini immigrati residenti sul territorio dell’Ambito XX: si tratta per lo più di famiglie, con almeno un genitore lavoratore (quasi tutti hanno almeno una volta frequentato un corso d’italiano), con bambini che frequentano le nostre scuole. La visione così idilliaca si ridimensiona se ci soffermiamo più a lungo sul significato d’integrazione che, nell’idea di chi ha svolto la ricerca, è strettamente collegato al grado di visibilità e di vivibilità di un soggetto entro il tessuto sociale di appartenenza, quindi in un certo senso riconducibile ai concetti di partecipazione attiva. Sotto questa accezione, quindi, la situazione cambia di molto. Infatti, rileggendo i dati, si nota per esempio, che i cittadini immigrati il più delle volte non frequentano i luoghi degli autoctoni o che non dialogano con i soggetti pubblici e privati del territorio in quanto il rapporto con questi ultimi rimane al livello passivo di richiesta. La diversa appartenenza culturale molto spesso, poi, li porta a non riconoscersi in determinate strutture che, teoricamente, rispondono a stessi bisogni universali (quali ad esempio scuola, luoghi d’intrattenimento, luoghi di culto…). Alla luce di ciò, un’istituzione dovrebbe reagire cercando di supportare occasioni d’incontro reciproco che avvicinino non solo le diverse nazionalità intese come gruppi culturali ben distinti, ma soprattutto gli individui singolarmente presi. Fare questa affermazione in una società disgregata, che ha

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quasi completamente perso i valori dello stare insieme, dell’aiuto reciproco e della condivisione lascia una gravosa eredità ad un’istituzione seria che decida di portare avanti il proprio mandato nella maniera più etica e coscienziosa possibile perché, una volta confermatala, si creano le premesse per intraprendere un percorso impegnativo di presa in carico dell’intera società civile (non solo immigrati quindi), che passa attraverso momenti educativi incentrati sulla riscoperta di valori e saperi una volta condivisi ma oramai offuscati dalla troppa polvere sollevata da questa frenetica corsa collettiva verso il mito del benessere materiale. Prima di illustrare quali azioni potrebbero essere prese in considerazione dalle amministrazioni pubbliche e dagli attori del terzo settore, sulla base dei risultati della presente ricerca e facendo riferimento a buone prassi già sperimentate in Italia o addirittura in Europa, è utile fare alcuni approfondimenti teorici ed empirici su determinate questioni (associazionismo degli immigrati, mediazione culturale, cooperazione decentrata allo sviluppo, ecc..), la prima delle quali riguarda le forme di rappresentanza politica di cui possono avvalersi gli immigrati per accelerare il loro processo di inserimento sociale. Speriamo in questo modo di dare un contributo per intraprendere una più ampia e approfondita riflessione in sede di programmazione degli interventi pubblici territoriali. Fra le principali implicazioni che si associano al fenomeno migratorio vi sono i concetti di partecipazione e la rappresentanza degli stranieri alla politica del territorio d’insediamento, in quanto legittimi portatori di ben precise istanze. Purtroppo in Italia non è riconosciuto il diritto di voto agli immigrati, nemmeno quello amministrativo, che in linea di principio, dovrebbe essere riconosciuto per il semplice fatto di vivere il territorio. Tutto ciò nonostante le opposte indicazioni provenienti dall'Unione Europea. Il Parere del Comitato economico e sociale sul tema “Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata” (2002/C125/21) al punto 1.4 enuncia “Il concetto di integrazione che proponiamo è definito come

“integrazione civile” e si basa sulla progressiva equiparazione degli immigrati al resto della popolazione,

per quanto riguarda diritti e doveri, l’accesso ai beni, ai servizi e alle basi di partecipazione civile in

condizioni di parità di opportunità e di trattamento”. Più avanti al punto 5.7.1. si dichiara che “Il diritto di voto

attivo e passivo è un presupposto dell’integrazione in una comunità. La mancata concessione del diritto di

voto ad un settore della popolazione indica che esso in qualche modo non fa parte della società in

questione”…. 5.7.3. “Il comitato propone che nella Convenzione per la riforma dei Trattati si consideri il

riconoscimento del diritto di voto alle elezioni amministrative e del Parlamento europeo ai cittadini di paesi

terzi che abbiano ottenuto lo status di residenti di lungo periodo”. Per ovviare a questa poca democraticità il nostro impianto legislativo ha previsto una serie di strumenti che attenuino ciò. Il seguente schema dà una panoramica degli strumenti riconosciuti a livello istituzionale e attraverso i quali gli stranieri possono avanzare proposte e contribuire, anche se marginalmente, alla definizione delle politiche territoriali. Da più parti si rileva come il sindacato abbia in passato largamente supplito a questa mancanza perché attraverso

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la tutela dal punto di vista lavorativo dei propri iscritti ha portato avanti una sorta di politica d’integrazione a tutti gli effetti dello straniero. L’azione del sindacato è indiscutibile, ma chi scrive ritiene che si debba andare oltre, che è vero che il primo strumento di realizzazione personale e quindi d’integrazione sia il lavoro, ma ci sono altre sfaccettature del vivere sociale che devono essere considerate e valorizzate.

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L.R.2 del 2 marzo 98

COMUNALE

CONSULTA COMUNALE (Fonte: delibera della giunta)

CENTRO POLIVALENTE (Fonte di costituzione è la L.R.

più la delibera provinciale che ne promuove la gestione)

ASSOCIAZIONISMO DEGLI IMMIGRATI (Fonte: L.N. e L.R. che stanzianfondi)

CONSIGLIERI AGGIUNTI (Fonte: L.R. + delibera della

giunta provinciale)

CONSIGLIO TERRITORIAL

(Fonte: D.L.286/98)

Centro servizi

(Fonte: L.R. + delibera giunta

ASSOCIAZIONISMO

CONSIGLIERE AGGIUNTO

(Fonte: delibera giunta comunale)

CONSULTA PROVINCIALE

PROVINCIALE

STRUMENTI DI PARTECIPAZIONE E/O RAPPRESENTANZA A LIVELLO ISTITUZIONALE E S

REGIONALE

comitato esecutivo della consulta

ASSOCIAZIONISMO DEGLI IMMIGRATI

(Art. 9)

CONSULTA REGIONALE Art. 3

E

OCIALE:

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o

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Proprio alla luce dell’impianto precedentemente illustrato, la nostra legge regionale sull’immigrazione è stata valutata come una delle più innovative nell’intera Unione Europea. Peccato però che non sempre a buoni ideali corrisponda una buona prassi, come appunto nel caso della Regione Marche. Se si escludono poche eccezioni, il più delle volte gli immigrati residenti sul nostro territorio ignorano l’esistenza di questi strumenti a loro disposizione e per questo i tentativi delle pubbliche amministrazioni di favorire l’istituzione del consigliere aggiunto o della consulta falliscono. Idealmente questo funzione di educazione civica basilare, dovrebbe essere di titolarità delle Associazioni di Immigrati o delle Comunità ma in realtà anche il loro potenziale è stato sottovalutato, avendo funzionato, ed essendo state percepite, soprattutto per scopi religiosi e, di contorno e comunque marginalmente, culturali (le comunità di stranieri più partecipate, sono infatti e non a caso quella Sikh e quella Islamica). L’associazionismo, quindi, pur con le prospettive che potrebbe aprire in senso integrativo, inclusivo e interculturale, ha deluso perché non ha trovato la risposta in una partecipazione condivisa. Gli amministratori, quindi, non devono sentirsi offesi se non viene apprezzato il loro gesto di apertura consistente nell’offrire uno spazio per la consulta degli immigrati! Il problema della cittadinanza attiva è grave sia nella società immigrata che tanto più in quella autoctona. Un impegno della pubblica amministrazione potrebbe a ragione dirigersi nella promozione di momenti di riflessione-formazione su questi temi, anche attraverso momenti non-formali e sempre coinvolgendo quanti più stake-holder possibili già attivi sul territorio, oltre che in un successivo stanziamento di spazi pubblici per dar possibilità a quei pochi “sensibilizzati” di darsi una propria organizzazione, magari con il supporto di altre realtà già costituite. Risulta evidente come, nell’impianto di cui sopra, abbia senso la presa di coscienza da parte della comunità straniera della necessità di costituirsi in associazioni se non addirittura di aggregarsi nella forma più evoluta rappresentata dalla cooperazione. Molte amministrazione pubbliche si sono impegnate nell’offrire ai propri cittadini immigrati, lo strumento del Consigliere Aggiunto o della Consulta, ignorando il fatto che è difficilissimo che venga utilizzato Le organizzazioni degli immigrati- nello loro differenti forme- rappresentano un referente significativo sia per la comunità di appartenenza delle stesse che per le istituzioni locali per il ruolo di mediazione che esprimono. Secondo uno studio svolto da Carchedi7 le oscillazioni della loro capacità di mobilitazione sono direttamente collegabili al raggiungimento di obiettivi politici generali, quali le regolarizzazioni o le grandi risposte a episodi di intolleranza xenofoba e razziale. Tale processo, di natura politica e sociale, non trova però immediato riconoscimento nel sistema normativo del paese di arrivo. Pertanto l’azione delle organizzazioni immigrate rimane al di qua della sfera politica ufficiale. Gli orientamenti politici finalizzati all’inserimento sono manifestati indirettamente, attraverso le organizzazioni autoctone loro alleate che ne diventano di fatto dei portavoce, in particolare quelle di natura

7 “Le associazioni degli immigrati” coop. Parsec

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sindacale. Questa situazione determina una marcata discriminazione e disuguaglianza in quanto le componenti immigrate, anche quelle presenti da anni, non possono concorrere alla formazione della volontà politica generale che governa la società. Le organizzazioni degli immigrati rimangono ancorate alla società civile senza poter accedere alla sfera politica e influenzarne gli sviluppi. Si legittima così una sorta di immaturità civile degli stranieri, che non corrisponde al reale inserimento avvenuto e alle pratiche di cittadinanza sperimentate nel processo di insediamento. Il panorama organizzativo degli immigrati, ormai abbastanza presente e visibile, esprime solo a metà la propria capacità di trasformazione e di partecipazione alle dinamiche sociali e politiche delle aree di residenza. Un intervento della Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie agli “Stati generali sull’immigrazione: politiche locali e percorsi di integrazione” (Vicenza, gennaio 2001) rileva che il passaggio dall’aggregazione spontanea all’associazione avviene quando si avverte la necessità di dare al gruppo una continuità e una strutturazione che gli consenta di rispondere meglio alla crescente complessità dei bisogni e degli interessi dei suoi componenti. Secondo lo stesso studio l’arcipelago immigrazione è caratterizzato da un associazionismo bicefalo in quanto nello stesso campo operano associazioni d’immigrati ed associazioni autoctone laiche o cattoliche. In questo panorama, le associazioni di immigrati hanno notevoli difficoltà logistiche (sede, mezzi di comunicazione ecc..) e di conseguenza hanno notevoli limiti ad informarsi ed informare i propri associati. Inoltre la mancanza di risorse finanziarie adeguate confina le loro attività in iniziative di rilevanza marginale. Si crea quindi una incapacità materiale di sviluppare azioni e strategie per l’integrazione. Di fatto non viene valorizzato il potenziale di risorse umane in esser contenuto proprio per la mancanza di mezzi finanziari e logistici. Quindi viene meno la possibilità di svolgere la funzione di mediazione politica e culturale, di promuovere delle vertenze territoriali ed infine di dialogare davvero con la società civile. Di fronte a questa difficoltà si è consumata negli anni passati una crisi dell’associazionismo immigrato che si è manifestata nello scardinamento delle basi associative, nelle difficoltà di rinnovamento della leadership e di superamento delle forme autarchiche di organizzazione basate sulla comunità di appartenenza. Alcuni gruppi o associazioni hanno messo in campo una strategia di uscita da questo processo di crisi, cogliendo ed interpretando al meglio il cambiamento della domanda sociale espressa dagli immigrati. Il risultato si è manifestato nella nascita di cooperative culturali o di servizi, di strutture di telecomunicazione, di commercio, ecc. Per la riluttanza ad ammettere l’irreversibilità della propria immigrazione, l’importanza della funzione di gestione dei rapporti esterni del gruppo (con società locali e sue istituzioni) viene sottovalutata. Se si tratta di gestire l’inserimento del gruppo nella competizione sociale e di rappresentarlo di fronte alle istituzioni locali, si rendono necessarie, da una parte una conoscenza delle dinamiche politico-istituzionali locali e dall’altra una legittimazione, vale a dire una delega del gruppo che garantisca un minimo di rappresentatività. Si voleva ricordare a questo proposito la valenza di un associazionismo di tipo misto cioè con immigrati di diverse nazionalità ed italiani: i vantaggi

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derivanti dal know-how dell’autoctono si uniscono al maggior ascolto e grado di legittimazione ad agire che gli immigrati hanno sulle proprie comunità di appartenenza. Questa premessa sull’associazionismo, sul trend che ha assunto e assume in Italia, e sul suo futuro, si è resa necessaria per spiegare i collegamenti che tale forme di aggregazione hanno con gli strumenti istituzionali previsti per supplire alla mancanza del diritto di voto. Pur senza la presenza di un’associazione di tipo misto, un rappresentante di ogni etnia presente sul territorio potrebbe far parte della Consulta provinciale e/o comunale per l’immigrazione (ex. L.2/98). In questo modo il Consigliere Aggiunto può portare all’interno del Consiglio Provinciale e/o Comunale gli interessi e le istanze condivise da ogni etnia. L’ulteriore vantaggio a questo proposito è costituito dal fatto che, almeno formalmente, il Consigliere Aggiunto non è portatore di alcun interesse di partito politico rendendosi quindi più libero nel portare avanti i diritti degli immigrati a prescindere dall’etnia di appartenenza. L’associazionismo di nazionalità ha senso che venga promosso su scala regionale con coordinamenti provinciali. Le ragioni sono sia opportunistiche (l’associazione regionale è sicuramente dotata di una struttura efficiente in grado di esercitare una maggiore pressione politica nei confronti dell’istituzione) sia logistiche. Molto spesso infatti, le sedi comunali di queste associazioni di nazionalità non ci sono e quindi s’improvvisano estemporanee riunioni a casa del presidente o di chi altro. Tutto ciò, chiaramente, demotiva dal punto di vista della continuità: avere una sede significa implicitamente avere anche un punto di aggregazione da poter gestire anche in altre maniere. Non ha senso costituire una Associazione di Nazionalità in ogni comune anche per mancanza di fondi, spazio e tempo da dedicare alla gestione delle attività. Meglio un forte coordinamento centrale e più esecutivi territoriali: in questo modo si è più uniti, forti, compatti e coordinati per cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi dei paesi di provenienza e sulla loro cultura d’appartenenza.. Ecco quindi perché sarebbe utile che gli enti pubblici supportino e accompagnino la creazione di associazioni multiculturali composte da stranieri di diversi paesi e italiani. Oltre che essere uno strumento efficace per declinare i bisogni di volta in volta rilevati (partecipando legittimamente alle concertazioni previste dalla legislazione, ultima fra tutte la L.328/2000), risulta avere una forte valenza operativa per quel che riguarda interventi di mediazioni culturale nelle istituzioni pubbliche del territorio (si veda proposta descritta nel punto più avanti) e laboratori interculturali da proporre all’intera cittadinanza. Valorizzare l’associazionismo è altresì importante per sviluppare l’ulteriore passaggio e cioè quello di incentivare iniziative imprenditoriali nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Una solida associazione di nazionalità, con contatti stretti con il proprio paese di provenienza (e quindi aggiornamenti sulle condizioni politiche, economiche e sociali, monitoraggio dei nuovi trend a livello di organizzazione della società civile ecc..), può costituire un importante supporto agli imprenditori locali intenzionati a decentrare i loro impianti produttivi nei paesi di origine degli stranieri qui residenti. Una collaborazione alla pari fra queste due entità,

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incentrata su rapporti commerciali equi e promotori di sviluppi sociali e strutturali in loco (si potrebbero riprendere i principi del Commercio Equo) potrebbe risultare una efficace e stabile politica per gestire il flusso migratorio. L’istituzione in quanto tale, potrebbe facilitare l’instaurarsi di questi tipi di rapporti, prevedendo apposite facilitazioni, agevolazioni e quant’altro. Ma vediamo più nel dettaglio quali potrebbero essere le vie da percorrere istituzionalmente; essendo il taglio degli interventi piuttosto ambizioso in alcuni punti, il referente privilegiato è l’Ambito Territoriale, il solo in grado di supportare un basilare e solido lavoro di rete che soggiace ad ogni intervento qui di seguito illustrato.

5.1. Supporto alla creazione di un’associazione multietnica Avendo analizzato precedentemente i vantaggi che derivano dall’organizzarsi in associazione, soprattutto multietnica in modo da convogliare diversi saperi e conoscenza, proviamo a definirne gli obiettivi8:

coinvolgere le varie comunità di immigrati presenti nel nostro territorio in azioni che aiutino a creare una coscienza di cittadinanza attiva e un sentimento di appartenenza alla collettività, promuovendo la loro partecipazione in diverse attività in un’ottica di autonomia e responsabilità;

promuovere l’integrazione sociale e lavorativa degli immigrati sensibilizzando la società di accoglienza a una prospettiva di diritti umani, di pari opportunità e di giustizia sociale;

combattere l’intolleranza valorizzando la diversità come risorsa e promuovendo attività interculturali volte alla conoscenza delle varie culture presenti nel territorio.

Le attività principale potrebbero essere: 1. organizzazione di corsi

di lingua italiana L2 e lingue di appartenenza (arabo, russo, indiano); di cucina etnica e tradizionale delle diverse regioni italiane (con possibilità anche di

organizzare poi delle serate a tema); orientamento rispetto le leggi sull’immigrazione, il diritto del lavoro, la previdenza sociale e

sanitaria, il sistema scolastico italiano,ecc. 2. collegamento continuo e costante con gli Sportelli Informativi Immigrati del territorio, le agenzie

interinali, gli InformaGiovani e gli istituti per la formazione professionale per veicolare quante più informazioni possibili da questi possedute;

3. organizzazione di laboratori permanenti sull’intercultura da presentare alle scuole e a qualsiasi soggetto ne faccia richiesta;

4. predisposizione di spazi strutturati per dare possibilità di espressione alle diverse creatività artistiche, culturali, artigianali dei partecipanti;

8 Quanto esposto qui di seguito deriva da un precedente lavoro di mediazione avvenuto fra la coordinatrice del sostegno linguistico a P.S.Elpidio, Eugenia Pennelli, l’Assessore ai Servizi Sociali dello stesso comune, Federico Costantini e la referente immigrazione dello staff dell’Ambito XX, M.Elena Redondi.

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5. possibilità di tenere aperto un bar con degustazioni di piatti e bevande stranieri, nella consapevolezza che il convivio è lo strumento più facile per facilitare la conoscenza reciproca;

6. possibilità di aprire uno sportello di Banca del Tempo per attivare le molte risorse a disposizione soprattutto delle donne, immigrate e non, ma difficilmente spendibili sul mercato del lavoro. Oltre a favorire la conoscenza, si promuove la mutualità e, infine, a lungo andare, si avranno effetti positivi sull’autostima (si sarà meno restii ad esporsi, intraprendere nuovi percorsi e promuoversi);

7. col tempo si potrebbe anche valutare l’opportunità di costituire dei Gruppi di Auto Mutuo aiuto intorno a problematiche condivise. Questa azione favorisce il raggiungimento dell’obiettivo istituzionale più ambizioso, di sviluppo di una società accogliente, sempre più emancipata dai servizi assistenziali.

L’associazione dovrebbe prevedere al suo interno professionalità quali un sindacalista, un avvocato, un formatore affinché possano favorire un’integrazione più consapevole e partecipata degli immigrati nella società di accoglienza. Sarebbe inoltre opportuno individuare nelle varie comunità delle figure che possano fungere da mediatori culturali con le varie realtà locali (ASL, scuola, comune, tribunale, questura…), aperti al dialogo e alla collaborazione reciproci al fine di creare un’interazione costruttiva. Questo dovrebbe essere l’obiettivo principale da raggiungere perché in modo tale le istituzioni avrebbero un referente legittimato ad agire in quei casi di incomunicabilità per bisogno di mediazione culturale. Oltre ad essere una possibile fonte di sostentamento per l’associazione stessa (quindi possibilità occupazionali), alcune delle attività sopra esposte, favorendo la circolarità delle informazioni, potrebbe inoltre fare da trampolino per la progressiva presa di coscienza rispetto, per esempio, all’opportunità e al vantaggio di attivare la consulta degli stranieri e/o il consigliere aggiunto, per agire sul piano politico. Il compito dell’istituzione in questo senso potrebbe essere, preliminarmente, quello di incentivare l’associazionismo, promuovendone i vantaggi (culturali, sociali, politici) derivanti dal farne parte e poi concedendo degli spazi ad hoc per lo svolgimento delle attività. Ma come agire sul primo aspetto? Bisognerebbe coinvolgere la base (essendo quella che poi ne garantirà l’operatività) e quindi diffondere il più possibile le informazioni. Potrebbe finanziare degli interventi mirati e ad hoc di formazione/informazione dei rappresentanti di tutte le associazioni del territorio. E’ pensabile prevedere di farli condurre da esperti, ma anche e soprattutto da referenti degli immigrati stessi (così da superare le barriere di diffidenza nei confronti dell’autoctono). Gli interventi dovrebbero essere impostati, oltre che su moduli di sociologia del territorio e legislazione, anche sui metodi di acquisizione e comprensione dei processi relazionali che muovono la nostra società civile e che ne determinano la politica. L’istituzione potrebbe inoltre finanziare dei corsi ad hoc per la formazione di mediatori per la risoluzione non-violenta dei conflitti al termine del quale gli stessi verrebbero assunti per portare avanti un discorso di connessione dei nodi presenti sul territorio in tema d’immigrazione. La motivazione alla base di questa proposta risiede nel fatto che

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l’integrazione, oltre che un problema autoctono-immigrato, è anche un problema immigrato-immigrato. Non sono un segreto infatti i palesi conflitti esistenti fra comunità etniche diverse, per stili di vita differenti, religioni, tradizioni ecc.. In questo senso si sta muovendo la Provincia di Ascoli Piceno nel lavoro congiunto che sta portando avanti attraverso i propri assessorati alla Formazione Professionale, ai Servizi Sociali e all’Istruzione.

5.2. Sostegno all’implementazione del piano regionale

Strettamente collegato con le motivazioni sottostanti la proposta precedente, lo staff del coordinatore dell’Ambito XX, alla luce della ricerca conclusa, si sente di supportare l’amministrazione pubblica nell’implementazione del Piano Regionale, già da tempo avviata con successo, sia attraverso la promozione della concertazione nella definizione dei Piani di Zona, sia nella prossima gestione degli UPS. Il Piano Regionale per un Sistema integrato di interventi e servizi sociali e la legge 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, definiscono come elementi prioritari nell’avvio complessivo della riforma dei servizi alla persona la individuazione dell’assetto territoriale per la pianificazione sociale con la costituzione degli ambiti territoriali, la programmazione dal basso con la costituzione dei Piani Territoriali (o Piani di Zona ex L 328/2000), la definizione della rete dei servizi sociali essenziali e la definizione dei presupposti per costruire un sistema integrato a cominciare dalla specificità socio-sanitaria. Il Piano Sociale introduce strumenti di partecipazione attiva per la progettazione concertata degli interventi sociali sull’intero ambito. In applicazione del principio europeo di sussidiarietà si promuove il lavoro di rete che valorizza le competenze specifiche di ogni soggetto, dando legittimità di espressione nei tavoli decisori a chiunque coinvolto, a diverso titolo, al tema oggetto di trattazione. La portata innovativa di tale riforma ai fini della presente ricerca, finalizzata appunto ad analizzare l’integrazione in chiave interculturale percepita dai residenti immigrati dell’Ambito XX, è evidente. Nel nostro contesto di riferimento questa potrebbe essere una buona occasione per le associazioni d’immigrati (e quindi anche per la futura auspicata associazione multiculturale mista) per far sentire la propria voce e portare avanti le proprie istanze senza le interferenze di manipolate rappresentanze di altri soggetti, apparentemente difensori dei loro interessi. Ciò è realizzabile sia direttamente nei tavoli di concertazione convocati per la stesura della parte di Piano Sociale riferita alle decisioni in tema di politiche d’integrazione della popolazione immigrata, sia indirettamente attraverso l’influenza che le associazioni d’immigrati hanno sull’operato del coordinatore d’ambito e sul funzionamento degli UPS (Uffici di Promozione Sociale). Infatti dal Piano Regionale si legge che “il coordinatore d’ambito svolge compiti di

coordinamento del processo di costruzione del piano attivando rapporti, relazioni e attività di

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” . La futura organizzazione e gestione UPS ricoprirà una valenza fondamentale sempre ai fini degli obiettivi di questa ricerca. Si tratterà, infatti, di servizi-funzioni presenti sul territorio finalizzati a promuovere e supportare l’azione di rete coinvolgendo persone e famiglie, gruppi e associazioni, soggetti istituzionali e non, che operano a livello locale. Assicureranno la funzione di lettura ed osservazione dei bisogni e di monitoraggio e promozione delle risorse sul territorio, di ascolto delle necessità dei cittadini in situazioni di bisogno, di orientamento, di accompagnamento e di filtro, di informazione sui diritti, le prestazioni, le modalità di accesso ai servizi pubblici e privati, di promozione della trasparenza e fiducia nei rapporti tra cittadini e servizi. E’ proprio all’Ups che dovranno, fra breve, far riferimento i servizi già esistenti fra cui, per quel che riguarda la presente ricerca, gli Sportelli Informativi degli Immigrati.

5.3. Organizzazione di momenti di formazione o approfondimento culturale Oltre allo strumento dell’intervista semistrutturata somministrata per reperire più dati possibili dal mondo “immigrato” da restituire alle amministrazioni pubbliche per guidare il loro operato in merito, ci siamo serviti anche di una semplice scheda di rilevazione dei fabbisogni formativi e di approfondimento culturale che abbiamo consegnato ai responsabili dell’insegnamento dell’italiano come L2 agli adulti ed agli operatori degli Sportelli Immigrati affinché ci facessero da ponte con gli stranieri in contatto con loro (o perché iscritti al corso o perché utenti dello sportello). In questo modo, oltre a razionalizzare i tempi, si è potuto far leva sul vantaggio relazionale esistente fra gli operatori da noi contattati e gli stranieri, che si concretizza in una maggiore fiducia e quindi propensione a lavorare. I dati raccolti attraverso le schede che ci sono state riconsegnate sono sintetizzati nelle seguenti tabelle: Fabbisogni formativi e/o di approfondimento culturale Approfondimento culturale Formazione Tipologia Numero Tipologia Numero cultura italiana 18 Informatica 19 funzionamento istituzioni italiane (scuola) 13 Professionale* 8 diritto del lavoro 12 Italiano avanzato 7 legisl. europea ed italiana sull'immigraz. 9 Italiano base 6 introduzione all'economia e al diritto 8 Italiano intermedio 6 orientamento professionale 6 altro * 4

70 46 * è stato indicato: politica. * è stato indicato: sartoria, psicologia, interprete

(forse intendevano mediatore culturale?) modellista per calzature, elettricista (2), muratore/imbianchino

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Riteniamo che i dati sopra indicati possano essere da spunto per futuri progetti di collaborazione fra ente pubblico territoriale, centri EDA per l’educazione degli adulti, associazioni di volontariato e altre istituzioni pubbliche e private del territorio (sindacati, centri per l’impiego, ospedale, scuola ecc…) finalizzati all’organizzazione di eventi di questo tipo, facendo ricorso ai diversi esperti del territorio locale (le assistenti sociali dei comuni e della asl per gli aspetti socio-sanitari, gli operatori del centro per l’impiego e i sindacati per le problematiche del lavoro ecc…) con la doppia finalità di creare una società il più possibile emancipata (perché informata e formata) e di stimolare la conoscenza reciproca e quindi lo stabilirsi di relazioni interpersonali (di vicinato culturale, come le chiamammo nel primo Piano di Zona) la cui scomparsa sembra costituire la recente “piaga” delle società postmoderne.

5.4. Revisione dell’intervento di sostegno scolastico per bambini immigrati nelle scuole del territorio nella prospettiva più ampia di “progetto - accoglienza” Dopo anni di lavoro nel campo dell’immigrazione e anche in seguito alle ulteriori percezioni scaturite dal presente lavoro di ricerca, lo staff dell’Ambito Territoriale XX si sente pronto per avanzare una proposta di revisione dell’attuale forma di sostegno linguistico ai bambini immigrati nelle scuole. Essendo il lavoro di un altro e parimenti impegnativo progetto (che alleghiamo intero in Appendice) ci limitiamo in questa sede a delineare le novità essenziali riconducibili e possibili solo dentro un forte contesto di lavoro di rete. La proposta dell’Ambito Territoriale XX si sviluppa affrontando più livelli: quello didattico (principalmente attraverso il facilitatore), quello socio-culturale (soprattutto attraverso il mediatore) e quello relazionale (attraverso la sperimentazione di percorsi alternativi che coinvolgano l’intero gruppo classe e parte del territorio). Schematicamente l’articolazione è la seguente:

1. L’ausilio dei mediatori linguistici per l’accoglienza e il rapporto con il territorio - Nei confronti dei bambini immigrati

- Nei confronti delle famiglie immigrate:

- Nei confronti degli insegnanti e degli operatori

- Nei confronti dei bambini autoctoni

L'attività di prima accoglienza, in cui i mediatori culturali giocano un ruolo fondamentale, si dovrebbe concretizzare attraverso:

→ creazione o raccolta di strumenti per la comunicazione con le famiglie, nella lingua d'origine;

→ preparazione dell'ambiente-scuola, per facilitare ai nuovi arrivati l'orientamento in essa e la comprensione delle loro routines (lettera di benvenuto in lingua, cartelli multilingue nei plessi scolastici e vocabolari essenziali di pronto intervento ecc…);

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→ raccolta di tutte le informazioni atte a ricostruire la biografia linguistica dei bambini stranieri;

→ individuazione e uso di strumenti di rilevazioni atti a determinare il livello di apprendimento degli alunni, al di là delle competenze linguistiche in italiano.

Verrà inoltre dato spazio alla ricerca di modalità di raccordo scuola-famiglia di tipo formale e informale, alternative a quelle dei colloqui con le famiglie (che si cercherà comunque di migliorare) e funzionali a favorire lo scambio di comunicazione, secondo forme più vicine alla cultura di provenienza degli alunni immigrati.

2. L’ausilio dei facilitatori linguistici per supportare l’apprendimento della L2 Ideale sarebbe strutturare il servizio di sostegno linguistico (diviso in due gruppi: base per insegnare l’italiano per comunicare ai bambini di recente immigrazione e intermedio per insegnare l’italiano per imparare agli altri) in modo intensivo prima dell’inizio della scuola (dalla metà di agosto fino a tutto settembre) ed entro metà di ottobre i bambini stranieri vengono inseriti in classe. A questo punto si può prevedere una sorta di test di valutazione delle competenze in entrata attraverso il quale cercare di creare un programma scolastico. Nel frattempo, con l’equipe di animatori territoriali e il mediatore culturale, si preparerà la classe ad accogliere il bambino (come per esempio scrivere una lettera in lingua da mandare alle famiglie immigrate con bambini in età scolare per accoglierli a scuola). Per il periodo successivo il servizio di sostegno linguistico rimarrà principalmente un’attività pomeridiana9, mentre di mattina a scuola si continueranno ad organizzare i laboratori linguistici a gruppi finalizzati all’acquisizione della lingua per imparare e individuali per coloro che si iscrivono a scuola ad anno scolastico incominciato.

3. L’ausilio degli animatori territoriali e dei CAG e dei volontari del servizio civile per i laboratori interculturali e il lavoro di rete

4. La sperimentazioni di percorsi alternativi di classe: il cooperative learning e il tutoring fra pari. 5. L’ausilio di un referente territoriale d’Ambito per l’integrazione con compiti di coordinamento, di

interfaccia con le istituzioni, di promozione di sperimentazioni e di eventi di sensibilizzazione per l’intero territorio.

5.5. Avvio di progetti di cooperazione decentrata allo sviluppo

Una via da percorrere e sviluppare è rappresentata dalla cooperazione internazionale con i paesi in via di sviluppo. Si osserva innanzitutto come, nel quadro della politica estera10 dell’Italia, la cooperazione allo sviluppo risponde a due distinte motivazioni: 1) l’esigenza etica di garantire a tutti i popoli il diritto alla vita e la dignità umana; 2) l’esigenza di favorire la

9 Non riteniamo educativo togliere un bambino dalla classe di appartenenza, relegarlo nel sottoscala con il facilitatore linguistico ed “altri” piccoli fiammiferai. 10 Con la legge n.49 del 1987.

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crescita economica delle popolazioni meno sviluppate, in un sistema internazionale interdipendente. Non si possono di conseguenza slegare gli obiettivi della cooperazione dal fenomeno dell’immigrazione. Anzi, un risultato centrale che la cooperazione italiana si prefigge è quello di limitare la pressione migratoria nei confronti del nostro paese, innescando un processo di sviluppo nei paesi più arretrati in modo che un aumento del benessere faccia diminuire la propensione ad immigrare. Nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, fin dal 198711 il nostro paese ha formalmente riconosciuto alle Autonomie locali italiane (Regioni, Province autonome ed Enti locali) un ruolo propositivo e attuativo nell’azione di cooperazione allo sviluppo governativa disciplinandone, altresì, la facoltà di iniziativa. Nonostante l’esistenza del riferimento di legge, a quel tempo concettualmente innovativo anche se non ancora precisato in termini di cooperazione decentrata, la collaborazione fra cooperazione governativa e Autonomie locali si è sviluppata inizialmente in modo frammentario12. La cooperazione decentrata potrebbe essere definita come uno strumento di contrasto del sottosviluppo dell’uomo a partire dalla realtà locale per essere efficaci su scala internazionale. Pertanto le linee che potrebbero essere promosse a livello locale per influenzare, in una società globale, il contesto sia italiano che straniero potrebbero insistere su talune questioni che di seguito, brevemente, si illustreranno. Il ruolo del Comune deve riguardare innanzitutto la formazione. Investire per la crescita e il cambiamento culturale; il Comune rappresenta la comunità, ne cura gli interessi e promuove lo sviluppo: pertanto esso ha il ruolo prioritario e l’obbligo della formazione. “I Comuni italiani, rispetto ai paesi europei, non hanno quadri, non hanno dirigenza, non hanno personale formato in questo settore e questo rappresenta il gap più significativo; perché altro è organizzare trasporti umanitari per l’ex-Jugoslavia, e altro è andare in un Comune a fare cooperazione”: non è un fatto tecnico, ma è un fatto culturale rispetto al quale non c’è formazione. “Ad esempio c’è un’associazione in Olanda (nazione che ha circa 18 milioni di abitanti) con diciassette persone impiegate full-time che lavorano solo nella formazione alla cooperazione per i Comuni olandesi, che sono meno di 500”13. In secondo luogo si potrebbe agire nella direzione della modifica degli Statuti comunali improntata alla convinzione e all’importanza data alla cooperazione e alla lotta alla povertà; in 11 Con apposita previsione normativa nell’ambito della "Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo" (legge n.49 del 26 febbraio 1987, art. 2, commi 4 e 5) e nel relativo Regolamento di esecuzione (Dpr n. 177 del 12 aprile 1988, art. 7). 12 Si veda La cooperazione decentrata allo sviluppo, in Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. Ministero degli Affari Esteri, marzo 2001. 13 R.Triglia, Fondamenti legislativi e costituzionali dell’attività di cooperazione allo sviluppo delle regioni e degli enti locali, 1995.

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tal senso si potrebbero prevedere dei capitoli specifici in bilancio. La modifica dello Statuto comunale coinvolge l’intero arco costituzionale, e quindi avrebbe una valenza concreta e non temporanea. Un’altra considerazione scaturisce dall’osservare come ogni Ente locale abbia una ricchezza di know how da spendere e che potrebbe soddisfare le esigenze dei corrispettivi comuni del Sud. Qualche esperienza: gli Enti locali scandinavi hanno prodotto un manuale di straordinaria utilità, tradotto in più lingue e con materiale visivo insieme, per la protezione igienica attraverso fogne in piccoli villaggi dell’Africa sub-sahariana; un esempio che sembra banale, che è invece vitale per le conseguenze di igiene in quelle zone. Altro esempio: in Sud America tradizionalmente il sistema anagrafico è nelle mani del governo centrale e del ministro degli Interni, mentre in Europa è, tradizionalmente, nelle mani dei Comuni. Come si costruisce un più agevole sistema anagrafico-elettorale? Costruire questo potrebbe essere la soluzione ad un problema molto delicato e politicamente rilevante. Infine, le Repubbliche asiatiche dell’ex Unione Sovietica fornivano a un costo forfetario ai cittadini acqua, luce, gas: nessuna misurazione dei consumi; mentre oggi il problema è di farli pagare cercando di organizzare un valido sistema di misurazione. In definitiva, si ritiene che la cooperazione decentrata allo sviluppo possa costituire una via importante da percorrere; uno strumento di maturità civica e culturale che, educando, può costituire un’autentica prevenzione rispetto al fenomeno dell’immigrazione. Inoltre potrebbe veramente contribuire allo sviluppo di una coscienza improntata alla mondialità, alla diversità ed alla conoscenza (più o meno diretta) delle situazioni oggetto di studio ed intervento. Investire nella cooperazione decentrata allo sviluppo sarebbe anche un modo per affrontare il tema della multiculturalità a tutto tondo, in quanto l’integrazione socio-economica degli immigrati nel nostro territorio, può passare anche attraverso il loro riconoscimento come referenti privilegiati per la pianificazione concertata di progetti di cooperazione allo sviluppo, in quanto conoscitori diretti della realtà (comprensiva di bisogni, risorse, problematiche ecc.) del paese in cui si vuole andare ad agire. L’associazione multietnica di cui si parlava precedentemente potrebbe essere il partner locale ideale dell’ente territoriale per agire in questo senso, andando progressivamente a costruire al proprio interno professionalità di questo tipo (anche attraverso corsi di formazione ad hoc per i propri membri, che il comune potrebbe a pieno titolo finanziare). Anche in questo aspetto, come in quello precedentemente esposto di una maggiore attenzione al supporto per la creazione di una sana società interculturale, lo staff dell’Ambito XX è ottimista considerando gli evidenti segnali che provengono in questo senso dalla Provincia di

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Ascoli Piceno e precisamente del Presidente, da tempo impegnato e convinto sostenitore del ruolo importante che potrebbero giocare gli enti locali realizzando progetti di cooperazione decentrata che coinvolgano direttamente la cittadinanza locale.

5.6. Considerazioni finali Da questo studio (un po’ anomalo rispetto a percorsi di ricerca puri, in quanto prende in considerazione oltre, ovviamente, la realtà specifica del nostro territorio, la teoria elaborata da esperti di qualsiasi tipo in tema d’immigrazione, le buone prassi e le sperimentazioni avviate in altri contesti territoriali) si evince chiaramente come il fenomeno dell’immigrazione, più di ogni altro fenomeno sociale, interessi ogni aspetto della società civile in cui s’inserisce: relazionale, culturale, produttivo, di sviluppo, legislativo, religioso ecc. Fortunatamente non abbiamo riscontrato, nel corso del nostro mandato, fenomeni eclatanti di emarginazione anche se la cosa non è assolutamente sinonimo d’inserimento e convivenza alla pari. Il dato più evidente che salta all’occhio, come già detto precedentemente, è di carattere relazionale: mancano spazi e tempi di conoscenza, di convivenza e di attivazione condivisa. Ma questo fenomeno è generale, essendo la caratteristica principale della società postmoderna: mancanza di partecipazione, crisi della rappresentanza e della democrazia, alienazione e psicosi di massa causate da una “dipendenza” dal consumo e via di seguito. Questo dovrebbe far riflettere sull’opportunità di cominciare a spaziare, ad allargare gli orizzonti nel momento di elaborare politiche sociali: quanti provano ad utilizzare, per esempio, lo strumento della cooperazione decentrata allo sviluppo come propedeutico per politiche attive per l’immigrazione? Informando la società civile di provenienza degli immigrati residenti sul nostro territorio sulla realtà sociale, legislativa, politica, lavorativa, del sistema dell’educational14 ecc, si potrebbero forse prevenire quegli afflussi di massa molto spesso fomentati da promesse e sogni estrapolati dai media; formando (attraverso la collaborazione con le ambasciate) gli immigrati richiedenti il visto, prima sulla lingua italiana e poi su quelle mansioni lavorative principalmente richieste nel territorio di migrazione, potrebbero forse ridursi i disagi legati all’iniziale inserimento dell’individuo nel nuovo contesto socio-econcomico; e così via. Sarebbe importante cominciare a ragionare per connessioni virtuose: negli esempi sopra esposti, per esempio, potrebbero essere simultaneamente coinvolti gli

14 La quasi totalità degli immigrati laureati in Italia, sono arrivati con l’illusione di poter spendere tranquillamente il loro titolo di studio al pari di un autoctono (così come fanno i nostri dottori, infermieri, tecnici e specialisti inviati dalle ONG o dalla classica cooperazione governativa nei loro paesi). Amaro è il boccone che devono ingoiare quando scoprono che l’automaticità del riconoscimento non è biunivoca ma che, al contrario, loro (proprio perché provenienti da paesi sotto-“sviluppati” quindi implicitamente inferiori) devono intraprendere un iter burocratico scandaloso e per niente celere prima di poter spendere con dignità ed orgoglio il proprio titolo di studio!

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uffici comunali dei servizi sociali, della cultura e dello sviluppo economico che, nella prassi, raramente (se si escludono le forti collaborazioni fra i primi due) si siedono a tavolino per concertare interventi multisettoriali. Ci auguriamo che questo modesto lavoro possa aprire nuovi percorsi “creativi” non ancora sperimentati.

6. Appendici

1) Il modello di intervista semistrutturata

Traccia dell’intervista semi strutturata (divisa per macro aree) da sottoporre agli immigrati

residenti sul territorio dell’Ambito XX.

PREMESSA: L’Ambito XX vuole continuare il lavoro lasciato in sospeso precedentemente a favore di una reale e positiva integrazione delle persone immigrate nel nostro territorio. Si vuole infatti continuare ad attivare risorse sul territorio, a stimolare un clima di partecipazione attiva ed in questa circostanza abbiamo pensato di farlo organizzando una rassegna culturale etnica. Pensiamo sia un modo accattivante di far conoscere le comunità straniere che vivono sul territorio dell’ambito alla società di accoglienza: una scusa per intavolare un confronto ed un dialogo. [Ci presentiamo esplicitando chiaramente che il nostro scopo è fornire un quadro conoscitivo il + possibile descritto dal di dentro, delle comunità

straniere residenti sul territorio dell’ambito. Ci serve quindi il tuo aiuto nella maniera più spontanea e informale, senza resistenze e paure] .

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A. Domande d’ “aggancio”:

1. Pensi che valga la pena raccontare alla gente che vive qua qualcosa sulla tua esperienza migratoria? 2. Quale pensi che sia lo strumento migliore per farlo?

La tua testimonianza diretta? Far vedere un film? Leggere un pezzo di libro? Organizzare una piccola rappresentazione teatrale?

3. In ogni caso, quale sia lo strumento alla fine scelto (dopo essersi confrontati con gli altri connazionali) sei disposto ad

intervenire nell’organizzazione della giornata (nei modi che più si ritengono opportuni: con banchetto espositivo di prodotti tradizionali, degustazioni piatti tipici ecc..)?

B. Situaziomigrare an

1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 1 1 1 1d’

1 1 1

C. Quadro(da integrare con 1. Qual è l 2. Ne sei a 3. Ci puoi a

In base a quello che rispondono andiamo avanti per vedere come fare. Per esempio se scelgono lo strumento del film:

Qual è un film che vorresti far vedere a chi vive qua? Perché? Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?….

(Magari gli si lascia il tempo di pensarci e poi ci si rincontra… se ci sono più proposte si contribuisce a sollecitare una scelta che metta d’accordo tutti, metodologia del focus group)

ne e dati anagrafici, percorso migratorio e attuale situazione ed eventuale scelta di cora:

. maschio o femmina

. età

. titolo di studio

. professione

. di cosa ti occupi, che lavoro fai

. da quanto tempo sei in Italia

. sei sposato/a

. il coniuge vive qui?

. se si, ti sei sposato qua in Italia 0. oppure lo eri già 1. se si, sei sposato con un tuo connazionale oppure no 2. sei qui da solo o con altri parenti e/o amici? Chi sono? 3. ti sei ricongiunto successivamente con alcuni di loro? 4. hai intenzione di ricongiungerti con i propri cari? Dove? Qui? in un altro paese oppure nel proprio paese

origine?.. 5. hai figli? 6. se si, quanti? 7. se si, sono tutti qui in Italia?

storico e politico del paese d’origine brevi ricerche Internet, sotto forma di schede eventualmente da distribuire durante la serata):

a situazione storico- politica del paese da cui vieni?

bbastanza consapevole?

iutare a conoscerlo meglio, a darci qualche riferimento?

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4. Questa situazione ha contribuito in parte o totalmente a farti decidere di lasciare il tuo paese? D. Motivi e prospettive future rispetto alla migrazione:

1. Cause di migrazione (personali e del paese in generali)?

2. Hai intrapreso altri percorsi migratori prima di fermarti qui?

3. Sei intenzionato a restare?O preferiresti migrare in altri paesi nel Nord del Mondo in generale?

4. In questo caso perché?

5. A quali condizioni, invece, faresti ritorno al tuo paese d’origine? E. Aspettative… soddisfatte o no, nostalgie : 1. Cosa ti aspettavi e cosa hai trovato? 2. Cosa ti manca del paese di origine? 3. Cosa hai fatto, vorreste fare o vorresti che qualcuno facesse per sopperire a ciò? 4. Vorresti che il territorio offrisse qualcosa di particolare (dal punto di vista di intrattenimento e/o formazione ecc..)?

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F. Gestione del tempo del tempo libero: 1. Cosa fai nel tempo libero? 2. Cosa sai fare (che non per forza corrisponde al lavoro, potremmo trovare sarte, meccanici, artigiani, ecc…)… 3. Hai hobbies? Quali? (cucinare, passeggiare e quant’altro..) 4. Leggi giornali/libri in lingua? Si No Qualche volta 5. Se sì dove li trovi? 6. Giornali locali? Si No Qualche volta 7. Vai al cinema? Si No Qualche volta 8. A casa hai film del tuo paese di origine?Quale ti piace di +? Perché? Di cosa parla? H. Rapporto con i figli :

1. Cosa significa per te educare un figlio?

2. Fai in modo di metterli nelle condizioni di conoscere entrambe le culture così di far loro scegliere in autonomia?

3. Concretamente in che modo?

4. Mantieni vivi i vostri costumi e le vostre tradizioni trasmettendole ai tuoi figli? Fai conoscere loro la cultura d’origine, la vostra lingua?

5. Se sì come ed in quali circostanze?

6. Percepisci dei conflitti (valoriali ecc..) con i tuoi figli?

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7. Se sì, di che tipo sono?

8. Come cerchi di affrontarli?

9. Il rapporto con la scuola com’è?

5. Ti senti compreso da parte degli insegnanti rispetto alle problematiche, non solo della lingua, ma anche quelle di un

bagaglio culturale diverso dal nostro e spesso con un percorso di vita piuttosto travagliato? L. RAPPORTO CON LA RELIGIONE :

1. Sei credente? Si No

2. A quale religione appartieni?

3. Partecipi ai riti religiosi appartenenti alla tua cultura? Si No

4. La comunità d’accoglienza vi dà il modo (luoghi, tempi e spazi,…) per professare in modo compiuto e sereno la vostra fede? Si No

5. Quali sono gli aspetti salienti della vostra religione?

6. Contrastano con gli usi e la tradizioni della nostra cultura? Si No

7. Se si, la tua comunità come ha risolto i contrasti o pensa di risolverli? M. RAPPORTI CON LA COMUNITÀ DI APPARTENENZA:

1. C’è un rapporto di frequentazioni con i tuoi connazionali? Si No 2. Se si, in quali circostanze? Perché?

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Un bambino cresciuto là e poi trapiantato qua si può trovare spiazzato, sentire il disagio di una duplice identità… dovendo affrontare queste problematiche, vi siete sentiti aiutati da qualcuno? Da chi?

Verificare se la persona intervistata è disponibile a partecipare ad una tavola rotonda insieme ad altri 5 o 6 stranieri per raccontare la propria esperienza m

igratoria ad un gruppo di lavoro (potenzialmente anche la com

missione

pari opportunità se sono donne). Cercare di supportarlo in questo uscire allo scoperto, infondendogli fiducia, rassicurandolo che comunque noi ci siam

o e possiamo aiutarlo a rielaborare i concetti fin qui esposti e che com

unque il non conoscere bene la lingua non deve essere un m

otivo di vergogna e pudore: quanti italiani conoscono l’arabo, l’albanese o il cinese o il sik?devono sentirsi fieri di ciò e considerarlo come m

otivo di orgoglio e non di biasimo.

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3. Conosci l’associazione della tua comunità (nel caso esista)? Cosa ne pensi? 4. A cosa serve? 5. In generale conosci le finalità e le potenzialità dell’associazionismo? Si No 6. Pensi sia utile? Si No 7. Vorresti avere maggiori informazioni al riguardo? Si No 8. Se si, vorresti impegnarti per la realizzazione di un’associazione multiculturale che ti veda protagonista? Che ti faccia

essere un referente diretto e attivo delle vostre capacità, potenzialità, bisogni, diritti e doveri? Si No

N. Rapporto con la medicina convenzionale :

1. Fai ricorso alle nostre cure mediche?Se sì di che tipo principalmente? 2. Come le consideri? 3. Hai abbandonato le cure tradizionali, nel caso le praticassi? Si No 4. Se si sono verificati, come hai risolto gli eventuali contrasti di natura culturale?…

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2) Alcune tabelle e dati disaggregati

Immigrati residenti nel comune di Monturano (dati 2004) Nazionalità Totale Femmine Maschi

Marocco 203 87 116 Albania 109 45 64

Cina 43 21 22 Romania 29 18 11

Macedonia 24 10 14 Sri Lanka 16 9 7 Ucraina 8 6 2 Polonia 7 7 - Tunisia 7 2 5

Rep. Congo 5 2 3 Algeria 4 3 1

Argentina 4 3 1 Ecuador 4 3 1

Jugoslavia 4 2 2 Nigeria 3 1 2

Bielorussia 2 2 - Brasile 2 2 -

Colombia 2 2 - Gran

Bretagna 2 1 1 Rep. Ceca 2 1 1

Russia 2 2 - Bolivia 1 - 1 Bosnia 1 - 1

Bulgaria 1 1 - Isole

Mauritius 1 - 1 Moldavia 1 1 - Olanda 1 1 -

Rep. Dominicana 1 1 -

Spagna 1 - 1 490 233 257

Immigrati residenti nel comune di S.Elpidio a Mare (dati 2004)

Nazionalità Totale Femmine Maschi Albania 157 73 84

India 139 59 80 Marocco 134 56 78

Cina 115 52 63 Romania 38 26 12 Algeria 26 8 18

Pakistan 21 6 15 Tunisia 20 10 10 Ucraina 19 16 3

Macedonia 18 8 10 Russia 18 17 1 Polonia 17 15 2

Brasile 13 7 6 Nigeria 13 7 6

Argentina 7 6 1 Perù 7 6 1

Bulgaria 6 4 2 Croazia 6 2 4 Bosnia 3 1 2 Burkina 3 1 2

Bangladesh 2 - 2 Congo 2 - 2

Corea del Sud 2 1 1 Ecuador 2 2 - Filippine 2 1 1 Moldavia 2 2 -

Venezuela 2 2 - Bielorussia 1 1 -

Cile 1 1 - Colombia 1 1 -

Costa d'Avorio 1 1 - Cuba 1 1 - Cylon 1 - 1 Egitto 1 1 - Libano 1 1 -

Messico 1 1 - Serbia 1 - 1

Taiwan-Formosa 1 1 - Turchia 1 - 1

Usa 1 - 1 807 397 410

Immigrati residenti nel comune di P.S.Elpidio (dati 2004)

Nazionalità Totale Femmine Maschi Albania 300 124 176

India 208 86 122 Marocco 199 89 110

Cina 173 79 94 Romania 100 65 35 Ucraina 60 48 12 Polonia 54 36 18 Tunisia 50 19 31

Macedonia 36 12 24 Russia 36 31 5 Algeria 31 13 18

Bangladesh 31 12 19 Argentina 18 11 7 Moldavia 16 14 2 Nigeria 13 7 6

Pakistan 13 4 9 Brasile 12 8 4

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Bosnia 11 6 5 Bielorussia 10 7 3 Rep. Ceca 10 7 3 Jugoslavia 8 2 6 Senegal 8 - 8 Ecuador 7 6 1 Ungheria 7 5 2 Bulgaria 6 5 1

Cuba 6 6 - Perù 6 5 1

Slovacchia 6 6 - Spagna 6 5 1

Uzbekistan 6 5 1 Colombia 5 4 1

Costa d'Avorio 5 2 3 Germania 5 5 -

Siria 5 2 3 Camerun 4 2 2

Cile 4 4 - Francia 4 3 1 Henc 4 - 4

Kosovo 4 3 1 Austria 3 3 -

Gran Bretagna 3 1 2 Apolide 2 1 1 Croazia 2 2 - Ghana 2 1 1 Grecia 2 1 1

Iran 2 1 1 Irlanda 2 2 -

Svizzera 2 2 - Uruguay 2 - 2 Australia 1 1 -

Belgio 1 1 - Estonia 1 1 -

Isole Faer Oer 1 - 1 Filippine 1 1 - Georgia 1 - 1

Indonesia 1 1 - Mauritius 1 - 1 Paraguay 1 1 -

Rep. di Corea 1 - 1 Rep. di Armenia 1 - 1

Rep. Dominicana 1 1 - Sri Lanka 1 1 -

USA 1 1 - Togo 1 - 1

1524 771 753

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Assunzioni di lavoratori stranieri registrate nei comuni dell'Ambito Territoriale XX divise per settori produttivi Settori di attività produttiva 1998 1999 2000 2001 2002

Agricoltura, pesca, estrattive 7 5 6 5 5

Prim. Subtotale settore primario (agric.) 7 5 6 5 5

Tessile, abbigliamento, calzature 146 125 171 297 243 Ind.calzature 140 122 167 283 239

Ind.pelli e cuoio 6 3 3 8 2

Legno e mobile 2 1 2 1 Chimica, gomma 7 11 17 20 18 Meccanica 4 7 1 6 5 Altre manifatture 2 3 3 3 Costruzioni 15 12 22 30 41

industria

Subtotale settore secondario (ind.) 174 157 215 358 311

Commercio 4 9 4 12 14 Alberghi e ristorazioni 11 14 14 13 23 Trasporti e comunicazioni 4 1 8 1 1 Pubblica amministrazione 1 Altri servizi 6 10 38 20 37

servizi

Subtotale settore terziario (servizi) 25 34 64 46 76

Non determinato 1 3 2 Totale 206 196 286 412 394

La durata media dei rapporti di lavoro chiusi alla data del 15/09/03 Riferimenti territoriali 1998 1999 2000 2001 2002 Media Totali assunzioni Centro Imp. Fermo 9,53 6,97 6,45 4,6 2,77 6,22 Lavoratori stran. Centro Imp. Fermo 9,00 7,84 6,36 5,00 3,25 6,00 Lavoratori stran. comuni Ambito XX 8,92 6,77 5,98 4,78 3,14 5,66

Le qualifiche dell'assunzione dei lavoratori stranieri assunti nei comuni

dell'Ambito Territoriale XX Qualifiche 1998 1999 2000 2001 2002 Operatore generico di produzione 83 70 66 114 176 Manovale Industriale 16 18 35 96 14 Manovale edile 7 6 9 14 13 Rifinitore di calzature 4 6 9 8 13 Inscatolatore a mano 4 6 9 10 8 Calzolaio 6 3 8 7 12 Incollatore di calzature 3 4 8 6 8 Ballerino 3 22 1 Muratore 1 4 5 4 12 Orlatore di calzature 5 3 5 5 4 Stampatore di gomme 1 5 8 5 2 Altri specialisti in discipline artistico-espressive 9 8 Tagliatore di tomaie 6 3 1 4 3 Addetto alla manovia 1 15 Rifilatore di suola 2 2 9 3 Stampatore di materie plastiche 6 3 4 2 1 Tranciatore di pelli di calzoleria 3 3 2 7 1

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Artigiani ed operai della calzat. e artic. cuoio 4 2 2 4 3 Applicatore di suola 2 1 7 3 1 Bracciante agricolo 5 3 5 Montatore di calzature 1 3 2 5 2 Altro 47 48 61 105 106 Totale 206 196 286 412 394

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3) Il progetto di accoglienza e sostegno linguistico

Proposta d’intervento per l’integrazione in chiave interculturale

dei bambini migranti nelle scuole dell’obbligo dell’Ambito Territoriale XX. La questione dell’integrazione dei bambini extracomunitari all’interno della scuola italiana è, nella maggior parte dei casi, affrontata dalle istituzioni pubbliche (scuola e comune, singolarmente o in compartecipazione) spesso in collaborazione con altri attori territoriali (coop.soc, assoc. di volontariato, sindacati, ecc..) attraverso il ricorso al sostegno linguistico ritenendo che il primo scoglio da superare per intraprendere con successo qualsiasi percorso “integrativo” sia quello linguistico, perché inerente al canale comunicativo preferenziale (quello verbale), perché facilitatore della comprensione. Chiaramente gestire l’integrazione15 non si limita ad affrontare esclusivamente l’aspetto linguistico, ma dovrebbe comprendere anche e soprattutto l’aspetto culturale, relazionale, della socializzazione interpersonale e dell’apertura al territorio. Inoltre, anche volessimo affrontare il solo aspetto linguistico, non dobbiamo dimenticarci che i bisogni di apprendimento linguistico dell’allievo immigrato comprendono sia la lingua del “qui e dell’ora”, sia la lingua dello studio. Superata, infatti, la fase di primo ambientamento nella nuova realtà, l’allievo straniero ha bisogno di essere seguito nel percorso di appropriazione della lingua più astratta e formalizzata dello studio, per riprendere il percorso formativo ed evitare situazioni di svantaggio scolastico dovuto a scarsa conoscenza della lingua italiana. 1. Premessa Dei tre comuni dell’ambito Territoriale XX quello che più ha preso a cuore la questione dell’integrazione scolastica dei bambini immigrati nelle scuole è stato il comune di P.S.Elpidio che, in collaborazione con le direzioni didattiche del territorio, gestisce, per mezzo di una cooperativa sociale questo tipo di servizio. Il servizio prevede una figura di referente/coordinatore e 7 figure di facilitatori linguistici che esplicano le loro mansioni principalmente in orario scolastico e saltuariamente nel pomeriggi. Nel altri due comuni il servizio è gestito internamente dalla scuola con il sostegno economico comunale. Vista la crescita esponenziale di bambini immigrati in tutto il territorio, anche in questi due comuni sta diventando sempre più impellente la necessità di strutturare in maniera esauriente tale tipo di servizio, e allora perché non prevedere una gestione d’Ambito, che potrebbe inoltre (oltre che essere supportata dallo staff del coordinatore) osare proposte più innovative e sperimentali, potenzialmente replicabili in altri

15 Specifico ora per non farlo più in seguito, che intendo l’integrazione in chiave multiculturale (e quindi convivenza rispettosa delle reciproche diversità) e assolutamente non nel senso di assimilazione di una cultura (la nuova arrivata) in quella dominante.

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contesti territoriali? Anche a livello Provinciale le tendenze e gli indirizzi sono nel senso della proposta che andiamo qui di seguito a formulare consolidando così ancor di più le nostre motivazioni. Prima di tutto dobbiamo spendere qualche minuto per una preliminare ma fondamentale distinzione fra due figure professionali (non ancora rientranti all’interno delle qualifiche professionali generalmente riconosciute) impiegate quasi sempre indistintamente (assimilando quindi superficialmente l’una all’altra) nel campo dell’integrazione scolastica dei bambini immigrati: ci riferiamo al cd. “facilitatore linguistico” e al “mediatore culturale”. Il primo è paragonabile all’insegnante di sostegno, da tempo nella scuola per supportare l’apprendimento dei soggetti diversamente abili, in modo tale da non “appesantire” il lavoro dell’insegnante di ruolo che può così procedere nel suo programma rivolgendosi all’intero gruppo classe. Chi scrive è personalmente contraria a queste forme di “sostegno” così fortemente connotate (di fatto c’è un insegnante apposito per seguire quel/quei soggetti che solo per questo fatto concreto, esternamente visibile, sono già implicitamente considerati dagli altri diversi) perché in questo modo si evita di affrontare la situazione in maniera olistica, coinvolgendo l’intera classe (attraverso percorsi di progressiva responsabilizzazione che più avanti spiegherò) e mettendo in discussione la metodologia didattica dell’insegnante, che in un’ottica di accoglienza, dovrà per forza sacrificare dei percorsi d’insegnamento ortodossi, per far spazio a sperimentazioni interdisciplinari in chiave interculturale. Mi rendo conto che questo percorso richiede più fatica e impegno, rispetto alla semplice delega ad un esterno della comprensione e del rendimento del bambino straniero, ma è pur vero che questo sembra essere l’unica direzione percorribile se si vuole contribuire allo sviluppo di una società sana, partecipativa, responsabile e aperta al dialogo con l’alterità e, diciamolo pure, un po’ meno competitiva! Ma torniamo al nostro facilitatore linguistico, protagonista della formula attualmente e quasi dappertutto utilizzata (in Italia) per gestire la situazione dell’inserimento scolastico dei bambini stranieri e spesso impropriamente chiamato “mediatore culturale”. Forse per una questione di seguire i trend, forse, purtroppo, per un’approssimazione derivante dalla poca conoscenza della questione, fatto sta che capita sempre più spesso di vedere amministratori pubblici fuorviare la tipologia e l’entità della questione, attraverso l’adozione di politiche sociali incoerenti o la promozione di percorsi formativi non del tutto adeguati: il caso più emblematico ed esplicativo di quanto enunciato, è per esempio quello di pensare di risolvere l’urgenza sentita dalla scuola nel gestire l’aumento di alunni stranieri nei propri plessi (che, con le carenze linguistiche di cui sono portatori, pregiudicano l’apprendimento dell’intero gruppo classe), sfornando (attraverso l’utilizzo dei fondi per la formazione professionale ed FSE) una compagine di mediatori culturali16. Il fatto è che non é questa figura quella in grado di tamponare la prima urgenza (pur

16 Non essendo ancora stata ufficialmente riconosciuta come figura professionale, non esiste un curriculum generalmente accettato del cd mediatore culturale. Questo dà adito ad ulteriori confusioni che si sostanziano in percorsi formativi diversi (a seconda del soggetto proponente, delle esigenze supposte o reali alle quali si vuole

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essendo utile per altri scopi primo fra tutti il dialogo con le famiglie e la facilitazione dei contatti con il mondo esterno alla scuola) percepita dalla scuola e cioè colmare la mancanza di un soddisfacente vocabolario della lingua italiana come L2 che il bambino deve possedere per non risultare particolarmente penalizzato in termini d’apprendimento rispetto all’intero gruppo classe. Questa è la preoccupazione principale dell’insegnante accompagnata poi dal corollario che per risolverla si ha per forza bisogno di un aiuto esterno perché altrimenti, se l’insegnante dedicasse troppo tempo al recupero del bambino straniero, poi ne risentirebbe l’intera classe, risultando poi in ritardo con il programma e causando così le lamentele dei genitori. Usare il mediatore culturale in questo contesto quindi, da una parte lo svilisce (perché tutte le nozioni sociologiche, legislative, civiche, sul lavoro di rete, sull’ascolto ecc... da lui apprese non saranno affatto prese in considerazione) e dall’altra è inefficace dal punto di vista del raggiungimento dell’obiettivo preposto (difficilmente sarà infatti in grado di impartire lezioni di L2, perché nel corso per mediatore culturale17 nessuno glielo avrà insegnato). Andiamo infatti a vedere cosa significa mediatore culturale. 2. La Mediazione Culturale Mediatore culturale, médiateur, tutor interculturale, e ancora mediator, figure ponte, parents relais: sono questi i nomi, le figure che troviamo negli ospedali, negli uffici di polizia e nelle classi che tentano la mediazione tra la società d’accoglienza e chi vuole essere accolto. La mediazione viene intesa, nelle diverse situazioni, in maniera differente e come concetto plurale: inoltre essa è sempre più considerata come un termine/dispositivo passepartout che dovrebbe permettere, di volta in volta, di comunicare e accogliere, gestire le differenze, ridurre i conflitti, chiarire la norma e le regole, garantire l’accesso e l’uso dei servizi e la fruizione dei diritti ai nuovi cittadini, rappresentando e mettendo in scena le culture18. Il mediatore può essere considerato una figura “ponte” e creatrice di legami tra soggetti diversi, ma può essere anche visto con la funzione di porre rimedio, di attenuare le tensioni e smussare gli angoli e le dissonanze. La figura del mediatore culturale è nata, in Italia come in Europa, con l’entrata nella seconda fase del ciclo migratorio, quando si è passati dall’inserimento dei singoli, all’inserimento di interi nuclei familiari19. Semplicemente guardando a questo breve excursus è chiaro che, qualunque sia il suo ambito di lavoro, dovunque ci si ponga come terzi, il mediatore svolge il suo operato mediante e dentro la relazione; tramite

rispondere, del servizio e/o contesto lavorativo in cui si pensa d’inserire la nuova figura) che precludono quindi l’universale spendibilità del titolo appena conseguito. 17 Nel curriculum del mediatore culturale, non c’è infatti alcun riferimento alla didattica della L2, e alle regole sintattiche, grammaticali, fonetiche ecc.. della nostra lingua 18 FAVARO, G. “Fare” educazione interculturale. Progetti, percorsi e materiali didattici in SIRNA, C. (1996), cit., p.278. 19 FAVARO, G. I mediatori linguisitici e culturali nella scuola, EMI, Bologna, 2001, cit., p.10.

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questa il mediatore deve riuscire a sviluppare in entrambe le parti la capacità di ascoltare, di aprirsi a nuove vedute, di scegliere sempre le forme più corrette per comunicare individuando anche temi e argomenti adeguati. L’obiettivo non è quello di costruire un nuovo e unico sistema di valori, ma quello di creare uno spazio, un contenitore in cui questi valori siano inseriti e possano coesistere andando a creare costrutti originari delle diverse culture di provenienza e costrutti prodotti dall'incontro di diverse culture. L'importante è capire quello che succede in quello che gli antropologi chiamano processo di acculturazione 20 cioè il processo di apprendimento reciproco nel contatto tra culture diverse. La mediazione è un processo duplice e reciproco di decodifica della comunicazione che si esplica su più livelli: Livello di ordine pratico-orientativo

A questo livello fanno riferimento quei compiti e quelle funzioni che il mediatore svolge nei confronti del proprio gruppo di appartenenza e nei confronti degli operatori del servizio presso cui si trova ad operare. Il mediatore informa, traduce le informazioni, avvicina il servizio, lo rende al tempo stesso più accessibile e più trasparente. Informa gli operatori del servizio rispetto a specificità culturali, differenze e tratti propri della comunità d’origine. Livello linguistico-comunicativo

Il mediatore non si limita a tradurre fedelmente messaggi ed informazioni, ma chiarisce ciò che è implicito, svela la dimensione nascosta, dà voce alle domande silenziose e al no detto. In questa fase il mediatore può anche aiutare come traduttore, ma solo in mancanza della presenza di questo: lo sbaglio che molte persone fanno, anche all’interno della scuola stessa, è quello di considerare il mediatore come facilitatore linguistico e traduttore quando il tradurre può rientrare nelle mansioni del mediatore solo in determinate condizioni. Più che altro il mediatore deve “snocciolare” i significati, rendere comprensibile ciò che le due culture tentano di dirsi, mediando, appunto, termini e situazioni, al di là della pura traduzione letterale che per quanto importante, va sempre guardata con gli occhi delle parti che s’incontrano. Il mediatore ha il compito di “prevenire” dei conflitti, di chiarire ciò che è implicito, di dare voce alle domande silenziose. Livello psico-sociale

Guardando su questo piano l’attenzione si sposta sulle relazioni, sull’analisi dei bisogni e delle domande: capire ciò di cui le due parti hanno bisogno è importante. Per questo il mediatore non si può sottrarre dalla necessità di guardare nella relazione che lui stesso aiuta a sviluppare e dare l’aiuto che è richiesto, anche a livello emotivo. La funzione che il mediatore ha di contenitore delle emozioni e delle ansie risulta qui basilare: come abbiamo visto nel capitolo precedente le situazioni di ansia vanno contenute e riproposte come positive. La tolleranza delle ambiguità va controllata dal mediatore che deve capire dove sono queste

20 “Lacculturazione indica i fenomeni che si producono quando due gruppi di individui sono in continuo contatto tra loro e ne seguono cambiamenti nei modelli culturali di uno o di entrambi i gruppi” Robert Redfield, dal Dizionario Filosofico, Zanichelli, 1994.

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soglie di ansia per fare in modo che non ci si spinga oltre. Per questo motivo il mediatore in questo livello deve essere in grado di riorganizzare il servizio rendendolo più vivibile da entrambe le parti evitando le situazioni che possono provocare frustrazione e conflitto. A questo livello il mediatore può assumere un ruolo di cambiamento sociale, di stimolo per la riorganizzazione del servizio, di arricchimento della programmazione e delle attività che il servizio conduce. Il servizio diventa così più accessibile ed accogliente e un luogo di riconoscimento delle minoranze, di visibilità delle differenze e degli apporti culturali diversi. In questo senso la mediazione diventa essa stessa agente di cambiamento dinamico che promuove lo scambio e/o il mutamento di valori e di significati assegnati a parole, gesti, azioni, comportamenti considerati fino a quel momento tabù o invece insostituibili. Uno strumento per dimostrare e aumentare la porosità della cultura, che si trasforma in relazione ad altri sistemi culturali. Livello culturale: sul piano dell’incontro tra culture intese come insieme di valori il mediatore deve saper porsi come fonte per entrambi, per questo la figura del mediatore non può prescindere dal conoscere in modo profondo il paese d’accoglienza. Quando due culture sono molto distanti tra di loro, esistono dei comportamenti, delle usanze che non ci si riesce a spiegare da sé: la presenza di una persona che aiuti le due parti ad entrare nei significati di determinati gesti e comportamenti rende l’incontro più facile, prevenendo eventuali incomprensioni e risolvendo conflitti legati al retaggio culturale. Inoltre il mediatore dovrebbe essere un esperto di pedagogia interculturale: questo significa che dovrebbe riuscire a rendere l’incontro tra due culture più ampio, non limitato a ciò che quelle due determinate culture hanno da dirsi. Lo sviluppo delle capacità di decentrarsi e di assumere punti di vista altrui possono essere importanti in situazioni di conflitto. Considero importante qui ricordare che la cultura è, per ciascuno di noi, come “una griglia interpretava della realtà”21 che dà all’individuo una comprensione tacita della cose che ci stanno intorno. Questo “paio di occhiali” con cui guardiamo al mondo che ci circonda, ci dà i valori, le norme morali, i significati, le credenze, e le pratiche idonee per agire e pensare. Il concetto di script culturale ci può aiutare nel guardare all’interno delle culture: uno script è una rappresentazione mentale, socialmente condiviso, di una sequenza stereotipata di azioni e di interazione che si susseguono “Si tratta di conoscenze schematiche, articolate secondo un’organizzazione dimensionale e gerarchica attorno a eventi centrali, che indicano le linee guida da seguire nei proprio comportamenti e lettura delle situazioni”22. Due persone di due culture lontane possono vivere in maniera completamente diversa un gesto banale e semplice, quale può essere per esempio l’accavallare una gamba sull’altra quando si parla seduti su due siede una di fronte all’altra. Per una buona parte della cultura orientale infatti, questo incrociare le gambe porta un piede a essere puntato verso chi si ha di fronte, che è un segno di profonda maleducazione e di non rispetto per l’altro: questo in base ad una cultura del corpo per cui sue parti e 21 ANOLLI, L. Fondamenti di psicologia, Il Mulino, Bologna, 1998,cit., p.306. 22 Ibidem, cit., p.307.

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posture assumono importanza e significato. Se in una situazione di questo genere, nessuno spiega a uno dei due cosa significa accavallare una gamba, l’impasse culturale si può semplicemente produrre, andando a creare situazioni di conflitto. La mediazione culturale rappresenta una funzione utile e necessaria per agevolare il processo di integrazione degli immigrati e di mutamento interculturale della società di accoglienza. Va considerata come “ponte” fra le due parti, favorendo così la conoscenza reciproca di culture, valori, tradizioni, diritto e sistemi sociali, in una prospettiva di interscambio e di arricchimento reciproco. La mediazione culturale va, inoltre, considerata come dimensione costante delle politiche di integrazione sociale, sia per l’accesso degli stranieri all’esercizio dei diritti fondamentali sia per la trasformazione della nostra società, con l’incontro di culture diverse che si mescolano e si modificano reciprocamente. Le finalità dei processi di mediazione culturale possono essere così riassunte: - rimuovere gli ostacoli culturali che impediscono la comunicazione tra i servizi/istituzioni italiani e utenza straniera; - promuovere un più esteso e razionale utilizzo dei servizi e delle istituzioni italiane da parte dell'utenza straniera; - migliorare la qualità e l’adeguamento delle prestazioni offerte dai servizi italiani all’utenza straniera; - favorire l’integrazione sociale della popolazione immigrata nella comunità locale, nei servizi sociali, nelle istituzioni scolastiche e culturali, nel settore della sanità e del mondo del lavoro; - promuovere azione di sostegno culturale alla mediazione sociale nelle situazioni di conflitto tra le comunità immigrate e le istituzioni italiane; - individuare opportunità e percorsi positivi di prevenzione e superamento dei conflitti.

2.1. La mediazione in Italia

In Italia la mediazione culturale fa la sua comparsa agli inizi degli anni 90, quando nel nostro paese si passa dalla fase di inserimento di singoli immigrati alla seconda fase del ciclo migratorio, ovvero all’accoglienza, alla stabilizzazione ed integrazione di nuclei familiari. Si assiste, in questi anni, ad un sostanziale mutamento di ruolo e di status dei gruppi di immigrati che passano dalla condizione di “immigrati” a quella di “minoranza etnica”, implicando da parte delle comunità minoritarie un progetto di stabilizzazione e una crescente consapevolezza politica e da parte delle istituzioni italiane un riconoscimento di diritti. La mediazione culturale prende avvio, prima in modo circoscritto e poi in modo sempre più diffuso, con una certa prevalenza nelle regioni del nord del paese. Sono proprio i centri più attivi, come Torino e quelli metropolitani, come Milano, a sperimentare l’utilizzo “naif” della nuova figura di mediatore. E’ una partenza

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che ha tutte le connotazioni della novità, della sporadicità dell’inserimento e della casualità nella scelta dei contesti di avvio dell’esperienza. Rapidamente, però, prendono forma iniziative di formazione on the job ed altre finalizzate ad un utilizzo più ampio ed esteso del mediatore. Iniziano a prendere piede percorsi di formazione che, finanziati attraverso i programmi europei o con il fondo sociale europeo, attingono alle esperienze straniere e allo stesso tempo evidenziano propri e specifici orientamenti culturali. Tutto quanto gravita nell’orbita della mediazione; tuttavia, è ancora poco interculturale se si pensa alla formazione, alla domanda di mediazione e alle pratiche di molti servizi, anche se lo spirito e l’intendimento di tutti è innegabilmente aperto al dialogo e al confronto con l’altro. Ad oggi non esiste una codificazione normativa ed il conseguente profilo professionale della figura del mediatore culturale; per gli analisti del mercato è infatti un’occupazione professionale non ancora prevista. La legge 40/98, nell’art. 36 “Istruzione degli stranieri – Educazione interculturale” e nell’ art. 40 “Misure di Integrazione Sociale”, nonché la legge 285/97 dal titolo “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza, fanno riferimento ai mediatori culturali/interculturali qualificati, quali operatori sempre più richiesti nei servizi di welfare. Nonostante tale conferma e legittimazione, il mediatore è un operatore non ancora riconosciuto e il dibattito sul suo profilo, percorso formativo e ruolo è in una fase di confronto ancora molto aperta.

2.2. La formazione del mediatore culturale Riguardo al profilo e il ruolo del mediatore esistono non poche divergenze di opinioni. I soggetti che da anni lavorano nel settore della mediazione hanno, comunque, cercato di concordare alcuni tratti distintivi di questa figura professionale. Per i più, il mediatore culturale è un agente attivo nel processo di integrazione e si pone come figura “ponte” fra gli stranieri e le istituzioni, i servizi pubblici e le strutture private, senza sostituirsi né agli uni né alle altre, per favorire invece il raccordo fra soggetti di culture diverse. Si pone quindi come un nuovo operatore sociale con specifiche competenze ed attitudini in grado di interagire con le istituzioni pubbliche e private, nonché come interprete delle esigenze e delle necessità degli stranieri. Il mediatore culturale contribuisce a:

prevenire potenziali occasioni di conflitto favorendo le condizioni per l’integrazione sociale e facilitando le pari opportunità nel godimento dei diritti, nonché valorizzando le risorse di culture e valori diversi propri dei cittadini immigrati;

aiutare il cittadino straniero ad inserirsi nella società italiana, favorendo la conoscenza dei diritti e dei doveri, l’uso dei servizi sociali, sanitari, educativi, culturali etc…., sia pubblici che privati, dislocati sul territorio, nell’intento di consentire un accesso e una fruibilità dei servizi a pari condizioni;

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facilitare l’incontro tra persone diverse attraverso la funzione di mediazione linguistico-culturale che si esprime nella capacità di decodificare i codici dei due attori della relazione (migrante ed operatore), codici che sottostanno il linguaggio ovvero l’intero mondo di sensazioni, esperienze e valori;

aiutare il cittadino straniero a leggere e comprendere la cultura italiana anche alla luce delle culture di appartenenza e delle reciproche aree di pregiudizio;

promuovere e valorizzare il ruolo degli stranieri come risorsa ed opportunità nel tessuto socio-economico.

Tra i requisiti per svolgere la funzione di mediatore culturale, quelli che ricorrono più spesso sono:

→ di origine preferibilmente straniera con esperienza personale di immigrazione;

→ buona conoscenza della cultura e della lingua italiana parlata e scritta;

→ buona conoscenza della cultura e della realtà socio-economica del paese d’origine;

→ buona conoscenza della realtà italiana, del territorio, dei servizi o settore in cui opera;

→ possesso di un titolo di studio medio-alto;

→ motivazione e disposizione al lavoro relazionale e sociale, capacità relazionali di empatia e riservatezza;

→ essere abilitato alla mediazione in virtù di una formazione e di esperienze specifiche. Fino ad oggi, la formazione dei mediatori culturali è avvenuta principalmente sul campo, nei servizi, nelle situazioni di prima accoglienza e a partire da relazioni significative, nelle strutture scolastiche. In questi settori associazioni di volontariato, privato sociale ed enti locali hanno promosso iniziative e corsi, in alcuni casi aperti agli italiani ma principalmente, ormai quasi esclusivamente, indirizzati a cittadini stranieri. L’offerta formativa rivolta ai mediatori si sta facendo, comunque, sempre più articolata e finalizzata ad interventi mirati. Ne sono una conferma i molteplici percorsi formativi proposti negli ultimi tempi che prevedono solitamente una struttura modulare di base nell’area della comunicazione e delle relazioni interculturali, nell’area normativa e nell’area dell’organizzazione e dei servizi e un percorso formativo di secondo livello, con un’ulteriore articolazione di moduli disciplinari per settore, secondo gli ambiti di impiego del mediatore culturale. Il percorso formativo di base prevede, solitamente, un monte ore complessivo di almeno 500 ore, di cui un terzo impiegato in esperienze di tirocinio, mentre il percorso formativo di secondo livello di specializzazione prevede almeno 300 ore di cui metà di tirocinio svolto nei vari settori. E’ inoltre quasi sempre previsto un aggiornamento “in itinere” per capacitare i mediatori a dare risposte puntuali a situazioni in continua evoluzione e cambiamento.

2.3. I luoghi della mediazione

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La mediazione si svolge soprattutto in contesti scolastici, contesti socio-sanitari, realtà territoriali e nel mondo del lavoro. I servizi che, in maniera sempre più crescente, impiegano mediatori sono:

→ servizi educativi per l’infanzia

→ scuole di ogni ordine e grado

→ ospedali

→ consultori familiari

→ uffici stranieri di questure

→ carceri

→ uffici stranieri di sindacati, enti locali, associazioni di volontariato

→ servizi sociali

→ centri di prima accoglienza

→ comunità alloggio

→ aziende e servizi commerciali che prevedono la presenza di stranieri

2.4. Le difficoltà nella mediazione Una delle maggiori difficoltà riscontrate negli interventi di mediazione risiede nel riuscire a mantenere una posizione centrale ed equilibrata nella comunicazione. Spesso il mediatore si identifica con l’utente, parlando al posto dell’utente, sbilanciando quindi il proprio intervento e favorendo un feed-back che esclude l’operatore. Il mediatore si lascia trascinare dall’emotività dell’utente, non riesce a stabilire un argine entro il quale contenere le aspettative espresse e si dimentica del ruolo di interfaccia con l’operatore. Non crea, quindi, le condizioni per una comunicazione nei due sensi. Vi è, inoltre, il rischio che si trasformi nel portavoce del servizio, assumendo un atteggiamento di superiorità nei confronti degli utenti, sentendosi investito da un ruolo istituzionale e potente e imponendo, quindi, le modalità omologanti dei servizi. Un’altra difficoltà della mediazione è il problema dei confini e della relazione tra operatore e mediatore. I rischi sono la sostituzione e sovrapposizione a cui si aggiunge una subdeterminazione della figura, assegnando implicitamente compiti o coltivando attese anch’esse non esplicitate, rispetto alla facilitazione di una relazione e persino di un servizio. Dove manca una chiara definizione delle competenze si possono, infatti, generare una confusione di ruoli e conflitti di potere tra operatori e mediatori. Il mediatore può tendere a sovrapporsi al ruolo dell’operatore, tende a sconfinare al di là delle proprie funzioni, a dare informazioni che non è qualificato a dare. L’operatore, dal canto suo, si sente usurpato poiché non è più lui a controllare in pieno la situazione, dovendo usare il mediatore come filtro nel suo rapporto con l’utente.

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Questo crea non poche diffidenze da parte degli operatori, soprattutto nei colloqui a tre, in quanto essi avvengono in una lingua estranea e spesso incomprensibile di codici culturali, gesti e modalità di comportamento. Un altro aspetto da considerare riguarda la collocazione simbolica del mediatore. Molti si chiedono se il mediatore debba ricoprire un ruolo di “facilitatore” o un ruolo di “advocacy”, quindi difensore e portavoce schierato dal parte dell’utente. Le opinioni divergono, anzi sono opposte: per alcuni, infatti, l’appartenenza e lo schieramento sono le condizioni essenziali per svolgere il compito; per altri il mediatore è visto come un soggetto in grado di essere in grado di tenere sempre aperti i canali di comunicazione. Il confronto rimane ancora aperto, anche se ci si sta avvicinando sempre più all’idea del mediatore in un ruolo di “empowerment”, in grado di favorire il singolo utente nella sua capacità di parlare per se stesso e di essere autonomo. Un’ulteriore difficoltà che il mediatore riscontra è la pressione da parte dell’utente, il quale spesso non riesce a distinguere fra un rapporto professionale e un rapporto di amicizia. Il mediatore a volte subisce il ricatto morale del connazionale bisognoso che ricerca la complicità del mediatore per superare ostacoli posti dai vincoli e dalle regole per l’accesso a determinati servizi; è quindi difficile per il mediatore mantenere una posizione neutrale essendo chiamato a negoziare fra i valori della cultura occidentale e quelli della propria cultura di origine agendo un conflitto che è prima di tutto interiore. Un problema è anche la precarietà lavorativa del ruolo di mediatore che sembra essere una costante di questa professione. Il rapporto di lavoro più diffuso è quello della prestazione professionale e si opera nell’ambito di convenzioni ed accordi annuali. Vi è quindi l’assoluta mancanza di sicurezza e conseguentemente un forte turn over ed abbandono del ruolo a seguito di nuove e meno precarie proposte di lavoro. 3. Il Progetto Accoglienza e Integrazione dell’Ambito Territoriale XX: una visione

d’integrazione scolastica dei bambini immigrati in chiave multiculturale23

Dopo aver visto la differenza fra “facilitatore linguistico” e “mediatore culturale” proviamo ad immaginare una loro collocazione24 all’interno della struttura scolastica, in modo tale da delineare un intervento d’integrazione interculturale che agisca su più livelli: quello didattico (principalmente attraverso il facilitatore), quello socio-culturale (soprattutto attraverso il mediatore) e quello relazionale (attraverso la sperimentazione di percorsi alternativi che coinvolgano l’intero gruppo classe e parte del territorio).

23 La nostra proposta presuppone che già scuola ed ente locale stiano lavorando insieme sul cosiddetto “Protocollo di Accoglienza” che faciliti i rapporti (soprattutto in termini di procedure e responsabilità) e le modalità operative. Il comune di P.S.Elpidio, che ne dispone, potrebbe supportare gli altri due comuni a realizzarlo a loro volta. 24 L’aver distinto le due figure ci serve per dimostrarne la pari utilità, mantenendo ciascuno nel proprio specifico campo d’azione

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3.1. L’ausilio dei mediatori linguistici per l’accoglienza e il rapporto con il territorio

Nella scuola il mediatore non è colui che agisce solo in un conflitto quale può essere il fraintendimento di uno script culturale da parte di compagni di banco di culture diverse, o non è definibile semplicisticamente come colui che accompagna il bambino straniero nelle aule del paese d’accoglienza. Siamo di fronte ad una figura complessa, nuova, con più compiti e campi d’azione: tra questi se ne possono individuare quattro che vanno a delineare e definire la figura del mediatore rendendola ancora più chiara. Pensati dalla Favaro, ma ritenuti validi da gran parte della letteratura sul tema, i fronti su cui la mediazione lavora sono i seguenti: - Nei confronti dei bambini immigrati

Il mediatore assiste il bambino nella fase di accoglienza e di inserimento in primo luogo aiutando a ricostruire la biografia e la storia scolastica precedente,ma soprattutto, se visto dal punto di vista del bambino costituendo una figura “ponte” di accompagnamento tra le due culture. Altro ruolo basilare del mediatore è quello di dare prestigio alla cultura e alla lingua del nuovo arrivato per esempio concordando attività didattiche con i colleghi docenti e funzionando lui stesso come modello di riferimento e d’identificazione Inoltre come già visto nell’analisi del lavoro a livello psico-sociale il mediatore assolve la funzione di “contenitore delle ansie” del bambino che muove i suoi primi passi nelle classi di un paese straniero - Nei confronti delle famiglie immigrate:

La scolarizzazione del proprio figlio, soprattutto in una situazione di nuova migrazione, è un’importante step della vita familiare in qualsiasi contesto culturale. Per molte famiglie immigrate questo passo rappresenta un primo contatto con le istituzioni e con l’inserimento nella società d’accoglienza. In un contesto simile il mediatore assolve ad un’importante funzione, quella appunto di mediare tra la scuola, la società, le famiglie e i suoi bambini. L’accesso ai servizi in molti casi ha bisogno di essere seguito: ostacoli spesso connessi alla lingua sono superati grazie all’azione di terzi. Informazioni riguardo al sistema scolastico del paese di accoglienza sono basilari e possono prevenire possibili fraintendimenti culturali. Come ricorda Anna Belpiede25, la strada della mediazione è importante che passi attraverso il contesto familiare, per far sì che anche le varie famiglie trovino un aiuto per “venir fuori”, per non fossilizzarsi su modelli tradizionali di trasmissione della loro cultura e per fare in modo che avvenga il riconoscimento delle loro comunità, delle loro tradizioni e più in generale della loro cultura da parte della società. - Nei confronti degli insegnanti e degli operatori

25 BELPIEDE, A Farcela nella società senza staccarsi dalle proprie radici ? in “Animazione Sociale” 3 Gruppo Abele, Torino, marzo 2002, cit, p.49.

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Abbiamo fino ad ora detto che il mediatore aiuta nel primo approccio con la scuola i genitori, ma anche gli insegnanti hanno un immenso bisogno di quest’introduzione, di un aiuto per le difficoltà comunicative soprattutto legate all’accoglienza e all’inserimento. Come ci ricorda Sidoli26, “ignorare la sofferenza dell’adulto significa non riconoscere le dinamiche di fallimento che egli avverte rispetto alla funzione docente”. Inoltre il mediatore conoscendo bene la situazione del paese d’origine dei bambini, cerca di spiegarne la cultura prevenendo anche in questo caso possibili fraintendimenti: presentando i modelli educativi e scolastici dei paesi d’immigrazione, il docente è immensamente aiutato nell’approccio sia con i bambini che con i loro genitori. Per esempio in alcune culture il rapporto docente – allievo è connotato dalla prossimità relazionale, in altre, tale rapporto prevede il distacco affettivo. L’incertezza caratterizza la comunicazione quando i codici non siano comuni: l’esperienza dell’incomprensione del fraintendimento avviene anche tra coloro che condividono l’appartenenza, per cui è ricorrente e più rischiosa nelle situazioni connotate da differenze culturali27. In tali situazioni all’insegnante è richiesto di diventare modello, di rispettare i tempi dell’altro, di essere duttile nell’assumere il punto di vista e di interrogarsi rispetto alla sua reale intenzionalità comunicativa. Altra funzione importante che si esplicita nel contesto mediatore- insegnanti è quella di collaborazione nella programmazione delle attività interculturali e nell’insegnamento della L2 come facilitatore. - Nei confronti dei bambini autoctoni

Importante per la pedagogia interculturale è il presentare le culture e le lingue d’origine dei bambini immigrati a tutta la classe; l’assunzione di un punto di vista diverso, del resto, passa anche attraverso la presentazione di altre culture. Questa presentazione è supportata poi dalla figura del mediatore che dà prestigio alla lingua e alla cultura del bambino immigrato. Spiegare l’uso di determinati script culturali attraverso la presentazione di una cultura, la traduzione di alcune parole o semplicemente tramite la narrazione interculturale e il gioco, aiuta i bambini autoctoni a capire chi hanno di fronte e a relazionarsi con la diversità preparandosi ad accoglierla senza cadere in incomprensioni e conflitti. L'attività di prima accoglienza, in cui i mediatori culturali giocano un ruolo fondamentale, si dovrebbe concretizzare attraverso:

→ creazione o raccolta di strumenti per la comunicazione con le famiglie, nella lingua d'origine;

→ preparazione dell'ambiente-scuola, per facilitare ai nuovi arrivati l'orientamento in essa e la comprensione delle loro routines (lettera di benvenuto in lingua, cartelli multilingue nei plessi scolastici e vocabolari essenziali di pronto intervento ecc…);

26 (a cura di) SIDOLI, R. Star bene a Babele, La Scuola, Brescia, 2002, cit., p.32. 27 Ibidem.

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→ raccolta di tutte le informazioni atte a ricostruire la biografia linguistica dei bambini stranieri;

→ individuazione e uso di strumenti di rilevazioni atti a determinare il livello di apprendimento degli alunni, al di là delle competenze linguistiche in italiano.

Verrà inoltre dato spazio alla ricerca di modalità di raccordo scuola-famiglia di tipo formale e informale, alternative a quelle dei colloqui con le famiglie (che si cercherà comunque di migliorare) e funzionali a favorire lo scambio di comunicazione, secondo forme più vicine alla cultura di provenienza degli alunni immigrati.

3.2. L’ausilio dei facilitatori linguistici per supportare l’apprendimento della L2 Ideale sarebbe strutturare il servizio di sostegno linguistico (diviso in due gruppi: base per insegnare l’italiano per comunicare ai bambini di recente immigrazione e intermedio per insegnare l’italiano per imparare agli altri) in modo intensivo prima dell’inizio della scuola (dalla metà di agosto fino a tutto settembre) ed entro metà di ottobre i bambini stranieri vengono inseriti in classe. A questo punto si può prevedere una sorta di test di valutazione delle competenze in entrata attraverso il quale cercare di creare un programma scolastico. Nel frattempo, con l’equipe di animatori territoriali e il mediatore culturale, si preparerà la classe ad accogliere il bambino (come per esempio scrivere una lettera in lingua da mandare alle famiglie immigrate con bambini in età scolare per accoglierli a scuola). Per il periodo successivo il servizio di sostegno linguistico rimarrà principalmente un’attività pomeridiana28, mentre di mattina a scuola si continueranno ad organizzare i laboratori linguistici a gruppi finalizzati all’acquisizione della lingua per imparare e individuali per coloro che si iscrivono a scuola ad anno scolastico incominciato. I laboratori linguistici gestiti durante l’orario scolastico dovrebbero utilizzare facilitatori linguistici professionali e spazi idonei appositamente allestiti (c.d. laboratori linguistici), mentre quelli pomeridiani, all’insegna dell’informalità e dell’interrelazione tra pari, avranno margini per la compresenza di personale volontario (appositamente formato e supportato) e professionale. Lo staff del coordinatore dell’Ambito Territoriale XX propone di utilizzare le risorse messe a disposizione dal servizio civile volontario, oltre che per co-gestire i laboratori interculturali (si veda punto 3.4.), anche per continuare le attività di sostegno linguistico di pomeriggio negli spazi dei Centri di Aggregazione, magari attraverso percorsi più interattivi e di role playing. Si potrebbe obiettare che i ragazzi provenienti dal Servizio Civile non sono sufficientemente formati per ricoprire questo ruolo, dall’impronta fortemente pedagogica. In realtà il fattore che più stimola l’apprendimento in queste fasce d’età è l’interazione con i 28 Non riteniamo educativo togliere un bambino dalla classe di appartenenza, relegarlo nel sottoscala con il facilitatore linguistico ed “altri” piccoli fiammiferai.

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propri pari (ecco il perché riteniamo utile, dal punto di vista spaziale, organizzare il servizio in un luogo di ritrovo riconosciuto già come tale dai ragazzi). Quindi forti di questa certezza e del fatto comunque di prevedere una forte supervisione e coordinamento centrale fornito da personale specializzato, riteniamo che non sia azzardato avanzare questa proposta. Nello specifico si pensa ad un figura di supervisore scientifico col ruolo di formatore dei volontari, nella fase iniziale del loro incarico, e di aggiornamento continuo nel corso dell’anno. Il supervisore scientifico sarà comunque indispensabile anche per coordinare l’equipe dei facilitatori linguistici (pur sempre presenti ma meno nella scuola), per occuparsi delle sostituzioni (sia di questi che dei volontari), per curare le modalità e gli spazi di aggiornamento degli insegnanti delle scuole coinvolte nel progetto, per introdurli a metodi d’integrazione scolastica interculturali innovativi e ancora poco sperimentati nel nostro territorio e, finalmente, per proporre l’intercultura come una rivisitazione in chiave interdisciplinare dell’intero programma scolastico.

3.3. L’ausilio degli animatori territoriali e dei CAG e dei volontari del servizio civile per i laboratori interculturali e il lavoro di rete

Da molti anni parliamo di educare alla pace, al rispetto, alla convivenza e all’accoglienza. Eppure la percezione, benché esagerata e distorta dai mass-media, è che sembra crescere più l’intolleranza che l’accoglienza. È necessario che le agenzie educative formino al rispetto dei diritti umani come concetto generale e al rispetto dei diritti di ogni singolo individuo. Per questo l’Ambito Territoriale XX ha deciso di adottare il progetto interculturale sull’accoglienza, che descriviamo qui di seguito e che nasce dal contributo di varie figure professionali e dagli spunti di prosecuzione e approfondimento scaturiti da precedenti progetti, tra i quali "Comunicare con il mondo" realizzato nelle Prime medie dell'Ambito Territoriale 20 lo scorso a.s. L’equipe territoriale d'Ambito in raccordo con gli insegnanti propone di riprendere dallo scorso anno la promozione di valori universali quali: l’amicizia, la solidarietà e la diversità da intendersi come risorsa. Si registra nel territorio e nella scuola in particolare, una vicinanza necessaria tra persone di diversa abilità e di varia provenienza culturale e sociale. Non dobbiamo dare per scontato che ognuno (alunno o famiglia) sia interessato alla nostra proposta di valorizzazione delle diversità ma sappiamo per esperienza che proporre nuove conoscenze e approfondimenti porti buoni frutti nella convivenza quotidiana. Partendo da questo scenario l’intervento presentato ai ragazzi della 1° classe della Scuola Elementare e Media di tutto l’Ambito 20 ( Porto Sant’Elpidio, Monte Urano e Sant’Elpidio a Mare) si compone in un percorso che fa riferimento alle seguenti finalità educative:

o Educare alla convivenza e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti; o Favorire la comprensione, la tolleranza, l’amicizia nel gruppo classe;

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o Combattere il razzismo, i pregiudizi e gli stereotipi. Obiettivi Livello individuale:

o Attivare la risorsa diversità; o Promuovere il benessere di ciascun alunno/a: capacità di comunicare, ascoltare e

comprendere l'altro e se stesso Livello gruppo:

o Predisporre la classe verso una conoscenza reciproca; o Migliorare il senso della convivenza: in classe e nel territorio; o Far emergere stereotipi e pregiudizi e decostruirli.

Livello trasversale: o Dare un supporto all’organizzazione Scuola o Accompagnamento/supporto/Strumentario per gli insegnanti

Per gli anni a venire, avendo oramai a che fare con un territorio più “maturo” ed esperto, le attività interculturali dovrebbero essere caratterizzate come interventi puntuali nelle classi dell'insegnante distaccata su argomenti legati agli interessi degli alunni e seguite o precedute da attività svolte dalle insegnanti di classe e inserite nella normale programmazione, avvalendosi di materiale messo a disposizione da altre strutture (Staff dell’Ambito Territoriale XX, Biblioteche comunali) o dalla scuola stessa (se dotata di Scaffale Interculturale) e a partire da argomenti scelti dai singoli moduli o plessi (il gioco, la fiaba, il cibo, la festa). Premettendo che i laboratori interculturali verranno coprogettati e concertati ogni anno da animatori territoriali, referente animatori CAG, referente intercultura interno alla scuola, mediatori culturali tutti coordinati dal referente d’Ambito per l’integrazione, sicuramente non si prescinderà dai seguenti elementi:

→ coinvolgimento di animatori stranieri esterni alla scuola;

→ offerte bibliografiche, didattiche e di aggiornamento agli insegnanti;

→ mediante una proposta di ricerca-azione in alcune classi.

3.4. La sperimentazioni di percorsi alternativi di classe: il cooperative learning e il tutoring fra pari.

Tutoring e gruppi cooperativi costituiscono modi per rendere la scuola e le classi comunità di apprendimento in cui non solamente gli insegnanti ma anche gli alunni sono risorse gli uni per gli altri. La strutturazione delle attività didattiche in questa direzione contribuisce di per sé alla creazione di quel clima

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relazionale, cognitivamente significativo, accogliente e interculturale di cui si abbisogna per ottenere vera integrazione e di fatto porre le basi per un’accoglienza che non si limiti a prestare attenzione solo ai primi passi di chi arriva in una nuova realtà. Tutoring fra pari: si tratta di una modalità organizzativo-didattica che coinvolge gli alunni nell’apprendimento e nella socializzazione dei nuovi compagni. Nel tutoring fra pari, che si basa sul differenziale di abilità fra tutor e tutee, è proprio la vicinanza psicologica e di ruolo di questi due soggetti, entrambi alunni, a porsi come risorsa per l’apprendimento. E’ infatti una relazione di aiuto che il tutor mette in atto nei riguardi di chi – il tutee – momentaneamente, possiede conoscenze e abilità ridotte in un determinato ambito. In quanto relazione di aiuto e di facilitazione rientra pienamente in una prospettiva interculturale ma il suo significato è anche dato dal fatto che passa l’idea che il sapere è diffuso, non depositato in una sola persona (il docente). Nella scuola media si affianca a un ragazzo straniero un tutor italiano della stessa classe con compiti di facilitazione, aiuto, spiegazione sia per compiti di apprendimento linguistico specificatamente rivolti all’alunno straniero neo-arrivato, sia come sostegno per svolgere compiti comuni a tutta la classe. La funzione di tutor dovrebbe essere svolta a turno da tutti i compagni di classe, sulla base della loro disponibilità, con cadenza settimanale o bisettimanale. Quando il sostegno linguistico non è individuale ma fatto a gruppi, il facilitatore potrebbe nominare tutor, alunni stranieri essi stessi ma più grandi che già conoscono meglio l’italiano. Cooperative learning: si tratta di una strategia educative proveniente dagli Stati Uniti (ampiamente sperimentata dalla prof.sa E. Cohen dell’università della California) la cui novità consiste non tanto nell’indicazione, non certo nuova, di far lavorare gli allievi in gruppi, ma quanto nell’affermazione che tutti i membri dei gruppi possono ottenere risultati positivi ai fini del successo scolastico se, grazie all’utilizzo delle intelligenze molteplici, poco evidenziate in un contesto classe di apprendimento tradizionale, danno contributi originali alle soluzioni dell’unità didattica. In questo modo anche gli allievi provenienti da contesti culturali, socio economici e linguistici molto diversi e nei quali la classe ha attribuito uno “status” basso, trovano il modo di emergere, di essere apprezzati, di acquisire autostima, e, soprattutto, di essere valutati sulla base di più capacità e competenze tali da porli su un piano di effettiva priorità ed uguaglianza rispetto ai compagni autoctoni. L’esigenza di realizzare l’equità a scuola, dando una reale opportunità di apprendere ad alunne ed alunni che sono percepiti come differenti (per origine, lingua, modi culturali, intelligenze), è il punto centrale dell’istruzione complessa, elaborata dalla Cohen, attraverso una analisi critica di modalità correnti sia dell’attività educativa in classe, sia del lavoro di gruppo.La Cohen collega la diversità al problema di uno status sociale basso (dovuto sia al rendimento scolastico sia alla limitata popolarità tra i coetanei di alcuni alunni o studenti), dipendente non soltanto dalle aspettative degli insegnanti ma anche da quelle dei compagni. In seguito a questa analisi, la sociologa costruisce specifiche

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regole di lavoro di gruppo, richiede la delega dell’autorità da parte dell’insegnante, ma soprattutto prepara unità didattiche fondate sulle abilità molteplici (o intelligenze molteplici) e su problemi aperti. Si tratta di una strategia educativa che valorizza la collaborazione tra coetanei (si apprende meglio attraverso l’interazione) i quali possono diventare “risorse di apprendimento”; e che intende contrastare i ruoli che ciascuno si è reciprocamente assegnato e ritagliato. Se – grazie ai compiti molteplici connessi alle intelligenze molteplici – nel gruppo ciascuno può dare il suo contributo di invenzione, congetture, analisi, sintesi, descrizione rispetto a un problema di storia o ad uno di scienze, e mostrare abilità (grafiche, visive, spaziali, manuali) che i compagni imparano ad apprezzare, l’obiettivo dell’equità ha una reale occasione di essere realizzato.

3.5. L’ausilio di un referente territoriale d’Ambito per l’integrazione

L’impianto sopra esposto non ha chance di vedere la luce senza la presenza stabile di una figura che organizzi e implementi le attività coordinando tutti i soggetti a diverso titolo coinvolti. Dovrà curare il legame con la scuola, con i professori e tutto il personale scolastico, coinvolgere i mediatori culturali quando se ne ravvisi la necessità, coordinarsi con l’equipe degli animatori territoriali per organizzare incontri ed eventi interculturali ecc… Si farà promotore di eventi pubblici sui diversi aspetti legati all’immigrazione per sensibilizzare l’opinione pubblica e aumentare il livello generale di conoscenza del fenomeno e s’interfaccerà con gli amministratori degli enti locali nel momento di predisporre le politiche socio-culturali del territorio. L’Ambito Territoriale XX nella figura del referente per l’integrazione s’impegnerà inoltre a coprire i seguenti aspetti trasversali: Facilitare l’istituzione di e coordinare gruppi di ricerca (composto da: supervisore, coordinatore, referenti scolastici, facilitatori linguistici, animatori territoriali ). Rispetto a questo punto si ipotizza la creazione di alcuni gruppi di ricerca, atti a creare mentalità e a costruire strumenti rispetto al discorso interculturale e a quello linguistico. In particolare si pensa di attivare due gruppi di ricerca-azione, che vedranno coinvolte alcune insegnanti interessate:

un gruppo sulla ricerca di un percorso di storia impostato in maniera interculturale; un gruppo sulla facilitazione dei testi di insegnamento, mirata al lavoro su una disciplina e su una

classe. Si tratta di un lavoro puntuale, che potrà continuare negli anni successivi, per portare a coprire progressivamente le varie discipline nei vari anni scolastici.

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In questi lavori ci si avvarrà anche della strumentazione informatica in possesso della scuola, che consentirà la produzione di materiali facilmente riproducibili, spendibili in classe e graficamente apprezzabili e motivanti. Supportare gli insegnanti nell'aggiornamento sulle problematiche interculturali. Lo staff dell’ambito s’impegnerà a veicolare informazioni inerenti la formazione e l’aggiornamento specifico per insegnanti intorno alle tematiche interculturali e dell’insegnamento della L2. Ove richiesto organizzerà incontri ad hoc, formativi o di approfondimento, utilizzando i canali di conoscenza attivati da tempo, con i diversi attori del pubblico e del privato impegnati nel settore immigrazione. Tale attività, accanto a quello di individuazione di contatti con strutture locali che si occupano di interculturalità e di immigrazione, potrebbe servire a rendere più sistematica e qualificata la consulenza svolta quest'anno a favore di insegnanti esterni al Circolo Didattico. Un ulteriore modalità di supporto all'aggiornamento potrà essere realizzata attraverso la continuazione del lavoro iniziato quest'anno da parte del MIUR, Provincia di Ascoli Piceno, CSA che stanno portando avanti un discorso allargato per alcune sperimentazioni in chiave interculturale del sistema scolastico complessivamente considerato (quindi non solo sostegno linguistico o aggiornamento dei soli insegnanti Supportare laboratori di cittadinanza attiva. L’impianto sopra esposto, se condiviso da tutti gli stakeholder del pubblico e del privato opportunamente coordinati dal referente d’Ambito per l’integrazione, avrebbe inoltre grosse chance di ricaduta sui genitori, si creerebbero quei ponti attraverso cui cominciare a strutturare iniziative di partecipazione attiva e di coinvolgimento dell’adulto (visto che l’associazionismo immigrato è fallito). Il referente d’Ambito avrà quindi il compito, assistito dai mediatori culturali, di creare legami sul territorio con altri soggetti: sindacati, servizi sociali, associazioni di volontariato, comitati di quartiere ecc..cercando di supportare una delle priorità dell’ambito che è quella di favorire il lavoro di rete. A livello d’Ambito è già stata è già stata riconosciuta la priorità di stimolare i cittadini immigrati ad interagire attivamente con il tessuto cittadino della società d’accoglienza e questo progetto non fa altro che supportare questa linea d’azione. Organizzazione temporale

Attività Lug Ago Set Ott Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu DOVE 1. Mediazione culturale

X X X X X X Scuola Famiglie

2. Sostegno linguistico

X X X X X X X X X X X Scuola CAG

3. Animazione intercult.

X X X X Scuola CAG

4. Sperimentazioni X X Scuola

5. Coordinamento X X X X X X X X X X X X Territorio

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Organizzazione spaziale 1. Spazio-classe: per il laboratori interculturali e le eventuali sperimentazioni di tutoring fra pari e cooperative learning; 2. Laboratorio linguistico: si tratta di un ambiente di apprendimento e integrazione, ove si svolgono le attività di facilitazione e i percorsi di apprendimento della lingua italiana. Si tratta di uno spazio caratterizzato non solo dalla presenza di utili sussidi audiovisivi e multimediali ma soprattutto di un luogo nel quale è data agli alunni immigrati l’opportunità di apprendere l’italiano integrando le nuove competenze con quelle già possedute, collegandole al proprio passato, alla propria storia personale e valorizzando la cultura del Paese di origine. La sua organizzazione risponde pertanto a criteri pedagogici e didattici “integrativi” in senso lato: sia come facilitazione all’inserimento e all’integrazione nella nuova realtà scolastica e sociale, sia come aiuto alla costruzione di una positiva identità personale. 3. Bacheca interculturale29 in essa si dovrebbero sistematicamente raccogliere:

pubblicazioni e materiali editoriali ma anche materiali “grigi” prodotti dalla scuola stessa o da altre scuole riguardanti i sistemi scolastici e, più in generale, la realtà dei Paesi di provenienza degli alunni stranieri;

documenti informativi – bilingui o nelle diverse lingue materne – sul funzionamento della scuola e avvisi di routine – in diverse lingue – per l’informazione ai genitori stranieri e la comunicazione scuola-famiglia;

i progetti e le esperienze di accoglienza, di integrazione, di educazione interculturale, i percorsi di insegnamento/apprendimento della lingua italiana e il relativo materiale didattico per gli insegnanti e gli alunni,

la normativa di riferimento quant’altro ogni istituto scolastico ritenga di raccogliere.

4. CAG e punti d’aggregazione giovanili informali: per il portare avanti il discorso del sostegno pomeridiano linguistico attraverso e i laboratori interculturali attraverso i volontari del servizio civile (sotto la supervisione di esperti facilitatori). 29 Questo discorso potrebbe essere alternativamente portato avanti dalle Biblioteche Comunali dei comuni dell’ambito territoriale XX o quanto meno coordinato con esse (che potrebbero avere libri e riviste in lingua con cui supportare le attività didattiche della scuola). Quella di Porto Sant’Elpidio si sta movendo in questo senso, quindi sarebbe auspicabile trovare un collegamento e fare un unico lavoro bene invece che tanti spezzettati l’un l’altro.

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4) Numeri utili per l’immigrazione:

CENTRO SERVIZI PER CITTADINI IMMIGRATI (presso il Comune di Fermo)

Referente: Argeo Funari Recapiti: Tel.e Fax: 0734/284279 email: [email protected] Giorni e orari di apertura: Mercoledì dalle 15 alle 19 (in Via Mazzini a Fermo) Lunedì dalle 20 alle 22:30 (a Lido Tre Archi, Via A. Moro Tel. 0734/640493) Sabato mattina (sempre a Lido Tre Archi ma su prenotazione) Servizi offerti: Informazioni e consulenza relative a: Ingresso, soggiorno, espulsione Casa, alloggio Lavoro, occupazione Salute, sanità Previdenza sociale Minori Vitto e vestiario

CENTRO POLIVALENTE PROVINCIALE IMMIGRATI (presso i locali del Centro di Aggregazione a Lido Tre Archi, Via A.Moro)

Referente: Omar Hussein Khattab Recapiti: 0734/640493 email: [email protected] Giorni e orari di apertura: Giovedì dalle 10 alle 15

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Servizi offerti: Informazioni e consulenza relative a: Ingresso, soggiorno, espulsione Casa, alloggio Lavoro, occupazione Salute, sanità Previdenza sociale Minori Servizi scolastici Vitto e vestiario

Assistenza legale in caso di processi e ricorsi Materiale e documentazione Formazione professionale rivolta ad immigrati Formazione linguistica rivolta ad immigrati Educazione Interculturale nelle scuole Sensibilizzazione tra i cittadini (incontri, eventi culturali)

CENTRO EDA (presso la scuola Media Leonardo da Vinci di Fermo)

Referente: Nazarena Agostini e Marcello Fedozzi Recapiti: 0734/ 219301 Giorni e orari di apertura: Dal lun. al sab. la segreteria è sempre disponibile. Per i corsi chiamare. Servizi offerti: Formazione linguistica per immigrati (con possibilità di rilascio dell’attestato CILS) Formazione professionale. Si organizzano corsi FSE e corsi di alfabetizzazione informatica. Licenza media (corsi serali) Organizza corsi anche in sedi decentrate (Centro Islamico, Amandola, Servigliano…)

SPORTELLI IMMIGRATI (ANOLF) (presso i Comuni di Monturano, Sant’Elpidio a Mare e Porto Sant’Elpidio)

Referente: Said Jamil (per gli sportelli di Monturano e Sant’Elpidio a Mare) e Pasquale Antonelli (per lo sportello di Porto Sant’Elpidio) Recapiti: Monte Urano (tel. 0734/848748) - Sant’Elpidio a Mare (0734/8196362) cell. 333/7350808 P.S.Elpidio (0734/9081) cell. 335/5762133 Giorni e orari di apertura: Tutti i sabati mattina dalle 09:00 alle 13:00 (a Porto Sant’Elpidio) e a sabati alterni, durante lo stesso orario, negli altri due comuni.

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Servizi offerti: Informazioni e consulenza relative a: Ingresso, soggiorno, espulsione Casa, alloggio Lavoro, occupazione Salute, sanità Previdenza sociale Minori Vitto e vestiario

Materiale e documentazione per: Ingresso, soggiorno, espulsione Casa, alloggio Lavoro, occupazione Salute, sanità Previdenza sociale Minori

CGIL (UFFICIO POLITICHE IMMIGRAZIONE) (Via dell’Annunziata, 1 – Fermo)

Referente: Antonio Ficcadenti Recapiti: 0734/220813 cellulare 347/0626775 Giorni e orari di apertura: mercoledì dalle 16:00 alle 18:30. Servizi offerti: Informazioni e consulenza relative a:

Ingresso, soggiorno, espulsione Casa, alloggio Lavoro, occupazione Salute, sanità Previdenza sociale Minori Vitto e vestiario

L’ente realizza attività di sensibilizzazione tra i cittadini (incontri, veneti culturali).

Associazione “IL PONTE” Referente: Renato Postacchini Recapiti: 0734//622083 Giorni e orari di apertura: tutti i giorni dalle 10:30 alle 14:00 e dalle 16:00 alle 19:00. Servizi offerti: Informazioni e consulenza relative a:

Ingresso, soggiorno, espulsione Casa, alloggio Lavoro, occupazione Salute, sanità Previdenza sociale Minori Vitto e vestiario

Aiuto diretto per quanto riguarda: Vitto e vestiario Distribuzione alimenti a domicilio Servizio docce.

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Il servizio mensa è attivo tutti i giorni dalle 13:00 alle 14:00 La distribuzione di vestiario avviene il lunedì e mercoledì dalle 16:00 alle 18:00 e il sabato dalle 11:00 alle 13:00. Il servizio docce è attivo tutti i giorni. La distribuzione degli alimenti a domicilio avviene su richiesta. Il Centro di Ascolto è aperto il lunedì e mercoledì dalle 16:00 alle 18:00 e il sabato ogni 15 giorni dalle 10:00 alle 12:00. L’ente ha attivato una convenzione con una pensione di Fermo per dare, solo occasionalmente, accoglienza alle persone senza fissa dimora per un massimo di 3 notti.

ASSOCIAZIONE IL SAMARITANO (c/o Casa del Volontariato – Via del Palo, 10 – Porto Sant’Elpidio)

Referente: Sergio Stacchietti Recapiti: 0734/901638 oppure 328/9336983 Giorni e orari di apertura: telefonare per sapere gli orari per ognuno dei diversi servizi offerti. Servizi offerti:

Centro di prima accoglienza (in convenzione con il Comune di Porto Sant’Elpidio e la Caritas) per brevi periodi per italiani e stranieri (la permanenza è limitata a un massimo di 3 mesi);

Servizio mensa; Distribuzione vestiario e mobili usati; Incontro domanda e offerta di lavoro domiciliare come badante.

CESPI (Centro Sociale Primo Intervento) Piazza S.Giorgio, 3 - P.S.Giorgio

Referente: Adelaide Frisenda Recapiti: 0734/674466 Giorni e orari di apertura: da lunedì a sabato dalle 10:30 alle 12:30 e dalle 16:30 alle 18:30 Servizi offerti: Informazioni e consulenza relative a:

Ingresso, soggiorno, espulsione Casa, alloggio Lavoro, occupazione Salute, sanità Previdenza sociale Minori Vitto e vestiario

Aiuto diretto per quanto riguarda: Vitto e vestiario Servizio docce Casa, alloggio Lavoro, occupazione

L’ente realizza attività di formazione linguistica rivolta agli immigrati, sostegno scolastico per bambini stranieri, educazione interculturale nelle scuole, sensibilizzazione tra i cittadini (incontri ed eventi culturali).

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Page 76: Rapporto di ricerca Percezione del livello d’integrazione ...4.6. La comunità di appartenenza pag. 27 5. Conclusioni. Dalle criticità a possibili percorsi. pag. 28 5.1. Supporto

AUSL-ZONA TERRITORIALE 13 – AMBULATORIO MEDICO – Ascoli Piceno, Via delle Rimembranze (presso il vecchio ospedale)

Referente: - Recapiti: 0736/358068 Giorni e orari di apertura: Mercoledì e sabato dalle 11:30 alle 12:30 Servizi offerti:

Assistenza sanitaria di medicina generale agli immigrati non iscrivibili al SSN (perché irregolari). L’accesso è diretto.

Il giovedì dalle 09:300 alle 11:00, presso il Consultorio, la dott.ssa Rosella Pierdomenico fornisce assistenza pediatrica di base.

Il mercoledì dalle 09:00 alle 13:00, presso il vecchio ospedale in via delle Rimembranze, l’Assistente Sociale Germana Messina (tel. 0736/358902), gestisce un servizio di segretariato sociale.

AUSL-ZONA TERRITORIALE 13 – AMBULATORIO MEDICO – Distretto sanitario di Amandola – Via C. Battisti

Referente: - Recapiti: 0736/849204 Giorni e orari di apertura: Mercoledì dalle 9:00 alle 10:00 Servizi offerti:

Assistenza sanitaria di medicina generale agli immigrati non iscrivibili al SSN (perché irregolari). L’accesso è diretto.

Il lunedì dalle 10:00 alle 11:00, presso l’Ambulatorio in Via Belli n.3, la dott.ssa Carolina Amadio fornisce assistenza pediatrica di base.

AUSL-ZONA TERRITORIALE 12 – SPORTELLO SALUTE (PER IMMIGRATI) – Distretto Sanitario di S.Benedetto del Tronto Via Romagna, 7

Recapiti: Tel 0735/793604 email: [email protected] Referente: Dott.ssa Guastaferro Giorni e orari di apertura: dal lun al ven dalle 9:00 alle 13:00 Servizi offerti: L’ente fornisce informazioni relative a salute e sanità. AUSL-ZONA TERRITORIALE 12 – AMBULATORIO MEDICO –

Distretto Sanitario di S.Benedetto del Tronto Via Romagna, 7 Recapiti: Tel 0735/793609 Referente: Dott. Bellardi Giorni e orari di apertura: lunedì e giovedì dalle 11:00 alle 14:00 Servizi offerti: L’ente fornisce informazioni relative a salute e sanità nonché assistenza sanitaria di medicina generale agli immigrati non iscrivibili al SSN (perché irregolari). L’accesso è diretto.

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