RAPPORTI TRA SCUOLE DI MEDICINA E SISTEMA SANITARIO … · 2016-07-26 · tarie Integrate (AOUI) e...

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PAGINA 2 E 3: oggi parliamo di... Una nuova ipotesi fisiopatologica della cirrosi PAGINA 4: l’esperto risponde l’angolo del direttore SOMMARIO PAGINA 5: cosa c’è di nuovo dalla parte del paziente PAGINA 6: fegato e dintorni Pillola obesa la vignetta di Franco Ferlini PAGINA 7: editoriale PAGINA 8: attività la Fondazione: chi, come, dove Premessa e riferimenti normativi Il tempo trascorso dalle pubblicazione delle Linee Guida (gennaio 2000) per la stesura dei protocolli d’intesa tra Regione e Università e l’avvio delle Aziende Ospedaliero-Universi- tarie Integrate (AOUI) e dopo oltre 20 anni dall’istituzione delle Aziende miste (1992), è sufficiente per fare un bilancio sull’ andamento delle AOUI, sulle eventuali criticità e per for- mulare, alla luce di queste, delle proposte di modifica migliorative. Si tenga presente che la Legge n. 240/2010, con il riassetto dell’orga- nizzazione delle Facoltà di Medicina che essa ha comportato, richiedeva espressamente il ri- esame dei rapporti tra SSN e Facoltà Mediche e la stesura di un nuovo testo convenzionale dopo quattro mesi!. Una prima negativa conseguenza della man- cata elaborazione e approvazione del nuo- vo testo convenzionale consiste nel fatto che in questi ultimi anni non tutte le sedi si sono organizzate in AOUI, secondo il dettato della Legge n. 240, ma hanno preferito rimanere Aziende Miste, o trasformarsi in IRCS; inoltre, alcune sedi sono diventate Scuole di Medici- na, altre sono rimaste Facoltà! È evidente che tale frammentazione organiz- zativa indebolisce il sistema accademico nel suo insieme, e rallenta una nuova e condivisa organizzazione della Medicina Accademica. Nell’affrontare comunque questo importante tema, è opportuno richiamare i principi e i va- lori che sono alla base dell’ istituzione dell’U- niversità. Gli art. n. 9 e 33 della nostra Costituzione Italiana impegnano lo Stato allo sviluppo dell’ attività scientifico-tecnologica perché sia il vo- lano dello sviluppo culturale e dell’innovazio- ne del Paese. Proprio a questo scopo istituisce il sistema universitario che deve sviluppare il sapere (ricerca) e trasmetterlo, attraverso l’at- tività formativa (formazione), alle nuove gene- razioni. La Legge n. 250/2005 ricorda, inol- tre, in modo più incisivo e diretto, che questa azione di propulsione culturale dell’Università si debba esercitare anche attuando i necessari rapporti con il territorio in cui opera. Numerose sentenze della Corte Costituzionale hanno sancito che, per poter raggiungere gli obiettivi costituzionalmente definiti di ricerca e formazione, le Facoltà (Scuole) di Medicina, in particolare il suo settore clinico, debbano svolgere attività assistenziale. In questo senso l’attività assistenziale diventa un’attività es- senziale e caratterizzante del triennio clinico universitario. segue a pagina 7 RAPPORTI TRA SCUOLE DI MEDICINA E SISTEMA SANITARIO NAZIONALE: NECESSITÀ DI UNA NUOVA LEGGE PER LE AOUI Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 2096 del 23.07.2007 - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, CNS PD ANNO 10 - N. 2 - MAGGIO 2016 HEPATOS a TUTTO FEGATO Periodico della Fondazione Lionello Forin Hepatos Onlus HEPATOS 5 X MILLE AIUTACI AD AIUTARTI Dona il tuo 5xmille alla FONDAZIONE LIONELLO FORIN HEPATOS ONLUS CF 04034580284

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PAGINA 2 E 3:oggi parliamo di...Una nuova ipotesi

fi siopatologica della cirrosiPAGINA 4:

l’esperto rispondel’angolo del direttore

l’esperto rispondel’angolo del direttore

l’esperto risponde

SOMMARIOPAGINA 5:

cosa c’è di nuovodalla parte del paziente

PAGINA 6: fegato e dintorniPillola obesa

la vignetta di Franco Ferlini

PAGINA 7: editorialePAGINA 8: attivitàla Fondazione: chi, come, dove

Premessa e riferimenti normativiIl tempo trascorso dalle pubblicazione delle Linee Guida (gennaio 2000) per la stesura dei protocolli d’intesa tra Regione e Università e l’avvio delle Aziende Ospedaliero-Universi-tarie Integrate (AOUI) e dopo oltre 20 anni dall’istituzione delle Aziende miste (1992), è suffi ciente per fare un bilancio sull’ andamento delle AOUI, sulle eventuali criticità e per for-mulare, alla luce di queste, delle proposte di modifi ca migliorative. Si tenga presente che la Legge n. 240/2010, con il riassetto dell’orga-nizzazione delle Facoltà di Medicina che essa ha comportato, richiedeva espressamente il ri-esame dei rapporti tra SSN e Facoltà Mediche e la stesura di un nuovo testo convenzionale dopo quattro mesi!. Una prima negativa conseguenza della man-cata elaborazione e approvazione del nuo-

vo testo convenzionale consiste nel fatto che in questi ultimi anni non tutte le sedi si sono organizzate in AOUI, secondo il dettato della Legge n. 240, ma hanno preferito rimanere Aziende Miste, o trasformarsi in IRCS; inoltre, alcune sedi sono diventate Scuole di Medici-na, altre sono rimaste Facoltà! È evidente che tale frammentazione organiz-zativa indebolisce il sistema accademico nel suo insieme, e rallenta una nuova e condivisa organizzazione della Medicina Accademica. Nell’affrontare comunque questo importante tema, è opportuno richiamare i principi e i va-lori che sono alla base dell’ istituzione dell’U-niversità. Gli art. n. 9 e 33 della nostra Costituzione Italiana impegnano lo Stato allo sviluppo dell’ attività scientifi co-tecnologica perché sia il vo-lano dello sviluppo culturale e dell’innovazio-

ne del Paese. Proprio a questo scopo istituisce il sistema universitario che deve sviluppare il sapere (ricerca) e trasmetterlo, attraverso l’at-tività formativa (formazione), alle nuove gene-razioni. La Legge n. 250/2005 ricorda, inol-tre, in modo più incisivo e diretto, che questa azione di propulsione culturale dell’Università si debba esercitare anche attuando i necessari rapporti con il territorio in cui opera. Numerose sentenze della Corte Costituzionale hanno sancito che, per poter raggiungere gli obiettivi costituzionalmente defi niti di ricerca e formazione, le Facoltà (Scuole) di Medicina, in particolare il suo settore clinico, debbano svolgere attività assistenziale. In questo senso l’attività assistenziale diventa un’attività es-senziale e caratterizzante del triennio clinico universitario.

segue a pagina 7

RAPPORTI TRA SCUOLE DI MEDICINA E SISTEMA SANITARIO NAZIONALE: NECESSITÀ DI UNA NUOVA LEGGE PER LE AOUI

Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 2096 del 23.07.2007 - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, CNS PD

ANNO

10

- N. 2

- M

AGGI

O 20

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HEPATOSa TUTTOFEGATO

Periodico della Fondazione Lionello Forin Hepatos Onlus HEPATOS

5 X MILLEA I U TA C I A D

A I U TA R T IDona il tuo 5xmille alla

FONDAZIONELIONELLO FORINHEPATOS ONLUS

CF 04034580284

La cirrosi epatica rappresenta lo stadio più avanzato delle malattie croniche del fegato. Il danno croni-co infatti determina delle alterazioni strutturali del fegato con comparsa di cicatrici (setti fibrosi) e di aree no-dulari che rappresentano il tentativo delle cellule sane di rigenerarsi (no-duli di rigenerazione). Queste alte-razioni sovvertono completamente l’architettura del fegato e fanno si che un organo soffice, pronto ad accogliere e filtrare il sangue pro-veniente dagli organi splancnici (in-testino, milza, pancreas etc) tramite la vena porta, diventi duro ed op-ponga resistenza al flusso di sangue portale. L’aumento di resistenza fa si che la pressione nel circolo portale aumenti, determinando “ipertensio-ne portale” che è la principale causa delle manifestazioni cliniche dei pa-

zienti con cirrosi epatica (ascite, ipo-sodiemia, sanguinamento digestivo etc). Nelle fasi più avanzate della malattia anche altri organi quali il rene, il sistema nervoso centrale, il cuore e i polmoni possono essere coinvolti dando luogo ad un quadro di insufficienza multi organo. Circa 30 anni fa, nel 1988, è stata formu-lata una teoria che potesse giustifi-care la serie di eventi che causano le complicanze della cirrosi epatica, a partire dalla ritenzione di sodio e acqua (che causano ascite ed ede-mi) fino all’insufficienza renale (sin-drome epatorenale). Tale teoria è detta “ipotesi della vasodilatazione arteriosa periferica”. Secondo tale ipotesi, l’ipertensione portale, cau-sa una dilatazione dei vasi arterio-si splancnici che quindi accolgono più sangue della norma, riducendo

OGGI PARLIAMO DI...

UNA NUOVA IPOTESI FISIOPATOLOGICA DELLA CIRROSI

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Figura 1: Ipotesi dell’infiammazione sistemica come causadelle complicanze della cirrosi epatica

quello disponibile in circolo per la perfusione degli altri organi nobili (cervello, cuore, reni etc), determi-nando una “ipovolemia efficace”. L’organismo risponde con la produ-zione di sostanze (noradrenalina, renina, angiotensina, aldosterone, vasopressina) che determinano un aumento della gittata cardiaca e una ritenzione idrosalina. Col pro-gredire della malattia, il cuore non può incrementare ulteriormente la sua gittata ed allora compaiono gli edemi, l’ascite e nelle fasi più avan-zate l’iposodiemia e l’insufficienza renale. L’ipotesi della vasodilatazio-ne arteriosa periferica ha costituito le fondamenta su cui sono stati co-struiti numerosi studi sperimentali e clinici, che hanno portato i ricerca-tori a sviluppare trattamenti efficaci per complicanze della cirrosi consi-derate un tempo irrisolvibili, quali, ad esempio, la sindrome epatore-nale. Tuttavia, recentemente, nuove evidenze hanno messo in discussio-ne, almeno in parte, tale teoria. In particolare è stato osservato che: 1) nelle fasi più avanzate della

malattia, non vi è un ulteriore incremento di produzione delle sostanze menzionate preceden-temente (noradrenalina, renina etc.) tale da giustificare le disfun-zioni renali osservate in tali pa-zienti

2) nelle fasi avanzate della malat-tia c’è una riduzione della gittata

ca determina l’attivazione di una cascata di eventi a cui consegue la produzione di sostanze in grado di incrementare ulteriormente la va-sodilatazione nel distretto splanc-nico, ridurre la funzione contrattile cardiaca, alterare la performance neuropsichica e alterare la funzione renale. Inoltre, le molecole prodotte dalle cellule danneggiate, posso-no a loro volta stimolare il sistema immunitario a produrre una mag-giore infiammazione, aggravan-do ulteriormente il danno. Queste osservazioni costituiscono la base che ha permesso di sviluppare una nuova teoria: “l’ipotesi dell’infiam-mazione sistemica” (Fig. 1). Questa ipotesi prevede che la traslocazione batterica, e l’infiammazione che ne deriva, rappresentino un evento pri-mario nello sviluppo delle compli-canze della cirrosi, incrementando la vasodilatazione arteriosa splanc-nica e inducendo disfunzione di uno o più organi. Inoltre, un incremento repentino dell’infiammazione dovu-to ad una infezione batterica clini-camente significativa o una ridotta tolleranza individuale all’infiamma-

zione possono indurre lo sviluppo di una insufficienza multiorgano cau-sando l’insufficienza epatica acuta su cronica (Fig. 2). È estremamente interessante notare che in modelli sperimentali (ratti con cirrosi epati-ca), interventi focalizzati a ridurre l’infiammazione (attraverso la de-contaminazione intestinale con anti-biotici, l’uso di anticorpi in grado di bloccare le molecole infiammatorie o l’uso di albumina) sono risultati in grado di prevenire tali disfunzioni d’organo e rappresentano un punto di partenza importante al fine di svi-luppare trattamenti efficaci nel pre-venire le complicanze della cirrosi. L’ipotesi dell’infiammazione sistemi-ca ha la potenzialità di aprire nuovi scenari nella ricerca scientifica in-ternazionale. Inoltre, potrà consen-tire ai ricercatori di sviluppare nuovi trattamenti in grado di prevenire e/o trattare le complicanze della cirrosi epatica, migliorando sia la quantità che la qualità della vita dei pazienti con cirrosi.

cardiaca che non è giustificata dalla vasodilatazione arteriosa periferica

3) tale ipotesi non è in grado di giustificare la ragione per cui alcuni pazienti sviluppano insuf-ficienza epatica acuta su croni-ca, una sindrome che si associa ad un’insufficienza multiorgano, un’infiammazione sistemica ed una elevata mortalità.

Si è quindi andati alla ricerca dei meccanismi che potessero spiegare queste discrepanze. A tal proposito, negli ultimi anni, è risultato sempre più evidente che l’infiammazione gioca un ruolo cruciale nella com-parsa delle complicanze della cirro-si. Infatti, è noto che i pazienti con cirrosi presentano frequentemente una infiammazione sistemica che è principalmente secondaria al pas-saggio di batteri o di frammenti di batteri, dal lume intestinale, dove sono normalmente presenti, al cir-colo sistemico. Tale evento è noto come “traslocazione batterica pato-logica” e si verifica a causa delle al-terazioni strutturali che l’ipertensio-ne portale determina nell’intestino (aumentandone la permeabilità) e a causa di cambiamenti nella quan-tità e qualità dei batteri intestinali. Tali batteri (o i loro frammenti) sti-molano il sistema immunitario a generare infiammazione. Tale mec-canismo di difesa è fondamentale per scongiurare lo sviluppo di una infezione clinicamente rilevante, tut-tavia, lo stimolo cronico può cau-sare un danno collaterale agli altri organi. È stato infatti dimostrato che la traslocazione batterica patologi-

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Salvatore PianoDottore Specialista di Medicina Interna

Università di Padova

Figura 2: Ipotesi dell’infiammazione sistemica e suo ruolo nello sviluppo dell’insufficienza epatica acuta su cronica

La domanda non è banale, perché vi sono molte “credenze” da sfatare, relativamente al fegato. Gli esempi che Lei mi porta sono fra queste: perché mai il fritto, le uova e le cozze dovrebbero fare male? Non vi è alcuna evidenza scientifica, anche se potrebbero scatenare una colica biliare se si è affetti da micro-calcolosi della colecisti, ma è un altro discorso. Anche in presenza di una malattia cronica di fegato, come l’epatite, non vi è motivo di evitare alcun cibo, assumendo una dieta varia, ossia la dieta “mediterranea”, senza eccessivo apporto calorico. Ovviamente differente è il problema in caso di grave malattia epatica come la cirrosi avanzata. Allora cosa fa male? 1) L’alcol, ossia vino, birra, superalcolici in dosi superiori ai 30g/

giorno (2-3 bicchieri di vino da 100ml, o di birra da 330ml) assunti tutti i giorni, che può causare una malattia da fegato grasso che può evolvere sino alla cirrosi, o dosi più elevate assunte acutamente anche per brevi periodi, che possono causare una epatite alcolica che può essere anche letale. 2) La dieta incongrua, ossia ipercalorica, che può causare steatosi epatica, ossia fegato grasso, definito più propriamente NAFLD (malattia da fegato grasso non alcolico), o NASH (steatoepatite non-alcolica). NAFLD e NASH possono, in una bassa percentuale di casi (3% circa) evolvere sino alla cirrosi e all’epatocarcinoma. Tra le sostanze ingerite con la dieta vanno segnalati il fruttosio, presente anche nello zucchero, ed usato

L’ESPERTO RISPONDE

L’ANGOLO DEL DIRETTORE

Professore, mi scusi la domanda banale, ma uova, fritti, cozze fanno veramente male al fegato? E cos’altro va evitato?

La fiducia

come dolcificante (sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio presente in bevande, merendine etc.), ed i grassi saturi (grassi animali, olio di palma etc.). 3) Alcuni integratori, in particolare concentrati di tè verde ed altre erbe vendute anche come epatoprotettori che possono rivelarsi estremamente epatotossiche. Quindi vede che in realtà non ci sono alimenti che fanno specificamente male al fegato, che invece soffre molto per il sovrappeso, ed in particolare per l’obesità, secondaria all’eccessivo introito calorico. Buon appetito!

David SacerdotiProfessore Associato di Medicina Interna

Università di Padova

Un mio paziente ultraottantenne mi confidava tempo fa: “nella mia lun-ga vita mi ha aiu-tato molto avere fiducia, in me stes-so, negli altri e nel-la vita”. In effetti il

concetto di fiducia ha una suo riscontro concreto nella vita reale sia a livello in-dividuale che collettivo e ci accompagna dalla nascita. Il bambino ha una fiducia naturale e necessaria nella mamma, che sarà all’origine delle sue capacità rela-zionali, il ragazzo ha fiducia nell’inse-gnante e nell’amico, in ambito familiare c’è un rapporto di fiducia tra marito e moglie, il malato ha fiducia nel medico, il credente ha fiducia in Dio e nella re-ligione, lo scienziato nutre fiducia nella ragione e nella scienza. Contestualmen-te non potremmo affrontare gli obbiettivi e le difficoltà della vita se non avessimo fiducia in noi stessi. A livello collettivo la fiducia permette la convivenza; c’è fiducia nelle istituzioni, nella giustizia, nella legittimità del potere; a livello eco-nomico si ha fiducia nelle banche, nella forza della moneta, anzi è la fiducia che

dà forza e valore alla moneta; anche negli scambi commerciali, nei contratti e nelle transazioni è determinante la fi-ducia che quanto pattuito sia rispettato. Anche se, per evitare distruttive delu-sioni, c’è un bilanciamento fra fiducia e diffidenza che è l’equivalente contrario della fiducia, in generale è comunque quest’ultima a prevalere e a struttura-re la vita individuale e collettiva. È la fiducia a dare sicurezza e permettere una normale vita sociale. Oggigiorno purtroppo sembra che la fiducia sia en-trata in crisi e prevalgano le delusioni e le incertezze legate alla diffidenza. A li-vello individuale abbiamo perso fiducia nei valori tradizionali che non sono stati sostituiti da nuovi ed è addirittura mina-ta la fiducia in noi stessi, e ciò genera indifferenza e toglie entusiasmo alla vita. A livello collettivo la riduzione del-la fiducia si è associata ad un aumento dell’incertezza che ha preso il posto del-le nostre sicurezze: paura del fenomeno dell’immigrazione, diffidenza dell’altro, del diverso, paura del terrorismo, dell’o-spitalità, addirittura paura delle città in cui viviamo. Ci sembra che le istituzioni, i mercati, l’economia, le banche in cui avevamo riposto la nostra fiducia e che

avevano promesso giustizia e benesse-re, ci abbiano tradito. E’ in crisi il nostro sistema sociale, economico e politico e le nostre regole di convivenza? e quanto questa crisi deriva da una mancanza di fiducia negli altri? Un processo evolutivo positivo dovrebbe portare all’evidenzia-zione ed elaborazione di nuovi valori e alla loro applicazione a una convivenza civile sempre più rispettosa dell’indivi-duo. Pertanto è necessario ricreare la fiducia in noi stessi e nelle istituzioni: in-fatti c’è continuità fra la sfera privata e quella pubblica. In concreto dobbiamo riuscire a rendere fondata e credibile la fiducia nel bene pubblico, farci rappre-sentare da una classe politica degna di fiducia e in grado di darla, dobbiamo investire in un’etica della responsabilità, contando sul fatto che la maggioranza della popolazione è onesta e vuole il cambiamento, improntato a quei valori di onestà, di umanità, di giustizia e soli-darietà, che sono alla base della nostra civiltà occidentale. In definitiva dobbia-mo ricostituire una rinnovata, fondata e credibile fiducia nel nostro sistema civile e sociale.

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Angelo GattaProfessore Ordinario di Medicina Interna

Università di Padova

I farmaci immunosoppressori hanno notevolmente migliorato la sopravvi-venza precoce dei pazienti dopo il trapianto di fegato. I risultati a lungo termine, però, restano insoddisfa-centi a causa di eventi avversi, quali infezioni e tumori, dovuti all’immuno-soppressione a vita. Negli anni sono state intraprese diverse strategie con l’obiettivo di risolvere questo pro-blema attraverso l’induzione di una tolleranza all’organo trapiantato, ma hanno ottenuto un successo limitato. In un recente studio pilota giappone-se, in 10 pazienti adulti si è cercato di indurre tolleranza dopo trapianto

Il titolo che propongo non intende rife-rirsi alle situazioni in cui è il medico ad essere ammalato. Questo sarebbe cer-tamente uno spunto di riflessione assai interessante, perché vivere nella propria “carne” l’esperienza di malattia può risultare di fondamentale importanza per svolgere la propria professione con attenzione e sensibilità. Del resto già il Direttore di questa Rivista, prof. Gatta, ha richiamato nel numero precedente il libro pubblicato anni fa da tre illustri Colleghi che, narrando la loro perso-nale esperienza di malattia, lo hanno significativamente intitolato “Dall’altra parte”.Ponendomi, invece, nell’ottica che è propria di questa rubrica (“Dalla parte del paziente”), intendo piuttosto riflette-re su due particolari richieste che, spes-so in maniera non esplicita, chi si affida ai medici vorrebbe manifestare loro. Entrambe ci consentono di riflettere sul significato dell’essere “paziente”.Chi è ammalato - lo abbiamo già os-servato in altri interventi - vorrebbe in-contrare un medico con il quale poter avviare un rapporto fatto di fiducia e di reciproca comprensione. Un medico che sappia in primo luogo ascoltare,

COSA C’È DI NUOVO

DALLA PARTE DEL PAZIENTE

ma anche che si dimostri veramente paziente, capace cioè di compren-dere quello che la persona ammalata intende esprimere, anche perchè non è sempre immediatamente comprensibile nemmeno a chi parla, travolto com’è da un vissuto carico di ansia e preoc-cupazioni. “Paziente” significa dunque, evitare di essere superficiale, frettoloso, di dare per scontato quello che si crede di aver capito in prima battuta; significa essere in grado di tornare sul discorso, magari a distanza di un pò di tempo, e dimostrare di mantenere sempre aperta la disponibilità a nuove richieste e, ma-gari, a ripetere ciò che si riteneva fosse stato pacificamente compreso.Ma c’è un secondo modo di intendere l’essere “paziente” e che fa sempre rife-rimento alla medesima radice linguisti-ca. In fondo è quello che sta all’origine del termine con cui continuiamo a chia-mare la persona ammalata:“paziente”, appunto. Oggi, forse, ri-schia di suonare un pò antiquato ma è solo perchè, purtroppo, si è finito per dare ad esso il significato di una per-sona remissiva, che quasi subisce, nel-la tradizionale visione paternalistica, le scelte che il medico compie nei suoi

confronti (e al suo posto). Ma “pazien-te” sta a significare qualcuno che soffre ed è proprio questa la persona che, per una sofferenza fisica, per un disagio psichico, per uno stato di ansia legato all’incertezza della sue condi-zioni, si rivolge al medico chiedendogli aiuto. Ebbene, il paziente chiede anche che il medico sia capace di accogliere le sue richieste e di comprendere la sua sofferenza. In un certo senso, gli chiede di condividerla, sia pure con quel diver-so vissuto personale che deriva dal suo differente ruolo. Essere il “curante” non significa rimanere interamente (e fred-damente) assorbito nel proprio compito di natura strettamente tecnica e ignora-re il grande carico di ansia e di emo-zioni che inevitabilmente gli vengono trasmesse per il solo fatto di incontrare una persona ammalata. Una persona, dunque, che chiede al medico di esse-re anch’egli un “paziente”, una persona che sa soffrire con lui. Non a caso si può parlare, in questa ot-tica, di un rapporto fatto di “em-patia”.

Il Medico sa essere “paziente “?

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di fegato da donatore vivente utiliz-zando una nuova terapia cellulare a base di linfociti T. Questa terapia prevedeva la co-coltura per due setti-mane di linfociti del ricevente con cel-lule irradiate del donatore. In questi pazienti i farmaci immunosoppresso-ri sono stati ridotti di dose a partire dai 6 mesi dal trapianto e la som-ministrazione è stata completamente interrotta a 18 mesi. Dei 10 pazienti trattati, 7 hanno completato con suc-cesso lo svezzamento dagli agenti immunosoppressori, che attualmente non stanno assumendo. Tre pazienti con malattia di fegato di origine au-

toimmune hanno invece sviluppato un rigetto e pertanto è stata ripresa l’immunoterapia a basse dosi. Que-sto studio, dunque, apre scenari inte-ressanti per un futuro senza farmaci immunosoppressori per i pazienti tra-piantati di fegato per malattie epati-che di origine non autoimmune.(Todo S. et al. A Pilot Study of Ope-rational Tolerance With a Regulatory T-Cell-Based Cell Therapy in Living Donor Liver Transplantation. Hepa-tology 2016 Jan 16. doi: 10.1002/hep.28459.)

Paolo BencioliniProfessore Ordinario di Medicina Legale

Università degli Studi di Padova

“Alla ricerca di strategie alternative all’immunosoppressione nel trapianto di fegato”

Marco Di PascoliRicercatore Universitario

FEGATO E DINTORNI

alto dall’ottima copertura a botte.

Apro lo studio dice lui mentre ap-

poggia sul retro la bici. Poi entra,

si siede nell’angolo ovest, inforca

gli occhiali e..” “E..?” “Svergino il

giornale -mi ha spiegato una volta

ridendo- La frase è di mio padre.

Guai, se qualcuno lo apriva prima

di lui. Scherzi a parte, devo pur ri-

farmi del tempo perso per salire

le scale vecchie e strette del con-

dominio.” “E si rifà così?” “Certo.

Leggere il giornale è un pò girare il

mondo -sempre parole sue- com-

menti, gossip, necrologi... Inoltre,

Egidio o Gianni o Filiberto o Mar-

co.. usciti dal bar si fermano in stu-

dio.” “Ah.” “E dai saluti si passa ai

pareri, su su, fino alla discussione

più accesa. Chi non è del posto, e

li incrocia per caso, pensa a nuovi

tipi di gazebo da bar. E non tro-

verebbe strano se da un momen-

to all’altro spuntasse il cameriere

con gli aperitivi. Ieri una signora, un

po’ spaesata, si è avvicinata ed ha

chiesto educatamente, quasi timo-

rosa di interrompere la conversazi-

one: “Scusate, è qui la fermata del

bus?” Proprio allora dalla curva in

fondo se n’è udito il clacson. Nereo

le ha sorriso: “Eccolo in arrivo, si-

gnora. Un cenno e si ferma” Anche

Gianni e Marco le hanno sorriso. La

signora ha sporto la mano, è salita

e dal finestrino ha dato un’occhiata

a quei buontemponi che avevano

ripreso a discutere. Avrebbe ripa-

gato il biglietto per sapere se, alla

sua domanda, avevano riso di lei.

Prosit!” “E lunga vita a Nereo!”

Gabriele Bacilieri

Bar Sole 11 aprile 2016. Marcello

spruzza poesia sull’aperitivo dell’a-

mico: “Nel Labirinto degli specchi

Anna Bellon volita, di soglia in sog-

lia, tra mondi onirici e reali. Recita

seducente e invoglia all’oltre senza

fine. E l’epilogo è leggero.” Gior-

gio, invece, schizza prosa: “Sotto

la pensilina Nereo sfoglia il gior-

nale. Pesa 170 chili. Lo ammiro.

Provo pena solo per la sua bici.”

Annuisce Marcello: “L’obesità è in

crescita, purtroppo, ma sulla pena

manchi il bersaglio.” “Pensi che le

cose non possano impietosire?”

“Già!” “Sbagli. Quando Nereo

pedala, il povero trabiccolo ti stra-

zia l’anima. Geme la sella soffocata

da dense colate di ciccia, gemo-

no tubi, ruote e pedali, schiacciati

dal carico tremendo. Se lo incroci

trattieni il fiato convinto dell’immi-

nente patatrac.” “Invece avanza e

tu lo ammiri.” “Perché è saggio e

pacatamente ironico. Fa quello che

può e lo fa bene.” “Cioè?” “Tut-

ti i giorni apre il garage alle 9,30;

conduce la bici in strada; chiude il

cancello e monta in sella. Pedala

lento lento verso il centro del quar-

tiere, salutato dai latrati insistenti

di qualche cane casalingo. Passa

dal giornalaio, acquista il quotidi-

ano, lo ripone piegato nel cestino

della bici e prosegue fino alla fer-

mata dell’autobus poco oltre il bar.

La pensilina, quasi sempre deserta

quando arriva Nereo, diventa per

un’oretta il suo spazio sociale.”

“Ma va!” “Spazio semichiuso, con

grande panchina di 4 metri fissata

al robusto schienale e riparato in

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PILLOLA OBESA

La vignetta di Franco Ferlini

EDITORIALE segue dalla copertina

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personale amministrativo, strutture, patrimoni appartenenti ai due Enti. Secondo le linee guida, le AOUI sono nuove entità, non sono strumenti della Regione, e sono dotate di una loro “autonomia giuridica, patrimoniale, programmatoria e gestionale”; esse sono caratterizzate dalla triplice funzio-ne: sviluppare la ricerca, la formazione su-periore in campo sanitario, e l’assistenza di eccellenza. Certo, devono operare in “leale collaborazione” con il Sistema Sanitario Na-zionale Regionale. Per quanto attiene gli ultimi due aspetti, essi appaiono sufficientemente intuitivi e condivisi. È opportuno invece spendere qualche parola per quanto riguarda l’ attività di ricerca. Una recente indagine effettuata da un’agen-zia internazionale indipendente (Scimago World Report, 2014), ha dimostrato che la ricerca scientifica italiana si colloca nel suo complesso al 8° posto tra tutte le nazioni: la ricerca bio-medica si colloca al 6° posto e, in qualche suo settore, al 3° posto, ed è quali-tativamente assai competitiva. Si tenga inoltre conto del fatto che il 65% della produzione bio-medica è prodotta dall’ area 06 della Facoltà di Medicina proprio quell’area che si deve integrare nell’AOUI. La ricerca scientifica è costituita non solo da pubblicazioni scientifi-che, ma anche brevetti, spin-off, nuovi percor-si diagnostico-terapeutici ecc. L’area della bio-medicina rappresenta inoltre uno dei principali hub per l’interazione con altri settori scientifici quali: l’ingegneria, la fisica, le biotecnologie, le scienze biologiche-naturali, la chimica, la bio-etica, l’economia e la giurisprudenza.Si tratta di un patrimonio scientifico enorme che non deve essere compresso e compro-messo, e che rappresenta per ogni Ateneo una parte rilevante della documentazione da presentare al MIUR in funzione di ottenere la necessaria quota di FFO. Una contrazione, in senso prettamente “ospedaliero”, del triennio clinico della Facoltà (Scuola) di Medicina, non

avrebbe solo una ripercussione generale nella produzione scientifica italiana, ma si tradur-rebbe anche in un declassamento progressi-vo, finanziario e culturale, dell’intero Ateneo in cui la Scuola di Medicina insiste, nonché una cospicua riduzione di tutto l’indotto che si sviluppa in loco attorno alla Facoltà medica.I Protocolli d’Intesa Università-Regioni, sotto-scritti dalle varie sedi universitarie, recepisco-no tutti la triplice funzione della AOUI anche se nella loro stesura si notano, su punti qualifi-canti, alcune importanti differenze già discus-se e pubblicate sul bollettino del COLMED/09 (Corrocher R., Bollettino MED09, n.4/2006).Quali sono stati i meccanismi nuovi delineati dai protocolli d’intesa Università-Regione al fine di garantire alla AOUI la realizzazione armonica e paritaria dei tre aspetti di ricerca-formazione e assistenza e la loro necessaria integrazione? 1. La partecipazione dell’Università all’elabo-

razione dei piani sanitari Regionali per la parte di sua competenza.

2. La partecipazione all’elaborazione dei programmi di ricerca finalizzata della Re-gione.

3. La scelta del Direttore Generale dell’AOUI d’intesa tra il Presidente della Regione che lo nomina e il Rettore dell’Università.

4. L’istituzione del Comitato d’Indirizzo, in cui d’ufficio siede il Preside della Facoltà, composto da persone esperte di program-mazione sanitaria e che deve elaborare le linee di sviluppo dell’AOUI e che annual-mente deve rendere conto, al Presidente della Regione e al Rettore, mediante un suo specifico documento dello stato di attuazio-ne del programma. In questo comitato sie-de, senza diritto di voto, anche il direttore generale dell’AOUI.

5. La strutturazione dell’AOUI in Dipartimenti integrati (DAI).

6. La nomina del direttore del DAI d’intesa tra Rettore e D.G.

7. La determinazione del tempo di assistenza del personale universitario delle U.O: tale tempo deve essere pari al 50% di quello ospedaliero, per permettere che il persona-le universitario con funzione di Dirigente di I° o di II° livello nel SSN, possa svolgere la necessaria attività di ricerca e formazione. Da questo ne deriva il calcolo dell’equipe di personale totale necessario per le strut-ture a conduzione universitaria in rapporto ai posti letto.

8. Perequazione salariale tra personale ospe-daliero e universitario.

segue nel prossimo numero

D’altro canto, la Legge di Riforma del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) del 1992 Legge n. 502), nelle sue premesse, indica in modo espli-cito tra i compiti delle Aziende Miste che si an-davano costituendo, lo sviluppo della ricerca bio-medica “di base ed applicata”, oltre che indicare le esplicite modalità di collaborazio-ne tra SSN e Università, laddove la Facoltà di Medicina sia presente nell’Azienda Mista. Si è ritenuto che i due Enti avessero, seppur nelle ri-spettive autonomie, sufficienti elementi di ”con-vergenza” operativa. La Legge sollecitò quindi la stesura dei protocolli di collaborazione tra Azienda Sanitaria ed Università che, lasciando inalterate le rispettive autonomie, stabilissero delle modalità pratiche di gestione dei due Enti.L’espansione dell’offerta formativa universi-taria (Lauree sanitarie, Dottorati di Ricerca, Masters ecc) che si è andata aggiungendo alla tradizionale formazione delle lauree ma-gistrali e delle Scuole di Specializzazione, ha posto con urgenza alla Facoltà di Medicina , il problema dell’insufficienza numerica del per-sonale docente a cui l’Università da sola non è in grado di far fronte. Per far fronte alle nuove esigenze, un decisivo ulteriore passo avanti ed un sostanziale cam-biamento nella ratio che ha ispirato i rapporti tra SSN e Facoltà di Medicina del passato si è avuto con la Legge n. 517. Le Linee Guida, in essa previste e pubblicate nel gennaio del 2000, prevedono infatti in modo ambizioso, ma ritenuto necessario ai fini di razionalizzare la spesa sia sanitaria che universitaria, che i due Enti si “integrino” cioè condividano un’u-nica e nuova “mission” caratterizzata, parita-riamente, da attività di ricerca, formazione ed assistenza: questa triplice funzione riguarda sia il personale universitario che ospedaliero. Sulla base delle Linee Guida, nasce così la nuova Azienda Ospedaliero-Universitaria Integrata (AOUI). Progetto certamente ambi-zioso in quanto si devono integrare medici e docenti tradizionalmente formati con modalità e fini differenti e con stato giuridico differente,

Roberto CorrocherPast-President COLMED

LA FONDAZIONE: CHI, COME, DOVEOrganigramma

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